quando scrivere diventa una fatica
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quando scrivere diventa una fatica
Dott.ssa Michela Rampinini [email protected] QUANDO SCRIVERE DIVENTA UNA FATICA Nell’ambito degli studi dedicati all’apprendimento della lingua scritta maggior rilievo è stato tradizionalmente attribuito all’indagine sulla abilità sottostanti il compito di lettura; solo di recente l’attenzione dei ricercatori si è rivolta ai processi di scrittura (Boscolo 2006; Indrisano e Squire, 2000), come testimoniato anche dalla pubblicazione di volumi specificatamente dedicati allo studio e alla ricerca sulle competenze di scrittura (MacArthur, Graham e Fitzgerald, 2006), e di nuovi test (Bozzo, Pesenti, Siri, Usai e Zanobini, 2000), appositamente studiati per la rilevazione di tali abilità oche si aggiungono allo strumento di Tressoldi e Cornoldi (2000). MODELLI DI ACQUISIZIONE DELLA SCRITTURA I processi sottostanti l’acquisizione e lo sviluppo delle abilità di scrittura sono stati ampiamente studiati portando, all’interno di diversi orientamenti teorici, alla formulazione di diversi modelli descrittivi del normale funzionamento dei processi di lettura e scrittura (Baldi e Traficante, 2000), tutti sostanzialmente convergenti nell’individuare due distinte strategie cognitive alla base della capacità di leggere e scrivere parole e testi, sistematizzate nel modello a due vie elaborato da Coltheart e collaboratori (1993; 2001). Stadi di elaborazione della parola “zebra” secondo il modello a due vie (tratto da Cubelli, 2002) Questo modello teorizza l’esistenza di due vie o processi alla base delle abilità di riconoscimento e produzione della parola scritta. Il processo (o via) fonologico o sublessicale, in cui il riconoscimento della parola, che ne permette la lettura, avviene attraverso tre operazioni conseguenti: la sua scomposizione o segmentazione nelle singole parti costituenti o grafemi, l’associazione tra ciascun grafema e il fonema corrispondente, il riassemblaggio in forma fonologica della parola, con l’ovvia inversione del processo (scomposizione in fonemi, corrispondenza fonema-grafema, riassemblaggio della forma grafemico ortografica della parola) nel caso in cui la parola debba essere prodotta, cioè scritta. Il secondo processo (o via), detto lessicale e semantico, coinvolge invece le informazioni contenute nella memoria a lungo termine; in questo caso infatti la parola viene riconosciuta in quanto già presente nel lessico mentale e resa disponibile nella sua forma ortografica (la parola come è scritta), fonologica (la parola come suona) e nel suo valore semantico (la rappresentazione o il significato cui la parola rimanda). La via fonologica, o regolare, viene privilegiata per la lettura o scrittura di parole sconosciute o nonparole, mentre quella semantico-lessicale interviene per la lettura e scrittura di parole note, regolari e irregolari (Scalisi, Pelagaggi e Fanini, 2003). Il modello a due vie sottolinea dunque la coesistenza di tre componenti alla base dei processi di acquisizione e padroneggiamento delle abilità di letto-scrittura: una componente fonologica, una componente ortografica e una componente lessicale, tra loro evolutivamente connesse (Frith, 1985). Nelle fasi iniziali della scolarizzazione predomina infatti il meccanismo di conversione grafema-fonema, mentre dopo gli 8 anni si consolida il lessico visivo ortografico e fonologico e il bambino diventa un lettore (e uno scrittore) sempre più esperto e capace via via che nuove parole arricchiscono il suo magazzino lessicale-semantico, a livello di codifica-decodifica ortografica e a livello rappresentazionale (Mazzotta, Barca, Marcolini, Stella e Burani, 2005; Pinto, 2003). Lettori e scrittori abili vengono perciò contraddistinti da livelli elevati di utilizzo e efficacia della via semantica, che permette l’automatizzazione dei processi e l’elaborazione centrale e profonda della parola, con un intervento minimo dei processi di tipo sub-lessicale, in cui sono attive soprattutto modalità periferiche e superficiali di elaborazione e costruzione della parola (Booth, Perfetti e MacWhinney, 1999; Usai e Bozzo, 1997). La competenza lessicale sembra dunque occupare un ruolo centrale nei processi di apprendimento della lingua parlata e scritta; fin dall’inizio, nella cosiddetta fase dell’alfabetizzazione emergente, l’incremento quantitativo e qualitativo del vocabolario costituisce una componente fondamentale dello sviluppo linguistico generale, che si estende poi, nella fase di alfabetizzazione formalizzata, all’apprendimento della lingua scritta (Accorti Gamanossi, 2005). La pratica della scrittura è strettamente legata allo sviluppo motorio delle componenti esecutive legate alla motricità; un bambino e un adulto che imparano a scrivere non passano attraverso le stesse tappe grafiche. J. de Ajuriaguerra si è occupato solo dei bambini e ha definito così 3 stadi di sviluppo della scrittura; l’età precalligrafica, calligrafica e postcalligrafica. La fase precalligrafica va dai 5/6 anni ai 8/9 anni durante la quale il bambino si sforza ad imparare le forme e a cercare una certa regolarità. Nella scrittura si osserva una mancanza di destrezza come un tratto esitante, interrotto, ritoccato, curve ammaccate o angolose, dimensione e inclinazione delle lettere ancora mal determinate, legamenti tra lettere ancora maldestri, rigo di base ondulante, rotto, ascendente o discendente e infine utilizzo dello spazio mal controllato con margini fluttuanti, mancanti o esagerati. La fase calligrafica si colloca tra i 10 e 11 anni durante la quale il bambino produce una scrittura più fluida, più legata, con forme ormai dominate sul piano motore. Finalmente, possiede una scrittura abbastanza regolare e conforme al modello imposto che è il testimone di un certo livello d’evoluzione generale mentale, affettiva e motoria. La fase postcalligrafica comincia verso i 12/13 anni. Nel proseguire la fase calligrafica, il bambino si trova ora davanti al problema della velocità di scrittura. Infatti, non solo il suo cervello ragiona più velocemente ma anche l’esigenza scolastica fa sì che deve assolutamente aumentare il flusso di parole scritte. E’ il momento della “crisi”: cosa fare? come conciliare leggibilità e velocità? La risposta si trova principalmente nelle semplificazioni; gli ornamenti tendono a diminuire e/o a sparire, i legamenti tra lettere diventano più scorrevoli e aumentano in modo da evitare troppe alzate di penna, certi tratti superflui come il trattino d’inizio parola tendono a sparire, le “l” si riducono ad un asta, certi gruppi di lettere prendono l’aspetto di nuove forme. In breve, la scrittura tende ad individuarsi e a personalizzarsi secondo il principio del risparmio dell’energia e dell’efficienza. LA DISORTOGRAFIA La disortografia (Tressoldi, 2002) è un disturbo specifico della scrittura dato da una significativa compromissione della automatizzazione delle regole ortografiche di trasformazione dei suoni in segni connessi a formare parole; questo disturbo dà luogo ad una minore correttezza ortografica rispetto ai coetanei con pari opportunità educative e pari caratteristiche cognitive (Tressoldi, 1991). Per quanto riguarda i criteri diagnostici nel DSM-IV, si parla di Disturbo dell’Espressione Scritta come “una capacità di scrittura (misurata con un test standardizzato somministrato individualmente con una valutazione funzionale della capacità di scrittura) che si situa sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometria dell’intelligenza e a un’istruzione adeguata all’età”. La difficoltà nell’espressione scritta incide negativamente ai fini dell’apprendimento scolastico e delle attività quotidiane che richiedono capacità di scrittura (DSM-IV, 1996). Nel disturbo specifico di apprendimento dell’ortografia gli aspetti ortografici (compitazione e spelling) sono centrali e non sono coinvolte, se non indirettamente, le componenti di ideazione e programmazione dei contenuti scritti (Vio e Gruppo di lavoro AIRIPA, 2005). TRATTAMENTO E VALUTAZIONE Il disturbo di scrittura è comunemente associato al disturbo di lettura, in una buona percentuale di casi i bambini dislessici mostrano problemi di disgrafia (difficoltà nell’esecuzione dei pattern motori), nonché difficoltà nel calcolo e nel sistema dei numeri. Si preferisce parlare di competenza ortografica, piuttosto che di ortografia, in senso tradizionale. Questa espressione è infatti legata solitamente alla conoscenza di regole e di eccezioni ortografiche (apostrofo, accento, uso dell’h, ecc.). Vi sono bambini che mostrano alcune difficoltà nell’acquisizione delle regole, mentre con le parole normali non hanno nessun problema. Alcuni errori caratteristici nella produzione scritta esprimono un’incapacità del bambino di analizzare adeguatamente i suoni della lingua e di scomporli nei singoli fonemi (si pensi ai termini omofoni non omografi). Si tratta in questo caso di difficoltà che non riguardano l’analisi fonologica, ma l’acquisizione delle regole di scrittura di determinate parole, per questo motivo si parla di errori non-fonologici e sono associati all’utilizzo della via diretta non-fonologica. La scarsa conoscenza delle regole ortografiche, la mancata conoscenza di come si scrivono le parole, un’analisi fonologica deficitaria, sono elementi che spesso si fondono e determinano l’insorgenza di difficoltà nel processo di scrittura. La capacità di scrivere in maniera corretta non è per forza di cose associata alla capacità di esprimersi per iscritto, nonostante sia fondamentale non commettere errori durante l’espressione scritta. Per questo motivo, in sede di valutazione e trattamento delle abilità di scrittura, è fondamentale approfondire l’analisi in maniera distinta per l’ortografia, la grafia, la velocità di scrittura e l’espressione scritta. Si ritiene che la qualità della competenza ortografica può essere valutata in ogni produzione scritta, ma è più opportuno osservarla per sè stessa e non nel momento in cui il bambino è impegnato nell’elaborazione di un testo originale o nello scrivere il più velocemente possibile. La produzione sotto dettatura è estremamente variabile ed è in funzione delle modalità con cui si detta, per questo motivo, per effettuare una valutazione, è consigliabile utilizzare brani registrati o addirittura far copiare un testo scritto, è sorprendente infatti come i bambini disortografici riescano a commettere errori anche quando copiano. Il tema dei disturbi della scrittura è molto complesso da affrontare, da una parte per la grande varietà interindividuale nelle modalità e tempi di apprendimento, dall’altra perché la competenza relativa alla produzione scritta è diversificata e non unitaria. Acquisire la scrittura significa integrare in maniera complessa più funzioni sottostanti, di tipo sensomotorio, neurocognitivo e socioemozionale. La carenza in una o più di queste funzioni determina conseguenze importanti e differenziate nel processo di acquisizione della scrittura. In fase diagnostica e riabilitativa assume una grande importanza un approccio che consideri la scrittura come un processo derivante dal funzionamento di più componenti, il modello neuropsicologico (Tressoldi e Sartori, 1995) propone l’analisi di due attività fondamentali nello scrivere: scrittura sotto dettatura e scrittura spontanea. Durante l’attività di scrittura sotto dettatura, la componente essenziale che interviene nel processo, è la capacità di percepire e riconoscere i fonemi costitutivi delle parole (discriminazione fonetica) e successivamente di trasformarli nei segni (fonemi) corrispondenti. Tale processo si sviluppa attraverso tre funzioni essenziali: analisi fonetica, l’associazione fonema-grafema e recupero della forma ortografica. Durante l’apprendimento della scrittura, le prime due fasi consentono di sviluppare il processo alfabetico e, grazie all’altissima regolarità tra grafemi e fonemi, rendono il compito progressivamente più semplice. La forma ortografica invece è essenziale per lo sviluppo della componente lessicale che permette di distinguere le parole omofone non omografe, ossia le parole che hanno lo stesso suono, ma che si scrivono diversamente. Disturbi a carico della componente fonologica determinano errori di omissione o scambio di fonemi all’interno della parola (foglio per voglio) e sono quelli che caratterizzano la cosiddetta disgrafia fonologica (terminologia decisamente impropria, vista la confusione che crea tra disgrafia e disortografia). La disgrafia superficiale è invece quella dovuta ad un disturbo della componente ortografica, caratterizzata da errori a carico delle parole omofone, è chiamata superficiale per l’influenza sulla forma ortografica della parola e non quella fonologica. Spesso i disturbi caratterizzanti i due tipi di disortografia sono associati, per tale motivo è fondamentale una diagnosi precisa della tipologia di difficoltà ed un controllo sistematico della frequenza di errori ed il loro andamento nel tempo. Gli errori relativi ai raddoppiamenti o agli accenti non vengono considerati né di tipo fonologico né di tipo ortografico, sono infatti definiti altri errori da Tressoldi e Cornoldi (1991). Gli autori ipotizzano che “le componenti che permettono un uso corretto degli accenti e delle doppie siano di tipo fonetico (non fonologico), in quanto fanno riferimento a variazioni di intensità sonora (accenti) o di durata (doppie).” Relativamente alla scrittura spontanea va detto innanzitutto che è molto più complessa rispetto a quella sotto dettatura, in quanto coinvolge un numero maggiore di componenti. Oltre a tutte le attività già implicate nel processo di dettatura, nella scrittura spontanea è necessario attivare processi strettamente legati a competenze di tipo espositivo, al recupero lessicale, all’utilizzo di regole ortografiche convenzionalmente riconosciute. Disturbi specifici nell’ambito della scrittura spontanea non sono esclusivamente di tipo ortografico o fonologico, ma interessano anche il piano delle elaborazioni cognitive del testo scritto. Ciò non significa che tali disturbi abbiano uno sviluppo gerarchico, non sempre infatti difficoltà ortografiche e fonologiche si associano a difficoltà di elaborazione, vi sono bambini disortografici che possono effettuare tranquillamente attività di pianificazione e di revisione. Una strutturazione così articolata del processo di scrittura, che implica componenti specifiche ed altre comuni ad altri processi cognitivi, diventa fondamentale a livello diagnostico, per un’analisi differenziale del disturbo di scrittura e conseguentemente per l’elaborazione di programmi di intervento efficaci. Per il trattamento della condizione di disortografia, purtroppo a tutt'oggi non ci sono dati raccolti in modo sistematico in Italia, e pochi sono anche gli studi condotti all'estero. Per quanto riguarda la lingua inglese, Wanzek e colleghi (2006) hanno condotto una metanalisi degli studi condotti dal 1995 al 2003 che avevano come obiettivo quello di migliorare lo spelling in soggetti con learning disability. Anche se í risultati sono incoraggianti in quanto evidenziano evidenti miglioramenti, le procedure efficaci non sembrano molto diverse da quelle che un buon insegnante potrebbe adottare, come l'istruzione esplicita sulle regole da apprendere, molte occasioni per metterle in pratica, feedback immediato. In attesa di ulteriori studi sistematici sugli esiti di trattamenti condotti in Italia, il suggerimento è di migliorare i processi sottostanti la corretta produzione di parole regolari e irregolari. Nel caso di parole regolari, i processi sono quelli dell'analisi fonologica e dell'associazione con i corrispondenti grafemi e, più avanti nel percorso di apprendimento del bambino, quelli relativi a gruppi ortografici particolari (ch, gh, gn. gl, se) e quelli relativi alla padronanza nella scrittura di raggruppamenti di lettere. Nel caso di parole irregolari, per esempio quelle che richiedono l'uso della «q» invece che della «c» o l'uso dell’ h nel verbo avere, può funzionare un misto di memorizzazione delle eccezioni associato all'apprendimento di regole. Ad esempio, per distinguere quando usare può essere funzionale riconoscere il verbo avere dalla preposizione. Infine, per l’uso corretto delle cosiddette «doppie», sembrerebbe più utile un training sulla discriminazione uditiva, magari associato al cambio di significato che ne consegue (per esempio pala/palla), piuttosto che un training di memorizzazione lessicale che risulterebbe troppo impegnativo a causa dell'elevato numero di parole con queste caratteristiche presenti nella nostra lingua. Il lavoro a questi livelli sarà aiutato dall'analisi degli errori di scritti prevalenti nel bambino. Infine, come nel caso della dislessia, vi sono molte modalità aspecifiche che possono aiutare il bambino disortografico. Attività che specificamente riguardano la scrittura sono basate sull'uso di programmi di videoscrittura che includano il correttore (non automatico) e di software in cui il bambino può sentire pronunciare quello che ha scritto (Santori e De Lorenzo 2000). DIGRAFIA E DISORTOGRAFIA: IL PROBLEMA DELLA COMORBILITA’ Spesso si tende a sottovalutare le problematiche che si innescano quando un bambino non ce la fa ad acquisire gradualmente una corretta coordinazione grafo-motoria e una funzionale esecuzione dei grafemi. Si tende spesso a interpretare queste difficoltà come peculiarità individuali del bambino, dovute a svogliatezza e/o negligenza, oppure come indici di una disgrafia con alla base cause neurologiche, più raramente come segnali di mancati apprendimenti iniziali che richiedono insegnamenti specifici. Il problema è che il bambino con difficoltà grafo-motorie legate alla scrittura matura prima di tutto un senso di inadeguatezza e di frustrazione, ma poi può strutturare altre carenze legate ad altri apprendimenti. Infatti, quanto più aumenta la richiesta di rapidità e di quantità di produzione grafica, tanto meno egli riesce a restare al passo con i ritmi dell’insegnante, soprattutto nel dettato o quando deve scrivere di seguito più pagine, peggiorando sempre più la qualità esecutiva, ma soprattutto riuscendo a prestare minore attenzione ad altri aspetti del testo scritto, come ad esempio all’ortografia. Come recenti ricerche in ambito anglosassone dimostrano chiaramente, infatti, difficoltà e inefficienze nei processi di sviluppo neurologico di basso livello nella prima acquisizione della scrittura manuale possono contribuire a creare future disabilità di scrittura di alto livello sia in modo diretto sia in modo indiretto. Non avendo ben costruito le fondamenta dell’apprendimento, tutti gli apprendimenti successivi, dall'ortografia alla sintassi sino ai livelli più alti di produzione libera e creativa di testi, è come se fossero in qualche modo compromessi. Non bisogna poi sottovalutare la componente emotiva: il bambino con questa difficoltà fatica sempre di più, vive un profondo senso di sfiducia e di frustrazione, perdendo motivazione per le attività scolastiche. Oltre a questo il bambino avverte il fatto che i genitori e gli insegnanti sono profondamente scontenti della sua prestazione e sente di deludere le aspettative. La situazione spesso non migliora nel momento in cui si attivano attenzione e programmi di recupero didattico sul bambino, poiché ad oggi rimangono poche le conoscenze circa la disgrafia e quindi spesso le insegnanti non sanno bene come agire. Nel momento in cui il bambino arriva all’osservazione clinica, molto raramente la richiesta giunge ad un professionista specializzato nel recupero e nella rieducazione grafo-motoria. Tendenzialmente, anche in linea con la legge vigente in materia di DSA, le indicazioni si strutturano in un programma di intervento basato su misure compensative e dispensative. In questo modo le difficoltà non si risolvono, ma si allarga sempre di più il divario tra lo sviluppo normale dei compagni e quello del bambino che si sentirà sempre più inadeguato. Il mancato apprendimento, o, come direbbe P. Crispiani, il mancato esercizio della funzione della scrittura, quindi, genera a catena tutta una serie di difficoltà scolastiche, minando progressivamente la motivazione allo studio. Partendo da queste considerazioni e dopo aver analizzato la peculiarità funzionale (la specificità, appunto) dei processi di apprendimento della scrittura nei suoi aspetti grafo-motori e ortografici, l’ipotesi maggiormente plausibile potrebbe essere quella che la disgrafia potrebbe talvolta penalizzare gli aspetti ortografici. Quando ho deciso di lavorare su questa mia trattazione, il mio obiettivo era quello di avere delle indicazioni per il trattamento riabilitativo per bambini con difficoltà grafo-motorie con associate carenze ortografiche. Lo studio in questa direzione e la mia formazione mi hanno portato a scoprire una letteratura scientifica italiana molto ricca di lavori e di sperimentazioni di training legati alla dislessia e alla discalculia; per quando riguarda la disgrafia c’è una profonda carenza di studi (sul manuale sui DSA del 2009, Cornoldi e coll. hanno dedicato alla disgrafia solo mezza pagina); sulla disortografia, come ho evidenziato prima, si stanno sperimentando alcuni protocolli per il recupero. Cercando evidenze scientifiche italiane sul trattamento della disortografia in comorbilità con la disgrafia, nonostante il fatto che nella pratica clinica è una situazione molto frequente, non si trovano spunti metodologici in merito. Ogni trattamento va regolato sulla base dell’effettiva efficacia dimostrabile. Deve essere erogato quanto più precocemente possibile tenendo conto del profilo scaturito dalla diagnosi o dal profilo delle abilità. Il trattamento va interrotto quando il suo effetto non sposta la prognosi naturale del disturbo (CC 2007). All’interno del progetto riabilitativo, il programma riabilitativo definisce le aree di intervento specifiche, gli obiettivi, i tempi e le modalità di erogazione degli interventi, gli operatori coinvolti e la verifica degli interventi. Partendo da questo presupposto, ad oggi, risulta particolarmente difficile parlare di trattamento e/o di progetto riabilitativo a fronte di una comorbilità tra disgrafia e disortografia non essendoci protocolli riabilitativi fondati scientificamente. Tuttavia, partendo dal presupposto che lo specialista deve condividere con la famiglia le modalità di prese in carico e le strategie utilizzate in un’ottica di alleanza e cooperazione, si possono comunque pensare dei percorsi di potenziamento ragionando sui modelli di acquisizione della scrittura. Proprio a partire dai modelli evolutivi e dalla variabilità individuale delle difficoltà, si può strutturare un percorso specifico che vada a rieducare entrambe le carenze. Un futuro lavoro di ricerca dovrebbe a mio parere muoversi verso questo obiettivo: sperimentare un percorso di rieducazione in associazione a un trattamento metacogntivo e/o fonologico sugli aspetti ortografici. Sulla base della gravità delle carenze, della motivazione e della specifica situazione psicologica, cognitiva ed emotiva del bambino si dovrà valutare la priorità di un trattamento sull’altro. Lo studio di variabili precise su come operare tale scelta saranno un obiettivo importante per la ricerca. Ancora, credo che la formazione e un adeguamento della didattica dei primi anni della scuola elementare, (ma anche nella scuola materna e nel nido) sia la chiave per una prevenzione efficace: se si presta attenzione alle prime acquisizioni grafo-motorie della scrittura e si predispone un insegnamento adeguato del corsivo, le difficoltà disgrafiche potranno essere ridotte e i bambini saranno maggiormente disponibili all’acquisizione dell’ortografia. In ultimo, un bilancio grafo motorio che evidenzia le difficoltà alla base della disgrafia e un approfondimento degli errori alla base della disortografia, sono fondamentali per un lavoro di trattamento e rieducazione. Una valutazione superficiale delle difficoltà non permette la strutturazione di un recupero mirato. BIBLIOGRAFIA 3° Consensus Conference DSA / P.A.A.R.C. 2011 AAVV. (2007), Difficoltà e disturbi dell’apprendimento, Il mulino. AAVV. (2011), a cura di D. 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