rivoluzione industriale - Blog di filosofiapertutti

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La rivoluzione industriale
La rivoluzione industriale è un processo di evoluzione economica che da un sistema agricolo-artigianalecommerciale porta ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine
azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i
combustibili fossili). Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima riguarda
prevalentemente il settore tessile-metallurgico e comporta l'introduzione della spoletta volante e della
macchina a vapore; il suo arco cronologico è solitamente compreso tra il 1760-1780 al 1830. La seconda
rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870-1880, con l'introduzione dell'elettricità,
dei prodotti chimici e del petrolio. Talvolta ci si riferisce agli effetti dell'introduzione massiccia
dell'elettronica e dell'informatica nell'industria come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire
dal 1970.
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Origine dell’espressione
L’espressione “Rivoluzione industriale” è stata probabilmente coniata per imitazione della formula
“Rivoluzione francese”; il primo ad usarla è stato l'economista francese Adolphe Blanqui e
successivamente fu impiegata anche da Marx nel Capitale. Fu però definitivamente consacrata nel linguaggio
storiografico solo nel 1884 da Arnold Toynbee con il suo celebre corso universitario intitolato Lezioni sulla
Rivoluzione industriale del 18° secolo in Inghilterra. Da quel momento l’espressione è entrata nel
linguaggio corrente per indicare i mutamenti che hanno subito, tra il 1770 e il 1850, dapprima l’economia
britannica, e poi quella di numerosi altri stati europei.
Le tappe fondamentali della storia umana
Periodi
Eventi
Attività fondamentali per la
sopravvivenza
500 000 (?) anni fa Comparsa dell’Homo sapiens Caccia e raccolta
(Paleolitico)
Diffusione dell’agricoltura
10 000 anni fa
Produzione del cibo mediante l’attività
(Neolitico)
agricola e l’allevamento degli animali
1780-1790
Rivoluzione industriale
Produzione meccanizzata di manufatti
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Aumento della popolazione e innovazione agricola
La popolazione inglese, lungo tutto il Settecento, continuò a crescere, con particolare rapidità nella seconda
metà del secolo, quando alla diminuzione della mortalità si associò un aumento della natalità. Ciò
rappresentò una sfida per il settore agricolo, chiamato a produrre le maggiori quantità necessarie al
sostentamento di una popolazione aumentata. Sfida che fu affrontata ricorrendo all’ampliamento della
superficie della terra coltivata, attraverso le bonifiche e l’introduzione di un moderno sistema di rotazione
che sostituiva il maggese (il campo lasciato a riposo) con piante da foraggio, così da poter alimentare un
numero molto più elevato di bovini, che fornirono sia carne che concime.
Sul piano dell’organizzazione della proprietà va segnalata la diffusione della pratica delle recinzioni
(enclosure) che pose fine al tradizionale sistema dei campi aperti (Nei campi aperti le terre di ciascun
agricoltore non solo non sono separate da siepi, ma le decisioni sopra le coltivazioni di ciascuna zona sono
prese in comune tra vicini, nel rispetto delle tradizioni. Nei campi chiusi vi sono differenze fisiche tra gli
appezzamenti e ciascun agricoltore è libero di coltivare il terreno nel modo che ritiene più opportuno).
In che modo la Rivoluzione agricola “aiutò” la Rivoluzione industriale? 1) l’aumento della produttività (della
resa) ha permesso di nutrire una popolazione in forte crescita; 2) l’aumento del reddito ha permesso di
uscire dalla produzione destinata all’autoconsumo e di produrre anche per il mercato; 3) l’aumento della
domanda ha comportato anche un incremento della richiesta di manufatti (prodotti dall’industria); 4) dalla
campagna provengono molti dei capitali e degli imprenditori che investirono nelle nuove imprese.
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Il grande commercio internazionale
Tra le condizioni che favorirono il decollo industriale vi è il fatto che Londra, nel corso del Settecento, era
divenuta il centro degli scambi internazionali e del commercio a lunga distanza (scalzando il primato di
Amsterdam), sfruttando un vastissimo sistema economico che si estendeva dall’India all’America.
Il punto di forza degli scambi inglesi nel Settecento era il cosiddetto commercio triangolare: i vascelli
partivano dai porti britannici carichi di merci inglesi (tessuti, utensili, ferro, armi, liquori…) che poi erano
vendute sulle coste africane, in cambio di schiavi neri. Questi venivano poi condotti fino in Giamaica e
scambiati con le tipiche mercanzie coloniali prodotte in America: zucchero, indaco (un colorante) e cotone
grezzo (a ciascun vertice del triangolo si realizza un profitto). Inoltre l’Inghilterra esportava direttamente
manufatti britannici nelle sue colonie in America (cui era vietato di possedere industrie) e importava prodotti
orientali dall’India, rivendendoli sul mercato europeo.
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Data
1733
1764-67
Le innovazioni nell’industria tessile
1768
Invenzione
Spoletta volante
Jenny (primo filatoio
meccanico)
Frame (filatoio meccanico)
1785
Mulo (filatoio meccanico)
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Novità introdotta nel ciclo produttivo
Notevole velocizzazione del processo di tessitura
Notevole velocizzazione del processo di filatura,
ma produzione di un filato molto fine
Notevole velocizzazione del processo di filatura,
ma produzione di un filato molto grezzo
Notevole velocizzazione del processo di filatura e
produzione di un filato uniforme, di qualità uguale
a quello indiano
La rivoluzione del cotone
Tra il 1816 e il 1848, l’industria del cotone aumento moltissimo la sua capacità produttiva e i tessuti inglesi, di
ottima qualità e a basso costo, venivano venduti in tutto il mondo (fino a poco tempo prima gli inglesi
rivendevano in Europa i tessuti indiani, ora vendono direttamente propri manufatti).
Lana = fibra animale
Cotone = fibra vegetale
Meno resistente alla lavorazione meccanica
Più resistente alla lavorazione meccanica
Tessuti più pesanti e costosi
Tessuti più leggeri, adatti a tutti i climi, più
indicati per la biancheria intima, meno costosi
Sistemi di lavorazione di più antica tradizione;
Prodotto più recente; minore resistenza alle
perso delle corporazioni; maggiore resistenza
innovazioni tecniche
alle innovazioni
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Vapore, ferro e carbone
Il grande sviluppo della produzione cotoniera fu possibile soprattutto dopo l’applicazione della macchina a
vapore ai processi produttivi. Tale macchina, il cui perfezionamento e applicazione ai trasporti e all’industria
sono dovuti a James Watt (tra il 1765 e il 1784), fu la vera protagonista della Rivoluzione industriale.
Il contributo della macchina di Watt fu determinante anche nel campo dell’industria metallurgica. All’inizio
del Settecento, il principale problema che gravava sulla produzione di ferro era quello energetico, in quanto,
per la fusione e la raffinazione del ferro, si faceva uso del carbone di legna. Ciò rendeva l’industria
siderurgica un’attività rigidamente legata alle regioni ricche di alberi e nomade, nel senso che, esaurite le
risorse lignee di una zona, l’industria era obbligata a trasferirsi in un altro territorio boschivo. Con
l’alimentazione di forni, magli e laminatoi attraverso la macchina a vapore, a partire dalla fine del secolo,
l’industria siderurgica riuscì a liberarsi dal suo nomadismo e poté trasformarsi in un’attività saldamente
radicata nelle principali regioni produttrici di carbone.
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La nascita della ferrovia
Ferro, carbone e vapore sono alla base della nascita della ferrovia. La strada ferrata nacque in seguito
alla necessità di trovare un sistema per portare il coke (carbone usato come combustibile) dalle miniere ai
porti. In Inghilterra meridionale si iniziò a stendere dei binari di ghisa, sui cui venivano fatti scorrere dei
carrelli carichi di carbone, trainati da cavalli. L’inventore della locomotiva a vapore, George Stephenson,
sperimentò nel 1825 i suoi primi prototipi. Nel 1829, la locomotiva venne perfezionata dal figlio Robert e
utilizzata nella linea Manchester-Liverpool, che va considerata la prima ferrovia.
L’industria della ferrovia richiedeva l’investimento di enormi quantità di capitali, versate quasi interamente
dai privati (grandi industriali del cotone, del ferro, ecc.). La costruzione della ferrovia offrì lavoro ad un
numero elevatissimo di operai.
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La fabbrica moderna
Nei secoli passati, i tessuti di lana o altre fibre erano prevalentemente prodotti in numerose botteghe o in
tante abitazioni contadine differenti. Il mercante-imprenditore forniva a numerose figure la materia prima, e
poi provvedeva a ritirare e a smerciare il prodotto finito. Nella maggior parte delle altre attività, invece,
l’artigiano gestiva personalmente l’intero processo che portava dalla materia prima (es. un pezzo di cuoio o una
barra di ferro) al prodotto finito (es. una sella o un falcetto per la mietitura).
L’introduzione dell’energia generata dalla combustione del carbone rivoluzionò questi metodi. Poiché era
una sola macchina a vapore che azionava, contemporaneamente, numerosi strumenti di lavoro, il
processo produttivo comportò una concentrazione in un unico luogo, la fabbrica moderna, il cui
contrassegno più visibile divenne la ciminiera, che disperdeva il fumo nell’atmosfera. La fabbrica comportò
una sempre più alta divisione del lavoro: l’artigiano venne sostituito da un esercito di operai scarsamente
o per nulla qualificati, a cui era richiesto di compiere operazioni molto semplici, che potevano essere
imparate da chiunque e ripetute all’infinito. Questa trasformazione industriale portò con sé drastiche
conseguenze per la vita sociale: 1) nelle fabbriche furono impiegati moltissime donne e bambini; 2) si
verificò uno spostamento della popolazione in direzione delle città; 3) i ritmi di lavoro e le condizioni di
vita delle prime generazioni di operai furono drammatici, con salari da fame, eccessiva quantità di ore di
lavoro giornaliere (fino a 13-14), ambienti rumorosi e malsani; 4) le nuove città industriali, sviluppatesi in
fretta e in modo caotico, erano prive dei più elementari servizi e nei quartieri operai regnavano la miseria, la
sporcizia, l’alcolismo e le malattie epidemiche.
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La rivolta luddista
Nel 1811-1812 si sviluppò in Inghilterra un moto di protesta chiamato luddismo (Il movimento prende il
nome da Ned Ludd, la cui esistenza è incerta, che nel 1779 spezzò un telaio in segno di protesta). Le macchine
erano considerate la causa della disoccupazione e dei bassi salari già da fine Settecento e la legge ne puniva
duramente la distruzione o il danneggiamento. Solo verso il 1811-1812 la protesta sfociò in un movimento che
vide protagonisti operai e lavoratori a domicilio. Questi, impoveriti dallo sviluppo industriale, decisero di
colpire impianti, macchine e prodotti. Per sfuggire ai rigori della legge che vietava ogni associazione tra
lavoratori, i luddisti dovettero agire in clandestinità, subendo condanne a morte e deportazioni. Oltre a
manifestare contro i nuovi metodi di produzione e a favore di precedenti forme di produzione legate al lavoro a
domicilio, i luddisti posero i problemi che sarebbero stati fatti propri in seguito dalle organizzazioni
sindacali, come gli orari e le condizioni di lavoro, i minimi salari, il lavoro minorile e femminile.
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Le prime proteste operaie
Alla fine del Settecento, tutti i governi europei erano convinti della necessità di impedire agli operai di
organizzarsi in associazioni. L’episodio più grave di repressione si ebbe a Saint Peter’s Fields (Manchester)
nel 1819, quando venne usata la cavalleria per disperdere un grande raduno di massa di cinquantamila
persone, provocando undici morti e cinquecento feriti. Questa strage fu approvata da tutta la classe politica
inglese e poiché anche il duca di Wellington, il vincitore della battaglia di Waterloo, espresse pubblicamente il
suo sostegno, passò sarcasticamente alla storia come “massacro di Peterloo”.
Solo nel 1825 agli operai fu riconosciuto il diritto di associazione per affrontare le questioni relative al
salario e all’orario di lavoro; anche se lo sciopero era ancora illegale, il nuovo provvedimento permise la
nascita dei primi sindacati moderni, le cosiddette trade unions.
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Le prime leggi di tutela dei lavoratori
Nel 1832, il Parlamento approvò il Reform Act, che permise ad un numero più elevato di
cittadini inglesi di esercitare il diritto di voto. Gli operai però non avevano un reddito tale da
poter raggiungere la soglia minima di censo per diventare elettori. Nel 1833 fu introdotta la
Factory Act, che stabiliva forme di tutela degli operai sul luogo di lavoro (fra cui il limite di
otto ore per i ragazzi al di sotto dei 13 anni e di dodici per quelli al di sotto dei 18).
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Il pensiero economico di Adam Smith
L’elemento più significativo della cultura britannica fra Settecento e Ottocento fu la nascita
della moderna scienza economica, il cui fondatore può essere considerato Adam Smith (17231790). La sua opera più importante si intitola Ricerca sulla natura e sulle cause della ricchezza
delle nazioni. Smith ha una concezione tipicamente illuminista secondo la quale l’umanità vive
in un cosmo retto da leggi comprensibili e fondamentalmente orientate al benessere
dell’uomo. Da qui Smith arriva a rivalutare l’egoismo, o meglio la ricerca, da parte di ogni
singolo individuo, dell’interesse privato e personale. Lungi dall’essere un grave peccato,
l’istinto al piacere e al guadagno permetteva all’intero meccanismo della natura di
funzionare e consentiva a tutti di raggiungere la felicità, come se esistesse una sorta di mano
invisibile che permette all’egoismo dei singoli di trasformarsi in strumento di felicità del
prossimo. Trattandosi di una specie di ordine provvidenziale, lo stato non deve intervenire in
esso, ovvero bisogna abbandonare quei provvedimenti mercantilistici che nella Francia di
Colbert e di Luigi XIV avevano trovato la loro massima e sistematica diffusione. Lo stato deve
astenersi dall’interferire nella dinamica economica, che dev’essere governata solo dalla
legge della domanda e dell’offerta: saranno esse a determinare il costo delle singole merci, che
aumenterà (quando la domanda è alta, ma l’offerta scarsa) o diminuirà (quando l’offerta è alta,
ma la richiesta debole). Questa concezione rappresenta il primo pilastro del liberismo, la
dottrina economica di cui Smith può essere considerato il fondatore; essa si accordava
pienamente con l’orientamento politico del liberalismo, fondato da Locke, che tra i diritti
dell’uomo attribuiva un ruolo centrale alla proprietà privata, la quale a sua volta trovava nel
lavoro del singolo individuo la propria giustificazione e legittimità. Il concetto di libero
scambio, secondo pilastro del liberismo, è un’applicazione pratica del principio base secondo
cui lo stato non deve intervenire nel campo dell’economia. Libero scambio significa rinuncia,
da parte dei governi, ad ostacolare con dazi doganali, o con qualsiasi altra misura finalizzata a
proteggere l’economia del proprio paese, la libera circolazione delle merci e dei prodotti. Il
protezionismo secondo Smith è uno dei più gravi ostacoli allo sviluppo di un grande ordine
economico internazionale, basato sulla divisione del lavoro, cioè sullo svolgimento, nei vari
paesi, di attività complementari, che permettano lo scambio delle merci
Mercantilismo
Liberismo
Sistematico intervento dello stato nella vita
Rifiuto di ogni interferenza dell’azione dello
economica
stato all’interno della vita economica
Protezionismo: introduzione di alte tariffe
Libero scambio: abbattimento di tutti gli
doganali finalizzate a proteggere la produzione
ostacoli che impediscano la libera circolazione
nazionale dalla concorrenza straniera
delle merci a livello internazionale
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Il pensiero di Thomas R. Malthus
Alcune delle grandi intuizioni di Smith vennero riprese e sviluppate da Malthus (1766-1834),
che si occupò di demografia e economia politica. Secondo Malthus la popolazione aumentava
secondo un ritmo più rapido di quello delle risorse alimentari ed era arrivato a sostenere la
necessità che i poveri dovessero limitare la loro capacità riproduttiva. Per questo sosteneva che
lo stato non dovesse farsi carico dei poveri. Inoltre Malthus intuì che data la drammatica povertà
degli operai e la perdita del loro potere d’acquisto, l’economia britannica avrebbe finito per
produrre molti più beni di quelli che la popolazione avrebbe potuto comprare. Egli fu il
primo a intuire che la moderna economia industriale è soggetta a crisi di sovrapproduzione (la
più drammatica sarà quella del 1929, che fu risolta abbandonando la concezione tipica del
liberismo per cui lo stato non deve intervenire nell’economia né assistere i poveri. Negli USA
per esempio con il New Deal lo stato divenne il datore di lavoro di milioni di disoccupati,
permettendo loro di avere un salario e divenire di nuovo consumatori, fu così lo stato a far
ripartire il sistema in un drammatico momento in cui l’ordine economico e la mano invisibile
sembravano essere scomparsi).