Dispense - e-learning G@SL - Supporto all`attività didattica dei docenti
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Dispense - e-learning G@SL - Supporto all`attività didattica dei docenti
HOW TO PROVE IT A Structured Approach Second Edition Una traduzione in italiano non ufficiale e probabilmente piena di errori Daniel J. Velleman Department of Mathematics and Computer Science Amherst College 14 dicembre 2016 Indice Prefazione alla Seconda Edizione ii Prefazione iii Introduzione 1 1 Logica Enunciativa 1.1 Ragionamento Deduttivo e Connettivi Logici 1.2 Tabelle di Verità . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Variabili ed Insiemi . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Operazioni su Insiemi . . . . . . . . . . . . . 1.5 I connettivi Condizionale e Bicondizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 9 15 26 34 43 2 Logica dei quantificatori 55 2.1 Quantificatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 2.2 Equivalenze che Coinvolgono i Quantificatori . . . . . . . . . . . 64 2.3 Altre Operazioni sugli Insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 3 Dimostrazioni 3.1 Strategie di Dimostrazione . . . . . . . . . . . . . 3.2 Dimostrazioni con Negazioni e Implicazioni . . . 3.3 Dimostrazioni con i Quantificatori . . . . . . . . 3.4 Dimostrazioni con Congiunzioni e Bicondizionali 3.5 Dimostrazioni con Disgiunzioni . . . . . . . . . . 3.6 Dimostrazioni di Esistenza e Unicità . . . . . . . 3.7 Altri Esempi di Dimostrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 83 93 105 121 131 141 149 A Soluzioni ad Esercizi Scelti 157 B Proof Designer 170 Strategie di Dimostrazione 172 i Prefazione alla Seconda Edizione Mi piacerebbe ringraziare tutti quelli che mi hanno inviato commenti alla prima edizione. Questi commenti sono alla base di un gran numero di piccoli cambiamenti in tutto il testo. Tuttavia, la differenza più grande tra la prima edizione e la seconda è l’aggiunta di più di 200 nuovi esercizi. C’è anche un’appendice contenente le soluzioni di alcuni esercizi scelti. Gli esercizi per i quali vengono fornite le soluzioni sono marcati con un asterisco. Nella maggior parte dei casi, la soluzione è completa; in alcuni casi, è solo una bozza, o un suggerimento. Alcuni esercizi dei Capitoli 3 e 4 sono marcati con il simbolo PD. Ciò indica che questi esercizi possono essere risolti usando Proof Designer. Proof Designer è un programma per computer che aiuta l’utente a scrivere dimostrazioni nella teoria degli insiemi elementare, usando i metodi discussi in questo libro. Ulteriori informazioni su Proof Designer posso essere trovati in appendice, e sul sito web di Proof Designer: http://www.cs.amherst.edu/~djv/pd/pd.html. ii Prefazione Gli studenti di matematica e informatica spesso incontrano problemi la prima volta che viene loro chiesto di lavorare seriamente con dimostrazioni matematiche, perché non conoscono le “regole del gioco”. Che cosa ci si aspetta da voi se vi viene chiesto di dimostrare qualcosa? Cosa distingue una dimostrazione corretta da una sbagliata? Questo libro intende aiutare gli studenti ad apprendere le risposte a queste domande precisando i principi di base relativi alla costruzione di dimostrazioni. Molti studenti hanno il loro prima con le dimostrazioni tipicamente all’interno di un corso di geometria delle scuole superiori. Sfortunatamente, agli studenti di questi corsi viene di solito insegnato a pensare ad una dimostrazione come una lista numerata di affermazioni e spiegazioni, una visione del concetto di dimostrazione troppo restrittiva per essere veramente utile. C’è un parallelo da fare con l’informatica che può essere istruttivo. I primi linguaggi di programmazione incoraggiavano una simile visione restrittiva dei programmi per calcolatore, come liste numerate di istruzioni. Ora gli informatici si sono allontanati da questi linguaggi e insegnano la programmazione usando linguaggi che incoraggiano un approccio chiamato “programmazione strutturata”. La discussione delle dimostrazioni in questo libro è ispirata dal credere che molte delle considerazioni che hanno portato gli informatici ad abbracciare un approccio strutturato alla programmazione si applicano anche alla scrittura di dimostrazioni. Potreste dire che questo libro insegna la “dimostrazione strutturata”. Nella programmazione strutturata, un programma è costruito, non elencando istruzioni una dopo l’alta, ma combinando certe strutture di base come i costrutti if-else e i cicli do-while del linguaggio di programmazione Java. Queste strutture vengono combinate, non solo elencandole una dopo l’altra, ma anche annidandole una dentro l’altra. Per esempio, un programma costruito annidando un costrutto if-else all’interno di un ciclo do-while avrebbe questo aspetto: do if [condizione] [Qui va un elenco di istruzioni.] else [Qui va un elenco alternativo di istruzioni.] while [condizione] iii PREFAZIONE iv L’indentazione in questo schema di programma non è assolutamente necessario, ma è un metodo conveniente spesso usato in informatica per visualizzare la struttura sottostante del programma. Anche le dimostrazioni matematiche sono costruite combinando certe strutture di base. Per esempio, una dimostrazione della forma “se P allora Q” spesso usa una struttura che potremmo chiamare “suppose-until”: noi supponiamo che P sia vero finché siamo in grado di raggiungere la conclusione che Q è vero, al qual punto ritiriamo la supposizione e concludiamo che l’affermazione “se P allora Q” è vera. Un altro esempio è la struttura “per un x arbitrario dimostra”: per dimostrare una affermazione della forma “per tutti gli x, P (x)” noi dichiariamo che x è un oggetto arbitrario e quindi dimostriamo P (x). Una volta che abbiamo raggiunto la conclusione che P (x) è vero, ritiriamo la dichiarazione che x è arbitrario e concludiamo che l’affermazione “per tutti gli x, P (x)” è vera. Inoltre, per dimostrare affermazioni più complesse, queste strutture possono essere spesso combinate, non soltanto elencandole una dopo l’altra, ma anche annidandole una dentro l’altra. Per esempio, per dimostrare una affermazione della forma “per tutti gli x, se P (x) allora Q(x)” probabilmente annideremmo una struttura “suppose-until” dentro una struttura “per un x arbitrario dimostra”, ottenendo una dimostrazione di questa forma Forma nella dimostrazione finale: Sia x arbitrario. Supponiamo che P (x) sia vero. [Qui va una dimostrazione di Q(x).] Cosı̀, se P (x) allora Q(x). Cosı̀, per tutti gli x, se P (x) allora Q(x). Come prima, abbiamo usato l’indentazione per rendere più evidente la struttura sottostante la dimostrazione. Naturalmente i matematici generalmente non scrivono le loro dimostrazioni in questa forma indentata. Il nostro obiettivo in questo libro è insegnare agli studenti a scrivere dimostrazioni in italiano ordinario, proprio come fanno i matematici, e non in forma indentata. Nonostante ciò, il nostro approccio è basato sulla convinzione che perché gli studenti possano avere successo nello scrivere le dimostrazioni, devono capire la struttura sottostante queste dimostrazioni. Devono imparare, per esempio, che la frase “Sia x arbitrario” e “Supponiamo P ” non sono passi isolati nella dimostrazione, ma sono usati per introdurre le strutture “per un x arbitrario dimostra” e “suppose-until”. Non è raro per gli studenti principianti usare queste frasi in altri modi inappropriati. Tali errori sono analoghi ad un errore di programmazione in cui usiamo un “do” senza un corrispondente “while”. Notare che nei nostri esempi, la scelta delle strutture di dimostrazione è legata alla forma logica dell’affermazione che stiamo dimostrando. Per questa ragione, il libro inizia con la logica elementare per familiarizzare gli studenti con le varie forme che le affermazioni matematiche possono avere. Il Capitolo 1 discute i connettivi logici, e i quantificatori sono introdotti nel Capitolo 2. Queste PREFAZIONE v capitolo presentano anche la teoria elementare degli insiemi, perché è un argomento importante che sarà usato nel resto del libro (e in tutta la matematica), e anche perché serve per illustrare molti dei punti di logica discussi in questi capitoli. Il Capitolo 3 copre le tecniche di dimostrazione strutturata in maniera sistematica, attraversando le varie forme che le affermazioni matematiche possono avere e discutendo le strutture di dimostrazione appropriate per ogni forma. Gli esempi di dimostrazioni in questo capitolo sono per la maggior parte scelti non per il loro contenuto matematico, ma per la struttura di dimostrazione che illustrano. Questo è vero specialmente all’inizio del capitolo, quando sono state discusse solo poche tecniche dimostrative, e pertanto molte delle dimostrazioni in questa parte del capitolo sono piuttosto banali. Mano a mano che si va avanti nel capitolo le dimostrazioni divengono più sofisticate e più interessanti dal punto di vista matematico. I Capitoli 4 e 5, sulle relazioni e le funzioni, servono a due scopi. Prima di tutto, forniscono la materia su cui gli studenti possono praticare le tecniche di scrittura di dimostrazioni del Capitolo 3. E secondo, introducono gli studenti a dei concetti fondamentali usati in tutta la matematica. Il Capitolo 6 è dedicato a un metodo di dimostrazione che è molto importante sia in matematiche che in informatica: l’induzione matematica. La presentazione si basa sulle tecniche del Capitolo 3, che gli studenti a questo punto dovrebbero padroneggiare. Infine, nel Capitolo 7 molte idee provenienti dal resto del libro vengono messe assieme per dimostrare alcuni dei teoremi più difficili e interessanti del libro. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto le precedenti bozze del manoscritto e mi hanno fornito molti suggerimenti utili per migliorarlo, in particolare Lauren Cowles alla Cambridge University Press, il mio collega prof. Duane Bailey e la sua classe di Matematica Discreta, che ha provato le prime versioni di alcuni capitoli, e infine mia moglie, Shelley, senza il cui costante incoraggiamento questo libro non sarebbe mai stato scritto. Introduzione Cosa è la matematica? La matematica delle scuole superiori si occupa principalmente di risolvere equazioni e di calcolare soluzioni a problemi di tipo numerico. La matematica a livello universitario ha a che fare con una più ampia varietà di problemi, che coinvolgono non soltanto numeri, ma anche insiemi, funzioni, e altri oggetti matematici. Ciò che lega tutto assieme è l’uso del ragionamento deduttivo per trovare risposte ai problemi. Quando risolvete un’equazione nella variabile x, state usando le informazioni date nell’equazione per dedurre quale dev’essere il valore di x. Allo stesso modo, quando i matematici risolvono altri tipi di problemi, giustificano sempre le loro conclusioni col ragionamento deduttivo. Il ragionamento deduttivo in matematica è generalmente presentato sotto forma di una dimostrazione. Uno degli scopi principali di questo libro è aiutare a sviluppare le vostre abilità di ragionamento matematico in generale, e in particolare la vostra capacità di leggere e scrivere dimostrazioni. Nei capitoli più avanti studieremo più in dettaglio come costruire le dimostrazioni, ma per il momento diamo un’occhiata ad alcuni semplici esempi di dimostrazioni. Non vi preoccupate se avete problemi a capire queste dimostrazioni. Il loro scopo è solo quello di dare una assaggio di cosa sia una dimostrazione in matematica. In qualche caso sarete in grado di seguire la maggior parte dei passi della dimostrazione, ma potreste essere perplessi sul perché questi passi siano combinati in un determinato modo, o sul come qualcuno possa avere “inventato” la dimostrazione. Se siete in questa situazione, vi chiediamo di essere pazienti. A molte di queste domande daranno risposa i capitoli successivi del libro, in particolare il Capitolo 3. Tutti gli esempi di dimostrazioni in questa introduzione avranno a che fare con i numeri primi. Ricordiamo che un numero intero maggiore di 1 si dice primo se non può essere scritto come prodotto di due interi più piccoli di lui. Per esempio, 6 non è primo perché 6 = 2 · 3, ma 7 è primo.1 Prima di poter dare un esempio di dimostrazione che coinvolge i numeri primi, abbiamo bisogno di trovare qualcosa da dimostrare – qualche fatto sui numeri primi la cui correttezza può essere verificata con una dimostrazione. Talvolta in matematica si possono trovare degli schemi interessanti semplicemente provando a fare dei calcoli su un po’ di numeri. Per esempio, considerate la 1 In alternativa, si può definire numero primo un un numero intero maggiore di 1 che è divisibile solo per 1 e per se stesso. Le due definizioni sono del tutto equivalenti. 1 PREFAZIONE 2 n 2 3 4 5 6 7 8 9 10 n è sı̀ sı̀ no: sı̀ no: sı̀ no: no: no: primo? 4=2·2 6=2·3 8=2·4 9=3·3 10 = 2 · 5 2n − 1 3 7 15 31 63 127 255 511 1023 2n − 1 è primo? sı̀ sı̀ no: 15 = 3 · 5 sı̀ no: 63 = 7 · 8 sı̀ no: 255 = 15 · 17 no: 511 = 7 · 73 no: 1023 = 31 · 33 Figura 1 tabella in Figura 1. Per ogni intero n tra 2 e 10 la tabella mostra se è vero che n e 2n − 1 sono primi. Sorprendentemente, uno schema è evidente: sembra che 2n − 1 sia primo precisamente in quei casi in cui n è primo! Questo schema continuerà ad essere valido per tutti i possibili valori di n? È ragionevole supporre che continuerà, ma questa è, appunto, solo una supposizione. I matematici usano una parola per queste supposizioni: congettura. Pertanto, abbiamo le seguenti due congetture. Congettura 1 Si supponga che n sia un numero intero più grande di 1 e che n sia primo. Allora 2n − 1 è primo. Congettura 2 Si supponga che n sia un numero intero più grande di 1 e che n non sia primo. Allora 2n − 1 non è primo. Sfortunatamente, se continuiamo la tabella di Figura 1, scopriamo immediatamente che la Congettura 1 non è corretta. È facile controllare che 11 è primo, ma 211 − 1 = 2047 = 23 · 89 non è primo. Pertanto, 11 è un controesempio alla Congettura 1. L’esistenza di anche un singolo controesempio stabilisce che la congettura è sbagliata, ma è interessante notare che in questo caso ci sono molti controesempi: sia 23 che 29 sono primi, ma 223 − 1 = 8.388.607 = 47 · 178.481 e 229 − 1 = 536.870.911 = 2089 · 256.999. Tuttavia, nessun numero fino a 30 è un controesempio per la Congettura 2. Pensate che la Congettura 2 sia corretta? Avendo trovato un controesempio alla Congettura 1, sappiamo che questa congettura è sbagliata, ma il fatto che non siamo riusciti a trovare un controesempio per la Congettura 2 non mostra che quest’ultima sia corretta. Magari esistono dei controesempi, ma il più piccolo è più grande di 30. Continuare a provare per valori sempre crescenti di n può consentirci di scoprire un controesempio, o, se non lo troviamo, accrescere la nostra fiducia sulla validità della congettura. Ma non possiamo mai essere sicuri che la congettura sia vera se ci limitiamo a provare degli esempi. Non importa quanti valori di n controlliamo, c’è sempre la possibilità che il successivo sia il controesempio tanto desiderato. L’unica maniera con cui possiamo essere sicuri che la Congettura 2 sia corretta è dimostrarla. Effettivamente, la Congettura 2 è corretta. Questa è la dimostrazione: PREFAZIONE 3 Dimostrazione della Congettura 2. Poiché n non è primo, ci sono due numeri interi positivi a e b tali che a < n, b < n ed n = ab. Sia x = 2b − 1 ed y = 1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b . Allora xy = (2b − 1) · (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) = 2b · (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) − (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) = (2b + 22b + 23b + · · · 2ab ) − (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) = 2ab − 1 = 2n − 1. Poiché b < n, possiamo concludere che x = 2b − 1 < 2n − 1. Inoltre, poiché ab = n > a, segue che b > 1. Pertanto x = 2b − 1 > 21 − 1 = 1 e quindi 2n − 1 = xy > y. Abbiamo cosı̀ verificato che 2n − 1 può essere scritto come prodotto di due interi x e y, entrambi più piccoli di 2n − 1. Questo vuol dire, secondo la nostra definizione, che 2n − 1 non è primo. Ora che la congettura è stata dimostrata, possiamo chiamarla teorema. Non preoccupatevi se trovate che la dimostrazione sia misteriosa. Ci ritorneremo alla fine del Capitolo 3 per analizzare come è stata costruita. Per il momento, il punto importante da capire è che se n è un intero più grande di 1 che può essere scritto come prodotto di due interi positivi più piccoli, chiamati a e b, allora la dimostrazione dà un metodo (sebbene un po’ misterioso) di scrivere 2n − 1 come prodotto di due interi più piccoli x ed y. Pertanto, se n non è primo, 2n − 1 non può essere primo. Per esempio, supponiamo n = 12, cosı̀ che 2n − 1 = 4095. Poiché 12 = 3 · 4, possiamo prendere a = 3 e b = 4 nella dimostrazione. A questo punto, in accordo alla formula per x e y data nella dimostrazione, avremo x = 2b − 1 = 24 − 1 = 15 e y = 1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b = 1 + 24 + 28 = 273. Esattamente come la dimostrazione aveva predetto, abbiamo xy = 15 · 273 = 4095 = 2n − 1. Naturalmente ci sono altri modi di fattorizzare 12 nel prodotto di due interi più piccoli, e questi portano ad altri modi di fattorizzare 4095. Per esempio, poiché 12 = 2 · 6 potremmo usare i valori a = 2 e b = 6. Se si prova a calcolare i valori corrispondenti di x e y, si scopre che comunque il loro prodotto è 4095. Sebbene sappiamo già che la Congettura 1 è errata, ci sono comunque varie domande interessanti che ci possiamo porre. Se continuiamo a provare con nuovi numeri primi n, continueremo a trovare controesempi alla Congettura 1, ovvero esempi per i quali 2n − 1 non è primo? Continueremo a trovare esempi in cui 2n − 1 è primo? Se ci fossero solo un numero finito di primi, si potrebbe rispondere a queste domande semplicemente controllando 2n − 1 per tutti i numeri primi n. Tuttavia, i numeri primi sono infiniti. Euclide (circa nel 350 A.C.) ci ha dato una dimostrazione di questo fatto nel Libro IX degli Elementi. La sua dimostrazione è una delle più famose di tutta la matematica. Teorema 3 Ci sono infiniti numeri primi. Dimostrazione. Supponiamo ci siano solo un numero finito di numeri primi. Sia p1 , p2 , . . . , pn la lista di tutti i numeri primi. Sia m = p1 p2 · · · pm + 1. Notiamo PREFAZIONE 4 che m non è divisibile per p1 , poiché dividendo m per p1 otteniamo il quoziente p2 · · · pm e il resto di 1. Allo stesso modo, m non è divisibile per p2 , p3 , . . . , pn . Usiamo ora il fatto che ogni intero più grande di 1 o è primo oppure può essere scritto come prodotto di numeri primi. (Vedremo una prova di questo fatto nel Capitolo 6.) Chiaramente m è maggiore di 1, pertanto m o è primo oppure è prodotto di primi. Supponiamo per adesso che m sia primo. Notare che m è più grande di tutti i numeri della lista p1 , p2 , . . . , pn , pertanto abbiamo trovato un primo che non è presente in questa lista. Ma questo contraddice il fatto che questa fosse la lista di tutti i numeri primi, per cui evidentemente m non può essere primo. Ora supponiamo che m sia prodotto di primi. Sia q uno dei primi in questo prodotto, e quindi m è divisibile per q. Ma abbiamo già visto che m non è divisibile da nessuno dei numeri nella lista p1 , p2 , . . . , pn , e siccome q è un primo e p1 , p2 , . . . , pn è la lista di tutti i numeri primi, questa è di nuovo una contraddizione. Allora m non può essere neanche un prodotto di primi. Quindi m non può essere né primo né prodotto di primi. Questo è assurdo, e l’unica spiegazione possibile è che abbiamo fatto ad un certo punto della dimostrazione una ipotesi che si è rivelata errata. L’unica ipotesi fatta nella dimostrazione è quella iniziale che c’è un numero finito di primi. Dunque questa supposizione è falsa, e i numeri primi sono infiniti. Ancora un volta, non dovreste preoccuparvi se alcuni aspetti della dimostrazione sembrano misteriosi. Dopo il Capitolo 3 sarete pronti a capire la prova nel dettaglio. Ritorneremo dopo su questa dimostrazione e analizzeremo la sua struttura. Abbiamo visto che se n non è primo, allora 2n − 1 non può essere primo. Ma se n è primo, allora 2n − 1 può essere primo oppure non primo. Poiché ci sono infiniti numeri primi, ci sono un numero infinito di numeri della forma 2n − 1 con n primo che, per quanto ne sappiamo, potrebbero essere primi. Ma quanti di questi sono effettivamente primi? I numeri primi della forma 2n − 1 sono chiamati primi di Mersenne, dal nome di Padre Marin Mersenne (1588–1647), un prete e studioso francese che si occupò di numeri primi. Sebbene siano stati trovati molti primi di Mersenne, non è tutt’ora noto se ce ne siano un numero infinito oppure no. Molti dei numeri primi più grandi ad oggi noti sono proprio primi di Mersenne. Nel momento in cui scrivo (Gennaio 2016), il più grande numero primo noto è il primo di Mersenne 274.207.281 − 1, un numero con 22.338.618 cifre. I primi di Mersenne sono collegati ai numeri perfetti, il tema di un altro famoso problema irrisolto della matematica. Un numero positivo n si dice perfetto se n è uguale alla somma dei suoi divisori positivi propri, ovvero dei numeri interi positivi più piccoli di n che dividono n.2 Per esempio, gli unici interi positivi propri che dividono 6 sono 1, 2, 3 e 6. Poiché 1 + 2 + 3 = 6, il numero 6 è perfetto. Il successivo numero perfetto è 28. (Dovreste controllare da voi che 28 è perfetto trovando tutti i divisori positivi propri di 28 e sommandoli.) 2 Data una coppia di interi m ed n, si dice che m divide n se n è divisibile per m; in altre parole, se c’è un intero q tale che n = qm PREFAZIONE 5 Euclide ha dimostrato che se 2n − 1 è primo, allora 2n−1 (2n − 1) è perfetto. Pertanto, ogni primo di Mersenne da origine a un numero perfetto. Inoltre, circa 2000 anni dopo Euclide, il matematico svizzero Leonhard Euler (1707–1783), il matematico più prolifico della storia, ha dimostrato che tutti i numeri perfetti pari si originano in questo modo (Per esempio, notate che 6 = 21 (22 − 1) e 28 = 22 (23 − 1).) Poiché non è noto se ci sono infiniti primi di Mersenne, non è neanche noto se ci sono infiniti numeri perfetti pari. Non si sa neanche se esistono numeri perfetti dispari: non se ne conosce neanche uno, ma nessuno ha mai dimostrato che non esistono. Sebbene ci siano un numero infinito di primi, questi diventano più rari mano a mano che ci spostiamo su numeri sempre più grandi. Per esempio, ci sono 25 primi tra 1 e 100, 16 tra 1000 e 1100, e soltanto sei primi tra 1.000.000 e 1.000.100. Come ultimo esempio introduttivo di dimostrazione, mostriamo che esistono sequenze lunghe a piacere di numeri interi senza nessun primo. In questa dimostrazione usiamo la seguente terminologia: per qualunque numero positivo n, chiamiamo fattoriale di n e denotiamo con n! il prodotto di tutti gli interi da 1 fino ad n. In altri termini, n! = 1 · 2 · 3 · · · n. Come per le nostre prove precedenti, torneremo su questa dimostrazione nel Capitolo 3 per analizzarne la struttura. Teorema 4 Per ogni intero positivo n, esiste una sequenza di n interi positivi consecutivi che non contiene primi. Dimostrazione. Dato n intero positivo, sia x = (n + 1)! + 2. Mostriamo che nessuno dei numeri x, x + 1, x + 2, . . . , x + (n − 1) è primo. Poiché questa è una sequenza di n numeri consecutivi, ciò conduce direttamente alla prova del teorema. Per vedere che x non è primo, notiamo che x = 1 · 2 · 3 · 4 · · · (n + 1) + 2 = 2 · (1 · 3 · 4 · 4 · · · (n + 1) + 1). Quindi x può essere scritto come prodotto di due numeri più piccoli, ovvero x non è primo. Allo stesso modo, abbiamo x + 1 = 1 · 2 · 3 · 4 · · · (n + 1) + 3 = 3 · (1 · 2 · 4 · 4 · · · (n + 1) + 1). per cui neanche x + 1 è primo. In generale, consideriamo il numero x + i, dove 0 ≤ i ≤ n − 1. Abbiamo: x + i = 1 · 2 · 3 · 4 · · · (n + 1) + (i + 2) = (i + 2) · (1 · 2 · 3 · · · (i + 1) · (i + 3) · · · (n + 1) + 1). per cui x + i non è primo. Il Teorema 4 mostra che ci sono a volte lunghe sequenze di numeri tra un primo e il successivo. Ma i primi si trovano talvolta vicini tra di loro. Poiché 2 PREFAZIONE 6 è l’unico primo pari, l’unica coppia di numeri primi consecutivi è data da 2 e 3. Ma ci sono molte coppie di primi che differiscono solo di due, per esempio, 5 e 7, 29 e 31, 7949 e 7951. Tali coppie di primi si chiamano primi gemelli. Non si sa se i primi gemelli siano finiti o infiniti. Appendice: dimostrazioni per assurdo La dimostrazione del Teorema 3 usa una tecnica abbastanza comune in matematica: per dimostrare che una certa proprietà P è falsa, si assume che P sia vera. Se raggiungiamo da questa una contraddizione insanabile, allora la nostra assunzione si è rivelata fallace e P deve essere falsa. Si parla spesso in questo caso di dimostrazione per assurdo. Nel caso del Teorema 3 la proprietà P in questione era il fatto che i numeri primi sono finiti. Assumendola vera, siamo arrivati ad una contraddizione e abbiamo concluso che i numeri primi sono infiniti. Vediamo un esempio di un’altra dimostrazione di questo tipo. Ricordiamo che un numero reale si dice irrazionale se non è razionale, ovvero se non può essere scritto come frazione. Dimostriamo allora quanto segue: √ Teorema 5 Il numero 2 è irrazionale. √ Dimostrazione. Assumiamo che 2 sia razionale, ovvero esistono due interi po√ sitivi p e q tali che 2 = pq . Ovviamente q è diverso da 0. Elevando al quadrato 2 ambo i membri otteniamo 2 = pq2 e quindi 2q 2 = p2 . Adesso facciamo uso di una proprietà che non dimostriamo ma che dovreste conoscere, ovvero che ogni numero si può scomporre come prodotto di primi in maniera unica. Quindi q = q1 q2 · · · qM con q1 , q2 , . . . , qM primi e p = p1 p2 · · · pN sempre con p1 , p2 , . . . , pN primi. Ne segue che q 2 e p2 si scompongono in fattori primi come q 2 = q1 q2 · · · qM · q1 q2 · · · qM e p2 = p1 p2 · · · pN · p1 p2 · · · pN , mentre la scomposizione in fattori primi di 2q 2 è 2q1 q2 · · · qM · q1 q2 · · · qM . Siccome p2 = 2q 2 , le due scomposizioni in fattori primi di p2 e 2q 2 devo essere uguali. Questo vuol dire che se un certo primo x compare un certo numero di volte nella scomposizione di p2 , deve comparire lo stesso numero di volte nella scomposizione di q 2 . Consideriamo il numero primo 2. Non sappiamo quante volte compare nella scomposizione di p2 , ma sicuramente è un numero pari di volte, visto che ogni pi è ripetuto due volte. Il 2 compare un numero pari di volte anche nella scomposizione di q 2 , per lo stesso motivo, e quindi compare un numero dispari di volte nella scomposizione di 2q 2 . Dunque 2q 2 e p2 hanno scomposizioni in fattori primi diverse, e questa è una contraddizione. Ne segue che la nostra √ assunzione che 2 sia esprimibile come frazione è errata. Appendice: congetture e teoremi famosi La parte della matematica che ha a che fare con i numeri primi si chiama Teoria dei Numeri. La teoria dei numeri è molto affascinante perché piena di congetture PREFAZIONE 7 che, sebbene possano essere spiegate facilmente anche a bambini delle scuole elementari, non sono mai state dimostrate. Abbiamo visto qualcuna di queste congetture nei paragrafi precedenti: l’esistenza di infiniti primi di Mersenne, di infinite coppie di primi gemelli, etc. . . . Un’altra congettura molto famosa è questa: Congettura 6 (Congettura di Goldbach) Ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi (eventualmente uguali). Ad esempio 4 = 2 + 2, 6 = 3 + 3, 8 = 5 + 3 e cosı̀ via. Sebbene sia stato verificato che la congettura di Goldbach è vera fino a 4·1018 , essa rimane ancora non dimostrata. Un’altra congettura che è stata dimostrata solo di recente è nota come ultimo teorema di Fermat. Teorema 7 (Ultimo teorema di Fermat) Per ogni intero n > 2, non esistono interi positivi a, b, c tali che an + bn = cn . L’ipotesi n > 2 è essenziale. Infatti, per n = 1, basta prendere c = a + b e si ha ovviamente a1 + b1 = c1 . Il caso n = 2 ha a che fare col teorema di Pitagora, perché la proprietà c2 = a2 + b2 è quella che lega la lunghezza dell’ipotenusa (c) alla lunghezze dei due cateti (a e b) in un triangolo rettangolo. Se esistono a, b e c interi con c2 = a2 + b2 vuol dire che esistono triangoli rettangoli con tutti i lati interi e le triple a, b, c con questa proprietà si chiamano terne pitagoriche. Effettivamente, le terne pitagoriche esistono, ad esempio a = 3, b = 4, c = 5 è una di esse. In realtà, è noto dall’antichità che esistono infinite terne pitagoriche. Tuttavia, per n > 2, nessuno aveva mai trovato delle triple a, b, c con la proprietà an + bn = cn . Il matematico Pierre de Fermat, intorno al 1637, sui margini di un libro di matematica scrive che ha trovato una dimostrazione del fatto che non esiste nessuna tripla a, b, c con questa proprietà per nessun n > 2, ma che non ha lo spazio per scriverla lı̀, sul margine del libro. Da allora molti hanno provato a dimostrare questa congettura, ma una dimostrazione fu trovata solo nel 1993 da Andrew Wiles. La dimostrazione, che è lunga 130 pagine, è considerata al di là della comprensione della maggior parte dei matematici di oggi. Esercizi *1. (a) Fattorizzare 215 − 1 = 32767 nel prodotto di due interi positivi più piccoli. (b) Trovare un intero x tale che 1 < x < 232767 −1 e 232767 −1 è divisibile per x. 2. Fare delle congetture sui valori di n per i quali 3n − 1 è primo e sui valori di n per i quali 3n − 2n è primo. (Potete partire costruendo una tabella simile a quella in Figura 1.) *3. La dimostrazione del Teorema 3 ci da un modo per trovare un numero primo diverso da qualunque altro in una data lista di numeri primi. PREFAZIONE 8 (a) Usare questo metodo per trovare un primo diverso da 2, 3, 5 e 7. (b) Usare questo metodo per trovare un primo diverso da 2, 5 e 11. 4. Trovare cinque interi consecutivi che non sono primi. 5. Usare la tabella in Figura 1 e la discussione a pag. 5 per trovare due ulteriori esempi di numeri perfetti. 6. La sequence 3, 5, 7 è una lista di tre primi tale che ogni coppia di numeri adiacenti nella lista differisce per due. Ci sono altre “triplette” simili? Capitolo 1 Logica Enunciativa 1.1 Ragionamento Deduttivo e Connettivi Logici Come abbiamo visto nell’introduzione, le dimostrazioni giocano un ruolo importante nella matematica, e il ragionamento deduttivo è il loro fondamento. Pertanto, iniziamo il nostro studio delle dimostrazioni esaminando come funziona il ragionamento deduttivo. Esempio 1.1.1. Ecco tre esempi di ragionamento deduttivo: 1. Domani pioverà o nevicherà È troppo caldo per nevicare. Dunque pioverà. 2. Se oggi è domenica, allora non devo andare a lavoro. Oggi è domenica. Pertanto, non devo andare a lavoro. 3. Andrò a lavoro o domani oppure oggi. Oggi rimarrò a casa. Pertanto, andrò a lavoro domani. In ognuno dei tre casi, siamo arrivati ad una conclusione assumendo che altre affermazioni, chiamate premesse, fossero vere. Per esempio, le premesse nel ragionamento 3 sono le affermazioni “Andrò a lavoro o oggi oppure domani” e “Oggi rimarrò a casa”. La conclusione è “Andrò a lavoro domani”, e questa sembra essere forzata in qualche modo dalle premesse. Ma questa conclusione è veramente corretta? Dopo tutto, può darsi che oggi me ne stia a casa, e l’indomani mi svegli ammalato, finendo di nuovo per rimanere a casa. Se questo accadesse, la conclusione sarebbe sbagliata. Notare però che, in questo caso, la prima premessa, quella che dice che andrò a lavoro o oggi o domani, sarebbe falsa anch’essa! Sebbene non abbiamo garanzie che la conclusione sia vera, essa può essere falsa solo se almeno una delle premesse è pure falsa. Se entrambe le premesse sono vere, possiamo essere sicuri che la conclusione sarà anch’essa vera. In questo senso la conclusione è forzata dalle premesse, e questo è la maniera in cui si deve giudicare la correttezza di un 9 CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 10 ragionamento deduttivo. Diremo che un ragionamento è valido se è impossibile che le premesse siano vere ma la conclusione falsa. Tutti e tre i ragionamenti nel nostro esempio sono validi. Questo è un esempio di un ragionamento deduttivo non valido: O il maggiordomo è colpevole, oppure la cameriera è colpevole. O la cameriera è colpevole, oppure il cuoco è colpevole. Pertanto, o il maggiordomo è colpevole oppure il cuoco è colpevole. Il ragionamento non è valido perché la conclusione può essere falsa anche se le premesse sono entrambe vere. Questo è quello che accade, per esempio, se la cameriera è colpevole, ma il cuoco e il maggiordomo sono innocenti. Possiamo imparare qualcosa di ciò che rende un ragionamento valido confrontanto i tre ragionamenti dell’Esempio 1.1.1. A prima vista, sembra che i ragionamenti 2 e 3 siano i più simili, perché entrambi trattano dello stesso argomento: andare a lavoro. Ma in termini delle deduzioni usate, sono i ragionamenti 1 e 3 che sono più simili. Entrambi introducono due possibilità nella prima premessa, escludono la seconda possibilità con la seconda premessa, e concludono che la prima possibilità deve essere quella giusta. In altre parole, entrambi i ragionamenti hanno questa forma: P oppure Q. non Q. Pertanto, P . È questa forma, e non la materia trattata, che rende il ragionamento valido. Potete vedere che il ragionamento 1 ha questa forma pensando che la lettera P stia per “Domani pioverà” e la lettera Q stia per “Domani nevicherà”. Nel ragionamento 3, P sta per “Andrò a lavoro domani” e Q per “Andrò a lavoro oggi”. Rimpiazzare certe affermazioni nei due ragionamenti con le lettere, come abbiamo fatto sopra, ha due vantaggi. Prima di tutto, ci impedisce di distrarci con gli aspetti del ragionamento che non hanno a che fare con la sua validità. Non dovete essere esperti di previsioni del tempo o abitudini di lavoro per riconoscere la validità dei ragionamenti 1 e 3. Questo è possibile perché entrambi i ragionamenti hanno la forma mostrata prima, e potete dire che sono validi senza neanche sapere cosa sono P e Q. Se non ci credete, considerate il seguente ragionamento: O due buchi neri si sono scontrati, oppure il rivelatore di onde gravitazionali è rotto. Ho controllato il rivelatore di onde gravitazionali, e non è rotto. Pertanto, due buchi neri si sono scontrati. Se un fisico vi desse questa spiegazione del suo esperimento, potreste anche domandarvi perplessi cosa siano le onde gravitazionali, ma non avreste difficoltà a seguire la logica del suo ragionamento. Ancora più importante è però il fatto che la nostra analisi della forma assunta dai ragionamenti 1 e 3 rende evidente cosa è importante nel determinarne CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 11 la validità: solo le parole oppure e non. Nella maggior parte dei ragionamenti deduttivi, e anche nel ragionamento matematico, il significato di una manciata di parole ci da la chiave per comprendere ciò che rende un ragionamento valido oppure non valido. (Quali sono le parole importanti nel ragionamento 2 dell’Esempio 1.1.1?) I primi capitoli di questo libro sono dedicati a studiare queste parole e come sono usate nella scrittura e nel ragionamento matematico. In questo capitolo ci concentreremo sulle parole che sono usate per combinare affermazioni di base per formare affermazioni più complesse. Continueremo a usare le lettere al posto di affermazioni, ma solo per affermazioni non ambigue che possono essere o vere o false. Domande, esclamazioni e affermazioni vaghe non saranno ammesse. Sarà anche utile usare dei simboli, chiamati simboli connettivi, al posto di alcune delle parole usate per combinare le affermazioni. Ecco i primi tre connettivi e le parole che essi rimpiazzano: Simbolo ∨ ∧ ¬ Significato o / oppure e non Cosı̀, se P a Q stanno per due affermazioni, scriveremo P ∨ Q per l’affermazione “P oppure Q”, P ∧ Q per “P e Q” e ¬P per “non P ”, ovvero “P è falsa”. L’affermazione P ∨ Q iè chiamata la disgiunzione di P e Q, P ∧ Q è chiamata la congiunzione di P e Q , mentre ¬P è chiamata la negazione di P . Esempio 1.1.2. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: 1. O John è andato al negozio, o siamo rimasti senza uova 2. Joe sta per lasciare casa e non tornerà 3. O Bill è a lavoro e Jane no, oppure Jane è a lavoro e Bill no. Soluzioni. 1. Se P sta per “John è andato al negozio” e Q per “Siamo rimasti senza uova”, allora questa affermazione può essere rappresentata simbolicamente come P ∨ Q. 2. Se P sta per “Joe sta per lasciare casa” e Q per “Joe non tornerà”, possiamo rappresentare simbolicamente questa affermazione con P ∧ Q. Ma questa analisi trascura un aspetto importante dell’affermazione, perché non indica che Q è un’affermazione negativa. Possiamo ottenere un’analisi migliore indicando con R la frase “Joe tornerà” e scrivendo Q come ¬R. Rimpiazzando questo nella nostra analisi iniziale, otteniamo P ∧ ¬R. 3. Indichiamo con B la frase “Bill è a lavoro” e con J la frase “Jane è a lavoro”. Allora la prima metà dell’affermazione, “Bill è a lavoro e Jane no” può essere rappresentata come B ∧ ¬J. In maniera simile, la seconda metà è J ∧¬B. Per rappresentare l’intera affermazione, combiniamo queste due con un oppure, formandone la disgiunzione. La soluzione è dunque (B ∧ ¬J) ∨ (J ∧ ¬B). CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 12 Notare che nell’analizzare la terza affermazione dell’esercizio precedente, abbiamo aggiunto delle parentesi quando abbiamo formato la disgiunzione di B ∧ ¬J e J ∧ ¬B, per indicare in maniera non ambigua quali frasi stavamo combinando. Ciò è analogo a quello che si fa in algebra dove, per esempio, il prodotto di a + b e a − b sarebbe scritto come (a + b) · (a − b). Come in algebra, è conveniente anche in logica omettere qualche parentesi per far sı̀ che le nostre espressioni siano più corti e più semplici da leggere. Per far ciò, dobbiamo adottare alcune convenzioni su come leggere le espressioni, in modo che continuino ad essere non ambigue anche in mancanza di parentesi. Ad esempio, sappiamo tutti che l’espressione a · b + c si interpreta come (a · b) + c e non come a · (b + c). Nel nostro caso, conveniamo che il simbolo ¬ si applica solo all’affermazione che la segue immediatamente. Per esempio, ¬P ∧ Q vuol dire (¬P ) ∧ Q e non ¬(P ∧ Q). Vedremo in seguito altre convenzioni sull’uso delle parentesi. Esempio 1.1.3. Quale affermazioni in italiano sono rappresentate dalle seguenti espressioni? 1. (¬S ∧ L) ∨ S, dove S sta per “John è stupido” ed L sta per “John è pigro”. 2. ¬S ∧ (L ∨ S), dove S ed L hanno lo stesso significato di cui sopra. 3. ¬(S ∧ L) ∨ S, dove S ed L hanno sempre lo stesso significato. Soluzioni. 1. O John non è stupido ed è pigro, oppure è stupido. 2. John non è stupido, ed o è pigro oppure è stupido. Notare come il piazzamento di o . . . oppure cambia in accordo alla posizione delle parentesi. 3. O John non è contemporaneamente stupido e pigro, oppure è stupido. La parola contemporaneamente viene usata per distinguire le possibili posizioni delle parentesi. È importante tenere a mente che i simboli ∧, ∨ e ¬ non corrispondono a tutti gli usi delle parole e, o, non in italiano. Per esempio, il simbolo ∧ non può essere usato per rappresentare l’uso della parole e nella seguente frase “John e Bill sono amici”, perché in questa frase la parola e non è usata per combinare due affermazioni. I simboli ∧ e ∨ possono essere usati soltanto tra due affermazioni, per formare la congiunzioneo la disgiunzione, mentre il simbolo ¬ può essere usato solo prima di una affermazione per negarla. Questo significa anche che certe stringhe di lettere e simboli non hanno significato. Per esempio P ¬ ∧ Q, P ∧ ∨Q e P ¬Q sono tutte espressioni “sgrammaticate” nel linguaggio della logica. Espressimo corrette, come quelle degli Esempi 1.1.2 e 1.1.3 sono talvolta chiamte formule ben formate o anche semplicemente formule. Anche in questo caso può tornare utile l’analogia con l’algebra, nella quale i simboli +, −, · and ÷ possono essere usati tra due numeri, come operatori, mentre il simbolo − può anche essere usato prima d un numero, per negarlo. Questi sono gli unici modi in cui questi simboli possono essere usati in algebra, per cui una espressione come x − ÷y è priva di senso. Talvolta, parole diverse da e, o e non sono usate per esprimere il significato rappresentato da ∧, ∨ e ¬. Per esempio, consideriamo la prima affermazione CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 13 nell’Esempio 1.1.3. Sebbene abbiamo dato la traduzione italiana “O John non è stupido ed è pigro, oppure è stupido”, una maniera alternativa di esprimere la stessa informazione potrebbe essere “O John non è stupido ma è pigro, oppure è stupido”. Spesso la parola ma è usata in italiano per dire e, specialmente quando c’è qualche contrasto o conflitto tra le due affermazioni che si combinano. Come esempio più suggestivo, considerate un annunciatore di previsioni del tempo che concluda la sua previsione con “Pioggia e neve sono le sole due possibilità per il tempo di domani“. Questo è solo un modo più tortuoso di dire che domani o pioverà o nevicherà. Pertanto anche se nella previsione del tempo compare la parola e, il significato espresso da questa affermazione è in realtà una disgiunzione. La morale di questi esempi è che per determinare la forma logica di una affermazione dovete cercare di capire cosa l’affermazione vuol dire, piuttosto che tradurre in simboli parola per parola. Talvolta connettivi logici sono nascosti all’interno della notazione matematica. Per esempio, considerate l’affermazione 3 ≤ π. Sebbene appaia una affermazione semplice senza parole della logica, se la leggete ad alta voce sentirete chiaramente la parola o. Se indichiamo con P la frase 3 < π e con Q la frase 3 = π, allora 3 ≤ π potrebbe essere scrita come P ∨ Q. In questo caso le frasi rappresentate da P e Q sono cosı̀ corte che sembra poco efficace abbreviarle con una singola lettera. In casi come questi non ci preoccuperemo di rimpiazzare le frasi con le lettere, pertanto potremo anche scrivere affermazioni come (3 < π) ∨ (3 = π). Per un esempio leggermente più complicato, considerate l’affermazione 3 ≤ π < 4. Essa vuol dire 3 ≤ π e π < 4: ancora una volta, una parola della logica è stata nascosta in una notazione matematica. Possiamo pertanto riscrivere il tutto, usando anche quanto fatto sopra, come [(3 < π) ∨ (3 = π)] ∨ (π < 4)]. Sapere che 3 ≤ π < 4 ha questa forma logica potrebbe essere importante per capire un pezzo di ragionamento matematico relativo a questa affermazione. Esercizi *1. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: (a) Avremo da fare o una lettura per casa o degli esercizi, ma non avremo sia degli esercizi che un test. (b) Non andrai a sciare, o ci andrai e non ci sarà neve. √ (c) 7 6≤ 2. 2. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: (a) O John e Bill stanno entrambi dicendo la verità, oppure nessuno dei due lo sta facendo. (b) Prenderò o il pesce o il pollo, ma non prenderò sia pesce che patate. (c) 3 è un divisore comune di 6, 9 e 15. 3. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: (a) Alice e Bib non sono entrambi nella stanza. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 14 (b) Alice e Bob sono entrambi non nella stanza. (c) O Alice o Bob non è nella stanza. (d) Né Alice né Bob sono nella stanza. 4. Quali delle seguenti espressioni sono formule ben formate? (a) ¬(¬P ∨ ¬¬R). (b) ¬(P, Q, ∧R). (c) P ∧ ¬P . (d) (P ∧ Q)(P ∨ R). *5. Indichiamo con P l’affermazione “Io comprerò i pantaloni” e con S l’affermazione “Io comprerò la maglietta“. Quali frasi in italiano sono rappresentate dalle seguenti espressioni? (a) ¬(P ∧ ¬S). (b) ¬P ∧ ¬S. (c) ¬P ∨ ¬S. 6. Indichiamo con S l’affermazione “Steve è felice” e con G l’affermazione “George è felice”. Quali frasi in italiano sono rappresentate dalle seguenti espressioni? (a) (S ∨ G) ∧ (¬S ∨ ¬G). (b) [S ∨ (G ∧ ¬S)] ∨ ¬G. (c) S ∨ [G ∧ (¬S ∨ ¬G)]. 7. Identifica premesse e conclusioni dei seguenti ragionamenti deduttivi e analizza le loro forme logiche. Pensi che i ragionamenti siano validi. (Sebbene a questo punto hai soltanto la tua intuizione per guidarti in questa risposta, nelle sezioni successive svilupperemo delle tecniche che ci permetteranno di individuare la validità dei ragionamenti.) (a) Jane e Pete non vinceranno entrambi il premio di matematica. Pete vincerà o il premio di matematica o quello di chimica. Jane vincerà il premio di matematica. Petanto, Pete vincerà il premio di chimica. (b) La pietanza principale sarà o carne o pesce. Il contorno sarà piselli o mais. Non avremo contemporaneamente il pesce come pietanza principale e il mais come contorno. Pertanto, non avremo contemporaneamente la carne come pietanza principale e i piselli come contorno. (c) O John o Bill sta dicendo la verità. O Sam o Bill sta mentendo. Pertanto, John sta dicendo la verità e Sam sta mentendo. (d) O le vendite aumenteranno e il capo sarà contento, o le spese aumenteranno e il capo non sarà contento. Pertanto, le spese e le vendite non aumenteranno entrambe. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 1.2 15 Tabelle di Verità Abbiamo visto nella Sezione 1.1 che una argomento è valido se le premesse non possono essere tutte vere senza che le conclusioni siano vere anch’esse. Pertanto, per capire in che modo le parole e, o, non influenzano la validità dei ragionamenti, dobbiamo vedere in che modo contribuiscono a determinare la verità o falsità delle affermazioni che le contengono. Quando valutiamo la verità o falsità di un’affermazione, assegniamo ad essa una delle etichette vero (in inglese true) o falso (in inglese false), etichetta che chiamiamo il valore di verità della affermazione. È chiaro come la parola “e” contribuisce a determinare il valore di verità di una affermazione che la contiene. Un affermazione della forma P ∧ Q può essere vera soltanto se entrambe P e Q sono vere; if o P o Q è falsa, allora P ∧ Q è falsa. Poiché abbiamo assunto che P e Q stiano per delle affermazioni che sono o vere o false, possiamo riassumere tutte le possibilità nella tabella mostrata in Figura 1.1. P F F T T Q F T F T P ∧Q F F F T Figura 1.1 Questa è chiamata un tabella di verità per la formula P ∧ Q. Ogni riga di questa tabella rappresenta una delle quattro possibili combinazioni di valori di verità per le affermazioni P e Q. Sebbene queste quattro possibilità possano apparire nella tabella in qualsiasi ordine, è meglio elencarle in maniera sistematica, cosı̀ che possiamo essere sicuri di non aver saltato nessuna possibilità. La tabella di verità per ¬P è anche piuttosto semplice da costruire, perché per ¬P sia vera è necessario che P sia false, e viceversa. La tabella è mostrata in Figura 1.2. P F T ¬P T F Figura 1.2 La tabelle di verità per P ∨ Q è un po’ più difficile. Le prime tre righe possono essere certamente riempite come in Figura 1.3, ma ci possono essere dei dubbi relativi all’ultima riga. L’affermazione P ∨ Q deve’essere vera o false nel caso in cui P e Q siano entrambe vere? In altro parole, P ∨ Q significa “P o Q, o entrambe” o vuol dire “P o Q, ma non entrambe”? La prima maniera di interpretare la parola “o” è chiamata o inclusivo (perché include la possibilità che entrambe le affermazioni siano vere), e la seconda è chiamata o esclusivo. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 16 In matematica, la congiunzione o è sempre inclusiva, pertanto interpreteremo ∨ come o inclusivo. Possiamo pertanto completare la tabella di verità per P ∨ Q come mostrato in Figura 1.4. Vedere l’esercizio 3 per maggiori informazioni riguando l’o esclusivo. P F F T T Q F T F T P ∨Q F T T ? P F F T T Figura 1.3 Q F T F T P ∨Q F T T T Figura 1.4 Usando le regole riassunte in queste tabelle di verità, possiamo costruire tabelle di verità per formule più complesse. Tutto ciò che dobbiamo fare è costruire le tabelle di verità delle parti che compongono una formula, partendo con le lettere individuali e costruendo le formule più complesse un passo alla volta. Esempio 1.2.1. Costruire una tabella di verità per la formula ¬(P ∨ ¬Q). Soluzione. P F F T T Q F T F T ¬Q T F T F P ∨ ¬Q T F T T ¬(P ∨ ¬Q) F T F F Le prime due colonne di questa tabella elencano le quattro possibili combinazioni di valori di verità per P e Q. La terza colonna, che elenca i valori di verità per la formula ¬Q, è ottenuta semplicemente negando i valori di verità per Q nella seconda colonna. La quarta colonna, per la formula P ∨ 6= Q, è stata trovata combinando i valori di verità per P e ¬Q elencati nella prima e terza colonna, in accordo alla regola per i valori di verità di ∨ riassunta in Figura 1.4. In accordo a questa regola, P ∨ ¬Q sarà falsa solo se entrambe P e ¬Q sono false. Guardando la prima e terza colonna, vediamo che questo accade solo nella seconda riga della tabella, pertanto la quarta colonna contiene una F nella seconda riga e T in tutte le altre righe. Infine, i valori di verità per la formula ¬(P ∨ ¬Q) sono elencati nella quinta colonna, che è ottenuta negando i valori di verità della quarta colonna. (Notate che questa colonne devono essere riempite in ordine, perché ognuna è usata per riempire quelle seguenti.) Esempio 1.2.2. Costruire una tabella di verità per la formula ¬(P ∧ Q) ∨ ¬R. Soluzione. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA P F F F F T T T T Q F F T T F F T T R F T F T F T F T P ∧Q F F F F F F T T 17 ¬(P ∧ Q) T T T T T T F F ¬R T F T F T F T F ¬(P ∧ Q) ∨ R T T T T T T T F Notate che, poiché questa formula contiene tre lettere, sono necessarie otto righe per elencare tutte le possibili combinazioni di valori di verità per queste lettere. (Se una formula contiene n lettere differenti, quante righe avrà la sua tabella di verità?) Vediamo un modo di costruire tabelle di verità in maniera più compatta. Invece di usare una colonna separata per elencare i valori di verità delle parti che compongo la formula, è sufficiente elencare questi valori di verità sotto il corrispondente simbolo di connettivo nella formula originale. Ciò è illustrato in Figura 1.5, per le formule dell’Esempio 1.2.1. Nel primo passo, abbiamo elencato i valori di verità per P e Q sotto queste lettere, dove appaiono nella formula. Nel secondo passo, i valori di verità di ¬Q sono stati aggiunti sotto il simbolo ¬ di ¬Q. Nel terzo passo, abbiamo combinato i valori di verità per P e ¬Q per ottenere i valori di verità per P ∨ ¬Q, che sono elencati sotto il simbolo ∨. Infine, all’ultimo passo, questi valori di verità sono stati negati ed elencati sotto il simbolo ¬ iniziale. I valori di verità aggiunti all’ultimo passo sono quelli della formula intera, pertanto chiameremo il simbolo sotto il quale sono elencati (il primo ¬ in questo caso) il connettivo principale della formula. Notate che i valori di verità elencati sotto il connettivo principale in questo caso coincidono con i valori trovati nel’Esempio 1.2.1. (come è giusto che sia!) P F F T T Q F T F T Step 1 ¬(P ∨¬Q) F F F T T F T T P F F T T Q F T F T Step 2 ¬(P ∨ ¬ Q) F TF F FT T TF T FT P F F T T Q F T F T Step 3 ¬(P ∨ ¬Q) F TT F FFFT TTT F TTFT P F F T T Q F T F T Step 4 ¬ (P ∨ ¬Q) F F TT F T FFFT F TTT F F TTFT Figura 1.5 CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 18 Ora che conosciamo come costruire tabelle di verità per formule complesse, siamo pronti per ritornare all’analisi della validità dei ragionamenti. Consideriamo di nuovo il primo esempio di ragionamento deduttivo: Domani pioverà o nevicherà È troppo caldo per nevicare Dunque pioverà. Come abbiamo visto, se P sta per l’affermazione “Domani pioverà” e Q per l’affermazione “Domani nevicherà”, possiamo rappresentare il ragionamenti in maniera simbolica come segue: P ∨Q ¬Q `P (Il simbolo ` vuol dire pertanto) Possiamo ora vedere come le tabelle di verità possano essere usate per verificare la validità di questi ragionamenti. La Figura 6 mostra una tabella di verità per le premesse e la conclusione del ragionamento. Ricordate che abbiamo di chiamare valido un ragionamento tale per cui la premesse non possono essere tutte vere senza che lo sia anche la conclusione. Guardando la Figura 1.6, vediamo che l’unica riga della tabella in cui entrambe le premesse risultano vere è la riga tre, e in questa riga la conclusione è anch’essa vera. Cosı̀ la tabella di verità conferma che se le premesse sono tutte vere, la conclusione deve essere pure vera, e il ragionamento è valido. P F F T T Q F T F T Premesse P ∨ Q ¬Q F T T F T T T F Conclusione P F F T T Figura 1.6 Esempio 1.2.3. Determinare se i seguenti ragionamenti sono validi. • O John non è stupido ed è pigro, oppure è stupido. John è stupido Pertanto, John non è pigro • Il maggiordomo e il cuoco non sono entrambi innocenti O il maggiordomo sta mentendo oppure il cuoco è innocente Pertanto, il maggiordomo è mentendo oppure è colpevole Soluzioni. • Come nell’Esempio 1.1.3, usiamo S per l’affermazione “John è stupido” e L per “John è pigro”. Allora, il ragionamento ha questa forma: CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 19 (¬S ∧ L) ∨ S S ` ¬L Ora costruiamo una tabella di verità per entrambe le premesse e la conclusione. (Voi dovreste derivare i passaggi intermedi necessari per riempire la colonna tre di questa tabella per confermare che è corretta). S F F T T Premesse (¬S ∧ L) ∨ S F T T T L F T F T S F F T T Conclusione ¬L T F T F Entrambe le premesse sono vere per le righe tre e quattro di questa tabella. La conclusione è vera anch’essa nella riga tre, ma falsa nella riga quattro. Pertanto, è possibile che entrambe le premesse siano vere mentre la conclusione è falsa, quindi il ragionamento non è valido. In effetti, la tabella ci mostra esattamente perché il ragionamento non è valido. Il problema si presenta sulla riga quattro della tabella, nella quale S ed L sono entrambe vere – in altre parole, John è sia stupido che pigro. Infatti, se John è sia stupido che pigro, entrambe le premesse sono vere, ma la conclusione è falsa, pertanto sarebbe un errore inferire che la conclusione deve essere vera dall’assunzione che le premesse lo sono. • Usiamo le lettere B per l’affermazione “Il maggiordomo è innocente” (maggiordomo in inglese si dice butler), C per l’affermazione “Il cuoco è innocente” ed L per l’affermazione “Il maggiordomo sta mentendo” (in inglese mentire è “to lie”). Allora, il ragionamento assume questa forma: ¬(B ∧ C) L∨C ` L ∨ ¬B Questa è la tabella di verità per le premesse e la conclusione: B F F F F T T T T C F F T T F F T T L F T F T F T F T Premesse ¬(B ∧ C) L ∨ C T F T T T T T T T F T T F T F T Conclusione L ∨ ¬B T T T T F T F T CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 20 Le premesse sono entrambe vere soltanto nelle righe due, tre, quattro e sei, e in ognuno di questi casi la conclusione è anch’essa vera. Pertanto il ragionamento è valido. Se vi foste aspettati che il ragionamento dell’Esempio 1.1.3 fosse valido, questo è probabilmente a causa del fatto che la prima premessa vi ha confusi. È un’affermazione piuttosto complicata, che può essere rappresentata simbolicamente come (¬S ∧ L) ∨ S. In accordo alla nostra tabella di verità, la formula è falsa se S ed L sono entrambe false, ed è vera altrimenti. Ma notate che questa è esattamente la tabella di verità per la formula più semplice L ∨ S! Visto che accade questo, diciamo che le formule (¬S ∧ L) ∨ S e L ∨ S sono equivalenti. Formule equivalenti hanno la stessa tabella di verità, non importa quali siano le affermazioni che corrispondono alle lettere o quali siano i valori di verità di queste affermazioni. L’equivalenza della premessa (¬S ∧ L) ∨ S e della formula più semplice L ∨ S ci può aiutare a capire perché il ragionamento non è valido. Traducendo la formula L ∨ S in italiano, vediamo che la prima premessa può essere riscritta in maniera più semplice come “John è o pazzo o stupido (o entrambi)”. Ma da questa premessa e dalla seconda premessa (John è stupido) certamente non segue il fatto che non sia pigro, perché potrebbe essere sia stupido che pigro. Esempio 1.2.4. Quali delle seguenti formule sono equivalenti? ¬(P ∧ Q) ¬P ∧ ¬Q ¬P ∨ ¬Q Soluzione. Questa è la tabella di verità per tutte e tre le affermazioni. (Dovreste controllare voi stessi che sia corretta!) P F F T T Q F T F T ¬(P ∧ Q) T T T F ¬P ∧ ¬Q T F F F ¬P ∨ ¬Q T T T F La terza e quinta colonna in questa tabella sono identiche, ma sono differenti dalla quarta colonna. Pertanto, le formule ¬(P ∧ Q) e ¬P ∨ ¬Q sono equivalenti, ma nessuna delle due è equivalente a ¬P ∧ ¬Q. Ciò dovrebbe apparirvi abbastanza ovvio se pensate a quello che i simboli vogliono dire. Per esempio, supponiamo che P stia per “AlphaGo ha vinto la partita di Go” e Q stia per “Lee Se-dol ha vinto la partita di Go”. Allora ¬(P ∧ Q) vorrebbe dire “AlphaGo e Lee Se-dol non hanno vinto entrambi la partita di Go” e ¬P ∨ ¬Q vorrebbe dire “O AlphaGo o Lee Se-dol hanno perso la partita di Go”: queste affermazioni chiaramente vogliano dire la stessa cosa. D’altro canto, ¬P ∧ ¬Q vorrebbe dire “Sia AlphaGo che Lee Se-dol hanno perso la partita di Go”, che è un’affermazione completamente differente. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 21 Potete controllare voi stessi costruendo una tabella di verità che la formula ¬P ∧ ¬Q dell’Esempio 1.2.4 è equivalente alla formula ¬(P ∨ Q). (Per rendersi conto che questa equivalenza è sensata, notate che le affermazioni “Sia Alphago che Lee Se-dol hanno perso la partita di Go” e “Né AlphaGo né Lee Se-dol hanno vinto la partita” vogliono dire la stessa cosa.) Questa equivalenza, e quella scoperto nell’Esempio 1.2.4, sono chiamate leggi di De Morgan. Nell’analizzare i ragionamenti deduttivi e le affermazioni che occorrono in essi è utile avere familiarità con un certo numero di equivalenze che vengono fuori molto spesso. Verificate voi stessi le equivalenze che seguono con le tabelle di verità e controllate che abbiano senso traducendo le formule in italiano, come abbiamo fatto nell’Esempio 1.2.4. Leggi di De Morgan ¬(P ∧ Q) è equivalente a ¬P ∨ ¬Q ¬(P ∨ Q) è equivalente a ¬P ∧ ¬Q Leggi commutative P ∧ Q è equivalente a Q ∧ P P ∨ Q è equivalente a Q ∨ P Leggi associative P ∧ (Q ∧ R) è equivalente a (P ∧ Q) ∧ R P ∨ (Q ∨ R) è equivalente a (P ∨ Q) ∨ R Leggi di idempotenza P ∧ P è equivalente a P P ∨ P è equivalente a P Leggi distributive P ∧ (Q ∨ R) è equivalente a (P ∧ Q) ∨ (P ∧ R) P ∨ (Q ∧ R) è equivalente a (P ∨ Q) ∧ (P ∨ R) Leggi di assorbimento P ∨ (P ∧ Q) è equivalente a P P ∧ (P ∨ Q) è equivalente a P Legge della doppia negazione ¬¬P è equivalente a P CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 22 Notate che grazie alle leggi associative possiamo omettere le parentesi nelle formule del tipo P ∧ Q ∧ R oppure P ∨ Q ∨ R senza preoccuparsi che la formula risultante sia ambigua, perché le due possibili maniere di inserire le parentesi danno origine a formule equivalenti. Molte delle equivalenze nella lista vi dovrebbero ricordare regole simili che coinvolgono +, · e − in algebra. Come nell’algebra, queste regole possono essere applicate a formule più complesse, e possono essere combinate per ottenere equivalenze più complicate. Qualunque delle lettere in queste equivalenze può essere rimpiazzata da una formula più complicata, e l’equivalenza risultante sarà comunque valida. Per esempio, rimpiazzando P nella legge di doppia negazione con Q ∨ ¬R, possiamo vedere che ¬¬(Q ∨ ¬R) è equivalente a Q ∨ ¬R. Inoltre, se due formule sono equivalenti, si possono sostituire sempre l’una per l’altra in altre espressioni e il risultato sarà equivalente. Per esempio, siccome ¬¬P è equivalente a P , si può sempre rimpiazzare esso con P e la formula risultante sarà equivalente all’originale. Esempio 1.2.5. Trova formule più semplici equivalenti alle seguenti formule: 1. ¬(P ∨ ¬Q) 2. ¬(Q ∧ ¬P ) ∨ P Soluzioni. 1. ¬(P ∨ ¬Q) è equivalente a che è equivalente a ¬P ∧ ¬¬Q ¬P ∧ Q (Legge di De Morgan), (legge della doppia negazione). Potete controllare che questa equivalenza è corretta costruendo una tabella di verità for ¬P ∧ Q e verificando che è la stessa della tabella di verità per ¬(P ∨ ¬Q) che trovate nell’Esempio 1.2.1 2. ¬(Q ∧ ¬P ) ∨ P è equivalente a che è equivalente a che è equivalente a che è equivalente a (¬Q ∨ ¬¬P ) ∨ P (¬Q ∨ P ) ∨ P ¬Q ∨ (P ∨ P ) ¬Q ∨ P (Legge di De Morgan), (legge della doppia negazione), (legge associativa), (legge di idempotenza). Alcune equivalenze si basano sul fatto che certe formule sono sempre vere o sempre false. Per esempio, potete verificare con una tabella di verità che la formula Q ∧ (P ∨ ¬P ) è equivalente a Q. Ma anche prima di fare la tabella di verità, potete probabilmente rendervi conto del perché sono equivalenti. In ogni riga della tabella di verità, P ∨ ¬P risulterà vera, e pertanto Q ∧ (P ∨ ¬P ) sarà vera quando Q è vera, e false quando Q è falsa. Formule che sono sempre vere, come P ∨¬P , si chiamano tautologie. In maniera simile, formule che sono sempre false si chiamano contraddizioni. Per esempio, P ∧ ¬P è una contraddizione. Esempio 1.2.6. Quali di queste formule è una tautologia, quale una contraddizione, e quale nessuna delle due? P ∨ (Q ∨ ¬P ) P ∧ ¬(Q ∨ ¬Q) P ∨ ¬(Q ∨ ¬Q) CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 23 Soluzione. Prima di tutto costruiamo una tabella di verità per tutte e tre le formule. P F F T T Q F T F T P ∨ (Q ∨ ¬P ) T T T T P ∧ ¬(Q ∨ ¬Q) F F F F P ∨ ¬(Q ∨ ¬Q) F F T T Dalla tabella di verità è chiaro che la prima formula è una tautologia, la seconda una contraddizione e la terza non è nessuna delle due cose. In effetti, poiché l’ultima colonna è identica alla prima, la terza formula è equivalente a P. Possiamo ora enunciare qualche altra legge che coinvolge tautologie e contraddizioni. Dovreste essere in grado di convincervi che tutte queste leggi sono corrette, pensando a come sarebbero le tabelle di verità delle formule coinvolte. Leggi delle tatutologie P ∧ (una tautologia) è equivalente a P . P ∨ (una tautologia) è una tautologia. ¬(una tautologia) è una contraddizione. Leggi delle contraddizioni P ∧ (una contraddizione) è una contraddizione. P ∨ (una contraddizione) è equivalente a P . ¬(una contraddizione) è una tautologia. Esempio 1.2.7. Trovare formule più semplici equivalenti a queste formule: 1. P ∨ (Q ∧ ¬P ). 2. ¬(P ∨ (Q ∧ ¬R)) ∧ Q. Soluzioni. 1. P ∨ (Q ∧ ¬P ) è equivalente a che è equivalente a (P ∨ Q) ∧ (P ∨ ¬P ) P ∨Q (legge distributiva), (legge della tautologia). L’ultimo passo usa il fatto che P ∨ ¬P è una tautologia. 2. ¬(P ∨ (Q ∧ ¬R)) ∧ Q che che che che che che è è è è è è è equivalente equivalente equivalente equivalente equivalente equivalente equivalente a a a a a a a (¬P ∧ ¬(Q ∧ ¬R)) ∧ Q (¬P ∧ (¬Q ∨ ¬¬R)) ∧ Q (¬P ∧ (¬Q ∨ R)) ∧ Q ¬P ∧ ((¬Q ∨ R) ∧ Q)) ¬P ∧ (Q ∧ (¬Q ∨ R)) ¬P ∧ ((Q ∧ ¬Q) ∨ (Q ∧ R)) ¬P ∧ (Q ∧ R) (legge (legge (legge (legge (legge (legge (legge di De Morgan), di De Morgan), della doppia negazione), associativa), commutativa), distributiva), della contraddizione). CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 24 L’ultimo passo usa il fatto che Q ∧ ¬Q è una contraddizione. Infine, grazie alla legge associativa per ∧, possiamo rimuovere le parentesi senza rendere la formula ambigua, cosı̀ la formula originale è equivalente a ¬P ∧Q∧R. Esercizi *1. Scrivere le tabelle di verità per le seguenti formule: (a) ¬P ∨ Q (b) (S ∨ G) ∧ (¬S ∨ ¬G) 2. Scrivere le tabelle di verità per le seguenti formule: (a) ¬[P ∧ (Q ∨ ¬P )] (b) (P ∨ Q) ∧ (¬P ∨ R) 3. In questo esercizio useremo il simbolo + per indicare l’o eclusivo. In altre parole P + Q significa “P oppure Q ma non entrambi”. (a) Scrivere la tabella di verità per P + Q. (b) Trovare una formula che usi soltanto i connettivi ∧, ∨ e ¬ che è equivalente a P + Q. Giustificare la vostra risposta con una tabella di verità. 4. Trovare una formula che usi i soli connettivi ∧ e ¬ e che sia equivalente alla formula P ∨ Q. Giustificate la vostra risposta con una tabella di verità. *5. Alcuni matematici usano il simbolo ↓ per indicare il connettivo né (nor inglese). In altre parole P ↓ Q significa “né P né Q”. (a) Scrivi una tabella di verità per P ↓ Q. (b) Trova un formula che usi solo i connettivi ∧, ∨ e ¬ che sia equivalente a P ↓ Q. (c) Trova delle formule che usino solo il connettivo ↓ e che siano equivalenti a ¬P , P ∨ Q e P ∧ Q. 6. Alcuni matematici scrivono P | Q per dire “P e Q non sono entrambe vere”. (Il connettivo è chiamato nand ed è usato nello studio dei circuiti digitali in informatica). (a) Scrivi una tabella di verità per P | Q. (b) Trova un formula che usi solo i connettivi ∧, ∨ e ¬ che sia equivalente a P | Q. (c) Trova delle formule che usino solo il connettivo | e che siano equivalenti a ¬P , P ∨ Q e P ∧ Q. *7. Usa le tabelle di verità per determinare se il ragionamento nell’Esercizio 7. della Sezione 1.1 è valido. 8. Usa le tabelle di verità per determinare quali delle seguenti formule sono tra loro equivalenti: (a) (P ∧ Q) ∨ (¬P ∧ ¬Q). CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 25 (b) ¬P ∨ Q. (c) (P ∨ ¬Q) ∧ (Q ∨ ¬P ). (d) ¬(P ∨ Q). (e) (Q ∧ P ) ∨ ¬P . *9. Usa le tabelle di verità per determinare quale di queste affermazioni sono tautologie, quali contraddizioni e quali nessuna delle due: (a) (P ∨ Q) ∧ (¬P ∨ ¬Q). (b) (P ∨ Q) ∧ (¬P ∧ ¬Q). (c) (P ∨ Q) ∨ (¬P ∨ ¬Q). (d) [P ∧ (Q ∨ ¬R)] ∨ (¬P ∨ R). 10. Usa le tabelle di verità per verificare le seguenti leggi: (a) La seconda legge di De Morgan (la rima l’abbiamo già verificata nel testo). (b) Le leggi distributive. *11. Usa le leggi presentate nel testo per semplificare le seguenti formule (vedi Esempi 1.2.5 e 1.2.6). (a) ¬(¬P ∧ ¬Q) (b) (P ∧ Q) ∨ (P ∧ ¬Q) (c) ¬(P ∧ ¬Q) ∨ (¬P ∧ Q) 12. Usa le leggi presentate nel testo per semplificare le seguenti formule (vedi Esempi 1.2.5 e 1.2.6). (a) ¬(¬P ∨ Q) ∨ (P ∧ ¬R). (b) ¬(¬P ∧ Q) ∨ (P ∧ ¬R). (c) (P ∧ R) ∨ [¬R ∧ (P ∨ Q)]. 13. Usa la prima legge di De Morgan e la legge di doppia negazione per derivare la seconda legge di De Morgan. *14. Nota che le leggi associative dicono solo che le parentesi non sono necessarie quando si combinano tre affermazioni con ∧ o ∨. In effetti, queste leggi possono essere usate per giustificare il fatto di non usare le parentesi quando più di tre affermazioni vengono combinate. Usate le leggi associative per mostrare che [P ∧ (Q ∧ R)] ∧ S è equivalente a (P ∧ Q) ∧ (R ∧ S). 15. Quante righe ci saranno in una tabella di verità per una formula con n lettere? *16. Trovare una formula che usi i connettivi ∧, ∨ e ¬ e che abbia la seguente tabella di verità: P F F T T Q F T F T ??? T F T T CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 26 17. Trovare una formula che usi i connettivi ∧, ∨ e ¬ e che abbia la seguente tabella di verità: P F F T T Q F T F T ??? F T T F 18. Supponete che la conclusione di un ragionamento sia una tautologia. Cosa puoi concludere sulla validità del ragionamento? Che cosa potete concludere se la conclusione è una contraddizione? Che cosa se una delle premesse è una tautologia oppure una contraddizione? 1.3 Variabili ed Insiemi Nel ragionamento matematico è spesso necessario fare affermazioni su oggetti che sono rappresentati da lettere chiamate variabili. Per esempio, se la variabile x è usata per rappresentare un numero in un problema, possiamo essere interessati ad affermazioni del tipo “x è un numero primo”. Sebbene possiamo talvolta usare una singola lettera, come P , per rappresentare questa affermazione, altre volte utilizzeremo una notazione leggermente differente e scriveremo P (x), per evidenziare che l’affermazione riguarda l’oggetto x. La seconda notazione rende inoltre più semplice discutere circa la sostituzione di qualche numero al posto della lettera x. Ad esempio, P (7) rappresenterebbe l’affermazione “7 è un numero primo”, e P (a + b) vorrebbe dire “a + b è un numero primo”. Se una affermazione contiene più di una variabile, la nostra abbreviazione conterrà una lista di tutte le variabili coinvolte. Ad esempio, l’affermazione “p è divisibile per q” potrebbe essere rappresentata da D(p, q). In questo caso, D(12, 4) vorrebbe dire “12 è divisibile per 4”. Sebbene avrete generalmente avuto a che fare con variabili che stanno al posto di numeri, essere possono essere utilizzate al posto di qualunque cosa. Per esempio, potremmo indicare con M (x) l’affermazione “x è un uomo” e con W (x) l’affermazione “x è una donna”. In questo caso, stiamo usando la variabile x per una persona. Una affermazione può contenere molte variabili, che stanno per oggetti di tipo differente. Per esempio nella affermazione “x ha y bambini” la variabile x sta per una persona e y per un numero. Affermazioni che coinvolgono variabili possono essere combinate usando connettivi, proprio come le affermazioni senza variabili. Esempio 1.3.1. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: 1. x è un numero primo, e o y oppure z è divisibile per x. 2. x è un uomo, y è una donna, e ad x piace y, ma ad y non piace x. Soluzioni. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 27 1. Potremmo utilizzare P per l’affermazione “x è un numero primo”, D per “y è divisibile per x” ed E per “z è divisibile per x”. L’intera affermazione sarebbe allora rappresentata dalla formula P ∧ (D ∨ E). Ma questa analisi, sebbene non sia scorretta, non riesce a catturare la relazione tra le affermazioni D ed E. Una analisi migliore sarebbe quella di utilizzare P (x) per “x è un numero primo” e D(y, x) per “y è divisibile per x”. Allora D(z, x) vorrebbe dire “z è divisibile per x” e l’intera affermazione diventerebbe P (x) ∧ (D(y, x) ∨ D(z, x)). 2. Usiamo M (x) per “x è un uomo”, W (y) per “y è una donna” ed L(x, y) per “ad x piace y”. Allora, L(y, x) vorrebbe dire “ad y piace x” (Notare che l’ordine delle variabili dopo la L è quello che fa la differenza!). L’intera affermazione verrebbe rappresentata dalla formula M (x)∧W (y)∧L(x, y)∧ ¬L(y, x). Quando si studiano affermazioni che non contengono variabili, possiamo facilmente parlare del loro valore di verità, poiché ogni affermazione può essere o vera o falsa. Ma se una affermazione contiene delle variabili, le cose cambiano: il suo valore di verità dipenderà dal valore delle variabili coinvolte. Per esempio, se P (x) sta per “x è un numero primo”, allora P (x) sarebbe vero se fosse x = 23, ma sarebbe falso per x = 22. Per risolvere questo problema, per le affermazioni contenenti variabili useremo il concetto di insieme di verità. Prima di dare delle definizioni precise, però, sarà meglio rivedere qualche definizione basilare dalla teoria degli insiemi. Un insieme è una collezione di oggetti. Gli oggetti in questa collezione sono chiamati gli elementi degli insiemi. La maniera più semplice per specificare un insieme è elencare i suoi elementi tra parentesi graffe. Ad esempio, {3, 7, 14} è un insieme i cui elementi sono i tre numeri 3, 7 e 14. Usiamo il simbolo ∈ per indicare è un elemento di. Per esempio, se A sta per l’insieme {3, 7, 14}, allora potremmo scrivere 7 ∈ A per dire che 7 è un elemento di A. Per dire che 11 non è un elemento di A scriveremo 11 ∈ / A. Un insieme è completamente determinato una volta che i suoi elementi sono stati specificati. Cosı̀, due insiemi che hanno esattamente gli stessi elementi sono uguali. Inoltre, quando un oggetto è specificato elencando i suoi elementi, quello che importa è quali oggetti sono elencati, e non l’ordine in cui appaiono in elenco. Un elemento può anche apparire più di una volta nella lista. Cosı̀, {3, 7, 14}, {14, 3, 7} e {3, 7, 14, 7} sono tre modi differenti di scrivere lo stesso insieme. Può essere poco pratico definire un insieme che contiene un numero molto grande di elementi elencandoli tutti, e sarebbe impossibile dare una tale definizione per un insieme con un numero infinito di elementi. Spesso questo problema può essere superato elencando un po’ di elementi seguiti da tre puntini (. . .), se è chiaro come la lista dovrebbe continuare. Per esempio, supponiamo di definire un insieme B dicendo che B = {2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, . . .}. Una volta che avete riconosciuto il fatto che i numeri elencati nella definizione di B sono i numeri primi, allora saprete che, per esempio, 23 ∈ B, sebbene esso non sia elencato esplicitamente nella definizione di B. Ma questo metodo richiede di CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 28 riconoscere uno schema nella lista di numeri nella definizione di B, e ciò introduce un elemento di ambiguità e soggettività nella nostra notazione che è meglio evitare nella scrittura matematica. È pertanto meglio nella maggior parte dei casi definire un insieme rendendo esplicito lo schema che determina gli elementi dell’insieme. In questo caso potremmo essere espliciti definendo B come segue: B = {x | x è un numero primo}. Questo si legge “B = l’insieme di tutti gli x tali che x è un numero primo”, e significa che gli elementi di B sono tutti i valori di x che rendono vera l’affermazione “x è un numero primo”. Dovreste pensare alla affermazione “x è un numero primo” come un test di appartenenza all’insieme. Qualunque valore di x che rende questa affermazione vera passa il test ed è un elemento dell’insieme. Qualunque altra cosa fallisce il test e non è un elemento. Naturalmente, in questo caso i valori di x che rendono l’affermazione vera sono esattamente i numeri primi, cosı̀ questa definizione dice che B è l’insieme i cui elementi sono i numeri primi, esattamente come prima. Esempio 1.3.2. Riscrivere queste definizioni usando il metodo del test di appartenenza. 1. E = {2, 4, 6, 8, . . .} 2. P = {Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, . . .}. Soluzioni. Sebbene ci possano essere altri modi per completare questi elenchi di elementi, le definizioni più naturali sono le seguenti: • E = {n | n è un numero intero pari positivo} • K = {z | z è uno dei sette re di Roma}. Se un insieme è stato definito usando un test di appartenenza, questo test può essere usato per determinare se è vero o no che un elemento appartiene all’insieme. Per esempio, considerate l’insieme {x | x2 < 9}. Se vogliamo sapere se 5 è un elemento di questo insieme, applichiamo semplicemente il test di appartenenza nella definizione di insieme – in altre parole, controlliamo se è vero che 52 < 9. Poiché 52 = 25 > 9, esso non soddisfa il test, e quindi 5∈ / {x | x2 < 9}. Invece, (−2)2 = 4 < 9, pertanto −2 ∈ {x | x2 < 9}. Lo stesso ragionamento si applica a qualunque altro numero. Per qualunque numero y, per determinare se y ∈ {x | x2 < 9}, dobbiamo controllare se l’affermazione y 2 < 9 è vera. Effettivamente, potremmo pensare all’affermazione y ∈ {x | x2 < 9} solo ad un modo un po’ contorto di scrivere y 2 < 9. Nota che, poiché l’affermazione y ∈ {x | x2 < 9} vuol dire la stessa cosa che y 2 < 9, essa è una affermazione sulla variabile y, non su x! Per determinare se y ∈ {x | x2 < 9} dovete sapere cosa è y (cosicché possiate confrontare il suo quadrato con 9), non che cosa è x. D’altronde x qui non indica un singolo CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 29 valore, ma tutti i valori che soddisfano il test. Diciamo che nella affermazione y ∈ {x | x2 < 9}, y è una variabile libera mentre x è una variabile vincolata. Le variabili libere in una affermazione rappresentano un oggetto su cui l’affermazione dice qualcosa. Rimpiazzando valori differenti per una variabile libera si cambia il significato di una affermazione e si altera il suo valore di verità. Il fatto che si possa rimpiazzare con valori differenti una variabile libera vuol dire, appunto, che essa è libera di assumere un valore qualunque. Le variabili vincolate, invece, sono solo lettere che sono usate per comodità nell’aiutare ad esprimere una idea e non dovrebbero essere pensate come se stessero al posto di un particolare oggetto. Una variabile vincolata può essere sempre rimpiazzata da una nuova variabile senza che questo cambi il significato dell’affermazione, e talvolta l’affermazione può essere riscritta in maniera tale che la variabile vincolata scompaia del tutto. Per esempio, le affermazioni y ∈ {x | x2 < 9} e y ∈ {w | w2 < 9} vogliono dire esattamente la stessa cosa, entrambe affermano che “y è un elemento dell’insieme di tutti i numeri che elevati al quadrato sono più piccoli di 9”. In quest’ultima affermazione, tutte le variabili vincolate sono state eliminate, e l’unica variabile menzionata è la variabile libera y. Notate che x è un varabile vincolata nell’affermazione y ∈ {x | x2 < 9} sebbene sia libera nell’affermazione x2 < 9. Quest’ultima è un affermazione circa x che è vera per certi valori di x e falsa per altri. È soltanto quando questa affermazione è usata dentro la notazione di definizione di insieme che x diventa una variabile vincolata. Possiamo dire che la notazione {x | . . .} vincola (o lega) la variabile x. Tutto ciò che abbiamo detto circa l’insieme {x | x2 < 9} si applica a qualunque altro insieme definito tramite test di appartenenza. In generale, l’affermazione y ∈ {x | P (x)} vuol dire la stessa cosa di P (y), ed è una affermazione sulla variabile y e non su x. Allo stesso modo, y ∈ / {x | P (x)} ha lo stesso significato di ¬(y ∈ {x | P (x)}) ovvero di ¬P (y). Naturalmente, l’espressione {x | P (x)} non è una affermazione, ma un nome per un insieme. Mano a mano che imparerete nuove notazioni matematiche, sarà sempre più importante che vi assicuriate di stare attenti nel distinguere espressioni che sono affermazioni matematiche da espressioni che sono nomi per oggetti matematici. Esempio 1.3.3. Cosa vogliono dire queste affermazioni? Quali sono le variabili libere in ognuna di esse? 1. a + b ∈ / {x | x è un numero primo} 2. y ∈ {x | x è divisibile per w} 3. 2 ∈ {w | 6 ∈ / {x | x è divisibile per w}} Soluzioni. 1. Questa affermazione dice che a + b non è un elemento dell’insieme di tutti i numeri pari, o, in altre parole, che a + b non è un numero pari. Sia a che b sono variabili libere, ma x è vincolata. L’affermazione sarà vera per certi valori di a e b, falsa per altri. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 30 2. Questa affermazione dice che y è divisibile per w. Sia y che w sono variabili libere, ma x è vincolata. L’affermazione è vera per alcuni valori di y e w, falsa per altri. 3. Questa affermazione sembra parecchio complicata, ma se procediamo un passo alla volta, possiamo decifrarla. Prima, notare che l’affermazione 6 ∈ / {x | x è divisibile per w}, che compare dentro l’affermazione principale, vuol dire la stessa cosa di “6 non è divisibile per w”. Sostituendo questa nuova versione al posto di quella originale, otteniamo che l’affermazione principale è equivalente a quella più semplice 2 ∈ {w | 6 non è divisibile per w}. a questo vuol dire semplicemente “6 non è divisibile per 2”. Pertanto, questa affermazione non ha variabili libere, ed entrambe x e w sono vincolate. Poiché non ci sono variabili libere, il valore di verità di questa affermazione non dipende dal valore di alcuna variabile. In effetti, poiché 6 è divisibile per 2, questa affermazione è falsa. Forse avrete intuito adesso come possiamo usare la teoria degli insiemi per aiutarci a comprendere i valori di verità di affermazioni contenenti variabili. Come abbiamo visto, un affermazione, diciamo P (x) contenente una variabile libera x, può essere vera per qualche valore di x e falsa per gli altri. Per distinguere i valori di x che rendono P (x) vera da quelli che la rendono falsa, possiamo formare l’insieme dei valori di x per i quali P (x) è vera. Chiamiamo questo insieme, l’insieme di verità di P (x). Definition 1.3.4. L’insieme di verità di una affermazione P (x) è l’insieme di tutti i valori di x che rendono P (x) vera. In altre parole, è l’insieme definito usando P (x) come test di appartenenza: Insieme di verità di P (x) = {x | P (x)}. Notate che abbiamo definito insiemi di verità solo per affermazioni contenenti una variabile. Discuteremo gli insiemi di verità per affermazioni con più variabili nel Capitolo 4. Esempio 1.3.5. Quali sono gli insiemi di verità per le seguenti affermazioni? 1. Dante Alighieri ha scritto x. 2. n è un numero primo pari. Soluzioni. 1. {x | Dante Alighieri ha scritto x} = { La Divina Commedia, La Vita Nova, Le Rime, . . . } 2. {n | n è un numero primo pari}. Poiché l’unico primo pari è 2, questo è l’insieme {2}. Notate che 2 e {2} non sono la stessa cosa! Il primo è un numero, il secondo è un insieme il cui unico element è un numero. Pertanto, 2 ∈ {2}, ma 2 6= {2}. Supponete A sia l’insieme di verità dell’affermazione P (x). In accordo alla definizione di insieme di verità, questo significa che A = {x | P (x)}. Abbiamo CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 31 già visto che, per qualunque oggetto y, l’affermazione y ∈ {x | P (x)} significa la stessa cosa di P (y). Sostituendo A per {x | P (x)}, ne segue che y ∈ A vuol dire la stessa cosa di P (y). Cosı̀, vediamo in generale che se A è l’insieme di verità di P (x), allora dire y ∈ A è come dire P (y). Quando una affermazione contiene variabili libere, è spesso chiaro dal contesto che queste variabili stanno per oggetti di un certo tipo. L’insieme di tutti gli oggetti di quel tipo — in altre parole, l’insieme di tutti i possibili valori per le variabili — è chiamato l’universo del discorso per l’affermazione, e diciamo che la variabile varia sopra questo universo. Per esempio, nella maggior parte dei casi l’universo per l’affermazione x2 < 9 è l’insieme di tutti i numeri reali; l’universo per l’affermazione “x è un uomo” potrebbe essere l’insieme di tutte le persone. Certi insiemi vengono spesso fuori in matematica come universi del discorso, ed è conveniente avere dei nomi fissi per essi. Ecco alcuni dei più importanti: R = {x | x è un numero reale}. Q = {x | x è un numero razionale}. (Ricordiamo che un numero reale è qualunque numero sulla linea reale, e un numero razionale è un numero che può essere scritto come una frazione p/q, dove p e q sono interi). Z = {x | x è un intero} = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .}. N = {x | x è un numero naturale} = {0, 1, 2, 3, . . .}. (Alcuni libri includono 0 come numero naturale e altri non lo fanno. In questo libro considereremo 0 come numero naturale). Le lettere R, Q e Z possono essere seguite da un apice + o − per indicare che soltanto i numeri positivi o negativi devono essere inclusi nell’insieme. Per esempio R+ = {x | x è un numero reale positivo} e Z− = {x | x è un numero intero negativo}. Sebbene l’universo del discorso possa di solito essere determinato dal contesto, è talvolta utile identificarlo esplicitamente. Sebbene abbiamo scritto il valore di verità di P (x) come {x | P (x)}, se dovesse esserci una qualche possibilità di confusione circa l’universo, potremmo specificarlo esplicitamente scrivendo {x ∈ U | P (x)}; questo si legge “l’insieme di tutti gli x in U tali che P (x)”. Questa notazione specifica che solo gli elementi di U devono essere considerati come possibili elementi per questo insieme di verità, e tra gli elementi di U , solo quelli che passano il test di appartenenza P (x) andranno veramente a far parte dell’insieme. Per esempio, considerate di nuovo l’affermazione x2 < 9. Se l’universo del discorso per questa affermazione fosse l’insieme di tutti i numeri reali, allora il suo insieme di verità sarebbe {x ∈ R | x2 < 9} o, in altre parole, l’insieme dei numeri reali tra −3 e 3 (estremi esclusi). Ma se l’universo del discorso fosse l’insieme dei numeri interi, allora l’insieme di verità sarebbe {x ∈ Z | x2 < 9} = {−2, −1, 0, 1, 2}. Cosı̀, per esempio, 1.58 ∈ {x ∈ R | x2 < 9} ma 1.58 ∈ / {x ∈ Z | x2 < 9}. Chiaramente, la scelta dell’universo può fare una bella differenza! Talvolta la notazione esplicita è usata non per specificare l’universo del discorso ma per restringere l’attenzione solo a parte dell’universo. Per esempio, CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 32 nel caso della affermazione x2 < 9, potremmo considerare come universo del discorso l’insieme dei numeri reali, ma nel corso di qualche ragionamento che coinvolge questa affermazione potremmo voler momentaneamente restringere la nostra attenzione ai soli numeri reali positivi. Potremmo essere interessati all’insieme {x ∈ R+ | x2 < 9}. Come prima, questa notazione indica che soltanto i numeri reali positivi saranno considerati per l’appartenenza all’insieme e, tra i numeri positivi, solo quelli il cui quadrato è minore di 9 faranno parte dell’insieme. Pertanto, perché un numero faccia parte dell’insieme, deve soddisfare due test: deve essere un numero positivo reale, e il suo quadrato deve essere minore di 9. In altre parole, l’affermazione y ∈ {R+ | x2 < 9} ha lo stesso significato di y ∈ R+ ∧ y 2 < 9. In generale y ∈ {x ∈ A | P (x)} ha lo stesso significato di y ∈ A ∧ P (y). Quando viene definito un nuovo concetto matematico, i matematici sono di solito interessati a studiare tutti i casi estremi di questo concetto. Per esempio, quando abbiamo discusso le tabelle di verità, i casi estremi che abbiamo studiato sono state le affermazioni la cui tabella di verità contiene solo T (tautologie) o solo F (contraddizioni). Per il concetto di insieme di verità di una affermazione contenente una variabile libera, i corrispondenti estremi sarebbero gli insiemi di verità di affermazioni che sono sempre vere o sempre false, per tutti i valori della variabile libera. Supponiamo P (x) sia una affermazione con una variabile libera x che varia sopra l’universo U . Dovrebbe essere chiaro che se P (x) risulta sempre vera per tutti i valori x ∈ U , allora l’insieme di verità di P (x) risulta uguale all’intero universo U . Per esempio, poiché l’affermazione x2 ≥ 0 è vera per ogni numero reale x, l’insieme di verità di questa affermazione è {x ∈ R | x2 ≥ 0} = R. Naturalmente, tutto ciò non è scorrelato dal concetto di tautologia. Per esempio, poiché P ∨ ¬P è una tautologia, l’affermazione P (x) ∨ ¬P (x) sarà sempre vera per ogni x ∈ U , non importa quali sia l’affermazione che corrisponde a P (x) o quale sia l’universo U . Pertanto, l’insieme verità di P (x) ∨ ¬P (x) sarà sempre uguale all’universo del discorso. Per una affermazione P (x) che è falsa per tutti i possibili valori di x, niente nell’universo può passare il test di appartenenza per l’insieme di verità di P (x), e pertanto questo insieme non ha elementi. L’idea di un insieme senza elementi può sembrare strana, ma risulta naturale quando consideriamo insiemi di verità per affermazioni che sono sempre false. Poiché un insieme è completamente determinato una volta che i suoi elementi sono stati specificati, c’è soltanto un insieme che non ha nessun elemento. È chiamato l’insieme vuoto, ed è spesso denotato da ∅. Per esempio, {x ∈ Z | x 6= x} = ∅. Poiché l’insieme vuoto non ha elementi, l’affermazione x ∈ ∅ è una esempio di una affermazione che è sempre falsa, non importa quanto valga x. Un’altra notazione comune per l’insieme vuoto si basa sul fatto, già visto sopra, che un insieme può essere scritto elencando i suoi elementi tra parentesi graffe. Poiché l’insieme vuoto non ha elementi, non scriviamo nulla tra parentesi graffe, ovvero ∅ = {}. Notate che {∅} non è una notazione corretta per l’insieme vuoto. Proprio come abbiamo visto prima che 2 e {2} non sono la stessa cosa, neanche ∅ ed {∅} sono la stessa cosa. Il primo è un insieme senza elementi, il secondo è un insieme con un elemento, e questo elemento è l’insieme vuoto. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 33 Esercizi *1. Analizzate la forma logica delle seguenti affermazioni: (a) 3 è un divisore comune di 6, 9 e 15. (Nota: lo avete già fatto nell’esercizio 2. della Sezione 1.1, ma adesso dovreste essere in grado di dare una risposta migliore) (b) x è divisibile per 2 e 3 ma non 4. (c) x ed y sono numeri naturali, ed esattamente uno di essi è primo. 2. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: (a) x e y sono uomini e, o x è più alto di y, o y è più alto di x. (b) O x oppure y ha gli occhi marroni, ed o x oppure y ha i capelli rossi. (c) O x oppure y ha sia gli occhi marroni che i capelli rossi. *3. Scrivere le definizioni usando il test di appartenenza per i seguenti insiemi: (a) { Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno }. (b) { Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, . . . }. (c) { Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, . . . }. 4. Scrivere le definizioni usando il test di appartenenza per i seguenti insiemi: (a) {1, 4, 9, 16, 25, 36, 49, . . .}. (b) {1, 2, 4, 8, 16, 32, 64, . . .}. (c) {10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19}. *5. Semplificare ls seguenti affermazioni. Quali variabili sono libere e quali vincolate? Se l’affermazione non ha variabili libere, dire se è vera o falsa. (a) −3 ∈ {x ∈ R | 13 − 2x > 1} (b) 4 ∈ {x ∈ R− | 13 − 2x > 1}. (c) 5 ∈ / {x ∈ R | 13 − 2x > c}. 6. Semplificare ls seguenti affermazioni. Quali variabili sono libere e quali vincolate? Se l’affermazione non ha variabili libere, dire se è vera o falsa. (a) w ∈ {x ∈ R | 13 − 2x > c}. (b) 4 ∈ {x ∈ R | 13 − 2x ∈ {y | y è un numero primp}}. (Questa affermazione può essere resa più semplice da leggere se indichiamo con P l’insieme {y | y è primo}; usando questa notazione, possiamo riscrivere l’affermazioni di prima come 4 ∈ {x ∈ R | 13 − 2x ∈ P }. (c) 4 ∈ {x ∈ {y | y è primo} | 13 − 2x > 1}. (Usando la stessa notazione di cui sopra, possiamo riscriverla come 4 ∈ {x ∈ P | 13 − 2x > 1}) *7. Quali sono gli insiemi di verità delle seguenti affermazioni? qualche elemento degli insiemi di verità se potete. (a) Elizabeth Taylor è stata sposata con x. (b) x è un connettivo logico studiato nella Sezione 1.1. Elencate CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 34 (c) x è l’autore di questo libro. 8. Quali sono gli insiemi di verità delle seguenti affermazioni? qualche elemento degli insiemi di verità se potete. Elencate (a) x è un numero reale e x2 − 3x + 3 = 0. (b) x è un numero reale e x2 − 2x + 3 = 0. (c) x è un numero reale e 5 ∈ {y ∈ R | x2 + y 2 < 50}. 1.4 Operazioni su Insiemi Supponete che A sia l’insieme di verità di una affermazione P (x) and B è l’insieme di verità di Q(x). Quali sono gli insiemi di verità delle affermazioni P (x) ∧ Q(x), P (x) ∨ Q(x) e ¬P (x)? Per rispondere a queste domande, introduciamo alcune operazioni di base sugli insiemi. Definition 1.4.1. La intersezione di due insiemi A e B è l’insieme A ∩ B definito come segue: A ∩ B = {x | x ∈ A e x ∈ B} . L’unione di A e B è l’insieme A ∪ B definito come segue: A ∪ B = {x | x ∈ A o x ∈ B} . La differenza di A e B è l’insieme A \ B definito come segue: A \ B = {x | x ∈ A e x ∈ / B} . Ricordate che le affermazioni che appaiono in queste definizioni sono test di appartenenza. Cosı̀, per esempio, la definizione di A ∩ B dice che perché un oggetto sia elemento di A ∩ B, deve essere elemento sia di A che di B. In altre parole A ∩ B è l’insieme consistente di tutti gli elementi che A e B hanno in comune. Poiché la parole o è sempre interpretata come o inclusivo in matematica, qualunque che sia elemento di A o di B, o di entrambi, sarà un elemento di A ∪ B. Cosı̀, possiamo pensare ad A ∪ B come l’insieme risultante dal mettere tutti gli elementi di A e di B assieme nello stesso insieme. A \ B è l’insieme che otterreste se partiste da A ed eliminaste qualche elemento presente anche in B. Esempio 1.4.2. Supponete che sia A = {1, 2, 3, 4, 5} e B = {2, 4, 6, 8, 10}. Elencate gli elementi dei seguenti insiemi: 1. 2. 3. 4. 5. A ∩ B. A ∪ B. A \ B. (A ∪ B) \ (A ∩ B). (A \ B) ∪ (B \ A). CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 35 Soluzioni. A ∩ B = {2, 4}. A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10}. A \ B = {1, 3, 5}. Abbiamo già calcolato A∪B e A∩B nelle soluzioni ai punti 1 e 2, pertanto quello che ci rimane da fare è partire dall’insieme A ∪ B della soluzione 2 e rimuovere da esso gli elementi che stanno anche in A ∩ B. La risposta è (A ∪ B) \ (A ∩ B) = {1, 3, 5, 6, 8, 10}. 5. Abbiamo già elencato gli elementi di A \ B nella soluzione al punto 3, e B\A = {6, 8, 10}. Cosı̀, la loro unione è (A\B)∪(B\A) = {1, 3, 5, 6, 8, 10}. È solo una coincidenza che otteniamo esattamente la stessa risposta nel punto 4? 1. 2. 3. 4. Esempio 1.4.3. Supponete che sia A = {x | x è un uomo} e B = {x | x ha i capelli castani}. Cosa sono A ∩ B, A ∪ B e A \ B? Soluzione. Per definizione A ∩ B = {x | x ∈ A e x ∈ B}. Comme abbiamo visto nella sezione precedente, le definizioni di A e B ci dicono che x ∈ A significa la stessa cosa di “x è un uomo” e x ∈ B ha lo stesso significato di “x ha i capelli castani”. Rimpiazzando queste frasi nella definizioni di A ∩ B, otteniamo che A ∩ B = {x | x è un uomo e x ha i capaelli castani}. Ragionamenti simili mostrano che A ∩ B = {x | x è un uomo o x ha i capaelli castani}. e A \ B = {x | x è un uomo e x non ha i capaelli castani}. Talvolta è utile, quando si lavora con operazioni tra insiemi, disegnare delle figure con i risultati di queste operazioni. Una maniera di farlo è con i diagrammi come quello in Figura 1.7, chiamati diagrammi di Venn. L’interno del rettangolo che racchiude il diagramma rappresenta l’universo del discorso U , e l’interno dei due cerchi rappresenta i due insiemi A e B. Altri insiemi formati dalla combinazione di questi insiemi sono rappresentati da differenti regioni nel diagramma. Per esempio, la regione ombreggiata in Figura 1.8 è la regione comune ai due cerchi che rappresentano gli insiemi A e B, e rappresenta pertanto l’insieme A ∩ B. Le Figure 1.9 e 1.10 mostrano le regioni rappresentanti rispettivamente A ∪ B e A \ B. Vediamo ora un esempio di come i diagrammi di Venn ci possono aiutare a capire operazioni tra insiemi complesse. Nell’esempio 1.4.2 gli insiemi (A ∪ B) \ (A ∩ B) e (A \ B) ∪ (B \ A) sono risultati uguali, per quella particolare scelta di A e B. Si può vedere disegnando i diagrammi di Venn di entrambi gli insiemi che non si è trattato di una coincidenza. Entrambi i diagrammi di Venn CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA U 36 U A B A B A∩B Figura 1.7 Figura 1.8 U U A B A B A∪B A\B Figura 1.9 Figura 1.10 appaiono come in Figura 1.11. Pertanto questi insiemi saranno sempre uguali, indipendentemente dal valore di A e B, perché saranno entrambi l’insieme degli oggetti che sono elementi o di A o di B, ma non contemporaneamente di A e B. Questo insieme è chiamato la differenza simmetrica di A e B ed è scritto come A 4 B. In altre parole A 4 B = (A \ B) ∪ (B \ A) = (A ∪ B) \ (A ∩ B). Dopo, in questa stessa sezione, vedremo un’altra spiegazione del perché i due insiemi sono uguali. Torniamo ora alla domanda con cui è iniziata questa sezione. Se A è il l’insieme di verità di P (x) e B e l’insieme di verità di Q(x), allora, come abbiamo visto nella sezione precedente, X ∈ A ha lo stesso significato di P (x) e x ∈ B ha lo stesso significato di Q(x). Pertanto, l’insieme di verità di P (x) ∧ Q(x) è {x | P (x) ∧ Q(x)} = {x | x ∈ A ∧ x ∈ B} = A ∩ B. Ciò dovrebbe apparire sensato. Dice semplicemente che l’insieme di verità di P (x) e Q(x) consiste di quegli elementi che sono comuni agli insiemi di verità di P (x) e di Q(x) — in altre parole, i valori di x che rendono veri sia P (x) che Q(x). Abbiamo già visto un esempio di tutto ciò. Nell’esempio 1.4.3 gli insiemi A e B erano i valori di verità delle affermazioni “x è un uomo” e “x ha i capelli castani”, e A ∩ B è CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 37 U A B (A ∪ B) \ (A ∩ B) = (A \ B) ∪ (B \ A) Figura 1.11 risultato essere l’insieme di verità di “x è un uomo e x ha i capelli castani”. Ragionamenti simili mostrano che l’insieme di verità di P (x) ∨ Q(x) è A ∪ B. Per trovare l’insieme di verità di ¬P (x), dobbiamo tirare in ballo l’universo del discorso U . L’insieme di verità di ¬P (x) consisterà di quegli elementi dell’universo per i quali P (x) è falsa, e possiamo trovare questo insieme partendo da U e rimuovendo da esso quegli elementi per i quali P (x) è vera. Cosı̀, l’insieme di verità di ¬P (x) è U \ A. Queste osservazioni sugli insiemi di verità mostrano il fatto che le operazioni della teoria degli insiemi ∩, ∪ e \ sono correlate alle operazioni logiche ∧, ∨ e ¬. Tutto ciò non dovrebbe sorprendere poiché dopo tutto le parole e, o, not appaiono nella definizione delle operazioni insiemistiche. (La parola non in realtà non appare in maniera esplicita, ma è lı̀, nascosta dal simbolo matematico ∈ / nella definizione di differenza tra due insiemi.) È importante ricordare, tuttavia, che sebbene le operazioni su insiemi e i connettivi logici sono correlati, non sono intercambiabili. I connettivi logici possono essere usati soltanto per combinare affermazioni, mentre le operazioni della teoria degli insiemi devono essere usate per combinare insiemi. Per esempio, se A è l’insieme di verità di P (x) e B è l’insieme di verità di Q(x), allora possiamo dire che A ∩ B è l’insieme di verità di P (x) ∧ Q(x), ma espressioni come A ∧ B oppure P (x) ∩ Q(x) sono completamente prive di significato e non andrebbero mai usate. La relazione tra operazioni della teoria degli insiemi e connettivi logici diventa lampante anche quando analizziamo la forma logica di affermazioni circa l’intersezioni, unione e differenza di insiemi. Per esempi, in accordo alla definizione di intersezione, dire che x ∈ A ∩ B è equivalente a dire x ∈ A ∧ x ∈ B. In maniera simile, dire che x ∈ A ∪ B significa x ∈ A ∨ x ∈ B, e x ∈ A \ B significa x ∈ A∧x ∈ / B, ovvero x ∈ A ∧ ¬(x ∈ B). Possiamo combinare queste regole quando analizziamo affermazioni su insiemi più complessi. Esempio 1.4.4. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: 1. x ∈ A ∩ (B ∪ C). 2. x ∈ A \ (B ∩ C). CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 38 3. x ∈ (A ∩ B) ∪ (A ∩ B). Soluzioni. 1. x ∈ A ∩ (B ∩ C) è equivalente a che è equivalente a 2. x ∈ A \ (B ∩ C) è equivalente a che è equivalente a 3. x ∈ (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) è equivalente a che è equivalente a x ∈ A ∧ x ∈ (B ∪ C) x ∈ A ∧ (x ∈ B ∨ x ∈ C) x ∈ A ∧ ¬(x ∈ B ∩ C) x ∈ A ∧ ¬(x ∈ B ∧ x ∈ C) (definizione di ∩), (definizione di ∪). (definizione di \), (definizione di ∩). x ∈ (A ∩ B) ∨ x ∈ (A ∩ C) (x ∈ A ∧ x ∈ B) ∨ (x ∈ A ∧ x ∈ C) (definizione di ∪), (definizione di ∩). Guardate di nuovo le soluzioni ai punti 1 e 3 dell’Esempio 1.4.4. Dovreste riconoscere che le affermazioni finali di questi due punti sono equivalenti. (Se cosı̀ non è, date un’occhiata alle leggi distributive nella Sezione 1.2.) Questa equivalenza vuol dire che le affermazioni x ∈ A ∩ (B ∪ C) e x ∈ (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) sono equivalenti. In altre parole, gli oggetti che sono elementi di A ∩ (B ∪ C) sono esattamente gli stessi oggetti che sono elementi di (A ∩ B) ∪ (A ∩ C), indipendentemente da quelli che sono gli insiemi A, B e C. Ricordate che insiemi con gli stessi elementi sono uguali, pertanto ne segue che per qualunque insiemi A, B e C, A∩(B ∪C) = (A∩B)∪(A∩C). Un’altro modo di vederlo è con il diagramma di Venn in Figura 1.12. I nostri diagrammi di Venn precedenti avevano due cerchi, perché nei precedenti esempi combinavamo soltanto due insiemi. Questo diagramma di Venn ha tre cerchi, che rappresentano i tre insiemi A, B e C che combiniamo in questo caso. Sebbene sia possibile creare diagrammi di Venn per più di tre insiemi, ciò viene fatto molto di rado, perché non è possibile farlo con cerchi sovrapposti. Per maggiori dettagli sui diagrammi di Venn con più di tre insiemi, vedere l’esercizio 10.. Cosı̀, vediamo che la legge distributiva per i connettivi logici ha portato ad una legge distributiva per le operazioni insiemistiche. Potreste sospettare che poiché ci sono due leggi distributive per i connettivi logici, con ∧ e ∨ che giocano un ruolo opposto nelle due leggi, ci possano essere due leggi distributive pure per le operazioni tra insiemi. La seconda legge distributiva per insiemi dovrebbe dire che, per insiemi qualunque A, B e C, sia A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C). Potete verificarlo voi stessi scrivendo le affermazioni x ∈ A ∪ (B ∩ C) e x ∈ (A ∪ B) ∩ (A ∪ C) usando i connettivi logici e verificando che sono equivalenti, usando la seconda legge distributiva per i connettivi ∧ e ∨. Un’altro modo di vederlo è disegnare un diagramma di Venn. Possiamo derivare un’altra identità tra insiemi trovando una affermazione equivalente alla affermazione con cui abbiamo terminato il punto 2 dell’Esercizio 1.4.4: x ∈ A \ (B ∩ C) CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 39 U A B C A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) Figura 1.12 che che che che è è è è è equivalente equivalente equivalente equivalente equivalente a a a a a x ∈ A ∧ ¬(x ∈ B ∧ x ∈ C) x ∈ A ∧ (x ∈ / B∨x∈ / C) (x ∈ A ∧ x ∈ / B) ∨ (x ∈ A ∧ x ∈ / C) (x ∈ A \ B) ∨ (x ∈ A \ C) x ∈ (A \ B) ∪ (A \ C)) (Esempio 1.4.4), (legge di De Morgan), (legge distributiva), (definizione di \), (definizione di ∪). In questo modo abbiamo mostrato che per tutti gli insiemi A, B e C, A \ (B ∩ C) = (A \ B) ∪ (A \ C). Ancora una volta, potete verificare la correttezza di questa identità anche usando i diagrammi di Venn. Prima abbiamo promesso di mostrare una maniera alternativa per verificare l’identità (A ∪ B) \ (A ∩ B) = (A \ B) ∪ (B \ A). Dovreste aver capito come si possa fare. Prima di tutto, scriviamo la forma logica delle affermazioni x ∈ (A ∪ B) \ (A ∩ B) e x ∈ (A \ B) ∪ (B \ A): x ∈ (A ∪ B) \ (A ∩ B) vuol dire (x ∈ A ∨ x ∈ B) ∧ ¬(x ∈ A ∧ x ∈ B); x ∈ (A \ B) ∪ (B \ A) vuol dire (x ∈ A ∧ x ∈ / B) ∨ (x ∈ B ∧ x ∈ / A). Potete ora verificare, usando le equivalenza della Sezione 1.2, che queste affermazioni sono equivalenti. Una maniera alternativa per verificare le equivalenze è con una tabella di verità. Per semplificare la tabella, usiamo P e Q come abbreviazioni per le affermazioni x ∈ A e x ∈ B. Quindi, bisogna controllare che le formule (P ∨ Q) ∧ ¬(P ∧ Q) sia equivalente a P ∧ ¬Q) ∨ (Q ∧ ¬P ). La tabella di verità in Figura 1.13 verifica l’equivalenza. Definition 1.4.5. Supponiamo che A e B siano insiemi. Diremo che A è un sottoinsieme di B se ogni elemento di A è anche un elemento di B. Scriveremo A ⊆ B per dire che A è un sottoinsieme di B. A e B sono detti disgiunti se non hanno elementi in comune. Notare che ciò è lo stesso di dire che l’insieme degli elementi che hanno in comune è vuoto, ovvero che A ∩ B = ∅. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA P F F T T Q F T F T (P ∨ Q) ∧ ¬(P ∧ Q) F T T F 40 (P ∧ ¬Q) ∨ (Q ∧ ¬P ) F T T F Figura 1.13 Esempio 1.4.6. Supponiamo che siano A = {rosso, verde}, B = {rosso, giallo, verde, viola} e C = {azzurro, viola}. Allora i due elementi di A, rosso e verde, sono anche elementi di B, e pertanto A ⊆ B. Inoltre, A ∩ C = ∅, pertanto A e C sono disgiunti. Se sappiamo che A ⊆ B o che A e B sono disgiunti, possiamo disegnare un diagramma di Venn per A e in B in maniera differente, che rifletta questa informazione. Le Figure 1.14 e 1.15 illustrano questo caso. U B A U A B A⊆B A∩B =∅ Figura 1.14 Figura 1.15 Esattamente come abbiamo mostrato precedentemente che certi insiemi sono sempre uguali, è possibile talvolta mostrare che certi insiemi sono sempre disgiunti, o che un insieme è sempre sottoinsieme di un altro. Per esempio, si può vedere in un diagramma di Venn che gli insiemi A ∩ B e A \ B non si sovrappongono, e pertanto saranno sempre disgiunti per tutti i possibili insiemi A e B. Un altro modo di verificare questa proprietà è quello di scrivere cosa significa che x ∈ (A ∩ B) ∧ (A \ B): x ∈ (A ∩ B) \ (A \ B) significa (x ∈ A ∧ x ∈ B) ∧ (x ∈ A ∧ x ∈ / B), che è equivalente a x ∈ A ∧ (x ∈ B ∧ x ∈ / B). Ma quest’ultima affermazione è ovviamente una contraddizione, cosı̀ l’affermazione x ∈ (A ∩ B) ∩ (A \ B) sarà sempre falsa, qualunque sia il valore di x. In altre parole, non esiste nessun elemento di (A ∩ B) ∩ (A \ B), pertanto deve essere (A ∩ B) ∩ (A \ B) = ∅. Ne segue che A ∩ B e A \ B sono disgiunti. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 41 Teorema 1.4.7. Per tutti gli insiemi A e B, (A ∪ B) \ B ⊆ A. Dimostrazione. Dobbiamo mostrare che se qualcosa è un elemento di (A∪B)\B, allora esso è anche un elemento di A, pertanto supponiamo che x ∈ (A ∪ B) \ B. Questo significa che x ∈ A ∪ B e x ∈ / B o, in altre parole, x ∈ A ∨ x ∈ B e x ∈ / B. Ma notiamo che queste affermazioni hanno le forme logiche P ∧ Q e ¬Q, e questa è precisamente la forma delle premesse del nostro primo esempio di ragionamento deduttivo nella Sezione 1.1. Come abbiamo visto nell’esempio, da queste premesse possiamo concludere che P , ovvero x ∈ A, è vero. Cosı̀, qualunque cosa sia un elemento di (A ∪ B) \ B deve essere anche un elemento di A, ovvero (A ∪ B) \ B ⊆ A. Potreste pensare che una simile rigorosa applicazione delle leggi logiche non sia necessaria per comprendere perché il Teorema 1.4.7 è corretto. L’insieme (A ∪ B) \ B potrebbe essere pensato come il risultato di partire con l’insieme A, aggiungere gli elementi di B, e successivamente rimuoverli di nuovo. Il senso comune suggerisce che il risultato sarà l’insieme originale A: in altre parole, sembra che (A ∪ B) \ B = A. Tuttavia, come vi chiederà di verificare l’esercizio 9., questa conclusione è sbagliata. Questo mostra che in matematica non dovete consentire a un ragionamento impreciso di portarvi a conclusioni errate. Applicare le leggi della logica attentamente, come abbiamo fatto nella prova del Teorema 1.4.7, può aiutarvi ad evitare di saltare a conclusione non fondate. Esercizi *1. Sia A = {1, 3, 12, 35}, B = {3, 7, 12, 20} e C = {x | x è un numero primo}. Elenca gli elementi dei seguenti insiemi. Quali formano coppie di insiemi disgiunti? Quali sono sottoinsiemi di altri? (a) A ∩ B. (b) (A ∪ B) \ C. (c) A ∪ (B \ C). 2. Sia A = {USA, Germania, Cina, Australia}, B = {Germania, Francia, India, Brasile} e C = {x | x è uno stato europeo}. Elenca gli elementi dei seguenti insiemi. Quali formano coppie di insiemi disgiunti? Quali sono sottoinsiemi di altri? (a) A ∪ B. (b) (A ∩ B) \ C. (c) (B ∩ C) \ A. 3. Verifica che i diagrammi di Venn per (A ∪ B) \ (A ∩ B) e (A \ B) ∪ (B \ A) siano entrambi uguali a quello in Figura 1.11 come affermato in questa sezione. *4. Usa i digrammi di Venn per verificare le seguenti identità: • A \ (A ∩ B) = A \ B. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 42 • A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C). 5. Verifica le identità nell’esercizio 4. scrivendo (usando i simboli logici) cosa significa per un oggetto x essere un elemento di ogni insieme ed usando le equivalenze logiche. 6. Usa i diagrammi di Venn per verificare le seguenti identità: (a) (A ∪ B) \ C = (A \ C) ∪ (B \ C). (b) A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) \ (C \ A). 7. Verifica le identità nell’esercizio 6. scrivendo (usando i simboli logici) cosa ignifica per un oggetto x essere un elemento di ogni insieme ed usando le equivalenze logiche. *8. Per ognuno dei seguenti insiemi, scrivi (usando i connettivi logici) cosa significa per un oggetto x essere un elemento di quell’insieme. Successivamente trova quali coppie di insiemi sono uguali, determinando quali formule logiche sono equivalenti. (a) (A \ B) \ C). (b) A \ (B \ C). (c) (A \ B) ∪ (A ∩ C). (d) (A \ B) ∩ (A \ C). (e) A \ (B ∪ C). 9. È stato mostrato in questa sezione che per tutti gli insiemi A e B, (A∪B)\ B ⊆ A. Dare un esempio di due insiemi A e B tali che (A ∪ B) \ B 6= A. *10. È stato affermato in questa sezione che non si può fare un diagramma di Venn per quattro insiemi usando cerchi sovrapposti. (a) Cosa c’è di sbagliato nel seguente diagramma? (Suggerimento: dov’è l’insieme (A ∩ D) \ (B ∪ C) ?) U A B C D (b) Puoi realizzare un diagramma di Venn per quattro insiemi usando forme differenti dai cerchi? 11. (a) Disegna i diagrammi di Venn per gli insiemi (A ∪ B) \ C e A ∪ (B \ C). Cosa si può concludere sul fatto che uno dei due insiemi debba essere necessariamente sottoinsieme dell’altro? CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 43 (b) Dai un esempio di insiemi A, B e C per i quali (A∪B)\C 6= A∪(B\C). *12. Usa i diagrammi di Venn per mostrare che la legge associativa vale per la differenza simmetrica; ovvero, che per tutti gli insiemi A, B e C, A 4 (B 4 C) = (A 4 B) 4 C. 13. Usa il metodo da te preferito per verificare le seguenti identità: (a) (A 4 B) ∪ C = (A ∪ C) 4 (B \ C). (b) (A 4 B) ∩ C = (A ∩ C) 4 (B ∩ C). (c) (A 4 B) \ C = (A \ C) 4 (B \ C). 14. Usa il metodo da te preferito per verificare le seguenti identità: (a) (A ∪ B) 4 C = (A 4 C) 4 (B \ A). (b) (A ∩ B) 4 C = (A 4 C) 4 (A \ B). (c) (A \ B) 4 C = (A 4 C) 4 (A ∩ B). 15. Riempi gli spazi in modo da ottenere delle identità vere. (a) (A 4 B) ∩ C = (C \ A) 4 . (b) C \ (A 4 B) = (A ∩ C) 4 . (c) (B \ A) 4 C = (A 4 C) 4 . 1.5 I connettivi Condizionale e Bicondizionale È tempo adesso di tornare ad una domanda lasciata irrisolta nella Sezione 1.1. Abbiamo visto come il ragionamento nella prima e terza argomentazione dell’Esempio 1.1.1 possa essere compreso analizzando i connettivi ∨ e ¬. Ma cosa si può dire della seconda argomentazione? Ricordiamo che il ragionamento era il seguente. Se oggi è domenica, allora non devo andare a lavoro Oggi è domenica Pertanto non devo andare a lavoro Cosa è che rende questo ragionamento valido? Sembra che le parole cruciali qui siano it e allora, che appaiono nella premessa. Introduciamo pertanto un nuovo connettivo logico, →, e scriviamo P → Q per rappresentare l’affermazione “Se P allora Q”. Questa affermazione è talvolta chiamata affermazione condizionale, con P detto antecedente e Q detto conseguente. Se P sta per “Oggi è domenica” e Q per “Oggi non devo andare a lavoro”, allora la forma logica del ragionamento sarà P →Q P `Q La nostra analisi del nuovo connettivo → deve portare a concludere che questa argomentazione è valida. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 44 Esempio 1.5.1. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: 1. Se sta piovendo e non ho il mio ombrello, allora mi bagnerò. 2. Se Mary ha svolto il compito, l’insegnate lo correggerà, e se non l’ha svolto, l’insegnante le chiederà di farlo alla lavagna. Soluzioni. 1. Usiamo R per “Sta piovendo”, U per ”Ho il mio ombrello” e W per “mi bagnerò”. L’affermazione 1 verrà rappresentata dalla formula (R ∧ ¬U ) → W. 2. Usiamo H per “Mary ha svolto il compito”, C per “l’insegnante correggerà il compito” e B per “l’insegnante chiederà a Mary di svolgerle il compito alla lavagna”. Allora l’affermazione significa (H → ¬C) ∧ (¬H → B). Per analizzare argomentazioni contenenti il connettivo → dobbiamo individuare la tabella di verità per la formula P → Q. Poiché P → Q dovrebbe significare che se P è vera allora anche Q è vera, certamente vogliamo dire che se P è vera e Q è falsa allora P → Q è falsa. Se P è vera e Q è anch’essa vera, sembra ragionevole dire che P → Q è vera. Questo ci da le ultime due righe nella tabella di verità in Figura 1.16. Le restanti due righe della tabella di verità sono più difficili da riempire, sebbene alcune persone possa dire che se P e Q sono entrambe false, allora P → Q debba essere considerata vera. Pertanto, possiamo riassumere le nostre conclusioni fino ad ora con la tabella in Figura 1.16. P F F T T Q F T F T P →Q T? ? F T Figura 1.16 Per aiutarci a riempire le righe indeterminate nella tabella, esaminiamo un esempio. Consideriamo l’affermazione “se x > 2 allora x2 > 4”, che potremmo rappresentare con la formula P (x) → Q(x), dove P (x) sta per l’affermazione x > 2 e Q(x) per l’affermazione x2 > 4. Naturalmente, le affermazioni P (x) e Q(x) contengono la variabile libera x, ed ognuna di esse sarà vera per alcuni valori di x e falsa per altri. Ma sicuramente, non importa quale sia il valore di x, diremmo che è vero che se x > 2 allora x2 > 4, pertanto la formula condizionale P (x) → Q(x) dovrebbe essere vera. Pertanto, la tabella di verità di → dovrebbe essere completata in maniera tale che, non importa quale valore mettiamo per x, l’affermazione condizionale risulti sempre vera. Per esempio, supponiamo x = 3. In questo caso x > 2 e x2 = 9 > 4, cosı̀ P (x) e Q(x) sono entrambe vere. Questo corrisponde alla riga 4 della tabella di verità in Figura 1.16, e abbiamo già deciso di assegnarle il valore di verità T . Ma consideriamo ora il caso x = 1. Allora x < 2 e x2 = 1 < 4, cosı̀ P (x) e Q(x) CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 45 sono entrambe false, come dalla riga 1 della tabella di verità. Avevamo messo una T in via provvisoria su questa riga, e vediamo adesso che questa scelta sembra corretta. Se mettessimo una F qui, allora l’affermazione P (x) → Q(x) risulterebbe falsa per x = 1, mentre abbiamo già convenuto che dovrebbe essere vera per tutti i valori di x. Per finire, consideriamo il caso in cui x = −5. Allora x < 2, quindi P (x) è falso, ma x2 = 25 > 4, quindi Q(x) è vero. Cosı̀, in questo caso ci troviamo nella seconda riga della tabella, e ancora una volta, perché l’affermazione condizionale P (x) → Q(x) sia vera in questo caso, dobbiamo mettere una T in questa riga. Sembra pertanto che tutte le righe in dubbio della tabella in Figura 1.16 debbano essere riempite con T , e la tabella di verità completata per il connettivo → deve essere quella mostrata in Figura 1.17. P F F T T Q F T F T P →Q T T F T Figura 1.17 Naturalmente ci sono molti altri valori di x che possono essere rimpiazzati nell’affermazione “se x > 2 allora x2 > 4” ma, se li provate, scoprirete che conducono tutti alle righe uno, due e quattro della tabella, come nei nostri esempi con x = 1, −5 e 3. Nessun valore di x condurrà alla riga tre, perché non si può mai avere x > 2 e x2 ≤ 4. Dopotutto, questo è proprio il motivo per cui abbiamo detto che l’affermazione “se x > 2 allora x2 > 4” è sempre vera, indipendentemente dal valore di x. Il punto di dire che questa affermazione condizionale è sempre vera è proprio quello di affermare che non troveremo mai un valore di x tale che x > 2 e x2 ≤ 4 — in altre parole, non c’è un valore di x per cui P (x) è vera ma Q(x) è falsa. Cosı̀, è abbastanza sensato che nella tabella di verità di P → Q, l’unica riga falsa è quella per cui P è vera e Q è falsa. Come mostrato dalla tabella di verità in Figura 1.18, la formula ¬P ∨ Q è anche vera in ogni caso eccetto quando P è vera e Q è falsa. Cosı̀, se accettiamo che la tabella di verità in Figura 1.17 è la tabella di verità giusta per la formula P → Q, allora siamo forzati ad accettare la conclusione che P → Q e ¬P ∨ Q siano equivalenti. È tutto ciò consistente con l’uso delle parole se e allora nel linguaggio comune? A prima vista può sembrare di no, ma, almeno per qualche uso se e allora, lo è. Per esempio, immaginate un insegnate dire alla classe, in tono minaccioso ”Non dimenticate i compiti a casa, o fallirete all’esame”. Grammaticalmente questa affermazione ha la forma ¬P ∨ Q dove P è l’affermazione “Voi dimenticherete i compiti a casa” e Q è “Voi fallirete all’esame”. Ma qual è il messaggio che l’insegnante sta provando a veicolare con questa affermazione? Chiaramente il messaggio inteso è “Se dimenticherete i compiti a casa, allora fallirete l’esa- CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA P F F T T Q F T F T 46 ¬P ∨ Q T T F T Figura 1.18 me”, o in altre parole, P → Q. Cosı̀, in questo esempio, l’affermazione ¬P ∨ Q e P → Q vogliono dire la stessa cosa. C’è una idea simile a lavoro nella prima affermazione dell’Esempio 1.1.2, “O John è andato al negozio, o siamo rimasti senza uova”. Nella Sezione 1.1, abbiamo rappresentato questa affermazione con la formula P ∨ Q dove P sta per “John è andato al negozio” e Q per “Siamo rimasti senza uova”. Ma chi ha fatto questa affermazione voleva probabilmente esprimere l’idea che se John non andasse al negozio, allora rimarremmo senza uova, o in altre parole, ¬P → Q. Cosı̀, questo esempio suggerisce che ¬P → Q vuol dire la stessa cosa di P ∨ Q. In effetti, possiamo derivare questa equivalenza dalla precedente sostituendo ¬P per P . Poiché P → Q è equivalente a ¬P ∨ Q, ne segue che ¬P → Q è equivalente a ¬¬P → Q che è equivalente a P ∨ Q per la legge della doppia negazione. Possiamo derivare un’altra utile equivalenza come segue: ¬P ∨ Q è equivalente a che è equivalente a ¬P ∨ ¬¬Q ¬(P ∨ ¬Q) (legge di doppa negazione) (legge di De Morgan). Cosı̀, P → Q è anche equivalente a ¬(P ∧ ¬Q). Infatti, questa è precisamente la conclusione che abbiamo raggiunto precedentemente quando abbiamo discusso l’affermazione “Se x > 2 allora x2 > 4”. Abbiamo decido allora che la ragione per cui questa affermazione per ogni valore di x è che non esiste un valore di x per cui x > 2 e x2 ≤ 4. In altre parole, l’affermazione P (x) ∧ ¬Q(x) non è mai vera, dove come prima P (x) sta per x > 2 e Q(x) per x2 > 4. Ma questo è lo stesso di dire che l’affermazione ¬(P (x) ∧ ¬Q(x)) è sempre vera. Cosı̀, dire che P (x) → Q(x) è sempre vera significa la stessa cosa di dire che ¬(P (x)∧ = 6 Q(x)) è sempre vera. Per un altro esempio di questa equivalenza, considera l’affermazione “Se pioverà, prenderò il mio ombrello”. Naturalmente questa affermazione ha la forma P → Q, dove P sta per l’affermazione “Pioverà” e Q per l’affermazione “Prenderò il mio ombrello”. Ma potremmo anche pensare che questa affermazione sia una dichiarazione del fatto che non verrò beccato dalla pioggia senza il mio ombrello — in altre parole, che ¬(P ∧ ¬Q). Per concludere, abbiamo discusso le seguenti equivalenze che coinvolgono affermazioni condizionali: Leggi condizionali P → Q è equivalente a ¬P ∨ Q. P → Q è equivalente a ¬(P ∧ ¬Q). CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 47 Nel caso non foste ancora convinti che la tabella di verità in Figura 1.17 sia corretta, diamone ancora una ragione in più. Sappiamo che, usando questa tabella, possiamo analizzare la valida di un ragionamento deduttivo che coinvolge le parole se e allora. Scopriremo, se analizziamo semplici ragionamenti, che la tabella di verità in Figura 1.17 porta a conclusioni ragionevoli circa la loro validità. Ma se facciamo dei cambiamento nella tabella di verità, otterremo delle conclusioni che sono senz’altro non corrette. Per esempio, torniamo al ragionamento deduttivo con cui abbiamo iniziato la sezione: P →Q P `Q Abbiamo già deciso che questa forma di ragionamento deve essere valida, a la tabella di verità in Figura 1.19 lo conferma. Le premesse sono entrambe vere solo sulla riga quattro della tabella, e in questa riga la conclusione è anch’essa vera. P F F T T Q F T F T Premesse P →Q P T F T F F T T T Conclusione Q F T F T Figura 1.19 Potete anche vedere dalla Figura 1.19 che entrambe le premesse sono necessarie per rendere questo ragionamento valido. Ma se dovessimo cambiare la tabella di verità per l’affermazione condizionale e rendere P →Q falsa sulla prima riga, allora la seconda premessa del ragionamento non sarebbe più necessaria. Arriveremmo alla conclusione che dalla semplice premessa P →Q possiamo inferire che Q è vera, poiché nelle due righe della tabella di verità in cui la premessa P → Q sarebbe ancora vera, le righe due e quattro, la conclusione Q è anch’essa vera. Ma tutto ciò non sembra corretto. Sapendo soltanto che se P è vero allora Q è vero, senza sapere che P è vero, non sembra ragionevole essere in grado di concludere che Q è vero. Per esempio, supponiamo di sapere che l’affermazione “Se John non p andato al negozio, allora siamo rimasti senza uova” è corretta. A meno che non sappiamo anche se John è andato o no al negozio, non possiamo raggiungere alcuna conclusione circa il fatto di essere rimasti senza uova. Cosı̀, cambiando la prima linea della tabella di verità di P → Q arriveremmo ad una conclusione non corretta circa la validità di un ragionamento deduttivo. Cambiare la seconda riga della tabella di verità porterebbe ancora una volta conclusioni inaccettabili circa la validità di un ragionamento. Per rendersi conto di ciò, consideriamo il seguente ragionamento: CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 48 P →Q Q `P Questa non dovrebbe essere considerata una forma valida di ragionamento. Per esempio, consideriamo il seguente ragionamento che ha la forma di cui sopra: Se Jones è stato condannato per l’omicidio di Smith, allora andrà in prigione Jones andrà in prigione. Pertanto, Jones è stato condannato per l’omicidio di Smith. Anche se le premesse di questi ragionamenti sono vere, la conclusione che Jones è stato condannato per l’omicidio di Smith non ne è conseguenza diretta. Magari Jones è andato in prigione per avere rubato in banca o per avere evaso le tasse. Pertanto, la conclusione di questa argomentazione può essere falsa anche se le premesse sono vere, quindi il ragionamento non è valido. L’analisi con le tabelle di verità in Figura 1.20 si accorda con questa conclusione. Nella riga due della tabella, la conclusione P è falsa, ma entrambe le premesse sono vere, cosı̀ il ragionamento non è valido. Notiamo però che se cambiassimo la tabella di verità di P → Q rendendo falsa la seconda riga, allora dalla tabella di verità risulterebbe che il ragionamento è valido. Pertanto, l’analisi di questo ragionamento sembra supportare la nostra decisione di mettere una T nella seconda riga di P → Q. P F F T T Q F T F T Premesse P →Q Q T F T T F F T T Conclusione P F F T T Figura 1.20 L’ultimo esempio mostra che dalle premesse P → Q e Q non è corretto inferire P . Ma sarebbe certamente corretto inferire P dalle premesse Q → P e Q. Questo mostra che le formule P →Q e Q→P non hanno lo stesso significato. Potete controllarlo costruendo la tabella di verità per entrambe e verificando che sono diverse. Per esempio, una persona potrebbe credere che, in generale, l’affermazione “Se sei condannato per omicidio non sei degno di fiducia” sia vera, senza credere nella affermazione “Se non sei degno di fiducia, allora sei stato condannato per omicidio”. La formula Q → P è chiamata l’opposta di P → Q. È molto importane assicurarsi di non confondere mai una affermazione condizionale con la sua opposta. La contropositiva (o anche contrapposizione) di P →Q è la formula ¬Q→¬P , ed è equivalente a P → Q. Ciò può non apparire ovvio a prima vista, ma lo si può verificare con una tabella di verità. Per esempio, le affermazioni “Se John CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 49 ha incassato l’assegno che ho scritto, allora il mio conto in banca è in rosso” e “Se il mio conto in banca non è in rosso, allora John non ha intascato l’assegno che ho scritto” sono equivalenti. Entrambe sono vere esattamente nelle stesse circostanze, ovvero, se l’assegno che ho scritto è per un ammontare maggiore del mio salda sul conto corrente. L’equivalenza di una affermazione condizionale e della sua contropositiva è usata spesso nel ragionamento matematico. La aggiungiamo alla nostra lista di equivalenze importanti: Legge di contropositività P → Q è equivalente a ¬P → ¬Q. Esempio 1.5.2. Quali delle seguenti affermazioni sono tra loro equivalenti? 1. Se stata o piovendo o nevicando, la partita è stata sospesa. 2. Se la partita non è stata sospesa, allora non sta piovendo e non sta nevicando. 3. Se la partita è stata sospesa, allora sta piovendo o sta nevicando. 4. Se sta piovendo la partita è stata sospesa, e se sta nevicando la partita è stata sospesa. 5. Se non sta né piovendo né nevicando, allora la partita non è stata sospesa. Soluzione. Traduciamo tutte le affermazioni nella notazione della logica, usando le seguenti abbreviazioni: R (rain) sta per l’affermazione “Sta piovendo”, S (snow) per “Sta nevicando” e C (cancelled) per “La partita è stata sospesa”. 1. (R ∨ S) → C. 2. ¬C → (¬R ∧ ¬S). Per una delle leggi di De Morgan, questo è equivalente a ¬C → ¬(R ∨ S). Questa è la contropositiva della formula 1, pertanto è ad essa equivalente. 3. C → (R ∨ S). Questa è l’opposta della formula 1, che non è equivalente ad essa. Potete verificarlo con una tabella di verità, o semplicemente pensando a cosa significano queste affermazioni. L’affermazione 1 vuol dire che pioggia e neve risulteranno nella sospensione della partita. L’affermazione 3 dice che queste sono le sole circostanze per cui la partita è sospesa. 4. (R→C)∧(S→C). Questa è equivalente alla affermazione 1, come mostrato qui sotto: (R → C) ∧ (S → C) è equivalente a che è equivalente a che è equivalente a che è equivalente a (¬R ∨ C) ∧ (¬S ∨ C) (¬R ∧ ¬S) ∨ C ¬(R ∨ S) ∨ C (R ∨ S) → C (legge (legge (legge (legge condizionale), distributiva), di De Morgan), condizionale). Dovreste rileggere le affermazioni 1 e 4 e convincervi che è sensato che esse siano equivalenti. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 50 5. ¬(R ∨ S) → ¬C. Questa è la contropositiva della affermazione 3, pertanto esse sono equivalenti. Non è equivalente alle affermazioni 1, 2, e 4. Affermazioni che vogliono dire P → Q vengono fuori molto spesso in matematica, ma qualche volta esse non sono scritte nella forma “Se P allora Q”. Ecco alcuni modi di esprimere l’idea P → Q che sono spesso usati in matematica: P implica Q. Q, se P . P solo se Q. P è condizione sufficiente per Q. Q è condizione necessaria per P . Alcuni di questi richiedono ulteriori spiegazioni. La seconda espressione “Q, se P ” è soltanto un semplice riarrangiamento della affermazione “Se P allora Q”, pertanto dovrebbe essere evidente che vuol dire P → Q. Come esempio di una affermazione del tipo “P solo se Q’, consideriamo la frase “Puoi essere eletto Presidente della Repubblica solo se sei un cittadino italiano”. In questo caso, P è “Puoi essere eletto Presidente della Repubblica” e Q è “Se un cittadino italiano”. Quello che vuol dire questa affermazione è che se non sei un cittadino, non puoi essere eletto presidente o, in altre parole, ¬Q → ¬P . Ma sappiamo che per la legge di contropositività questa è equivalente a P → Q. Pensate a “P è una condizione sufficiente per Q” come un altro modo di dire “La verità di P è sufficiente a garantire la verità di Q”, e dovrebbe sembrarvi sensato che questo sia rappresentato con P → Q. Infine, “Q è condizione necessaria per P ” significa che perché P sia vera, necessariamente deve essere vera anche Q. Questo significa che se Q non è vera, allora P non può essere vera, o in altre parole, ¬Q → ¬P . Ancora una volta, per contropositività otteniamo P → Q. Esempio 1.5.3. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: 1. 2. 3. 4. Se ci sono almeno dieci persone, allora la lezione si terrà. La lezione si terrà solo se ci sono almeno dieci persone. La lezione si terrà se ci sono almeno dieci persone. Avere almeno dieci persone è una condizione sufficiente perché si tenga la lezione. 5. Avere almeno dieci persone è condizione necessaria perché si tenga la lezione. Soluzioni. Usiamo le lettere T (ten) per “Ci sono almeno dieci persone” ed L per “La lezione si terrà”. 1. T → L. 2. L → T . Questa affermazione vuol dire che se non ci sono almeno dieci persone, allora la lezione non si terrà, ovvero che ¬T → ¬L. Per la legge di contropositività, questo è equivalente a L → T . CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 51 3. T → L. È solo una parafrasi della affermazione 1. 4. T →L. L’affermazione dice che avere dieci persone è sufficiente a garantire che si terrà la lezione, e questo significa che se ci sono almeno dieci persone, allora la lezione si farà. 5. L → T . L’affermazione è lo stesso significato dell’affermazione 2: se non ci sono almeno dieci persone, la lezione non si terrà. Abbiamo già visto che una affermazione condizionale P →Q e la sua opposta Q → P non sono equivalenti. Spesso in matematica si vuole dire che entrambe P → Q e Q → P sono vere, ed è pertanto conveniente introdurre un nuovo simbolo di connettivo, ↔, per esprimere questo fatto. Potete pensare a P ↔ Q semplicemente come una abbreviazione della formula (P → Q) ∧ (Q → P ). Un affermazione come P ↔ Q si chiama affermazione bicondizionale, perché rappresenta due affermazioni condizionali. Costruendo una tabella di verità per (P → Q) ∧ (Q → P ) potete verificare che la tabella di verità per P ↔ Q è quella mostrate in Figura 1.21. Notate che, per la legge di contropositività, P ↔ Q è anche equivalente a (P → Q) ∧ (¬P → ¬Q). P F F T T Q F T F T P ↔Q T F F T Figura 1.21 Poiché Q → P può essere scritta come “P , se Q” e P → Q può essere scritta come “P solo se Q”, P ↔ Q significa “P se Q e P solo se Q“, e questo spesso abbreviato con “P se e solo se Q”. La frase se e e solo se occorre cosı̀ spesso in matematica che c’è una abbreviazione comune per essa, sse (in inglese si usa iff che sta per if and only if ). Cosı̀, P ↔ Q viene generalmente scritto come “P sse Q”. Un’altra affermazione che vuol dire P ↔ Q è “P è condizione necessaria e sufficiente per Q”. Esempio 1.5.4. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni: 1. La partita è sospesa sse sta piovendo o nevicando. 2. Avere almeno dieci persone è condizione necessaria e sufficiente perché la lezione si tenga. 3. Se John è andato al negozio, allora abbiamo delle uova, se non c’è andato non ne abbiamo. Soluzioni. 1. Stia C per “La partita è sospesa”, R per “Sta piovendo” ed S per “Sta nevicando”. Allora l’affermazione è rappresentata dalla formula C ↔ (R ∨ S). CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 52 2. Stia T per “Ci sono almeno dieci persone” ed L per “La lezione si terrà”. Allora l’affermazione significa T ↔ L. 3. Stia S (store) per “John è andato al negozio” ed E (eggs) per “Abbiamo delle uova”. Allora una traduzione letterale dell’affermazione in formule logiche sarebbe (S → E) ∧ (¬S → ¬E). Questa è equivalente a S ↔ E. Una delle ragioni per cui è cosı̀ facile confondere una affermazione condizionale con la sua opposta è che nel linguaggio di tutti i giorni spesso usiamo una affermazione condizionale quando invece ciò che vogliamo esprimere è in realtà un bicondizionale. Per esempio, probabilmente non direste “La lezione si terrà se ci saranno almeno dieci persone” a meno che non è anche vero che, se ci sono meno di dieci persone, la lezione non si terrà. Dopo tutto, perché menzionare il numero dieci, se non è il numero minimo di persone richiesto? Cosı̀, l’affermazione in realtà suggerisce che la lezione si terrà sse ci sono almeno dieci persone. Come altro esempio, supponiamo che i genitori dicano ad un bambino, “Se non mangi la cena, non avrai il dolce”. Se il bambino mangia, si aspetta certamente di ricevere il dolce, sebbene questo non sia in senso strettamente letterale quello che i genitori hanno detto. In altre parole, il bambino interpreta l’affermazione come se fosse stata “Mangiare la cena è condizione necessaria e sufficiente per avere il dolce”. Questa confusione tra il significato di se e sse non è accettabile in matematica. I matematici usano frasi come sse o necessario e sufficiente quando vogliono esprimere una affermazione bicondizionale. Non dovete mai interpretare un affermazione se-allora in matematica come una affermazione bicondizionale, come fareste nel parlato di tutti i giorni. Esercizi *1. Analizzare le forme logiche delle seguenti affermazioni: (a) Se questo gas ha un odore sgradevole oppure non è esplosivo, allora non è idrogeno. (b) Avere sia la febbre che il mal di testa è condizione sufficiente perché George vada dal medico. (c) Sia avere la febbre che avere il mal di testa sono condizioni sufficienti perché George vada dal medico. (d) Se x 6= 2, allora una condizione necessaria perché x sia primo è che x sia dispari. 2. Analizzare le forme logiche delle seguenti affermazioni: (a) Mary venderà la sua casa solo se riesce ad ottenere un buon prezzo e a trovare un bell’appartamento. (b) Avere sia un buona storia creditizia che un adeguato stipendio è condizione necessaria per ottenere un mutuo. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 53 (c) John si ucciderà, a meno che qualcuno lo fermi. (Suggerimento: prima provate a rifrasare questa affermazione usando le parole se e allora invece di a meno che). (d) Se x è divisibile per 4 o per 6, allora non è primo. 3. Analizzare la forma logica della seguente affermazione: (a) Se sta piovendo, allora c’è vento e il sole non sta brillando. Ora analizzare le seguenti affermazioni. Inoltre, per ogni affermazione, determinare se è equivalente allo affermazione (a) o alla sua opposta. (a) C’è vento e il sole non brilla solo se sta piovendo. (b) La pioggia è condizione sufficiente perché ci sia vento e il sole non brilli. (c) La pioggia è condizione necessaria perché ci sia vento e il sole non brilli. (d) Non sta piovendo, se o il sole non brilla o non c’è vento. (e) Il vento è condizione necessaria perché piova, e cosı̀ è anche per la mancanza di luce. (f) O c’è vento solo se sta piovendo, oppure il sole non brilla solo se sta piovendo. *4. Usare le tabelle di verità per determinare se i seguenti ragionamento sono validi. (a) O le vendite o le spese saliranno. Se le vendite saliranno, il capo sarà felice. Se le spese saliranno, il capo non sarà felice. Pertanto, le spese e le vendite non saliranno contemporaneamente. (b) Se il livello di tassazione e il tasso di disoccupazione salgono entrambi, allora ci sarà una recessione. Se il PIL sale, non ci sarà una recessione. Il PIL è il livello tassazione stanno entrambi salendo. Pertanto, il tasso di disoccupazione non sta salendo. (c) La luce di avvertimento si accenderà se e soltanto se la pressione è troppo alta e la valvola di sfogo è bloccata. La valvola di sfogo non è bloccata. Pertanto, la luce di avvertimento si accenderà se e solo se la pressione è troppo alta. 5. (a) Mostrare che P ↔ Q è equivalente a (P ∧ Q) ∨ (¬P ∧ ¬Q). (b) Mostrare che (P → Q) ∧ (P → R) è equivalente a P → (Q ∨ R). *6. (a) Mostrare che (P → R) ∧ (Q → R) è equivalente a (P ∨ Q) → R. (b) Formulare e verificare una simile equivalenza per la formula (P → R) ∨ (Q → R). 7. (a) Mostrare che (P → Q) ∧ (Q → R) è equivalente a (P → R) ∧ [(P ↔ Q) ∨ (R ↔ Q)]. (b) Mostrare che (P → Q) ∨ (Q → R) è una tautologia. CAPITOLO 1. LOGICA ENUNCIATIVA 54 *8. Trovare una formula che utilizza solo i connettivi ¬ e → che sia equivalente a P ∧ Q. 9. Trovare una formula che utilizza solo i connettivi ¬ e → che sia equivalente a P ↔ Q. 10. Quali delle seguenti formule sono equivalenti? (a) P → (Q → R). (b) Q → (P → R). (c) (P → Q) ∧ (P → R). (d) (P ∧ Q) → R. (e) P → (Q ∧ R). Capitolo 2 Logica dei quantificatori 2.1 Quantificatori Abbiamo visto che una affermazione P (x) contenente a variabile libera x può essere vera per aluni valori di x e falsa per altri. Talvolta vogliamo dire qualcosa circa quanti valori di x rendono P (x) vera. In particolare, spesso vogliamo dire che o P (x) è vera per tutti i valori di x o che è vera per almeno un valore di x. Parole come tutti o almeno uno si chiamano quantificatori. Introduciamo anche due simboli, chiamati simboli di quantificazione o, semplicemente, anch’essi quantificatori, per aiutarci ad esprimere queste idee. Per dire che P (x) è vera per ogni valore di x nell’universo del discorso U , scriveremo ∀xP (x). Questo di legge “Per tutti gli x, P(x)”. Potete pensare al simbolo ∀ come un A capovolta che sta per la parola inglese all (tutti). Il simbolo ∀ è chiamato quantificatore universale, perché l’affermazione ∀xP (x) dice che P (x) è universalmente vero. Come discusso nella Sezione 1.3, dire che P (x) è vero per ogni valore di x nell’universo del discorso significa che l’insieme verità di P (x) sarà l’intero universo U . Cosı̀, possiamo pensare all’affermazione ∀xP (x) come una maniera per dire che l’insieme di verità di P (x) è uguale ad U. Scriviamo ∃xP (x) per dire che c’è almeno un valore di x nell’universo per il quale P (x) è vero. Questo si legge “Esiste un x tale che P (x)“. La E alla rovescia viene dalla parola esiste ed è chiamata quantificatore esistenziale. Ancora un volta, potete interpretare questa affermazione come se esprimesse un fatto sull’insieme di verità di P (x). Dire che P (x) è vera per almeno un valore di x significa che c’è un elemento nel suo insieme di verità, o, in altro parole, che l’insieme di verità di P (x) è diverso da ∅. Per esempio, nella Sezione 1.5 abbiamo discusso la frase “Se x > 2 allora x2 > 4”, dove x varia sopra l’insieme dei numeri reali, ed abbiamo affermato che che essa è vera per tutti i valori di x. Possiamo scrivere questa affermazione simbolicamente come ∀x(x > 2 → x2 > 4). Esempio 2.1.1. Cosa significano le seguenti formule? Sono vere o false? 55 CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 56 1. ∀x(x2 ≥ 0), dove l’universo del discorso è R, l’insieme di tutti i numeri reali. 2. ∃x(x2 − 2x + 3 = 0), con l’universo di nuovo pari ad R. 3. ∃x(M (x)∧B(x)) dove l’universo del discorso è l’insieme di tutte le persone, M (x) sta per l’affermazione “x è un uomo”, B(x) per “x ha i capelli castani”. 4. ∀x(M (x) → B(x)), con lo stesso universo e lo stesso significato per M (x) e B(x). 5. ∀xL(x, y), dove l’universo è l’insieme di tutte le persone, ed L(x, y) significa “x ama y”. Soluzioni. 1. Questa significa che per ogni numero reale x, x2 ≥ 0. È vera. 2. Questa significa che c’è almeno un numero reale x che è rende vera l’equazione x2 −2x+3 = 0. In altri termini, l’equazione ha almeno una soluzione reale. Se risolvete l’equazione, scoprirete che questa affermazione è falsa: l’equazione non ha soluzioni reali. (Provate o a completare il quadrato o usare la formula di risoluzione.) 3. C’è almeno una persona x tale che x è un uomo ed x ha i capelli castani. In altri termini, c’è almeno un uomo con i capelli castani. Naturalmente questa affermazione è vera. 4. Per ogni persona x, se x è un uomo allora x ha i capelli castani. In altri termini, tutti gli uomini hanno i capelli castani. Se non siete convinti che questo è quello che dice la formula, più essere d’aiuto tornare a guardare la tabella di verità per il connettivo condizionale. In accordo a questa tabella di verità, l’affermazione M (x) → B(x) è falsa solo se M (x) è vera e B(x) è falsa; ovvero, se x è un uomo e x non ha i capelli castani. Cosı̀, dire che M (x) → B(x) è vero per tutte le persone x significa che questa situazione non si verifica mai, ovvero che non ci sono uomini che non hanno capelli castani. Ma questo è esattamente ciò che significa dire che tutti gli uomini hanno i capelli castani. Naturalmente, questa affermazione è falsa. 5. Per ogni persona x, x ama y. In altre parole, tutti amano y. Non possiamo dire se questo è vero o falso, perché non sappiamo chi è y. Notate che nella quinta affermazione di questo esempio, abbiamo bisogno di sapere chi è y per determinare se l’affermazione è vera o falsa, ma non chi è x. L’affermazione dice che tutti amano y, e questa è una affermazione su y e non su x. Come nel caso degli insiemi, questo vuol dire che y è una variabile libera nell’affermazione, mentre x è vincolata. In maniera simile, sebbene le altre affermazioni contengano la lettera x, non abbiamo avuto bisogno di conoscere il valore di x per determinare il loro valore di verità, perché x è vincolata in tutti i casi. In generale, anche se x è una variabile libera in qualche affermazione P (x), diventa vincolata nelle affermazioni ∀xP (x) e ∃xP (x). Per questa ragione diciamo che i quantificatori legano una variabile. Come nella Sezione 1.3, questo significa che una variabile che è legata da un quantificatore può sempre essere rimpiazzata con una nuova variabile CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 57 senza cambiare il significato dell’affermazione, ed è spesso possibile parafrasare una affermazione senza menzionare per nulla la variabile vincolata. Per esempio, l’affermazione ∀xL(x, y) dell’Esempio 2.1.1 equivalente a ∀wL(w, y), perché entrambe vogliono dire la stessa cosa di “Tutti amano x”. Parole come tutti, qualcuno, qualunque cosa, qualcosa sono spesso usate per esprimere il significato di affermazioni contenenti quantificatori. Se state traducendo una affermazione scritta in italiano sotto forma di simboli, queste parole spesso vi suggeriranno che è necessario adoperare un quantificatore. Come per il simbolo ¬, adotteremo la convenzione che le espressioni ∀x ed ∃x si applicano solo all’affermazione che viene immediatamente dopo di loro. Per esempio, ∀xP (x) → Q(x) significa (∀xP (x)) → Q(x) e non ∀x(P (x) → Q(x)). Esempio 2.1.2. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. • Qualcuno non ha fatto i compiti a casa. • Qualunque cosa in quel negozio è troppo costosa o realizzata male. • Nessuno è perfetto. • Susan ama tutti colori che non amano Joe. • A ⊆ B. • A ∩ B ⊆ B \ C. Soluzioni. 1. La parola qualcuno ci suggerisce che dobbiamo usare un quantificatore esistenziale. Come primo passo, scriviamo ∃x(x non ha fatto i compiti a casa). Ora se usiamo H(x) (homework) come abbreviazione di “x non ha fatto i compiti a casa”, possiamo riscriverla come ∃x¬H(x). 2. Pensate a questa affermazione come se dicesse “Se una cosa è in quel negozio, allora questa cosa è troppo cara o realizzata male”. Cosı̀, partiamo scrivendo ∀x(se x è in quel negozio, allora x è troppo cara o realizzata male). Per scrivere la parte in parentesi in maniera simbolica, usiamo S(x) (shop) per “x è in quel negozio”, O(x) (overpriced) per “x è troppo costosa” e P (x) (poorly made) per “x è realizzata male”. Allora la risposta finale sarà ∀x[S(x) → (O(x) ∨ P (x))]. Notare che, come l’affermazione 4 nell’Esempio 2.1.1, questa affermazione ha la forma di un quantificatore universale applicato ad una affermazione condizionale. Questa forma si trova piuttosto spesso, ed è importante imparare a riconoscere cosa significa e quando deve essere usata. Possiamo controllare la nostra risposta al problema come abbiamo fatto prima, usando la tabella di verità per il connettivo condizionale. L’unica modo per cui l’affermazione S(x) → (O(x) ∨ P (x)) possa essere falsa è che x sia in negozio, e che non sia né troppo cara né fatta male. Cosı̀, dire che questa affermazione è vera per tutti i valori di x significa che questo non accade mai, che è esattamente ciò che significa dire che qualunque cosa nel negozio è troppo cara o fatta male. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 58 3. Questa significa ¬(qualcuno è perfetto) o, in altri termini, ¬∃xP (x), dove P (x) sta per “x è perfetto”. 4. Come nella affermazione 2 in questo esempio, potremmo pensare a questa frase come se significasse “Se una persona non ama Joe, allora Susan ama questa persona (non importa chi sia questa persona)”. Cosı̀, possiamo partire riscrivendo l’affermazione come ∀x (se x non ama Joe allora Susan ama x). Usiamo L(x, y) (love) per “x ama y”. In affermazioni che parlano di elementi specifici dell’universo del discorso, è spesso conveniente introdurre delle lettere per indicare questi elementi. In questo caso dobbiamo parlare di Joe e Susan, pertanto usiamo j per Joe ed s per Susan. Cosı̀, possiamo scrivere L(s, x) per “Susan ama x” e ¬L(x, j) per “x non amato Joe”. Mettendo tutto assieme, otteniamo la risposta ∀x(¬L(x, j) → L(s, x)). Notare che, ancora un volta, abbiamo applicato un quantificatore universale ad una affermazione condizionale. Come prima, potete controllate questa risposta usando le tabelle di verità per il connettivo condizionale. 5. In accordo alla Definizione 1.4.5, dire che A è un sottoinsieme di B significa che qualunque cosa stia in A è anche in B. Se vi siete abituati allo schema con cui vengono combinati il quantificatore universale e l’implicazione, dovreste riconoscere che ciò può essere scritto simbolicamente come ∀x(x ∈ A → x ∈ B). 6. Come nella precedente affermazione, dapprima la riscriviamo come ∀x(x ∈ A ∩ B → x ∈ B \ C). Ora, usando le definizioni di intersezioni e differenza, possiamo espandere la formula ulteriormente per ottenere ∀x(x ∈ A ∧ x ∈ B) → (x ∈ B ∧ x ∈ / C). Sebbene tutti i nostri esempi finora hanno contenuto un solo quantificatore, non c’è ragione per cui una affermazione non ne possa avere più di uno. Per esempio, considera la affermazione “Alcuni studenti sono sposati”. La parola alcuni indica che questa affermazione dovrebbe essere scritta usando un quantificatore esistenziale, cosı̀ possiamo pensare che abbia la forma ∃x (x è uno studente ed x è sposato). Usiamo S(x) per “x è uno studente”. In maniera analoga, potremmo usare un’altra lettera al posto di “x è sposato”, ma forse una analisi migliore si ottiene riconoscendo che essere spostati vuol dire essere sposati con qualcuno. Cosı̀, se indichiamo con M (x, y) l’affermazione “x è spostato con y”, possiamo scrivere “x è sposato” come ∃yM (x, y). L’intera affermazione può allora essere rappresentata dalla formula ∃x(S(x) ∧ ∃yM (x, y)), che contiene due quantificatori esistenziali. Come ulteriore esempio, analizziamo l’affermazione “Tutti i genitori sono sposati”. Iniziamo scrivendola come ∀x (se x è un genitore allora x è sposato). La genitorialità, come il matrimonio, è una relazione tra due persone; essere genitori significa essere il genitore di qualcuno. Cosı̀, potrebbe essere meglio rappresentare l’affermazione “x è un genitore” con la formula ∃yP (x, y), dove P (x, y) vuol dire “x è un genitore (parent) di y”. Se di nuovo rappresentiamo “x è sposato” con ∃yM (x, y), allora la nostra analisi dell’affermazione originale sarà ∀x(∃yP (x, y) → ∃yM (x, y)). Sebbene questa non sia sba- CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 59 gliata, il doppio uso della variabile y potrebbe causare confusione. Forse una soluzione migliore è rimpiazzare la formule ∃yM (x, y) con quella equivalente ∃zM (x, z). (Ricordiamo che queste sono equivalenti perché una variabile vincolata in una affermazione può essere rimpiazzata con con un’altra senza cambiare il significato della affermazione.) La nostra analisi migliorata sarebbe allora ∀x(∃yP (x, y) → ∃zM (x, z)). Esempio 2.1.3. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. 1. Tutti nel dormitorio hanno un compagno di stanza che non gradiscono. 2. A nessuno piace un attaccabrighe. 3. Chiunque abbia un amico che ha il morbillo deve essere posto in quarantena. 4. Se chiunque nel dormitorio ha un amico che ha il morbillo, allora tutti nel dormitorio devono essere posti in quarantena. 5. Se A ⊆ B, allora A e C \ B sono disgiunti. Soluzioni. 1. Questa significa ∀x (se x vive nel dormitorio allora x ha un compagno di stanza che non gradisce). Per dire che x ha un compagno di stanza che non gradisce, potremmo scrivere ∃y (y ed x sono compagni di stanza ed x non gradisce y). If usiamo R(x, y) per “x ed y sono compagni di stanza (roommates)” ed L(x, y) per “x gradisce (likes) y”, allora questo diventa ∃y(R(x, y) ∧ ¬L(x, y)). Infine, se D(x) sta per “x vive nel dormitorio”, allora l’analisi completa della affermazione originale sarà ∀x∃y(R(x, y) ∧ ¬L(x, y)). 2. Questa affermazione contiene un tranello, perché la frase un attaccabrighe non si riferisce ad un particolare attaccabrighe ma a tutti gli attabrighe. La frase vuol dire che tutti gli attaccabrighe sono sgraditi o, in altre parole, ∀x (se x è un attaccabrighe allora nessuno gradisce x). Per dire che nessuno gradisce x scriviamo ¬ (qualcuno gradisce x), che vuol dire ¬∃yL(y, x) dove L(y, x) vuol dire “y gradisce (likes) x”. Se adoperiamo W (x) per “x è un attaccabrighe (wrangler)”, allora l’intera affermazione può essere scritta come ∀x(W (x) → ¬∃yL(y, x)). 3. Avrete probabilmente capito ormai che è generalmente più semplice tradurre dall’italiano ai simboli in passi successivi, un pezzetto alla volta. Ecco i passi che potremmo utilizzare per tradurre questa affermazione. (i) ∀x (se x ha un amico che ha il morbillo allora x deve essere posto in quarantena) (ii) ∀x[∃y (y è un amico di x e y ha il morbillo) → x deve essere posto in quarantena] Ora, usando F (y, x) per “y è amico (friend) di x”, M (y) per “y ha il morbillo” e Q(x) per “x deve essere posto in quarantena”, otteniamo: (iii) ∀x[∃y(F (y, x) ∧ M (y)) → Q(x)]. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 60 4. La parola chiunque è difficile da interpretare, perché vuol dire cose differenti in contesti differenti. Nella affermazione 3, voleva dire tutti coloro che, ma in questa affermazione vuol dire qualcuno. Ecco i passi dell’analisi: (i) (Qualcuno nel dormitorio ha un amico che ha il morbillo) → (Tutti nel dormitorio devono essere posti in quarantena). (ii) ∃x (x vive nel dormitorio e x ha un amico che ha il morbillo) → ∀z (se z vive nel dormitorio allora z deve essere posto in quarantena). Usando le stesse abbreviazioni dell’affermazione precedente e usando D(x) per “x vive nel dormitorio”, otteniamo la seguente formula: (iii) ∃x[D(x) ∧ ∃y(F (y, x) ∧ M (y))] → ∀z(D(z) → Q(z)) 5. Chiaramente la risposta avrà la forma di una affermazione condizionale (A ⊆ B) → (A e B sono disgiunti). Abbiamo già scritto A ⊆ B simbolicamente nell’Esempio 2.1.2. Dire che A e B \ C sono disgiunti significa che non hanno elementi in comune, o in altre parole ¬∃x(x ∈ A ∧ x ∈ C \ B). Mettendo tutto assieme, ed esplicitando la definizione di C \ B, otteniamo ∀x(x ∈ A → x ∈ B) → ¬∃x(x ∈ A ∧ x ∈ C ∧ x ∈ / B). Quando una affermazione contiene più di un quantificatore è spesso difficile capire cosa significa e se è vero o falso. Può essere meglio, in questi casi, pensare ai quantificatori uno alla volta, in ordine. Per esempio, consideriamo l’affermazione ∀x∃y(x + y = 5), dove l’universo del discorso è l’insieme di tutti i numeri reali. Concentrandoci inizialmente sul primo quantificatore ∀x, vediamo che l’affermazione vuol dire che, per tutti i numeri reali x, l’affermazione ∃y(x + y = 5) è vera. Ci preoccuperemo dopo di cosa vuol dire ∃y(x + y = 5); pensare a due quantificatori nello stesso momento rischia di far confondere. Se vogliamo capire se è vero o no che ∃y(x + y = 5) è vero per tutti i valori di x, ci può aiutare provare alcuni valori di x. Per esempio, supponiamo x = 2. Allora dobbiamo determinare se l’affermazione ∃y(2 + y = 5) è vera. Ora è il momento di pensare al nuovo quantificatore, ∃y. Questa affermazione dice che c’è almeno un valore di y per il quale l’equazione 2 + y = 5 vale. In altre parole, l’equazione 2 + y = 5 ha almeno una soluzione. Naturalmente questo è vero, perché l’equazione ha soluzione y = 5−2 = 3. Cosı̀, l’affermazione ∃y(2+y) = 5 è vera. Proviamo ora un altro valore di x. Se x = 7, allora siamo interessati all’affermazione ∃y(7 + y = 5), che dice che l’equazione 7 + y = 5 ha almeno una soluzione. Ancora una volta questo è vero, poiché la soluzione è y = 5 − 7 = −2. In effetti, avrete probabilmente realizzato a questo punto che non importa quale valore mettiamo per x, l’equazione x+y = 5 avrà sempre la soluzione y = 5−x, cosicché l’affermazione ∃y(x + y = 5) sarà vera. Pertanto, l’affermazione originale ∀x∃y(x + y = 5) è vera. D’altro canto, l’affermazione ∃y∀x(x + y = 5) significa una cosa totalmente diversa. Questa affermazione vuol dire che c’è almeno un valore di y per il quale l’affermazione ∀x(x + y = 5) è vera. Possiamo trovare questo valore di y? Supponiamo, per esempio, di provare con y = 4. Dobbiamo allora determinare CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 61 se è vero o no che l’affermazione ∀x(x + 4 = 5) è vera. Questa vuol dire che non importa cosa mettiamo in x, l’equazione x+4 = 5 vale sempre, e ciò è certamente falso. In effetti, nessun valore di x diverso da x = 1 risolve l’equazione. Cosı̀, l’affermazione ∀x(x + 4 = 5) è falsa. Abbiamo visto che quando y = 4 l’affermazione ∀x(x + y = 5) è falsa, ma magari qualche altro valore per y potrebbe funzionare. Ricordate che stiamo tentando di determinare se c’è almeno un valore di y che funziona. Proviamo ancora una volta, diciamo con y = 9. Allora dobbiamo considerare l’affermazione ∀x(x+9 = 5), che ci dice che l’equazione x+9 = 5 è verificata indipendentemente dal valore di x. Ancora una volta questa affermazione è falsa, perché soltanto x = −4 verifica l’equazione. In effetti, dovrebbe essere chiaro ormai che non importa quale valore scegliamo per y, l’equazione x + y = 5 sarà vera solo per un singolo valore di x, ovvero x = 5 − y, pertanto l’affermazione ∀x(x + y = 5) sarà falsa. Pertanto non ci sono valori di y per i quali ∀x(x + y = 5) è vera, e quindi l’affermazione ∃y∀x(x + y = 5) è falsa. Notare che abbiamo verificato che l’affermazione ∀x∃y(x + y = 5) è vera, ma ∃y∀x(x + y = 5) è falsa. Sembra che l’ordine dei quantificatori sia importante! Cosa è responsabile di questa differenza? La prima affermazione dice che per ogni numero reale x esiste un numero reale y tale che x + y = 5. Per esempio, quando abbiamo provato x = 2 abbiamo trovato che y = 3 risolve l’equazione x + y = 5, e con x = 7, y = −2 ha funzionato. Notate che per differenti valori di x, abbiamo usato differenti valori di y per verificare l’equazione. Potreste pensare che questa affermazione dica che per ogni numero reale x esiste un corrispondente numero reale y (che dipende da x) tale che x + y = 5. D’altro canto, quando abbiamo analizzato l’affermazione ∃y∀x(x+y = 5) ci siamo messi a cerca un singolo valore di y che rendesse vera l’equazione x + y = 5 per tutti i valori di x, e questo è risultato essere impossibile. Per ogni valore di x c’è un corrispondente valore di y che rende vera l’equazione, ma non c’è un singolo valore di y che va bene per tutti gli x. Come ulteriore esempio, consideriamo l’affermazione ∀x∃yL(x, y) dove l’universo del discorso è l’insieme delle persone e L(x, y) significa “x ama y”. Questa affermazione dice che per ogni persona x, l’affermazione ∃yL(x, y) è vera. Ora, ∃yL(x, y) potrebbe essere scritta come “x ama qualcuno”, cosı̀ l’affermazione originale significa che per ogni persona x, x ama qualcuno. In altre parole, tutti amano qualcuno. D’altro canto, ∃y∀xL(x, y) significa che c’è una persona y tale che ∀xL(x, y) è vera. Come abbiamo visto nell’Esempio 2.1.1, ∀xL(x, y) vuol dire “Tutti amano y”, cosı̀ ∃y∀xL(x, y) significa che c’è una persona che è amata da tutti. Le due affermazioni non vogliono dire la stessa cosa. Può essere che tutti amino qualcuno, ma che non ci sia una persona amata da tutti. Esempio 2.1.4. Cosa vogliono dire le seguenti affermazioni? Sono vere o false? L’universo del discorso è in tutti i casi N, l’insieme dei numeri naturali. 1. ∀x∃y(x < y). 2. ∃y∀x(x < y). 3. ∃x∀y(x < y). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 62 4. ∀y∃x(x < y). 5. ∃x∃y(x < y). 6. ∀x∀y(x < y). Soluzioni. 1. Questo significa che per ogni numero naturale x, l’affermazione ∃y(x < y) è vera. In altre parole, per ogni numero naturale x, c’è un numero naturale più grande di x. Questo è vero. Per esempio, x + 1 è più grande di x. 2. Questo significa che c’è qualche numero naturale y tale che l’affermazione ∀x(x < y) è vera. In altre parole, c’è un numero naturale y tale che tutti i numeri naturali sono più piccoli di y. Questo è falso. Non importa quale numero naturale y scegliamo, ci saranno sempre numeri naturali più grandi. 3. Questo significa che c’è un numero naturale x tale che l’affermazione ∀y(x < y) è vera. Potreste essere tentati di dire che questa affermazione è vera se x = 0, ma è sbagliato. Poiché 0 è il più piccolo numero naturale, l’affermazione 0 < y è vera per tutti i valori di y con l’eccezione di y = 0. Se y = 0, l’affermazione 0 < y è falsa, e pertanto ∀y(0 < y) è falso. Ragionamenti simili mostrano che qualunque sia il valore di x, l’affermazione ∀y(x < y) è falsa, quindi ∃x∀y(x < y) è falsa anch’essa. 4. Questo significa che per ogni numero naturale y , c’è un numero naturale più piccolo di y. Questo è vero per ogni numero naturale y eccetto y = 0, poiché non c’è nessun numero naturale più piccolo di 0. Pertanto questa affermazione è falsa. 5. Questo significa che c’è almeno un numero naturale x tale che ∃y(x < y) è vera. Ma come abbiamo visto nella prima affermazione, quest’ultima è vera per ogni numero naturale x, pertanto è certamente vera per un almeno un numero. Cosı̀, ∃x∃y(x < y) è vera. 6. Questo significa che per ogni numero naturale x, l’affermazione ∀y(x < y) è vera. Ma come abbiamo visto nella terza affermazione, non c’è neanche un singolo valore di x per il quale questa affermazione è vera. Cosı̀, ∀x∀y(x < y) è falsa. Esercizi *1. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. (a) Chiunque ha perdonato almeno una persona è un santo. (b) Nessuno nella classe di analisi è più intelligente di tutti quelli della classe di matematica discreta. (c) Tutti amano Mary, eccetto Mary stessa. (d) Jane ha visto un poliziotto, e anche Roger ne ha visto uno. (e) Jane ha visto un poliziotto, e anche Roger l’ha visto. 2. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 63 (a) Chiunque abbia comprato una Rolls Royce in contanti deve avere uno zio ricco. (b) Se qualcuno nel dormitorio ha il morbillo, allora chiunque ha un amico nel dormitorio sarà soggetto a quarantena. (c) Se nessuno ha fallito il test, allora tutti quelli che hanno ottenuto una A faranno da tutor a qualcuno cha ottenuto una D. (d) Se qualcuno può farlo, Jones può. (e) Se Jones può farlo, chiunque può farlo. 3. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. L’universo del discorso è R. Quali sono le variabili libere in ogni affermazione? (a) Ogni numero che è più grande di x è più grande di y. (b) Per ogni numero a, l’equazione ax2 + 4x − 2 = 0 ha almeno una soluzione sse a ≥ −2. (c) Tutte le soluzioni della disequazione x3 − 3x < 3 sono più piccolo di 10. (d) Se c’è un numero x tale che x2 + 5x = w e c’è un numero y tale che 4 − y 2 = w, allora w è compreso tra −10 e 10. *4. Tradurre le seguenti affermazioni in italiano idiomatico. (a) ∀x[(H(x)∧¬∃yM (x, y))→U (x)], dove H(x) significa “x è un uomo”, M (x, y) significa “x è sposato con y” e U (x) significa “x è infelice”. (b) ∃z(P (z, x) ∧ S(z, y) ∧ W (y)), dove P (z, x) significa “z è un genitore di x”, S(z, x) significa “z ed x sono fratelli” e W (y) significa “y è una donna”. 5. Tradurre le seguenti affermazioni in italiano idiomatico. (a) ∀x[(P (x) ∧ ¬(x = 2)) → O(x)], dove P (x) significa “x è un numero primo” e O(x) significa “x è dispari”. (b) ∃x[P (x) ∧ ∀y(P (y) → y ≤ x)] dove P (x) significa “x è un numero perfetto”. 6. Queste affermazioni sono vere o false? L’universo del discorso è l’insieme di tutte le persone, e P (x, y) significa “x è un genitore (parent) di y”. (a) ∃x∀yP (x, y). (b) ∀x∃yP (x, y). (c) ¬∃x∃yP (x, y). (d) ∃x¬∃yP (x, y). (e) ∃x∃y¬P (x, y). *7. Queste affermazioni sono vere o false? L’universo del discorso è N. (a) ∀x∃y(2x − y = 0). (b) ∃y∀x(2x − y = 0). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 64 (c) ∀x∃y(x − 2y = 0). (d) ∀x(x < 10 → ∀y(y < x → y < 9)). (e) ∃y∃z(y + z = 100). (f) ∀x∃y(y > x ∧ ∃z(y + z = 100)). 8. Come l’esercizio 7, ma con R come universo del discorso. 9. Come l’esercizio 7,x ma con Z come universo del discorso. 2.2 Equivalenze che Coinvolgono i Quantificatori Nel nostro studio dei connettivi logici nel Capitolo 1 abbiamo trovato utile esaminare le equivalenze tra formule differenti. In questa sezione vedremo che c’è un certo numero di equivalenze importanti che coinvolgono i quantificatori. Per esempio, nell’Esempio 2.1.2 abbiamo rappresentano l’affermazione “Nessuno è perfetto” con la formula ¬∃xP (x), dove P (x) significa “x è perfetto”. Ma un’altra maniera di esprimere la stessa idea sarebbe dire che tutti falliscono nell’essere perfetti, o in altre parole, ∀x¬P (x). Questo suggerisce che queste due formule siano equivalenti, e qualche riflessione dovrebbe portarci alla conclusione che in effetti lo sono. Non importa che cosa P (x) voglia dire, la formula ¬∃P (x) significa che non c’è nessun valore di x nell’universo del discorso che rende vero P (x). Ma questo è lo stesso di dire che per ogni valore di x nell’universo, P (x) è falso, o in altri termini, ∀x¬P (x). Cosı̀ ¬∃P (x) è equivalente a ∀x¬P (x). Ragionamenti simili mostrano che ¬∀xP (x) è equivalente a ∃x¬P (x). Dire che ¬∀xP (x) significa che non succede che per tutti i valori di x, P (x) sia vero. Questo è equivalente a dire che c’è almeno un valore di x per cui P (x) è falso, che è appunto il significato di ¬∃xP (x). Nell’Esempio 2.1.2 abbiamo tradotto “Qualcuno non ha fatto i compiti a casa” come ∃x¬H(x), dove H(x) sta per “x ha fatto i compiti a casa (homework)”. Una affermazione equivalente sarebbe “Non tutti hanno fatto i compiti a casa“, che sarebbe rappresentato dalla formula ¬∀xH(x). Cosı̀ abbiamo le seguenti due legge che coinvolgono la negazione e i quantificatori: Leggi di negazione dei quantificatori ¬∃xP (x) è equivalente a ∀x¬P (x) ¬∀xP (x) è equivalente a ∃x¬P (x). Combinando queste due leggi con le leggi di De Morgan e altre equivalenze che coinvolgono i connettivi logici, possiamo spesso riscrivere una affermazione negativa in una affermazione positiva equivalente, più facile da capire. Ciò si rivelerà una abilità importante quando inizieremo a lavorare con affermazioni negative nelle dimostrazioni. Esempio 2.2.1. Nega queste affermazioni ad esprimi il risultato sotto forma di una affermazione positiva equivalente. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 65 1. A ⊆ B. 2. Tutti hanno un parente che non amano. Soluzioni. 1. Sappiamo già che A ⊆ B significa ∀x(x ∈ A→x ∈ B). Per esprimere la negazione di questa affermazione sotto forma di una equivalente affermazione positiva, ragioniamo come segue: ¬∀x(x ∈ A → x ∈ B) è equivalente a che è equivalente a che è equivalente a ∃x¬(x ∈ A → x ∈ B) ∃x¬(x ∈ / A ∨ x ∈ B) ∃x(x ∈ A ∧ x ∈ / B) (legge di neg. dei quantif.), (legge condizionale), (legge di De Morgan). Cosı̀, A 6⊆ B significa la stessa cosa di ∃x(x ∈ A ∧ x ∈ / B). Se ci pensate, dovrebbe sembrarvi sensato. Dire che A non è sottoinsieme di B vuol dire che c’è qualcosa in A che non sta in B. 2. Prima di tutto, scriviamo l’affermazione originale in maniera simbolica. Dovreste esser in grado di controllare che se usiamo R(x, y) per “x ed y sono parenti (relatives)” e L(x, y) per “x ama y”, allora l’affermazione originale diventa ∀x∃y(R(x, y) ∧ ¬L(x, y)). Ora neghiamola e proviamo a trovare una forma positiva equivalente ma più semplice: ¬∀x∃y(R(x, y) ∧ ¬L(x, y)) è equivalente a ∃x¬∃y(R(x, y) ∧ ¬L(x, y)) che è equivalente a ∃x∀y¬(R(x, y) ∧ ¬L(x, y)) che è equivalente a ∃x∀y(¬R(x, y) ∨ L(x, y)) che è equivalente a ∃x∀y(R(x, y) → L(x, y)) (legge (legge (legge (legge di neg. dei quantif.), di neg. dei quantif.), di De Morgan), condizionale). Traduciamo questa formula in italiano colloquiale. Lasciando stare per il momento il primo quantificatore, la formula ∀y(R(x, y)→L(x, y)) significa che per ogni persona y, se x è imparentato con y, allora x ama y. In altre parole, x ama tutti i suoi parenti. Aggiungendo ∃x all’inizio, otteniamo l’affermazione “C’è qualcuno che ama tutti i suoi parenti”. Prendi un minuto per convincerti che questo è veramente equivalente alla negazione della affermazione originale “Tutti hanno un parente che non amano”. Per un altro esempio di come le leggi di negazione dei quantificatori possano aiutarci nel capire le affermazioni, considera la frase “Tutti coloro che Patrizia ama, Sue non li ama”. Se usiamo L(x, y) per “x ama (loves) y”, p per Patrizia e s per Sue, allora questa affermazione sarebbe rappresentata dalla formula ∀x(L(p, x) → ¬L(s, x)). Ora possiamo cercare una formula equivalente come segue: ∀x(L(p, x) → ¬L(s, x)) è equivalente a ∀x(¬L(p, x) ∨ ¬L(s, x)) che è equivalente a ∀x¬(L(p, x) ∧ L(s, x)) che è equivalente a ¬∃x(L(p, x) ∧ L(s, x)) (legge condizionale), (legge di De Morgan), (legge di neg. dei quantif.). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 66 Traducendo la formula in italiano, otteniamo l’affermazione “Non c’è nessuno amato sia da Patricia che da Sue”, e questa significa la stessa dell’affermazione da cui siamo partiti. Abbiamo visto nella Sezione 2.1 che invertire l’ordine dei quantificatori può cambiare il significato di una affermazione. Tuttavia, se i quantificatori sono dello stesso tipo (entrambi ∀ o entrambi ∃), risulta che l’ordine può essere invertito senza cambiare il significato della formula. Per esempio, considera l’affermazione “Qualcuno ha un insegnate che più giovane di lui”. Per riscriverla simbolicamente, scriviamo dapprima ∃x (x ha un insegnante che è più giovane di x), Ora, per dire “x ha un insegnate che è più giovane di x” scriviamo ∃y(T (y, x) ∧ P (y, x)) dove T (y, x) vuol dire “y insegna ad x” e P (y, x) significa “y è più giovane di x”. Mettendo tutto assieme, l’affermazione originale sarà rappresentata dalla formula ∃y∃x(T (y, x) ∧ P (y, x)). Ora, cosa accade se scambio l’ordine dei quantificatori? In altre parole, cosa significa la formula ∃y∃x(T (y, x) ∧ P (y, x)) ? Dovreste essere capaci di convincervi che questa formula vuol dire che c’è una persona y che è un insegnante di qualcuno che più vecchio di y. In altre parole, qualcuno è insegnate di una persona più vecchia di lui. Ma ciò è vero esattamente nelle stesse circostanze in cui è vera l’affermazione originale, “Qualcuno ha un insegnato che è più giovane di lui”!. Entrambi vogliono dire che ci sono persone x ed y tali che y è un insegnante di x ed y è più giovane di x. In maniera simile, due quantificatori universali in fila possono sempre essere scambiati senza alterare il significato della formula, perché ∀x∀y e ∀y∀x possono entrambi essere pensati come l’affermazione “per tutti gli oggetti x ed y, . . . ”. Per esempio, consideriamo la formula ∀x∀y(L(x, y) → A(x, y)) dove L(x, y) sta per “x ama y” e A(x, y) sta per “x ammira y”. Potete pensare a questa formula come “Per tutte le persone x ed y, se x ama y allora x ammira y”. In altre parole, le persone ammirano sempre coloro che amano. La formula ∀y∀x(L(x, y) → A(x, y)) vuol dire esattamente la stessa cosa. È importante comprendere che quando parliamo di oggetti x ed y, non stiamo escludendo la possibilità che x ed y siano lo stesso oggetto. Per esempio, la formula ∀x∀y(L(x, y) → A(x, y)) significa non solo che una persona che ama un’altra persona ammira quell’altra persona, ma anche che le persone che amano se stesse ammirano se stesse. Come ulteriore esempio, supponiamo di voler scrivere la formula “x è bigamo” (naturalmente, x sarà una variabile libera nella formula). Potreste pensare di poter esprimere questo fatto con la formula ∃y∃z(M (x, y) ∧ M (x, z)) dove M (x, y) sta per “x è spostato (married) con y”. Ma per dire che x è bigamo, dovete dire che ci sono due differenti persone con cui x è sposato, e questa formula non dice che y e z sono diversi. La risposta corretta è ∃y∃z(M (x, y) ∧ M (x, z) ∧ y 6= z). Esempio 2.2.2. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. 1. Tutte le coppie sposate litigano. 2. Tutti amano almeno due persone. 3. John ama esattamente una persona. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 67 Soluzioni. 1. ∀x∀y(M (x, y) → F (x, y)), dove M (x, y) vuol dire “x è sposato con y” e F (x, y) vuol dire “x ed y litigano (fight)”. 2. ∀x∃y∃z(L(x, y) ∧ L(x, z) ∧ y 6= z) dove L(x, y) sta per “x ama y”. Nota che l’affermazione vuol dire che tutti amano almeno due persone differenti, pertanto sarebbe scorretto non mettere y 6= z alla fine. 3. Usiamo L(x, y) per “x ama y”, e j per John. Traduciamo la frase in simboli gradualmente: (i) ∃x (Johm ama x e John non ama nessun altro che x). (ii) ∃x(L(j, x) ∧ ¬∃y(John ama y e y 6= x). (iii) ∃x(L(j, x) ∧ ¬∃y(L(j, y) ∧ y 6= x). Notate che per la terza affermazione in questo esempio non avremmo potuto dare la risposta ∃xL(j, x), perché quest’ultima vuol dire che John ama almeno una persona, non esattamente una persona. La frase esattamente uno occorre cosı̀ spesso in matematica che c’è una notazione speciale per essa. Scriveremo ∃!xP (x) per rappresentare l’affermazione “C’è esattamente un valore di x tale che P (x) è vera”. Talvolta la si legge anche con “Esiste un unico x tale che P (x)”. Per esempio, la terza affermazione nell’Esempio 2.2.2 potrebbe essere scritta simbolicamente come ∃!xL(j, x). In effetti, dobbiamo pensare a quest’ultima versione semplicemente come una abbreviazione della formula data nell’Esempio 2.2.2 come risposta all’affermazione 3. In maniera simile, in genere dobbiamo pensare a ∃!xP (x) come abbreviazione di ∃x(P (x) ∧ ¬∃y(P (y) ∧ y 6= x)). Ricordate che quando stavamo discutendo la teoria degli insiemi, abbiamo trovato utile talvolta scrivere l’insieme di verità di P (x) come {x ∈ U | P (x)} piuttosto che {x | P (x)}, per rendere evidente quale fosse l’universo del discorso. In maniera simile, invece di scrivere ∀xP (x) per indicare che P (x) è vero per ogni valore di x nell’universo U , potremmo scrivere ∀x ∈ U P (x). Questa si legge “Per ogni x in U , P (x)”. In maniera simile, possiamo scrivere ∃x ∈ U P (x) per dire che c’è almeno un valore di x nell’universo U tale che P (x) è vera. Per esempio, l’affermazione ∀x(x ≥ 0) sarebbe falsa se l’universo del discorso fossero i numeri reali, ma sarebbe vera se fossero i numero naturali. Possiamo evitare la confusione quando si discutono queste affermazioni scrivendo o ∀x ∈ R(x ≥ 0) o ∀x ∈ N(x ≥ 0) in modo rendere chiaro cosa intendiamo. Come con gli insiemi, qualche volta usiamo questa notazione non per specificare l’universo del discorso ma per restringere l’attenzione a un sottoinsieme dell’universo. Per esempio, se il nostro universo del discorso è l’insieme dei numeri reali e vogliamo dire che qualche numero reale x ha una radice quadrata, potremmo scrivere ∃y(y 2 = x). Per dire che ogni numero reale positivo ha una radice quadrata, diremmo ∀x ∈ R+ ∃y(y 2 = x). Potremmo dire che ogni numero reale positivo ha una radice quadrata negativo scrivendo ∀x ∈ R+ ∃y ∈ R− (y 2 = x). In generale, per ogni insieme A, la formula ∀x ∈ AP (x) significa che per ogni valore di x nell’insieme A, P (x) è vera, e ∃x ∈ AP (x) significa che c’è almeno CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 68 un valore di x nell’insieme A tale che P (x) è vera. I quantificatori in queste formule sono talvolta chiamati quantificatori limitati, perché pongono limiti su quali valori di x possono essere considerati. Occasionalmente possiamo usare variazioni di questa notazione per mettere altri tipi di restrizioni sul valore delle variabili quantificate. Per esempio, l’affermazione che ogni numero reale positivo ha un radice quadrata negativa potrebbe anche essere scritta come ∀x > 0∃y < 0(y 2 = x). Le formule contenente i quantificatori limitati possono anche essere pensate come abbreviazioni per formule più complesse contenente solo i normali quantificatori non limitati. Dire che ∃x ∈ AP (x) significa che c’è qualche valore di x che è in A e rende vera P (x), ed un’altra maniera di scriverlo sarebbe ∃x(x ∈ A ∧ P (x)). In maniera simile, dovreste convincervi che ∀x ∈ AP (x) vuol dire la stessa cosa di ∀x(x ∈ A → P (x)). Per esempio, la formula ∀x ∈ R+ ∃y ∈ R− (y 2 = x) discussa precedentemente significa la stessa cosa di ∀x(x ∈ R+ → ∃y ∈ R− (y 2 = x)) che a sua volta può essere espansa in ∀x(x ∈ R+ → ∃y(y ∈ R− ∧ y 2 = x)). Assicuratevi di essere convinti che questa formula, come quella originale, significa che ogni numero reale positivo ha una radice quadrata negativa. Come ulteriore esempio, nota che l’affermazione A ⊆ B, che per definizione vuol dire ∀x(x ∈ A → x ∈ B), può essere riscritta come ∀x ∈ A(x ∈ B). È interessante notare che le leggi di negazione dei quantificatori funzionano anche per i quantificatori limitati. In effetti, possiamo derivare queste leggi per i quantificatori limitati dalle leggi originali, pensando ai quantificatori limitati come ad abbreviazioni, come descritto precedentemente. Per esempio: ¬∀x ∈ AP (x) è equivalente che è equivalente che è equivalente che è equivalente che è equivalente a a a a a ¬∀x(x ∈ A → P (x)) ∃x¬(x ∈ A → P (x)) ∃x¬(x ∈ / A ∨ P (x)) ∃x(x ∈ A ∧ ¬P (x)) ∃x ∈ AP (x) (espansione delle abbreviazioni), (legge di neg. dei quantif.), (legge condizionale), (legge di De Morgan), (abbreviazione). Cosı̀ abbiamo mostrato che ¬∀x ∈ AP (x) è equivalente a ∃x ∈ A¬P (x). Nell’esercizio 5 vi sarà chiedo di dimostrare l’altra regola di negazione dei quantificatori limitati, ovvero che ¬∃x ∈ AP (x) è equivalente a ∀x ∈ A¬P (x). Dovrebbe essere chiaro che se A = ∅ allora ∃x ∈ AP (x) sarà falsa, non importa quale sia il significato di P (x). Non può esserci nulla in A che, quando messo in x, rende P (x) vera, perché in A non c’è proprio nulla! Può non essere altrettanto chiaro se ∀x ∈ AP (x) debba essere considerato vero o falso, ma possiamo trovare una risposta usando le leggi di negazione dei quantificatori: ∀x ∈ AP (x) è equivalente a che è equivalente a ¬¬∀x ∈ AP (x) ¬∃x ∈ AP (x) (legge della doppia negazione), (legge di neg. dei quantificatori). Ora, se A = ∅ allora l’ultima formula sarà vera perché, non importa cosa P (x) voglia dire, come abbiamo visto ∃x ∈ AP (x) è falsa. Cosı̀ ∀x ∈ AP (x) è sempre vera se A = ∅. I matematici dicono talvolta che una tale affermazione CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 69 è banalmente vera. Un’altro modo di vedere la cosa è riscrivere l’affermazione ∀x ∈ AP (x) in ∀x(x ∈ A → P (x)). Ora, in accordo alla tabella di verità dell’affermazione condizionale, l’unica maniera in cui questa può essere falsa è che c’è qualche valore di x per cui x ∈ A è vero ma P (x) è falso. Ma tale valore di x non esiste, semplicemente perché non esiste valore di x per cui x ∈ A. Come applicazione di questo principio, notiamo che l’insieme vuoto è sottoinsieme di qualunque insieme. Per vedere il perché, riscriviamo l’affermazione A ⊆ B nella forma equivalente ∀x(x ∈ A → x ∈ B). Ora, se A = ∅, come abbiamo già osservato, questa affermazione è banalmente vera. Pertanto, non importa quale sia B, ∅ ⊆ B. Un altro esempio di affermazione banalmente vera è “Tutti gli unicorni sono viola”. Possiamo rappresentarla con la formula ∀x ∈ AP (x), dove A è l’insieme di tutti gli unicorni e P (x) sta per “x è viola”. Poiché non ci sono unicorni, A è vuoto, pertanto l’affermazione è banalmente vera. Forse avrete notato a questo punto che, sebbene nel Capitolo 1 fossimo sempre in grado di controllare le equivalenze che coinvolgono i connettivi logici usando le tabelle di verità, non abbiamo una maniera altrettanto semplice di controllare le equivalenze che coinvolgono i quantificatori. Fino ad ora, abbiamo giustificato le equivalenze sui quantificatori semplicemente analizzando degli esempi e usano il senso comune. Mano a mano che le formule con le quali lavoriamo diventano più complicate, questo metodo diventerà sempre più inaffidabile e difficile da usare. Fortunatamente, nel Capitolo 3 svilupperemo metodi migliori per ragionare sulle affermazioni che coinvolgono i quantificatori. Per acquisire un po’ più di praticità nell’uso dei quantificatori, svilupperemo un paio di equivalenze un po’ più complesse usando il senso comune. Se non siete del tutto convinti che queste equivalenze siano corrette, sarete in grado di verificarle con più accortezza quando arriveremo al Capitolo 3. Considerate l’affermazione “Tutti hanno gli occhi azzurri e una coda folta”. Se usiamo E(x) per dire “x ha gli occhi azzurri” e T (x) per dire “x ha una coda folta”, allora possiamo rappresentare questa formula con ∀x(E(x) ∧ T (x)). Questa è equivalente alla formula ∀xE(x) ∧ ∀xT (x)? Questa ulteriore formula vuol dire “Tutti hanno gli occhi azzurri e tutti hanno la coda folta”, e intuitivamente vuol dire la stessa cosa dell’affermazione originale. Pertanto, sembra che ∀x(E(x) ∧ T (x)) sia equivalente a ∀xE(x) ∧ ∀xT (x). In altre parole, possiamo dire che il quantificare universale si distribuisce rispetto alla congiunzione. Tuttavia, la corrispondente legge distributiva non funziona per il quantificatore esistenziale. Considera le formule ∃x(E(x) ∧ T (x)) e ∃xE(x) ∧ ∃xT (x). La prima significa che c’è qualcuno che ha gli occhi azzurri e la coda folta, e la seconda vuol dire che c’è qualcuno che ha gli occhi azzurri, e c’è anche qualcuno che ha la coda folta. Le due affermazioni non vogliono dire la stessa cosa. Nella seconda affermazione la persona con gli occhi azzurri e quella con la coda folta non devono essere la stessa persona, mentre nella prima affermazione sono obbligatoriamente la stessa persona. Un altro modo di rendersi conto della differenza tra le due affermazioni è di pensare agli insiemi di verità. Sia A è l’insieme di verità di E(x) e B è l’insieme di verità di T (x). In altri termini, A è l’insieme di persone con gli occhi azzurri mentre B è l’insieme di persone con la coda folta. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 70 Allora la seconda affermazione vuol dire che né A né B sono insiemi vuoti, ma la prima dice che A ∩ B è non vuoto, ovvero che A e B non sono disgiunti. Come applicazione della legge distributiva per il quantificatore universale e la congiunzione, supponiamo che A e B siano insiemi e consideriamo l’equazione A = B. Sappiamo che due insiemi sono uguale se hanno gli stessi elementi. Cosı̀, l’equazione A = B significa ∀x(x ∈ A ↔ x ∈ B), che è equivalente a ∀x[(x ∈ A → x ∈ B) ∧ (x ∈ B → x ∈ A). Poiché il quantificatore universale si distribuisce rispetto alla congiunzione, quest’ultima è equivalente alla formula ∀x(x ∈ A→x ∈ B)∧∀x(x ∈ B →x ∈ A), e per definizione di sottoinsieme questo vuol dire A ⊆ B ∧ B ⊆ A. Cosı̀, abbiamo mostrato che l’equazione A = B è equivalente alla formula A ⊆ B ∧ B ⊆ A. A questo punto, abbiamo introdotto sette simboli logici di base: i connettivi ∧, ∨, ¬, → e ↔, e i quantificatori ∀ ed ∃. È rimarchevole il fatto che la struttura di tutte le affermazioni matematiche possa essere modellata usando questi simboli, e tutti i ragionamenti matematici possono essere analizzati in termini dell’uso appropriato di questi simboli. Per illustrare il potere dei simboli che abbiamo introdotto, concludiamo questa sezione scrivendo qualche ulteriore affermazione matematica con la notazione della logica. Esempio 2.2.3. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. 1. Affermazioni sui numeri naturali. L’universo del discorso è N. (a) x è un quadrato perfetto. (b) x è multiplo di y. (c) x è primo. (d) x è il più piccolo numero che è multiplo di y e z. 2. Affermazioni sui numeri reali. L’universo del discorso è Z. (a) L’elemento neutro per l’addizione è 0. (b) Ogni numero reale ha un inverso rispetto all’addizione. (c) I numeri negativi non hanno radici quadrate. (d) Ogni numero positivo ha esattamente due radici quadrate. Soluzioni. 1. (a) Questo significa che x è il quadrato di qualche numero naturale, o in altri termini ∃y(x = y 2 ). (b) Questo significa che x è uguale a y volte qualche altro numero naturale, o in altri termini ∃z(x = yz). (c) Questo significa che x > 1 ed x non può essere scritto come il prodotto di due numeri naturali più piccolo di x. In simboli, x > 1∧¬∃y∃z(x = yz ∧ y < x ∧ z < x). (d) La traduciamo in vari passaggi: (i) x è multiplo sia di y che di z e non c’è un numero più piccolo che è multiplo sia di y che di z. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 71 (ii) ∃a(x = ya) ∧ ∃b(x = zb) ∧ ¬∃w(w < x ∧ (w è multiplo di y e z)). (iii) ∃a(x = ya)∧∃b(x = zb)∧¬∃w(w < x∧∃c(w = yc)∧∃d(w = zd)). 2. (a) ∀x(x + 0 = x). (b) ∀x∃y(x + y = 0). (c) ∀x(x < 0 → ¬∃y(y 2 = x)) (d) La traduciamo in vari passaggi: (i) ∀x(x > 0 → x ha esattamente due radici quadrate). (ii) ∀x(x > 0 → ∃y∃z(y e z sono due radici quadrate di x e y 6= z e nient’altro è una radice quadrata di x)). (iii) ∀x(x > 0 → ∃y∃z(y 2 = x ∧ z 2 = x ∧ y 6= z ∧ ¬∃w(w2 = x ∧ w 6= y ∧ w 6= z)). Esercizi *1. Nega queste affermazioni ed esprimi il risultato sotto forma di una affermazione equivalente positiva (vedi Esempio 2.2.1). (a) Chiunque si laurei in matematica ha un amico che ha bisogno di aiuto con i suoi compiti. (b) Chiunque ha un compagno di stanza a cui non piace nessuno. (c) A ∪ B ⊆ C \ D. (d) ∃x∀y[y > x → ∃z(z 2 + 5z = y)]. 2. Nega queste affermazioni ed esprimi il risultato sotto forma di una affermazione equivalente positiva (vedi Esempio 2.2.1). (a) C’è uno studente del primo anno che non ha un compagno di stanza. (b) Tutti amano qualcuno, ma nessuno ama tutti. (c) ∀a ∈ A∃b ∈ B(a ∈ C ↔ b ∈ C). (d) ∀y > 0∃x(ax2 + bx + c = y). 3. Queste affermazioni sono vere o false? L’universo del discorso è N. (a) ∀x(x < 7 → ∃a∃b∃c(a2 + b2 + c2 = x)). (b) ∃!x((x − 4)2 = 9). (c) ∃!x((x − 4)2 = 25). (d) ∃x∃y((x − 4)2 = 25 ∧ (y − 4)2 = 25). *4. Mostrare che la seconda legge di negazione dei quantificatori, che dice che ¬∀xP (x) è equivalente a ∃x¬P (x), può essere derivata dalla prima, che dice che ¬∃xP (x) è equivalente a ∀x¬P (x). (Suggerimento: usate la regola di doppia negazione) 5. Mostrare che ¬∃x ∈ AP (x) è equivalente a ∀x ∈ A¬P (x). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 72 *6. Mostrare che il quantificatore esistenziale si distribuisce rispetto alla disgiunzione. In altri termini, mostrare che ∃x(P (x) ∨ Q(x)) è equivalente a ∃xP (x)∨∃xQ(x). (Suggerimento: usare il fatto, discusso in questa sezione, che il quantificatore universale si distribuisce rispetto alla congiunzione). 7. Mostrare che ∃x(P (x) → Q(x)) è equivalente a ∀xP (x) → ∃xQ(x). *8. Mostrare che (∀x ∈ AP (x)) ∧ (∀x ∈ BP (x)) è equivalente a ∀x ∈ (A ∪ B)P (x). (Suggerimento: iniziare scrivendo il significato di quantificatori limitati in termine dei quantificatori non limitati.) 9. È vero che ∀x(P (x) ∨ Q(x)) è equivalente a ∀xP (x) ∨ ∀xQ(x) ? Spiegare perché? (Suggerimento: provare ad assegnare un significato a P (x) e a Q(x).) 10. (a) Mostrare che ∃x ∈ AP (x) ∨ ∃x ∈ BP (c) è equivalente a ∃x ∈ (A ∪ B)P (x). (b) È vero che ∃x ∈ AP (x) ∧ ∃x ∈ BP (x) è equivalente a ∃x ∈ (A ∩ B)P (x). Spiegare perché. *11. Mostrare che le affermazioni A ⊆ B e A \ B = ∅ sono equivalenti scrivendo entrambe con i simboli logici a mostrando che le formule risultanti sono equivalenti. 12. Usiamo T (x, y) per “x è un insegnante di y”. Cosa significano le seguenti affermazioni? Sotto quali circostanze ognuna di esse è vera? Ce ne sono alcune che sono tra loro equivalenti? (a) ∃!yT (x, y). (b) ∃x∃!yT (x, y). (c) ∃!x∃yT (x, y). (d) ∃y∃!xT (x, y). (e) ∃!x∃!yT (x, y). (f) ∃x∃y[T (x, y) ∧ ¬∃u∃v(T (u, v) ∧ (u 6= x ∨ uv 6= y))]. 2.3 Altre Operazioni sugli Insiemi Ora che sappiamo come lavorare con i quantificatori, siamo pronti a discutere di alcuni argomenti più avanzati di teoria degli insiemi. Fino ad ora, l’unico modo che avevamo di definire gli insiemi, a parte elencare i loro elementi uno per uno, era quella di usare la notazione con il test di appartenenza {x | P (x)}. Talvolta questa notazione viene modificata consentendo di rimpiazzare la x prima della barra con una espressione più complessa. Per esempio, supponiamo di voler definire come S l’insieme di tutti i quadrati perfetti. Forse la maniera più semplice di descrivere questo insieme è dire che consiste di tutti i numeri della forma n2 dove n è un numero naturale. Questo si scrive S = {n2 | n ∈ N}. Notate che, usando la nostra soluzione per la prima affermazione dell’Esempio 2.2.3, potremmo anche definire questo insieme scrivendo S = {x | ∃n ∈ N(x = n2 )}. Cosı̀, {n2 | n ∈ N} = {x | ∃n ∈ N(x = n2 )} e pertanto x ∈ {n2 | n ∈ N} vuol dire la stessa cosa di ∃n ∈ N(x = n2 ). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 73 Una notazione simile è spesso usata se gli elementi di un insieme sono stati numerati. Per esempio, supponiamo di voler formare l’insieme i cui elementi sono i primi numeri primi. Potremmo partire numerando i numeri primi, chiamandoli p1 , p2 , p3 , . . . . In altre parole, p1 = 2, p2 = 3, p3 = 5 e cosı̀ via. Successivamente, l’insieme che stiamo cercando sarebbe l’insieme P = {p1 , p2 , p3 , . . . , p100 }. Un’altra maniera di descrivere questo insieme sarebbe dire che consiste di tutti i numeri pi , per i un elemento dell’insieme I = {1, 2, 3, . . . , 100} = {i ∈ N | 1 ≤ i ≤ 100}. Questo potrebbe essere scritto come P = {pi | i ∈ I}. Ogni elemento pi in questo insieme è identificato da un numero i ∈ I, chiamato l’indice dell’elemento. Un insieme definito in questo modo è spesso chiamato una famiglia indicizzata, ed I è l’insieme degli indici. Sebbene gli indici per una famiglia indicizzata siano spesso numeri, non devono esserlo per forza. Per esempio, supponiamo che S sia l’insieme degli studenti dell’ateneo. Se volessimo formare l’insieme di tutte le madri degli studenti, potremmo indicare con ms la madre di s, per ogni studente s. Allora, l’insieme di tutte le madri degli studenti può essere scritta M = {ms | s ∈ S}. Questa è una famiglia indicizzata in cui l’insieme degli indici è S, l’insieme di tutti gli studenti. Ogni madre nell’insieme è identificata indicando lo studente che è suo figlio. Notare che avremmo potuto definire questo insieme anche usando un test di appartenenza, scrivendo M = {m | m è la madre di qualche studente} = {m | ∃s ∈ S(m = ms )}. In generale, qualunque famiglia indicizzata A = {xi | i ∈ I} può anche essere definita come A = {x | ∃i ∈ I(x = xi )}. Ne segue che l’affermazione x ∈ {xi | i ∈ I} significa la stessa cosa di ∃i ∈ I(x = xi ). Esempio 2.3.1. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni esplicitando le definizioni delle notazioni della teoria degli insiemi utilizzate. √ 1. y ∈ { 3 x | x ∈ Q}. 2. {xi | i ∈ I} ⊆ A. 3. {n2 | n ∈ N} e {n3 | n ∈ N} sono disgiunti. Soluzioni. p 1. ∃x ∈ Q(y = 3 (x)). 2. Per definizione di sottoinsieme dobbiamo dire che ogni elemento di {xi | i ∈ I} è anche elemento di A, cosı̀ possiamo partire scrivendo ∀x(x ∈ {xi | i ∈ I} → x ∈ A). Esplicitando il significato di x ∈ {xi | i ∈ I}, che abbiamo analizzato prima, otteniamo ∀x(∃i ∈ I(x = xi ) → x ∈ A). Ma poiché gli elementi di {xi | iI } sono solo gli xi , per tutti gli i ∈ I, forse una maniera migliore di dire che ogni elemento di {xi | i ∈ I} è un elemento di A potrebbe essere ∀i ∈ I(xi ∈ A). Le due risposte sono effettivamente equivalenti, ma dimostrarlo richiede i metodi che studieremo nel Capitolo 3. 3. Dobbiamo dire che due insiemi hanno un elemento comune, cosı̀ una soluzione è iniziare scrivendo ∃x(x ∈ {n2 | n ∈ N} ∧ x ∈ {n3 | n ∈ N}). Tuttavia, come fatto per l’ultima affermazione, c’è una strada più semplice. Qualunque elemento comune ai due insiemi deve essere il quadrato di CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 74 un numero naturale e anche il cubo caso di qualche (possibilmente diverso dal primo) numero naturale. Cosı̀, potremmo dire che c’è un tale elemento comune scrivendo ∃n ∈ N∃m ∈ N (n2 = m3 ). Notate che sarebbe errato scrivere ∃n ∈ N(n2 = n3 ), perché ciò escluderebbe la possibilità che i due numeri n ed m siano differenti. Ad ogni modo, questa affermazione è vera, poiché 64 = 82 = 42 , quindi 64 è un elemento di entrambi gli insiemi. Un elemento di un insieme può essere qualunque cosa. Idee utili ed interessanti nascono se consideriamo la possibilità di un insieme che ha altri insiemi come elementi. Per esempio, supponiamo sia A = {1, 2, 3}, B = {4} e C = ∅. Non c’è ragione perché non si possa formare l’insieme F = {A, B, C}, i cui elementi sono i tre insiemi A, B e C. Rimpiazzando le definizioni di A, B e C possiamo scriverlo in un altro modo: F = {{1, 2, 3}, {4}, ∅}. Notate che 1 ∈ A and A ∈ F ma 1 ∈ / F . F ha solo tre elementi, e tutti e tre sono insiemi, non numeri. Insiemi come F , i cui elementi sono insiemi, sono spesso chiamati famiglie di insiemi. È spesso conveniente definire famiglie di insiemi as come famiglie indicizzate. Per esempio, supponiamo di usare ancora S come insieme di tutti gli studente, e per ogni studente s indichiamo con Cs l’insieme dei corsi che lo studente s ha superato. Allora, la collezione di tutti questi insiemi Cs sarebbe la famiglia indicizzata di insiemi Fs = {Cs | s ∈ S}. Ricordiamo che gli elementi di questa famiglia non sono corsi ma insiemi di corsi. Se indichiamo con t uno specifico studente come Tine, e se Tina ha superato gli esame di Matematica Generale, Microeconomia e Diritto Privato, allora Ct ={Matematica Generale, Microeconomia, Diritto Privato} e Ct ∈ F ma Microeconomia ∈ / F. Un esempio importante di una famiglia di insiemi è dato dall’insieme delle parti di un insieme. Definition 2.3.2. Supponiamo A sia un insieme. L’insieme delle parti (o insieme potenza) di A, denotato con P(A), è l’insieme i cui elementi sono tutti i sottoinsieme di A. In formule, P(A) = {x | x ⊆ A}. Per esempio, l’insieme A = {7, 12} ha quattro sottoinsiemi: ∅, {7}, {12} e {7, 12}. Cosı̀, P(A) = {∅, {7}, {12}, {7, 12}}. Cosa possiamo dire di P(∅)? Sebbene ∅ non abbia elementi, ha un sottoinsieme, ovvero ∅. Cosı̀, P(∅) = {∅}. Notare che, come abbiamo visto nella Sezione 1.3, {∅} non è la stessa cosa di ∅. Ogni volta che lavoriamo con qualche sottoinsieme di un insieme X, può essere utile ricordare che tutti i sottoinsiemi di X sono elementi di P(X), per definizione di insieme potenza. Per esempio, se C è l’insieme dei corsi offerti dal vostro ateneo, allora ognuno degli insiemi Cs del nostro precedente esempio è un sottoinsieme di C. Pertanto, per ogni studente s, Cs ∈ P(C). Questo significa che ogni elemento della famiglia F = {Cs | s ∈ S} è un elemento di P(C) e quindi F ⊆ P(C). Esempio 2.3.3. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 1. 2. 3. 4. 5. 75 x ∈ P(A). P(A) ⊆ P(B) B ∈ {P(A) | A ∈ F}. x ∈ P(A ∩ B). x ∈ P(A) ∩ P(B). Soluzioni. 1. Per definizione di insieme potenza, gli elementi di P(A) sono i sottoinsiemi di A. Pertanto, dire che x ∈ P(A) significa che x ⊆ A, che già sappiamo può essere scritto come ∀y(y ∈ x → y ∈ A). 2. Per definizione di sottoinsieme, questo significa ∀x(x ∈ P(A) → x ∈ P(B)). Ora, riscrivendo x ∈ P(A) e x ∈ P(B) come prima, otteniamo ∀x[∀y(y ∈ x → y ∈ A) → ∀y(y ∈ x → y ∈ B)]. 3. Come prima, questo significa ∃A ∈ F(B = P(A)). Ora, dire che B = P(A) significa che gli elementi di B sono precisamente i sottoinsiemi di A, o in altre parole ∀x(x ∈ B ↔ x ⊆ A). Sostituendo questa formula di sopra e utilizzando la definizione di sottoinsieme, otteniamo la risposta finale, ∃A ∈ F∀x(x ∈ B ↔ ∀y(y ∈ x → y ∈ A)). 4. Come per la prima affermazione, iniziamo scrivendo ∀y(y ∈ x→y ∈ A∩B). Ora, usando la definizione di intersezione, otteniamo ∀y(y ∈ x → (y ∈ A ∧ y ∈ B)). 5. Per definizione di intersezione, questo significa (x ∈ P(A)) ∧ (x ∈ P(B)). Ora, rimpiazzando la definizione di insieme potenza come sopra, otteniamo ∀y(y ∈ x → y ∈ A) ∧ ∀y(y ∈ x → y ∈ B). Notare che per l’affermazione 5 in questo esempio abbiamo scritto la definizione di intersezione e successivamente adoperato la definizione di insieme potenza, mentre per l’affermazione 4 siamo partiti scrivendo la definizione di insieme potenza e successivamente abbiamo usato la definizione di intersezione. Quando impareremo le definizioni di nuovi simboli e termini matematici, diventerà più importante essere in grado di scegliere la definizione alla quale pensare per prima durante il trattamento di affermazioni matematiche complesse. Una buona regola empirica è di partire sempre con il simbolo più “esterno”. Nella affermazione 4 nell’Esempio 2.3.3, il simbolo di intersezione si trovava dentro la notazione per l’insieme potenza, pertanto abbiamo adoperato dapprima la definizione di insieme potenza. Nell’affermazione 5, la notazione per l’insieme potenza si trovava su ambo i lati della notazione per l’intersezione di due insiemi, cosı̀ siamo partiti dalla definizione di intersezione. Considerazioni simili ci hanno portato a usare per prima la definizione di sottoinsieme, invece di quella di insieme potenza, nella affermazione 2. È interessante notare che le nostre risposte alle affermazioni 4 e 5 nell’Esempio 2.3.3 sono equivalenti. (Vi verrà chiesto di verificalo nell’esercizio 10.) Come nella Sezione 1.4, ne segue che per tutti gli insiemi A e B, P(A ∩ B) = P(A) ∩ P(B). Vi verrà chiesto nell’esercizio 11 di mostrare che questa equazione non è vera in generale se rimpiazziamo ∩ con ∪. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 76 Considera di nuovo la famiglia di insiemi F = {Cs | s ∈ S}, dove S è l’insieme di tutti gli studenti e per ogni studente s, Cs è l’insieme dei corsi di cui ha sostenuto l’esame. Se vogliamo conoscere quali corsi sono stati sostenuti da tutti gli studenti, dovremmo trovare quegli elementi che tutti gli insiemi in F hanno in comune. L’insieme di tutti questi elementi comuni è chiamata l’intersezione della famiglia F e si scrive ∩F. In maniera simile, l’unione della famiglia F, scritta ∪F, è l’insieme ottenuto mettendo tutti gli elementi di tutti gli insiemi in F assieme in un unico insieme. In questo caso, ∪F sarebbe l’insieme di tutti i corsi che sono stati sostenuti da qualunque studente. Esempio 2.3.4. Sia F = {{1, 2, 3, 4}, {2, 3, 4, 5}, {3, 4, 5, 6}}. Determinare ∩F e ∪F . Soluzione. ∩F = {1, 2, 3, 4} ∩ {2, 3, 4, 5} ∩ {3, 4, 5, 6} = {3, 4}. ∪F = {1, 2, 3, 4} ∪ {2, 3, 4, 5} ∪ {3, 4, 5, 6} = {1, 2, 3, 4, 5, 6}. Sebbene questi esempi rendano evidente cosa si intende con ∩F e ∪F, ancora non abbiamo fornite una definizione precisa di questi insiemi. In generale, se F è una famiglia di insiemi, vogliamo che ∩F contenga tutti gli elementi che tutti gli insiemi di F hanno in comune. Cosı̀, per essere un elemento di F, un oggetto deve essere elemento di ogni insieme di F. D’altro canto, qualunque cosa sia elemento di un qualunque insieme di F dovrebbe stare in ∪F, cosı̀ per essere in ∪F un oggetto deve essere un elemento di almeno un insieme in F. Cosı̀, siamo portati a scrivere la seguente definizione generale. Definition 2.3.5. Sia F una famiglia di insiemi. Allora l’intersezione e l’unione di F sono gli insiemi ∩F e ∪F definiti come segue: ∩F = {x | ∀A ∈ F(x ∈ A)} = {x | ∀A(A ∈ F → x ∈ A)}. ∪F = {x | ∃A ∈ F(x ∈ A)} = {x | ∃A(A ∈ F ∧ x ∈ A)}. Alcuni matematici considerano ∩F indefinita se F = ∅. Per una spiegazione della ragione di questa assunzione, fate riferimento all’esercizio 14. Noi useremo la notazione ∩F solo quando F 6= ∅. Notate che se Ae B sono due insiemi ed F = {A, B}, allora ∩F = A ∩ B e ∪F = A ∪ B. Pertanto, le definizioni di intersezione ed unione di una famiglia di insiemi sono in realtà generalizzazioni delle nostre vecchie definizioni di intersezione e unione di due insiemi. Esempio 2.3.6. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. 1. x ∈ ∩F. 2. ∩F ⊆ ∪G. 3. x ∈ P(∪F). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 77 4. x ∈ ∪{P(A) | A ∈ F}. Soluzioni. 1. Dalla definizione di intersezione di una famiglia di insiemi, questo significa che ∀A ∈ F(x ∈ A), o equivalentemente, ∀A(A ∈ F → x ∈ A). 2. Come abbiamo visto nell’Esempio 2.2.1, dire che un insieme è sottoinsieme di un altro vuol significa che c’è qualcosa che elemento del primo insieme ma non del secondo. Pertanto, partiamo scrivendo ∃x(x ∈ ∩F ∧ x ∈ / ∪G). Abbiamo già visto cosa vuol dire x ∈ ∩F nella soluzione al punto 1. Per definizione di unione di una famiglia di insiemi, x ∈ ∪G significa ∃A ∈ G(x ∈ A), pertanto x ∈ / ∪G vuol dire ¬∃A ∈ G(x ∈ A). Per la legge di negazione dei quantificatori, questo è equivalente a ∀A ∈ G(x ∈ / A). Mettendo tutto assieme, la nostra risposta sarà ∃x[∀A ∈ F(x ∈ A) ∧ ∀A ∈ G(x ∈ / A)]. 3. Poiché il simbolo di unione occorre all’interno della notazione per l’insieme potenza, iniziamo scrivendo la definizione di quest’ultimo. Come nell’Esempio 2.3.3, otteniamo x ⊆ ∪F, o in altri termini, ∀y(y ∈ x → y ∈ ∪F). Ora usiamo la definizione di unione per scrivere y ∈ ∪F come ∃A ∈ F(y ∈ A). La risposta finale sarà ∀y(y ∈ x → ∃A ∈ F(y ∈ A)). 4. Questa volte partiamo scrivendo la definizione di unione. In accordo alla definizione, l’affermazione vuol dire x è un elemento di almeno un insieme P(A), per A ∈ F. In altri termini, ∃A ∈ F(x ∈ P(A)). Inserendo la nostra analisi dell’affermazione x ∈ P(A) dell’Esempio 2.3.3, otteniamo ∃A ∈ F(∀y(y ∈ x → y ∈ A)). Scrivere affermazioni matematiche complesse con i simboli logici, come abbiamo visto nell’ultimo esempio, può qualche volta aiutare a comprendere il significato dell’affermazione e se è vera o falsa. Per esempio, supponiamo ancora un volta che sia Cs l’insieme di tutti i corsi seguiti dallo studente s. Sia M l’insieme degli studenti di matematica, E l’insieme degli studenti di inglese, F = {Cs | s ∈ M } e G = {Cs | s ∈ E}. Con queste definizioni, cosa significa l’affermazione 2 dell’Esempio 2.3.6, e in quali circostanza sarebbe vera? In accordo alla nostra soluzione per questo esempio, l’affermazione vuol dire ∃x[∀A ∈ F(x ∈ A) ∧ ∀A ∈ G(x ∈ / A)], o in altri termini, esiste qualcosa che è un elemento di ogni insieme in F e che non è elemento di nessun insieme in G. Prendendo in considerazione le definizioni di F e G che stiamo usando, questo significa che ci sono dei corsi che sono stati seguiti da tutti gli studenti di matematica ma da nessun studente di inglese. Se, ad esempio, tutti gli studenti di matematica hanno seguito Geometria ma nessuno degli studenti di inglese lo ha fatto, allora questa affermazione sarebbe vera. Come ulteriore esempio, supponiamo F = {{1, 2, 3}, {2, 3, 4}, {3, 4, 5}}, e x = {4, 5, 6}. Con queste definizioni, l’affermazione 3 dell’Esempio 2.3.6 sarebbe vera? Potreste determinarlo calcolando P(∪F ) e controllando se x è un elemento di questo insieme, ma ciò richiederebbe molto tempo, poiché risulta che P(∪F) ha 32 elementi. È più facile usare la traduzione in simboli logici CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 78 usata nella nostra soluzione per l’esempio. In accordo alla traduzione, l’affermazione vuol dire ∀y(y ∈ x → ∃A ∈ F(y ∈ A)); in altre parole, ogni elemento di x è in almeno un elemento di F. Tornando alle nostre definizioni per F ed x, non è difficile vedere che questo è falso, perché 6 ∈ x ma 6 non è in nessun insieme di F. Una notazione alternativa è usata talvolta per l’unione e l’intersezione di una famiglia indicizzata di insiemi. Supponiamo F = {Ai | i ∈ I}, dove ogni Ai è un insieme. Allora ∩F sarebbe l’insieme di tutti gli elementi comuni tra tutti gli Ai , per i ∈ I, e questo può essere scritto come ∩i∈I Ai . In altre parole, ∩F = ∩i∈I Ai = {x | ∀i ∈ I(x ∈ Ai )}. In maniera analoga, un notazione alternativa per ∪F è ∪i∈I Ai , e quindi ∪F = ∪i∈I Ai = {x | ∃i ∈ I(x ∈ Ai )}. Ritornando al nostro esempio sui corsi seguiti dagli studenti, potremmo usare questa notazione per scrivere l’insieme dei corsi seguiti da tutti gli studenti come ∩s∈S Cs . Esempio 2.3.7. Sia I = {1, 2, 3} e per ogni i ∈ I, sia Ai = {i, i + 1, i + 2, i + 3}. Determinare ∩i∈I Ai e ∪i∈I Ai . Soluzione. Prima elenchiamo gli elementi degli insiemi Ai , per i ∈ I: A1 = {1, 2, 3, 4}, A2 = {2, 3, 4, 5}, A3 = {3, 4, 5, 6}. Allora ∩i∈I Ai = A1 ∩A2 ∩A3 = {1, 2, 3, 4}∩{2, 3, 4, 5}∩{3, 4, 5, 6} = {3, 4}, ed in maniera simile ∪i∈I Ai = {1, 2, 3, 4} ∪ {2, 3, 4, 5} ∪ {3, 4, 5, 6} = {1, 2, 3, 4, 5, 6}. Infatti, possiamo vedere che la domanda di questo esempio è esattamente la stessa dell’Esempio 2.3.4, ma con una notazione differente. Esempio 2.3.8. Per questo esempio l’universo del discorso sarà l’insieme S di tutti gli studenti. Stia L(x, y) per “ad x piace y” ed A(x, y) per “x ammira y”. Per ogni studente s, sia Ls l’insieme di tutti gli studenti che piacciono ad s. In altre parole Ls = {t ∈ S | L(s, t)}. In maniera simile, As = {t ∈ S | A(s, t)} = l’insieme di studenti che s ammira. Descrivere i seguenti insiemi. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. ∩s∈S Ls . ∪s∈S Ls . ∪s∈S Ls \ ∪s∈S As . ∪s∈S Ls \ As . (∩s∈S Ls ) ∩ (∩s∈S As ). ∩s∈S (Ls ∩ As ). ∪b∈B Lb dove B = ∩s∈S As . Soluzioni. Prima di tutto, notare che in generale t ∈ Ls significa la stessa cosa di L(s, t), ed in maniera simile t ∈ As significa A(s, t). 1. ∩s∈S Ls = {t ∈ S | ∀s ∈ S(t ∈ Ls )} = {t ∈ S | ∀s ∈ SL(s, t)} = l’insieme degli studenti che piacciono a tutti gli studenti. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 79 2. ∪s∈S Ls = {t ∈ S | ∃s ∈ S(t ∈ Ls )} = {t ∈ S | ∃s ∈ SL(s, t)} = l’insieme degli studenti che piacciono ad almeno uno studente. 3. Come abbiamo visto nella soluzione 2, ∪s∈S Ls = l’insieme degli studenti che piacciono ad almeno uno studente. In maniera analoga, ∪s∈S As = l’insieme degli studenti che sono ammirati da almeno uno studente. Cosı̀, ∪s∈S Ls \ ∪s∈S As = {t | t ∈ ∪s∈S Ls ∧ t ∈ / ∪s∈S As } = l’insieme degli studenti che piacciono ad almeno uno studente ma nono sono ammirati da nessuno. 4. ∪s∈S (Ls \ As ) = {t | ∃s ∈ S(t ∈ Ls \ As )} = {t ∈ S | ∃s ∈ S(L(s, t) ∧ ¬A(s, t))} = l’insieme degli studenti t per i quali c’è almeno uno studente a cui piace t ma che non lo ammira. Notate che questo è differente dall’insieme al punto 3. Perché uno studente t sia in questo insieme, deve esserci uno studente a cui t piace ma che non ammira t, ma potrebbe esserci uno studente diverso che ammira t. Per essere nell’insieme del punto 3, t non può essere ammirato da nessuno. 5. (∩s∈S Ls ) ∩ (∩s∈S As ) = {t | t ∈ ∩s∈S Ls ∧ t ∈ ∩s∈S As } = {t | ∀s ∈ S(t ∈ Ls )∧∀s ∈ S(t ∈ As )} = {t ∈ S | ∀s ∈ SL(s, t)∧∀s ∈ SA(s, t)} = l’insieme di tutti gli studenti che piacciono a tutti e che sono anche ammirati da tutti. 6. ∩s∈S (Ls ∩ As ) = {t | ∀s ∈ S(t ∈ Ls ∩ As )} = {t ∈ S | ∀s ∈ S(L(s, t) ∧ A(s, t))} = l’insieme di tutti gli studenti che sono sia graditi che ammirati da tutti gli studenti. Questo è lo stesso insieme del punto 5. In effetti, potete usare la legge distributiva del quantificatore universale rispetto alla congiunzione per mostrare che il test di appartenenza per i due insiemi è lo stesso. 7. ∪b∈B Lb = {t | ∃b ∈ B(t ∈ Lb )} = {t ∈ S | ∃b(b ∈ B ∧ L(b, t))}. Ma B era definito come l’insieme degli studenti che sono ammirati da tutti gli studenti, pertanto b ∈ B vuol dire b ∈ S ∧ ∀s ∈ SA(s, b). Inserendo questa definizione, otteniamo ∪b∈B Lb = {t ∈ S | ∃b(b ∈ S ∧ ∀s ∈ SA(s, b) ∧ L(b, t))} = l’insieme di tutti gli studenti che piacciono a qualche studente che è ammirato da tutti gli studenti. Esercizi *1. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. Potete usare i simboli ∈, ∈, / =, 6=, ∧, ∨, →, ↔, ∀ ed ∃ nella vostra risposta, ma non ⊆, 6⊆, P, ∪, ∩, \, {, } o ¬. (Ne consegue che dovrete rimpiazzare alcuni simboli della teoria degli insiemi con le loro definizioni, e utilizzare le equivalenze per liberarvi delle eventuali occorrenze di ¬.) (a) F ⊆ P(A). (b) A ⊆ {2n + 1 | n ∈ N}. (c) {n2 + n + 1 | n ∈ N} ⊆ {2n + 1 | n ∈ N}. (d) P(∪i∈I Ai ) * ∪i∈I P(Ai ). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 80 2. Analizzare la forma logica delle seguenti affermazioni. Potete usare i simboli ∈, ∈, / =, 6=, ∧, ∨, →, ↔, ∀ ed ∃ nella vostra risposta, ma non ⊆, 6⊆, P, ∪, ∩, \, {, } o ¬. (Ne consegue che dovrete rimpiazzare alcuni simboli della teoria degli insiemi con le loro definizioni, e utilizzare le equivalenze per liberarvi delle eventuali occorrenze di ¬.) (a) x ∈ ∪F \ ∪G. (b) {x ∈ B | x ∈ / C} ∈ P(A). (c) x ∈ ∩i∈I (Ai ∪ Bi ). (d) x ∈ (∩i∈I Ai ) ∩ (∩i∈I Bi ). 3. Abbiamo visto che P(∅) = {∅} e {∅} = 6 ∅. Cosa è P({∅})? *4. Supponete F={{rosso, verde, azzurro}, {arancione, rosso, azzurro}, {viola, rosso, verde, azzurro}}. Determinare ∩F e ∪F. 5. Supponete F = {{3, 7, 12}, {5, 7, 16}, {5, 12, 23}}. Determinare ∩F e ∪F. 6. Sia I = {2, 3, 4, 5}, e per ogni i ∈ I, sia Ai = {i, i + 1, i − 1, 2i}. (a) Elenca tutti gli elementi di tutti gli insiemi Ai per i ∈ I. (b) Determina ∩i∈I Ai e ∪i∈I Ai . 7. Sia P={Johann Sebastian Bach, Napoleone Bonaparte, Johann Wolfgang von Goethe, David Hume, Wolfgang Amadeus Mozart, Isaac Newton, George Washington} e sia Y = {1750, 1751, 1752, . . . , 1759}. Per ogni y ∈ Y , sia Ay = {p ∈ P | la persona p era viva in qualche momento durante l’anno y}. Determinare ∩y∈Y Ay e ∪y∈Y Ay . *8. Sia I = {2, 3}, e per ogni i ∈ I, sia Ai = {i, 2i} e Bi = {i, i + 1}. (a) Elenca gli elementi degli insiemi Ai e Bi per i ∈ I. (b) Trova ∩i∈I (Ai ∪ Bi ) e (∩i∈I Ai ) ∪ (∩i∈I Bi ). Sono lo stesso insieme? (c) Nei punti (c) e (d) dell’esercizio 2 avete analizzato le affermazioni x ∈ ∩i∈I (Ai ∪ Bi ) e x ∈ (∩i∈I Ai ) ∪ (∩i∈I Bi ). Cosa potete dire, sulla base della vostra risposta al punto (b), circa il fatto che questi insiemi sono o no equivalenti? 9. Date un esempio di un insieme indice I e due famiglie indicizzate di insiemi {Ai | i ∈ I} e {Bi | i ∈ I} tali che ∪i∈I (Ai ∩ Bi ) 6= (∪i∈I Ai ) ∩ (∪i∈I Bi ). 10. Mostrare che qualunque siano gli insiemi A e B, P(A ∩ B) = P(A) ∩ P(B), verificando che le affermazioni x ∈ P(A∩B) ed x ∈ P(A)∩P(B) sono equivalenti (vedi Esempio 2.3.3). *11. Dare un esempio di insiemi A e B per i quali P(A ∪ B) 6= P(A) ∪ P(B). 12. Verificare le seguenti identità scrivendo (usando i simboli logici) cosa significa per un oggetto x essere un elemento di ognuno degli insiemi ed usando le equivalenze logiche. (a) ∪i∈I (Ai ∪ Bi ) = (∪i∈I Ai ) ∪ (∪i∈I Bi ). (b) (∩F) ∩ (∩G) = ∩(F ∩ G). (c) ∩i∈I (Ai \ Bi ) = (∩i∈I Ai ) \ (∪i∈I Bi ). CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 81 *13. Talvolta gli insiemi in una famiglia indicizzata di insiemi hanno due indici. Per questo problema, usate le seguenti definizioni: I = {1, 2}, J = {3, 4}. Per ogni i ∈ I e j ∈ J, sia Ai,j = {i, j, i + j}. Cosı̀, per esempio, A2,3 = {2, 3, 5}. (a) Per ogni j ∈ J, sia Bj = ∪i∈I Ai,j = A1,j ∪ A2,j . Determinare B3 e B4 . (b) Determinare ∩j∈J Bj . (Notate che rimpiazzando Bj con la sua definizione, potremmo dire che ∩j∈J Bj = ∩j∈J (∪i∈I Ai,j ).) (c) Determinare ∪i∈I (∩j∈J Ai,j ). (Suggerimento: potete volerlo fare in due passi, corrispondenti alle parti (a) e (b).) Gli insiemi ∩j∈J (∪i∈I Ai,j ) e ∪i∈I (∩j∈j Ai,j ) sono uguali? (d) Analizzare le forma logiche delle affermazioni x ∈ ∩j∈J (∪i∈I Ai,j ) e x ∈ ∪i∈I (∩j∈j Ai,j ). Sono equivalenti? 14. (a) Mostrare che se F = ∅, allora l’affermazione x ∈ ∩F sarà falsa per qualunque valore di x. Ne segue che ∪∅ = ∅. (b) Mostrare che se F = ∅, allora l’affermazione x ∈ ∪F sarà vera per qualunque valore di x. In un contesto in cui è chiaro qual è l’universo del discorso U , potremmo pertanto dire che ∩∅ = U . Tuttavia, questo ha la sfortunata conseguenza che la notazione ∩∅ vuol dire cose differenti in contesti differenti. Inoltre, quando si lavora con insiemi i cui elementi sono altri insiemi, i matematici spesso non usano per nulla un universo del discorso (per maggiori informazioni su questo punto, guardate il prossimo esercizio). Per queste ragioni, alcuni matematici considerano la notazione ∩∅ priva di significato. Eviteremo questo problema nel libro usando la notazione ∩F solo nei contesti in cui siamo sicuri che F 6= ∅. 15. Nella Sezione 2.3 abbiamo visto che un insieme può avere altri insiemi come elementi. Quando si parla di insiemi i cui elementi sono altri insiemi, può sembrare naturale considerare come elemento del discorso la collezione di tutti gli insiemi. Tuttavia, come vedremo in questo problema, assumere che esista un tale universo porta a delle contraddizioni. Supponete che U sia la collezione di tutti gli insiemi. In particolare, U è un insieme, pertanto abbiamo U ∈ U . Questa non è ancora una contraddizione; sebbene la maggior parte degli insiemi non siano elementi di se stessi, forse alcuni insiemi lo sono. Ma ciò suggerisce che l’insieme universo U possa essere diviso in due categorie: gli insiemi insoliti che, come U , sono elementi di se stessi, e quelli più ordinari che non lo sono. Sia R l’insieme di tutti gli insiemi della seconda categoria. In altre parole, R = {A ∈ U | A ∈ / A}. Questo significa che per ogni insieme A nell’universo, A sarà un elemento di R sse A ∈ / A. In altre parole, abbiamo ∀A ∈ U (A ∈ R ↔ A ∈ / A). (a) Mostrate che applicando questo fatto all’insieme R stesso (in altre parole, mettendo R al posto di A) si ottiene una contraddizione. CAPITOLO 2. LOGICA DEI QUANTIFICATORI 82 Questa contraddizione è stata scoperta da Bertrand Russel nel 1901, ed è nota come Paradosso di Russel. (b) Pensate un altro po’ al paradosso di cui al punto (a). Cosa pensate che ci dica questo paradosso sugli insiemi? Capitolo 3 Dimostrazioni 3.1 Strategie di Dimostrazione I matematici sono persone scettiche. Usano molti metodi, inclusi esperimenti con esempi, tentativi successivi, congetture, per provare a trovare la risposta ad un quesito matematico, ma non sono generalmente convinti che una risposta sia corretta a meno che non possano dimostrarlo. Avrete già probabilmente visto alcune dimostrazione matematiche, ma potreste non avere esperienza nello scriverle. In questo capitolo imparerete come le dimostrazioni sono costruite, cosı̀ che potrete iniziare a scriverne di vostre. Le dimostrazioni (anche chiamate prove, dall’inglese proof) assomigliano molto ai puzzle. Non ci sono regole su come i puzzle devono essere risolti. L’unica regola concerne il prodotto finale: tutti i pezzi devono incastrarsi tra di loro, e la figura risultante deve apparire corretta. Lo stesso vale per le dimostrazioni. Sebbene non ci siano regole su come risolvere un puzzle, alcune tecniche per risolverli funzionano meglio di altre. Per esempio, non fareste mai un puzzle mettendo un pezzo ogni due, e poi tornando indietro e riempiendo tutti i buchi lasciati vuoti! Ma anche, non lo fareste mai partendo dall’alto e attaccando i pezzi in ordine finché non raggiungete il fondo. Probabilmente riempireste prima i bordi, e successivamente mettereste altri agglomerati di pezzi assieme cercando di capire approssimativamente la loro destinazione finale. Talvolta potrete mettere dei pezzi nel posto sbagliato, vi accorgerete che non si incastrano, e sentirete di non riuscire a procedere. E ogni tanto vedrete, in un lampo di soddisfazione, che due grossi agglomerati si incastrano assieme e sentirete che avete fatto improvvisamente un grosso passo avanti. Man mano che i pezzi del puzzle andranno al loro posto, una figura emergerà. Capirete improvvisamente che la macchia di azzurro che state mettendo assieme è un lago, o parte del cielo. Ma è soltanto quando il puzzle sarà completo che potrete vedere la figura intera. Cose simili accadono nel processo di invenzione di una dimostrazione. E penso che sia il caso di menzionare ancora un’altra similitudine. Quando avete terminato un puzzle, non lo distruggete immediatamente, vero? Probabilmente lo lascereste in giro per due o tre giorni per poterlo ammirare. Dovreste fare la 83 CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 84 stessa cosa con una dimostrazione. Avete capito come incastrare i pezzi da soli, e una volta che è tutto a posto, non è forse bello? In questo capitolo discuteremo le tecniche di dimostrazione che i matematici usano più spesso e spiegheremo come utilizzarle perché possiate iniziare a scrivere dimostrazioni voi stessi. Capire queste tecniche vi aiuterà anche a leggere e comprendere meglio le dimostrazioni scritte da altri. Purtroppo, le tecniche in questo capitolo non danno una procedura passo-passo per risolvere ogni problema di dimostrazione. Quando proverete a scrivere una dimostrazione potrete fare qualche falsa partenza prima di trovare la maniera giusta di procedere, e qualche dimostrazione potrà richiedere particolare bravura o intuito. Con la pratica la vostra abilità di scrivere dimostrazioni dovrebbe migliorare, e sarete in grado di affrontare dimostrazioni sempre più impegnative. I matematici generalmente presentano la risposta ad un quesito matematico sotto forma di un teorema che dice che se certe assunzioni, chiamate ipotesi del teorema, sono vere, allora qualche conclusione sarà vera anch’essa. Spesso ipotesi e conclusione contengono delle variabili libere, e in questo caso si intende che queste variabili rappresentano un qualunque elemento dell’universo del discorso. Un assegnamento di particolari valori a queste variabili è chiamata un istanza del teorema e, perché il teorema sia corretto, deve accadere che per tutte le istanze del teorema nelle quali le ipotesi sono vere, anche la conclusione è vera. Se c’è anche una sola istanza nella quale le ipotesi sono vere ma la conclusione è falsa, allora il teorema non è corretto. Una tale istanza si chiama controesempio del teorema. Esempio 3.1.1. Considera il seguente teorema: Teorema. Supponiamo x > 3 e y < 2. Allora x2 − 2y > 5. Il teorema è corretto. (Vi sarà chiesto di dimostrarlo nell’esercizio 14.) Le ipotesi del teorema sono x > 3 e y < 2, e la conclusione è x2 − 2y > 5. Come esempio di istanza del teorema, possiamo mettere 5 al posto di x e 1 al posto di y. Chiaramente con questi valori delle variabili le ipotesi x > 3 e y < 2 sono entrambe vere, cosı̀ il teorema ci dice che la conclusione x2 − 2y > 5 deve essere vera. In effetti, rimpiazzando i valori di cui sopra per x e y, otteniamo x2 − 2y = 25 − 2 = 23 e certamente 23 > 5. Notate che questo calcolo non costituisce una prova del teorema. Abbiamo soltanto controllato una istanza del teorema, mentre una dimostrazione deve mostrare che tutte le istanze sono corrette. Se togliamo la seconda ipotesi, otteniamo un teorema non corretto. Teorema non corretto. Supponiamo x > 3. Allora x2 − 2y > 5. Possiamo vedere che questo teorema è errato trovandone un controesempio. Per esempio, assumiamo x = 4 e y = 6. Allora l’unica ipotesi rimanente, x > 3, è vera, ma x2 − 2y = 16 − 12 = 4, cosı̀ la conclusione x2 − 2y > 5 è falsa. Se trovate un controesempio ad un teorema, allora il teorema non è corretto, ma l’unica maniera per conoscere con certezza che un teorema è corretto è dimostrarlo. Una dimostrazione di un teorema è semplicemente una argomentazione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 85 deduttiva le cui premesse sono le ipotesi del teorema e la cui conclusione è la conclusione del teorema. Naturalmente questa argomentazione deve essere valida, cosicché possiamo essere sicuri che se le ipotesi del teorema sono vere, allora la conclusione sarà pure vera. Come inventare e scrivere la dimostrazione di un teorema dipenderà in gran parte dalla forma logica della conclusione. Spesso dipenderà anche dalla forma logica delle ipotesi. Le tecniche per scrivere dimostrazioni che discuteremo in questo capitolo ci diranno quali strategie hanno più probabilità di funzionare a seconda delle forma delle ipotesi e della conclusione. Le tecniche di dimostrazione che sono basate sulle forme logiche delle ipotesi suggeriscono dei modi di trarre inferenze dalle ipotesi. Quando fate una inferenza da delle ipotesi, usate l’assunzione che le ipotesi siano vere per giustificare l’asserzione che qualche altra affermazione deve essere vera. Una volta che avete dimostrato che una affermazione è vera, potete usarla successivamente della dimostrazione come se fosse una delle ipotesi. Forse la regola più importante da tenere in mente quando si elabora una inferenza è questa: mai affermare qualche cosa a meno che non possiate giustificarla completamente usando le ipotesi o usando delle conclusioni già raggiunte da esse in precedenza. Il vostro motto dovrebbe essere: “Non farò nessuna asserzione prima che sia giunto il suo tempo”. Usare questa regola vi impedirà dall’usare ragionamenti circolari o saltare a conclusioni non fondate, e vi garantirà che, se le ipotesi sono vere, la conclusione dovrà essere anch’essa vera. E questo è lo scopo primario di una dimostrazione: fornire una garanzia che la conclusione è vera se le ipotesi lo sono. Per assicurarvi che le vostre asserzioni siano adeguatamente giustificate, dovreste essere scettici circa le inferenze nella vostra dimostrazione. Se c’è un dubbio di qualunque tipo nella vostra mente circa il fatto che la giustificazione che avete dato per una asserzione è adeguata, allora non lo è. Dopo tutto, se il vostro ragionamento non convince neanche voi stessi, come potete aspettarvi di convincere qualcun altro? Le tecniche di dimostrazione basate sulla forma logica della conclusione sono spesso differenti dalle tecniche basate sulle forme delle ipotesi. Esse generalmente suggeriscono una maniera di trasformare il problema in uno equivalente ma più facile da risolvere. L’idea di risolvere un problema trasformandolo in problemi più piccoli dovrebbe esservi familiare. Per esempio, aggiungere lo stesso numero ad ambo i lati di una equazione trasforma l’equazione in un’altra equivalente, e l’equazione risultante è qualche volta più facile da risolvere di quella originaria. Gli studenti che hanno studiato calcolo possono essere familiari con tecniche di valutazione degli integrali, come la sostituzione o l’integrazione per parti, che possono essere usate per trasformare una problema di integrazione difficile in uno più semplice. (NdT. In informatica, uno degli approcci più comuni per lo sviluppo di algoritmi è la strategia nota come divide et impera, che consiste nel dividere un problema complesso in sottoproblemi più semplici.) Le dimostrazioni che sono scritte usando queste strategie di trasformazione spesso includono passi nei quali si assume, ai fini dell’argomentazione, che qualche affermazione sia vera senza fornire nessuna giustificazione per questa assunzione. Può sembrare a prima vista che tale ragionamento violi la regola CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 86 che le asserzioni devono essere sempre giustificate, ma non è vero, perché assumere qualcosa non è la stessa cosa di asserire qualcosa. Asserire qualcosa vuol dire sostenere che quella cosa è vera, e ciò non è mai accettabile in una dimostrazione a meno che non sia giustificata. Invece, lo scopo di una assunzione in una dimostrazione non è sostenere che qualcosa sia vero, quanto piuttosto consentirci di ragionare su cosa sarebbe vero se l’assunzione fosse corretta. Dovete sempre tenere a mente che qualsiasi conclusione si raggiunga che è basata su una assunzione può rivelarsi falsa se l’assunzione non è corretta. Quando fate una affermazione in una dimostrazione, è importante che siate sicuri di sapere se si tratta di una asserzione o di una assunzione. Forse un esempio renderà tutto più chiaro. Supponete che durante il corso di una dimostrazione decidiate di assumere che qualche affermazione, chiamiamola P , sia vera, e usate questa assunzione per concludere che un’altra affermazione Q è vera. Sarebbe sbagliato considerare questa un dimostrazione che Q è vera, perché non potete essere sicuri che la vostra assunzione circa la verità di P sia corretta. Tutto ciò che potete concludere è che se P è vera, allora potete essere sicuri che Q è pure vera. In altre parole, sapete che l’affermazione P → Q è vera. Se la conclusione del teorema che dovete dimostrare era Q, allora la prova è come minimo incompleta. Ma se la conclusione era P → Q, allora la dimostrazione è completa. Questo ci porta alla nostra prima strategia di dimostrazione. Per dimostrare una conclusione della forma P → Q: Assumi che P sia vera e quindi dimostra Q. Ecco un’altra maniera di guardare al significato di questa tecnica di dimostrazione. Assumere che P sia vera è la stessa cosa di aggiungere P all’elenco delle ipotesi. Sebbene P possa non essere stata una delle ipotesi originali, una volta che l’avete assunta, potete usarla esattamente nello stesso modo in cui usate qualunque altra ipotesi. Dimostrare Q vuol dire trattare Q come la vostra conclusione e dimenticarsi della conclusione originale. Cosı̀, questa tecnica dice che se la conclusione del teorema che state provando a dimostrare ha la forma P → Q, allora potete trasformare il problema aggiungendo P alla vostra lista di ipotesi e cambiare la conclusione da P → Q a Q. Questo dà un nuova problema di dimostrazione su cui lavorare, che magari è più facile di quello iniziale. Se riuscite a risolvere il nuovo problema, avrete mostrato che se P è vera, allora Q è anche vera, risolvendo cosı̀ il problema originale di dimostrare P → Q. Come risolvere il nuovo problema sarà ora guidato dalla forma logica della conclusione Q (che può essa stessa essere una affermazione complessa), e forse anche dalla forma logica della nuova ipotesi P . Notate che questa tecnica non vi dice come fare l’intera dimostrazione, vi indica solo un passo, lasciandovi con un nuovo problema da risolvere per poter terminare la dimostrazione. Le dimostrazioni non sono generalmente scritte tutte in una volta, ma create gradualmente applicando varie tecniche di dimostrazione una dopo l’altra. Spesso l’uso di queste tecniche vi porterà a trasformare il problema varie volte. Nel discutere questo processo, sarà di aiuto avere un qualche modo per tenere traccia dei risultati di questa sequenza di CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 87 trasformazioni. Introduciamo pertanto la seguente terminologia. Ci riferiremo alle affermazioni che sono note o assunte essere vere in qualche punto nel corso del processo di costruzione della dimostrazione come dati (givens) e all’affermazione che rimane da dimostrare come obiettivo (goal). Quando iniziate a costruire una dimostrazione, i dati saranno le ipotesi del teorema che state dimostrando, ma successivamente essi potranno includere altre affermazioni che sono state dedotte dalle ipotesi o aggiunte come nuove assunzioni come risultato di qualche trasformazione del problema. L’obiettivo inizialmente sarà la conclusione del teorema, ma potrà successivamente cambiare varie volte nel corso della costruzione della dimostrazione. Per tenere a mente che tutte le nostre strategie si applicano non soltanto al problema di dimostrazione originale, ma anche ai risultati di qualunque trasformazione di questo problema, parleremo d’ora in poi soltanto di dati e obiettivi, piuttosto che di ipotesi e conclusioni, quando si discutono le strategie di dimostrazione. Per esempio, la strategia vista precedentemente dovrebbe essere considerata in realtà una strategia per dimostrare un obiettivo della forma P → Q, piuttosto che una conclusione di questa forma. Anche se la dimostrazione del teorema che state dimostrando non è un’affermazione condizionale, se trasformate il problema in maniera che l’obiettivo diventi un’affermazione condizionale, allora potete applicare questa strategia nel passo successivo di costruzione della dimostrazione. Esempio 3.1.2. Supponiamo che a e b siano numeri reali. Dimostrare che se 0 < a < b allora a2 < b2 . Bozza della dimostrazione Ci è dato come ipotesi che a e b sono numeri reali. La nostra conclusione ha la forma P → Q, dove P è l’affermazione 0 < a < b e Q è l’affermazione a2 < b2 . Cosı̀ partiamo con queste affermazioni come dati e obiettivo: Dati a e b sono numeri reali Obiettivo (0 < a < b) → (a2 < b2 ) In accordo alla nostre tecnica di dimostrazione, dovremmo assumere 0 < a < b e provare a usare questa assunzione per dimostrare che a2 < b2 . In altre parole, trasformiamo il problema aggiungendo 0 < a < b alle lista dei dati e cambiando l’obiettivo in a2 < b2 : Dati Obiettivo a e b sono numeri reali a2 < b2 0<a<b Il confronto tra le diseguaglianze a < b e a2 < b2 suggerisce che moltiplicare entrambi i lati della diseguaglianza a < b per a o per b può consentirci di avvicinarci all’obiettivo. Poiché ci è dato che a e b sono positivi, non abbiamo bisogno di invertire la direzione della diseguaglianza se lo facciamo. Moltiplicando a < b per a otteniamo a2 < ab, e moltiplicandola per b otteniamo ab < b2 . Cosı̀ a2 < ab < b2 , ovvero a2 < b2 . Soluzione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 88 Teorema. Supponiamo che a e b siano numeri reali. Se 0 < a < b allora a2 < b2 . Dimostrazione. Supponiamo 0 < a < b. Moltiplicando l’uguaglianza a < b per il numero positivo a possiamo concludere che a2 < ab, e analogamente moltiplicando per b otteniamo ab < b2 . Pertanto a2 < ab < b2 , ovvero a2 < b2 , come richiesto. Cosı̀, se 0 < a < b allora a2 < b2 . Come potete vedere dall’esempio precedente, c’è differenza tra i ragionamenti che fate quando state cercando di costruire una dimostrazione e quello che si scrive nella versione finale della stessa. In particolare, sebbene si parli spesso di dati e obiettivi quando si costruisce una dimostrazione, la versione finale raramente fa riferimento a questi termini. In questo capitolo, e qualche volta anche nei capitoli successivi, precederemo le nostre dimostrazioni con la bozza realizzata per inventarle, ma questo solo a fini didattici per far comprendere meglio il procedimento di costruzione della dimostrazione. Quando i matematici scrivono le dimostrazioni, generalmente presentano semplicemente i passi necessari per giustificare la conclusione senza spiegare come sono arrivati a pensarli. Alcuni di questi passi saranno delle frasi che indicano che il problema è stato trasformato (generalmente in accordo a qualche strategia di dimostrazione basata sulla forma logica dell’obiettivo); alcuni passi saranno vere e proprie asserzioni che sono giustificate sulla base di inferenze a partire dai dati (spesso usando qualche strategia di dimostrazione basata sulla forma logica dei dati). Comunque, non ci sarà in genere nessuna spiegazione su come il matematico è arrivato all’idea di applicare simili trasformazioni o inferenze. Per esempio, la dimostrazione dell’Esempio 3.1.2 inizia con la frase “Supponiamo 0 < a < b”, indicante che il problema è stato trasformato in accordo alla nostra strategia, e successivamente procede con una sequenza di inferenze che ci conduce alla conclusione a2 < b2 . Nessun’altra spiegazione è necessaria per giustificare la conclusione finale, nell’ultima frase, che se 0 < a < b allora a2 < b2 . Sebbene questa mancanza di spiegazioni renda talvolta difficile leggere una dimostrazione, essa ha lo scopo di mantenere distinti due diversi aspetti: spiegare i vostri processi mentali e giustificare le vostre conclusioni. Il primo aspetto è psicologico; il secondo è matematico. Lo scopo principale di una dimostrazione è giustificare l’affermazione che la conclusione segue dalle ipotesi, e nessuna spiegazione del vostro pensiero può sostituire una giustificazione adeguata. Ridurre al minimo la discussione sui processi mentali aiuta a mantenere chiara questa distinzione. Occasionalmente, in dimostrazioni molto complicate, un matematico può includere qualche discussione della strategia che c’è dietro la dimostrazione per rendere quest’ultima più leggibile. Generalmente, però, è compito del lettore evincere la strategia da sè. Non preoccupatevi se non riuscirete a capire immediatamente la strategia che c’è dietro una dimostrazione che state leggendo. Provate semplicemente a seguire le giustificazioni dei vari passi, e la strategia diventerà prima o poi chiara. In caso contrario, una seconda lettura della dimostrazione potrebbe esservi d’aiuto. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 89 Per mantenere chiara la distinzione tra la dimostrazione e la strategia dietro la dimostrazione, nel futuro quando presenteremo una strategia di dimostrazione descriveremo sia la bozza che dovete usare per costruire la dimostrazione, sia la forma che la scrittura finale della dimostrazione dovrebbe assumere. Per esempio, ecco una nuova presentazione della strategia discussa prima, nella forma in cui presenteremo le strategie di dimostrazione da ora in poi: Per dimostrare una conclusione della forma P → Q: Assumi che P sia vera e dimostra Q. Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: Dati Obiettivo P →Q Dopo aver usato la strategia: Dati Obiettivo Q P Forma nella dimostrazione finale: Supponiamo P [Qui va una dimostrazione di Q] Pertanto P → Q Notate che la forma suggerita per la dimostrazione finale ci dice come iniziare e concludere la dimostrazione, ma è necessario aggiungere ulteriori passi nel mezzo. L’elenco di dati e obiettivi sotto l’intestazione “Dopo aver usato la strategia” ci dice cosa è noto o può essere assunto e cosa serve dimostrare per poter riempire il buco nella dimostrazione. Molte strategie di dimostrazione ci diranno come scrivere o l’inizio della dimostrazione o la fine, lasciando un buco da riempire con ulteriori ragionamenti. C’è un secondo metodo che è talvolta utilizzato per dimostrare obiettivi della forma P → Q. Poiché qualunque affermazione condizionale P → Q è equivalente alla sua contropositiva ¬Q → ¬P , possiamo dimostrare P → Q dimostrando ¬Q → ¬P al suo posto, usando la strategia discussa prima. In altre parole: Per dimostrare una conclusione della forma P → Q: Assumi che Q sia falsa e dimostra che P è falsa. Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI Dati 90 Obiettivo P →Q Dopo aver usato la strategia: Dati Obiettivo ¬P ¬Q Forma nella dimostrazione finale: Supponiamo che Q sia falsa. [Qui va una dimostrazione di ¬P ] Pertanto P → Q Esempio 3.1.3. Supponiamo che a, b e c siano numeri reali e a > b. Dimostrare che se ac ≤ bc allora c ≤ 0. Bozza della dimostrazione Dati a, b e c sono numeri reali a>b Obiettivo (ac ≤ bc) → (c ≤ 0) La contropositiva dell’obiettivo è ¬(c ≤ 0) → ¬(ac ≤ bc) o, in altre parole, (c > 0) → (ac > bc), pertanto possiamo dimostrarlo aggiungendo c > 0 alla lista dei dati e cambiando l’obiettivo in ac > bc: Dati a, b e c sono numeri reali a>b c>0 Obiettivo ac > bc Possiamo ora scrivere la prima e ultima frase della dimostrazione. In accordo alla strategia, la dimostrazione finale ha questa forma. Supponiamo c > 0. [Dimostrazione di ac > bc] Pertanto, se ac ≤ bc allora c ≤ 0. Usando il nuovo dato c > 0, vediamo che l’obiettivo ac > bc segue immediatamente dal dato a > b moltiplicando entrambi i lati per il numero positivo c. Inserendo questo passo tra la prima e l’ultima frase completiamo la dimostrazione. Soluzione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 91 Teorema. Supponiamo che a, b e c siano numeri reali e a > b. Se ac ≤ bc allora c ≤ 0. Dimostrazione. Dimostreremo la contropositiva. Supponiamo c > 0. Allora possiamo moltiplicare entrambi i lati della disequazione a > b per c e concludere che ac > bc. Pertanto, se ac ≤ bc allora c ≤ 0. Notate che, sebbene abbiamo usato i simboli logici liberamente nella bozza, non li abbiamo utilizzati nella forma finale della dimostrazione. Sebbene non sarebbe scorretto usare i simboli logici in una dimostrazione, i matematici generalmente tendono ad evitarlo. Usare la notazione e le regole della logica può essere molto utile quando state cercando la strategia per una dimostrazione, ma nella scrittura finale dovreste limitarvi all’italiano ordinario per quanto possibile. Il lettore potrebbe domandarsi come sapevamo, nell’Esempio 3.1.3, che avremmo dovuto usare il secondo metodo per dimostrare l’obiettivo della forma P →Q piuttosto che il primo. La risposta è semplice: abbiamo provato entrambi i metodi, e il secondo ha funzionato. Quando c’è più di una strategia per dimostrare un obiettivo di una forma particolare, potreste dover provare un po’ di strategie differenti prima di trovare quella giusta. Con la pratica, diventerete più bravi a indovinare quale strategia è quella più promettente per una particolare dimostrazione. Notate che in ognuno degli esempi che abbiamo mostrato fin’ora, la nostra strategia consisteva nel fare cambiamenti ai dati e all’obiettivo per cercare di rendere il problema più semplice. L’inizio e la fine della dimostrazione, che erano fornite per noi dalla presentazione della tecnica di dimostrazione, servono a dire al lettore della dimostrazione che questi cambiamenti sono stati fatti e come la soluzione di questo problema modificato risolve quello originale. Il resto della dimostrazione contiene la soluzione al problema modificato più semplice. La maggior parte delle altre tecniche di dimostrazione che vedremo in questo capitolo suggerisce che voi modifichiate dati ed obiettivo in qualche maniera. Queste modifiche danno origine ad un nuovo problema di dimostrazione, ed in ogni caso le modifiche sono state progettate in maniera tale che una soluzione al nuovo problema, quando combinato con qualche frase iniziale o finale che spieghi le modifiche, sia anche la soluzione al problema originale. Questo significa che quando utilizzate una di queste strategie potete scrivere una frase o due all’inizio e alla fine della dimostrazione e successivamente dimenticare il problema originale e lavorare invece sul nuovo problema, che sarà generalmente più semplice. Spesso sarete in grado di inventare una dimostrazione usando le tecniche presentata in questo capitolo in modo da modificare i vostri dati e l’obiettivo ripetutamente, rendendo il problema rimanente via via più facile finché raggiungete il punto nel quale è del tutto ovvio che l’obiettivo segua dai dati. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 92 Esercizi *1. Considerate il seguente teorema (che abbiamo dimostrato nell’introduzione al libro). Teorema. Si supponga che n sia un numero intero più grande di 1 e che n non sia primo. Allora 2n − 1 non è primo. (a) Identificare le ipotesi e la conclusone del teorema. Le ipotesi sono vere quando n = 6? Cosa vi dice il teorema per questa particolare istanza? È corretto? (b) Cosa potete concludere dal teorema nel caso n = 15 ? Controllare direttamente che la conclusione è corretta. (c) Cosa potete concludere dal teorema nel caso n = 11 ? 2. Considerate il seguente teorema (il teorema è corretto, ma non vi chiederemo di dimostrarlo). Teorema. Supponiamo che b2 > 4ac. Allora l’equazione quadratica ax2 + bx + c = 0 ha esattamente due soluzioni reali. (a) Identificate le ipotesi e la conclusione del teorema. (b) Per fornire una istanza del teorema, dovete specificare dei valori per a, b e c ma non per x. Perché? (c) Cosa potete concludere dal teorema nel caso a = 2, b = −5, c = 3. Controllate direttamente che questa conclusione è corretta. (d) Cosa potete concludere dal teorema nel caso a = 2, b = 4, c = 3? 3. Considerate il seguente teorema: Teorema. Supponiamo che n sia un numero naturale più grande di 2 e che n non sia primo. Allora 2n + 13 non è primo. Quali sono le ipotesi e la conclusione del teorema? Mostra che il teorema non è corretto trovando un controesempio. *4. Completa la seguente dimostrazione alternativa del teorema nell’Esempio 3.1.2. Dimostrazione. Supponiamo 0 < a < b. Allora b − a > 0. [Riempire con una dimostrazione di b2 − a2 > 0.] Poiché b2 − a2 > 0, ne segue a2 < b2 . Pertanto, se 0 < a < b allora a2 < b2 . 5. Supponete che a e b siano numeri reali. Dimostrare che se a < b < 0 allora a2 > b2 . CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 93 6. Supponete che a e b siano numeri reali. Dimostrare che se 0 < a < b allora 1/b < 1/a. 7. Supponete che a sia un numero reale. Dimostrare che se a3 > a allora a5 > a. (Suggerimento. Un approccio è di partire completando la seguente equazione: a5 − a = (a3 − a) · ? .) 8. Supponete A \ B ⊆ C ∩ D e x ∈ A. Dimostrare che se x ∈ / D allora x ∈ B. *9. Supponete che a e b siano numeri reali. Dimostrare che se a < b allora a+b 2 < b. √ 3 10. Supponete che x sia un numero reale e x 6= 0. Dimostrare che se x2x+5 +6 = 1/x allora x 6= 8. *11. Supponete che a, b, c e d siano numeri reali, 0 < a < b e d > 0. Dimostrare che se ac ≥ bd allora c > d. 12. Supponete che x e y siano numeri reali e 3x + 2y ≤ 5. Dimostrare che se x > 1 allora y < 1. 13. Supponete che x e y siano numeri reali. Dimostrare che se x2 + y = −3 e 2x − y = 2 allora x = −1. *14. Dimostrare il prima teorema nell’Esempio 3.1.2. (Suggerimento. Potreste trovare utile applicare il teorema dell’Esempio 3.1.3.) 15. Considerate il seguente teorema. Teorema. Supponiamo che x sia un numero reale e x 6= 4. Se allora x = 7. 2x−5 x−4 =3 (a) Cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Supponiamo x = 7. Allora Pertanto se 2x−5 x−4 = 3 allora x = 7. 2x−5 x−4 = 2(7)−5 7−4 = 9 3 = 3. (b) Date una dimostrazione corretta del teorema. 16. Considerate il seguente teorema non corretto. Teorema non corretto. Supponiamo che x ed y siano numeri reali e x 6= 3. Se x2 y = 9y allora y = 0. (a) Cosa c’è di sbagliato con la seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Supponiamo x2 y = 9y. Allora (x2 − 9)y = 0 Poiché x 6= 3, allora x2 6= 9, pertanto x2 − 9 6= 0. Possiamo allora dividere entrambi i lati dell’equazione (x2 − 9)y = 0 per x2 − 9, che ci porta alla conclusione che y = 0. Pertanto, se x2 y = 9y allora y = 0. (b) Mostrate che il teorema non è corretto trovando un controesempio. 3.2 Dimostrazioni con Negazioni e Implicazioni Ci dedichiamo ora a dimostrazioni nei quali l’obiettivo ha la forma ¬P . Generalmente è più semplice dimostrare una affermazione positiva piuttosto che CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 94 una negativa, pertanto è spesso utile rimaneggiare un obiettivo della forma ¬P prima di dimostrarlo. Invece di usare un obiettivo che dice cosa non deve essere vero, vedete se potete rifrasarlo sotto forma di un obiettivo che dice cosa deve essere vero. Fortunatamente, abbiamo già studiato varie equivalenze che ci aiuteranno in questo compito. Cosı̀, la nostra prima strategia per dimostrare affermazioni negate è: Per dimostrare una conclusione della forma ¬P : Se possibile, esprimere l’obiettivo in altra forma, e usare una delle strategie di dimostrazione per il nuovo obiettivo. Esempio 3.2.1. Supponiamo A ∩ C ⊆ B e a ∈ C. Allora a ∈ / A \ B. Bozza della dimostrazione Dati A∩C ⊆B a∈C Obiettivo a∈ / A\B Poiché l’obiettivo è una affermazione negativa, proviamo a rifrasarla in questo modo: a∈ / A \ B è equivalente a ¬(a ∈ A ∧ a ∈ / B) (definizione di A \ B), che è equivalente a a ∈ / A∨a∈B (legge di De Morgan), che è equivalente a a ∈ A → a ∈ B (legge condizionale). Riscrivere l’obiettivo in questa maniera ci porta a Dati A∩C ⊆B a∈C Obiettivo a∈A→a∈B Dimostriamo ora l’obiettivo in questa nuova forma usando la prima strategia di dimostrazione della Sezione 3.1. Dati A∩C ⊆B a∈C a∈A Obiettivo a∈B La dimostrazione ora è semplice, da a ∈ A e a ∈ C possiamo concludere che a ∈ A ∩ C, e quindi, poiché A ∩ C ⊆ B, segue che a ∈ B. Soluzione Teorema. Supponiamo A ∩ C ⊆ B e a ∈ C. Allora a ∈ / A \ B. Dimostrazione. Supponiamo a ∈ A. Allora, poiché a ∈ C, si ha a ∈ A ∩ C. Ma poichè A ∩ C ⊆ B ne segue che a ∈ B. Cosı̀, non può accadere che a è un elemento di A ma non di B, ovvero a ∈ / A \ B. Talvolta un obiettivo della forma ¬P non può essere riespresso come una affermazione positiva, e pertanto questa strategia non può essere usata. In questo CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 95 caso la cosa migliore è generalmente fare una dimostrazione per assurdo. Si inizia assumendo che P è vero, e si prova ad usare questa assunzione per dimostrare che qualcosa è falso. Spesso ciò viene fatto dimostrando una affermazione che contraddice uno dei dati. Poiché sapete che l’affermazione che avete dimostrata è falsa, l’assunzione che P era vera deve essere non corretta. L’unica possibilità rimanente allora è che P sia falsa. Per dimostrare una conclusione della forma ¬P : Assumete che P sia vera e provare a raggiungere una contraddizione. Una volta che avete raggiunto una contraddizione, potete concludere che P deve essere falsa. Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: Dati Obiettivo ¬P Dopo aver usato la strategia: Dati Obiettivo Contraddizione P Forma nella dimostrazione finale: Supponiamo che P sia vera. [Qui va una dimostrazione di una contraddizione] Pertanto, P è falsa. Esempio 3.2.2. Dimostrare che se x2 + y = 13 e y 6= 4 allora x 6= 3. Bozza della dimostrazione L’obiettivo è una affermazione condizionale, pertanto,in accordo alla prima strategia di dimostrazione nella Sezione 3.1 possiamo trattare l’antecedente come un dato e trasformare il conseguente nel nostro obiettivo. Dati x2 + y = 13 y 6= 4 Obiettivo x 6= 3 Questa strategia di dimostrazione ci suggerisce anche la forma che la nostra dimostrazione finale dovrebbe avere. In accordo alla strategia, la dimostrazione dovrebbe apparire cosı̀: CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 96 Supponiamo x2 + y = 13 e y 6= 4. [Qui va una dimostrazione di x 6= 3] Pertanto, se x2 + y = 13 e y 6= 4, allora x 6= 3. In altre parole, la prima e ultima affermazione della dimostrazione finale sono già stati scritti, e il problema che rimane da risolvere è quello di mettere una dimostrazione per x 6= 3 tra queste due affermazioni. La lista di dati e l’obiettivo riassumono cosa sappiamo e cosa dobbiamo dimostrare allo scopo di risolvere il problema. L’obiettivo x 6= 3 significa ¬(x = 3) ma poiché x = 3 non ha connettivi logici al suo interno, nessuna delle equivalenze che conosciamo può essere utilizzata per esprimere l’obiettivo in forma positiva. Pertanto proviamo a fare una prova per assurdo e trasformiamo il problema come segue: Dati x2 + y = 13 y 6= 4 x=3 Obiettivo Contraddizione Ancora una volta, la strategia che ci ha suggerito questa trasformazione ci da anche un paio di frasi da aggiungere alla dimostrazione finale. Come indicato prima, queste affermazioni vanno tra la prima e l’ultima affermazione della dimostrazione, che sono state scritte precedentemente. Supponiamo x2 + y = 13 e y 6= 4. Supponiamo x = 3. [Qui va una dimostrazione di una contraddizione] Pertanto x 6= 3. Pertanto, se x2 + y = 13 e y 6= 4, allora x 6= 3. L’indentazione in questo schema non farà parte della dimostrazione finale. L’abbiamo fatto per rendere più chiara la struttura sottostante alla dimostrazione. La prima e ultima riga vanno assieme e indicano che stiamo dimostrando una affermazione condizionale assumendo l’antecedente e dimostrando il conseguente. Tra queste righe c’è una dimostrazione del conseguente x 6= 3, che abbiamo evidenziato tramite l’indentazione. La dimostrazione interna ha la forma di una dimostrazione per contraddizione, come indicato dalla prima e ultima riga. Tra queste due righe dobbiamo ancora inserire la dimostrazione di una contraddizione. A questo punto, non abbiamo una affermazione particolare da dimostrare come nostro obiettivo; qualunque conclusione impossibile andrà bene. Dobbiamo pertanto guardare più attentamente ai dati per vedere se qualcuno di loro contraddice gli altri. In questo caso, il primo e terzo dato assieme implicano che y = 4, che contraddice il secondo dato. Soluzione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 97 Teorema. Se x2 + y = 13 e y 6= 4 allora x 6= 3. Dimostrazione. Supponiamo x2 + y = 3 e y 6= 4. Supponiamo x = 3. Sostituendo questo nell’equazione x2 + y = 13 otteniamo 9 + y = 13 e quindi y = 4. Ma questo contraddice il fatto che y 6= 4. Pertanto x 6= 3. Cosı̀, se x2 + y = 13 e y 6= 4, allora x 6= 3. Potreste domandarvi a questo punto perché siamo giustificati nel concludere che x 6= 3, quando abbiamo raggiunto una contraddizione nella dimostrazione. Dopo tutto, la seconda lista di dati nella nostra bozza conteneva tre affermazioni. Come possiamo essere sicuri, una volta raggiunta una contraddizione, che la causa di essa fosse nella terzo affermazione, ovvero in x = 3? Per rispondere a questa domanda, torniamo indietro e diamo un’occhiata alla prima analisi di dati e obiettivi per questo esempio. In accordo a quella analisi, c’erano due dati, x2 + y = 13 e y 6= 4, dai quali dovevamo dimostrare l’obiettivo x 6= 3. Ricordate che una dimostrazione garantisce che l’obiettivo è vero solo se anche i dati sono veri. Cosı̀, non dovevamo dimostrare che x 6= 3, ma solo che se x2 + y = 13 e y 6= 4, allora x 6= 3. Quando abbiamo raggiunto una contraddizione, sapevamo che una delle tre affermazioni nella seconda lista di dati doveva essere falsa. Non abbiamo provato a determinare quale fosse, perché non ne avevamo bisogno. Eravamo certamente giustificati nel concludere che se nessuna delle prime due era il problema, allora doveva essere certamente la terza, e questo era tutto ciò che era necessario per terminare la dimostrazione. Dimostrare un obiettivo per assurdo ha il vantaggio di consentirci di assumere che la conclusione sia falsa, fornendoci un altro dato con il quale lavorare. Ma ha lo svantaggio di lasciarci con un obiettivo abbastanza vago: produrre una contraddizione dimostrando che qualcosa che sappiamo è falsa. Poiché tutte le strategie di dimostrazione che abbiamo discusso finora dipendevano dalla analisi della forma logica dell’obiettivo, sembra che nessuna di esse vi aiuti nel raggiungere l’obiettivo di produrre una contraddizione. Nella precedente dimostrazione siamo stati forzati a guardare più attentamente ai nostri fatti per trovare una contraddizione. In questo caso ci siamo riusciti dimostrando che y = 4, contraddicendo il fatto y 6= 4. Questo illustra una schema che accade spesso nelle dimostrazioni per contraddizione: se uno dei dati ha la forma ¬P , allora potete produrre una contraddizione dimostrando P . Questa è la nostra prima strategia basata sulla forma logica di un fatto. Per usare un dato della forma ¬P : Se stai facendo una dimostrazione per contraddizione, prova a rendere P il tuo obiettivo. Se puoi dimostrare P , allora la dimostrazione sarà completa, perché P contraddice il fatto ¬P . Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI Dati ¬P 98 Obiettivo Contraddizione Dopo aver usato la strategia: Dati ¬P Obiettivo P Forma nella dimostrazione finale: [Qui va una dimostrazione di P ] Poiché sappiamo che è vero ¬P , allora questa è una contraddizione. Sebbene abbiamo raccomandato di usare la prova per assurdo per dimostrare obiettivi della forma ¬P , questa strategia può essere usata per qualunque obiettivo. Generalmente è meglio provare prima le altre strategie se qualcuno di essere si può applicare; ma se siete bloccati, potete provare a procedere per assurdo in qualunque dimostrazione. L’esempio successiva illustra questo fatto e un’altra regola importante per la scrittura di dimostrazioni: in molti casi la forma logica di una affermazione può essere scoperta scrivendo la definizione di qualche parola o simbolo matematico che appare nell’affermazione. Per questo motivo, conoscere in maniera esatta le definizioni di tutti i termini matematici è estremamente importante quando state scrivendo una dimostrazione. Esempio 3.2.3. Supponiamo che A, B e C siano insiemi e A \ B ⊆ C. Dimostrare che se x ∈ A \ C allora x ∈ B. Bozza della dimostrazione Ci è data come informazione che A\B ⊆ C e il nostro obiettivo è x ∈ A\C →x ∈ B. Poiché l’obiettivo è una affermazione condizionale, il nostro primo passo è trasformare il problema aggiungendo x ∈ A \ C come secondo dato e rendere x ∈ B il nostro obiettivo: Dati A\B ⊆C x∈A\C Obiettivo x∈B La forma della dimostrazione finale sarà pertanto come segue: Supponiamo x ∈ A \ C. [Qui va una dimostrazione di x ∈ B]. Pertanto, se x ∈ A \ C, allora x ∈ B. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 99 L’obiettivo x ∈ B non contiene nessun connettivo logico, pertanto non possiamo applicare nessuna delle tecniche viste finora, e non è ovvio perché l’obiettivo segua dai dati. Non avendo nient’altro da fare, proviamo una dimostrazione per assurdo: Dati Obiettivo A\B ⊆C Contraddizione x∈A\C x∈ /B Come prima, questa trasformazione del problema ci consente di inserire un paio di frasi nella dimostrazione: Supponiamo x ∈ A \ C. Supponiamo x ∈ / B. [Qui va una dimostrazione di una contraddizione]. Pertanto x ∈ B. Pertanto, se x ∈ A \ C, allora x ∈ B. Poiché stiamo facendo una dimostrazione per assurdo e il nostro ultimo fatto è una affermazione negata, potremmo usare la nostra strategia per usare i dati della forma ¬P . Sfortunatamente, questa strategia ci suggerisce di rendere x ∈ B il nostro obiettivo, cosa che ci porterebbe indietro da dove siamo partiti. Dobbiamo cercare ad altri fatti per provare a trovare una contraddizione. In questo caso, scrivere per esteso la definizione del secondo fatto è la chiave per la dimostrazione, poiché la definizione contiene anche una affermazione negata. Per definizione, x ∈ A \ C significa x ∈ A e x ∈ / C. Rimpiazzando questo fatto con la sua definizione otteniamo: Dati Obiettivo A\B ⊆C Contraddizione x∈A x∈ /C x∈ /B Ora il terzo fatto ha la forma ¬P , dove P è l’affermazione x ∈ C, cosı̀ possiamo applicare la strategia per usare fatti della forma ¬P e rendere x ∈ C il nostro obiettivo. Mostrare che x ∈ C completerebbe la dimostrazione perché contraddirebbe il fatto x ∈ / C. Dati Obiettivo A\B ⊆C x∈C x∈A x∈ /C x∈ /B Ancora una volta, possiamo aggiungere un pezzettino alla dimostrazione che stiamo scrivendo, evidenziando che il nostro piano è derivare una contraddizione dimostrando che x ∈ C. Aggiungiamo anche la definizione di x ∈ A \ C alla dimostrazione, inserendola in quello che sembra il punto più ovvio, proprio dopo aver asserito che x ∈ A \ C: CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 100 Supponiamo x ∈ A \ C. Questo vuol dire x ∈ A e x ∈ / C. Supponiamo x ∈ / B. [Qui va una dimostrazione di x ∈ C]. Questo contraddice il fatto che x ∈ / C. Pertanto x ∈ B. Pertanto, se x ∈ A \ C, allora x ∈ B. Abbiamo finalmente raggiunto un punto dove l’obiettivo segue facilmente dai dati. Da x ∈ A e x ∈ / B possiamo concludere che x ∈ A \ B. Poiché A \ B ⊆ C, segue che x ∈ C. Soluzione Teorema. Supponiamo che A, B e C siano insiemi e A \ B ⊆ C. Dimostrare che se x ∈ A \ C allora x ∈ B. Dimostrazione. Supponiamo x ∈ A \ C. Questo significa che x ∈ A e x ∈ / C. Supponiamo x ∈ / B. Allora x ∈ A \ B e poiché A \ B ⊆ C, segue x ∈ C. Ma questo contraddice il fatto che x ∈ / C. Pertanto x ∈ B. Cosı̀, se x ∈ A \ C allora x ∈ B. La strategia che abbiamo raccomandato per usare dati della forma ¬P si applica solo se stiamo facendo una dimostrazione per assurdo. Per altri tipi di dimostrazione, si può usare la strategia che segue. Questa strategia è basata sul fatto che dati della forma ¬P , come gli obiettivi della stesso forma, possono essere maneggiati più facilmente se sono re-espressi coma affermazioni positive. Per usare un dato della forma ¬P : Se possibile, re-esprimere il dato sotto altra forma. Abbiamo discusso strategie per lavorare sia con dati che con obiettivi della forma ¬P , ma solo strategie per obiettivi della forma P → Q. Adesso riempiamo questo buco dando due strategie per usare fatti della forma P → Q. Abbiamo detto prima che molte strategie per usare i fatti suggeriscono dei modo di trarre inferenze dai fatti. Tali strategie sono chiamate regole di inferenza. Entrambe le nostre strategie per usare i fatti della forma P → Q sono esempi di regole di inferenza. Per usare un dato della forma P → Q: Se vi è dato P , o se potet provare che P è vero, allora potete usare questo fatto per concludere che Q è vero. Poiché O → Q è equivalente a ¬Q → ¬P , se potete provare che Q è falso, potete anche concludere che P è falso. La prima di queste regole di inferenza dice che se sapete che P e P → Q sono vere, allora potete concludere che Q deve essere vera. I logici chiamano questa regola modus ponens. Abbiamo visto usare questa regola in uno dei CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 101 primi esempi di ragionamento deduttivo valido nel Capitolo 1, ragionamento 2 dell’Esempio 1.1.1. La validità di questa forma di ragionamento è stata verificata usando la tabella di verità per il connettivo condizionale nella Sezione 1.5. La seconda regola, chiamata modus tollens, dice che se conosciamo che P →Q è vera e che Q è falsa, possiamo concludere che P deve anch’essa essere falsa. La validità di questa regola può essere controllata con le tabelle di verità, come vi sarà chiesto di fare nell’esercizio 13. Generalmente non troverete utile dato della forma P → Q, a meno che non siate in grado di dimostrare o P o ¬Q. Comunque, se mai raggiungerete un punto della vostra dimostrazione dove avete determinato che P è vero, dovrete probabilmente usare immediatamente questa regola per concludere che A è vero. In maniera simile, if mai stabilirete ¬Q, usatela immediatamente per concludere ¬P . Sebbene la maggior parte dei nostri esempi coinvolgono specifiche affermazioni matematiche, occasionalmente faremo degli esempi di dimostrazione contenenti lettere che stanno per affermazioni non specificate. Dopo in questo capitolo saremo in grado di usare questo metodo per verificare alcune delle equivalenze del Capitolo 2 che finora abbiamo potuto giustificare solo sulla base dell’intuito. Ecco un esempio di questo tipo, che illustra l’uso del modus ponens e del modus tollens. Esempio 3.2.4. Supponiamo che P →(Q→R). Dimostrare che ¬R→(P →¬Q). Bozza della dimostrazione Queta dimostrazione potrebbe essere fatta con una tabella di verità, come vi verrà chieso di fare nell’esercizio 14, ma facciamola usando le strategie di dimostrazione che stiamo studiando. Partiamo con la seguente situazione: Dati P → (Q → R) Obiettivo ¬R → (P → ¬Q) Il nostro unico dato è una affermazione condizionale. Per le regole di inferenza appena discusse, se sapessimo P potrebbe usare il modus ponens per concludere Q→R, e se sapessimo ¬(Q→R) potremmo usare il modus tollens per concludere ¬P . Poiché, a questo punto, non sappiamo nessuna delle due affermazioni, non possiamo fare nulla con questo dato. I o P o ¬(Q→R) verranno mai aggiunti alla lista dei dati, alla potremmo considerare l’uso del modus ponens o del modus tollens. Per adesso, dobbiamo concentrarci sull’obiettivo. L’obiettivo è una affermazione condizionale, pertanto assumiamo l’antecedente e impostiamo il conseguente come nuovo obiettivo: Dati Obiettivo P → (Q → R) P → ¬Q ¬R Possiamo anche scrivere un pezzetto di dimostrazione: Supponiamo ¬R. [Una dimostrazione di P → ¬Q va qui.] Pertanto ¬R → (P → ¬Q). CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 102 Ancora non possiamo fare nulla con i dati, ma l’obiettivo è un altro condizionale, pertanto usiamo la stessa strategia di nuovo: Dati P → (Q → R) ¬R P Obiettivo ¬Q Adesso la dimostrazione ha questo aspetto. Supponiamo ¬R. Supponiamo P . [Una dimostrazione ¬Q va qui]. Pertanto P → ¬Q. Pertanto ¬R → (P → ¬Q). Stavamo aspettando una chance di usare il nostro primo dato applicando o il modus ponens o il modus tollens, e adesso possiamo farlo. Poiché sappiamo P → (Q → R) e P , per modus ponens possiamo inferire Q → R. Qualunque conclusione inferita dai dati puoi essere aggiunto alla colonna dei dati: Dati P → (Q → R) ¬R P Q→R Obiettivo ¬Q Possiamo anche aggiungere una riga alla dimostrazione: Supponiamo ¬R. Supponiamo P . Poiché P e P → (Q → R), ne segue che Q → R. [Una dimostrazione di ¬Q va qui] Pertanto P → ¬Q. Pertanto ¬R → (P → ¬Q). Finalmente, il nostro ultimo passo è l’uso del modul tollens. Adesso sappiamo Q → R e ¬R, pertanto dal modus tollens possiamo concludere ¬Q. Questo è il nostro obiettivo, pertanto la dimostrazione è terminata. Soluzione Teorema. Supponiamo che P → (Q → R). Allora ¬R → (P → ¬Q). Dimostrazione. Supponiamo ¬R. Supponiamo P . Poiché P e P → (Q → R), ne segue Q → R. Ma allora, poiché ¬R, possiamo concludere ¬Q. Cosı̀, P → ¬Q. Pertanto ¬R → (P → ¬Q). CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 103 Talvolta se siete bloccati potete usare una regola di inferenza al contrario. Per esempio, supponiamo che uno dei vostri dati abbia la forma P → Q e il vostro obiettivo sia Q. Se soltanto poteste dimostrare P , potreste usare il modus ponens pe raggiungere l’obiettivo. Questo suggerisce di trattare P come obiettivo invece di Q. Se potete provare P , allora dovrete aggiungere solo un passo in più per raggiungere l’obiettivo originale Q. Esempio 3.2.5. Supponiamo che A ⊆ B, a ∈ A e a ∈ / B \ C. Dimostriamo che a ∈ C. Bozza della dimostrazione Dati A⊆B a∈A a∈ / B\C Obiettivo a∈C Il nostro terzo dato è una affermazione negativa, cosı̀ iniziamo ad esprimerlo sotto forma di una affermazione positiva equivalente. In accordo alla definizione di differenza tra insiemi, questo dato significa ¬(a ∈ B ∧ a ∈ / C), e per una delle leggi di De Morgan, questo è equivalente a a ∈ / B ∨ a ∈ C. Poiché il nostro obiettivo è a ∈ C, è probabilmente più utile riscrivere questa formula nella forma equivalente a ∈ B → a ∈ C: Dati A⊆B a∈A a∈B→a∈C Obiettivo a∈C Ora possiamo usare la nostra strategia per usare i fatti della forma P → Q. Il nostro obiettivo è a ∈ C, e ci è dato che a ∈ B → a ∈ C. Se potessimo provare a ∈ B, allora potremmo usare il modus ponens per raggiungere il nostro obiettivo. Cosı̀, proviamo a trattare a ∈ B come il nostro obiettivo e vediamo se ciò rende il problema più facile: Dati A⊆B a∈A a∈B→a∈C Obiettivo a∈B Ora è chiaro come raggiungere l’obiettivo. Se a ∈ A e A ⊆ B, allora a ∈ B. Soluzione Teorema. Supponiamo che A ⊆ B, a ∈ A e a ∈ / B \ C. Allora a ∈ C. Dimostrazione. Poiché a ∈ A e A ⊆ B, possiamo concludere che a ∈ B. Ma a∈ / B \ C, per cui ne segue a ∈ C. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 104 Esercizi *1. Questo problema può essere risolto usando le tabelle di verità, ma non fatelo in quel modo. Invece, usate i metodi per scrivere dimostrazioni discussi fino ad ora in questo capitolo. (Vedi Esempio 3.2.4.) (a) Assumete che P → Q e Q → R siano entrambe vere. Dimostrare che P → R è vera. (b) Assumete che ¬R → (P → ¬Q) sia vere. Dimostrare che P → (Q → R) è vera. 2. Questo problema può essere risolto usando le tabelle di verità, ma non fatelo in quel modo. Invece, usate i metodi per scrivere dimostrazioni discussi fino ad ora in questo capitolo. (Vedi Esempio 3.2.4.) (a) Supponete che P → Q e R → ¬Q siano entrambe vere. Dimostrare che P → ¬R è vera. (b) Supponete che P sia vera. Dimostrare che Q → (¬Q → ¬P ) è vera. 3. Sia A ⊆ C e B disgiunto da C. Dimostrare che se x ∈ A allora x ∈ / B. 4. Sia A \ B disgiunto da C e x ∈ A. Dimostrare che se x ∈ C allora x ∈ B. *5. Usare il metodo di dimostrazione per assurdo per dimostrare il teorema dell’Esempio 3.2.1. 6. Usare il metodo di dimostrazione per assurdo per dimostrare il teorema dell’Esempio 3.2.5. 7. Supponiamo che y + x = 2y − x e che x ed y non siano entrambi nulli. Dimostrare che y 6= 0. *8. Siano a e b numeri reali non nulli. Dimostrare che se a < 1/a < b < 1/b allora a < −1. 9. Siano x ed y numeri reali. Dimostrare che se x2 y = 2x + y, allora se y 6= 0 anche x 6= 0. 2 10. Siano x ed y numeri reali. Dimostrare che se x 6= 0, allora se y = 3xx2 +2y +2 allora y = 3. *11. Considerate il seguente teorema non corretto: Teorema non corretto. Siano x ed y numeri reali ed x + y = 10. Allora x 6= 3 e y 6= 8. (a) Cosa c’è di sbagliato con la seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Supponiamo che la conclusione del teorema sia falsa. Allora x = 3 e y = 8. Ma allora x + y = 11, che contraddice l’informazione data che x + y = 10. Pertanto la conclusione deve essere vra. (b) Mostrate che il teorema non è corretto trovandone un controesempio. 12. Considerate il seguente teorema non corretto: Teorema non corretto. Siano A ⊆ C, B ⊆ C e x ∈ A. Allora x ∈ B. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 105 (a) Cosa c’è di sbagliato con la seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Asssumiamo che x ∈ / B. Poiché x ∈ A e A ⊆ C, x ∈ C. Poiché x ∈ / B e B ⊆ C, x ∈ / C. Ma ora abbiamo dimostrato sia x ∈ C sia x ∈ / C, quindi abbiamo raggiunto una contraddizione. Pertanto x ∈ B. 13. Usate le tabelle di verità per mostrare che il modus tollens è una regola di inferenza valida. *14. Usate le tabelle di verità per controllare la correttezza del teorema dell’Esempio 3.2.4. 15. Usate la tabelle di verità per controllare la correttezza delle affermazioni dell’esercizio 1. 16. Usate le tabelle di verità per controllare la correttezza delle affermazioni dell’esercizio 2. 17. Si può modificare la dimostrazione nell’Esempio 3.2.2 per dimostrare che se x2 + y = 13 e x 6= 3 allora y 6= 4? Spiegate. 3.3 Dimostrazioni con i Quantificatori Guardiamo di nuovo all’Esempio 3.2.3. In questo esempio abbiamo x potrebbe essere qualunque cosa, e abbiamo dimostrato che x ∈ A \ C → x ∈ B. Poiché il ragionamento che abbiamo usato si applicherebbe qualunque cosa fosse x, la nostra dimostrazione mostra in realtà che x ∈ A \ C → x ∈ B è vero per tutti gli x. In altre parole, possiamo concludere che ∀x(x ∈ A \ B → x ∈ C). Questo illustra la maniera più semplice e diretta per dimostrare un obiettivo della forma ∀xP (x). Se potete dare una dimostrazione dell’obiettivo P (x) che funziona indipendentemente da cosa è x, allora potete concludere che ∀xP (x) deve essere vera. Per assicurarvi che la vostra dimostrazione funziona con qualunque valore di x, è importante iniziare la dimostrazione senza alcuna assunzione per x. I matematici esprimono questo concetto dicendo che x deve essere arbitraria. In particolare, non dovete assumere che x sia uguale a nessun altro oggetto già in discussione nella dimostrazione. Pertanto, se la lettera x è già stata usata nella dimostrazione per un altro oggetto, non potete usarla al posto di un oggetto arbitrario. In questo caso dovete scegliere una variabile differente che non è stata già usata nella dimostrazione, diciamo sia essa y, e rimpiazzare l’obiettivo ∀xP (x) con l’affermazione equivalente ∀yP (y). Ora potete procedere usando y per un oggetto arbitrario e dimostrando P (y). Per dimostrare un obiettivo della forma ∀xP (x): Sia x una lettera che sta per un oggetto arbitrario, e dimostriamo P (x). La lettera x deve essere un nuova variabile nella dimostrazione. Se x è già stata usata nella dimostrazione al posto di qualcosa, allora dovete scegliere una variabile non utilizzata, diciamo y, per un oggetto arbitrario, e dimostrare P (y). CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 106 Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: Dati Obiettivo ∀xP (x) Dopo aver usato la strategia: Dati Obiettivo P (x) Forma nella dimostrazione finale: Sia x un oggetto arbitrario. [Una dimostrazione di P (x) va qui]. Poiché x era arbitrario, possiamo concludere che ∀xP (x). Esempio 3.3.1. Supponiamo che A, B e C siano insiemi, e A \ B ⊆ C. Dimostrare che A \ C ⊆ B. Bozza della dimostrazione Dati A\B ⊆C Obiettivo A\C ⊆B Come al solito, guardiamo prima alla forma logica dell’obiettivo per pianificare la nostra strategia. In questo caso, dobbiamo scrivere la definizione di ⊆ per determinare la forma logica dell’obiettivo. Dati A\B ⊆C Obiettivo ∀x(x ∈ A \ C → x ∈ B) Poiché l’obiettivo ha la forma ∀xP (x), dove P (x) è l’affermazione x ∈ A \ C → x ∈ B, introdurremo una nuova variabile x nella dimostrazione che sta per un oggetto arbitrario e proveremo a dimostrare che x ∈ A \ C → x ∈ B. Notate che x è una nuova variabile nella dimostrazione. È vero che è apparsa nella forma logica dell’obiettivo as variabile vincolata, ma ricordate che le variabili vincolate non stanno per nulla in particolare. Non abbiamo ancora usato x come variabile libera in nessuna affermazione, per cui non è stata usata al posto di nessun oggetto particolare. Per essere sicuri che x sia arbitraria, dobbiamo stare attenti a non aggiungere assunzioni circa x nella colonna dei dati. Invece, cambiamo il nostro obiettivo: Dati A\B ⊆C Obiettivo x∈A\C →x∈B In accordo alla nostra strategia, la dimostrazione finale ha questo aspetto: CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 107 Sia x arbitraria. [Una dimostrazione di x ∈ A \ C → x ∈ B va qui.] Poiché x è arbitraria, possiamo concludere che ∀x(x ∈ A \ C → x ∈ B), ovvero A \ C ⊆ B. Il problema è ora esattamente lo stesso di quello dell’Esempio 3.2.3, pertanto anche il resto della dimostrazione sarà uguale. In altre parole, possiamo semplicemente inserire la dimostrazione che abbiamo scritto nell’Esempio 3.2.3 tra la prima e l’ultima frase della dimostrazione scritta qui. Soluzione Teorema. Supponiamo che A, B e C siano insiemi, e A \ B ⊆ C. Allora A \ C ⊆ B. Dimostrazione. Sia x arbitraria. Supponiamo x ∈ A \ C. Questo significa che x∈Aex∈ / C. Supponiamo x ∈ / B. Allora x ∈ A \ B e poiché A \ B ⊆ C, segue x ∈ C. Ma questo contraddice il fatto che x ∈ / C. Pertanto x ∈ B. Cosı̀, se x ∈ A\C allora x ∈ B. Poiché x era stata scelta arbitraria, possiamo concludere che ∀x(x ∈ A \ C → x ∈ B), ovvero A \ C ⊆ B. Notate che sebbene questa dimostrazione mostri che ogni elemento di A \ C è anche un elemento di B, non contiene frasi come “ogni elemento di A \ C” o “tutti gli elementi di A\C”. Per la maggior parte della dimostrazione ragioniamo semplicemente su x, che è trattato come un singolo elemento fissato di A \ C. Pretendiamo che x stia per un particolare elemento di A \ C, stando attenti a non fare assunzioni su quale sia questo elemento. È soltanto alla fine della dimostrazione che osserviamo che, poiché x era arbitrario, la nostra conclusione su x sarebbe vera indipendentemente dal valore di x. Questo è il vantaggio principale nell’usare questa strategia per dimostrare un obiettivo della forma ∀xP (x). Ci consente di dimostrare un obiettivo su tutti gli oggetti ragionando soltanto su un oggetto, purché questo sia arbitrario. Se state dimostrando un obiettivo della forma ∀xP (x) e vi trovate a dire molte frasi del tipo “tutti gli x” o “ogni x”, stato probabilmente rendendo la vostra dimostrazione inutilmente complicata non utilizzando questa strategia. Come abbiamo visto nel Capitolo 2, affermazione della forma ∀x(P (x) → Q(x)) sono piuttosto comuni in matematica. Potrebbe essere utile, pertanto, considerare come le strategie che abbiamo discusso possono essere combinate per dimostrare un obiettivo di questa forma. Poiché l’obiettivo inizia con ∀x, il primo passo è di lasciare x arbitraria e dimostrare P (x) → Q(x). Per dimostrare questo obiettivo, vorrete probabilmente assumere che P (x) è vero e dimostrare Q(x). Cosı̀, la dimostrazione inizierà probabilmente cosı̀: “Sia x arbitraria. Assumiamo P (x)”. Procederà quindi con i passi necessari per raggiungere l’obiettivo Q(x). Spesso in questo tipo di dimostrazione l’affermazione che x è arbitraria è lasciata fuori, e la dimostrazione parte semplicemente con “Assumiamo P (x)”. Quando una nuova variabile x è introdotta in una dimostrazione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 108 in questa maniera, si intende di solito che x è arbitraria. In altre parole, nessuna assunzione viene fatta circa x, tranne quella esplicita che P (x) è vera. Un esempio importante di questo tipo di dimostrazione è una dimostrazione nella quale l’obiettivo ha la forma ∀x ∈ AP (x). Ricordate che ∀xinAP (x) significa la stessa cosa di ∀x(x ∈ A → P (x)), cosı̀ in accordo alla nostra strategia la dimostrazione parte con “Assumiamo x ∈ A” e successivamente procede con i passi necessari a concludere che P (x) è vera. Ancora una volta, è implicito che nessuna assunzione viene fatta su x tranne l’assunzione esplicita x ∈ A, cosicché x è un elemento arbitrario di A. I matematici spesso saltano altri passaggi nelle dimostrazioni, se si aspettano che dei lettori ben informati siano in grado di riempirli da loro. In particolare, molte delle nostre strategie di dimostrazione suggeriscono che la dimostrazione termini con una frase che riassume il perché il ragionamento che è stato dato nella dimostrazione porta alla conclusione desiderata. In una dimostrazione in cui varie strategie sono state combinate, possono esserci molte di queste frasi riassuntive, una dopo l’altra, alla fine della prova. I matematici spesso condensano questi riassunti in una unica frase, o anche li saltano del tutto. Quando vi troverete a leggere una dimostrazione scritta da qualcun altro, potreste trovare utile ricostruire questi passaggi omessi. Esempio 3.3.2. Siano A e B insiemi. Dimostrare che se A ∩ B = A allora A ⊆ B. Bozza della dimostrazione Il nostro obiettivo è A ∩ B = A → A ⊆ B. Poiché l’obiettivo è una affermazione condizionale, aggiungiamo l’antecedente alla lista dei dati e rendiamo il conseguente il nostro obiettivo. Scriveremo anche per esteso la definizione di A ⊆ B nel nuovo obiettivo, per mostrare qual è la sua forma logica. Dati A∩B =A Obiettivo ∀x(x ∈ A → x ∈ B) Ora l’obiettivo ha la forma ∀x(P (x)→Q(x)), dove P (x) è l’affermazione x ∈ A e Q(x) è l’affermazione x ∈ B. Pertanto lasciamo x arbitraria, assumiamo x ∈ A e dimostriamo x ∈ B: Dati A∩B =A x∈A Obiettivo x∈B Combinando le strategie di dimostrazione che abbiamo usato, vediamo che la dimostrazione finale avrà la seguente forma: Assumiamo A ∩ B = A. Sia x arbitraria. Assumiamo x ∈ A. [Qui va una dimostrazione di x ∈ B]. Pertanto x ∈ A → x ∈ B. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 109 Poiché x era arbitraria, possiamo concludere che ∀x(x ∈ A → x ∈ B), ovvero A ⊆ B. Pertanto, se A ∩ B = A allora A ⊆ B. Come discusso precedentemente, quando scriveremo la dimostrazione finale potremo saltare la frase “Sia x arbitraria.” ed anche saltare alcune delle tre frasi finali. Abbi adesso raggiunto il punto nel quale non possiamo più analizzare la forma logica dell’obiettivo. Fortunatamente, quando guardiamo ai dati, scopriamo che l’obiettivo ne discende facilmente. Poiché x ∈ A e A ∩ B = A, ne segue che x ∈ A ∩ B, e quindi x ∈ B. (Nell’ultimo passo stiamo usando la definizione di ∩: x ∈ A ∩ B significa x ∈ A ∧ x ∈ B.) Soluzione Teorema. Siano A e B insiemi. Se A ∩ B = A allora A ⊆ B. Dimostrazione. Sia A ∩ B = A, e supponiamo x ∈ A. Allora, poiché A ∩ B = A, x ∈ A ∩ B, e cosı̀ x ∈ B. Poiché x era un elemento arbitrario di A, possiamo concludere che A ⊆ B. Dimostrare un obiettivo della forma ∃xP (x) conduce di nuovo ad introdurre una nuova variabile x nella dimostrazione, e a dimostrare P (x), ma in questo caso x non sarà arbitraria. Poiché dovete soltanto dimostrare che P (x) è vero per almeno un valore di x, è sufficiente assegnare un particola valore a x e dimostrare P (x) solo per questo valore di x. Per dimostrare un obiettivo della forma ∃xP (x): Provate a cercare un valore di x per il quale pensate che P (x) sia vero. Quindi iniziate la dimostrazione con “Sia x = (il valore che avete deciso)” e procedete a dimostrare P (x) per questo valore di x. Ancora una volta, x dovrebbe essere una variabile nuova. Se la lettera x è stata giù usata nella dimostrazione per altri scopi, allora dovreste scegliere un variabile non utilizzata, diciamo y, e riscrivere l’obiettivo nella forma equivalente ∃yP (y). Ora procedete come prima iniziando la dimostrazione con “Sia y = (il valore che avete scelto)” e dimostrando P (y). Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: Dati Dopo aver usato la strategia: Obiettivo ∃xP (x) CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI Dati 110 Obiettivo P (x) x = (il valore che avete scelto) Forma nella dimostrazione finale: Sia x = (il valore che avete scelto) [Qui va una dimostrazione di P (x).] Cosı̀, ∃xP (x). In qualche caso, trovare il valore giusto da utilizzare per x può essere difficile. Un metodo che può essere utile è assumere che P (x) sia vero, e vedere se potete scoprire quale valore deve avere x, basandovi su questa assunzione. Se P (x) è una equazione che coinvolge x, questo vuol dire risolvere l’equazione per x. Tuttavia, se ciò non funziona, potete usare qualunque metodo vi piaccia per provare a trovare un valore per x, incluso scegliere il valore di x a caso e provare con valori differenti fino a che non trovate uno che va bene. La ragione per cui avete tanta libertà in questo passaggio è che il ragionamento che usate per trovare un valore di x non apparirà nella dimostrazione finale. Questo a causa della nostra regola che una dimostrazione deve soltanto contenere il ragionamento necessario per giustificare la conclusione della dimostrazione, non una spiegazione di come siete arrivati a pensare a quel ragionamento. Per giustificare che la conclusione ∃xP (x) è vera, è necessario soltanto verificare che P (x) risulti vera quando as x è un assegnato un valore particolare. Come siete arrivati a pensare a quel valore è affare vostro, e non fa parte della giustificazione della conclusione. Esempio 3.3.3. Dimostrare che per ogni numero reale x, se x > 0 allora c’è un numero reale y tale che y(y + 1) = x. Bozza della dimostrazione In simboli, il nostro obiettivo è ∀x(x > 0 → ∃y[y(y + 1) = x]), dove le variabili x e y in questa affermazione sono intese variabile sopra R. Iniziamo pertanto introducendo la variabile arbitraria x, successivamente assumiamo che x > 0 e proviamo a dimostrare ∃y[y(y + 1) = x]. Cosı̀, abbiamo ora i seguenti dati e obiettivi: Dati x>0 Obiettivo ∃y[y(y + 1) = x] Poiché il nostro obiettivo ha al forma ∃yP (y), dove P (y) è l’affermazione y(y + 1) = x, in accordo alla nostra strategia dovremmo provare a trovare un valore di y per il quale P (y) è vero. In questo caso possiamo farlo risolvendo l’equazione y(y + 1) = x per la variabile y. È una equazione quadratica e può essere risolta usando la formula quadratica: √ −1 ± 1 + 4x 2 y(y + 1) = x ⇒ y + y − x = 0 ⇒ y = . 2 CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 111 √ Notate che 1 + 4x è definita, perché abbiamo x > 0 come dato. Abbiamo in realtà trovato due soluzioni di y, ma per dimostrare che ∃y[y(y+1) = x] abbiamo soltanto bisogno di esibire un valore di y che rende l’equazione y(y + 1) = x vera. Qualunque delle due soluzioni √ potrebbe essere usata nella dimostrazione. Useremo la soluzione y = (−1 + 1 + 4x)/2. I passi che abbiamo usato per risolvere l’equazione per y non dovrebbero apparire nella dimostrazione √ finale. Nella dimostrazione finale diremo semplicemente “Sia y = (−1 + 1 + 4x)/2” e quindi dimostreremo chd y(y + 1) = x. In altre parole, la dimostrazione finale avrà la seguente forma: Sia x un numero reale arbitrario. Assumiamo x > 0. √ Sia y = (−1 + 1 + 4x)/2. [Qui va una dimostrazione di y(y + 1) = x.] Cosı̀, ∃y[y(y + 1) = x]. Pertanto x > 0 → ∃y[y(y + 1) = x]. Poiché x era arbitrario, possiamo concludere che ∀x(x > 0→∃y[y(y+ 1) = x]). Per vedere √ cosa deve essere fatto per riempire il buco rimanente, aggiungiamo y = (−1 + 1 + 4x)/2 alla lista dei dati e rendiamo y(y + 1) = x l’obiettivo: Dati x>0 √ y = (−1 + 1 + 4x)/2 Obiettivo y(y + 1) = x Possiamo ora dimostrare che l’equazione y(y + 1) = x è vera semplicemente √ sostituendo (−1 + 1 + 4x)/2 per y e verificando che l’equazione risultante è vera. Soluzione Teorema. Per ogni numero reale x, se x > 0 allora c’è un numero reale y tale che y(y + 1) = x. Dimostrazione. Sia x un numero reale arbitrario, ed assumiamo x > 0. Sia √ −1 + 1 + 4x y= 2 che è definito poiché x > 0. Allora √ √ −1 + 1 + 4x −1 + 1 + 4x y(y + 1) = · +1 2 2 √ √ 1 + 4x − 1 1 + 4x + 1 · 2 2 1 + 4x − 1 4x = = x. 4 4 CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 112 Talvolta quando state dimostrando un obiettivo della forma ∃yQ(y) non sarete in grado di dire, semplicemente guardando l’affermazione Q(y), quale valore dovreste usare per y. In questo caso potreste voler guardare più attentamente ai dati per vedere se essi suggeriscono un valore da utilizzare per y. In particolare, un dato della forma ∃xP (x) può essere utile in questa situazione. Questo dato dice che un oggetto con una certa proprietà esiste. È probabilmente una buona idea immaginare che un oggetto specifico con questa proprietà sia stato scelto e introdurre una nuova variabile, diciamo x0 , nella dimostrazione che sta per questo oggetto. Cosı̀, per il resto della dimostrazione utilizzerete x0 al posto di un oggetto specifico, e potete assumere che con x0 che sta per questo oggetto, P (x0 ) è vero. In altre parole, potete aggiungere P (x0 ) alla vostra lista dei fatti. Questo oggetto x0 , o qualcosa collegato ad esso, potrebbe risultare essere la cosa giusta da mettere al posto di y per rendere vera Q(y). Per utilizzare un dato della forma ∃xP (x): Introducete una nuova variabile x0 nella dimostrazione al posto di un oggetto per il quale P (x0 ) è vero. Questo significa che potete ora assumere che P (x0 ) è vero. I logici chiamano questa regola di inferenza la istanziazione esistenziale. Notate che usare un dato della forma ∃xP (x) è molto diverso dal dimostrare un obiettivo della forma ∃xP (x), perché quando usate un dato della forma ∃xP (x), non dovete scegliere un valore particolare da mettere al posto di x. Potete assumere che x0 stia per qualche oggetto per il quale P (x0 ) è vero, ma non potete assumere null’altro riguardo a x0 . D’altro canto, un dato della forma ∀xP (x) ci dice che P (x) sarebbe vero indipendentemente dal valore assegnato ad x. Potete pertanto scegliere qualunque valore desideriate da rimpiazzare al posto di x e utilizzare questo dato per concludere che P (x) è vero. Per utilizzare un dato della forma ∀xP (x): Potete rimpiazzare x con qualunque valore, diciamo a, e usare questo dato per concludere P (a). Questa regola è chiamata istanziazione universale. Generalmente, se avete un dato della forma ∃xP (x), dovreste applicarle immediatamente l’istanziazione esistenziale. D’altro canto, non siete in grado di applicare l’istanziazione universale a un dato della forma ∀xP (x) a meno che non abbiate un valore particolare a da mettere al posto di x, per cui potreste voler aspettare finché un valore promettente per a non spunta fuori nella dimostrazione. Per esempio, considerate un dato della forma ∀x(P (x) → Q(x)). Potete usarlo per concludere P (a) → Q(a) per qualunque a, ma in accordo alla nostra regola per usare i dati che sono affermazioni condizionali, questa conclusione probabilmente non sarà molto utile a meno che non sappiate anche P (a) oppure ¬Q(a). Dovreste probabilmente aspettare finché nella dimostrazione non appaia un oggetto a per il quale sapete o P (a) o ¬Q(a), e rimpiazzare x con a quando quest’ultimo appare. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 113 Abbiamo già usato questa tecnica in alcune delle nostre dimostrazioni precedenti quando abbiamo trattato con dati della forma A ⊆ B. Nell’Esempio 3.2.5 abbiamo usato i dati A ⊆ B e a ∈ A per concludere a ∈ B. La giustificazione per questo ragionamento è che A ⊆ B significa ∀x(x ∈ A → x ∈ B), cosı̀ per istanziazione universale possiamo rimpiazzare x con a e concludere a ∈ A → a ∈ B. Poiché sappiamo anche a ∈ A, ne segue per modus ponens che a ∈ B. Esempio 3.3.4. Supponiamo che F e G siano famiglie di insiemi e F ∩ G = 6 ∅. Dimostrare che ∩F ⊆ ∪G. Bozza della dimostrazione Il nostro primo passo nell’analizzare la forma logica dell’obiettivo è scrivere per esteso il significato del simbolo di sottoinsieme, che ci da l’affermazione ∀x(x ∈ ∩F → x ∈ ∪G). Potremmo procedere oltre con questa analisi scrivendo per esteso le definizioni di unione ed intersezione, ma la parte di analisi che abbiamo già fatto sarà sufficiente per consentirci di decidere come iniziare la dimostrazione. Le definizioni di unione e intersezione saranno richieste dopo nella dimostrazione, ma aspetteremo fino a che non saranno necessarie prima di esplicitarle. Quando si analizza la forma logica di dati e obiettivi allo scopo di trovare una dimostrazione, è meglio di solito limitare l’analisi della forma logica a quanto basta per determinare il prossimo passo nella dimostrazione. Andare oltre con l’analisi logica generalmente introduce delle complicazioni non necessarie, senza produrre nessun beneficio. Poiché l’obiettivo vuol dire ∀x(x ∈ ∩F → x ∈ ∪G), introduciamo una x arbitraria, assumiamo x ∈ ∩F e proviamo a dimostrare x ∈ ∪G. Dati F ∩G = 6 ∅ x ∈ ∩F Obiettivo x ∈ ∪G Il nuovo obiettivo significa ∃A ∈ G(x ∈ A), cosı̀ per dimostrarlo dobbiamo provare a trovare un valore che “funziona” per A. Semplicemente guardando l’obiettivo, non è chiaro come scegliere A, cosı̀ diamo un’occhiata più attenta ai dati. Iniziamo scrivendoli in forma logica: Dati ∃A(A ∈ F ∩ G) ∀A ∈ F(x ∈ A) Obiettivo ∃A ∈ G(x ∈ A) Il secondo dato parte con ∀A, pertanto potremmo non essere in grado di utilizzarlo finché un valore promettente per A non spunta fuori nel corso della dimostrazione. In particolare, dobbiamo tenere a mente che se mai ci troviamo di fronte ad un elemento di F mentre proviamo a completare la dimostrazione, possiamo rimpiazzarlo al posto di A nel secondo dato e concludere che esso contiene l’elemento x. Il primo dato, tuttavia, parte con ∃A, pertanto dovremmo usarlo immediatamente. Esso dice che c’è qualche oggetto che è un elemento di F ∩ G. Per istanziazione esistenziale, possiamo introdurre un nome, sia esso A0 , per questo oggetto. Cosı̀, possiamo trattare A0 ∈ F ∩ G come un dato da adesso CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 114 in poi. Poiché ora abbiamo un nome, A0 , per un elemento particolare di F ∩ G, sarebbe ridondante continuare a discutere il dato ∃A(A ∈ F ∩ G), pertanto lo togliamo dalla nostra lista di dati. Poiché il nostro nuovo dato A0 ∈ F ∩ G vuol dire A0 ∈ F e A0 ∈ G, abbiamo adesso la seguente situazione: Dati A0 ∈ F A0 ∈ G ∀A ∈ F(x ∈ A) Obiettivo ∃A ∈ G(x ∈ A) Se avete prestato attenzione, dovreste sapere quale sarà il prossimo passo. Abbiamo deciso prima di prestare attenzione ad eventuali elementi di F che potessero venir fuori durante la dimostrazione, perché potremmo voler rimpiazzare A con essi nell’ultimo dato. Un elemento di F è venuto fuori: A0 ! Rimpiazzando A0 per A nell’ultimo dato, possiamo concludere che x ∈ A0 . Qualunque conclusione può essere trattata nel futuro come dei dati, pertanto possiamo aggiungere questa affermazione alla colona dei dati se volete. Ricordate che abbiamo deciso di guardare ai dati perché non sapevamo che valore assegnare ad A nell’obiettivo. Ciò di cui abbiamo bisogno è un valore di A che è in G e che rende l’affermazione x ∈ A vera. Queste considerazioni che abbiamo fatto sui dati ci ha suggerito un valore per A? Sı̀! Usiamo A = A0 . Sebbene abbiamo tradotto le affermazioni x ∈ ∩F, x ∈ ∪G e F ∩ G = 6 ∅ in forma logica allo scopo di determinare come usarli nella dimostrazione, queste traduzioni generalmente non vengono scritte nella forma finale della dimostrazione. Nella dimostrazione finale generalmente scriviamo queste affermazioni nella loro forma originale e lasciamo al lettore della dimostrazione il compito di determinare le loro forme logiche per poter seguire il nostro ragionamento. Soluzione Teorema. Supponiamo che F e G siano famiglie di insiemi e F ∩ G 6= ∅. Allora ∩F ⊆ ∪G. Dimostrazione. Supponiamo che x ∈ ∩F. Poiché F ∩ G = 6 ∅, indichiamo con A0 un elemento di F ∩ G. Allora A0 ∈ F e A0 ∈ G. Poiché x ∈ ∩F e A0 ∈ F, ne segue che x ∈ A0 . Ma sappiamo anche che A0 ∈ G, cosı̀ possiamo concludere che x ∈ ∪G. Le dimostrazioni che coinvolgono i quantificatori per ogni ed esiste sono spesso difficili per loro. L’ultima frase vi ha confusi, vero? Vi state probabilmente domandando, “Chi sono loro?”. I lettori delle vostre dimostrazioni sperimenteranno lo stesso tipo di confusione se utilizzate variabili senza spiegare ciò per cui stanno. Gli scrittori di dimostrazioni in erba sono talvolta poco accurati su questo aspetto, e questo è il motivo per cui le dimostrazioni che coinvolgono i quantificatori per ogni ed esiste sono spesso difficili per loro. (Stavolta la frase è più sensata, non è vero?) Quando userete le strategie che abbiamo discusso in questa sezione, introdurrete nuove variabili nella vostra dimostrazione, e quando lo farete, dovrete sempre essere attenti a chiarire al lettore ciò per cui stanno. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 115 Per esempio, se state dimostrando un obiettivo della forma ∀x ∈ AP (x), partireste probabilmente introducendo una variabile x che sta un per un elemento arbitrario di A. Il vostro lettore non saprà cosa vuol dire x, a meno che non iniziate la vostra dimostrazione con “Sia x un elemento arbitrario di A.” o “Supponiamo x ∈ A”. Naturalmente, prima di tutto deve essere chiaro nella vostra testa cosa è x. In particolare, poiché x è arbitrario, dovete essere attenti nel non assumere niente su x tranne il fatto che x ∈ A. Puoi aiutare pensare ad x come se fosse scelta da qualcun altro; voi non avete controllo su quale elemento di A sceglierà. Usare un dato della forma ∃xP (x) è simile. Questo fatto vi dice che potete introdurre una nuova variabile x0 nella dimostrazione che sta per qualche oggetto per il quale P (x0 ) è vero, ma non potete assumere nient’altro su x0 . Dall’altro lato, se state dimostrando ∃xP (x), la vostra dimostrazione probabilmente inizierà con “Sia x = . . .”. Questa volta siete voi che scegliete il valore di x, e dovete dire al lettore esplicitamente che state scegliendo il valore di x e quale valore avete scelto. È anche importante, quando state introducendo una nuova variabile x, essere sicuri del tipo di oggetto che è x. È un numero? un insieme? una funzione? una matrice? Per esempio, fareste meglio a non scrivere a ∈ X a meno che non sappiate che X è un insieme. Se non state attenti a queste cose, potreste finire con lo scriver cose senza senso. Talvolta avrete bisogno di sapere che tipo di oggetto è una variabile per riuscire a determinare la forma logica di una affermazione che contiene quella variabile. Per esempio, A = B significa ∀x(x ∈ A ↔ x ∈ B) se A e B sono insiemi, ma non se sono numeri. La cosa più importante da tenere a mente quando si introducono variabili in una dimostrazione è semplicemente il fatto che le variabili devono sempre essere introdotte prima di essere usate. Se fate una affermazione su x (ovvero, una affermazione in cui x appare come variabile libera) senza prima spiegare per cosa sta x, a lettore della vostra dimostrazione non saprà di cosa state parlando — e c’è una buona possibilità che non lo sappiate neanche voi! Poiché le dimostrazioni con i quantificatori possono richiedere più pratica delle altre dimostrazioni che abbiamo discusso fino ad ora, terminiamo questa sezione con due ulteriori esempi. Esempio 3.3.5. Supponiamo B sia un insieme ed F sia una famiglia di insiemi. Dimostrare che se ∪F ⊆ B allora F ⊆ P(B). Bozza della dimostrazione Assumiamo ∪F ⊆ B e proviamo a dimostrare F ⊆ P(B). Poiché questo obiettivo vuol dire ∀x(x ∈ F → x ∈ P(B)), introduciamo la variabile arbitraria x, assumiamo x ∈ F, e poniamo x ∈ P(B) come nostro obiettivo. Ricordate che F è una famiglia di insiemi, cosı̀ poiché x ∈ F, x è un insieme. Cosı̀, abbiamo la seguente situazione su dati e obiettivo: Dati ∪F ⊆ B x∈F Obiettivo x ∈ P(B) CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 116 Per trovare come dimostrare il nostro obiettivo, dobbiamo usare la definizione di insieme potenza. L’affermazione x ∈ P(B) significa x ⊆ B, o in altri termini, ∀y(y ∈ x → y ∈ B). Dobbiamo pertanto introdurre un altro oggetto arbitrario nella dimostrazione. Sia y arbitraria, assumiamo y ∈ x, e proviamo a dimostrare y ∈ B. Dati ∪F ⊆ B x∈F y∈x Obiettivo y∈B L’obiettivo non può essere analizzato ulteriormente, pertanto dobbiamo guardare più attentamente ai dati. Il nostro obiettivo è y ∈ B, e l’unico dato che menziona B è il primo. In effetti, il primo dato ci consentirebbe di raggiungere l’obiettivo, se solo sapessimo che y ∈ ∪F. Questo ci suggerisce che potremmo provare a trattare y ∈ ∪F come il nostro obiettivo. Se possiamo raggiungere questo obiettivo, allora possiamo aggiungere un passo in più, applicare il primo dato, e la dimostrazione sarà terminata. Dati ∪F ⊆ B x∈F y∈x Obiettivo y ∈ ∪F Ancora una volta, abbiamo un obiettivo la cui forma logica può essere analizzata, cosı̀ possiamo usare la forma dell’obiettivo per guidare la nostra strategia. L’obiettivo vuol dire ∃A ∈ F(y ∈ A), cosı̀ per provarla dobbiamo trovare un insieme A tale che A ∈ F e y ∈ A. Guardando ai fatti, vediamo che x è tale insieme, cosı̀ la dimostrazione è terminata. Soluzione Teorema. Supponiamo B sia un insieme ed F sia una famiglia di insiemi. Se ∪F ⊆ B allora F ⊆ P(B). Dimostrazione. Supponiamo ∪F ⊆ B. Sia x un elemento arbitrario di F. Sia y un elemento arbitrario di x. Poiché y ∈ x e x ∈ F, allora chiaramente y ∈ ∪F . Ma allora, poiché ∪F ⊆ B, y ∈ B. Poiché y era un elemento arbitrario di x, possiamo concludere che x ⊆ B, ovvero x ∈ P(B). Ma x era un elemento arbitrario di F, e questo mostra che F ⊆ P(B) come richiesto. Questa è probabilmente la dimostrazione più complessa che abbiamo fatto fin’ora. Leggetela attentamente ed assicuratevi di capire la sua struttura e lo scopo di ogni frase. Non è rimarchevole come tanta complessità logica sia stata compressa in poche linee? Non è raro per una dimostrazione corta avere una struttura logica cosı̀ ricca. Questa efficienza di esposizione è una delle caratteristiche più attraenti delle dimostrazioni, ma le rende anche difficili da leggere. Sebbene ci stiamo concentrano per ora nello scrivere le dimostrazioni, è anche importante imparare come CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 117 leggere le dimostrazioni scritte da altre persone. Per farvi impratichire un po’ su questo, presentiamo ora la nostra ultima prova in questa sezione senza il lavoro di bozza. Vedete se riuscite a seguire la struttura della dimostrazione mentre la leggete. Dopo la dimostrazione forniremo dei commenti che dovrebbero aiutarvi a capirla. Per questa dimostrazione abbiamo bisogno della seguente definizione: Dati gli interi x ed y, diremo che x divide y (o che y è divisibile per x) se ∃k ∈ Z(kx = y). Useremo la notazione x | y per dire “x divide y”. Per esempio, 4 | 20, poiché 5 · 4 = 20. Teorema 3.3.6. Per tutti gli interi a, b e c, se a | b e b | c, allora a | c. Dimostrazione. Siano a, b, c interi arbitrari e supponiamo che a | b e b | c. Poiché a | b, possiamo scegliere un intero m tale che ma = b. In maniera simile, poiché b | c, possiamo scegliere un intero n tale che nb = c. Pertanto c = nb = nma, e poiché nm è intero, abbiamo a | c. Commentario. Il teorema dice ∀a ∈ Z∀b ∈ Z∀c ∈ Z(a | b ∧ b | c → a | c), cosı̀ la maniera più naturale per procedere è dire che a, b e c sono interi arbitrari, assumere a | b e b | c e dimostrare a | c. La prima frase della dimostrazione indica che stiamo usando questa strategia, cosı̀ l’obiettivo per il resto della dimostrazione sarà dimostrare a | c. Il fatto che questo è l’obiettivo per il resto della dimostrazione non è detto in maniera esplicita. Ci si aspetta che siate voi a capirlo usando la vostra conoscenza delle strategie di dimostrazione. Potreste anche voler fare una lista di dati e obiettivi per aiutarvi a tenere traccia di ciò che è noto ciò che rimane da dimostrare mano a mano che continuate a leggere la dimostrazione. A questo punto nella prova, la lista dovrebbe essere come questa: Dati a, b e c sono interi a|b b|c Obiettivo a|c Poiché il nuovo obiettivo vuol dire ∃k ∈ Z(ka = c), la dimostrazione probabilmente procederà trovando un intero k tale che ka = c. Come molto dimostrazioni di affermazioni esistenziali, il primo passo nel trovare k consiste nel guardare più attentamente i dati. La frase successiva nella dimostrazione usa il dato a | b per concludere che possiamo scegliere un intero m tale che ma = b. La dimostrazione non dice quale regola di inferenza giustifica il passaggio. È vostro compito capirlo determinando la forma logica del dato a | b usando la definizione di divide. Poiché questo significa ∃k ∈ Z(ka = b), dovreste riconoscere che la regola di inferenza che è stata usata è l’istanziazione esistenziale. L’istanziazione esistenziale è anche usata nella frase successiva della dimostrazione per giustificare la scelta di un intero n tale che nb = c. Le equazioni ma = b e nb = c possono ora essere aggiunte alla lista dei dati. Alcuni passi sono stati saltati nell’ultima frase della dimostrazione. Ci saremmo aspettati che l’obiettivo a | c fosse dimostrato trovando un intero k tale CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 118 che ka = c. Dall’equazione c = nma e il fatto che nm è intero, ne segue che k = nm funziona, ma la dimostrazione non dice esplicitamente che il valore di k utilizzato è questo; in effetti, la variabile k non è menzionata per nulla nella dimostrazione. Naturalmente, la variabile k non è neanche menzionata nell’enunciato del teorema. Non è raro che una dimostrazione di una affermazione esistenziale sia scritta in questo modo, specialmente quando, come in questo caso, l’obiettivo non è scritto esplicitamente in forma esistenziale nell’enunciato del teorema. In questo caso, la natura esistenziale dell’obiettivo diviene evidente solo dopo aver sfruttato la definizione di divide. Esercizi Nota: gli esercizi marcati con PD possono essere svolti con Proof Designer. Per maggiori informazioni su Proof Designer, vedi l’Appendice B. *1. Nell’esercizio 7 della Sezione 2.2 avete usato le equivalenze logiche per dimostrare che ∃x(P (x) → Q(x)) è equivalente a ∀xP (x) → ∃xQ(x). Ora utilizzate i metodi di questa sezione per dimostrare che se ∃x(P (x)→Q(x)) è vero, allora ∀xP (x) → ∃xQ(x) è vero. (Nota: l’altra direzione di questa equivalenza è abbastanza più difficile da dimostrare. Vedi esercizio 5 della Sezione 3.5. 2. Dimostrate che se A e B \ C sono disgiunti, allora A ∩ B ⊆ C. *3. Dimostrate che se A ⊆ B \ C, allora A e C sono disgiunti. P 4. Supponete che A ⊆ P(A). Dimostrare che P(A) ⊆ P(P(A)). D 5. L’ipotesi del teorema dimostrato nell’esercizio 4 è A ⊆ P(A). (a) Riuscite a trovare a un insieme A per il quale l’ipotesi è vera? (b) Riuscite a trovarne un altro? 6. Supponete che x sia un numero reale. (a) Dimostrate che se x 6= 1 allora c’è un numero reale y tale che (b) Dimostrate che se c’è un numero reale y tale che x 6= 1. y+1 y−2 y+1 y−2 = x. = x, allora *7. Dimostrate che per ogni numero reale x, se x > 2 allora c’è un numero reale y tale che y + y1 = x. P 8. Dimostrate che se F è una famiglia di insiemi e A ∈ F, allora A ⊆ ∪F. D *9. Dimostrate che se F è una famiglia di insiemi e A ∈ F, allora ∩F ⊆ A. 10. Supponete che F sia un famiglia di insiemi non vuota, B sia un insieme, e ∀A ∈ F(B ⊆ A). Dimostrare che B ⊆ ∩F . 11. Supponete che F sia un famiglia di insiemi. Dimostrate che se ∅ ∈ F allora ∩F = ∅. P *12. Supponete che F e G siano famiglie di insiemi. Dimostrare che se F ⊆ G D allora ∪F ⊆ ∪G. 13. Supponete che F e G siano famiglie di insiemi non vuote. Dimostrare che se F ⊆ G allora ∩F ⊆ ∩G. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 119 *14. Supponete che {Ai | i ∈ I} sia un famiglia indicizzata di insiemi. Dimostrare che ∪i∈I P(Ai ) ⊆ P(∪i∈I Ai ). (Suggerimento: Prima assicuratevi di conoscere cosa significano tutte le notazioni!) 15. Supponete che {Ai | i ∈ I} sia un famiglia indicizzata di insiemi e I 6= ∅. Dimostrare che ∩i∈I P(Ai ) ⊆ P(∩i∈I Ai ). P 16. Dimostrate l’opposto dell’enunciato dimostrato nell’Esempio 3.3.5. In D altre parola, dimostrate che se F ⊆ P(B) allora ∪F ⊆ B. *17. Supponete che F e G siano famiglie non vuote di insiemi, e ogni elemento di F è un sottoinsieme di ogni elemento di G. Dimostrate che ∪F ⊆ ∩G. 18. In questo problema tutte le variabili prendono valore su Z, l’insieme di tutti gli interi. (a) Dimostrate che se a | b e a | c, allora a | (b − c). (b) Dimostrate che se ac | bc e c 6= 0, allora a | b. 19. (a) Dimostrate che per tutti i numeri reali x e y c’è un numero reale z tale che x + z = y − z. (b) L’affermazione al punto (a) sarebbe corretta se “numero reale” fosse sostituito con “intero”. Giustificate la vostra risposta. *20. Considerate il seguente teorema: Teorema. Per ogni numero reale x, x2 ≥ 0. Cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione di questo teorema? Dimostrazione. Supponete che non lo sia. Allora, per ogni numero reale x, x2 < 0. In particolare, con x = 3 otterremmo 9 < 0, che è chiaramente falso. Questa contraddizione mostra che per ogni numero x, x2 ≥ 0. 21. Considerate il seguente teorema non corretto: Teorema non corretto. Se ∀x ∈ A(x 6= 0) e A ⊆ B allora ∀x ∈ B(x 6= 0). (a) Cose c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Sia x un elemento arbitrario di A. Poiché ∀x ∈ A(x 6= 0), possiamo concludere che x 6= 0. Inoltre, poiché A ⊆ B, x ∈ B. Poiché x ∈ B, x 6= 0 ed x era arbitrario, possiamo concludere che ∀x ∈ B(x 6= 0). (b) Trovate un controesempio al teorema. In altre parole, determinare un esempio di insiemi A e B per i quali le ipotesi del teorema sono vere ma la conclusione è falsa. *22. Considerate il seguente teorema non corretto: Teorema non corretto. ∃x ∈ R∀y ∈ R(xy 2 = y − x). Cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione del teorema? CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 120 Dimostrazione. Sia x = y/(y 2 + 1). Allora y−x=y− y y3 y = = 2 · y 2 = xy 2 . y2 + 1 y2 + 1 y +1 23. Considerata il seguente teorema non corretto. Teorema non corretto. Siano F e G famiglie di insiemi. Se ∪F e ∪G sono disgiunti, allora lo sono anche F e G. (a) Cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Supponiamo che ∪F e ∪G siano disgiunti. Suponiamo che F e G non siano disgiunti. Allora possiamo scegliere un insieme A tale che A ∈ F e A ∈ G. Poiché A ∈ F, per l’esercizio 8, A ⊆ ∪F, cosı̀ ogni elemento di A è in ∪F . In maniera simile, poiché A ∈ G, ogni elemento di A è in ∪G. Ma allora ogni elemento di A è sia in ∪F che in ∪G, e questo è impossibile perché ∪F e ∪G sono disgiunti. Cosı̀, abbiamo raggiunto una contraddizione, ed F e F devono essere disgiunti. (b) Trovare un controesempio al teorema. 24. Considerate il seguente teorema putativo. Teorema? Per tutti i numeri reali x e y, x2 + xy − 2y 2 = 0. (a) Cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Siano x ed y uguali a qualche numero reale arbitrario r. Allora x2 + xy − 2y 2 = r2 + r · r − 2r2 = 0. Poiché sia x che y erano arbitrari, questo mostra che per tutti i numeri reali x e y, x2 + xy − 2y 2 = 0. (b) Il teorema è corretto? Giustificate la vostra risposta con una dimostrazione o un controesempio. *25. Dimostrate che per ogni numero reale x c’è un numero reale y tale che per ogni numero reale z, yz = (x + z)2 − (x2 + z 2 ) 26. (a) Confrontando la varie regole per gestire i quantificatori nelle dimostrazioni, dovreste trovare una somiglianza tra le regole per gli obiettivi della forma ∀xP (x) e per i dati della forma ∃xP (x). Quale è la somiglianza? Cosa potete dire sulle regole per gli obiettivi della forma ∃xP (x) e per i dati della forma ∀xP (x). (b) Riuscite a immaginare un motivo per cui queste somiglianze potrebbero essere attese? (Suggerimento: Pensate a come le dimostrazioni per assurdo funzionano quando l’obiettivo inizia con un quantificatore.) CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 3.4 121 Dimostrazioni con Congiunzioni e Bicondizionali Il metodo per dimostrare un obiettivo della forma P ∧ Q è cosı̀ semplice che sembra quasi inutile menzionarlo: Per dimostrare un obiettivo della forma P ∧ Q: Dimostrare P e Q separatamente. In altre parole, un obiettivo della forma P ∧ Q è trattato come due obiettivi separati: P e Q. Per usare un dato della forma P ∧ Q: Trattare questo dato come due dati separati: P e Q. Abbiamo già usato questa idea, senza menzionarla, in alcuni dei nostri esempi precedenti. Per esempio, la definizione del dato x ∈ A \ C nell’Esempio 3.2.3 era x ∈ A ∧ x ∈ / C, ma l’abbiamo trattata come se fossero due dati separati: x∈Aex∈ / C. Esempio 3.4.1. Supponiamo A ⊆ B ed A disgiunto da C. Dimostrare che A ⊆ B \ C. Bozza della dimostrazione Dati A⊆B A∩C =∅ Obiettivo A⊂B\C Analizzando la forma logica dell’obiettivo, vediamo che ha la forma ∀x(x ∈ A → x ∈ B \ C), cosı̀ utilizziamo una variabile x arbitraria, assumiamo x ∈ A, e proviamo a dimostrare che x ∈ B \ C. Il nuovo obiettivo x ∈ B \ C vuol dire x ∈ B∧x ∈ / C, cosı̀ in accordo alla nostra strategia, dovremmo dividerlo in due obiettivi, x ∈ B e x ∈ / C, e dimostrarli separatamente. Dati A⊆B A∩C =∅ x∈A Obiettivo x∈B x∈ /C La dimostrazione finale avrà la seguente forma: Sia x arbitraria. Supponiamo x ∈ A. [Qui va una dimostrazione di x ∈ B.] [Qui va una dimostrazione di x ∈ / C.] Cosı̀, x ∈ B ∧ x ∈ / C, pertanto x ∈ B \ C. Pertanto x ∈ A → x ∈ B \ C. Poiché x era arbitraria, ∀x(x ∈ A → x ∈ B \ C), ovvero A ⊆ B \ C. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 122 Il primo obiettivo x ∈ B, segue chiaramente dal fatto che x ∈ A e A ⊆ B. Il secondo obiettivo x ∈ / C, segue da x ∈ A e A∩C = ∅. Potete vederlo analizzando la forma logica dell’affermazione A ∩ C = ∅. È una affermazione negativa, ma può essere rappresentata come un’affermazione positiva: A ∩ C = ∅ è equivalente a ¬∃y(y ∈ A ∧ y ∈ C) (definizione di ∩ e ∅), che è equivalente a ∀y¬(y ∈ A ∧ y ∈ C) (legge di neg. dei quantif.), che è equivalente a ∀y(y ∈ / A∨y ∈ / C) (legge di De Morgan), che è equivalente a ∀y(y ∈ A → y ∈ / C) (legge condizionale). Sostituendo x per y nell’ultima affermazione, vediamo che x ∈ A → x ∈ / C, e poiché già sappiamo x ∈ A, possiamo concludere x ∈ / C. Soluzione Teorema. Supponiamo A ⊆ B ed A disgiunto da C. Allora A ⊆ B \ C. Dimostrazione. Supponiamo x ∈ A. Poiché A ⊆ B ne segue che x ∈ B, e poiché A e C sono disgiunti, dobbiamo avere x ∈ / C. Cosı̀, x ∈ B \ C. Poiché x era un elemento arbitrario di A, possiamo concludere che A ⊆ B \ C. Usando la nostra strategia per lavorare con le congiunzioni, possiamo ora trovare la maniera corretta per trattare affermazioni del tipo P ↔ Q nelle dimostrazioni. Poiché P ↔ Q è equivalente a (P → Q) ∧ (Q → P ), in accordo alle nostre strategie un dato o un obiettivo della forma P ↔ Q dovrebbe essere trattato come due dati separati o due obiettivi: P → Q e Q → P . Per dimostrare un obiettivo della forma P ↔ Q: Dimostrare P → Q e Q → P separatamente. Per usare un dato della forma P ↔ Q: Trattarlo come due dati separati: P → Q e Q → P . Ciò è illustrato nel prossimo esempio, nel quale usiamo la seguente definizione: Un intero x è pari se ∃k ∈ Z(x = 2k), ed è dispari se ∃k ∈ Z(x = 2k + 1). Usiamo anche il fatto che ogni intero è o pari o dispari, ma non entrambi. Vedremo un dimostrazione di questo fatto nel Capitolo 6. Esempio 3.4.2. Sia x un intero. Dimostrare che x è pari sse x2 è pari. Bozza della dimostrazione L’obiettivo è “(x è pari) ↔ (x è dispari)”, cosı̀ dimostriamo i due obiettivi “(x è pari) → (x è dispari)” e “(x è dispari) → (x è pari)” separatamente. Per prima cosa, assumiamo che x sia pari e dimostriamo che x2 è pari: Dati x∈Z x è pari Obiettivo x2 è pari Rimpiazzando la definizione di pari sia nei dati che nell’obiettivo ne rivelerà la forma logica: CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI Dati x∈Z ∃k ∈ Z(x = 2k) 123 Obiettivo ∃k ∈ Z(x2 = 2k) Poiché il secondo dato inizia con ∃k, possiamo usarlo immediatamente ed indicare k un particolare intero per il quale l’affermazione x = 2k è vera. Cosı̀, abbiamo due nuovi dati: k ∈ Z e x = 2k. Dati x∈Z k∈Z x = 2k Obiettivo ∃k ∈ Z(x2 = 2k) L’obiettivo inizia con ∃k, ma poiché k è già usata per un numero particolare, non possiamo assegnare un nuovo valore a k per dimostrare l’obiettivo. Dobbiamo pertanto passare ad utilizzare una lettera differente, diciamo j. Una maniera di vedere la cosa è pensare di riscrivere l’obiettivo nella forma equivalente ∃j ∈ Z(x2 = 2j). Per dimostrare questo obiettivo dobbiamo inventare un valore da mettere al posto di j. Deve essere un intero, e deve soddisfare l’equazione x2 = 2j. Usando l’equazione data x = 2k, vediamo che x2 = (2k)2 = 4k 2 = 2(2k 2 ), cosı̀ sembra che il valore corretto da scegliere per j sia j = 2k 2 . Chiaramente 2k 2 è un intero, cosı̀ questa scelta per j funziona per completare la dimostrazione del nostro primo obiettivo. Per dimostrare il secondo obiettivo “(x2 è pari) → (x è pari)”, dimostreremo invece la contropositiva “(x non è pari) → (x2 non è pari)”. Poiché un qualunque intero è o pari o dispari, ma non entrambi, questa è equivalente alla affermazione “(x è dispari) → (x2 è dispari)”. Dati x∈Z x è dispari Obiettivo x2 è dispari I passi sono ora piuttosto simili a quelli della prima parte della dimostrazione. Come prima, iniziamo esplicitando la definizione di dispari sia nel secondo dato che nell’obiettivo. Questa volta, per evitare conflitti tra i nomi di variabile in cui siamo incorsi nella prima parte della dimostrazione, usiamo nomi diversi per le variabili vincolate nelle due affermazioni. Dati x∈Z ∃k ∈ Z(x = 2k + 1) Obiettivo ∃j ∈ Z(x2 = 2j + 1) Ora usiamo il secondo dato indicando con k un particolare elemento per cui x = 2k + 1. Dati x∈Z x∈Z x = 2k + 1 Obiettivo ∃j ∈ Z(x2 = 2j + 1) CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 124 Dobbiamo trovare adesso un indice j tale che x2 = 2j + 1. Sapendo che x = 2k +1, abbiamo x2 = (2k +1)2 = 4k 2 +4k +1 = 2(2k 2 +2k)+1, cosı̀ j = 2k 2 +2k sembra la scelta corretta. Prima di dare la versione finale della dimostrazione, dovremmo aggiungere qualche nota esplicativa. Le due affermazioni condizionali che abbiamo dimostrato possono essere pensate come rappresentanti le due direzioni → e ← del simbolo bicondizionale ↔ nell’obiettivo originale. Queste due parti della dimostrazione sono talvolta etichettate con i simboli → e ←. In ogni parte, finiamo col dimostrare una affermazione che asserisce l’esistenza di un numero con certe proprietà. Abbiamo chiamato questo numero j nel lavoro di bozza, ma notare che j non è stato menzionato esplicitamente nell’enunciato del teorema. Come nella dimostrazione del Teorema 3.3.6, abbiamo scelto di non menzionarlo esplicitamente neanche nella prova finale. Soluzione Teorema. Sia x un intero. Allora x è pari sse x2 è pari. Dimostrazione. (→) Supponiamo che x sia pari. Allora per qualche intero k, x = 2k. Pertanto, x2 = 4k 2 = 2(2k 2 ) cosı̀, poiché 2k 2 è intero, x2 è pari. Pertanto, se x è pari allora x2 è pari. (←) Supponiamo che x sia dispari. Allora x = 2k + 1 per qualche intero k. Pertanto x2 = (2k + 1)2 = 4k 2 + 4k + 1 = 2(2k 2 + 2k) + 1 cosı̀, poiché 2k 2 + 2k è un intero, x2 è dispari. Pertanto, se x2 è pari allora x è pari. Usando le tecniche di dimostrazione che abbiamo sviluppato, possiamo verificare alcune delle equivalenze che nel Capitolo 2 eravamo stati in grado di giustificare solo su base intuitiva. Come esempio, proviamo a dimostrare che le formule ∀x¬P (x) e ¬∃P (x) sono equivalenti. Dire che queste formule sono equivalenti significa che avranno sempre lo stesso valore di verità. In altre parole, non importa cosa voglia dire l’affermazione P (x), l’affermazione ∀x¬P (x)↔¬∃xP (x) sarà sempre vera. Possiamo dimostrarlo usando la nostra tecnica per dimostrare affermazioni bicondizionali. Esempio 3.4.3. Dimostrare che ∀x¬P (x) ↔ ¬∃xP (x). Bozza della dimostrazione (→) Dobbiamo dimostrare ∀x¬P (x) → ¬∃xP (x), cosı̀ assumiamo ∀x¬P (x) e proviamo a dimostrare ¬∃xP (x). Il nostro obiettivo è ora una affermazione negativa, e riesprimerlo in forma positiva richiederebbe l’uso della stessa equivalenza che stiamo provando a dimostrare! Pertanto, ripieghiamo sulla nostra unica altra strategia per trattare obiettivi negativi, la dimostrazione per assurdo. Abbiamo ora la seguente situazione: Dati ∀x¬P (x) ∃xP (x) Obiettivo (Contraddizione) CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 125 Il secondo dato inizia con un quantificatore esistenziale, cosı̀ possiamo usarlo immediatamente e indicare con x0 un qualche oggetto per il quale l’affermazione P (x0 ) è vera. Ma ora, inserendo x0 al posto di x nel primo dato, concludiamo ¬P (x0 ), che ci da la contraddizione di cui abbiamo bisogno. (←) Per questa direzione del bicondizionale dovremmo assumere ¬∃xP (x) e provare a dimostrare ∀x¬P (x). Poiché l’obiettivo parte con un quantificatore universale, lasciamo x arbitraria e proviamo a dimostrare ¬P (x). Ancora una volta, abbiamo un obiettivo negativo che non può essere riespresso, cosı̀ proviamo una dimostrazione per assurdo: Dati ¬∃xP (x) P (x) Obiettivo (Contraddizione) Il nostro primo dato è anche una affermazione negata, e questo suggerisce che potremmo ottenere la contraddizione di cui abbiamo bisogno dimostrando ∃xP (x). Pertanto lo impostiamo come nostro obiettivo. Dati ¬∃xP (x) P (x) Obiettivo ∃xP (x) Per evitare di confondere la x che appare come variabile libera nel secondo dato (la x arbitraria introdotto precedentemente nella dimostrazione) con la x che appare come variabile vincolata nell’obiettivo, potreste voler riscrivere l’obiettivo nella forma equivalente ∃yp(y). Per dimostrare l’obiettivo dobbiamo trovare un valore di y che renda vero P (y). Ma questo è facile! Il nostro secondo dato, P (x), ci dice che la nostra x arbitraria è il valore di cui abbiamo bisogno. Soluzione Teorema. ∀x¬P (x) ↔ ¬∃xP (x) Dimostrazione. (→) Supponiamo ∀x¬P (x), e supponiamo anche ∃xP (x). Allora possiamo scegliere x0 tale che P (x0 ) è vero. Ma poiché ∀x¬P (x), possiamo concludere che ¬P (x0 ), e questa è una contraddizione. Pertanto ∀x¬P (x) → ¬∃xP (x). (←) Supponiamo ¬∃xP (x). Sia x arbitrario, e supponiamo P (x). Poiché abbiamo una specifica x per cui P (x) è vero, ne segue che ∃xP (x), che è una contraddizione. Pertanto, ¬P (x). Poiché x era arbitraria, possiamo concludere che ∀x¬P (x), cosı̀ ¬∃xP (x) → ∀x¬P (x). Talvolta nella dimostrazione di un obiettivo della forma P ↔ Q i passi nella dimostrazione di Q → P sono gli stessi passi usati per dimostrare P → Q, ma nell’ordine inverso. In questo caso potete essere in grado di semplificare la dimostrazione scrivendola come una sequenza di equivalenze, partendo da P e terminando con Q. Per esempio, supponete che abbiate scoperto di poter provare P → Q prima assumendo P , poi usando P per inferire qualche altra affermazione R, e successivamente usando R per dedurre Q; supponete anche che CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 126 gli stessi passi possano essere usati, nell’ordine inverso, per dimostrare Q→P . In altre parole, potete assumere Q, usare questa assunzione per concludere che R è vero, e quindi usare R per dimostrare P . Poiché asserireste sia P →R che R→P , potreste riassumere questi due passi dicendo P ↔. In maniera simile, gli altri due passi della dimostrazione ci dicono che R ↔ Q. Queste due affermazioni implicano l’obiettivo P ↔ Q. I matematici spesso presentano questo tipo di dimostrazione scrivendo semplicemente la sequenza di equivalenze P sse R sse Q. Potete pensare a questa come una abbreviazione for “P sse R ed R sse Q (e pertanto P sse Q)”. Questo viene illustrato nel prossimo esempio. Esempio 3.4.4. Supponiamo che A, B e C siano insiemi. Dimostrare che A ∩ (B \ C) = (A ∩ B) \ C. Bozza della dimostrazione Come abbiamo visto nel Capitolo 2, l’equazione A ∩ (B \ C) = (A ∩ B) \ C vuol dire ∀x(x ∈ A ∩ (B \ C) ↔ x ∈ (A ∩ B) \ C), ma è anche equivalente all’affermazione [A ∩ (B \ C) ⊆ (A ∩ B) \ C] ∧ [(A ∩ B) \ C ⊆ A ∩ (B \ C)]. Questo suggerisce due approcci alla dimostrazione. Potremmo lasciare x arbitraria e dimostrare x ∈ A ∩ (B \ C) ↔ x ∈ (A ∩ B) \ C, o potremmo dimostrare le due affermazioni A ∩ (B \ C) ⊆ (A ∩ B) \ C e (A ∩ B) \ C ⊆ A ∩ (B \ C). In effetti, pressoché qualunque dimostrazione che due insiemi sono uguali è basata su uno di questi due approcci. In questo caso useremo il primo approccio, pertanto una volta che abbiamo introdotto il nostro x arbitrario, avremo un obiettivo sse. Per la metà (→) della dimostrazione, assumiamo x ∈ A ∩ (B \ C) e proviamo a dimostrare x ∈ (A ∩ B) \ C: Dati x ∈ A ∩ (B \ C) Obiettivo x ∈ (A ∩ B) \ C Per vedere la forma logica del dato e dell’obiettivo, esplicitiamo le loro definizioni come segue: x ∈ A ∩ (B \ C) sse x ∈ A ∧ x ∈ B \ C sse x ∈ A ∧ x ∈ B ∧ x ∈ / C, x ∈ (A ∩ B) \ C sse x ∈ A ∩ B ∧ x ∈ / X sse x ∈ A ∧ x ∈ B ∧ x ∈ / C. A questo punto è chiaro che i dati implicano l’obiettivo, poiché l’ultimo passo in entrambe le sequenze di equivalenze è risultato essere identico. In effetti, è anche chiaro che il ragionamento richiesto nella direzione (←) della dimostrazione sarà esattamente lo stesso, ma con le colonne dati e obiettivo scambiate. Cosı̀, possiamo provare ad accorciare la dimostrazione scrivendola come una sequenza di equivalenze, partendo da x ∈ A ∩ (B \ C) e terminando in x ∈ (A ∩ B) \ C. In questo caso, se partiamo con x ∈ A ∩ (B \ C) e seguiamo la prima sequenza di equivalenze evidenziate sopra, arriviamo ad una affermazione che la stessa dell’ultima affermazione nella seconda sequenza di CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 127 equivalenze. Possiamo continuare seguendo la seconda sequenza di equivalenze all’indietro, terminando con x ∈ (A ∩ B) \ C. Soluzione Teorema. Supponiamo che A, B e C siano insiemi. Allora A ∩ (B \ C) = (A ∩ B) \ C. Dimostrazione. Sia x arbitraria. Allora x ∈ A ∩ (B \ C)sse x ∈ A ∧ x ∈ B \ C sse x ∈ A ∧ x ∈ B ∧ x ∈ /C sse x ∈ A ∩ B ∧ x ∈ /C sse x ∈ (A ∩ B) \ C. Cosı̀, ∀x(x ∈ A∩(B \C)↔x ∈ (A∩B)\C), ovvero A∩(B \C) = (A∩B)\C. La tecnica di determinare una sequenza di equivalenze in un ordine e quindi scriverla nell’ordine inverso è usata piuttosto spesso nelle dimostrazioni. L’ordine in cui i passi dovrebbero essere scritti nella dimostrazione finale è basato sul principio che una asserzione non dovrebbe mai essere fatta prima di poter essere giustificata. In particolare, se state provando a dimostrare P ↔ Q, è sbagliato iniziare la vostra forma finale della dimostrazione con l’affermazione non giustificata P ↔ Q e successivamente esplicitare il significato di P e Q, mostrando che sono uguali. Dovreste invece partire con equivalenze che sapete giustificare e concatenarle per produrre una giustificazione dell’obiettivo P ↔ Q prima di asserirlo come vero. Una tecnica simile può talvolta essere impiegata per trovare le dimostrazioni di equazioni, come mostra il prossimo esempio. Esempio 3.4.5. Dimostrare che per tutti i numeri reali a e b, (a + b)2 − 4(a − b)2 = (3b − a)(3a − b). Bozza della dimostrazione L’obiettivo ha la forma ∀a∀b((a + b)2 − 4(a − b)2 = (3b − a)(3a − b)), pertanto iniziamo indicando con a e b dei numeri reali arbitrari e provando a dimostrare l’equazione. Eseguendo le moltiplicazioni in entrambi i lati, otteniamo: (a + b)2 − 4(a − b)2 = a2 + 2ab + b2 − 4(a2 − 2ab + b2 ) = −3a2 + 10ab − 3b2 ; (3b − a)(3a − b) = 9ab − 3a2 − 3b2 + ab = −3a2 + 10ab − 3b2 . Chiaramente i due lati sono uguali. La maniera più semplice di scrivere questa dimostrazione è scrivere una sequenza di eguaglianze partendo da (a + b)2 − 4(a − b)2 e terminando con (3b − a)(3a − b). Possiamo farlo copiando la prima sequenza di uguaglianze mostrata sopra, e continuandola con la seconda linea, scritta al contrario. Soluzione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 128 Teorema. Per tutti i numeri reali a e b, (a + b)2 − 4(a − b)2 = (3b − a)(3a − b). Dimostrazione. Siano a e b numeri reali arbitrari. Allora (a + b)2 − 4(a − b)2 = a2 + 2ab + b2 − 4(a2 − 2ab + b2 ) = −3a2 + 10ab − 3b2 = 9ab − 3a2 − 3b2 + ab = (3b − a)(3a − b). Terminiamo questa sezione presentando un’altra dimostrazione senza il lavoro di bozza preliminare, ma con un commentario per aiutarvi a leggere la dimostrazione. Teorema. Per ogni intero n, 6 | n sse 2 | n e 3 | n. Dimostrazione. Sia n un intero arbitrario. (→) Supponiamo 6 | n. Allora possiamo scegliere un intero k tale che 6k = n. Pertanto n = 6k = 2(3k), cosı̀ 2 | n, e in maniera simile, n = 6k = 3(2k), cosı̀ 3 | n. (←) Supponiamo 2 | n e 3 | n. Allora possiamo scegliere degli interi j e k tali che n = 2j ed n = 3k. Pertanto 6(j−k) = 6j−6k = 3(2j)−2(3k) = 3n−2n = n, cosı̀ 6 | n. Commentario. L’affermazione da dimostrare è ∀n ∈ Z(6 | n↔(2 | n∧3 | n)), e la strategia più naturale per dimostrare un obiettivo di questa forma è lasciare n arbitrario e dimostrare entrambe le direzioni del bicondizionale separatamente. Dovrebbe essere chiaro che questa è la strategia usata nella dimostrazione. Per la direzione da sinistra a destra del bicondizionale, assumiamo 6 | n e dimostriamo 2 | n e 3 | n, trattandoli come due obiettivi separati. L’introduzione dell’intero k è giustificata dall’istanziazione esistenziale, poiché l’assunzione 6 | n vuol dire ∃k ∈ Z(6kn = n). A questo punto nella dimostrazione abbiamo i seguenti dati e obiettivi: Dati n∈Z k∈Z 6k = n Obiettivo 2|n 3|n Il primo obiettivo, 2 | n, significa ∃j ∈ Z(2j = n), cosı̀ dobbiamo trovare un intero j tale che 2j = n. Sebbene la dimostrazione non lo dica in maniera cosı̀ esplicita, l’equazione n = 2(3k), che deriviamo nella dimostrazione, suggerisce che il valore da usare per j è j = 3k. Chiaramente, 3k è un intero (un altro passaggio saltato nella dimostrazione), cosı̀ questa scelta per j funziona. La dimostrazione di 3 | n è simile. Per la direzione da destra a sinistra assumiamo 2 | n e 3 | n e dimostriamo 6 | n. Ancora una volta, l’introduzione di j e k è giustificata dalla istanziazione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 129 esistenziale. Nessuna spiegazione viene data del perché dovremmo calcolare 6(j −k), ma una dimostrazione non deve fornire una tale spiegazione. La ragione per il calcolo dovrebbe essere chiara quando, sorprendentemente, risulta che 6(j − k) = n. Queste sorprese sono una parte del piacere di lavorare con le dimostrazioni. Come nella prima metà della dimostrazione, poiché j − k è un intero, questo mostra che 6 | n. Esercizi *1. Usate i metodi di questo capitolo per dimostrare che ∀x(P (x) ∧ Q(x)) è equivalente a ∀xP (x) ∧ ∀xQ(x). P 2. Dimostrate che se A ⊆ B e A ⊆ C allora A ⊆ B ∩ C. D P 3. Assumete A ⊆ B. Dimostrate che per ogni insieme C, C \ B ⊆ C \ A. D P *4. Dimostrate che se A ⊆ B e A * C allora B * C. D P 5. Dimostrate che se A ⊆ B \ C e A 6= ∅ allora B * C. D 6. Dimostrate che per tutti gli insiemi A, B e C, A\(B∩C) = (A\B)∪(A\C), trovando una sequenza di equivalenze che parte con x ∈ A \ (B ∩ C) e termina con x ∈ (A \ B) ∪ (A \ C). P *7. Usate i metodi di questo capitolo per dimostrare che per tutti gli insiemi D A e B, P(A ∩ B) = P(A) ∩ P(B). P 8. Dimostrate che A ⊆ B sse P(A) ⊆ P(B). D *9. Dimostrate che se x ed y sono interi dispari, allora xy è dispari. 10. Dimostrate che per ogni intero n, n3 è pari sse n è pari. 11. Considerate il seguente teorema putativo. Teorema? Sia m un intero pari ed n un intero dispari. Allora n2 − m2 = n + m. (a) Cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione del teorema? Dimostrazione. Poiché m è pari, possiamo scegliere un intero k tale che m = 2k. In maniera simile, poiché n è dispari, abbiamo n = 2k + 1. Allora n2 − m2 = (2k + 1)2 − (2k)2 = 4k 2 + 4k + 1 − 4k 2 = 4k + 1 = (2k + 1) + (2k) = n + m. (b) Il teorema è corretto? Giustificate la vostra risposta con una dimostrazione o un controesempio. *12. Dimostrate che ∀x ∈ R[∃y ∈ R(x + y = xy) ↔ x 6= 1]. 13. Dimostrate che ∃z ∈ R∀x ∈ R+ [∃y ∈ R(y − x = y/x) ↔ x 6= z]. P 14. Supponete che B sia un insieme ed F una famiglia di insiemi. Dimostrare D che ∪{A \ B | A ∈ F} ⊆ ∪(F \ P(B)). CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 130 *15. Supponete che F e G siano famiglie non vuote di insiemi e che ogni elemento di F sia disgiunto da qualche elemento di G. Dimostrare che ∪F e ∩G sono disgiunti. P 16. Dimostrare che per ogni insieme A, A = P(A). D P *17. Siano F e G famiglie di insiemi. D (a) Dimostrare che ∪(F ∩ G) ⊆ (∪F ) ∩ (∪G). (b) Cosa c’è di sbagliato nella seguente dimostrazione che (∪F )∩(∪G) ⊆ ∪(F ∩ G)? Dimostrazione. Supponiamo x ∈ (∪F) ∩ (∪G). Questo significa che x ∈ ∪F e x ∈ ∪G, cosı̀ ∃A ∈ F(x ∈ A) ed ∃A ∈ G(x ∈ A). Pertanto possiamo scegliere un insieme A tale che A ∈ F, A ∈ G, e x ∈ A. Poiché A ∈ F e A ∈ G, A ∈ F ∩ G. Pertanto ∃A ∈ F ∩ G(x ∈ A), cosicché x ∈ ∪(F ∩ G). Poiché x era arbitrario, possiamo concludere che (∪F ) ∩ (∪G) ⊆ ∪(F ∩ G). (c) Trovare un esempio di famiglie di insiemi F e G per le quali ∪(F ∩G) 6= (∪F ) ∩ (∪G). 18. Siano F e G famiglie di insiemi. Dimostrare che (∪F ) ∩ (∪G) ⊆ ∪(F ∩ G) sse ∀A ∈ F∀B ∈ G(A ∩ B ⊆ ∪(F ∩ G)). P 19. Siano F e G famiglie di insiemi. Dimostrare che ∪F e ∪G sono disgiunti D sse per tutti gli A ∈ F e B ∈ G, A e B sono disgiunti. P 20. Siano F e G famiglie di insiemi. D P D (a) Dimostrare che (∪F) \ (∪G) ⊆ ∪(F \ G). (b) Cosa c’è di sbagliato con la seguente dimostrazione che ∪(F \ G) ⊆ (∪F ) \ (∪G)? Dimostrazione. Supponiamo x ∈ ∪(F \ G). Allora possiamo scegliere un A ∈ F \ G tale che x ∈ A. Poiché A ∈ F \ G, allora A ∈ F e A∈ / G. Poiché x ∈ A e A ∈ F, allora x ∈ ∪F. Poiché x ∈ A e A ∈ / G, allora x ∈ / ∪G. Pertanto x ∈ (∪F) \ (∪G). (c) Dimostrare che ∪(F \ G) ⊆ (∪F) \ (∪G) sse ∀A ∈ (F \ G)∀B ∈ G(A ∩ B = ∅). (d) Trovare un esempio di famiglie di insiemi F e G tali che ∪(F \ G) 6= (∪F) \ (∪G). *21. Supponete che F e G siano famiglie di insiemi. Dimostrate che se ∪F * ∪G, allora esiste qualche A ∈ F tale che per tutti i B ∈ G, A * B. 22. Sia B un insieme, {Ai | i ∈ I} una famiglia indicizzata di insiemi e I 6= ∅. P D (a) Quali strategie di dimostrazione sono usate nella seguente dimostrazione che B ∩ (∪i∈I Ai ) = ∪i∈I (B ∩ Ai )? Dimostrazione. Sia x arbitrario. Supponete x ∈ B ∩(∪i∈I Ai ). Allora x ∈ B e x ∈ ∪i∈I Ai , pertanto possiamo scegliere qualche i0 ∈ I tale CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 131 che x ∈ Ai0 . Poiché x ∈ B e x ∈ Ai0 , abbiamo x ∈ B ∩ Ai0 . Pertanto x ∈ ∪i∈I (B ∩ Ai ). Ora supponiamo x ∈ ∪i∈I (B ∩ Ai ). Possiamo scegliere qualche i0 ∈ I tale che x ∈ B ∩Ai0 . Pertanto x ∈ B e x ∈ Ai0 . Poiché x ∈ Ai0 allora x ∈ ∪i∈I Ai . Poiché x ∈ B e x ∈ ∪i∈I Ai , allora x ∈ B ∩ ∪i∈I Ai . Dato che x era arbitrario, abbiamo dimostrato che ∀x[x ∈ B ∩ (∪i∈I Ai ) ↔ x ∈ ∪i∈I (B ∩ Ai )], cosı̀ B ∩ (∪i∈I Ai ) = ∪i∈I (B ∩ Ai ). (b) Dimostrare che B \ (∪i∈I Ai ) = ∩i∈I (B \ Ai ). (c) Potete scoprire e dimostrare un teorema simile a quello di sopra per B \ (∩i∈I Ai )? (Suggerimento: Provate a indovinare il teorema, e poi a dimostrarlo. Se non potete terminare la dimostrazione potrebbe essere perché la vostra congettura era sbagliata. Cambiate la vostra congettura e riprovate.) *23. Supponete che {Ai | i ∈ I} e {Bi | i ∈ I} siano famiglie indicizzate di insiemi e I 6= ∅. (a) Dimostrare che ∪i∈I (Ai \ Bi ) ⊆ (∪i∈I Ai ) \ (∩i∈I Bi ). (b) Trovare un esempio per il quale ∪i∈I (Ai \ Bi ) 6= (∪i∈I Ai ) \ (∩i∈I Bi ). 24. Supponete che {Ai | i ∈ I} e {Bi | i ∈ I} siano famiglie indicizzate di insiemi e Ineq∅. (a) Dimostrare che ∪i∈I (Ai ∩ Bi ) ⊆ (∪i∈I Ai ) ∩ (∪i∈I Bi ). (b) Trovare un esempio per il quale ∪i∈I (Ai ∩ Bi ) 6= (∪i∈I Ai ) ∩ (∪i∈I Bi ). 25. Dimostrare che per tutti gli interi a e b c’è un intero c tale che a | c e b | c. 26. (a) Dimostrare che per ogni intero n, 15 | n sse 3 | n e 5 | n. (b) Dimostrare che non è vero che per ogni intero n, 60 | n sse 6 | n e 10 | n. 3.5 Dimostrazioni con Disgiunzioni Supponete che uno dei vostri dati in una dimostrazione abbia la forma P ∨ Q. Questo fatto ci dice che o P o Q è vero, ma non ci dice quale. Cosı̀, ci sono due possibilità che bisogna tenere in considerazione. Una maniera di svolgere la dimostrazione è quella di considerare queste due possibilità a turno. In altre parole, prima assumete che P sia vera e usate questa assunzione per dimostrare l’obiettivo. Poi assumete che Q sia vera e date un’altra dimostrazione che l’obiettivo sia vero. Sebbene voi non sappiate quale di queste assunzioni è corretta, il fatto P ∨ Q ci dice che almeno una di queste deve essere corretta. Qualunque essa sia, avete mostrato che essa implica l’obiettivo. Pertanto, l’obiettivo deve essere vero. Le due possibilità che sono considerate separatamente in questo tipo di dimostrazione — la possibilità che P sia vera e la possibilità che Q sia vera — sono chiamate casi. Il dato P ∨ Q giustifica l’uso di questi due casi garantendo che questi casi coprono tutte le possibilità. I matematici dicono in questa situazione CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 132 che i casi sono esaustivi. Qualunque dimostrazione può essere spezzata in due o più casi in qualunque momento, purché questi casi siano esaustivi. Per usare un dato della forma P ∨ Q: Spezzate la dimostrazione in casi. Per il caso 1, assumete che P sia vero e usate questa assunzione per dimostrare l’obiettivo. Per il caso 2, assumete che Q sia vero e date un’altra dimostrazione dell’obiettivo. Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: Dati P ∨Q Obiettivo Dopo aver usato la strategia: Caso 1: Dati P Obiettivo Caso 2: Dati Q Obiettivo Forma nella dimostrazione finale: Caso 1. P è vero. [Qui va una dimostrazione dell’obiettivo.] Caso 2. Q è vero. [Qui va una dimostrazione dell’obiettivo.] Poiché sappiamo P ∨ Q, questi casi coprono tutte le possibilità. Pertanto l’obiettivo deve essere vero. Esempio 3.5.1. Assumiamo che A, B e C siano insiemi. Dimostrare che se A ⊆ C e B ⊆ C allora A ∪ B ⊆ C. Bozza della dimostrazione Assumiamo A ⊆ C e B ⊆ C e dimostriamo A ∪ B ⊆ C. Esplicitando l’obiettivo usando i simboli logici ci da la seguente situazione di dati e obiettivo: Dati A⊆C B⊆C Obiettivo ∀x(x ∈ A ∪ B → x ∈ C) Per dimostrare l’obiettivo, sia x arbitraria, assumiamo x ∈ A∪B, e proviamo a dimostrare x ∈ C. Adesso abbiamo un nuovo fatto x ∈ A ∪ B, che scriviamo come x ∈ A ∨ x ∈ B, e il nostro obiettivo è x ∈ C. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI Dati A⊆C B⊆C x∈A∨x∈B 133 Obiettivo x∈C Poiché l’obiettivo non può essere analizzato ulteriormente a questo punto, guardiamo più attentamente i dati. Il primo dato sarebbe utile se incontrassimo un oggetto che è elemento di A, perché ci consentirebbe di concludere immediatamente che questo oggetto deve anche essere un elemento di C. In maniera simile, il secondo dato sarà utile quando incontreremo un elemento di B. Tenendo a mente che dovremmo stare attendi ad elementi di A o di B che possano venire fuori, ci spostiamo a considerare il terzo dato. Poiché esso è della forma P ∨ Q, proviamo la dimostrazione per casi. Per il primo caso assumiamo x ∈ A, e per il secondo assumiamo x ∈ B. Nel primo caso abbiamo i seguenti dati e obiettivi: Dati A⊆C B⊆C x∈A Obiettivo ∀x(x ∈ A ∪ B → x ∈ C) Abbiamo già deciso che se mai avessimo incontrato un elemento di A, potevamo usare il primo dato per concludere che è anche un elemento di C. Poiché ora abbiamo x ∈ A come dato, possiamo concludere che x ∈ C, che è il nostro obiettivo. Il ragionamento per il secondo caso è simile, usando il secondo dato invece del primo. Soluzione Teorema. Assumiamo che A, B e C siano insiemi. Se A ⊆ C e B ⊆ C allora A ∪ B ⊆ C. Dimostrazione. Supponiamo A ⊆ C e B ⊆ C, e sia x un elemento arbitrario di A ∪ B. Allora, o x ∈ A, oppure x ∈ B. Caso 1. x ∈ A. Allora, poiché A ⊆ C, x ∈ C. Caso 2. x ∈ B. Allora, poiché B ⊆ C, x ∈ C. Poiché sappiamo che o x ∈ A o x ∈ B, questi casi coprono tutte le possibilità, cosı̀ possiamo concludere x ∈ C. Poiché x era un elemento arbitrario di A ∪ B, questo significa A ∪ B ⊆ C. Notate che i casi in questa dimostrazione non sono esclusivi. In altre parole, è possibile che si x ∈ A sia xinB siano veri, quindi alcuni valori di x potrebbero ricadere in entrambi i casi. Non c’è nulla di sbagliato con ciò. I casi nella nostra dimostrazione devo coprire tutte le possibilità, ma non c’è nessun danno nel coprire alcune possibilità più di una volta. In altre parole i casi devono essere esaustivi, ma non è richiesto che siano esclusivi. La dimostrazione per casi è talvolta utile se state dimostrando un obiettivo della forma x ∈ P ∨ Q. Se potete dimostrare P in alcuni casi e Q in altri, allora purché i vostri casi siano esaustivi potete concludere che P ∨ Q è vero. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 134 Questo metodo è particolarmente utile se uno dei dati ha anche la forma di una disgiunzione, perché potete usare i casi da essa suggeriti. Per dimostrare un obiettivo della forma P ∨ Q: Spezzate la dimostrazione in casi. In ogni caso dimostrate P o dimostrate Q. Esempio 3.5.2. Siano A, B e C insiemi. Dimostrate che A \ (B \ C) ⊆ (A \ B) ∪ C. Bozza della dimostrazione Poiché l’obiettivo è ∀x(x ∈ A\(B \C)→x ∈ (A\B)∪C), usiamo una variabile x arbitraria, assumiamo x ∈ A \ (B \ C), e proviamo a dimostrare x ∈ (A \ B) ∪ C. Esplicitando queste affermazioni in termini di simboli logici, otteniamo: Dati x ∈ A ∧ ¬(x ∈ B ∧ x ∈ / C) Obiettivo (x ∈ A ∧ x ∈ / B) ∨ x ∈ C Separiamo il dato in due dati separati, x ∈ A e ¬(x ∈ B ∧ x ∈ / C), e poiché il secondo è una affermazione negativa, possiamo usare una delle leggi di De Morgan e riesprimerla come al’affermazione positiva x ∈ / B ∨ x ∈ C. Dati x∈A x∈ / B∨x∈C Obiettivo (x ∈ A ∧ x ∈ / B) ∨ x ∈ C Ora il secondo dato e l’obiettivo sono entrambi disgiunzioni, cosı̀ proviamo a considerare i due casi x ∈ / B e x ∈ C suggeriti dal secondo dato. In accordo alla nostra strategia per dimostrare obiettivi della forma P ∨ Q, se in ogni casi possiamo o dimostrare x ∈ A ∧ x ∈ / B oppure dimostrare x ∈ C, allora la dimostrazione sarà completa. Per il primo caso assumiamo x ∈ / B. Dati x∈A x∈ /B Obiettivo (x ∈ A ∧ x ∈ / B) ∨ x ∈ C In questo l’obiettivo è chiaramente vero, perché in effetti possiamo concludere x ∈ A∧x ∈ / B. Per il secondo caso assumiamo x ∈ C, e ancora una volta l’obiettivo è chiaramente vero. Soluzione Teorema. Siano A, B e C insiemi. Allora A \ (B \ C) ⊆ (A \ B) ∪ C. Dimostrazione. Sia x ∈ A \ (B \ C). Allora x ∈ A e x ∈ / B \ C. Poiché x∈ / B \ C, ne segue che o x ∈ / B oppure x ∈ C. Consideriamo questi due casi separatamente. Caso 1. x ∈ / B. Allora poiché x ∈ A, x ∈ A \ B e x ∈ (A \ B) ∪ C. Caso 2. x ∈ C. Allora x ∈ (A \ B) ∪ C. Poiché x era un elemento arbitrario di A \ (B \ C), possiamo concludere che A \ (B \ C) ⊆ (A \ B) ∪ C. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 135 Talvolta potrete trovare utile spezzare una dimostrazione in casi anche quando i casi non sono suggeriti da un fatto del tipo P ∨Q. Qualunque dimostrazione può essere spezzata in casi in qualunque momento, purché i casi siano esaustivi di tutte le possibilità. Esempio 3.5.3. Dimostrare che per ogni intero x, il resto quando x2 è diviso per 4 è 0 oppure 1. Bozza della dimostrazione Iniziamo indicando con x un intero arbitrario e proviamo a dimostrare che il resto di x2 diviso 4 è 0 oppure q. Dati x∈Z Obiettivo (x2 ÷ 4 ha resto 0) ∨ (x2 ÷ 4 ha resto 1) Poiché l’obiettivo è una disgiunzione, spezzare la dimostrazione in casi sembra un approccio promettente, ma non c’è nessun dato che suggerisca quali casi usare. Tuttavia, provare un po’ di valori per x ci suggerisce quali sono i casi giusti: x 1 2 3 4 5 6 x2 1 4 9 16 25 36 quoziente di x2 ÷ 4 0 1 2 4 6 9 resto di x2 ÷ 4 1 0 1 0 1 0 Sembra che il resto sia sempre 0 quando x è pari e 1 quando x è dispari. Questi sono i casi che useremo. Cosı̀, per il caso 1 assumiamo che x è pari e proviamo a dimostrare che il resto è 0, per il caso 2 assumiamo che x sia dispari e proviamo a dimostrare che il resto è 1. Poiché ogni intero è o pari o dispari, questi casi sono esaustivi. Esplicitando la definizione di pari, questi sono i dati e l’obiettivo per il caso 1: Dati x∈Z ∃k ∈ Z(x = 2k) Obiettivo x2 ÷ ha resto 0 Usiamo immediatamente il secondo dato e usiamo k per un qualche intero particolare per cui x = 2k. Allora x2 = (2k)2 = 4k 2 , cosı̀ chiaramente quando dividiamo x2 per 4 il quoziente è k 2 e il resto è 0. Il caso 2 è simile: Dati x∈Z ∃k ∈ Z(x = 2k + 1) Obiettivo x2 ÷ ha resto 0 Ancora una volta usiamo il secondo dato immediatamente e indichiamo con k un particolare intero per cui x = 2k + 1. Allora x2 = (2k + 1)2 = 4k 2 + 4k + 1 = CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 136 4(k 2 + k) + 1, cosı̀ che quando dividiamo x2 per 4 otteniamo il quoziente k 2 + k e il resto 1. Soluzione Teorema. Per ogni intero x, il resto quando x2 è diviso per 4 è 0 oppure 1. Dimostrazione. Assumiamo x sia un intero. Consideriamo due casi. Caso 1. x è pari. Allora x = 2k per qualche intero k, cosı̀ x2 = 4k 2 . Chiaramente il resto della divisione di x2 per 4 0 0. Caso 2. x è dispari. Allora x = 2k + 1 per qualche intero k, cosı̀ x2 = 4k 2 + 4k + 1. Chiaramente in questo caso il resto della divisione di x2 per 4 è 1. Talvolta in una dimostrazione di un obiettivo della forma P ∨ Q è difficile capire come spezzare la dimostrazione in casi. Ecco una maniera di farlo che è spesso utile. Semplicemente assumete che P sia vera nel caso 1, e assumete che è falsa nel caso 2. Certamente P è o vera o falsa, quindi i casi sono esaustivi. Nel primo caso avete assunto che P è vera, quindi certamente l’obiettivo P ∨Q è vero. Cosı̀, non sono necessari ulteriori ragionamenti per il caso 1. Nel secondo caso avete assunto che P è falso, cosı̀ l’unico modo per cui l’obiettivo P ∨Q possa essere vero è se Q è vero. Allora per completare questo caso dove dimostrare che Q è vero. Per dimostrare un obiettivo della forma P ∨ Q: Se P è vero, l’obiettivo P ∨ Q è vero, cosı̀ dovete preoccuparvi solo del caso in cui P è falso. Potete completare la dimostrazione in questo caso dimostrando che Q è vero. Bozza della dimostrazione Prima di usare la strategia: Dati Obiettivo P ∨Q Dopo aver usato la strategia: Dati Obiettivo Q ¬P Forma nella dimostrazione finale: If P è vero, naturalmente P ∨ Q è vero. Assumiamo che P sia falso. [Qui va una dimostrazione di Q.] Cosı̀, P ∨ Q è vero. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 137 Questa strategia per dimostrare P ∨ Q suggerisce di trasformare il problema aggiungendo ul dato ¬P a cambiando l’obiettivo in Q. È interessante notare che è esattamente la stessa trasformazione che usereste per dimostrare l’obiettivo ¬P → Q! Ciò non è poi cosı̀ sorprendente, perché sappiamo che le affermazioni P ∨ Q e ¬P → Q sono equivalenti. Ma abbiamo derivato questa equivalenza inizialmente dalle tabelle di verità per il connettivo condizionale, e questa tabella di verità potrebbe essersi rivelata difficile da accettare. Forse il ragionamento che abbiamo fatto adesso fa sembrare più naturale l’equivalenza, e quindi la tabella di verità del condizionale. Naturalmente i ruoli di P e Q possono essere invertiti quando si usa questa strategia. Cosı̀, potete dimostrare P ∨Q assumendo che Q è falso e dimostrando P. Esempio 3.5.4. Dimostrare che per tutti i numeri reali x, se x2 ≥ x allora o x ≤ 0 oppure x ≥ 1. Bozza della dimostrazione Il nostro obiettivo è ∀x(x2 ≥ x → (x ≤ 0 ∨ x ≥ 1)), cosı̀ per iniziare indichiamo con x un numero reale arbitrario, assumiamo x2 ≥ x, e impostiamo x ≤ 0∨x ≥ 1 come nostro obiettivo: Dati Obiettivo x2 ≥ x x≤0∨x≥1 In accordo alla nostra strategia, per dimostrare questo strategia possiamo o assumere x > 0 e dimostrare x ≥ 1, oppure assumere x < 1 e dimostrare x ≤ 0. L’assunzione che x è positiva sembra probabilmente più utile nel ragionare sulle diseguaglianze, cosı̀ seguiamo il primo approccio. Dati Obiettivo x2 ≥ x xgeq1 x>0 La dimostrazione ora è facile. Poiché x > 0, possiamo dividere la diseguaglianza x2 ≥ x per x ottenendo l’obiettivo x ≥ 1. Soluzione Teorema. Pper tutti i numeri reali x, se x2 ≥ x allora o x ≤ 0 oppure x ≥ 1. Dimostrazione. Assumiamo x2 ≥ x. Se x ≤ 0 allora naturalmente x ≤ 0 o x ≥ 1. Ora assumiamo x > 0. Allora possiamo dividere entrambi i lati della diseguaglianza x2 ≥ x per x e concludere x ≥ 1. Cosı̀, o x ≤ 0 oppure x ≥ 1. L’equivalenza di P ∨ Q e ¬P → Q suggerisce anche una regola di inferenza chiamata sillogismo disgiuntivo per usare una affermazione del tipo P ∨ Q: Per usare un dato della forma P ∨ Q: Se vi è anche dato ¬P , o potete dimostrare che P è falso, allora potete usare questo dato per concludere che Q è vero. In maniera simile, se vi è dato ¬Q, o potete dimostrare che Q è falso, potete concludere che P è vero. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 138 In effetti, questa regola è quella che abbiamo usato nel nostro primo di ragionamento deduttivo nel Capitolo 1! Ancora una volta, terminiamo la sezione con una dimostrazione da leggere senza il beneficio di un lavoro di bozza preliminare. Teorema 3.5.5. Supponiamo che m ed n siano interi. Se mn è pari, allora o m è pari o n è pari. Dimostrazione. Supponiamo che mn sia pari. Allora possiamo scegliere un intero k tale che mn = 2k. Se m è pari allora non c’è niente più da dimostrare, cosı̀ supponiamo che m sia dispari. Allora m = 2j + 1 per qualche intero j. Sostituendo questo nell’equazione mn = 2k, otteniamo (2j + 1)n = 2k, cosı̀ 2jn + n = 2k, e pertanto n = 2k − 2jn = 2(k − jn). Poiché k − jn è un intero, ne segue che n è pari. Commentario. La forma complessiva della dimostrazione è la seguente: Supponiamo che mn è pari Se m è pari, allora chiaramente o m è pari o n è pari. Ora supponiamo che m non sia pari. allora m è dispari. [Qui va un dimostrazione che n è pari.] Pertanto o m è pari o n è pari. Pertanto se mn è pari allora o m è pari o n è pari. L’assunzione che mn è pari ed m è dispari conduce, per quantificazione esistenziale, alla equazione mn = 2k e m = 2j + 1. Sebbene la dimostrazione non lo dica esplicitamente, ci si aspetta che siate voi stessi a capire che allo scopo di dimostrare che n è pari, è sufficiente trovare un intero c tale che n = 2c. Semplici passaggi algebrici conducono alla equazione n = 2(k−jn), cosı̀ la scelta c = k − jn funziona. Esercizi *1. Supponete che A, B e C siano insiemi. Dimostrate che A ∩ (B ∪ C) ⊆ (A ∩ B) ∪ C. P 2. Supponete che A, B e C siano insiemi. Dimostrate che (A ∪ B) \ C ⊆ D A ∪ (B \ C). P 3. Supponete che A e B siano insiemi. Dimostrate che A \ (A \ B) ⊆ A ∩ B. D P *4. Supponete che A ∩ C ⊆ B ∩ C e A ∪ C ⊆ B ∪ C. Dimostrare che A ⊆ B. D P 5. Ricordate dalla Sezione 1.4 che la differenza simmetrica di due insiemi A D e B è l’insieme A 4 B = (A \ B) ∪ (B \ A) = (A ∪ B) \ (A ∩ B). Dimostrare che se A 4 B ⊆ A allora B ⊆ A. P 6. Supponete che A, B e C siano insiemi. Dimostrate che A ∪ C ⊆ B ∪ C sse D A \ C ⊆ B \ C. P *7. Dimostrate che per tutti gli insiemi A e B, P(A) ∪ P(B) ⊆ P(A ∪ B). D P D CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 139 8. Dimostrate che per tutti gli insiemi A e B, se P(A) ∪ P(B) = P(A ∪ B) allora o A ⊆ B o B ⊆ A. 9. Supponete che x e y siano numeri reali e x 6= 0. Dimostrare che y + 1/x = 1 + y/x sse o x = 1 oppure y = 1. 10. Dimostrate che per tutti i numeri reali x, se |x − 3| > 3 allora x2 > 6x. (Suggerimento: In accordo alla definizione di |x − 3|, se x − 3 ≥ 0 allora |x − 3| = x − 3, e se x − 3 < 0 allora |x − 3| = 3 − x. La maniera più semplice per per usare questo fatto è spezzare la dimostrazione in casi. Assumete che x − 3 ≥ 0 nel caso 1, e x − 3 < 0 nel caso 2.) *11. Dimostrate che per ogni numero reale x, |2x − 6| > x sse |x − 4| > 2. (Suggerimento: Leggere il suggerimento per l’esercizio 10.) 12. (a) Dimostrate che per tutti i numeri reali a e b, |a| ≤ b sse −b ≤ a ≤ b. P D (b) Dimostrate che per tutti i numeri reali x, −|x| ≤ x ≤ |x|. (Suggerimento: Usate la parte (a).) (c) Dimostrate che per tutti i numeri reali x e y, |x + y| ≤ |x|+|y|. (Questa è chiamata diseguaglianza triangolare. Una maniera di dimostrarla è combinare le parti (a) e (b), ma potete farlo solo considerando un certo numero di casi.) 13. Dimostrate che per ogni intero x, x2 + x è pari. 14. Dimostrate che per ogni intero x, il resto di x4 diviso 8 è 0 o 1. *15. Supponete che F e G siano famiglie non vuote di insiemi. (a) Dimostrate che ∪(F ∪ G) = (∪F) ∪ (∪G). (b) Potete trovare e dimostrare un teorema simile per ∩(F ∪ G) ? 16. Supponete che F sia una famiglia non vuota di insiemi. (a) Dimostrate che B ∪ (∪F) = ∪(F ∪ {B}). (b) Dimostrate che B ∪ (∩F) = ∩A∈F (B ∪ A). (c) Potete trovare ed dimostrare un teorema simile per B ∩ (∩F)? 17. Supponete che F, G e H siano famiglie non vuote di insiemi e per ogni A ∈ F e ogni B ∈ G, A ∪ B ∈ H. Dimostrate che ∩H ⊆ (∩F) ∪ (∩G). P 18. Supponete che A e B siano insiemi. Provate che ∀x(x ∈ A 4 B ↔ (x ∈ D A↔x∈ / B)). P *19. Supponete che A, B e C siano insiemi. Provate che A 4 B e C sono D disgiunti sse A ∩ C = B ∩ C. P 20. Supponete che A,B e C siano insiemi. Dimostrate che A 4 B ⊆ C sse D A ∪ C = B ∪ C. P 21. Supponete che A, B e C siano insiemi. Dimostrate che C ⊆ A 4 B sse D C ⊆ A ∪ B e A ∩ B ∩ C = ∅. P *22. Supponete che A, B e C siano insiemi. D (a) Dimostrate che A \ C ⊆ (A \ B) ∪ (B \ C). (b) Dimostrate che A 4 C ⊆ (A 4 B) ∪ (B 4 C). *23. Supponete A, B e C siano insiemi. P D CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 140 (a) Dimostrate che (A ∪ B) 4 C ⊆ (A 4 C) ∪ (B 4 C). (b) Trovate un esempio di insiemi A, B e C tali che (A ∪ B) 4 C 6= (A 4 C) ∪ (B 4 C). P D 24. Supponete che A, B e C siano insiemi. (a) Dimostrate che (A 4 C) ∩ (B 4 C) ⊆ (A ∩ B) 4 C. (b) È sempre vero che (A ∩ B) 4 C ⊆ (A 4 C) ∩ (B 4 C) ? Date una dimostrazione o un controesempio. 25. Supponete che A, B e C siano insiemi. Considerate gli insiemi (A \ B) 4 C e (A 4 C) \ (B 4 C). Potete dimostrare che uno è sottoinsieme dell’altro ? Giustificate la vostra conclusione o con una dimostrazione o con un controesempio. *26. Considerate il seguente teorema putativo. P D Teorema? Per ogni numero reale x, se |x − 3| < 3 allora 0 < x < 6. La seguente dimostrazione è corretta? Se sı̀, quali strategie di dimostrazione usa? Se no, può essere corretta? Il teorema è corretto. Dimostrazione. Sia x un numero reale arbitrario, e supponiamo |x − 3| < 3. Consideriamo due casi: Caso 1. x − 3 ≥ 0. Allora |x − 3| = x − 3. Usando questo fatto nell’assunzione |x − 3| < 3, otteniamo x − 3 < 3, quindi chiaramente x < 6. Caso 2. x − 3 < 0. Allora |x − 3| = 3 − x, cosı̀ l’assunzione |x − 3| < 3 vuol dire 3 − x < 3. Pertanto 3 < 3 + x e quindi 0 < x. Poiché abbiamo dimostrato sia 0 < x che x < 6, possiamo concludere che 0 < x < 6. 27. Considerate il seguente teorema putativo. Teorema? Per tutti gli insiemi A, B e C, se A\B ⊆ C and A * C allora A ∩ B 6= ∅. La seguente dimostrazione è corretta? Se sı̀, quali strategie di dimostrazione usa. Se no, può essere corretta? Il teorema è corretto? Dimostrazione. Poiché A * C, possiamo scegliere un x tale che x ∈ A e x∈ / C. Poiché x ∈ / C e A \ B ⊆ C, x ∈ / A \ B. Pertanto o x ∈ / A oppure x ∈ B. Ma già sappiamo che x ∈ A, pertanto ne segue che x ∈ B. Poiché x ∈ A e x ∈ B, x ∈ A ∩ B. Pertanto A ∩ B 6= ∅. *28. Considerate il seguente teorema putativo. Teorema? ∀x ∈ R∃y ∈ R(xy 2 6= y − x). La seguente dimostrazione è corretta? Se sı̀, quali strategie di dimostrazione usa. Se no, può essere corretta? Il teorema è corretto? CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 141 Dimostrazione. Sia x un numero reale arbitrario. Caso 1. x = 0. Sia y = 1. Allora xy 2 = 0 e y − x = 1 − 0 = 1, cosı̀ xy 2 6= y − x. Caso 2. x 6= 0. Sia y = 0. Allora xy 2 = 0 e y − x = −x 6= 0, cosı̀ xy 2 6= y − x. Poiché questi casi sono esaustivi, abbiamo dimostrato che ∃y ∈ R(xy 2 6= y − x). Poiché x era arbitrario, questo mostra che ∀x ∈ R∃y ∈ R(xy 2 6= y − x). 29. Dimostrate che se ∀xP (x) → ∃xQ(x) allora ∃(P (x) → Q(x)). (Suggerimento: Ricordate che P → Q è equivalente a ¬P ∨ Q.) *30. Considerate il seguente teorema putativo. Teorema? Supponete che A, B e C siano insiemi e A ⊆ B ∪ C. Allora A ⊆ B o A ⊆ C. La seguente dimostrazione è corretta? Se sı̀, quali strategie di dimostrazione usa. Se no, può essere corretta? Il teorema è corretto? Dimostrazione. Sia x un elemento arbitrario di A. Poiché A ⊆ B ∪ C, ne segue che o x ∈ B o x ∈ C. Caso 1. x ∈ B. Poiché x era elemento arbitrario di A, ne segue che ∀x ∈ A(x ∈ B), che significa A ⊆ B. Caso 2. x ∈ C. In maniera simile, poiché x era elemento arbitrario di A, possiamo concludere A ⊆ C. Cosı̀, o A ⊆ B o A ⊆ C. 31. Dimostrate ∃x(P (x) → ∀yP (y)). 3.6 Dimostrazioni di Esistenza e Unicità In questa sezione consideriamo dimostrazioni nei quali l’obiettivo da dimostrare ha la forma ∃!xP (x). Come abbiamo visto nella Sezione 2.2, questa può essere pensata come una abbreviazione della formula ∃x(P (x) ∧ ¬∃y(P (y) ∧ y 6= x)). In accordo alle strategie di dimostrazione discusse nelle sezioni precedenti, potremmo dimostrare questo obiettivo trovando un valore particolare per x per il quale possiamo dimostrare sia P (x) sia ¬∃y(P (y) ∧ y 6= x)). L’ultima parte di questa dimostrazione richiede di dimostrare una affermazione negativa, ma possiamo riesprimerla in una affermazione positiva equivalente. ¬∃y(P (y) ∧ y 6= x) è equivalente a ∀y¬(P (y) ∧ y 6= x) che è equivalente a ∀y(¬P (y) ∨ y = x) che è equivalente a ∀y(P (y) → y = x) (legge di neg. dei quantificatori) (legge di De Morgan) (legge condizionale) Cosı̀, vediamo che ∃x!P (x) potrebbe anche essere scritto come ∃(P (x) ∧ ∀y(P (y) → y = x)). In effetti, come mostra il prossimo esempio, varie altre formule sono anch’esse equivalenti a ∃!xP (x), e suggeriscono altri approcci per dimostrare obiettivi di questa forma. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 142 Esempio 3.6.1. Dimostrare che le seguenti formule sono tutte equivalenti. 1. ∃x(P (x) ∧ ∀y(P (y) → y = x)). 2. ∃x∀y(P (y) ↔ y = x). 3. ∃xP (x) ∧ ∀y∀z(P (y) ∧ P (z) → y = z). Bozza della dimostrazione Se dimostriamo direttamente che ognuno di questi enunciati è equivalente a tutti gli altri, dovremo dimostrare tre bicondizionali: enunciato 1 sse enunciato 2, enunciato 1 sse enunciato 3, ed enunciato 2 sse enunciato 3. Se dimostriamo ogni bicondizionale col metodo della Sezione 3.4, ognuna di queste dimostrazioni consisterà in due dimostrazioni condizionali, cosı̀ avremo bisogno in totale di sei dimostrazioni condizionali. Fortunatamente, c’è una strada più semplice. Dimostreremo che l’enunciato 1 implica l’enunciato 2, l’enunciato 2 implica l’enunciato 3 e l’enunciato 3 implica l’enunciato 1 — solo tre condizionali. Sebbene non daremo una dimostrazione separata che l’enunciato 2 implichi l’enunciato 1, questo seguirà dal fatto che l’enunciato 2 implica l’enunciato 3 e l’enunciato 3 implica l’enunciato 1. In maniera analoga, gli altri due condizionali seguono dai tre che dimostreremo. I matematici quasi sempre usano delle scorciatoie come questa quando devono dimostrare che un insieme di affermazioni sono equivalenti. Poiché dimostreremo tre affermazioni condizionali, la nostra dimostrazione avrà tre parti, che etichetteremo con 1 → 2, 2 → 3 e 3 → 1. Avremo bisogno di determinare una strategia per le tre parti separatamente. 1 → 2. Assumiamo l’enunciato 1 e dimostriamo l’enunciato 2. Poiché l’enunciato 1 inizia con un quantificatore esistenziale, scegliamo un nome, diciamo x0 per un oggetto per il quale sia P (x0 ) che ∀y(P (y) → y = x0 ) sono veri. Cosı̀, abbiamo la seguente situazione: Dati P (x0 ) ∀y(P (y) → y = x0 ) Obiettivo ∃x∀y(P (y) ↔ y = x) Il nostro obiettivo inizia anch’esso con un quantificatore esistenziale, cosı̀ per dimostrarlo dovrebbe trovare un valore per x che rende vera il resto dell’affermazione. Naturalmente, la scelta ovvia è x = x0 . Rimpiazzando x con x0 , vediamo che dobbiamo dimostrare ∀y(P (y) ↔ y = x0 ). Usiamo y per una variabile arbitraria e dimostriamo entrambe le direzioni del bicondizionale. La direzione → è ovvia dal secondo dato. Per la direzione ←, supponiamo y = x0 . Abbiamo anche P (x0 ) come data, e rimpiazzando y per x0 in questo dato otteniamo P (y). 2 → 3. L’enunciato 2 è una affermazione esistenziale, pertanto usiamo x0 per un oggetto tale che ∀y(P (y) ↔ y = x0 ). L’obiettivo, l’enunciato 3, è una congiunzione, cosı̀ la trattiamo come due obiettivi separati. Dati ∀y(P (y) ↔ y = x0 ) Obiettivo ∃xP (x) ∀y∀z((P (y) ∧ P (z)) → y = z) Per dimostrare il primo obiettivo dobbiamo scegliere un valore per x, e naturalmente il valore ovvio è di nuovo x = x0 . Cosı̀, dobbiamo dimostrare P (x0 ). CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 143 La maniera naturale di usare il nostro solo dati è di mettere qualcosa al posto di y; per dimostrare l’obiettivo P (x0 ), la cose ovvia da mettere è x0 . Questo ci da P (x0 ) ↔ x0 = x0 . Naturalmente x0 = x0 è vero, cosı̀ per la direzione ← del bicondizionale, otteniamo P (x0 ). Per il secondo obiettivo, indichiamo con y e z due oggetti arbitrari, assumiamo P (y) e P (z), e proviamo a dimostrare y = z. Dati ∀y(P (y) ↔ y = x0 ) P (y) P (z) Obiettivo y=z Istanziando il primo dato con le variabili y e z, otteniamo P (y) ↔ y = x0 e P (z) ↔ z = x0 . Poiché abbiamo assunto P (y) e P (z), questa volta usiamo la direzione → di questi bicondizionali per concludere che y = x0 e z = x0 . Il nostro obiettivo y = z segue chiaramente. 3 → 1. Poiché l’enunciato 3 è una congiunzione, lo trattiamo come due dati separati. Il primo è un quantificatore esistenziale, cosı̀ indichiamo con x0 un oggetto per il quale P (x0 ) è vero. Per dimostrare l’affermazione 1, di nuovo poniamo x = x0 , cosı̀ che abbiamo la seguente situazione: Dati P (x0 ) ∀y∀z((P (y) ∧ P (z)) → y = z) Obiettivo P (x0 ) ∧ ∀y(P (y) → y = x0 ) Abbiamo già la prima metà dell’obiettivo, cosı̀ dobbiamo soltanto dimostrare la seconda. Per far ciò, sia y un oggetto arbitrario, assumiamo P (y), e trasformiamo il nostro obiettivo in y = x0 . Dati P (x0 ) ∀y∀z((P (y) ∧ P (z)) → y = z) P (y) Obiettivo y = x0 Ma ora sappiamo sia P (y) che P (x0 ), per cui l’obiettivo y = x0 segue dal secondo dato. Soluzione Teorema. Le seguenti formule sono equivalenti: 1. ∃x(P (x) ∧ ∀y(P (y) → y = x)). 2. ∃x∀y(P (y) ↔ y = x). 3. ∃xP (x) ∧ ∀y∀z(P (y) ∧ P (z) → y = z). Dimostrazione. 1 → 2. Data l’affermazione 1, indichiamo con x0 un oggetto tale che P (x0 ) e ∀y(P (y) → y = x0 ). Per dimostrare l’affermazione 2, mostreremo che ∀y(P (y) ↔ y = x0 ). La direzione → è immediata. Per la direzione ←, supponiamo y = x0 . Allora poiché sappiamo P (x0 ), possiamo concludere P (y). CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 144 2 → 3. Data l’affermazione 2, scegliamo x0 tale che ∀y(P (y) ↔ y = x0 ). Allora, in particolare, P (x0 ) ↔ x0 = x0 e poiché chiaramente x0 = x0 , ne segue che P (x0 ) è vero. Cosı̀, ∃xP (x). Per dimostrare la seconda parte dell’affermazione 3, siano x ed y oggetti arbitrari e supponiamo P (y) e P (z). Allora per la nostra scelta di x0 (come qualcosa per cui ∀y(P (y) ↔ y = x0 ) è vero), segue che y = x0 e z = x0 , e quindi y = z. 3 → 1. Per la prima metà dell’affermazione 3, indichiamo con x0 un oggetto tale che P (x0 ). Allora, ∃xP (x). L’affermazione 1 seguirà se possiamo dimostrare che ∀y(P (y)→y = x0 ), cosı̀ supponiamo P (y). Poiché ora abbiamo sia P (x0 ) che P (y), per la seconda metà dell’affermazione 3 possiamo concudere che y = x0 , come richiesto. Poiché tutte e tre le affermazione nel teorema sono equivalenti a ∃!xP (x), possiamo dimostrare un obiettivo di questa forma dimostrando qualunque delle tre affermazioni del teorema. Probabilmente la tecnica più comune per dimostrare un obiettivo della forma ∃!xP (x) è dimostrare l’affermazione 3 del teorema. Per dimostrare un obiettivo della forma ∃!xP (x): Dimostrare ∃xP (x) e ∀y∀z((P (y) ∧ P (z)) → y = z). Il primo di questi obiettivi mostra che esiste un x tale che P (x) è vero, e il secondo mostra che è unico. Pertanto, le due parti della dimostrazione sono talvolta etichettate come esistenza e unicità. Forma nella dimostrazione finale: Esistenza: [Una dimostrazione di ∃xP (x) va qui.] Unicità: [Una dimostrazione di ∀y∀z((P (y) ∧ P (z) → y = z) va qui.] Esempio 3.6.2. Dimostrare che esiste un unico insieme A tale che, per ogni insieme B, A ∪ B = B. Bozza della dimostrazione Il nostro obiettivo è ∃!AP (A), dove P (A) è l’affermazione ∀B(A ∪ B = B). In accordo alla nostra strategia, possiamo dimostrarlo provando separatamente l’esistenza e l’unicità. Per la metà della dimostrazione che riguarda l’esistenza dobbiamo dimostrare ∃AP (A), cosı̀ dobbiamo trovare un valore di A che rende vero P (A). Non c’è un metodo sistematico per trovare questo A, ma se pensata a ciò che vuol dire l’affermazione P (A), dovreste rendervi conto che la scelta giusta è A = ∅. Mettendo questo valore al posto di A, vediamo che per completare la prova di esistenza dobbiamo mostrare che ∀B(∅∪B = B). Questo è chiaramente vero. (Se non siete sicuri, scrivetene per esteso la dimostrazione!) Per la metà della dimostrazione che riguarda l’unicità, dobbiamo dimostrare ∀C∀D((P (C) ∧ P (D)) → C = D). Per far ciò, siano C e D oggetti arbitrari, assumiamo P (C) e P (D), e dimostriamo C = D. Esplicitando il significato delle affermazioni P (C) e P (D), otteniamo i seguenti dati e obiettivo: CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI Dati ∀B(C ∪ B = B) ∀B(D ∪ B = B) 145 Obiettivo C=D Per usare i dati, dobbiamo provare a trovare qualcosa da rimpiazzare al posto di B in ognuno di essi. C’è una scelta furba che rende facile il resto della dimostrazione: Rimpiazziamo B con D nel primo dato, e con C nel secondo. Questo ci da C ∪ D = D e D ∪ C = C. Ma chiaramente C ∪ D = D ∪ C. (Se non vedete il perché, dimostratelo!) L’obiettivo C = D segue immediatamente. Soluzione Teorema. Esiste un unico insieme A tale che, per ogni insieme B, A ∪ B = B. Dimostrazione. Esistenza: Chiaramente ∀B(∅ ∪ B = B), per cui ∅ ha la proprietà richiesta. Unicità: Supponiamo ∀B(C ∪ B = B) e ∀B(D ∪ B = B). Applicando la prima di queste assunzioni a D otteniamo C ∪ D = D, e applicando la seconda a C otteniamo D ∪ C = C. Ma chiaramente C ∪ D = D ∪ C, pertanto C = D. Talvolta una affermazione della forma ∃!xP (x) si dimostra utilizzando l’affermazione 1 dell’Esempio 3.6.1. Questo ci conduce alla seguente strategia di dimostrazione. Per dimostrare un obiettivo della forma ∃!xP (x): Dimostrare ∃x(P (x) ∧ ∀y(P (y) → y = x)), usando le strategie delle precedenti sezioni. Esempio 3.6.3. Dimostrare che per ogni numero reale x, se x 6= 2 allora c’è un unico numero reale y tale che 2y/(y + 1) = x. Bozza della dimostrazione Il nostro obiettivo è ∀x(x 6= 2 → ∃!y(2y/(y + 1) = x)). Pertanto indichiamo con x un oggetto arbitrario, assumiamo x 6= 2 e dimostriamo ∃!y(2y/(y + 1) = x). In accordo alla strategia precedente, possiamo dimostrare questo obiettivo dimostrando l’affermazione equivalente ∃y(2y/(y + 1) = x ∧ ∀z(2z/(z + 1) = x → x = z)). Iniziamo provando a determinare un valore di y che rende vera l’equazione 2y/(y + 1) = x. In altre parole, risolviamo questa equazione per y: 2y x = x ⇒ 2y = x(y + 1) ⇒ y(2 − x) = x ⇒ y = . y+1 2−x Notare che abbiamo x 6= 2 come dato, per cui la divisione per 2 − x all’ultimo passo ha senso. Naturalmente, questi passi non appariranno nella dimostrazione. Semplicemente poniamo y = x/(2−x) e proviamo a dimostrare sia 2y/(y+1) = x sia ∀z(2z/(z + 1) = x → z = y). Dati x 6= 2 x y = 2−x Obiettivo 2y y+1 = x 2z ∀z z+1 = x→z =y CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 146 Il primo obiettivo è facile da verificare semplicemente rimpiazzando y con x/(2 − x). Per il secondo, indichiamo con z un oggetto arbitrario, assumiamo 2z/(z + 1) = x e dimostriamo z = y: Dati x 6= 2 x y = 2−x 2z z+1 = x Obiettivo z=y Possiamo ora mostrare che z = y risolvendo per z il terzo dato: x 2z = x ⇒ 2z = x(z + 1) ⇒ z(2 − x) = x ⇒ z = = y. z+1 2−x Notare che i passaggi usati qui sono esattamente gli stessi passaggi usati precedentemente per risolvere l’equazione per y. Questa è una cosa comune nelle dimostrazioni di esistenza e unicità. Sebbene il lavoro di bozza per determinare una dimostrazione di esistenza non dovrebbe apparire nella dimostrazione finale, questo lavoro di bozza, o dei ragionamenti simili ad esso, possono talvolta essere usati per dimostrare che l’oggetto mostrato esistere è unico. Soluzione Teorema. Per ogni numero reale x, se x 6= 2 allora c’è un unico numero reale y tale che 2y/(y + 1) = x. Dimostrazione. Sia x un numero reale arbitrario, e assumiamo x 6= 2. Sia y = x/(2 − x), che è definito poiché x 6= 2. Allora 2y = y+1 2x 2−x 2x 2−x + 1 = 2x 2x−1 2 2−x = 2x = x. 2 Per vedere che questa soluzione è unica, supponiamo 2z/(z + 1) = x. Allora 2z = x(z + 1), e quindi z(2 − x) = x. Poiché x 6= 2 possiamo dividere ambo i membri per 2 − x ottenendo z = x/(2 − x) = y. Il teorema nell’Esempio 3.6.1 può anche essere usato per formulare strategie per usare dati della forma ∃!xP (x). Ancora una volta, la formula 3 del teorema è quella usata più spesso. Per usare un dato della forma ∃!xP (x): Trattatelo come due dati distinti, ∃xP (x) e ∀y∀z((P (y)∧P (z)→ y = z). Per usare la prima affermazione dovrete probabilmente scegliere un nome, diciamo x0 , che stia per un oggetto tale che P (x0 ) è vero. La seconda affermazione dice che se mai doveste incontrare due oggetti y e z tali che P (y) e P (z) sono entrambi veri, potete concludere y = z. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 147 Esempio 3.6.4. Si supponga che A, B e C siano insiemi, A e B non siano disgiunti, A e C non siano disgiunti e A abbia esattamente un elemento. Dimostrare che B e C non sono disgiunti. Bozza della dimostrazione Dati A ∩ B 6= ∅ A ∩ C 6= ∅ ∃!x(x ∈ A) Obiettivo B ∩ C 6= ∅ Trattiamo l’ultimo dato come due dati separati, come suggerito dalla nostra strategia. Esplicitando il significato degli altri dati e dell’obiettivo, abbiamo la seguente situazione: Dati ∃x(x ∈ A ∧ x ∈ B) ∃x(x ∈ A ∧ x ∈ C) ∃x(x ∈ A) ∀y∀z((y ∈ A ∧ z ∈ A) → y = z) Obiettivo ∃x(x ∈ B ∧ x ∈ C) Per dimostrare l’obiettivo, dobbiamo trovare qualcosa che sia elemento sia di B che di C. Per far ciò, volgiamo la nostra attenzione ai dati. Il primo dato ci dice che possiamo scegliere un nome, diciamo b, per qualcosa tale che b ∈ A e b ∈ B. In maniera simile, dal secondo dato otteniamo c ∈ A e c ∈ C. Attenzione al fatto che non possiamo scegliere, per secondo dato, b come nome per l’oggetto che appartiene sia ad A che a C; b è stato già usato e nulla ci assicura, almeno per ora, che l’oggetto appartenente sia ad A che a C sia lo stesso b che appartiene sia ad A che a B. A questo punto il terzo dato e ridondante. Sappiamo già che c’è qualcosa in A, poiché sappiamo effettivamente che b ∈ A e c ∈ A. Possiamo quindi saltare all’ultimo dato, che dice che se mai incontrassimo due oggetti che sono elementi di A, potremmo concludere che questi due oggetti sono uguali. Ma come abbiamo appena osservato, sappiamo che b ∈ A e c ∈ A! Possiamo pertanto concludere che b = c. Poiché b ∈ B e b = c ∈ C, abbiamo trovato qualcosa che è un elemento sia di B che di C, come richiesto per dimostrare l’obiettivo. Soluzione Teorema. Si supponga che A, B e C siano insiemi, A e B non siano disgiunti, A e C non siano disgiunti e A abbia esattamente un elemento. Allora B e C non sono disgiunti. Dimostrazione. Poiché A e B non sono disgiunti, indichiamo con b un oggetto tale che b ∈ A e b ∈ B. Analogamente, poiché A e C non sono digiunti, c’è almeno un oggetto c tale che c ∈ A e c ∈ B. Poiché A ha un solo elemento, deve essere b = c. Allora b = c ∈ B ∩ C a pertanto B e C non sono disgiunti. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 148 Esercizi *1. Dimostrare che per ogni numero reale x c’è un unico numero reale y tale che x2 y = x − y. 2. Dimostrare che c’è un unico numero reale x tale che per ogni numero reale y, xy + x − 4 = 4y. 3. Dimostrare che per ogni numero reale x, se x 6= 0 e x 6= 1 allora c’è un unico numero reale y tale che y/x = y − x. *4. Dimostrare che per ogni numero reale x, se x 6= 0 c’è un unico numero reale y tale che per ogni numero reale z, zy = z/x. 5. Si ricordi che se F è una famiglia di insiemi, allora ∪F = {x | ∃A(A ∈ F ∧ x ∈ A)}. Supponiamo di definire un nuovo insieme ∪!F tramite la formula ∪!F = {x | ∃!A(A ∈ F ∧ x ∈ A)}. (a) Dimostrare che per ogni famiglia di insiemi F, ∪!F ⊆ ∪F . (b) Una famiglia di insiemi F è detta disgiunta a coppie se tutte le coppie di elementi distinti di F sono disgiunte; ovvero, ∀A ∈ F∀B ∈ F(A 6= B → A ∩ B = ∅). Dimostrare che per ogni famiglia di insiemi F, ∪!F = ∪F sse F è disgiunta a coppie. P D *6. Sia U un insieme. (a) Dimostrare che c’è un unico A ∈ P(U ) tale che per ogni B ∈ P(U ), A ∪ B = B. (b) Dimostrare che c’è un unico A ∈ P(U ) tale che per ogni B ∈ P(U ), A ∪ B = A. 7. Sia U un insieme. P D (a) Dimostrare che c’è un unico A ∈ P(U ) tale che per ogni B ∈ P(U ), A ∩ B = B. (b) Dimostrare che c’è un unico A ∈ P(U ) tale che per ogni B ∈ P(U ), A ∩ B = A. 8. Sia U un insieme. P D (a) Dimostrare che per ogni A ∈ P(U ) c’è un unico B ∈ P(U ) tale che, per ogni C ∈ P(U ), C \ A = C ∩ B. (b) Dimostrare che per ogni A ∈ P(U ) c’è un unico B ∈ P(U ) tale che, per ogni C ∈ P(U ), C ∩ A = C \ B. 9. Ricordate ciò che avete mostrato nell’esercizio 2 della Sezione 1.4 che la differenza simmetrica è associativa; in altre parole, per tutti gli insiemi A, B e C, A 4 (B 4 C) = (A 4 B) 4 C. Per questo problema, potreste anche trovare utile notare che la differenza simmetrica è commutativa; in altre parole, per tutti gli insiemi A e B, A 4 B = B 4 A. P D (a) Dimostrare che c’è un unico elemento identità per la differenza simmetrica. In altre parole, c’è un unico insieme X tale che, per ogni insieme A, A 4 X = A. CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 149 (b) Dimostrare che ogni insieme ha un unico inverso per l’operazione di differenza simmetrica. In altre parole, per ogni insieme A esiste un unico insieme B tale che A 4 B = X, dove X è l’elemento identità della parte (a). (c) Dimostrare che per ogni coppia di insiemi A e B esiste un unico insieme C tale che A 4 C = B. 10. Si assume che A sia un insieme, che per ogni famiglia di insiemi F, se ∪F = A allora A ∈ F. Dimostrare che A ha esattamente un elemento. (Suggerimento: Sia per la parte di esistenza che di unicità della dimostrazione, provare una dimostrazione per contraddizione.) P *11. Si supponga che F è una famiglia di insiemi che ha la proprietà che per D ogni G ⊆ F, ∪G ∈ F. Dimostrare che c’è un unico insieme A tale che A ∈ F e ∀B ∈ F(B ⊆ A). 12. (a) Supponete che P (x) sia una affermazione con una variabile libera x. Trovate una formula, usando i simboli logici che avete studiato, che significhi “ci sono esattamente due valori di x per il quale P (x) è vero”. P D (b) Sulla base della vostra risposta al punto (a), sviluppate una strategia di dimostrazione per provare una affermazione della forma “ci sono esattamente due valori di x per il quale P (x) è vero”. (c) Dimostrare che l’equazione x3 = x2 ha esattamente due soluzioni. 3.7 Altri Esempi di Dimostrazioni Fino ad ora, la maggior parte delle nostre dimostrazioni sono state ottenute tramite semplici applicazioni delle strategie di dimostrazione che abbiamo discusso. Terminiamo il capitolo con qualche esempio di dimostrazioni un po’ più complesse. Queste dimostrazioni usano le tecniche di questo capitolo, ma per varie ragioni sono un po’ più difficili che la maggior parte delle nostre dimostrazioni precedenti. Alcuni sono semplicemente più lunghe, e richiedono l’applicazione di più strategie. Alcune richiedono una scelta intelligente della strategia da utilizzare. In alcuni casi è chiara quale strategia usare, ma è richiesto intuito per capire come utilizzarla esattamente. I esempi precedenti, che servivano solo ad illustrare e chiarire le tecniche di dimostrazione, possono aver fatto sembrare che l’attività di scrittura di dimostrazioni sia noiosa e meccanica. Speriamo che studiando questi esempi più difficili inizierete a vedere che il ragionamento matematico può essere sorprendente e bello. Alcune tecniche di dimostrazione are particolarmente difficili da applicare. Per esempio, quando state dimostrando un obiettivo della forma ∃xP (x), la maniera ovvia di procedere è provare a trovare un valore di x che rende l’affermazione P (x) vera, ma spesso non sarà ovvio come trovare questo valore. Usare un dato della forma ∀xP (x) è simile. Probabilmente volete mettere uno specifico valore al posto di x, ma per completare la dimostrazione potreste dover fare una scelta di x molto ingegnosa. Anche le dimostrazioni che devono essere CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 150 spezzata in casi sono spesso difficili da completare. Talvolta è arduo sapere quando usare i casi e quali casi usare. Iniziamo guardando di nuovo alle dimostrazioni dell’introduzione. Alcuni aspetti di queste dimostrazioni probabilmente vi sono sembrati in qualche maniera misteriosi quando li avete letti nell’introduzione. Vediamo se vi sembrano più sensati adesso che avete una conoscenza migliore di come viene costruita una dimostrazione. Presenteremo ogni dimostrazione esattamente come è apparse nell’introduzione e la faremo seguire da un commentario che discute le tecniche di dimostrazione usate. Teorema 3.7.1. Si supponga che n sia un numero intero più grande di 1 e che n non sia primo. Allora 2n − 1 non è primo. Dimostrazione. Poiché n non è primo, ci sono due numeri interi positivi a e b tali che a < n, b < n ed n = ab. Sia x = 2b − 1 ed y = 1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b . Allora xy = (2b − 1) · (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) = 2b · (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) − (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) = (2b + 22b + 23b + · · · 2ab ) − (1 + 2b + 22b + · · · + 2(a−1)b ) = 2ab − 1 = 2n − 1. Poiché b < n, possiamo concludere che x = 2b − 1 < 2n − 1. Inoltre, poiché ab = n > a, segue che b > 1. Pertanto x = 2b − 1 > 21 − 1 = 1 e quindi 2n − 1 = xy > y. Abbiamo cosı̀ verificato che 2n − 1 può essere scritto come prodotto di due interi x e y, entrambi più piccoli di 2n − 1. Questo vuol dire, secondo la nostra definizione, che 2n − 1 non è primo. Commentario. Sappiamo che n non è primo, e dobbiamo dimostrare che 2n − 1 non è primo. Entrambe sono affermazioni negative, ma fortunatamente è facile ri-esprimerle come affermazioni positive. Dire che un intero più grande di 1 non è primo significa che può essere scritto come il prodotto di due numero interi positivi più piccoli. Cosı̀, l’ipotesi che n non è primo significa ∃a ∈ Z+ ∃b ∈ Z+ (ab = n ∧ a < n ∧ b < n), e ciò che dobbiamo dimostrare è che 2n − 1 non è primo, che significa ∃x ∈ Z+ ∃bx ∈ Z+ (xy = 2n − 1 ∧ x < 2n − 1 ∧ y < 2n − 1). Nella seconda affermazione della dimostrazione applichiamo l’instanziazione esistenziale alla ipotesi che n non è primo, e il resto della dimostrazione è dedicata ad esibire due numeri x e y con la proprietà richiesta per dimostrare che 2n − 1 non è primo. Come usuale nelle dimostrazioni di affermazioni esistenziali, la dimostrazione non spiega come sono stati scelti i valori di x e y, dimostra semplicemente che questi valori funzionano. Dopo che sono stati forniti i valori per x e y, l’obiettivo rimanente da dimostrare è che xy = 2n − 1 ∧ x < 2n − 1 ∧ y < 2n − 1. Naturalmente, questo obiettivo viene trattato come tre obiettivi separati, che CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 151 sono dimostrati uno alla volta. Le dimostrazioni di questi tre obiettivi richiedono solo dell’algebra elementare. Una delle caratteristiche attraenti di questa dimostrazione è il calcolo usato per mostrare che xy = 2n − 1. Le formule per x e y sono abbastanza complicate, e a prima vista il loro prodotto sembra anche più complicato. È una piacevole sorpresa constatare che la maggior parte dei termini in questo prodotto si cancella e, come per magica, appare la risposta 2n − 1. Naturalmente, possiamo vedere col senno di poi che è stato questo calcolo che ha motivato la nostra scelta di x e y. C’è tuttavia un aspetto di questo calcolo che potrebbe preoccuparvi. L’uso di “. . . ” nelle formule indica che la dimostrazione dipende da uno schema nel calcolo che non è stato esplicitato. Daremo una dimostrazione più rigorosa che xy = 2n − 1 nel Capitolo 6, dopo che introdurremo il metodo di dimostrazione per induzione matematica. Teorema 3.7.2. Ci sono infiniti numeri primi. Dimostrazione. Supponiamo ci siano solo un numero finito di numeri primi. Sia p1 , p2 , . . . , pn la lista di tutti i numeri primi. Sia m = p1 p2 · · · pm + 1. Notiamo che m non è divisibile per p1 , poiché dividendo m per p1 otteniamo il quoziente p2 · · · pm e il resto di 1. Allo stesso modo, m non è divisibile per p2 , p3 , . . . , pn . Usiamo ora il fatto che ogni intero più grande di 1 o è primo oppure può essere scritto come prodotto di numeri primi. (Vedremo una prova di questo fatto nel Capitolo 6.) Chiaramente m è maggiore di 1, pertanto m o è primo oppure è prodotto di primi. Supponiamo per adesso che m sia primo. Notare che m è più grande di tutti i numeri della lista p1 , p2 , . . . , pn , pertanto abbiamo trovato un primo che non è presente in questa lista. Ma questo contraddice il fatto che questa fosse la lista di tutti i numeri primi, per cui evidentemente m non può essere primo. Ora supponiamo che m sia prodotto di primi. Sia q uno dei primi in questo prodotto, e quindi m è divisibile per q. Ma abbiamo già visto che m non è divisibile da nessuno dei numeri nella lista p1 , p2 , . . . , pn , e siccome q è un primo e p1 , p2 , . . . , pn è la lista di tutti i numeri primi, questa è di nuovo una contraddizione. Allora m non può essere neanche un prodotto di primi. Quindi m non può essere né primo né prodotto di primi. Questo è assurdo, e l’unica spiegazione possibile è che abbiamo fatto ad un certo punto della dimostrazione una ipotesi che si è rivelata errata. L’unica ipotesi fatta nella dimostrazione è quella iniziale che c’è un numero finito di primi. Dunque questa supposizione è falsa, e i numeri primi sono infiniti. Commentario. Poiché infinito significa non finito, l’affermazione del teorema può essere considerata una affermazione negativa. Non è perciò sorprendente il fatto che la dimostrazione proceda per assurdo. L’assunzione che ci siano un numero finito di primi significa che c’è un numero naturale n tale che ci sono n primi, e l’affermazione che ci sono n primi significa che c’è una lista di numeri distinti p1 , p2 , . . . , pn tale che ogni numero nella lista è primo, e non ci altri altri primi tranne quelli della lista. Cosı̀, la seconda affermazione della dimostrazione applica l’instanziazione esistenziale per introdurre i numeri n e p1 , p2 , . . . , pn CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 152 nella dimostrazione. A questo punto nella dimostrazione abbiamo la seguente situazione: Dati p1 , p2 , . . . , pn sono tutti primi ¬∃q(q è primo ∧ q ∈ / {p1 , p2 , . . . , pn }) Obiettivo Contraddizione Il secondo dato può essere riespresso come affermazione positiva, ma siccome stiamo facendo una dimostrazione per contraddizione, un altro approccio ragionevole sarebbe provare a raggiungere una contraddizione dimostrando che ∃q(q è primo ∧ q ∈ / {p1 , p2 , . . . , pn }). Questa è la strategia usata nella dimostrazione. Cosı̀, l’obiettivo per il resto della dimostrazione è mostrare che c’è un numero primo non nella lista p1 , p2 , . . . , pn – u “primo non in elenco”. Poiché il nostro obiettivo è ora una affermazione esistenziale, non ci deve sorprendere che il prossimo passo nella dimostrazione sia introdurre il nuovo numero m, senza nessuna spiegazione di come m sia stato scelto. Cose è sorprendente è che m può o può non essere il primo non in elenco che stiamo cercando. Il problema è che m potrebbe non essere primo. Tutto ciò di cui possiamo essere sicuri è che m è o primo oppure prodotto di primi. Poiché questa affermazione è una disgiunzione, suggerisce una dimostrazione per casi, e questo è il metodo usato nel resto della dimostrazione. Sebbene i casi non siano esplicitamente etichettati come casi nella dimostrazione, è importante capire che il resto della dimostrazione ha la forma di una dimostrazione per casi. Nel caso 1 assumiamo che m è primo, e nel caso 2 assumiamo che è un prodotto di primi. In entrambi i casi siamo in grado di produrre un primo non in elenco per completare la nostra dimostrazione. Teorema 3.7.3. Per ogni intero positivo n, esiste una sequenza di n interi positivi consecutivi che non contiene primi. Dimostrazione. Dato n intero positivo, sia x = (n + 1)! + 2. Mostriamo che nessuno dei numeri x, x + 1, x + 2, . . . , x + (n − 1) è primo. Poiché questa è una sequenza di n numeri consecutivi, ciò conduce direttamente alla prova del teorema. Per vedere che x non è primo, notiamo che x = 1 · 2 · 3 · 4 · · · (n + 1) + 2 = 2 · (1 · 3 · 4 · 4 · · · (n + 1) + 1). Quindi x può essere scritto come prodotto di due numeri più piccoli, ovvero x non è primo. Allo stesso modo, abbiamo x + 1 = 1 · 2 · 3 · 4 · · · (n + 1) + 3 = 3 · (1 · 2 · 4 · 4 · · · (n + 1) + 1). per cui neanche x + 1 è primo. In generale, consideriamo il numero x + i, dove 0 ≤ i ≤ n − 1. Abbiamo: x + i = 1 · 2 · 3 · 4 · · · (n + 1) + (i + 2) = (i + 2) · (1 · 2 · 3 · · · (i + 1) · (i + 3) · · · (n + 1) + 1). CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 153 per cui x + i non è primo. Commentario. Una sequenza di n interi positivi consecutivi è una sequenza della forma x, x + 1, x + 2, . . . , x + (n − 1), dove x è un intero positivo. Cosı̀, la forma logica dell’affermazione da provare è ∀n > 0∃x > 0∀i(0 ≤ i ≤ n − 1 → x + i non è primo), dove tutte le variabili prendono valore sui numeri interi. Il piano generale delle dimostrazione è esattamente quello che ci si aspetterebbe per una dimostrazione di questo tipo: Partiamo un n > 0 arbitrario, specifichiamo un valore per x, lasciamo i arbitrario, assumiamo 0 ≤ i ≤ n − 1 e dimostriamo che x + i non è primo. Come nella dimostrazione del Teorema 3.7.1, per dimostrare che x + i non è primo mostriamo che si può scrivere prodotto di due interi più piccoli. Prima della dimostrazione che x+i non è primo, dove i è un intero arbitrario tra 0 e n − 1, la dimostrazione include le verifiche che x e x + 1 non sono primi. Queste sono del tutto non necessarie, e sono solo include per rendere la dimostrazione più leggibile. Per i lettori che sono familiari con la definizione di limite dall’analisi, diamo un ulteriore esempio, mostrando come le dimostrazioni che coinvolgono i limiti possano essere trovate usando le tecniche in questo capitolo. I lettori che non sono familiari con questo definizioni dovrebbero saltare l’esempio. 2x2 − 5x − 3 = 7. x→3 x−3 Esempio 3.7.4. Mostrare che lim Bozza della dimostrazione In accordo alla definizione di limite, il nostro obiettivo vuol dire che per ogni numero positivo esiste un numero δ tale che se x è un qualsiasi numero positivo 2 −5x−3 − 7 < . Traducendolo in simboli tale che 0 < |x − 3| < δ, allora 2x x−3 logici, abbiamo 2 2x − 5x − 3 ∀ > 0∃δ > 0∀x 0 < |x − 3| < δ → − 7 < . x−3 Partiamo pertanto indicando con un numero positivo arbitrario e provando a trovare un numero positivo δ per il quale possiamo dimostrare 2 2x − 5x − 3 ∀x 0 < |x − 3| < δ → − 7 < x−3 Il lavoro di bozza richiesto per determinare δ naturalmente non apparirà nella dimostrazione. Nella dimostrazione finale scriveremo soltanto “Sia δ = (un qualche numero positivo)” a procederemo a dimostrare 2 2x − 5x − 3 ∀x 0 < |x − 3| < δ → − 7 < x−3 CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 154 Prima di determinare il valore di δ, vediamo come sarebbe il resto della dimostrazione. Sulla base della forma dell’obiettio a questo punto, dovremmo lasciando x arbitraria, assumendo 0 < |x − 3| < δ, e dimostrando procedere 2x2 −5x−3 x−3 − 7 < . Cosı̀, l’intera dimostrazione avrà la seguente forma: Sia un numero positivo arbitrario. Sia δ = (un qualche numero positivo). Sia x arbitrario. Assumiamo 0 < |x − 3| < δ. 2 −5x−3 [Qui va una dimostrazione di 2x x−3 − 7 < .] 2 −5x−3 Pertanto 0 < |x − 3| < δ → 2x x−3 − 7 < . x era arbitrario, possiamo concludere ∀x(0 < |x − 3| < Poiché 2x2 −5x−3 δ → x−3 − 7 < ). 2 −5x−3 Pertanto ∃δ > 0∀x(0 < |x − 3| < δ → 2x x−3 − 7 < ). Poiché era numero positivo arbitrario, ne segue che ∀ > 0∃δ > 2 2x −5x−3 0∀x(0 < |x − 3| < δ → x−3 − 7 < ). Due passi rimangono da completare. Dobbiamo decidere quale valore asse 2 2x −5x−3 gnare a δ, e dobbiamo aggiungere la dimostrazione di x−3 − 7 < . Completeremo prima il secondo di questi passi, e durante il lavoro diventerà chiaro quale valore dobbiamo usare per δ. I dati e l’obiettivo per questo secondo passo sono i seguenti: Dati >0 δ = (un qualche numero positivo) 0 < |x − 3| < δ 2 Obiettivo 2x −5x−3 x−3 − 7 < Prima di tutto, notare che abbiamo 0 < |x − 3| come dato, quindi x 6= 3 e 2 −5x−3 è definita. Fattorizzando il numeratore, troviamo pertanto la frazione 2x x−3 che 2 2x − 5x − 3 (2x + 1)(x − 3) − 7 = − 7 x−3 x−3 = |2x − 1 + 7| = |2x − 6| = 2|x − 3|. Ora, abbiamo anche come dato che |x − 3| < δ, cosı̀ 2|x − 3| < 2δ. Com 2x2 −5x−3 binando questo con la precedente equazione, otteniamo x−3 − 7 < 2δ, e 2 −5x−3 il nostro obiettivo è 2x x−3 − 7 < . Cosı̀, se scegliamo δ in maniera tale che 2δ = , dovremmo essere a posto. In altre parole, dovremmo porre δ = /2. Notare che poiché > 0, questo è un numero positivo, come richiesto. 2x2 − 5x − 3 = 7. x→3 x−3 Teorema. lim CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 155 Dimostrazione. Supponiamo > 0. Sia δ = /2, che è chiaramente anch’esso positivo. Sia x un numero reale arbitrario, ed assumiamo 0 < |x − 3| < δ. Allora 2 2x − 5x − 3 (2x + 1)(x − 3) − 7 = − 7 x−3 x−3 = |2x − 1 + 7| = |2x − 6| = . = 2|x − 3| < 2δ = 2 2 Esercizi P D *1. Si supponga che F sia una famiglia di insiemi. Dimostrare che c’è un unico insieme A che ha le seguenti proprietà: (a) F ⊆ P(A). (b) ∀B(F ⊆ P(B) → A ⊆ B). (Suggerimento: Prima provate un esempio. Sia F = {{1, 2, 3}, {2, 3, 4}, {3, 4, 5}}. Potete trovare un insieme A che ha le propietà (a) e (b)?) P 2. Si supponga che A e B siano insiemi. Cosa si può dimostrare su P(A \ D B) \ (P(A) \ P(B))? (No, non è uguale a ∅. Provate alcuni esempi e guardate cosa ottenete.) P 3. Si supponga che A, B e C siano insiemi. Dimostrare che le seguenti D affermazioni sono equivalenti: (a) (A 4 C) ∩ (B 4 C) = ∅. (b) (A ∩ B) ⊆ C ⊆ A ∪ B. (c) (A 4 C) ⊆ A 4 B *4. Si supponga che {Ai | i ∈ I} sia una famiglia di insiemi. Dimostrare che se P(∪i∈I Ai ) ⊆ ∪i∈I P(Ai ), allora c’è qualche i ∈ I tale che ∀j ∈ I(Aj ⊆ Ai ). 5. Supponete che F sia una famiglia non vuota di insiemi. Sia I = ∪F e J = ∩F. Supponete anche che J 6= ∅, e notate che ne segue il fatto che per ogni X ∈ F, X 6= ∅, e anche I 6= ∅. Finalmente, supponete che {Ai | i ∈ I} sia una famiglia indicizzata di insiemi. (a) Dimostrate che ∪i∈I Ai = ∪X∈F (∪i∈X Ai ). (b) Dimostrate che ∩i∈I Ai = ∩X∈F (∪i∈X Ai ). (c) Dimostrate che ∪i∈J Ai ⊆ ∩X∈F (∪i∈X Ai ). È sempre vero che ∪i∈J Ai = ∩X∈F (∪i∈X Ai ). Date o una dimostrazione o un controesempio per giustificare la vostra risposta. (d) Scoprite e dimostrate un teorema che collega ∩i∈J Ai e ∪X∈F (∩i∈X Ai ). 3x2 − 12 = 12. x→2 x − 2 6. Dimostrare che lim CAPITOLO 3. DIMOSTRAZIONI 156 *7. Dimostrare che se il lim f (x) = L ed L > 0, allora esiste un numero δ > 0 x→c tale che, per tutti gli x, se 0 < |x − c| < δ allora f (x) > 0. 8. Dimostrare che se il lim f (x) = L, allora lim 7f (x) = 7L. x→c x→c *9. Considerate il seguente teorema putativo. Teorema? Ci sono numeri irrazionali a e b tali che ab è razionale. La dimostrazione che segue è corretta? Se sı̀, quale strategia di dimostrazione usa? Se no, può essere sistemata? Il teorema è corretto? (Nota: √ La dimostrazione usa il fatto che 2 è irrazionale, che proveremo nel Capitolo 6). √ √2 Dimostrazione.√ O 2 è razionale oppure è irrazionale. √ 2 √ Caso 1. 2 è razionale. Siano a = b = 2. Allora a e b sono √ √ 2 irrazionali, e ab = 2 , che in questo caso stiamo assumendo essere razionale. √ √2 √ √2 √ Caso 2. 2 è irrazionale. Sia a = 2 e b = 2. Allora a è irrazionale per assunzione, e sappiamo che b è irrazionale. Inoltre ab = √ √2 √2 √ √2·√2 √ 2 = 2 = ( 2)2 = 2, che è razionale. Appendice A Soluzioni ad Esercizi Scelti Introduzione 1. (a) Una possibile risposta è 32.767 = 31 · 1057. (b) Una possibile risposta è x = 23 1 − 1 = 2.147.483.647. 3. (a) Il metodo restituisce il numero primo 211. (b) Il metodo restituisce due primi, 3 e 37. Capitolo 1 Sezione 1.1 1. (a) (R ∨ H) ∧ ¬(H ∧ T ), dove R sta per l’affermazione “Avremo da fare una lettura per casa”, H sta per “Avremo da fare degli esercizi” e T sta per “Avremo un test”. (b) ¬G ∨ (G ∧ ¬S), dove G sta per “Andrai a sciare” ed S sta per “Ci sarà neve”. √ √ (c) ¬[( 7 < 2) ∨ ( 7 = 2)]. 5. (a) Non comprerò i pantaloni senza la maglietta. (b) Non comprerò i pantaloni e non comprerò la maglietta. (c) O non comprerò i pantaloni o non comprerò la maglietta. Sezione 1.2 1. (a) P F F T T Q F T F T 157 ¬P ∨ Q T T F T APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 158 (b) S F F T T G F T F T (S ∨ G) ∧ (¬S ∨ ¬G) F T T F 5. (a) P F F T T Q F T F T P ↓Q T F F F (b) ¬(P ∨ Q) (c) ¬P è equivalente a P ↓ P , P ∨ Q è equivalente a (P ↓ Q) ↓ (P ↓ Q) e P ∧ Q è equivalente a (P ↓ P ) ↓ (Q ↓ Q). 7. (a) e (c) sono validi; (b) e (d) sono invalidi. 9. (a) non è ne una contraddizione ne una tautologia; (b) è una contraddizione; (c) e (d) sono tautologie. 11. (a) P ∨ Q. (b) P . (c) ¬P ∨ Q. 14. Usiamo due volte la legge associativa per ∧: [P ∧ (Q ∧ R)] ∧ S è equivalente a [(P ∧ Q) ∧ R] ∧ S che è equivalente a (P ∧ Q) ∧ (R ∧ S) 16. P ∨ ¬Q. Sezione 1.3 1. (a) D(6) ∧ D(9) ∧ D(15), dove D(x) vuol dire “x è divisibile per 3”. (b) D(x, 2) ∧ D(x, 3) ∧ ¬D(x, 4), dove D(x, y) significa “x è divisibile per y”. (c) N (x) ∧ N (y) ∧ [(P (x) ∧ ¬P (y)) ∨ (P (y) ∧ ¬P (x))], dove N (x) significa “x è un numero naturale” e P (x) significa “x è primo”. 3. (a) {x | x è un pianeta}. (b) {x | x è una regione italiana}. (c) {x | x è un stato europeo}. 5. (a) (−3 ∈ R)∧(13−2(−3) > 1). Variabili vincolate: x. Nessuna variabile libera. L’affermazione è vera. (b) (4 ∈ R) ∧ (4 < 0) ∧ (13 − 2(4) > 1). Variabili vincolate: x. Nessuna variabile libera. L’affermazione è falsa. APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 159 (c) ¬[(5 ∈ R) ∧ (13 − 2(5) > c)]. Variabili vincolate: x. Variabili libere: c. 7. (a) { x | Elizabeth Taylor è stata sposata con x } = { Conrad Hilton Jr., Michael Wilding, Michael Todd, Eddie Fisher, Richard Burton, John Warner, Larry Fortensky }. (b) { x | x è un connettivo logico studiato nella Sezione 1.1 } = {∧, ∨, ¬}. (c) { x | x è l’autore di questo libro } = { Daniel J. Velleman } Sezione 1.4 1. (a) {3, 12}. (b) {1, 12, 20, 35}. (c) {1, 3, 12, 20, 35}. Gli insiemi dei punti (a) e (b) sono entrambi sottoinsiemi dell’insieme al punto (c). 4. (a) Entrambi i diagrammi di Venn hanno questa forma: U A B (b) Entrambi i diagrammi di Venn hanno questa forma: U A B C 8. Gli insiemi (a), (d) ed (e) sono uguali, e gli insiemi (b) e (c) sono uguali. APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 160 10. (a) Non c’è nessuna regione corrispondente all’insieme (A ∩ D) \ (B ∪ C), ma questo insieme potrebbe contenere degli elementi. (b) Ecco una possibilità: U A D B C 12. I diagrammi di Venn per entrambi gli insiemi hanno questo aspetto: U A B C Sezione 1.5 1. (a) (S∨¬E)→¬H dove S sta per “Questo gas ha un odore sgradevole”, E sta per “Questo gas è esplosivo” e H sta per “Questo gas è idrogeno”. (b) (F ∧H)→D, dove F sta per “George ha la febbre”, H sta per “George ha il mal di testa” e D sta per “George andrà dal dottore”. (c) (F → D) ∧ (H → D), dove le lettere hanno lo stesso significato come nella parte (b). (d) (x 6= 2) → (P (x) → O(x)), dove P (x) sta per “x è primo”, e O(x) sta per “x è dispari”. APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 161 4. (a) e (b) sono validi, ma (c) è invalido. 6. (a) Fare una tabella di verità, o ragionare come segue: (P → R) ∧ (Q → R) è equivalente a (¬P ∨ R) ∧ (¬Q ∨ R) che è equivalente a (¬P ∧ ¬Q) ∨ R che è equivalente a ¬(P ∨ Q) ∨ R che è equivalente a (P ∨ q) → R (b) (P → R) ∨ (Q → R) è equivalente a (P ∧ Q) → R. 8. ¬(P → ¬Q). Capitolo 2 Sezione 2.1 1. (a) ∀x[∃yF (x, y)→S(x)], dove F (x, y) sta per “x ha perdonato y” e S(x) sta per “x è un santo”. (b) ¬∃x[C(x) ∧ ∀y(D(y) → S(x, y))] dove C(x) sta per “x è nella classe di analisi”, D(y) sta per “y è nella classe di matematica discreta” e S(x, y) sta per “x è più intelligente di y”. (c) ∀x(¬(x = m) → L(x, m)) dove L(x, y) sta per “x ama y”, ed m sta per Mary. (d) ∃x(P (x) ∧ S(j, x)) ∧ ∃y(P (y) ∧ S(r, y)), dove P (x) sta per “x è un poliziotto”, S(x, y) sta per “x ha visto y”, j sta per Jane ed r sta per Roger. (e) ∃x(P (x) ∧ S(j, x) ∧ S(r, x)), dove le lettere hanno lo stesso significato che peril punto (d). 4. (a) Tutti gli uomini non sposati sono infelici. (b) y è una sorella di uno dei genitori di x; i.e., y è una zia consanguinea di x. 7. (a), (d) ed (e) sono vere; (b), (c) ed (f) sono false. Sezione 2.2 1. (a) ∃x[M (x) ∧ ∀y(F (x, y) → ¬H(y))], dove M (x) sta per “x si laurea in matematica”, F (x, y) sta per “x ed y sono amici”, e H(y) sta per “y ha bisogno di aiuto con i suoi compiti”. In italiano: c’è un laureato in matematica per il quale nessuno dei suoi amici ha bisogno di aiuto con i compiti. (b) ∃x∀y(R(x, y) → ∃zL(y, z)), dove R(x, y) sta per “x ed y sono compagni di stanza” e L(y, z) sta per “ad y piace z”. In italiano: c’è qualcuno tale che a tutti i suoi compagni di stanza piace almeno una persona. (c) ∃x[(x ∈ A ∨ x ∈ B) ∧ (x ∈ / C ∨ x ∈ D)]. APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 4. 6. 8. 11. 162 (d) ∀x∃y[y > x ∧ ∀z(z 2 + 5z 6= y)]. Suggerimento: Iniziate rimpiazzando P (x) con ¬P (x) nella prima legge di negazione dei quantificatori, per ottenere il fatto che ¬∃¬P (x) è equivalente a ∀x¬¬P (x). Suggerimento: Iniziate mostrando che ∃x(P (x) ∨ Q(x)) è equivalente a ¬∀¬(P (x) ∨ Q(x)). (∀x ∈ AP (x)) ∧ (∀x ∈ BP (x)) è equivalente a ∀x(x ∈ A → P (x)) ∧ ∀x(x ∈ B → P (x)) che è equivalente a ∀x[(x ∈ A → P (x)) ∧ (x ∈ B → P (x))] che è equivalente a ∀x[(x ∈ / A ∨ P (x)) ∧ (x ∈ / B ∨ P (x))] che è equivalente a ∀x[(x ∈ / A∧x∈ / B) ∨ P (x)] che è equivalente a ∀x[¬(x ∈ A ∧ x ∈ B) ∨ P (x)] che è equivalente a ∀x[x ∈ (A ∪ B) → P (x)] che è equivalente a ∀x ∈ (A ∪ B)P (x). A \ B = ∅ è equivalente a ¬∃x(x ∈ A ∧ x ∈ / B) che è equivalente a ∀x¬(x ∈ A ∧ x ∈ / B) che è equivalente a ∀x(x ∈ / A ∧ x ∈ B) che è equivalente a ∀x(x ∈ A → x ∈ B) che è equivalente a ∀x ∈ A(x ∈ B) Sezione 2.3 1. (a) ∀x(x ∈ F → ∀y(y ∈ x → y ∈ A)). (b) ∀x(x ∈ A → ∃x ∈ N(x = 2n + 1)). (c) ∀n ∈ N∃m ∈ N(n2 + n + 1 = 2m + 1). (d) ∃x(∀y(y ∈ x → ∃i ∈ I(y ∈ Ai )) ∧ ∀i ∈ I∃y(y ∈ x ∧ y ∈ / Ai )). 4. ∩F ={rosso, azzurro} e ∪F ={rosso, verde, azzurro, arancione, viola}. 8. (a) A2 = {2, 4}, A3 = {3, 6}, B2 = {2, 3}, B3 = {3, 4}. (b) ∩i∈I (Ai ∪ Bi ) = {3, 4} e (∩i∈I Ai ) ∪ (∩i∈I Bi ) = {3}. (c) Non sono equivalenti. 11. Un esempio è A = {1, 2} e B = {2, 3}. 13. (a) B3 = {1, 2, 3, 4, 5} e B4 = {1, 2, 4, 5, 6}. (b) ∩j∈J Bj = {1, 2, 4, 5}. (c) ∪i∈I (∩j∈J Ai,j ) = {1, 2, 4}. (d) x ∈ ∩j∈J (∪i∈I Ai,j ) significa ∀j ∈ J∃i ∈ I(x ∈ Ai,j ) e x ∈ ∪i∈I (∩j∈J Ai,j ) significa ∃i ∈ I∀j ∈ J(x ∈ Ai,j ). Non sono equivalenti. Capitolo 3 Sezione 3.1 1. (a) Ipotesi: n è un intero più grande di 1 ed n non è primo. Conclusione: 2n − 1 non è primo. Le ipotesi sono vere quando n = 6, cosı̀ il APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 163 teorema ci dice che 26 − 1 non è primo. Questo è corretto, perché 26 − 1 = 63 = 9 · 7. (b) Possiamo concludere che 32767 non è primo. Questo è corretto, poiché 32767 = 151 · 217. 4. 9. 11. 14. (c) Il teorema non ci dice nulla; 11 è primo, quindi le ipotesi non sono soddisfatte. Assumete 0 < a < b. Allora b − a > 0. Moltiplicando entrambi i lati per il numero positivo b + a, otteniamo (b + a) · (n − a) > (b + a) · 0, o in altre parole, b2 − a2 > 0. Poiché b2 − a2 > 0, ne segue che a2 < b2 . Pertanto, se 0 < a < b allora a2 < b2 . Suggerimento: Aggiungere b ad ambo i lati della diseguaglianza a < b. Dimostreremo la contropositiva. Supponiamo c ≤ d. Moltiplicando ambo i lati di questa diseguaglianza per il numero positivo a, otteniamo ac ≤ ad. Inoltre, moltiplicando entrambi i lati della diseguaglianza a < b per il numero positivo d abbiamo ad < bd. Combinando ac ≤ ad e ad < bd possiamo concludere che ac < bd. Cosı̀, se ac ≥ bd allora c > d. Poiché x > 3 > 0 per il teorema nell’Esempio 3.1.2, x2 > 9. Inoltre, moltiplicando ambo i lati della diseguaglianza y < 2 per −2 (ed invertendo la direzione della diseguaglianza, visto che −2 è negativo), otteniamo −2y > −4 Infine, aggiungendo le diseguaglianze x2 > 9 e −2y > −4 abbiamo x2 − 2y > 5. Sezione 3.2 1. (a) Assumiamo P . Poiché P → Q, ne segue Q. Ma allora, poiché Q → R, possiamo concludere R. Allora, P → R. (b) Assumiamo P . Per dimostrare che Q → R dimostreremo la contropositiva, cosı̀ supponiamo ¬R. Poiché ¬R → (P → ¬Q), segue P → ¬Q e poiché sappiamo P , possiamo concludere ¬Q. Allora, Q → R, e quindi P → (Q → R). 5. Assumiamo a ∈ A \ B. Questo significa che a ∈ A e a ∈ / B. Poiché a ∈ A e a ∈ C, a ∈ A ∩ C. Ma allora poiché A ∩ C ⊆ B, segue che a ∈ B, e questo contraddice il fatto che a ∈ / B. Cosı̀, a ∈ / A \ B. 8. Suggerimento: Assumete a < 1/a < b < 1/b. Ora dimostrate che a < 0 e usate questo fatto per dimostrare a < −1. 11. (a) L’affermazione “Allora x = 3 e y = 8” non è corretta. (Perché?) (b) Un controesempio è x = 3, y = 7. APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 14. P F F F F T T T T Q F F T T F F T T R F T F T F T F T P → (Q → R) T T T T T T F T 164 ¬R → (P → ¬Q) T T T T T T F T Sezione 3.3 1. Assumiamo ∃x(P (x) → Q(x)). Allora possiamo scegliere qualche x0 tale che P (x0 ) → Q(x0 ). Ora assumiamo ∀xP (x). Allora in particolare, P (x0 ), e poiché P (x0 ) → Q(x0 ), segue che Q(x0 ). Poiché abbiamo trovato un valore particolare di x per il quale Q(x) è vera, possiamo concludere che ∃xQ(x). Cosı̀ ∀xP (x) → ∃xQ(x). 3. Si supponga che A ⊆ B \ C ma che A e C non siano disgiunti. Allora possiamo scegliere un qualche x tale che x ∈ A e x ∈ C. Poiché x ∈ A e A ⊆ B \C, ne segue che x ∈ B \C, che significa che x ∈ B e x ∈ / C. Ma ora abbiamo contemporaneamente x ∈ C e x ∈ / C, che è una contraddizione. Cosı̀, se A ⊆ B \ C, allora A e C sono √ disgiunti. 7. Si supponga x > 2. Sia y = (x + x2 − 4)/2, che è definito perché x2 − 4 > 0. Allora √ √ 2x2 + 2x x2 − 4 1 x + x2 − 4 2 √ √ = = x. y+ = + y 2 x + x2 − 4 2(x + x2 − 4) 9. Sia F una famiglia di insiemi e A ∈ F. Sia x ∈ ∩F. Allora, per la definizione di ∩F, poiché x ∈ ∩F e A ∈ F, x ∈ A. Ma x era un elemento arbitrario di ∩F, cosı̀ ne segue che ∩F ⊆ A. 12. Suggerimento: Assumete F ⊆ G e indicate con x un elemento arbitrario di ∪F. Dovete dimostrare che x ∈ ∪G, che significa ∃A ∈ G(x ∈ A), pertanto dovete provare a trovare qualche A ∈ G tale che x ∈ A. Per far ciò, scrivere i dati in notazione logica. Troverete che uno di loro è una in forma universale, e uno è in forma esistenziale. Applicate l’istanziazione esistenziale al dato esistenziale. 14. Sia x ∈ ∪i∈I P(Ai ). Allora possiamo scegliere un qualche i ∈ I tale che x ∈ P(Ai ), o in altri termini x ⊆ Ai . Ora indichiamo con a un elemento arbitrario di x. Allora a ∈ Ai , e pertanto a ∈ ∪i∈I Ai . Poiché a era un elemento arbitrario di x, ne segue che x ⊆ ∪i∈I Ai , che significa che x ∈ P(∪i∈I Ai ). Cosı̀ ∪i∈I P(Ai ) ⊆ P(∪i∈I Ai ). 17. Suggerimento: L’ultima ipotesi significa ∀A ∈ F∀B ∈ G(A ⊆ B), cosı̀ se nel corso della dimostrazione incontrerete mai due insiemi A ∈ F e B ∈ G, potrete concludere che A ⊆ B. Iniziate la dimostrazione ponendo x arbitrario e assumendo x ∈ ∪F, e dimostrate che x ∈ ∩G. Per vedere dove andare da qui, scrivete queste affermazioni in forma logica. APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 165 20. L’affermazione “Allora per ogni numero reale x, x2 < 0” non è corretta. (Perché)? 22. Sulla base della forma logica dell’affermazione da dimostrare, la dimostrazione dovrebbe avere questa struttura: Sia x = . . . Sia y un numero reale arbitrario. [Una dimostrazione di xy 2 = y − x va qui.] Poiché y era arbitrario, ∀y ∈⇒ (xy 2 = y − x). Cosı̀, ∃x ∈ R∀y ∈ R(xy 2 = y − x). Questa struttura rende chiaro che y dovrebbe essere introdotta nella dimostrazione dopo x. Pertanto, x non può essere definita in termini di y, perché y non è stata ancora introdotta nella dimostrazione quando x è stata definita. Ma nella dimostrazione fornita, x è definita in termini di y nella prima frase. (L’errore è stato nascosto dal fatto che la frase “Sia y un numero reale arbitrario” è stata omessa dalla dimostrazione. Se provate ad aggiungere questa frase, troverete che non c’è un punto in cui può essere aggiunta che condurrebbe a una dimostrazione corretta del teorema sbagliato). 25. Ecco l’inizio della dimostrazione: Sia x un numero reale arbitrario. Sia y = 2x. Ora sia z un numero reale arbitrario. Allora. . . Sezione 3.4 1. (→) Si supponga ∀x(P (x)∧Q(x)). Sia y arbitrario. Allora poiché ∀x(P (x)∧ Q(x)), P (y) ∧ Q(y), ed in particolare P (y). Poiché y era arbitrario, questo mostra che ∀xP (x). Una argomentazione simile mostra che ∀xQ(x): per un y arbitrario, P (y) ∧ Q(y), e pertanto Q(y). Cosı̀, ∀xP (x) ∧ ∀xQ(x). (←) Si supponga ∀xP (x)∧∀xQ(x). Sia y arbitrario. Allora poiché ∀xP (x), è vero P (y), e in maniera simile poiché ∀xQ(x), Q(y). Cosı̀, P (y) ∧ Q(y), e poiché y er arbitrario, ne segue ∀x(P (x) ∧ Q(x)). 4. Si supponga A ⊆ B e A * C. Poiché A * C, possiamo scegliere qualche a ∈ A tale che a ∈ / C. Poiché a ∈ A e A ⊆ B, a ∈ B. Poiché a ∈ B e a∈ / C, B * C. 7. Siano A e B insiemi arbitrari. Sia x arbitrario, e supponiamo che x ∈ P(A ∩ B). Allora x ⊆ A ∩ B. Ora sia y un elemento arbitrario di x. Allora, poiché x ⊆ A ∩ B, y ∈ A ∩ B, e pertanto y ∈ A. Poiché y era arbitrario, questo mostra che x ⊆ A, cosı̀ x ∈ P(A). Una argomentazione simile mostra che x ⊆ B, e pertanto x ∈ P(B). Cosı̀, x ∈ P(A) ∩ P(B). Ora supponiamo x ∈ P(A) ∩ P(B). Allora x ∈ P(A) e x ∈ P(B), cosı̀ x ⊆ A e x ⊆ B. Sia y ∈ x. Allora poiché x ⊆ A e x ⊆ B, abbiamo y ∈ A e yinB, e quindi y ∈ A ∩ B. Allora x ⊆ A ∩ B, cosı̀ x ∈ P(A ∩ B). 9. Si assuma che x e y siano dispari. Allora possiamo scegliere degli interi j e k tali che x = 2j + 1 e y = 2k + 1. Pertanto xy = (2j + 1)(2k + 1) = APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 12. 15. 17. 21. 23. 166 4jk + 2j + 2k + 1 = 2(2jk + j + k) + 1. Poiché 2jk + j + k è intero, segue che xy è dispari. Suggerimento: Sia x ∈ R arbitrario, e dimostrate entrambe le direzioni del bicondizionale separatamente. Per la direzione “→”, usate l’istanziazione esistenziale e proseguite con una dimostrazione per assurdo. Per la direzione “←”, assumete x 6= 1 e risolvete l’equazione x + y = xy per y allo scopo di determinare quale valore usare per scegliere y. Supponete che ∪F e ∩G non siano disgiunti. Allora possiamo scegliere un x tale che x ∈ ∪F e x ∈ ∩G. Poiché x ∈ ∪F, possiamo scegliere un qualche A ∈ F tale che x ∈ A. Poiché ci è dato che ogni elemento di F è disgiunto da qualche elemento di G, deve esserci qualche B ∈ G tale che A ∩ B = ∅. Poiché x ∈ A, ne segue che x ∈ / B. Ma abbiamo anche x ∈ ∩G e B ∈ G dal quale segue che x ∈ B, che è una contraddizione. Cosı̀ ∪F e ∩G devono essere disgiunti. (a) Supponiamo x ∈ ∪(F ∩ G). Allora possiamo scegliere qualche A ∈ F ∩ G tale che x ∈ A. Poiché x ∈ A e A ∈ F, x ∈ ∪F , e in maniera simile poiché x ∈ A e A ∈ G, x ∈ ∪G. Pertanto x ∈ (∪F) ∩ (∪G). Poiché x era arbitrario, questo mostra che ∪(F ∩ G) ⊆ (∪F ) ∩ (∩G). (b) La frase “Cosı̀, possiamo scegliere un insieme A tale che A ∈ F, A ∈ G e x ∈ A” non è corretta. (Perché?) (c) Un esempio è F = {{1}, {2}}, G = {{1}, {1, 2}}. Supponiamo che ∪F * ∪G. Allora c’è qualche x ∈ ∪F tale che x ∈ / ∪G. Poiché x ∈ ∪F, possiamo scegliere A ∈ F tale che x ∈ A. Ora sia B ∈ G arbitrario. Se A ⊆ B, allora poiché x ∈ A, x ∈ B. Ma allora poiché x ∈ B e B ∈ G, x ∈ ∪G, che sappiamo già essere falso. Pertanto A * B. Poiché B era arbitrario, questo mostra che per tutti i B ∈ G, A * B. Cosı̀, abbiamo mostrato che c’è un A ∈ F tale che per tutti i B ∈ G, A * B. (a) Supponiamo x ∈ ∪i∈I (Ai \ Bi ). Allora possiamo scegliere qualche i ∈ I tale che x ∈ Ai \ Bi , che significa x ∈ Ai e x ∈ / Bi . Poiché x ∈ Ai , x ∈ ∪i∈I Ai , e poiché x ∈ / Bi , x ∈ / ∩i∈I Bi . Cosı̀ x ∈ (∪i∈I Ai )\ (∩i∈I Bi ). (b) Un esempio è I = {1, 2}, A1 = B1 = {1}, A2 = B2 = {2}. Sezione 3.5 1. Supponiamo x ∈ A ∩ (B ∪ C). Allora x ∈ A, e o x ∈ B o x ∈ C. Caso 1. x ∈ B. Allora poiché x ∈ A, x ∈ A ∩ B, cosı̀ x ∈ (A ∩ B) ∪ C. Caso 2. x ∈ C. Allora chiaramente x ∈ (A ∩ B) ∪ C. Poiché x era arbitrario, possiamo concludere che A∩(B ∪C) ⊆ (A∩B)∪C. 4. Supponiamo x ∈ A. Consideriamo due casi: Caso 1. x ∈ C. Allora x ∈ A∩C, cosı̀ poiché A∩C ⊆ B ∩C, x ∈ B ∩C, e pertanto x ∈ B. Caso 2. x ∈ / C. Poiché x ∈ A, x ∈ A ∪ C, cosı̀ poiché A ∪ C ⊆ B ∪ C, x ∈ B ∪ C. Ma x ∈ / C, pertanto deve essere x ∈ B. Allora x ∈ B e poiché x era arbitrario, A ⊆ B. APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 167 7. Suggerimento: Assumete x ∈ P(A) ∪ P(B), che significa che o x ∈ P(A) oppure x ∈ P(B). Trattateli come casi separati. Nel caso 1, assumete x ∈ P(A), che significa x ⊆ A, e dimostrate x ∈ P(A ∪ B), che significa x ⊆ A ∪ B. Il caso 2 è simile. 11. Sia x un numero reale arbitrario. (←) Supponiamo |x − 4| > 2. Caso 1. x − 4 ≥ 0. Allora |x − 4| = x − 4, cosı̀ abbiamo x − 4 > 2, e pertanto x > 6. Aggiungendo x a entrambi i lati otteniamo 2x > 6 + x, cosı̀ 2x − 6 > x. Poiché x > 6, questo implica che 2x − 6 è positivo, cosı̀ |2x − 6| > x. Caso 2. x − 4 < 0. Allora |x − 4| = 4 − x, cosı̀ abbiamo 4 − x > 2, e pertanto x < 2. Allora 3x < 6, e sottraendo 2x da entrambi i membri otteniamo x < 6 − 2x. Inoltre, da x < 2 otteniamo 2x < 4, cosı̀ 2x − 6 < −2. Pertanto 2x − 6 è negativo, cosı̀ |2x − 6| = 6 − 2x > x. (→) Suggerimento: Imitate la direzione “←”, usando i casi 2x − 6 ≥ 0 e 2x − 6 < 0. 15. (a) Supponiamo x ∈ ∪(F ∪ G). Allora possiamo scegliere qualche A ∈ F ∪ G tale che x ∈ A. Poiché A ∈ F ∪ G, o A ∈ F oppure A ∈ G. Se A ∈ F allora, poiché x ∈ A, ne segue che x ∈ ∪F. In maniera simile, se A ∈ G allora x ∈ ∪G. Quindi o x ∈ ∪F o x ∈ ∪G, cosı̀ x ∈ (∪F ) ∩ (∪G). Ora supponiamo che x ∈ (∪F)∪(∪G). Allora o x ∈ ∪F o x ∈ ∪G. Se x ∈ ∪F, allora possiamo scegliere un A ∈ F tale che x ∈ A. Poiché A ∈ F, si ha A ∈ F ∪ G, e poiché x ∈ A, ne segue x ∈ ∪(F ∪ G). Una argomentazione simile mostra che se x ∈ ∪G allora x ∈ (∪F) ∪ (∪G). (b) Il teorema è ∩(F ∪ G) = (∩F ) ∩ (∩G). 19. (→) Supponiamo che A 4 B e C siano disgiunti. Sia x un elemento arbitrario di A ∩ C. Allora x ∈ A e x ∈ C. Se x ∈ / B, allora poiché x ∈ A, x ∈ A \ B, e pertanto x ∈ A 4 B. Ma anche x ∈ C, cosı̀ questo contraddice la nostra assunzione che A 4 B e C siano disgiunti. Pertanto x ∈ B. Poiché sappiamo anche che x ∈ C, abbiamo x ∈ B ∩ C. Poiché x era un elemento arbitrario di A ∩ C, questo mostra che A ∩ C ⊆ B ∩ C. Un’argomentazione simile mostra che B ∩ C ⊆ A ∩ C. (←) Supponiamo che A ∩ C = B ∩ C. Supponiamo che A 4 B e C non siano disgiunti. Allora possiamo scegliere un x tale che x ∈ A4B e x ∈ C. Poiché x ∈ A 4 B, o x ∈ A \ B o x ∈ B \ A. Caso 1. x ∈ A \ B. Allora x ∈ A e x ∈ / B. Poiché sappiamo anche x ∈ C, possiamo concludere che x ∈ A ∩ C ma x ∈ / B ∩ C. Questo contraddice il fatto che A ∩ C = B ∩ C. Caso 2. x ∈ B \ A. In maniera simile, questo porta ad una contraddizione. Cosı̀ possiamo concludere che A 4 B e C sono disgiunti. 22. (a) Suggerimento: Supponete x ∈ A \ C, e dividete la dimostrazione in due casi, a seconda del fatto che x ∈ B oppure x ∈ / B. (b) Suggerimento: Applicate il punto (a). APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 168 23. (a) Supponete x ∈ (A ∪ B) 4 C. Allora o x ∈ (A ∪ B) \ C oppure x ∈ C \ (A ∪ B). Caso 1. x ∈ (A ∪ B) \ C. Allora o x ∈ A oppure x ∈ B, e x ∈ / C. Ora dividiamo il caso 1 in due sottocasi, a seconda che x ∈ A oppure x ∈ B. Caso 1a. x ∈ A. Allora x ∈ A \ C, cosı̀ x ∈ A 4 C, e anche x ∈ (A 4 C) ∪ (B 4 C). Caso 1b. x ∈ B. In maniera simile a quanto fatto sopra, x ∈ B4C e quindi x ∈ (A 4 C) ∪ (B 4 C). Caso 2. x ∈ C \ (A ∪ B). Allora x ∈ C, x ∈ /Aex∈ / B. Ne segue che x ∈ A 4 C e x ∈ B 4 C, cosı̀ certamente x ∈ (A 4 C) ∪ (B 4 C). (b) Questo è un esempio: A = {1}, B = {2}, C = {1, 2}. 26. La dimostrazione è sbagliata, perché stabilisce soltanto che 0 < x oppure x < 6, ma ciò che deve essere dimostrato è che 0 < x e x < 6. Tuttavia, può essere sistemata. 28. La dimostrazione è corrretta. 30. Suggerimento: Ecco un controesempio al teorema: A = {1, 2}, B = {1}, C = {2}. Sezione 3.6 1. Sia x un numero reale arbitrario. Sia y = x/(x2 + 1). Allora x−y =x− x2 x3 + x x x3 x x = 2 − 2 = 2 = x2 2 = x2 y. +1 x +1 x +1 x +1 x +1 Per vedere che y è unico, supponiamo x2 = x − z. Allora z(x2 + 1) = x e poiché x2 + 1 6= 0, possiamo dividere entrambi i lati per x2 + 1 per concludere che z = x/(x2 + 1) = y. 4. Supponiamo sia x 6= 0. Sia y = 1/x. Ora sia z un numero reale arbitrario. Allora zy = z(1/x) = z/x come richiesto. Per vedere che y è unico, supponiamo che y 0 sia un numero con la proprietà che ∀z ∈ R(zy 0 = z/x). Allora in particolare, prendendo z = 1, abbiamo y 0 = 1/x, e quindi y 0 = y. 6. (a) Sia A = ∅ ∈ P(U ). Allora chiaramente per ogni B ∈ P(U ), A∪B = ∅ ∪ B = B. Per vedere che A è unico, supponiamo che A0 ∈ P(U ) e per tutti in B ∈ P(U ), A0 ∪ B = B. Allora in particolare, prendendo B = ∅, possiamo concludere che A0 ∪ ∅ = ∅. Ma chiaramente A0 ∪ ∅ = A0 , cosı̀ abbiamo A0 = ∅ = A. (b) Suggerimento: Porre A = U . 11. Esistenza: Ci è dato che per ogni G ⊆ F, ∪G ∈ F, cosı̀ in particolare, poiché F ⊆ F, ∪F ∈ F. Sia A = ∪F. Ora supponiamo B ∈ F. Allora per l’esercizio 8 della Sezione 3.3, B ⊆ ∪F = A, come richiesto. Unicità: Supponiamo che A1 ∈ F, A2 ∈ F, ∀B ∈ F(B ⊆ A1 ) e ∀B ∈ F(B ⊆ A2 ). Applicando l’ultimo fatto con B = A1 possiamo concludere APPENDICE A. SOLUZIONI AD ESERCIZI SCELTI 169 A1 ⊆ A2 , e in maniera simile il fatto precedente implica A2 ⊆ A1 . Cosı̀ A1 = A2 . Sezione 3.7 1. Suggerimento: Confrontare (b) con l’esercizio 16 della Sezione 3.3 può dare un’idea di cosa utilizzare per A. 4. Supponiamo P(∪i∈I Ai ) ⊆ ∪i∈I P(Ai ). Chiaramente ∪i∈I Ai ⊆ ∪i∈I Ai , cosı̀ ∪i∈I Ai ∈ P(∪i∈I Ai ) e pertanto ∪i∈I Ai ∈ ∪i∈I P(Ai ). Dalla definizione di unione di una famiglia, questo significa che c’è qualche i ∈ I tale che ∪i∈I Ai ⊆ Ai . Ora sia j ∈ I arbitrario. Allora non è difficile vedere che Aj ⊆ ∪i∈I Ai , cosı̀ Aj ⊆ Ai . 7. Supponiamo limx→c f (x) = L > 0. Sia = L. Allora per definizione di limite, c’è qualche δ > 0 tale che per tutti gli x, se 0 < |x − c| < δ allora |f (x) − L| < = L. Ma se |f (x) − L| < L, allora −L < f (x) − L < L, cosı̀ 0 < f (x) < 2L. Pertanto, se 0 < |x − c| < δ allora f (x) > 0. 9. La dimostrazione è corretta. Appendice B Proof Designer Proof Designer è un applet Java che scrive tracce di dimostrazione nella teoria degli insiemi elementare, sotto la guida dell’utente. Dovrebbe funzionare su qualunque computer con una versione di Java sufficientemente aggiornata. Per utilizzare Proof Designer, aprite il vostro browser web a andate al sito di Proof Designer: https://www.cs.amherst.edu/~djv/pd/pd.html Istruzioni complete per utilizzare Proof Designer possono essere trovate nel sito web. Qui forniremo una panoramica di queste istruzioni. Quando aprite la home page di Proof Designer nel vostro browser web, dovreste vedere un pulsante in fondo alla pagina che dice “Write a Proof”. (Se non lo vedete, potreste dover seguire le istruzioni sul sito web per preparare il vostro computer all’uso di Proof Designer.) Per iniziare a scrivere una dimostrazione, premete il pulsante Write a Proof. Si aprirà una finestra di dialogo, chiedendovi di inserire le ipotesi e la conclusione del teorema che volete dimostrare. Le ipotesi e conclusioni vengono immessi usando le ordinarie notazioni logiche e della teoria degli insiemi.1 Una volta che avete inserito potesi e conclusione, premete su OK. La finestra di dialogo si chiuderà, e si aprirà una nuova finestra. La finestra conterrà tre menù, chiamati “Edit”, “Strategy” e “Infer”. Sotto i menù si troveranno le affermazioni del teorema che state dimostrando, e quindi un posto dove andrà la dimostrazione. Man mano che date i comandi a Proof Designer, uno schema della dimostrazione prenderà gradualmente forma in questa finestra. Mentre lavorate ad una dimostrazione, in essa ci saranno generalmente uno più buchi che è necessario riempire con passi addizionali. Ogni buco verrà indentato 1 C’è una differenza significativa tra il modo in cui la notazione della teoria degli insiemi è usata in Proof Designer e il modo in cui è stata usata in questo libro. La differenza riguarda l’intersezione di famiglie di insiemi. In questo libro, abbiamo usato la notazione ∩F solo in contesti nei quali potevamo essere sicuri che F = 6 ∅; la ragione di questa regola è discussa nell’esercizio 14 della Sezione 2.3. Proof Designer forza questa regola restringendo i contesti in cui ∩F può essere utilizzata. Per ulteriori dettagli su questo punto, e una spiegazione più completa di come inserire affermazioni in Proof Designer, vedere il sito web. 170 APPENDICE B. PROOF DESIGNER 171 e racchiuso in un rettangolo, e avrà un pulsante etichettato con “?” nell’angolo in alto a sinistra. Il buco dirà cosa deve essere messo in quel punto della dimostrazione, e inoltre darà una lista di dati (givens) – affermazioni che si sa essere vere in quel punto della dimostrazione – e l’obiettivo del buco. Generalmente l’obiettivo è una affermazione che deve essere dimostrata, ma occasionalmente l’obiettivo indicherà che dovete assegnare un valore a una variabile, e potete anche avere buchi che non hanno per niente un obiettivo. Inizialmente l’intera dimostrazione consisterà di un buco i cui dati sono le ipotesi del teorema, e il cui obiettivo è la conclusione del teorema. Per aggiungere un passo alla dimostrazione, fate click su un dato o sull’obiettivo per selezionarlo a poi date un comando da uno dei menù in cima alla finestra. Talvolta avrete bisogno di selezionare più oggetti. Per far questo, selezionate il primo oggetto, e successivamente tenete premuto il tasto “Maiusc” (shift) sulla tastiera e fate click sugli altri oggetti da aggiungere alla selezione. Potete anche selezionare un intero buco cliccando o sulla frase che introduce il buco o nel margine alla sinistra del buco. Quando date un comando, alcuni passi verranno aggiunti alla dimostrazione, e le lista con dati e obiettivo verrà aggiornata. Talvolta un passo verrà giustificato da una sotto-dimostrazione — una sequenza di passi che, assieme, giustifica una asserzione. Ogni sotto-dimostrazione è indentata e racchiusa in un rettangolo, e ha un pulsante etichettato “∴” sul lato superiore sinistro. Le sotto-dimostrazioni possono essere innestate una dentro l’altra, e una sottodimostrazione può anche contenere un buco. Potete selezionare un passo cliccando su di esso. Se il passo è giustificato da una o più sotto-dimostrazioni, verranno anch’esse selezionate. Alcuni comandi aggiungo un forma variante a un dato o a un obiettivo. Una variante di un affermazione è un’altra affermazione che è equivalente a quella originale. Un variante di un dato o di un obiettivo è elencata sotto l’originale e indentata. Potete usare una variante esattamente come l’originale. In particolare, potete selezionare una variante cliccandovi sopra. Potete cambiare l’ordine dei dati in una lista di dati puntando a un dato, premendo e tenendo premuto il tasto del mouse per afferrarlo, e trascinandolo sulla nuova posizione nella lista. Tutte le varianti del dato si muovono con esso. Se la struttura della dimostrazione che state creando diventa complicata. Potete nascondere alcuni dei dettagli cliccando su un pulsante “∴” o “?” sull’angolo in alto a sinistra di una sotto-dimostrazione o di un buco. Quando cliccate su un pulsante, i dettagli della sotto-dimostrazione o del buco sono nascosti. Cliccate ancora per mostrare di nuovo i dettagli. Agli applet non è consentito stampare. Comunque, potreste essere in grado di stampare la vostra dimostrazione usando uno dei comandi di “Export HTML”¡. Consultate il sito web per ulteriori dettagli su questo aspetto. Strategie di Dimostrazione Per dimostrare un obiettivo della forma: 1. ¬P : (a) Riesprimerlo in forma positiva. (b) Usare una dimostrazione per assurdo; ovvero, assumere che P è vero e provare a raggiungere una contraddizione. 2. P → Q: (a) Assumere che P è vero e dimostrare Q. (b) Dimostrare la contropositiva; ovvero, assumere che Q è falso e dimostrare che P è falso. 3. P ∧ Q: Dimostrare P e Q separatamente. In altre parole, trattarlo come due obiettivi separati: P e Q. 4. P ∨ Q: (a) Assumere che P è falso e dimostrare Q, o assumere che Q è falso e dimostrare P . (b) Usare una dimostrazione per casi. In ognuno dei casi, dimostrare P o dimostrare Q. 5. P ↔Q: Dimostrare P →Q e Q→P usando i metodi elencati sotto il punto 2. 6. ∀xP (x): Usare x per un oggetto arbitrario e dimostrare P (x). (Se la variabile x sta già per qualcos’altro nella dimostrazione, occorre usare una variabile diversa per l’oggetto arbitrario.) 7. ∃xP (x): Trovare un valore per x che rende vero P (x). Dimostrare P (x) per questo valore di x. 8. ∃!xP (x): (a) Dimostrare ∃xP (x) (esistenza) e ∀y∀z((P (y) ∧ P (z) → y = z) (unicità). (b) Dimostrare l’affermazione equivalente ∃x(P (x) ∧ ∀y(P (y) → y = x)). 172 STRATEGIE DI DIMOSTRAZIONE 173 Per usare un dato della forma: 1. ¬P : (a) Riesprimerlo come una affermazione positiva. (b) In una dimostrazione per assurdo, potete raggiungere una contraddizione dimostrando P . 2. P → Q: (a) Se vi è dato anche P , o potete provare che P è vero, potete concludere che Q è vero. (b) Usare la contropositiva: se vi è dato o potete dimostrare che Q è falso, allora potete concludere che P è falso. 3. P ∧ Q: Trattatelo come due dati separati P e Q. 4. P ∨ Q: (a) Usare una dimostrazione per casi. Nel caso 1 assumere che P è vero, nel caso 2 assumere che Q è vero. (b) Se vi è dato che P è falso, o potete dimostrare che P è falso, allora potete concludere che Q è vero. In maniera simile, se sapete che Q è falso allora potete concludere che P è vero. 5. P ↔ Q: Trattatelo come due dati: P → Q e Q → P . 6. ∀xP (x): Potete scegliere un qualsiasi valore, diciamo a, per x e concludere che P (a) è vero. 7. ∃xP (x): Introdurre una nuova variabile, diciamo x0 , nella dimostrazione, che stia per un particolare oggetto per il quale P (x0 ) è vero. 8. ∃!xP (x): Introdurre una nuova variabile, diciamo x0 , nella dimostrazione, che stia per un particolare oggetto per il quale P (x0 ) è vero. Potete anche assumere che ∀y(P (y) → y = x0 ). Tecniche che possono essere usate in tutte le dimostrazioni: 1. Dimostrazione per assurdo: Assumere che l’obiettivo è falso e derivare una contraddizione. 2. Dimostrazione per casi: Considerare vari casi che siano esaustivi, ovvero che includano tutte le possibilità. Dimostrare l’obiettivo in tutti questi casi.