Le Mani e la Pietra

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Le Mani e la Pietra
Paolo Tiralongo
LE MANI E LA PIETRA
Tradizione e tecnica del patrimonio in pietra a secco del Comprensorio Eloro.
Paolo Tiralongo vive e lavora a Noto.
Autore di saggi ed articoli sulla cultura popolare
e su problemi ambientali, ha pubblicato:
‘ A machina ro ghiacciu, un esempio di protoindustria in Sicilia (1995);
La città invisibile, percorsi smarriti della città di Noto (1996);
Lisfera, storie, aneddoti,battute,di un personaggio popolare netino (1997);
Pietra su pietra architettura in pietra a secco degli Iblei (1998, 2006 ).
Iniziativa Cofinanziata dall’Unione Europea nell’ambito del programma Leader Plus - PSL “Eloro”
In copertina: Avola, Contrada Chiusa Cavallo “Cuccumeddi”.
Foto di Paolo Tiralongo
Pubblicazione Cofinanziata dall’Unione Europea nell’ambito del programma Leader Plus - PSL “Eloro”
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registrazioni) senza previo consenso scritto del Gal Eloro, titolare dei diritti.
Comune di Noto
Ufficio Agricoltura
Paolo Tiralongo
Le Mani e la Pietra
Tradizione e tecnica del patrimonio in pietra a secco del Comprensorio Eloro
Progetto “Percorsi di Pietra”
Iniziativa cofinanziata nell’ambito del Programma Leader Plus - PSL “ Eloro”
Il Gal Eloro ha inserito nel Piano di Sviluppo Locale azioni volte alla Valorizzazione del Patrimonio in Pietra a secco con la
consapevolezza di avviare un percorso difficile e complesso, che richiede il coinvolgimento e il contributo di tutti gli attori
presenti nel territorio.
Parlare di mantenimento del Paesaggio Culturale, Agrario e Forestale con i suoi elementi tipici e caratterizzanti spesso viene
visto dallo stesso agricoltore come un problema, un intralcio allo sviluppo della propria attività produttiva e possiamo dire che
in generale c’è scarsa considerazione da parte della società civile sul valore di questo patrimonio.
Il nostro obiettivo, pertanto, è quello di lanciare un seme per far comprendere che queste “pietre” rappresentano un aspetto
fondamentale della nostra storia, della nostra cultura e delle nostre tradizioni, da salvaguardare e valorizzare in quanto
risorsa economica, valore aggiunto alla attività produttiva e non un mero problema.
Vogliamo lanciare questo seme affinché tra gli operatori e nella società intera maturi la consapevolezza che intraprendere
un percorso a salvaguardia e valorizzazione del Patrimonio in pietra a secco è importante e necessario per noi e per le
future generazioni.
G.A.L. ELORO
Il Presidente
Salvatore Lupo
La tutela e la valorizzazione del Paesaggio Culturale rurale ed agrario costituiscono per la Sicilia e per il Comune di Noto
uno degli obiettivi strategici dell’attività di programmazione e della politica economico-culturale; all’interno di questa
prospettiva il Patrimonio in Pietra a secco rappresenta uno degli aspetti più specifici e caratterizzanti del paesaggio del
Comprensorio Eloro. Le costruzioni, i manufatti ed il sapere immateriale legato all’immenso e qualitativamente rilevante
patrimonio in pietra a secco fondano una risorsa imprescindibile per la crescita delle vocazioni territoriali e sociali legate allo
sviluppo sostenibile, basato sul turismo culturale e l’agricoltura di qualità.
La presenza di percorsi che attraversano i periodi storici, di numerose tipologie di costruzioni, di tutto un sapere
sommerso racchiuso tra le mani di vecchi artigiani o “mastri”, insieme alla diffusione di una sensibilità tutta nuova verso il
rispetto del paesaggio culturale e dell’etnografia dei popoli rappresentano i punti di forza di un settore di grande potenzialità
economica per lo sviluppo e la promozione del territorio e di tutto il Comprensorio Eloro.
Nelle nuove strategie territoriali e politiche, obiettivi prioritari sono il censimento delle strutture e delle tecniche di
costruzione, il recupero delle tradizioni etno-antropologiche, la valorizzazione ed il recupero dell’esistente.
Questi obiettivi specifici, cui contribuisce in maniera determinante, una politica trasparente di programmazione per la
gestione e la fruizione comuni, possono essere perseguiti solo attraverso l’adesione degli enti territoriali ad uno stesso
protocollo di intesa e la coesione di tutti gli agenti locali che si interessano alla promozione del patrimonio materiale ed
immateriale della pietra a secco.
Con questo manuale e con il progetto “Percorsi di Pietra” coordinato dall’Ufficio Agricoltura del Comune di NOTO viene
proposta una panoramica sulle tecniche e gli strumenti tradizionali, sulla filosofia della pietra a secco che avvolge tutto il
panorama dell’altopiano Ibleo.
Cosi terrazze e muretti, strade poderali e torri, masserie e rifugi, lenze e martelli sono i veri protagonisti di questo manuale;
sono gli elementi attorno ai quali si concentra un processo di responsabilizzazione e sinergia di tutti gli attori sociali; è allo
stesso tempo una occasione di ricerca delle radici e dell’identità del territorio che ci circonda: pietra come espressione di una
cultura manuale e rurale; pietra come elemento della socialità e del rapporto tra natura ed uomo; pietra come simbolo
immobile nel tempo di un passato da non dimenticare, possibile “volano” di uno sviluppo a venire.
Corrado Valvo
Sindaco di Noto
Una sera di primavera del 1989 proiettai, per la prima volta a
Corrado Sofia le diapositive della mia ricerca fotografica, non
ancora completata, sulle costruzioni in pietra a secco degli
Iblei.
Le fotografie che lentamente facevo scorrere sullo schermo
suscitavano in lui una quasi fanciullesca meraviglia. Egli
osservava quei manufatti poveri e severi e, socchiudendo gli
occhi, quasi a ripescare nella sua memoria le immagini più
idonee, li commentava ora paragonandoli ai monumenti
micenei e greci, ora citando Pirandello o Rilke.
Le pietre degli Iblei da allora divennero argomento preferito
delle nostre conversazioni e, nello stesso tempo, fonte di
rammarico per l’indifferenza e l’abbandono in cui versava quel
prezioso patrimonio.
In seguito Corrado Sofia caldeggiò la pubblicazione della mia
ricerca scrivendo un appassionato articolo pubblicato sul
primo numero del 1997 della rivista Provincia di Siracusa.
Da allora qualche cosa è cambiato: sono cresciute la
sensibilità e l’attenzione verso questi manufatti e si comincia a
comprendere la necessità della loro manutenzione e del loro
ripristino, non solo in quanto segni di identità del paesaggio,
ma anche come opere insostituibili nell’equilibrio
idrogeologico del nostro territorio.
Anche a livello di Comunità Europea, nuove ricerche e nuove
misure vengono avviate per favorire l’approfondimento e la
divulgazione delle tecniche di costruzione in pietra a secco.
Come introduzione a questo lavoro mi piace riproporre alcuni
stralci del succitato articolo di Corrado Sofia.
PaoloTiralongo
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I muri a secco
di Corrado Sofia*
Un mestiere antico, inventato dagli antenati, quando non avevano che le pietre per fissare un confine, per
creare un riparo, per preparare un terreno da mettere a frutto. Questo mestiere potrebbe insegnare ai
giovani a rendere più pulita ed armoniosa la loro terra. Sotto la guida degli antichi maestri, gioverebbe
all’estetica dei nostri paesi, al loro sviluppo turistico. La Regione, le varie Provincie, cosa aspettano per
creare speciali cantieri interessati a tramandare l’ultima voce della presenza micenea della nostra isola?
In varie località, nel siracusano, nel catanese, in provincia di Ragusa, dove l’influenza greca è ancora
viva, ci sono operai che continuano ad innalzare queste opere d’arte, pietra su pietra, senza bisogno di
malta, lasciando fessure perché il muro respiri e la pioggia trovi l’andito giusto per scorrere verso il basso.
Di queste opere che nobilitano il paesaggio i vari Comuni dovrebbero promuovere la diffusione. L’operaio
che pratica l’arte del muro a secco possiede l’occhio dell’architetto, ha il gusto del disegno. Si intuisce
come da questa scuola siano nati gli scalpellini che crearono nel ‘700 le mensole del palazzo di
Villadorata a Noto; e a Modica, a Scicli, a Ibla hanno lasciato i segni mirabili della loro inventiva. […]
Un muro ben fatto figura come una pagina di Rilke, lo scrittore cui si debbono le più belle descrizioni dei
vecchi muri di Parigi. Gli operai di Ragusa, di Avola, di Palazzolo Acreide probabilmente non sanno chi è
Rilke, non sanno nemmeno chi è Tomasi di Lampedusa, l’autore del “Gattopardo”, tutt’al più conoscono
Micio Tempio per le sue boccaccesche versioni e Martoglio per le commedie; tuttavia le opere che
compongono utilizzando pietre invece che parole, non ci stancheremo di dire, equivalgono a pagine di
poesia. Anche se non tutti sono coscienti della fantasia che guida la loro mano, un’istintiva sicurezza li
indirizza. […]
Potrà apparire assurdo che operai che non hanno frequentato le accademie siano in grado di insegnare ai
moderni architetti l’origine dell’antica casa dell’uomo. Sarebbe grave difetto da parte dei moderni
architetti non prendere coscienza del patrimonio popolare di cui questi esempi sono testimonianza.
Per questo è da considerare tale lavoro, oltre che un’occupazione seppure temporanea, un prezioso
insegnamento per giovani, un’educazione per la natura che nelle scuole non hanno potuto ricevere.
*Regista, giornalista, scrittore.
Noto 1906-1997
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STORIA E CULTURA
Sul concetto di paesaggio
Per molto tempo nella tradizione culturale italiana è prevalso un concetto di paesaggio legato alla cultura
idealistico-illuministica.
Secondo questa concezione l’uomo è osservatore esterno ed oggettivo di un luogo, può godere di un
“panorama”, di un spazio “ameno”, di una “rarità” anche attraverso la realizzazione di adeguati “punti
panoramici”.
Il paesaggio è visto esclusivamente nella sua veste estetica e nella sua capacità di suscitare emozioni in quanto
“unico”, “grandioso”, la natura è protagonista, ma solo in quanto luogo dove rifugiarsi per stemperare gli affanni
del quotidiano.
In questa ottica si sviluppano i primi studi scientifici e vengono emanate le prime normative.
E’ infatti del 1910 l’opera scientifico-divulgativa a cura del Tourig Club Italiano “Il bosco, il pascolo, il monte”,
mentre è del 1939 la legge n. 1497 che, per la prima volta, stabilisce norme per la protezione delle bellezze
naturali. Tuttavia il ruolo del paesaggio rimane ancora sostanzialmente quello estetizzante di “quadro visivo”.
Negli anni successivi il nascente dibattito sul paesaggio trova un’eco nella Costituzione Italiana che, prima al
mondo, pone fra i principi fondamentali dello Stato la tutela dei beni culturali e del paesaggio. L’art. 9 così
recita:…la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Dagli anni ’70 in poi, le preoccupazioni ecologiche incominciano ad incidere anche sul concetto di tutela del
Contrada Ferraro - Noto
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paesaggio e nel 1983 viene approvata la legge n. 431 (Galasso) che, pur non discostandosi molto dalla vecchia
concezione di paesaggio come bellezza d’insieme, introduce valori naturalistici accanto a quelli estetici.
Particolarmente interessanti le spinte innovative provenienti dall’estero con gli studi di Forman (Harward) e
Godron (Monpellier) che, su Landscope Ecology (J. Miley & Sons, New York, 1969) definiscono il paesaggio
come un insieme di ecosistemi interagenti che si ripetono in un intorno.
Vengono così superate l’idea estetizzante del paesaggio e la divisione tra paesaggio naturale e umano che
portavano a privilegiare la tutela di alcune zone, rispetto a tutto il contesto. Inoltre nel concetto di bene
paesistico la natura entra come insieme di organismi che non vivono in funzione dell’uomo, l’uomo piuttosto è
esso stesso interno al paesaggio.
Ritroviamo in questi studi i prodromi dei concetti presenti nella Convenzione Europea sul Paesaggio, del 20
ottobre 2000, recepita dalla Regione Sicilia con Decreto n. 5820 dell’8 maggio 2002 dell’Assessorato ai Beni
Culturali ed Ambientali. [ In verità la Regione Sicilia si era precedente dotata della legge n. 80 del 1977 “Norme
per la tutela, la valorizzazione e l’uso sociale dei beni culturali e ambientali nel territorio”, anche se tale legge
non ha impedito il verificarsi di numerosi scempi del paesaggio ].
Un fondamentale contributo è quello fornito da Agenda 21 “Documento di analisi sullo sviluppo sostenibile”
elaborato nel corso della Conferenza Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile promossa dall’ONU a Rio de Janeiro
del 1992. Agenda 21 introduce il principio fondamentale della “pianificazione partecipata” secondo cui è
essenziale la partecipazione di tutti gli attori principali coinvolti nei cambiamenti del paesaggio, e, pertanto ogni
amministrazione locale dovrebbe instaurare consultazioni delle realtà locali, dei cittadini, delle associazioni,
delle imprese, per conoscerne le esigenze ed acquisire le giuste informazioni su cui basare una politica di
sviluppo sostenibile.
Recependo l’evoluzione delle discipline sul paesaggio, il 22 gennaio 2004 con il Dlgs. n. 42 viene pubblicato il
Codice dei beni culturali, noto anche come Codice Urbani che sostituisce i precedenti testi legislativi e
introduce una nuova definizione secondo la quale … per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i
cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni. La tutela e la
valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie
percepibili.
In questo Codice non solo viene riconosciuta l’importanza degli ecosistemi e delle leggi che li regolano, ma
diventa oggetto di interesse paesaggistico, accanto alle grandi opere storico-architettoniche, ogni segno
tramandato nel tempo dalla continua interazione fra la storia umana e quella naturale dei luoghi. Inoltre per la
prima volta si accosta al concetto di paesaggio il concetto di identità, come qualità che caratterizza un luogo e lo
esalta in quanto valore unico ed irripetibile.
Grazie a questa complessa evoluzione è oramai acquisita la convinzione che il paesaggio è in continuo
movimento nel quale l’uomo produce delle modifiche e ne è esso stesso modificato. E’ necessario dunque
approfondire la conoscenza degli elementi costitutivi di un paesaggio, sia quelli naturalistico-morfologici, sia
quelli storico-culturali ed estetici onde indirizzarne le dinamiche di trasformazione verso uno sviluppo
compatibile
Nella situazione paesaggistica attuale, per quanto riguarda il Comprensorio Eloro, come per tutto il Val di
Noto,è ancora generalmente possibile individuare l’intreccio fra l’ambiente naturale e le forme architettoniche,
insediative, agricole e produttive.
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E se l’identità di un territorio ha a che fare col sentimento dell’uomo e con la sua capacità di percezione, è
inevitabile pensare alla pietra calcarea come uno degli elementi di identità più visibile del paesaggio di questo
Comprensorio. Un viaggiatore che arriva in queste contrade non può fare a meno di notarlo.
E’ la pietra calcarea usata per la ricostruzione delle città distrutte dal sisma del 1693, è la pietra delle pareti a
strapiombo delle cave iblee dove, in epoche preistoriche, gli antichi abitanti della Sicilia scavarono le loro
necropoli e incisero le loro prime misteriose sculture (Castelluccio, Pantalica, Cava Grande del Cassibile,
Finocchito); è la pietra delle chiese rupestri e delle grotte di briganti; è la pietra dei muretti a secco che
disegnano il territorio e idealmente lo legano alla città. Questi muri raccontano la storia del latifondo, la fatica
dello spietramento, la sapienza e l’abilità tramandata da padre in figlio nella costruzione dei terrazzamenti per
sostenere i pendii collinari e renderli coltivabili.
Questo paesaggio costituisce un patrimonio di beni non solo da conservare, ma anche da attivare perché risulti
occasione di sviluppo (non necessariamente legato ai termini “consumo” e “sfruttamento”) compatibile con
obiettivi di qualità, rivolto al benessere delle comunità, che non snaturi il territorio dalle sue caratteristiche
fondamentali e miri a riqualificarne le parti compromesse e degradate.
Questo viene chiesto oggi alle istituzioni locali e ai pianificatori: di sapersi calare in questa realtà e in questa
ottica dove città e territorio sono sistemi unici e interagenti, sulle identità e qualità dei quali delineare nuove
prospettive per uno sviluppo sostenibile.
Nella campagna di Rosolini
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Contrada Craperia - Avola
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Cenni storici
La tecnica di costruzione in pietra a secco risale alla preistoria. Le prime notizie storiche di questa architettura si
riferiscono alla pratica del terrazzamento nelle aree cerealicole del vicino Oriente di oltre 8000 anni fa. La
testimonianza più antica nel comprensorio Eloro è data dalla fortificazione dell’insediamento siculo del Monte
Finocchito (750-650 a.C.).
Nel bacino del Mediterraneo i muretti in pietra a secco per uso agricolo cominciano a diffondersi con la
colonizzazione greca. Infatti con la diffusione delle colture arboree ed arbustive, ulivo e vite, soprattutto attorno
alle città e sui terreni in pendenza, si rende necessaria la chiusura dei campi in piccoli appezzamenti a
protezione dalle greggi e dai furti. Importante testimonianza di questo periodo sono gli scavi di Velia (Cilento),
città marinara della Magna Grecia, dove sono emersi alcuni elementi di architettura minore, tra cui un
terrazzamento agricolo con muri in pietra a secco; inoltre la Tavola di Alesa (odierna Tusa in provincia di
Messina) del I secolo a.C. mostra il suburbio in declivio della città greca di Alesa diviso in piccoli campi irregolari
chiusi da muriccioli in pietra.
In epoca romana lo storico Varrone nel De re rustica fa riferimento a muri a secco per delimitare la proprietà.
In Sicilia, fra l’VIII e il IX secolo sotto la denominazione araba,i cosiddetti giardini mediterranei di aranci e di
limoni, probabilmente erano chiusi da muretti in pietra a secco .
Le prime sistemazioni a gradoni sostenuti da muretti in pietra a secco delle pendici collinari si diffondono in
Sicilia, come nella Riviera Ligure e in altre zone del Mezzogiorno, sin dall’XI o XII secolo.Durante questi secoli il
notevole incremento demografico spinge alla ricerca di nuove aree coltivabili. La nuova classe di possidenti,
avvalendosi dell’abbondante manodopera servile, intraprende la sistemazione delle pendici collinari: usando le
pietre ricavate dallo spietramento del terreno, si costruiscono gradoni più o meno regolari che riducono la
pendenza collinare, creano piani coltivabili e, nello stesso tempo, assicurano la difesa del suolo dalle acque.
La successiva e più importante diffusione di costruzioni in pietra a secco in Sicilia e nell’Italia meridionale è
segnata da eventi storici ben precisi che legano queste regioni alla Spagna e in particolare alla Catalogna.
Fu Pietro IV D’Aragona, III di Catalogna che, sollecitato dalle sempre più pressanti proteste degli agricoltori che
vedevano i loro raccolti distrutti dai bovini allevati allo stato brado, emanò, negli anni 1345 e 1373, le prime norme
per la costruzione dei muri a secco stabilendone l’altezza in seis palmos, equivalente a un metro e venti
centimetri, e vietandone la costruzione là dove impedissero l’accesso a mare.
Alla morte del genero Federico III (1377 ), Pietro IV D’Aragona, avuto il controllo della Sicilia, ripropose nel 1385,
per tutto il suo regno, le norme precedentemente emanate per la Catalogna.
Un altro evento storico che rivoluziona l’economia e cambia il paesaggio delle campagne spagnole, pugliesi e
siciliane è l’introduzione, nel XVI secolo, dell’istituto dell’enfiteusi (aparcería): i contraenti erano da una parte i
legati del re, dall’altra l’assegnatario o enfiteuta che accettava per sé e per i suoi eredi le terre assegnate con
l’obbligo di recintarle con muri a secco e di pagare un canone annuo in denaro o in derrate.
Grazie a questo istituto furono avviate, gigantesche opere di spietramento per bonificare i terreni e recintare le
chiuse, onde facilitare la rotazione delle colture e la protezione delle coltivazioni più pregiate dai danni provocati
dal bestiame.
Protagonisti di questa gigantesca opera di bonifica furono vecchi e nuovi proprietari terrieri interessati a
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difendere e incrementare le loro rendite, contadini desiderosi di assurgere al rango di piccoli proprietari, ma
soprattutto braccianti e jurnatari che per un piatto di fave al giorno spietrarono campi e costruirono migliaia di
chilometri di muri a secco.
Nacquero nuove figure di operai: a Minorca i barracheros che costruivano le barracas (capanni e torri) e i
paredodors che edificavano pariets (muri a secco) chiamati ancora oggi in Puglia rispettivamente parietari e
parieti.
L’ architettura in pietra a secco ed in particolare il recupero di terre incolte con notevoli opere di terrazzamento
degli Iblei ha un ulteriore sviluppo in due momenti storici a noi più vicini: il ventennio fascista e la cosiddetta
Riforma Agraria.
La politica economica fascista favorevole agli industriali del nord e agli agrari del sud non favorì le classi meno
abbienti. Nelle campagne i salari erano bassi ed i braccianti non potevano protestare; anche i piccoli proprietari,
abbandonati a sé stessi, vendevano per fallimento i loro lotti. Di questo contesto politico-sociale ne
approfittarono gli agrari che sfruttarono migliaia di braccianti per spietrare i loro latifondi e recuperare terreni
altrimenti destinati all’abbandono: è il caso della collina su cui sorgeva l’antica Avola distrutta dal terremoto del
1693, dove con le macerie della vecchia città negli anni quaranta furono edificati grandiosi muri di contenimento
ed una enorme torre terrazzata.
Mura di contenimento a forma di anfiteatro Contrada Castello - Avola
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La Riforma Agraria, varata dal governo De Gasperi nel 1950, in effetti fu una riforma fondiaria: nel sud furono
distribuiti 700.000 ettari di terra, spesso i campi più aspri, scoscesi, difficili da coltivare, a 100.000 famiglie di
braccianti. I nuovi contadini cercarono di rendere coltivabili le terre poco generose loro assegnate togliendo il
numeroso materiale lapideo che le ricopriva, circondandole con muri a secco e terrazzando gli aspri contrafforti
dei monti iblei per coltivare a grano pochi metri quadrati di terra.
Oggi la situazione del costruito in pietra a secco è molto critica a causa dell’abbandono delle terre, del pascolo
abusivo, degli incendi, dei cacciatori, del disinteresse delle amministrazioni locali. Tuttavia i muretti a secco
rappresentano ancora un continuum nel nostro paesaggio: disegnano gli altipiani e i declivi, fiancheggiano le
strade provinciali e le regie trazzere che un tempo conducevano nelle città, proteggono le colline dal
dilavamento e dalle frane, gli alberi dal fuoco e dagli animali, dividono i campi, circondano le mandrie, gli orti e le
masserie.
Per fortuna qualche cosa si muove sia sul piano legislativo, sia nella coscienza delle popolazioni del luogo: il
paesaggio in pietra a secco è oramai tutelato (Codice Urbani) e anche i nuovi abitanti delle nostre campagne,
molti dei quali stranieri, cercano, con gravosi sacrifici economici, di riannodare i fili del ricamo di pietra degli Iblei.
Eppure la salvezza della nostra identità non può essere demandata esclusivamente alle coscienze di poche
persone sensibili ed alle leggi, ma alla conoscenza ed alla conseguente consapevolezza collettiva che il nostro
imprinting è segnato indelebilmente dalle pietre degli Iblei.
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Avola Antica, contrada Castello, struttura piramidale a gradoni realizzata alla fine degli anni
quaranta con le macerie degli antichi edifici distrutti dal terremoto del 1693.
Francesca Gringeri,”La città esagonale”, Sellerio,1996 Palermo.
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Il paesaggio del “ giardino mediterraneo” nella Tavola di Alesa in Sicilia, nel I sec. a. C.
Tratta dall’opera “Storia del paesaggio agrario” di E. Sereni.
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Muratura a secco e tipologie dei manufatti
Nel linguaggio corrente e nella letteratura tecnica con l’espressione “muratura a secco” si indica una modalità di
assemblaggio di materiali lapidei senza l’uso della malta, per cui con l’espressione “architettura in pietra a secco“
potremmo indicare un vastissimo campo architettonico che va dalle costruzioni megalitiche di età preistorica, a
quelle elleniche fino alle recenti costruzioni “a mosaico” degli artigiani iblei.
I conci della cosiddetta guglia di Marcello presso Siracusa(1) o quelli della chiesa di S. Elia nell’antica Netum (2),
come le varie parti del colonnato di un tempio classico, venivano estratti da una cava e poi trasportati nel luogo di
trasformazione e posa in opera; le architetture in pietra a secco sono, invece, costruzioni senza legante la cui
edificazione avviene nel medesimo luogo di raccolta del materiale lapideo che altrimenti costituirebbe un ingombro
per le colture. Viene così recuperato, in alcuni casi è più corretto dire conquistato, un pezzo di terra che verrà
delimitata dal materiale lapideo raccolto e/o arricchito da una costruzione funzionale all’uso del suolo.
Il patrimonio di manufatti in pietra a secco degli Iblei è molto vasto e vario e se, da un lato è paragonabile, per la
ricchezza e per alcune tipologie, al costruito che si trova nelle Puglie e a Minorca, dall’altro esprime una sua
originalità individuabile nelle numerose neviere e nelle monumentali torri-belvedere talvolta edificate anche
all’interno dei giardini di alcune ville di campagna. Qui le volute barocche e la leggerezza del liberty si trovano
accanto all’austera costruzione in pietra a secco in un mirabile connubio e contrasto di tecniche, di tradizioni: una
sintesi unica della storia dell’architettura mediterranea.
Muragghiu.Villa Trippatore, Sampieri - Ragusa
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Guglia di Marcello
Nei manufatti dei monti Iblei, considerati come spostamento, sistemazione e accumulazione del materiale lapideo
di un luogo, si possono individuare tre gruppi: accumulazione disordinata per getto; accumulazione a sviluppo
lineare; accumulazione strutturata.
Alla prima categoria appartengono le macere; alla seconda i muri, le mandrie (manniri)(3), le lunette (cuccumeddi)
( 4); alla terza le torri e le torri terrazzate (muragghi), i rifugi, le case, le neviere.
Allo stesso tempo nel territorio degli Iblei si possono individuare tre zone caratterizzate dal tipo di pietra adoperato
e dalla varità delle costruzioni:
la zona del Siracusano caratterizzata da un costruito in calcare tenero: spettacolari terrazzamenti lungo la dorsale
orientale degli Iblei, macere, lunette; la ragusana, il territorio dell’antica Contea di Modica, ricca di manufatti in
calcare duro con i rifugi a tholos (falsa cupola) ed i monumentali muragghi; la zona vulcanica intorno al monte Lauro
con le numerose neviere e l’uso diffuso di pietra nera lavica.
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Mannira - Nella campagna di Rosolini
Note
1.
Monumento edificato a memori dellaconquista di
Siracusa da parte console romano Marcello nel 212 a.c.
2.
“Di una tuttavia non si può tacere, di [S.] Elia dico, che
per la mole superba ed antica,benché occupi uno spazio
piccolo non la cede a nessun altra in Sicilia. E’ costruita
infatti con massi enormi ed anche squadrati, ed è
tradizione che sia stata eretta dai primi coloni di quest’
isola, al fine di vigilare dalle spiagge di Pachino, con
l’impiego di pietre sovrapposte senza cemento”.
Vincezo Littara (1550-1602), Netinae urbis topographia“Descrizione dell’antica Noto e del suo territorio” a cura
di F. Balsamo, Noto 1999, p.16.
3.
Manniri: recinti per rinchiudere provvisoriamente ovini
e/o bovini
Lunette (cuccumeddi): costruzioni che circondano gli
alberi per proteggerli dalle mucche, dalle pecore e dal
fuoco.
4.
Lunette(cuccumeddi) - Contrada Chiusa Cavallo,Avola.
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Macera - Contrada Chiusa Cavallo, Avola
Muro sagomato per ricavare mangiatoie - Contrada Villa Vela,Noto
Neviera - Buccheri
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Capanno Ibleo
Fra tutte le costruzioni in pietra a secco merita un approfondimento il capanno pastorale diffuso in
tutta Europa e presente in ogni angolo degli Iblei: nella provincia di Ragusa, nelle campagne
intorno a Monte Lauro e nel Comprensorio Eloro. Le tipologie dei capanni rilevate in altre zone
mediterranee molto ricche di queste opere, come la Puglia, la Spagna, l’Istria e la Provenza, si
ritrovano quasi tutte nel territorio ibleo. Ma, poiché il numero di questi manufatti sugli Iblei è
relativamente modesto in rapporto alla grande varietà riscontrata, si può ritenere che la maggior
parte di questi capanni sia andata distrutta.
Il capanno può essere realizzato come una costruzione a sviluppo indipendente, ma può nascere
anche come rifugio ricavato all’interno del sistema terrazzato. In quest’ultimo caso quando,
durante la realizzazione dei muri di contenimento, la scarpata da terrazzare presentava una
cavità invece di riempirla con materiale lapideo, la si trasformava in rifugio comunicante con
l’esterno per mezzo di un’apertura rettangolare, in genere sormontata da un architrave in pietra.
I capanni a sviluppo indipendente presentano una pianta circolare, più rari gli quelli a pianta
quadrangolare.
La peculiarità che accomuna questi edifici primitivi è il principio architettonico della falsa cupola.
Mentre la vera cupola risulta da una tensione di archi verticali, la falsa cupola è costituita da cerchi
concentrici di pietre sovrapposte con leggero aggetto verso l’interno, fino all’intera chiusura della
volta; le lastre del cono di copertura hanno una lieve pendenza verso l’esterno per favorire il
deflusso delle acque piovane.
L’interno di queste costruzioni, è semplice e rustico: il pavimento è in terra battuta, sono presenti a
volte delle nicchie e raramente una minuscola mangiatoia.
La costruzione a cerchi concentrici con aggetto interno è un metodo statico antichissimo che,
oltre a non richiedere armature di sostegno, distribuisce le spinte su tutto il materiale lapideo
costituente i circoli, con evidenti vantaggi di realizzazione e di durata dell’opera. Questa
architettura spontanea ha un’impressionante comunanza tecnica con i sistemi di costruzione di
edifici preistorici o protostorici quali i nuraghi sardi e gli edifici funerari micenei o greci.
Per classificare le forme di queste costruzioni è utile la tipologia proposta da E. Micati:
Forma primaria:
Ogivale
Decadente
Forma secondaria:
Tronco di cono
Cilindrica-conica
A gradoni
A gradone elicoidale
Forma derivata:
A pianta quadrata
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La forma più diffusa nel territorio ibleo è quella primaria decadente mentre sono assenti esempi di
capanni della forma secondaria tronco conica. L’unico esempio di capanno ogivale è quello che
si trova in contrada Croce Santa a Rosolini.
L’ingresso più comune è quello ad architrave orizzontale, ma non mancano esempi di archi a
sesto acuto e a sesto ribassato, realizzati laddove non erano reperibili lastroni sufficientemente
lunghi e robusti da sostenere il costruito.
La costruzione di un capanno inizia tracciando con una corda e un piolo un cerchio di base sul
quale, senza scavare fondamenta, si sistemano le pietre per innalzare le pareti che possono
essere ad un filare o, più raramente, a due con intercapedine di pietrisco; l’aggetto per la cupola
inizia all’altezza dell’architrave.
Purtroppo gli ultimi capanni iblei rischiano di andare distrutti come tutta l’architettura in pietra a
secco: molti contadini, nel silenzio e nell’indifferenza generale, si sono liberati di “quell’ingombro“
regalando la pietra ad aziende che producono pietrisco per le strade, trasformando così in
polvere non solo il calcare, ma anche un pezzo della nostra identità.
A cura di A. Ambrosi, E. Degano, C. A. Zaccaria, “Architettura in pietra a secco” , Fasano (BR),
p.350.
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Capanno a forma primaria ogivale.
Contrada Croce Santa - Rosolini
Capanno di cavatori di pietra ( pirriaturi ).
Contrada Villa Vela - Noto
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La vita nel muro a secco
ll muro evoca separazione, limite, confine invalicabile: le mura delle città medievali, il muro di Berlino o,
quello più recente, che separa gli arabi dagli israeliani, the wall dei Pink Floyd. Il muro come disarmonia,
paesaggio interrotto, frattura della bellezza, della solidarietà, dell’umanità.
Il muro. Non i muretti a secco che si dispiegano come un rosario per tutta la campagna iblea interagendo
perfettamente con i luoghi che attraversano. Essi non impediscono il passaggio dell’aria, dell’acqua, della
vita; proteggono il suolo dal dilavamento, dalle frane e offrono rifugio a molti esseri viventi che fuggono dai
pesticidi sempre più aggressivi. Tra le pietre si annida una grande quantità di piante, organismi e animali
superiori: le forme più semplici si succedono a quelle più complesse e la conquista avviene secondo un
avvicendamento di specie fino allo stadio finale, quello che in ecologia viene chiamato climax. Per arrivare
a ciò ogni pianta, ogni animale combatterà tenacemente per la propria sopravvivenza, in una
competizione spietata che favorirà gli organismi più robusti o più capaci di adattarsi ai mutamenti
dell’ambiente.
La comunità, l’insieme delle popolazioni di produttori, consumatori e decompositori che con i fattori
abiotici ( aria, acqua, suolo, ecc. ) formano l’ecosistema, vivendo nella stessa area produce modifiche
graduali nelle condizioni ambientali ( per es. variazioni del contenuto di ossigeno, di azoto, di sali minerali,
di quantità di sostanza organica degradata nel substrato fisico, ecc. ), determinando così la formazione di
nuovi habitat favorevoli ad altre specie di organismi. Questi ultimi costituiscono nuove popolazioni che,
interagendo, formano comunità intermedie, le comunità serali, che sostituiranno le precedenti.La
successione ecologica che avviene nei muri a secco è detta primaria in quanto ha luogo in un habitat
senza vita: la pietra. Le specie pioniere che iniziano la colonizzazione sono i muschi ed i licheni, organismi
vegetali dal ciclo vitale breve, ma con elevato tasso di riproduzione e adattatisi a vivere in condizioni
difficili.
Prima ancora che il muretto sia costruito, il processo di colonizzazione è già iniziato. Le prime ad arrivare,
già presenti sulle pietre ancor prima di essere impiegate per la costruzione, sono le minuscole alghe verdi
unicellulari che appartengono al genere Pleurococcus. Sono invisibili ad occhio nudo, ma insieme
formano una ben distinta chiazza verde. Ogni singola cellula ha una parete spessa e robusta che le
permette di superare periodi di siccità. Non è che il primo di una lunga serie di organismi che sembrano far
parte di un campionario nel quale ogni rappresentante ha doti fuori dal comune: dalla piantina poco
appariscente che allunga le sue radici in profondità tra sasso e sasso, all’insetto che può sopportare un
essiccamento.
Il clima che caratterizza un muro è molto variabile, in pochi metri può cambiare drasticamente e dipende
da infiniti fattori: l’esposizione ed il tipo di muro, la vicinanza di essenze arboree, le asperità della pietra, il
tipo di calcare, la velocità del vento, ecc. Se poi consideriamo che l’umidità atmosferica è la sola acqua
sulla quale possono contare gli organismi che vivono sul muro, mentre quella piovana stenta a fermarsi, a
meno che tra le crepe non si sia creato un sottile strato di suolo, possiamo affermare che a latitudine
mediterranea il clima che caratterizza il muro a secco è di tipo desertico: durante il giorno le pietre
accumulano rapidamente calore che cedono, al calar del sole, altrettanto rapidamente.
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La differenza di temperatura tra il giorno e la notte può essere anche di 30-40 gradi, un gap termico
che permette la sopravvivenza solo ad organismi pionieri particolarmente robusti.
I Pleurococcus e le altre alghe come le Diatomee e le Cianoficee svolgono l’ importante compito di
attaccare la superficie e di logorarla lentamente. Quando le loro cellule muoiono e si decompongono,
il sottile strato di suolo si arricchisce di sostanze minerali e di humus. I resti delle alghe morte
favoriscono l’insediamento dei funghi, immediatamente seguiti dai licheni. La simbiosi tra alga e
fungo che compone un lichene, è una delle migliori società mai realizzate. La prima sintetizza
zuccheri con il processo fotosintetico, mentre il secondo fornisce minerali assorbiti dalla roccia:
questo è il segreto per sopportare anche le condizioni più estreme, tranne l’inquinamento.
I muschi crescono a cuscinetti fitti e ciò permette loro di immagazzinare grandi quantità d’acqua,
proprio come le spugne. All’interno del cuscinetto vengono ospitati piccoli organismi come
Colemboli, Acari, larve di insetti, e nel sottile strato d’acqua che ricopre la superficie si trova una
miriade di invertebrati acquatici: Protozoi, Nematodi e Tardigradi. Questi ultimi, se l’umidità cala, si
riducono ad un nastrino piatto rimanendo attaccati alla roccia con la possibilità di resistere in questo
stato per oltre 6 anni. Ma non basta, sono capaci di sopportare condizioni estreme: sopravvivono ad
un’immersione in alcol, in un’atmosfera di solo anidride carbonica, o di idrogeno puro per parecchi
anni, a una temperatura di -150 per 20 mesi ed al vuoto assoluto.
Quando queste presenze hanno prodotto sufficienti residui organici e la via è stata tracciata, ecco
arrivare le piante inferiori. L’elegante e flessuoso capelvenere e l’erba rugginina (Cateract
officinarum), così rustica all’aspetto ma così delicata, detta spaccapietre per l’usanza di fare decotti
per frantumare i calcoli renali.
Finalmente compaiono le piante superiori pronte a sfrattare la maggior parte degli abitanti
preesistenti. Ciascuna di esse è dotata di strategie uniche. Quelle che preferiscono lo strato
superiore del muro, dove maggiore è l’insolazione, sono costrette ad allungare tra i sassi le radici
sottili, capaci di abbarbicarsi tanto tenacemente che, come accade per la possente valeriana rossa, è
impossibile estirparle senza demolire la costruzione. Altre come la cimbalaria o l’erba pignolia
(Sedum album), hanno foglie carnose e rotondette, per resistere alla siccità. Per limitare la
traspirazione, data la scarsità d’acqua, l’erba cimicina (Geranium robertianum) ha le foglie ricoperte
da una peluria fitta che ne limita la traspirazione. L’erba morella (Parietaria officinalis) è forse la
maggiore responsabile della sgretolazione del muro.
Intanto una moltitudine di acari dal corpo ricoperto da un tegumento ceroso per resistere alla calura
estiva, riflettendo i raggi del sole, si aggrappano con le loro robuste zampe alle pietre; la chiocciola
ara il lichene creando le condizioni favorevoli all’insediamneto delle piante sassicole; la vespa, come
un artigiano tutto preso dal suo lavoro da non accorgersi di ciò che lo circonda, costruisce il suo nido
di fango e saliva dove ammasserà bruchi e mosche che saranno divorati dalle larve; le formiche
corrono su e giù scambiandosi segnali chimici; un moscone distratto incappa in una ragnatela tesa
nell’intreccio dell’edera.
La lucertola, vera regina del muro a secco, fa capolino, si acquatta su in cima a godersi gli ultimi raggi
di una tiepida giornata, ma si deve guardare dal biacco ( coluber viridiflaus ) anch’esso alla ricerca del
caldo dei raggi del sole.
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Ombelico di Venere (Umbilicus rupestris)
Erba Murella (Parietaria officinalis)
Muschi e piante pioniere
Capelvenere (Capillus Veneris)
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Un biacco ha catturato una lucertola
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TECNICA E TRADIZIONE
Gli utensili
Gli utensili propri degli artigiani delle
costruzioni in pietra a secco sono
essenzialmente tre: Il cuneo (cungnu)
con le biette (lanni), il piccone a punta
e il martello (u liffiaturi).
Accanto a questi strumenti specifici
troviamo altri attrezzi come la mazza,
il piccone (fesi) e la lenza usati
correntemente dai muratori.
La martellina, le dime (sagome in
legno per dare la giusta inclinazione al
muro), non fanno parte della
tradizione dei murassiccari di un
tempo, tuttavia oggi vengono
normalmente usate.
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Piccone
Nome dialettale
Fesi
Descrizione
Strumento la cui testa è formata da una estremità a punta e da una
estremità a taglio, infissa mediante un occhio ellittico in un lungo
manico di legno.
Uso principale
Viene impiegato per preparare il terreno per la costruzione della
muratura. Si impugna utilizzando entrambi le mani.
Misure medie
Altezza del manico: cm.90; larghezza della testa cm.50
Peso approssimativo: gr. 2.500.
Materiali
Manico (marrugghiu) in legno, normalmente di leccio (Quercus ilex)
o ulivo; testa in ferro.
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Piccone a punta
Descrizione
Strumento la cui testa, formata da una
estremità a punta e l’altra a scalpello, è
infissa mediante un occhio rettangolare in
un lungo manico di legno.
Uso principale
Viene impiegato per spaccare le pietre e
per ottenere la sede dove introdurre il
cuneo. La punta a scalpello è anche usata
per spianare superfici rocciose togliendo
gibbosità ed irregolarità.
Si impugna utilizzando entrambi le mani.
Misure medie
Lunghezza del manico cm. 80; larghezza
della testa cm. 37; peso g.3.000
Materiali
Manico (marrugghiu) in legno,
normalmente leccio (Quercus ilex) o ulivo.
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Cuneo
Nome dialettale
Cugnu
Descrizione
Il cuneo è un attrezzo con una testa ed un taglio, corredato da due biette di ferro (i
lanni).
Materiale
Ferro
Misure
Cm. 11; Peso approssimativo g. 1.000
Cm. 16; peso approssimativo g. 1.500
Uso
Il cuneo serve a rompere le pietre secondo una linea voluta dall’artigiano. Si inserisce
l’attrezzo insieme alle due biette in un foro della pietra e vi si batte violentemente sulla
testa con la mazza. Le biette servono a non fare oscillare il cuneo il cui movimento
potrebbe far fessurare la roccia secondo una direzione non voluta e ad impedire che il
cuneo diventi un tutt’uno con la pietra (allippa ccâ petra).
L’artigiano che lavora con un materiale lapideo particolarmente grande, usa mettere in
fila una serie di cunei (cugnera) secondo la direzione di fessurazione che vuole
ottenere.
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Mazza
Nome dialettale
Mazza
Descrizione
Martello pesante costituito da una testa avente le estremità a
sezione quadrata.
Manico in legno infisso in un occhio ellittico presente in testa.
Uso principale
Attrezzo impiegato per crepare pietre particolarmente dure o per
battere sui cunei (cugni). Viene impugnato con due mani.
Misure
Lunghezza del manico: cm. 75
Testa: cm. 7 x cm. 7; larghezza cm. 20
Peso approssimativo: g. 4.700
Materiali
Testa in ferro. Manico (marrugghiu) in legno stagionato di quercia o
ulivo.
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La lenza
Nome dialettale
A lenza
Descrizione
Cordicella avvolta in un pezzo di legno.
Uso
La lenza si lega alle due pietre di testata (nnà tistati rô muru) già posizionate alle
estremità del muro da costruire per allineare in maniera corretta le altre pietre.
Materiali
La lenza è una cordicella robusta di iuta o di nailon avvolta in un pezzo di legno
stagionato.
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I Martelli
I martelli usati nel Comprensorio Eloro sono di due tipi: la martellina e”u liffiaturi”.
Martellina
Nome dialettale
Martieddu a testa
Descrizione
Strumento costituito da una testa di ferro munita di un foro ellittico (occhio) nel quale è inserito un
manico corto in legno (marrugghiu).
La testa presenta una estremità a sezione quadrata e l’altra termina assottigliandosi a lama.
Uso principale
Il lato a sezione quadrata è impiegato per fratturare le pietre o per assestarle sui muri; il lato a
lama è impiegato per spaccare le pietre o rifinire le facce delle stesse. Si impugna con una sola
mano.
Misure
Lunghezza del manico cm 60; testa cm. 3x3.; lama cm. 18. Peso approssimativo g. 1.500.
Materiali
Manico in legno di quercia o di ulivo.
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Liffiaturi
Descrizione
Strumento costituito da una testa terminante in due lame simmetriche e diversamente affilate,
infissa mediante un occhio rettangolare in un manico di legno corto.
Uso principale
Il lato meno affilato si usa per spaccare le pietre mentre quello più tagliente serve a lisciare
le pietre della parete a vista del muro. Si impugna con una mano.
Misure
Altezza del manico cm. 43; larghezza testa cm. 24,5; peso approssimativo g. 2.200.
Materiali
Manico (marrugghiu) di legno di quercia (Quercus ilex) o di ulivo
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Estrazione della pietra
Descrizione
Accumulo delle pietre raccolte dal terreno in cui si edificherà l’opera o estrazione del materiale lapideo
dalle pirrere (cave a cielo aperto per l’estrazione della pietra).
Per edificare un’opera che sia perfettamente inserita nel paesaggio e nell’insieme di altre opere in
pietra a secco già esistenti, vanno usate le pietre affioranti, già colonizzate da comunità pioniere e
quindi con un colore uguale al costruito circostante.
Il riuso del materiale lapideo esistente evita l’apertura di nuove cave di pietra preservando il paesaggio.
Fasi del lavoro
Le pietre raccolte dalla bonifica (spitrari) vengono accumulate e selezionate in base alla dimensione,
alla forma ed alla qualità. Le pietre si possono suddividere a secondo della durezza in tre categorie: la
pietra particolarmente dura (sarbagghia), quella tenera con venature (ppilata), quella estratta dalle
cave di pietra (latina ri pirrera).
Le pietre più grandi serviranno all’edificazione delle pareti laterali del muro, quelle dure e spesse usate
per i cantoni (ntracoscia) mentre se rotondeggianti diventeranno piezzi per rifinire il muro; quelle medie
(mazzacani) riempiranno ‘a cascia mentre le più minute (scagghie) saranno utilizzate per tappare gli
spazi tra pietra e pietra rendendo in questo modo più serrato ed omogeneo il costruito.
Quando nel campo sono presenti rocce affioranti (valati) e si è a corto di pietre, queste si cavano dalla
roccia usando il piccone a punta, i cunei (cugni) e la mazza.
Preventivamente l’artigiano, batte la roccia affiorante con una pietra o con un attrezzo per verificarne il
suono: se la roccia tona (risuona), capisce che è scippantina, vale a dire si può estrarre con l’aiuto di
una leva (palanchinu).
L’artigiano inserirà nelle venature della roccia una serie di cunei (cugnera) insieme alle biette (lanni) e
poi colpendo sulla testa i cunei spaccherà la roccia in grossi frammenti che verranno modellati
(mastriati) nella forma e nella dimensione desiderate.
In Catalogna troviamo l’identica tecnica per spaccare le rocce con l’uso sapiente dei cunei e delle
biette.
Utensili necessari
Mazza, cunei e biette(cugni e lanni), piccone a punta.
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Selezione della pietra
in base alle qualità
meccaniche e alla forma.
Cantone di un muro a due
faccie.
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In Sicilia e in Catalogna si usa la stessa tecnica per l’estrazione della pietra.
Disegno tratto dal libro La pedra en sec, vol.II Mallorca - MEDstone - Palermo 2002
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Preparazione della pietra
Descrizione
Sbozzatura e sagomatura delle pietre
Fasi del lavoro
La pietra viene selezionata in base alle sue qualità meccaniche, alla sua dimensione ed al suo
aspetto. La lavorazione differisce a seconda della durezza delle pietre. Scelta la pietra, se troppo
grande, viene ridotta alla dimensione ottimale, spaccandola con la mazza o con il piccone a punta. Si
usano i cunei (cugni) quando la pietra è particolarmente grande e dura. Il cuneo, corredato dalle due
biette (lanni), viene inserito in una fessura del masso, realizzata a colpi di piccone, e battuto
violentemente sulla testa con la mazza. Se la pietra è particolarmente grande, si inseriscono una
serie di cunei (a cugnera). La forma definitiva si ottiene con il liffiaturi ed infine con il martieddu a
testa.
Utensili necessari
Mazza, piccone a punta, cunei, biette, liffiaturi, martieddu a testa.
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Muro a secco a due facce
Nome dialettale
Muru rricotu o acquintatu
La prima operazione da realizzare per l’edificazione di un muro a secco è lo scavo (u liettu ro muru) la
cui profondità non può essere quella tradizionale (10 cm) ma notevolmente maggiore (circa 30 cm) per
evitare che i mezzi meccanici oggi adoperati per lavorare i campi possano danneggiare l’opera.
L’altezza tradizionale di un muro a secco che divide due campi è di m. 1,20 (sei palmi), la base di 80
cm. che si riducono a 40 cm. alla sommità del manufatto.
Si procede sistemando dapprima le pietre estreme (tistati) alle quali va fissata la lenza che funge da
guida per l’allineamento delle altre pietre, quindi si posizionano le pietre del basamento (u piramientu)
avendo cura di scegliere quelle robuste e sbozzate (mastriati) più idonee a sostenere il materiale
lapideo sovrastante.
Si edificano le pareti laterali del muro, sbozzando le pietre in modo da non lasciare superfici di
pattinamento; in questo modo tra le due facce viene a formarsi un vuoto (a cascia) che viene man
mano riempito da pietrame più minuto che si posiziona non a casaccio ma cercando di irrobustire
l’opera.
L’inclinazione del muro (u deffinu) viene definita ad occhio o per mezzo delle dime, sagome a forma di
trapezio (calantri), alle quali si lega la lenza, che funge da guida determinando la pendenza dell’opera.
L’artigiano controlla tutto ad occhio (ntravarda a murata) e se tutto va bene dirà che a varata scurri,
cioè l’inclinazione è rispettata. Un errore comprometterebbe la costruzione che alle prime piogge
potrebbe cedere (fari a panza) e crollare (sbracari).
Le pietre vengono sbozzate per migliorare l’aderenza; e gli spazi vuoti tra concio e concio vengono
ridotti al minimo inserendo scaglie di pietre (ntivari), che hanno anche il compito di serrare bene la
tessitura del muro. Le pietre vengono assestate con piccoli colpi di martello.
Quando la costruzione è arrivata all’altezza dovuta, il muro viene rifinito (pizziari u muru) mediante la
posa di una pietra semicilindrica (u piezzu tunnu).
Il muro rricotu con la sua caratteristica rifinizione semicilindrica è usato per delimitare i campi, le strade
di campagna gli orti. A volte, quando nei campi vi erano molte pietre da togliere, l’artigiano distanziava
le due pareti laterali del muro. In questo modo lo spazio ottenuto tra le due facce (a cascia) poteva
contenere molto più materiale litico ed alla sommità non veniva posta la pietra semicilindrica. Questo
tipo di muro si chiama a cascia o arrasatu.
Un tempo i contadini, se il muro a cascia si trovava in prossimità di un albero d’ulivo, per evitare che
durante l’abbacchiatura le olive si disperdessero tra pietra e pietra, spargevano sulla sommità del
muro la pula del grano (u piddu) per coprirne le fessure.
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Muro di contenimento
Il muro di contenimento serve a creare nei terreni in pendenza, altrimenti non adatti alla coltivazione,
delle terrazze (lenze) dove sarà possibile ammassare la terra e impiantare delle colture adatte al clima
collinare.
La sistemazione dei versanti a terrazze costituisce un’efficacissima pratica di protezione delle colline
dal dilavamento che le avrebbe, in breve tempo, reso inutilizzabili per le attività agricole asportando la
terra e causando frane.
Le terrazze in muro a secco hanno anche l’importante funzione di regolatrici del bilancio idrico: nelle
stagioni piovose il drenaggio dei muri impedisce all’acqua di ristagnare, danneggiando le radici; nei
periodi di siccitàl muro di contenimento si mantiene umido consentendo la sopravvivenza delle
essenze vegetali.
Le forme e le dimensioni delle terrazze sono variabilissime e dipendono da molti fattori fisici: la
pendenza del versante, la natura del suolo, la qualità e la quantità del materiale litologico disponibile,
le essenze vegetali che vi si vogliono piantumare.
La stabilità del muro di contenimento è assicurata dallo spessore della cascia (30cm. circa), dalla
disposizione dei conci che vanno posti con l’asse maggiore perpendicolare alla superficie del muro,
dall’accumulo di materiale lapideo di piccole dimensioni a contatto con l’ammasso terroso allo scopo
di favorirne il drenaggio.
Se il muro di contenimento è particolarmente alto, a circa metà dell’altezza, è segnato da un
marcapiano (rriseca) ottenuto con una serie di pietre più grandi e piatte che formano un vero e proprio
cordolo di irrigidimento su cui viene continuata l’edificazione. A volte l’elevazione sopra il marcapiano,
per non appesantire la costruzione, viene arretrata di circa 20 cm.
Per la costruzione di un muro di contenimento vengono utilizzate le pietre ottenute dallo spietramento
dei fianchi delle colline; le terrazze in altri tempi sono state spesso rese coltivabili trasportandovi, con
l’aiuto di asini e muli, dal fondo della valle la terra necessaria alle colture.
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Muro di contenimento con arretramento della superiore elevazione.
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Muro di contenimento con marcapiano (riseca)
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Terrazzamenti. Contrada San Corrado di fuori - Noto
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Scale
Per collegare le terrazze poste a differente quota si possono edificare tre tipi di scala:
a sbalzo, incassata nel muro, parallela al muro.
Scala a sbalzo
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Scala incassata nel muro
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Scala parallela al muro
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Architrave
Elemento in pietra tagliata, perfettamente squadrata, inserito orizzontalmente al di sotto dell’arco.
Questo corpo non ha funzione statica, a causa della bassa resistenza a trazione della pietra, ma viene
impiegato per chiudere superiormente il vano della porta o della finestra, lasciando all’arco di scarico
sopra di esso la funzione di reggere la costruzione. Solo in caso di piccole aperture ha funzione
portante.
Dimensioni
Normalmente non oltre cm. 140 di lunghezza; cm. 40 di spessore e circa cm. 30 di altezza.
Materiale
Per la realizzazione dell’architrave si selezionano pietre abbastanza pesanti e dure, di adeguate
dimensioni e senza venature.
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Arco
Descrizione
L’arco come struttura architettonica è riscontrabile già in età molto antica presso popoli diversi e
lontani (forse i primi esempi si hanno nella necropoli egiziana di Abido del 3.500 a.C.).
Costituisce nella maggior parte dei casi l’elemento di sostegno della muratura in corrispondenza delle
aperture.
Dimensioni
Il diametro varia da un minimo di cm.100 a un massimo di cm.200.
Fasi della costruzione
Per archi dalla luce superiore a 120 cm., il tracciato della curva d’intradosso e l’esatto
posizionamento dei conci avviene mediante tradizionali centine (sagome in legno). Nel caso di luci
minori, si fissa, mediante una tavola, un filo al centro dell’arco da realizzare che guida la posa dei
conci. Le pietre sono sagomate a cuneo in modo da avere la massima aderenza con le pietre
adiacenti. L’altezza delle pietre dell’arco non è costante: generalmente le pietre più pesanti sono
collocate nell’imposta e le più piccole nella parte centrale.
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Falsa cupola (Pseudocupola)
I capanni iblei presentano tutti una copertura a falsa cupola
Costruzioni circolari a pseudocupola (tholoi) con cella sotterranea si trovano nella civiltà micenea (il
tesoro di Atreo), in altre civiltà preistoriche ( i nuraghi sardi) e, in età storica, in tombe greche, etrusche,
in cisterne e granai, in vari tipi di edifici romani (mercati coperti, sale termali, templi circolari).
Distinta dalla vera cupola, che risulta da una tensione di archi verticali, la pseudocupola è formata da
cerchi di pietra orizzontali gradatamente aggettanti, in modo che a partire da una certa altezza ogni fila
di pietre sporge un poco su quella sottostante sicché i cerchi di pietra, diventando sempre più stretti,
chiudono lo spazio in alto.
La solidità della costruzione viene data dalle file concentriche di pietre che sono in uno stato di
tensione e dal gravare del cumulo sovrastante.
La falsa cupola, per acquistare maggiore resistenza, deve poggiare su uno spesso muro in modo da
assicurarle il necessario equilibrio statico.
I conci della falsa cupola, tutti ben squadrati per favorirne l’aderenza e la tensione, hanno una lieve
inclinazione verso l’esterno allo scopo di permettere il displuvio dell’acqua piovana.
Falsa cupola con oculum, C.da Croce Santa - Rosolini
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Riferimenti bibliografici
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- Giovanni Abrami, Progettazione ambientale, Clup, MIlano 1990.
Ringraziamenti
Desidero ringraziare quanti mi hanno aiutato nella realizzazione di questo lavoro:
Il prof. Giovanni Tiralongo che mi ha consigliato nella terminologia e mi ha dato la possibilit?
di
fotografare gli attrezzi di suo padre, artigiano della pietra a secco; gli artigiani Vincenzo Carnemolla,
Rosario Modica e Carmelo Baglieri, che mi hanno spiegato la tecnica, l’uso dei vari strumenti e si sono
pazientemente fatti fotografare durante il loro lavoro.
Paolo Tiralongo
Il progetto”Percorsi Di Pietra” è stato realizzato dal Comune di Noto Ufficio Agricoltura V Settore Sviluppo
Economico e cofinanziato nell’ambito del programma Leader Plus - PSL Eloro.
Credits:
Responsabile del progetto Corrado Casto
Dirigente di settore Corradina Paoli
Staff tecnico: Paolo Tiralongo
Mariangela Gioacchini
Maria Antonia Manetta
Corrado Mauceri
Giovanni Di Maria
Hanno collaborato al Progetto: Comune di Avola, Comune di Pachino, Comune di Rosolini, Comune di Portopalo di
Cp, Soprintendenza dei BBCCA di Siracusa, Azienda Regionale Foreste Demaniali di Siracusa, Assessorato
Regionale all’Agricoltura-Ispettorato Agrario di Siracusa, Provincia Regionale di Siracusa, ISVNA, Consell de
Mallorca – Departement Medi Ambient y Natura, Office de l’Environnement de la Corse, Institut europeen des
Itineraires Culturels
Le Mani e la Pietra
Tradizione e tecnica del patrimonio in pietra a secco del Comprensorio Eloro
INDICE
Presentazione del Gal Eloro
Presentazione del Sindaco Di Noto
Premessa
Introduzione. I muri a secco di Corrado Sofia
Storia e Cultura
Sul concetto di paesaggio
Cenni storici
Muratura a secco e tipologie dei manufatt i
Capanno ibleo
La vita nel muro a secco
Tecnica e Tradizione
Gli utensili
Piccone
Piccone a Punta
Cuneo
La mazza
La lenza
I martelli
Estrazione della pietra
Preparazione della pietra
Muro a secco a due facce
Muro di contenimento
Le scale
Architrave
Arco
Falsa cupola
Riferimenti bibliografici
Ringraziamenti
Credits
pag. 05
pag. 07
pag. 08
pag. 09
pag. 11
pag. 13
pag. 17
pag. 22
pag. 26
pag. 30
pag. 35
pag. 37
pag. 39
pag. 37
pag. 40
pag. 41
pag. 42
pag. 43
pag. 46
pag. 49
pag. 50
pag. 52
pag. 56
pag. 59
pag. 61
pag .62
pag. 63
pag. 64
pag. 65
Impresso nel mese di Agosto 2007
nella tipografia Il Modulo srl
Via Beneventano del Bosco 12
9 6 1 0 0
S i r a c u s a
Tel 0931-200046 Fax 0931-200047
E.mail [email protected]