Ciak! CINEFORUM A SCUOLA

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Ciak! CINEFORUM A SCUOLA
(a cura di Olinto Brugnoli)
EL ALAMEIN – LA LINEA DEL FUOCO
Regia: Enzo Monteleone – interpreti: Paolo Briguglia, Pierfrancesco Savino, Emilio Solfrizzi, Silvio Orlando,
Roberto Citran, Giuseppe Cederna – sceneggiatura: Enzo Monteleone – colore – durata: 117’ – origine: Italia,
2002.
Il regista. Enzo Monteleone, già sceneggiatore di film come MEDITERRANEO, MARRAKECH EXPRESS, ALLA
RIVOLUZIONE CON LA DUE CAVALLI, è alla sua terza prova da regista. Figlio e nipote di professori universitari
di storia, Monteleone, prima di realizzare questo film, si è rigorosamente documentato leggendo le opere di Enrico
Serra, Rigoni Stern, Bechi Luserna e soprattutto di Caccia Dominioni, che, dopo aver vissuto la guerra, ha
progettato, prima di morire, il sacrario militare di El Alamein ed è rimasto tanti anni in Egitto per recuperare le
salme dei suoi soldati. A conferma di questa preoccupazione di carattere storico da parte del regista, ci sono le
bellissime interviste ai reduci di guerra, realizzate durante la preparazione del film e confluite in un interessante
documentario TV presentato a Venezia, dal titolo: “I ragazzi di El Alamein”. Inoltre i costumi del film sono stati
affidati, non a caso, ad Andrea Viotti, costumista teatrale e noto studioso di “uniformologia”.
La vicenda, ambientata in Egitto nei mesi di ottobre e novembre del 1942, può essere riassunta in poche righe,
dato che gran parte del materiale narrativo verrà recuperato all’interno dei filoni tematici che emergono dal
racconto. Il giovane Serra, “volontario universitario”, raggiunge la divisione Pavia nell’avamposto di Qattara.
Conosce il malinconico tenente Fiore, diventa amico del coraggioso sergente Rizzo e di altri due commilitoni, i fanti
De Vita e Spagna. Ben presto, però, il suo entusiasmo si scontrerà con le terribili condizioni di una guerra vissuta
in condizioni disumane e degradanti. Dopo parecchi giorni di snervante attesa, durante i quali però non mancano i
bombardamenti da parte dei famosi “88” inglesi (in realtà erano gli “8 Pounds”), le truppe nemiche attaccano su
tutti i fronti e travolgono le divisioni italo-tedesche. Non resta che ritirarsi, senza mezzi e senza sapere dove
dirigersi, in un caos indescrivibile che favorisce l’annientamento e la cattura. Alla fine ritroviamo Serra, Fiore e
Rizzo che, per un caso fortuito, sono riusciti a sfuggire alla cattura da parte degli inglesi. Ma Fiore non ce la fa più
e decide di fermarsi in pieno deserto; Rizzo non vuole abbandonarlo e resta ad assisterlo; solo Serra riuscirà ad
andarsene, approfittando di una moto abbandonata, non prima però di aver giurato ai suoi amici che sarebbe
ritornato a prenderli. Dopo tanti anni ritroviamo Serra, ormai anziano, in un sacrario militare a rendere omaggio ai
suoi compagni che, evidentemente, non ce l’hanno fatta.
Il racconto procede in modo lineare, con quel flash-forward finale che suggella il significato del film e rivela
l’approccio che sostiene tutta la narrazione: il profondo rispetto e la “pietas” nei confronti di quei poveri soldati che
fino in fondo si sono comportati da uomini veri. Protagonista del film può essere considerato il volontario Serra (
il film inizia e finisce con lui), ma considerato nel contesto di tanti altri soldati, alcuni dei quali assumono un peso
strutturale decisamente rilevante. Il racconto poi divide la vicenda in tre grosse parti:
! l’arrivo di Serra al fronte, il suo primo impatto con la guerra e l’attesa della battaglia;
! la battaglia vera e propria;
! il ripiegamento e la ritirata disastrosa.
All’interno di tutto questo materiale narrativo si sviluppano tre grossi filoni tematici che vale la pena di
approfondire.
1) L’ASPETTO E IL GIUDIZIO STORICO. Si è già detto delle preoccupazioni storiche del regista che, fin
dall’inizio, con una didascalia, informa lo spettatore che la vicenda è ambientata in Egitto nel 1942. Verso la
fine, poi, altre didascalie precisano: “La battaglia di El Alamein ebbe luogo dal 23 ottobre al 4 novembre
1942…Si affrontarono 104.000 uomini dell’armata italo-tedesca e 195.000 uomini dell’8^ armata britannica…
Gli italiani e i tedeschi ebbero 9.000 morti, 15.000 feriti e 35.000 prigionieri, i britannici ebbero 4.600 morti e
8.500 feriti…Il X Corpo d’Armata italiano formato dalle divisioni “Brescia”, “Folgore” e “Pavia”, schierato nel
settore sud fu completamente annientato durante la ritirata”. Il regista, inoltre, non può esimersi dal dare un
giudizio storico su questa guerra, anche se, come si vedrà, non è la sua preoccupazione principale. La critica
a questa guerra colonialista emerge soprattutto dall’episodio dell’arrivo al fronte di due autocarri, addetti ai
trasporti speciali, che hanno sbagliato rotta. Essi trasportano scatole di lucido da scarpe ed il cavallo personale
di Mussolini per la parata che si dovrebbe tenere ad Alessandria in caso di vittoria. La reazione del tenente
Fiore, che solo per poco non uccide il cavallo per darlo in pasto ai suoi soldati, è quanto mai significativa: “Di’ a
Mussolini che sono mesi che mangiamo sabbia e beviamo piscio. Se vuole sfilare ad Alessandria con il suo
cavallo e gli stivali lucidi, deve mandarci armi, divise, acqua, scarpe, cibo, medicine e deve mandare truppe
fresche a darci il cambio, e deve mandare l’aviazione a bombardare gli inglesi”. Sempre in questa linea si
colloca la decisione del Duce che, nonostante la disfatta, ritiene necessario “mantenere l’attuale fronte ad ogni
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costo: vincere o morire”. Così come le parole retoriche di un colonnello che, di fronte alla richiesta di mandare
un camion per trasportare i feriti, commenta: “…Comunque il soldato italiano non si perde mai d’animo. Un
modo, se vuole, lo trova sempre”.
2) L’ORRORE DELLA GUERRA. Emerge da tantissimi episodi ed è espresso chiaramente dall’evoluzione del
protagonista. Il “volontario universitario” Serra arriva al fronte carico di entusiasmo e di sogni di gloria. Prima
ancora di arrivare a destinazione ammira la “bellezza” del paesaggio e, di fronte al tenente Fiore che lo
interroga, afferma con decisione: “All’università ci hanno detto che c’era bisogno di soldati al fronte e che era
da vigliacchi fare gli imboscati…Cacceremo gli inglesi dall’Egitto”. Subito dopo, però, incomincia a prendere
contatto con una realtà ben diversa: i feriti, le facce meste e stravolte dei suoi commilitoni, i bombardamenti
degli “88” inglesi che polverizzano letteralmente il caporale che lo sta accompagnando. Poi il sergente Rizzo gli
spiega come stanno le cose: loro si trovano nel settore sud, “dimenticati da Dio e dai santi”; c’è poca acqua e
talvolta bisogna lavarsi con la sabbia; la dissenteria è un fatto normale; bisogna stare attenti agli scorpioni; il
rancio arriva al tramonto (se arriva); ci sono pochi fiammiferi e la posta a volte arriva a volte no. Solo le
sigarette abbondano. Nella prima lettera che Serra scrive ai suoi genitori l’entusiasmo c’è ancora, ma mitigato
dai primi segni della disillusione: “Qui è tutto vuoto, immenso. La guerra vera però non l’ho vista. Io me
l’immaginavo diversa. M’immaginavo chissà cosa: scontri, battaglie, sparatorie. Per adesso i nemici veri sono
la sete e la dissenteria. Dobbiamo stare attenti, perché si muore all’improvviso, per caso, senza sapere perché,
senza vedere mai il nemico. Spero di avere l’occasione di farmi onore e che possiate essere orgogliosi di me”.
Le perplessità di Serra aumentano in occasione dell’episodio del cecchino inglese, che non ha rispetto
neanche per coloro che cercano di soccorrere i feriti; così come quando per poco non salta per aria dopo aver
pestato una mina anticarro. Poi, a mano a mano che gli eventi precipitano e la violenza e la morte lo
circondano, la sua visione della guerra cambia radicalmente: “Oggi ho visto in faccia la morte. A scuola ti
insegnano: “fortunati quelli che muoiono da eroi”… ne ho visti un bel po’ di questi eroi. I morti non sono né
fortunati né sfortunati, sono morti e basta… marciscono in fondo ad una buca senza un briciolo di poesia. La
morte è bella solo nei libri di scuola. Nella vita fa pietà, è orrenda…e puzza”. Dopo il terribile attacco da parte
degli inglesi, De Vita - cui improvvisamente sono venuti i capelli bianchi - impazzisce e vagherà come un
fantasma nel deserto, mentre Spagna viene ferito a morte. In Serra si fa strada un senso di impotenza e di
smarrimento. Si rende conto che ormai tutti si sono dimenticati di loro, sia i nemici, sia i loro comandanti:
“Siamo diventati pietre, rocce immobili, dure. La paura non esiste più, perché la vita non esiste più. Sappiamo
che siamo rimasti soli, in mezzo al deserto. Tutto è abbaglio, senza dimensioni, senza misure. Tutto è luce,
luce accecante, immensa, infinita”. Ed infine, durante l’assurda ritirata, fatta di ordini e contrordini, prevale lo
scoraggiamento totale: “Vaghiamo nel deserto in balia di noi stessi. Possiamo solo sperare che succeda
qualcosa, qualsiasi cosa che ponga termine all’umiliazione di questa fine senza fine”.
3) L’UMANITA’ DEI SOLDATI. E’ il filone più importante dal punto di vista tematico, perché abbraccia anche gli
altri due, conferendo loro particolari significati. E’ raro trovare un film di guerra in cui non si sente né una
parolaccia, né un’imprecazione. Si capisce chiaramente che all’autore interessa mettere in risalto soprattutto
l’umanità profonda di questi soldati, la loro solidarietà, il rispetto, le confidenze, l’amicizia, l’altruismo, la dignità.
Fin dall’inizio il tenente Fiore, che aspettava rimpiazzi consistenti e si vede arrivare un imberbe studentello,
riesce, nonostante la delusione, ad avere parole rispettose e amichevoli nei confronti di Serra. L’amicizia che si
instaura con De Vita e Spagna, ma soprattutto con il sergente Rizzo, questo veneto montanaro pieno di buon
senso e di valori, è una delle cose più belle e significative del film. Il momento magico in cui i quattro soldati
approfittano di una missione nel deserto per arrivare fino al mare per fare un bagno è segno di complicità e di
amicizia ed è un’esplosione di felicità e di gioia di vivere. Nascono così momenti di confidenza e di
commozione, come quando Rizzo racconta di essere stato catturato dagli inglesi e di essere poi fuggito per
continuare a combattere, perché si sente un soldato e “un soldato ha il dovere di combattere”. Durante la notte,
poi, c’è anche il tempo per contemplare un cielo stellato che ha dell’incredibile; riflettere sull’immensità del
deserto che ti fa fare strani pensieri, con la convinzione che “Quando torneremo a casa rimpiangeremo questo
posto disgraziato, i campi minati, la sabbia, le buche, tutto”. E poi - sempre da parte di Rizzo – il ricordo della
moglie che compie gli anni, dei prati verdi dietro la sua casa, della prima neve che ormai sarà già arrivata;
l’ammirazione per la cultura di Serra che sa riconoscere i graffiti incisi sulla roccia, mentre lui sa soltanto
leggere e scrivere. I soldati si aiutano e si rincuorano reciprocamente; si commuovono quando qualcuno resta
ferito gravemente; danno pietosa sepoltura ai compagni morti. Verso la fine Rizzo arriva a privarsi anche
dell’ultima scatoletta di cibo che gli era rimasta per offrirla a Fiore e a Serra. E quando nel finale il tenente Fiore
non ce la fa più, decide di non abbandonarlo ed invita Serra ad andarsene da solo, con la moto. Serra giura
che tornerà a prenderli e loro fingono di credergli. Tutti sanno che sarà praticamente impossibile: ognuno va
incontro al proprio destino.
Le immagini finali all’interno del sacrario sono caratterizzate da ampi movimenti di macchina e da dissolvenze
incrociate che mettono in evidenza le migliaia di loculi, alcuni con il nome, altri con la semplice scritta “Ignoto”.
Serra, ormai anziano, è davanti alla tomba dei suoi amici. E’ significativo che venga ripreso di spalle, in modo che
non lo si possa riconoscere. Si capisce che è lui, ma potrebbe essere chiunque altro (elemento universalizzante).
Potrebbe essere anche il regista, che con questo film esprime la sua idea di fondo: rendere omaggio, con grande
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rispetto e profonda pietà, a quei soldati che, pur combattendo una guerra terribile e ingiusta, hanno compiuto il loro
dovere sino in fondo e hanno mantenuta intatta la loro dignità e la loro genuina umanità.
OLINTO BRUGNOLI
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