gdiS 2014 - Ordine Regionale dei Geologi Di Sicilia

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gdiS 2014 - Ordine Regionale dei Geologi Di Sicilia
Geologi di Sicilia
Ano XXII
Numero Unico 2014
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Bollettino dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia
Geologi di Sicilia - Bollettino dell’Ordine dei Geologi di Sicilia
Anno XXII
Numero Unico 2014
Direttore Responsabile
Antonio Gallitto
Comitato di Redazione
Mario Leta,
Calogero Pecoraro,
Francesco Dionisi,
Giuseppe Collura,
Calogero Cannella,
Giovanni Pantaleo.
Segreteria
Giusy Lo Presti
Comitato dei Garanti
Calogero Cannella, Giuseppe Collura,
Francesco Criscenti, Antonio Cubito,
Francesco Dionisi, Saro Di Raimondo,
Antonio Gallitto, Francesco Geremia,
Corrado Ingallina, Mario Leta,
Giovanni Pantaleo, Calogero Pecoraro,
Vincenzo Pinizzotto,
Giuseppina Scianna, Fabio Tortorici.
Referenti Scientifici ed Esperti
Valerio Agnesi, Eros Aiello,
Aurelio Aureli, Giovanni Bruno,
Fabio Cafiso, Mario Cosentino,
Pietro Cosentino, Sebastiano Imposa,
Fabio Lentini, Vincenzo Liguori,
Giuseppe Montana, Giuseppe Patanè,
Giovanni Randazzo, Attilio Sulli,
Francesco Schilirò.
Direzione, Redazione,
Amministrazione e Pubblicità
Ordine Regionale dei Geologi
90144 Palermo - Via Lazio, 2/A
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SOMMARIO
2-6
Editoriale del Presidente dell’ORGS
Congresso, innovazione e crescita professionale
Contribuiamo ad arginare l’esercizio abusivo della professione
di Fabio Tortorici
7-8
Redazionale
A.G. e D.G. prima e dopo Giampilieri
di Antonio Gallitto
9-19
Priolo Gargallo (SR) - Seminario di Studio
Gestione dei “materiali da scavo”
dopo il D.M. 161/2012 e il “decreto del fare”
di Domenico Sole Greco
20-21
23-32
Terre e rocce di scavo; un po’ di storia
Escursione al geosito “La Pillirina”
Aspetti tecnici e procedurali nella gestione
delle terre e rocce da scavo dopo il decreto del “fare”
di Marcello Farina
33-35
Il sistema MIP per la mappatura dei COV
di Giuseppe Giaramida - Giuseppe Prosperi
37-51
L’importanza del modello geologico
e geostrutturale negli studi geomeccanici
di Orazio Barbagallo
52-58
Nuovi metodi di telerilevamento da mezzo aereo
a controllo remoto applicati alla geologia tecnica
di Giuseppe Lisi
59-62
Esempio di calcolo: verifica di liquefazione di un terreno
di fondazione da prove penetrometriche dinamiche Nspt
di Leonardo Balistreri - Domenico Balistreri
63-72
Criterio per la determinazione della magnitudo
ai fini della suscettibilità alla liquefazione dei terreni
di Sebastiano Giovanni Monaco
73-77
La sezione di Pizzo Sant’Otiero (Petralia Sottana - Madonie)
Geosito peculiare per l’evoluzione medio-triassica
dell’area centro-mediterranea
di Torre A. - Torre F. - Tripodo A. - Di Stefano P. - Renda P.
78-79
Carta geologica del versante meridionale
delle Madonie occidentali
di Torre A., Torre F., Napoli G., Perrone M., Zarcone G., Renda P., Di Stefano P.
80-84
Attività del Consiglio
di Francesco Dionisi - Giovanni Pantaleo - Calogero Cannella.
85-86
La tariffazione dei lavori privati
di Corrado Ingallina
87
Verso gli UGT - Uffici Geologici Territoriali
di Calogero Pecoraro
88
Ultime novità sull’aggiornamento professionale continuo
di Giuseppe Collura
89-90
Geologia e green economy nello sviluppo del settore geotermico
di Antonio Cubito - Mario Leta
91-92
Le nostre interviste: Antonino Moscatt, deputato nazionale PD
di Calogero Pecoraro
93
Le Consulte Provinciali
di Enzo Pinizzotto
95-96
Recensioni a cura di Pietro Todaro e Antonio Gallitto
EDITORIALE DEL PRESIDENTE DELL’O.R.G.S.
CONGRESSO, INNOVAZIONE
E CRESCITA PROFESSIONALE
Il VI congresso dei geologi di Sicilia è stato un
evento che ha visto l’iscrizione di oltre 300 partecipanti, tra geologi liberi professionisti, dipendenti di
Enti pubblici e privati, docenti universitari, provenienti da tutta Italia, che si sono incontrati per discutere
di temi cruciali per lo sviluppo della professione e
della sua capacità di incidere sulla società.
Noi geologi siamo stati gli indiscussi protagonisti
dell’evento, dando vita ad una manifestazione di passione per la nostra professione. Abbiamo sottolineato
come il geologo sia fondamentale nel rapporto tra
ambiente e uomo, sia nella previsione e gestione delle
calamità, che nella valorizzazione delle risorse del
nostro pianeta; il nostro ruolo è imprescindibile, le
nostre competenze sono indispensabili allo sviluppo
di un paese civile ed è per questo che bisogna innanzitutto recuperare tutta la fiducia in noi stessi.
Abbiamo voluto inviare un messaggio chiaro: nella
competizione del mercato del lavoro, abbiamo tanti
rivali, ora sta a noi esaltare le nostre vocazioni; non
lasciamo l’ambiente a chi non ha le competenze, non
facciamolo diventare patrimonio altrui.
Il congresso in tutte le sue sessioni ha sottolineato la necessità che il geologo modifichi la sua tradizionale figura professionale, indirizzandola verso settori come la gestione ed il riciclo dei rifiuti, il
monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati, la
riqualificazione ambientale di aree industriali dismesse, la gestione di terre e rocce da scavo. Anche la tutela e la valorizzazione del patrimonio geologico (Geositi, Geoparchi) devono rappresentare per il nostro
Paese e per la Sicilia, una grande e nuova opportunità di lavoro, ma necessita un cambio culturale che
miri al rilancio del territorio e dell’ambiente.
Proprio la città che ha ospitato il congresso, Siracusa e la sua provincia, sono l’esempio tangibile di un
modello di sviluppo che dagli anni ‘50 ha visto la difficile convivenza di aree industriali in una zona a palese vocazione geoturistica e geoculturale, ma che non ha
mai sviluppato un progetto occupazionale in tal senso.
Oggi la nostra visibilità professionale ed il nostro
interesse, dobbiamo spostarlo, tenendo conto che il
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mercato delle professioni tecniche sta cambiando rapidamente, indirizzandosi verso un’economia più sostenibile ed efficiente nell’uso delle risorse naturali. I
Geologi come principali interpreti delle dinamiche del
territorio devono essere pronti e determinanti in un
nuovo mercato del lavoro proiettato verso la “Green
Economy”, una realtà ancora debole in Sicilia ma in
crescita e che deve essere avviata a pieno ritmo.
Al centro del congresso abbiamo sempre messo
l’individuo come punto di partenza del professionista, dipendente dalla capacità di investire sulla propria formazione e voglia di innovazione, ampliando
le proprie competenze professionali, senza adagiarsi
nell’attesa di una nuova norma che ci porti profitti
facili o demandando all’Ordine il proprio futuro lavorativo; ci vuole innanzitutto la volontà del singolo
di crescere.
È evidente che l’importante risultato ottenuto è
stato possibile grazie al lavoro di tanti colleghi, consiglieri, semplici iscritti che hanno accettato di lavorare con alto senso di responsabilità, trascurando a
volte, la loro stessa attività professionale per l’interesse comune; a loro va il mio ringraziamento più sincero unitamente all’apprezzamento per le capacità
messe in gioco, con grande generosità e dedizione.
Un sentito ringraziamento lo voglio rivolgere a tutti
gli ospiti per la loro partecipazione che non è stata
formale o di tipo istituzionale, ma appassionata e interessata, riempiendo di contenuti e di interesse il congresso. Un altrettanto meritato riconoscimento spetta
ai relatori, i quali sono riusciti a tenere alto il livello
di attenzione dei circa 300 colleghi presenti.
Nell’ultimo passaggio, certamente non per importanza, permettetemi di rimarcare che la nostra è una
professione a preminente interesse pubblico, e volendo testimoniare il nostro impegno etico e sociale
abbiamo invitato il movimento “Liberi Professionisti”
a patrocinare il congresso ed a portare un saluto per
dare sostegno morale alla legalità, all’educazione contro il racket e la mafia.
IL PRESIDENTE DELL’ORGS
Geol. Fabio Tortorici
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gdiS
Il presidente Fabio Tortorici legge la mozione finale del VI Congresso dei Geologi di Sicilia.
CONTRIBUIAMO AD ARGINARE
L’ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE
Gli ordini professionali hanno il compito di
vigilare e sanzionare i comportamenti dei propri
Iscritti che violano la deontologia, cioè l’insieme
di norme di comportamento che un professionista deve rispettare nello svolgimento della propria attività.
Inoltre, gli ordini debbono svolgere attività
dirette ad impedire l’esercizio abusivo della professione, anche attraverso la denuncia alla Procura della Repubblica. È quindi implicito nel mandato istituzionale del nostro Ordine, il dovere di
perseguire quanti svolgono attività per legge riservate ai geologi senza averne i titoli, così come valutare i casi di esercizio non corretto della professione da parte di colleghi.
Attualmente in Italia l’art. 2229 del Codice
Civile, affida alla Legge la determinazione delle
professioni intellettuali, per l’esercizio delle quali
è necessaria l’iscrizione in appositi albi, tenuti presso i relativi Ordini. Invece, il codice penale (Art.
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348) punisce con la reclusione fino a sei mesi, il
reato di esercizio abusivo della professione.
Al fine di tutelare la nostra cara professione di
“Geologo”, chiedo la collaborazione di tutti voi,
segnalandoci le situazioni di cui venite a conoscenza, che rientrano nei casi di abuso o di scorretto
esercizio della professione, così da permetterci di
svolgere il nostro compito istituzionale, tutelando
direttamente sia tutti gli iscritti che la committenza.
Anche i colleghi qualificati nello status di
“sospesi”, non possono esercitare la professione; a
tal proposito, vi comunico che sul sito istituzionale dell’Ordine (www.geologidisicilia.it), è presente una sezione con l’elenco dei “sospesi”, pertanto invito tutti a consultarlo, al fine di vigilare ed
informarci su eventuali atti illeciti, tenendo conto
che verrà garantita la riservatezza di chi fa pervenire le segnalazioni.
IL PRESIDENTE DELL’ORGS
Geol. Fabio Tortorici
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Da sinistra: Il consigliere Giovanni
Pantaleo, il presidente Fabio Tortorici (in piedi), i consiglieri Antonino
Cubito, Calogero Cannella, Francesco Geremia e Calogero Pecoraro.
I consiglieri Giuseppina Scianna, il
presidente Fabio Tortorici, Corrado
Ingallina, Saro di Raimondo e il
vicepresidente Vincenzo Pinizzotto.
I consiglieri Corrado Ingallina (di
profilo), Saro Di Raimondo, il presidente Fabio Tortorici (in piedi), il
vicepresidente Vincenzo Pinizzotto
e il consigliere Mario Leta.
Da sinistra: Il tesoriere Francesco
Criscenti insieme ai consiglieri
Giuseppe Collura e Francesco
Dionisi. Al centro, il presidente
Fabio Tortorici.
Il consigliere Antonio Gallitto e il
vicepresidente dell’Ordine dei Geologi di Sicilia Vincenzo Pinizzotto.
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I consiglieri Giuseppe Collura, Francesco Dionisi e Antonio Gallitto
insieme al presidente Fabio Tortorici.
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Il presidente dell’Ordine dei Geologi di Sicilia Fabio Tortorici, il consigliere Corrado Ingallina, il presidente del Consiglio nazionale
dei Geologi Gian Vito Graziano, il consigliere Antonio Gallitto e il vicepresidente dell’Ordine dei Geologi di Sicilia Vincenzo Pinizzotto.
Uno scorcio della sala gremita con gli oltre 350 partecipanti.
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REDAZIONALE
A.G. E D.G. PRIMA E DOPO GIAMPILIERI
Cosa è cambiato nella politica della mitigazione dei rischi territoriali?
I dissesti rimangono ancora una causa di morte e devastazione
per i quali occorre una politica cosciente di mitigazione del rischio
Era il primo giorno di ottobre del 2009 quando una
intensa perturbazione atmosferica scaricò sul suolo
della provincia di Messina oltre 200 mm di pioggia
in 6 ore, innescando, tra le altre, una frana di detrito
per circa 50 Km quadrati nell’abitato di Giampilieri.
Da quel giorno sono seguiti anni di dissesti e, purtroppo, di morti che, come avvenuto ancora oggi con
i recenti fatti di Genova e di Massa Carrara, pare nulla
abbiano insegnato a chi è preposto alla gestione e alla
mitigazione dei rischi territoriali. È da quel momento che la categoria dei geologi realizza un’attiva collaborazione sul campo con la Protezione civile, ed è
quello il momento in cui si percepisce la funzione
sociale di una professione dalle mille sfaccettature che
partendo dalla bellezza e dal fascino del libro scritto
dalla Terra con i geositi, arriva alla lettura delle dinamiche territoriali che si manifestano con terremoti,
frane e alluvioni. Ma l’elenco dei dissesti è ancora
lungo. A febbraio 2010 è la volta di S. Fratello, sempre nel messinese, dove una frana provocò lo sfollamento di circa 1500 persone. Da un rapporto del Consiglio nazionale dei geologi, si stima che tra il 2002
e il mese di settembre del 2010, si sono verificate in
Sicilia 130 frane di cui 28 con danni a persone e 5
con vittime. In Sicilia su 25.833 km quadrati di Isola,
con ben 87% di territorio montano e collinare, abbiamo circa 500 Kmq di area soggetta a frane. Messina
e Agrigento fanno la parte del leone in merito alle
aree totali in frana con, rispettivamente, 141 Kmq e
138 Kmq. Fin qui alcuni numeri che dovrebbero fare
capire l’urgenza di una politica volta al territorio e ai
suoi rischi. Quel tragico evento di Giampilieri segna,
per i geologi di Sicilia, un momento nel quale e dal
quale si attiva una intensa campagna di comunicazione, insieme a degli studi e degli approfondimenti mirati. Eccone alcune tappe:
1. Nel mese di gennaio 2010, esattamente giorno 12, una delegazione dell’Ordine regionale
dei geologi di Sicilia, viene ascoltata dalla
Commissione Ambiente della Camera dei
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Deputati e propone la figura del geologo di
zona, cioè la presenza di uno o più geologi
che monitorano i rischi territoriali in base
all’estensione territoriale dei comuni interessati e al loro numero di abitanti. Nello stesso
anno viene siglata la prima convenzione tra il
dipartimento regionale della protezione civile
e l’Ordine regionale dei geologi di Sicilia;
2. Il 21 ottobre 2010 i geologi di Sicilia presentano un’indagine assieme ad Eurispes Sicilia,
subito dopo i fatti del 2009, nella quale si evince quanto i cittadini abbiano sentito la vicinanza di una categoria professionale, quale è quella dei geologi, in quei momenti così forti e
dolorosi;
3. Il 21 aprile 2011 si redige per la prima volta
nella storia di un Ordine professionale, un rapporto nel quale, numeri alla mano, i geologi di
Sicilia sottolineano la carenza, purtroppo cronica, di geologi negli uffici della pubblica amministrazione. Tra le proposte fatte alla Regione
siciliana – ricordiamo che sono state da poco
soppresse le commissioni edilizie comunali,
togliendo ai comuni la figura consultiva del geologo –, oltre a ritornare sul geologo di zona, c’è
quella di dare maggiore impulso e supporto tecnico-scientifico a tutte quelle azioni mirate alla
pianificazione del territorio e alla mitigazione
dei rischi. Sempre nello stesso anno l’Ordine
partecipa al tavolo tecnico per la legge regionale sui lavori pubblici;
4. Nell’anno 2012 l’Ordine dei geologi di Sicilia
è parte attiva nella revisione della Circolare n.
2222/95 (oggi, Circolare n. 1 del 14 gennaio
2014, poi n.3 del 20 giugno 2014 avente come
oggetto “Studi geologici per la redazione di strumenti urbanistici” che abroga e sostituisce sia
la n. 2222/95 sia quella del 15 Ottobre 2012,
prot. N. 57027) sui lavori pubblici per quanto
riguarda gli studi geologici a supporto degli
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strumenti urbanistici. Sempre nel 2012 i geologi di Sicilia aderiscono al manifesto di legalità
dell’Associazione Professionisti Liberi;
5. Il 6 e il 13 Maggio 2013 i geologi di Sicilia
partecipano alla esercitazione regionale di protezione civile denominata “Trinacria 2013”
organizzando a Messina e Siracusa seminari ed
esercitazioni insieme agli uffici di Protezione
civile delle due province. A Siracusa si presenta un progetto pilota, il primo in Sicilia, su una
scuola pubblica per la mitigazione del rischio
sismico;
Da Luglio 2013 ad oggi sono state tante le attività svolte da questo Consiglio regionale, come leggerete in appresso, ma soprattutto, molto rimane da fare
perché questa professione cresca sempre di più. Con
l’occasione di questo numero unico pubblicato e divulgato con l’approssimarsi delle festività natalizie, auguro, a nome di tutto il Consiglio regionale a tutti Voi
e alle Vostre famiglie, l’augurio di un Natale sereno
e di rinascita, perché la speranza di quel “meglio” che
tutti ci auspichiamo, diventi realtà.
Adesso apriamo la nostra rivista con due articoli
che rappresentano gli atti di un convegno tenutosi a
Siracusa il 23 dicembre 2013 sull’argomento “Terre e
rocce da scavo”.
Antonio Gallitto
Direttore responsabile Bollettino dei Geologi di Sicilia
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Priolo Gargallo (SR) - Seminario di studio
GESTIONE DEI “MATERIALI
DA SCAVO” DOPO IL D.M. 161/2012
E IL “DECRETO DEL FARE”
Normativa per la gestione dei materiali di riporto
Domenico Sole Greco, Responsabile del Servizio Rifiuti e Bonifiche, X Settore
Territorio ed Ambiente, della Provincia Regionale di Siracusa
R I A S S U N TO
ABSTRACT
Con la pubblicazione del D.M. 10 agosto, n. 161, in vigore dal 6 ottobre 2012 e
della Legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (il c. d. “Decreto del Fare”), in
vigore dal 21 agosto 2013, sono state introdotte sostanziali modifiche sulla gestione
delle terre e rocce da scavo, o meglio, dei
materiali da scavo, doverosa precisazione in
quanto include anche i materiali di riporto.
Gli articolati delle due normative disciplinano, rispettivamente, il riutilizzo dei
materiali da scavo provenienti da opere soggette a VIA e/o AIA e quelle non soggette a
questi adempimenti ambientali, compresi i
materiali da scavo < a 6.000 mc.
Facendo un escursus temporale-normativo, si passa dall’esclusione dal novero dei
rifiuti (c.d. mercuriali) delle terre e rocce da
scavo, ad opera del D.M. 05/09/1994, all’inclusione di questi materiali nella definizione
di rifiuto ad opera del D.Lgs. 22/97 (c.d.
decreto Ronchi), alla nuova esclusione dalla
normativa sui rifiuti, sotto certe condizioni,
ad opera della Legge Lunardi, alla reinclusione nell’ambito della gestione dei rifiuti
dopo la procedura di infrazione europea del
giugno 2002, all’elaborazione dell’art. 186
del D.Lgs. 152/06, fino alle leggi attuali.
Nella trattazione viene evidenziata, inoltre, la normativa relativa ai materiali di riporto, D.L. n. 2/2012, conv. L. n. 28/2012, che
assumono, sotto certe condizioni, la connotazione giuridica di ulteriore matrice ambientale, in aggiunta al suolo, sottosuolo e acque di
falda, e come tale incluse in eventuali procedimenti di bonifica, ai sensi della titolo V,
della parte IV del D.Lgs. 152/06.
With the publication of the Ministerial
Decree n. 161/2012, in force since October
6, 2012 and Law n. 98/2013, conversion of
the D.L. June 21, 2013, n. 69, "Urgent provisions for economic recovery" (the "Decree
of Fare"), in force since 21 August 2013,
substantial changes have been introduced
on the management of soil and rock excavation, or rather, the materials to be excavation, necessary clarification as it also includes the landfills.
The articulated the two provisions relate,
respectively, re-use of materials from excavation works subject to VIA, and / or AIA
and those not subject to these environmental
compliance, including excavation materials
<6.000 mc.
Taking an overview of time-normative, we
move from exclusion from the category of
waste (so-called mercurial) of soil and rock
excavation, by the DM 05/09/1994, the
inclusion of these materials in the definition
of waste by Legislative Decree no. 22/97 (socalled Ronchi Decree), the new exclusion
from the legislation on waste, under certain
conditions, by the Law Lunardi, the re-inclusion in the management of waste after the
European infringement proceedings in June
2002, drawing art. 186 of Legislative Decree
no. 152/06 to the current laws.
In the discussion is highlighted, also, the
law relating to landfills, DL n. 2/2012, conv.
L. n. 28/2012, that assume, under certain
conditions, the legal connotation of further
environmental matrix, in addition to the
soil, subsoil and groundwater, and as such
are included in any such proceedings remediation, pursuant to Title V of Part IV of
Leg. 152/06.
gdiS
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Priolo Gargallo (SR) - Seminario di studio
TERRE E ROCCE DI SCAVO:
UN PO’ DI STORIA
Il DM 5 settembre 1994 (elenco dei mercuriali, cioè
materiali da ritenersi svincolati dalla normativa sui
rifiuti) annoverava la “roccia di varia pezzatura proveniente dall’esecuzione degli scavi per l’edilizia,
scavi per fondazioni fabbricati, trincee per posa cavi,
tubazioni, scavi per galleria, etc”. Pertanto in vigenza del D.P.R. 915/82, cioè prima dell’entrata in vigore del D.lgs 22/97 (c.d. Decreto Ronchi), le terre e
rocce di scavo non erano gestite nell’ambito del regime normativo dei rifiuti.
L’art. 7 comma 3, lettera b) del D.lgs 22/97 classificava come rifiuti speciali, i rifiuti inerti derivanti da demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano da attività di scavo, escludendo
dalla normativa dei rifiuti, in virtù dell’art. 8 comma
2 lettera c) del medesimo decreto, i materiali non pericolosi derivanti dall’attività di scavo.
L’art. 1, comma 9 del D.Lgs 389/97, “Modifiche
ed integrazioni al D.Lgs. 22/97”, sopprimeva i commi
2, 3 e 4 dell’art. 8 del D.Lgs 22/97, facendo sì che i
materiali non pericolosi derivanti dall’attività di
scavo (fra cui terre e rocce) fossero assoggettati
anch’essi alla normativa sui rifiuti.
L’art 10 della legge 23 marzo 2001 n. 93, “Disposizioni in campo ambientale”, modificava l’art. 8
del D.Lgs. 22/97 escludendo dai rifiuti le “terre e
le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per
reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da
bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme
vigenti”.
L’art. 1 della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (c.d.
legge Lunardi) prevedeva che: “le terre e rocce da
scavo, anche di gallerie non costituiscono rifiuti
anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di
escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la
composizione media dell’intera massa non presenti
10
una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti
massimi previsti dalle norme vigenti”. Tale articolo
prevedeva che “i limiti massimi accettabili sono individuati dall’allegato 1, tabella 1, colonna B, del
decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999,
n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite
inferiore”.
Con la “Procedura d’infrazione della Commissione Ue contro Italia n. C(2002)/2002 del 26 giugno
2002”, la Commissione delle Comunità Europee riteneva che con la legge n. 443 del 21 dicembre 2001,
la Repubblica Italiana era venuta meno, in relazione
ai rifiuti costituiti da terre e rocce, agli obblighi previsti dalla direttiva 75/442/Cee come modificata dalla
direttiva 91/156/Cee.
La legge 31 ottobre 2003, n. 306, “Disposizioni
per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge
comunitaria 2003”, all’art. 23 prevedeva importanti
modifiche all’art. 1 della legge 21 dicembre 2001,
n. 443 (Legge Lunardi) per l’esclusione delle terre
e rocce da scavo dalla normativa sui rifiuti. Queste
dovevano essere utilizzate, senza trasformazioni preliminari (c.d. utilizzo tal quale), secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero,
secondo le modalità previste nel progetto approvato
dall’autorità amministrativa competente, previo parere dell’ARPA”.
L’art. 186 del D.Lgs. 152/06 conferma l’esclusione delle terre e rocce alle stesse condizioni della legge
31 ottobre 2003, n. 306 e in più prevede che nel caso
in cui non sia possibile l’immediato riutilizzo del
materiale di scavo, dovrà anche essere indicato il sito
di deposito del materiale, il quantitativo, la tipologia
del materiale. Il riutilizzo dovrà avvenire entro sei
mesi dall’avvenuto deposito, salvo proroga su istanza
motivata dell’interessato. N.B. RIUTILIZZO PREVIO PARERE ARPA
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L’ Art. 186 del D.Lgs. 152/06 (dopo il correttivo
operato dal D.Lgs. 04/08), prevedeva:
Il D.M. 161/2012 è composto da 16 articoli e 9
allegati:
Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per
reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché:
1. Caratterizzazione ambientale dei materiali da
scavo;
a) siano impiegate direttamente nell’ambito di
opere o interventi preventivamente individuati
e definiti;
2. Procedure di campionamento in fase di progettazione;
3. Normale pratica industriale;
b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza
dell’integrale utilizzo;
4. Procedure di caratterizzazione chimico-fisiche e
accertamento delle qualità ambientali;
c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti
merceologici e di qualità ambientale per i siti
di destinazione;
5. Piano di Utilizzo;
d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;
9. Materiali di riporto di origine antropica.
e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica
ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per
la qualità delle matrici ambientali, deve essere
dimostrato che il materiale da utilizzare non è
contaminato con riferimento alla destinazione
d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di
detto materiale con il sito di destinazione;
g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata.
Le terre e rocce da scavo, qualora non siano utilizzate nel rispetto della disciplina fissata dall’articolo 186,del D.Lgs. 152/0, sono sottoposte alla disciplina dei rifiuti.
DECRETO MINISTERIALE 10 AGOSTO 2012,
N. 161 - (GURI N. 221 DEL 21/09/2012) - REGOLAMENTO RECANTE LA DISCIPLINA DELL’UTILIZZAZIONE
DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO. IN VIGORE DAL
06/10/2012
L’articolo 39, comma 4, del D.Lgs. n. 205 del 2010,
come modificato dalla legge 24 marzo 2012, n. 27,
prevedeva che dalla data di entrata in vigore del regolamento sulle terre e rocce da scavo veniva abrogato
l’articolo 186 del D.Lgs. 152/06.
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6. Documento di trasporto;
7. Dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.);
8, Procedure di campionamento in fase esecutiva
e per i controlli e le ispezioni;
Si passa alla rassegna dei vari articoli che costituiscono il D.M. 161/12, evidenziando, ove presenti,
le criticità riscontrate.
Art. 1 - Definizioni
Materiali da scavo: il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione
di un’opera.
I residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un’opera e non contenenti sostanze pericolose.
I materiali da scavo possono contenere, anche i
seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, (PVC),
vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo
meccanizzato, se l’intera massa presenta concentrazioni di inquinanti inferiore a quanto stabilito dal Regolamento.
CRITICITÀ: Non viene definita la % max delle
impurezze consentite nei materiali da scavo.
Riporto: orizzonte stratigrafico costituito da una
miscela eterogenea di materiali di origine antropica e
suolo/sottosuolo come definito nell’allegato 9 del
Regolamento;
Materiale inerte di origine antropica: i materiali di
cui all’Allegato 9. Le tipologie che si riscontrano più
comunemente sono riportate in Allegato 9;
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Allegato 9
Materiali di riporto di origine antropica
I riporti sono per lo più una miscela eterogenea
di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi
riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si
sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati
per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi
stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e
aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni.
Ai fini del presente regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti,
qualora frammisti al terreno naturale nella quantità
massima del 20%, sono indicativamente identificabili
con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci.
Art. 2 – Finalità
Al fine di migliorare l’uso delle risorse naturali e
prevenire la produzione dei rifiuti, il presente Regolamento stabilisce, sulla base delle condizioni previste al co. 1, dell’art. 184-bis del D.Lgs. 152/06, i criteri qualitativi da soddisfare affinchè i materiali di
scavo, siano considerati sottoprodotti e non rifiuti,
ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera qq) del
decreto legislativo stesso.
illecita dei rifiuti. Per evitare tale evenienza si rende
quindi necessaria la pratica del c.d. “scavo selettivo”, ovvero separare già in fase di scavo i vari materiali e/o manufatti interrati presenti sul sito di scavo
(asfalto o pavimentazione in genere, pozzetti, tubazioni, cavi elettrici, telefonici, ecc. ).
Art. 4 – Disposizioni generali
1. In applicazione dell’articolo 184-bis , co. 1, del
D.Lgs. 152/06, è un sottoprodotto, il materiale da
scavo che risponde ai seguenti requisiti:
a) il materiale da scavo è generato durante la realizzazione di un’opera, di cui costituisce parte
integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale;
b) il materiale da scavo è utilizzato, in conformità al Piano di Utilizzo:
1) nel corso dell’esecuzione della stessa opera,
nel quale è stato generato (n.d.r. tale fattispecie di utilizzo è in contrasto con quanto statuito dall’art. 185, co.1, lett. c,
D.Lgs.152/06 che esclude dalla normativa
dei rifiuti le terre e rocce non contaminate riutilizzate nello stesso sito di scavo), o
di un’opera diversa, per la realizzazione di
reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, ripascimenti, interventi a mare, miglioramenti fondiari o viari oppure altre forme di
ripristini e miglioramenti ambientali;
2) in processi produttivi, in sostituzione di
materiali di cava;
Art. 3 – Ambiti di applicazione ed esclusione
c) il materiale da scavo è idoneo ad essere utilizzato direttamente, ossia senza alcun ulteriore
trattamento diverso dalla normale pratica industriale secondo i criteri di cui all’Allegato 3;
Il presente regolamento si applica alla gestione dei
materiali da scavo.
d) il materiale da scavo soddisfa i requisiti di qualità ambientale di cui all’Allegato 4.
Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente regolamento i rifiuti provenienti direttamente
dall’esecuzione di interventi di demolizione di edifici o altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Nota: Dalla lettura dei primi tre articoli del D.M.
161/12 e dall’allegato 9, si può ritenere che il riutilizzo di terre e rocce da scavo con percentuali di
impurezze > 20% di materiali non naturali (PVC,
cemento, metalli, ecc.) integra il reato di gestione
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Art. 5 – Piano di Utilizzo
Il Piano di Utilizzo del materiale da scavo è presentato dal proponente all’Autorità competente almeno 90 gg prima dell’inizio dei lavori per la realizzazione dell’opera. Può essere presentato in fase di
approvazione del progetto definitivo dell’opera.
Nel caso in cui l’opera sia oggetto di una procedura VIA, l’espletamento di quanto previsto dal presente Regolamento deve avvenire prima dell’espressione del parere di valutazione ambientale.
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La sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 4,
comma 1 (disposizioni generali), è attestata dal Legale rappresentante della persona giuridica o dalla persona fisica proponente l’opera mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’articolo
47 del D.P.R. n. 445/2000.
L’Autorità competente può chiedere, in un’unica soluzione entro 30 gg dalla presentazione del
Piano di Utilizzo, integrazioni alla documentazione
presentata.
Se nel P.U. si dimostra che le concentrazioni di
elementi e composti di cui alla tab. 4.1 dell’all. 4 del
Reg. non superano le Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) di cui alle colonne A e B della
tab. 1 dell’all. 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/06, con
riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di produzione e del sito di destinazione,
l’Autorità competente, entro 90 gg. dalla presentazione del P.U. o delle eventuali integrazioni, approva il
piano o lo rigetta.
L’Autorità competente ha la facoltà di chiedere
all’ARPA, entro 30 gg dalla presentazione del P.U. o
dell’eventuale integrazione, di verificare la sussistenza dei requisiti dell’all. 4 relativo all’accertamento
della qualità ambientale del materiale da scavo.
L’ARPA può chiedere al proponente un approfondimento d’indagine in contraddittorio, accerta entro
45 gg la sussistenza dei requisiti ambientali, comunicando gli esiti all’Autorità competente.
Decorso il termine di 90 gg dalla presentazione del
P. U. o delle eventuali integrazioni, il proponente gestisce il materiale da scavo nel rispetto del Piano di Utilizzo stesso.
Nota: La Commissione ambiente del Parlamento
europeo, che ha valutato nel complesso positivamente il D.M. 161/2012, ha ritenuto di chiedere al Governo italiano chiarimenti circa il principio del “silenzio assenso“ implicitamente previsto dal decreto.
Se il sito di produzione interessa un sito oggetto
di interventi di bonifica - Titolo V, Parte IV ovvero
di ripristino ambientale - Titolo II, Parte VI, del D.Lgs.
152/06 i requisiti di qualità ambientale sono individuati dall’ARPA che, entro 60 gg dalla richiesta,
comunica se per i materiali da scavo, compresi i materiali da riporto, i valori riscontrati per tutti gli elementi e i composti di cui alla Tab. 1 dell’all. 5, alla Parte
IV del D.Lgs. 152/06 non superano le relative CSC,
con riferimento alla specifica destinazione d’uso urba-
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nistica del sito di destinazione indicata dal Piano di
Utilizzo.
Il P. U. definisce la durata di validità del piano
stesso. Decorso tale termine temporale il Piano cessa
di produrre effetti. Salvo deroghe espressamente motivate dall’Autorità competente in ragione delle opere
da realizzare, l’inizio dei lavori deve avvenire entro
due anni dalla presentazione del Piano di Utilizzo.
Allo scadere dei termini fissati dal P. U. viene meno
la qualifica di sottoprodotto del materiale da scavo
con conseguente obbligo di gestire il predetto materiale come rifiuto. Entro i due mesi antecedenti la scadenza dei termini, si ha la facoltà di presentare un
nuovo P. U. che ha la durata massima di un anno.
In caso di violazione degli obblighi assunti nel P.
U. viene meno la qualifica di sottoprodotto del materiale da scavo con conseguente obbligo di gestire il
predetto materiale come rifiuto.
Fatte salve le modifiche apportate al P. U., approvate dall’A. C., il venir meno di una delle condizioni di cui all’art. 4, co. 1 (disposizioni generali) del
Regolamento, fa cessare gli effetti del Piano di Utilizzo e comporta l’obbligo di gestire il relativo materiale da scavo come rifiuto.
Art. 6 – Situazioni di emergenza
In deroga all’art. 5, in situazioni di emergenza
dovute a causa di forza maggiore, la sussistenza dei
requisiti di cui all’art. 4, co. 1, è attestata all’A.C.
mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di
notorietà di cui all’articolo 47 del D.P.R. n. 445/2000
nella forma di cui all’allegato 7 – Dichiarazione di
avvenuto utilizzo (D.A.U.).
Dalla data della predetta dichiarazione il materiale da scavo può essere gestito nel rispetto di quanto
dichiarato.
Entro 15 gg dalla data di inizio lavori, il soggetto
che ha rilasciato la dichiarazione deve comunque presentare il Piano di Utilizzo secondo le modalità previste dall’articolo 5.
È facoltà dell’Autorità competente eseguire controlli e richiedere verifiche e integrazioni alla documentazione presentata.
La deroga di cui al comma 1 non può essere
applicata nel caso in cui il sito di produzione è interessato ad interventi di bonifica di cui alla Parte
IV, Titolo V, del D.Lgs. 152/06.
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Art. 7 – Obblighi generali
Il Piano di Utilizzo, nonché le dichiarazioni rese
conformemente all’articolo 6, nel caso di deroghe
dovute a situazioni di emergenza, devono essere conservati presso il sito di produzione del materiale escavato o presso la sede legale del proponente e, se diverso, anche dell’esecutore.
La documentazione è conservata per 5 anni e resa
disponibile in qualunque momento all’Autorità di controllo che ne faccia richiesta. Copia di tale documentazione deve essere conservata anche presso l’Autorità competente.
Art. 8 – Modifica del Piano di Utilizzo
In caso di modifica sostanziale al P. U., il proponente o l’esecutore aggiornano il Piano stesso.
Costituisce modifica sostanziale:
Art. 10 – Deposito in attesa di utilizzo
Il deposito del materiale escavato in attesa dell’utilizzo avviene all’interno del sito di produzione, dei
siti di deposito intermedio e dei siti di destinazione.
Il P.U. indica il sito o i siti di deposito intermedio.
In caso di variazione dei siti di deposito intermedio indicati nel P.U., il proponente aggiorna il piano
medesimo in conformità alla procedura prevista all’articolo 8.
Il deposito di materiale escavato deve essere fisicamente separato e gestito in modo autonomo rispetto ai rifiuti eventualmente presenti nel sito in un deposito temporaneo.
b) la destinazione del materiale escavato ad un sito
di destinazione o ad un utilizzo diverso da quello indicato nel Piano di Utilizzo;
Il deposito del materiale escavato avviene in conformità al P. U. identificando, tramite apposita segnaletica posizionata in modo visibile, le informazioni
relative al sito di produzione, le quantità del materiale depositato, nonché i dati amministrativi del Piano
di Utilizzo.
c) la destinazione del materiale escavato ad un sito
di deposito intermedio diverso da quello indicato nel Piano di Utilizzo;
Il deposito del materiale escavato avviene tenendo
fisicamente distinto il materiale escavato oggetto di
differenti P. U.
d) la modifica delle tecnologie di scavo.
Il deposito del materiale escavato non può avere
durata superiore alla durata del Piano di Utilizzo.
a) l’aumento del volume in banco > al 20%;
Nei casi previsti dalla lettera a), il P. U. deve essere aggiornato entro 15 gg dal momento in cui sia
intervenuta la variazione. Decorso tale termine cessa,
con effetto immediato, la qualifica del materiale escavato come sottoprodotto.
Nei casi previsti dalle lettere b), c) e d), in attesa
del completamento della procedura di modifica, il
materiale escavato non può essere destinato ad un utilizzo diverso o non potrà essere escavato con tecnologie diverse da quanto previsto nel Piano di Utilizzo.
Art. 9 – Realizzazione del Piano di Utilizzo
Il proponente del P.U. deve comunicare all’A.C.
l’indicazione dell’esecutore del Piano prima dell’inizio dei lavori di realizzazione dell’opera.
A far data dalla comunicazione l’esecutore del
Piano di Utilizzo è tenuto a far proprio e rispettare il
Piano di Utilizzo e ne è responsabile.
L’esecutore del Piano di Utilizzo redigerà la modulistica necessaria a garantire la tracciabilità del mate14
riale di cui agli allegati 6 - Documento di trasporto
e 7 - Dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.).
Decorso il tale periodo viene meno, con effetto
immediato, la qualifica di sottoprodotto del materiale
escavato, pertanto tale materiale deve essere trattato
quale rifiuto.
Resta impregiudicata la facoltà di presentare un
nuovo Piano di Utilizzo.
Art. 11 – Trasporto
In tutte le fasi successive all’uscita del materiale
dal sito di produzione, il trasporto del materiale escavato è accompagnato dalla documentazione di cui
all’allegato 6 – Documento di trasporto. È equipollente alla scheda di trasporto prevista dalle vigenti
normative.
La documentazione predisposta in triplice copia,
una per l’esecutore, una per il trasportatore e una per
il destinatario e conservata, dai predetti soggetti, per
cinque anni e resa disponibile, in qualunque momento, all’Autorità di controllo che ne faccia richiesta.
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Qualora il proponente e l’esecutore siano diversi,
una quarta copia della documentazione deve essere
conservata presso il proponente.
Art. 12 – Dichiarazione di avvenuto utilizzo
L’avvenuto utilizzo del materiale escavato in conformità al Piano di Utilizzo è attestato dall’esecutore all’autorità competente, mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’articolo
47 del D.P.R. n. 445/2000, in conformità all’allegato 7 – Dichiarazione di avvenuto utilizzo, e corredata della documentazione completa richiamata al
predetto allegato.
Il deposito o altre forme di stoccaggio di materiali escavati non costituiscono un utilizzo ai sensi del
presente Regolamento.
Tale dichiarazione è conservata per cinque anni
dalla dichiarazione di avvenuto utilizzo ed è resa disponibile in qualunque momento all’autorità di controllo che ne faccia richiesta.
La dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.)
deve essere resa entro il termine in cui il Piano di
Utilizzo cessa di avere validità. L’omessa dichiarazione di avvenuto utilizzo nel termine previsto dal precedente periodo comporta la cessazione, con effetto
immediato, della qualifica del materiale escavato come
sottoprodotto.
Nel caso l’utilizzo avvenga non da parte del proponente o dell’esecutore, nella dichiarazione di
avvenuto utilizzo deve essere riportato il periodo
entro il quale il soggetto indicato deve completare
l’utilizzo.
Dell’avvenuto utilizzo deve comunque essere data
comunicazione all’Autorità competente.
L’omessa dichiarazione di avvenuto utilizzo da
parte del soggetto terzo indicato comporta la cessazione, con effetto immediato, della qualifica del materiale escavato come sottoprodotto.
Decorso il predetto termine senza che sia stato presentato un Piano di Utilizzo, i progetti sono portati a
termine secondo la procedura prevista dall’art. 186.
In caso di inottemperanza alla corretta gestione dei
materiali di scavo secondo quanto disposto dal presente regolamento il materiale scavato verrà considerato rifiuto ai sensi del D.Lgs. 152/06.
Pertanto resta valido il sistema sanzionatorio del
sopraindicato decreto per tutte le violazioni alle disposizioni del presente Regolamento.
Circolare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, prot. 36288 del 14
novembre 2012
La circolare del MATTM ha chiarito che il D.M.
161/2012 non si applica ai materiali di scavo riutilizzati nel sito di produzione per il quale è in vigore
l’art. 185 del D.Lgs. 152/06 che, al comma 1, lettera
c) riporta:
“il suolo non contaminato e altro materiale allo stato
naturale escavato nel corso di attività di costruzione,
ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato
escavato”.
Parimenti la circolare affermava che il D.M.
161/2012 non contemplava il caso di gestione dei
materiali di scavo dei “piccoli cantieri”, in quanto l’art.
266, co. 7 del D.Lgs. 152/06 demandava ad uno specifico decreto, non ancora emanato, la gestione “dei
materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale
nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia”.
Si ritiene invece, in assenza di regole specifiche,
proprio per la generalità dell’ambito di applicazione
e per evitare vuoti normativi, che tali fattispecie di
opere ricadevano nell’ambito di gestione del D.M.
161/2012 (analogamente a quanto avveniva in vigenza dell’art. 186 del D.Lgs. 152/06), pur riconoscendo
la laboriosità del procedimento non commisurata alla
realizzazione dell’opera.
Art. 15 – Disposizioni finali e transitorie
Entro 180 gg dalla data di entrata in vigore del
presente regolamento (n.d.r. ovvero entro il
04/04/2013), i progetti per i quali è in corso una procedura ai sensi e per gli effetti dell’art. 186, del D.Lgs.
152/2006, possono essere assoggettati alla disciplina
prevista dal presente regolamento con la presentazione di un Piano di Utilizzo.
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GESTIONE
“DECRETO
MATERIALI DA SCAVO A SEGUITO DEL C.D.
DEL FARE”
D.L. 21 giugno 2013, n. 69 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia – c.d. Decreto del Fare
(SO n. 50 alla GURI 21/06/ 2013 n. 144). In vigore
dal 22/06/2013.
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Articolo 41 (Disposizioni in materia ambientale).
2. “Il decreto del Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 10 agosto 2012,
n. 161, ….., si applica solo alle terre e rocce da scavo
che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale.
D.L. 26 aprile 2013, n. 43 - Disposizioni urgenti
per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di
contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle
zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la
ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015 (GURI 26 aprile 2013 n. 97),
convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24 giugno 2013, n. 71 (GURI 25 giugno 2013 n.147)
Articolo 8-bis. (Deroga alla disciplina dell’utilizzazione di terre e rocce da scavo). In vigore dal
26/06/2013
2. “…. in attesa di una specifica disciplina per la
semplificazione amministrativa delle procedure, alla
gestione dei materiali da scavo, provenienti dai cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale, continuano ad
applicarsi su tutto il territorio nazionale le disposizioni stabilite dall’articolo 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012,
n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24
marzo 2012, n. 27”.
Dal combinato disposto dell’art. 41 del D.L. 21
giugno 2013, n. 69 - c.d. Decreto del Fare, in vigore dal 22/06/2013 e dell’art. 8-bis del D.L. 26 aprile 2013, n. 43, convertito in legge, con modifiche,
dalla L. 24 giugno 2013, n. 71, in vigore dal
26/06/2013, deriva che, a quella data, non risultava
normata la gestione del materiale di scavo proveniente dalla realizzazione di opere non soggette ad AIA o
VIA ma superiori a 6.000 metri cubi.
Per tale fattispecie di interventi occorreva, pertanto, fare riferimento all’art. 184-bis del D.Lgs. 152/06
che definisce i sottoprodotti.
Art. 184-bis del D.Lg. 152/06 – Sottoprodotto
È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto
che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
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a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo
di produzione, di cui costituisce parte integrante, e
il cui scopo primario non è la produzione di tale
sostanza od oggetto;
b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato,
nel corso dello stesso o di un successivo processo
di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla
normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione
della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute
umana.
Tale procedura, considerato che l’attività di scavo
non è propriamente un “processo di produzione”, comporta una certa difficoltà applicativa che richiede, pertanto, specifiche regole procedurali.
Al riguardo, la Legge 9 agosto 2013, n. 98 (GURI
20 agosto 2013 n. 194), di conversione, con modificazioni, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 - c.d. Decreto del Fare, aggiungeva infatti:
Articolo 41-bis (Ulteriori disposizioni in materia di
terre e rocce da scavo). In vigore dal 21 agosto 2013.
1. In relazione a quanto disposto dall’articolo 266, co.
7, del D.Lgs. 152/06 (n.d.r. relativo ai piccoli cantieri con produzione di materiali da scavo < 6.000
mc), i materiali da scavo, prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme
vigenti, sono sottoposti al regime di cui all’articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (sottoprodotti), se
il produttore dimostra:
a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi
determinati;
b) che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o
altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle CSC di cui alle colonne A e B della
tab. 1 dell’all. 5 alla parte IV del D.Lgs.
152/2006, con riferimento alle caratteristiche
delle matrici ambientali e alla destinazione
d’uso urbanistica del sito di destinazione e i
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materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee (n.d.r. per definire la quale occorre eseguire il test di cessione), fatti salvi i valori di fondo
naturale;
c) che, in caso di destinazione ad un successivo
ciclo di produzione, l’utilizzo non determina
rischi per la salute né variazioni qualitative o
quantitative delle emissioni rispetto al normale
utilizzo delle materie prime;
d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun
preventivo trattamento, fatte salve le normali
pratiche industriali e di cantiere. (n.d.r. vedi
D.M. 161/2012)
2. Il proponente o il produttore attesta il rispetto
delle condizioni di cui al co. 1 tramite dichiarazione resa all’ARPA territorialmente competente,
ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, precisando le
quantità destinate all’utilizzo, il sito di deposito
e i tempi previsti per l’utilizzo, che non possono
comunque superare un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l’opera nella quale il
materiale è destinato ad essere utilizzato preveda
un termine di esecuzione superiore. Le attività di
scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in
conformità alla vigente disciplina urbanistica e
igienico-sanitaria. (Piano di Utilizzo, vedi D.M.
161/2012).
La modifica dei requisiti e delle condizioni indicati nella dichiarazione di cui al primo periodo è
comunicata entro trenta giorni al comune del
luogo di produzione.
Gestione del materiale da scavo
3. Il produttore deve, in ogni caso, confermare alle
autorità di cui al co. 2, territorialmente competenti con riferimento al luogo di produzione e di utilizzo, che i materiali da scavo sono stati completamente utilizzati secondo le previsioni comunicate.
(n.d.r. D.A.U., vedi D.M. 161/2012)
4. L’utilizzo dei materiali da scavo come sottoprodotto resta assoggettato al regime proprio dei beni e
dei prodotti. A tal fine il trasporto di tali materiali è accompagnato dal documento di trasporto o da
copia del contratto di trasporto o dalla scheda di
trasporto di cui al D.Lgs. 286/2005. (n.d.r. Doc. di
trasporto, vedi D.M. 161/2012)
5. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano anche ai materiali da scavo derivanti da attività e opere che non rientrano nel campo di applicazione del D.M. 161/2012 (non soggetti ad AIA
o VIA).
6. L’articolo 8-bis del D.L. 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno
2013, n. 71 (n.d.r. ovvero il ricorso all’art. 186 del
D.Lgs. 152/06 per la gestione dei materiali da
scavo derivante dai piccoli cantieri, < 6.000 mc),
è abrogato.
7. L’articolo 1 del regolamento di cui al D.M. n.
161/2012, recante la disciplina dell’utilizzazione
delle terre e rocce da scavo, nel definire al comma
1, lettera b), i materiali da scavo integra, a tutti gli
effetti, le corrispondenti disposizioni del D.Lgs.
152/06.
Si riporta schematicamente come avviene oggi la
gestione dei materiali da scavo:
Norma di riferimento
Periodo
Art. 185, co. 2, lett. c)
D.Lgs. 152/06
Dal 28/01/2009
Materiale da scavo per la realizzazione
di opere soggette ad AIA o VIA,
riutilizzate fuori sito
D.M. 161/2012
Dal 06/10/2012
Materiale da scavo per la realizzazione
di opere non soggette ad AIA o VIA
indipendentemente dai volumi prodotti,
riutilizzate fuori sito
Art. 41-bis
D.L. n. 69/2013,
convertito con
L. n. 98/2013
Dal 21/08/2013
Materiale da scavo riutilizzato
nello stesso sito di produzione
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GESTIONE
MATERIALI DI RIPORTO
D.L. 25 gennaio 2012, n. 2 – Misure straordinarie ed
urgenti in materia ambientale, (GURI 25 gennaio 2012
n. 20), convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24
marzo 2012, n. 28 (GURI 24 marzo 2012 n. 71).
Articolo 3 (Interpretazione autentica dell’articolo 185
del decreto legislativo n. 152 del 2006, disposizioni
in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori
disposizioni in materia di rifiuti). In vigore dal
25/03/2012.
(n.d.r. L’art. 3 è stato profondamente modificato
dalla legge di conversione, L. n. 28/2012 e successivamente dal D.L. n. 69/2013, convertito in L. n.
98/2013, modifiche riportate di seguito con doppia
sottolineatura).
1. I riferimenti al “suolo” contenuti all’art. 185, co.
1, lettere b) e c), e 4, del D.Lgs. 152/06, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali
di riporto di cui all’all. 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo (n.d.r. Criteri generali per
la caratterizzazione dei siti contaminati);
(Comma in vigore già dal 26 gennaio 2012 e non
modificato dalla legge di conversione L. n. 28/2012)
Articolo 185, D.Lgs. 152/06 - Esclusioni dall’ambito di applicazione
1. Non rientrano nel campo di applicazione della
Parte quarta:
b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, ……
c) il suolo non contaminato e altro materiale allo
stato naturale escavato nel corso di attività di
costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale
e nello stesso sito in cui è stato escavato;
4. Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da
quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma
1, lettera a), 184-bis e 184-ter.
2. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, per
matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui
all’art. 49 del D.L. n. 1/2012 – c.d. “Liberizzazio18
ni” (n.d.r. ovvero il decreto sulla gestione delle
terre e rocce da scavo da emanare entro 60 gg.),
utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche
e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei
quali possono trovarsi materiali estranei.
3. Fino alla data di entrata in vigore del decreto
di cui al co. 2 del presente articolo, le matrici
materiali di riporto, eventualmente presenti nel
suolo di cui all’articolo 185, commi 1, lettere
b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, sono considerate sottoprodotti solo se
ricorrono le condizioni di cui all’articolo 184bis (sottoprodotto) del citato decreto legislativo
n. 152 del 2006.
(Comma aggiunto dalla legge di conversione)
D.L. 25 gennaio 2012, n. 2, convertito in legge, con
modifiche, dalla L. 24 marzo 2012, n. 28 . Modificato dal D.L. n. 69/2013
Articolo 3 (in vigore dal 22/06/2013)
1. I riferimenti al “suolo” contenuti all’art. 185, co.
1, lett. b) e c), e 4, del D.Lgs. 152/06, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di
riporto di cui all’all. 2 alla parte IV del medesimo
D.Lgs., costituite da una miscela eterogenea di
materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che
compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche
naturali del terreno in un determinato sito e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.
2. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 185, comma
1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 152 del
2006, le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del D.M. 5
febbraio 1998, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle
acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test
di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla
legislazione vigente in materia di bonifica dei siti
contaminati.
(n.d.r. ovvero conformità rispetto alle CSC, in relazione alle specifiche destinazioni d’uso - Tab. A o B,
all. 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/06).
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3. Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono
fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono
essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a
costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza
rischi per la salute.
A questo punto si formulano le seguenti osservazioni e si evidenziano alcune criticità riscontrate
nell’applicazioni delle leggi e decreti passati in rassegna:
a) Per il riutilizzo al di fuori dal sito di prelievo
del materiale di riporto scavato, ai sensi dell’art. 185, co. 4, del D.Lgs. 152/06, in quanto
compresi nella definizione di materiali da
scavo, si richiamano le modalità di gestione di
cui al D.M. 161/2012, per la realizzazione di
opere sottoposte ad AIA e/o VIA e l’art. 41-bis,
della L. 98/2013 di conversione del D.L. n.
69/2013, per la realizzazione delle restanti
opere;
b) considerato che, ai sensi del co. 7 dell’art. 41bis, quanto definito per i materiali da scavo
(inclusi gli eventuali materiali di riporto) dal
D.M. 161/2012, integra le corrispondenti disposizioni del D.Lgs. 152/06, si ritiene che la limitazione pari al 20% max della presenza di materiale antropico frammisto al terreno naturale nella
matrice materiale di riporto, di cui all’all. 9 del
D.M., 161/12, è vincolante sia per la gestione
dei materiali di scavo normati dalla legge n.
98/2013, sia per il riutilizzo in sito di questi materiali ai sensi dell’art. 185, co.1 lett. c);
c) il test di cessione è espressamente previsto per
il riutilizzo dei materiali di riporto:
art.3, co. 2, L. 24/03/2012, n. 28: “… le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte
a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del D.M. 5 febbraio 1998, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle
acque sotterranee …”
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Il test è implicitamente previsto per il riutilizzo del materiale di scavo derivante da opere non
soggette ad AIA e/o VIA:
art. 41-bis, co. 1, lett. b) della L. 09/08/2013,
n. 98: “… i materiali non costituiscono fonte
di contaminazione diretta o indiretta per le
acque sotterranee …”
Del test di cessione non si tiene conto per il
riutilizzo dei materiali da scavo per opere soggette ad AIA o VIA, di cui al D.M. 10/08/2012,
n. 161.
Infatti l’Allegato 4, relativo all’accertamento
delle qualità ambientali dai materiali da scavo,
riporta:
“Il rispetto dei requisiti di qualità ambientale
di cui all’art. 184 bis, comma 1, lettera d), del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i. per
l’utilizzo dei materiali da scavo come sottoprodotti, è garantito quando il contenuto di
sostanze inquinanti all’interno dei materiali da
scavo sia inferiore alle Concentrazioni Soglia
di Contaminazione (CSC), di cui alle colonne
A e B Tabella 1 allegato 5, al Titolo V parte
IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e
s.m.i., con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica, o ai valori di fondo
naturali.”
Si ritiene, invero, che il test di cessione deve
essere effettuato anche per il riutilizzo dei materiale da scavo, di cui al D.M. n. 161/2012 in
quanto:
– l’art. 184-bis, co. 1, lett. d) del D.Lgs.152/06
prevede che l’utilizzo di un materiale come
sottoprodotto: “… non porterà a impatti
complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana” compresa la salvaguardia delle
acque sotterranee;
– essendo previsto per il materiale di scavo
derivante dalla realizzazione di opere “minori”, non potrebbe non valere per opere soggette ad AIA o VIA (ovvero per opere di
importanza “maggiore”);
– la legge n. 98 del 09/08/2013, oltre ad essere successiva al D.M. n. 161 del 10/08/2012,
è di rango giuridico maggiore.
19
VI CONGRESSO REGIONALE GEOLOGI DI SICILIA • 11-12-13 APRILE 2014 • SIRACUSA
Escursione al geosito “La Pillirina”
all’interno della riserva
dell’area marina protetta del Plemmirio
presso la Penisola della Maddalena
Grotta d’abrasione
marina sulle calcareniti
pleistoceniche.
20
Grotta di abrasione
marina nei calcari
pleistocenici
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Stratificazione
orizzontale nelle alcareniti
organogene
del Pleistocene medio
(pietra giuggiulena)
Piccola spiaggia
tra le calcareniti
pleistoceniche
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Falesia sulle calcareniti
pleistoceniche.
Da notare, sullo sfondo,
i blocchi rocciosi caduti
21 per erosione della falesia.
22
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Priolo Gargallo (SR) - Seminario di studio
ASPETTI TECNICI E PROCEDURALI
NELLA GESTIONE
DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO
DOPO IL DECRETO DEL “FARE”
Dott. Marcello Farina - A.R.P.A. Sicilia, Struttura Territoriale di Siracusa,
U.O. A.E.R.C.A., Coordinatore Settore Bonifiche siti contaminati
Il D.M. 161/2012 ha regolamentato gli aspetti tecnici e procedurali per una corretta gestione dei materiali da
scavo (MDS). La struttura portante del Regolamento sui MDS è costituita da un elaborato progettuale denominato Piano di Utilizzo (PDU), nel quale una parte rilevante è assunta dalla caratterizzazione ambientale dei MDS. Nel Regolamento sui MDS
viene fatta anche chiarezza su alcuni concetti quali le operazioni di normale pratica industriale, il piano di accertamento per la determinazione del fondo naturale dei suoli e la gestione dei MDS in siti contaminati. Più recentemente l’art. 41bis del Decreto del Fare, pur confermando implicitamente l’impalcatura tecnica del D.M. 161/2012, ha introdotto ulteriori semplificazioni procedurali per le opere non assoggettate
a VIS o ad AIA.Tale novità legislativa ha fatto sì che l’ARPA, già coinvolta in alcuni aspetti tecnici e procedurali del D.M. 161/2012, abbia adesso assunto un ruolo fondamentale nell’iter autorizzativo della procedura semplificata prevista dall’art. 41 bis del Decreto del FARE.
R I A S S U N TO
The Ministerial Decree 161/2012 has regulated the technical and procedural aspects for the proper management
of excavation materials (EM).The structure of the Regulations on EM consists of an elaborate project called Plan
Utilization (PU), in which a significant part is taken by the environmental characterization by EM.The Regulations on EM is also made clear
on some concepts such as the operations of normal industrial practice, the level of assessment for the determination of the natural background of soil and the management of EM in contaminated sites. More recently the art. 41bis of Law n. 98/2013, while confirming implicitly
framework of MD 161/2012, has introduced further procedural simplifications for the works not subject to VIA or AIA.This new legislation
has meant that ARPA, already involved in some technical and procedural aspects of the DM 161/2012, has now taken a leadership role in the
authorization of the simplified procedure provided by art. 41bis of Law n. 98/2013.
ABSTRACT
PREMESSA
Con precedente articolo è stata ampiamente trattata dall’Ing. Sole Greco la tematica inerente gli aspetti normativi sui materiali da scavo (MDS), passando
in rassegna l’evoluzione sino ad arrivare all’inquadramento attuale nel complesso ambito della problematica della gestione dei rifiuti. Questo articolo ne rappresenta la continuazione logica, avendo come obiettivo
quello di affrontare le tematiche prettamente tecniche
del regolamento sui MDS, contenute negli allegati del
DM 161/2012. Si tratterà anche delle semplificazioni
introdotte dal Decreto del “FARE”, e del ruolo preminente assunto dall’ARPA – ente che ho l’onore di rappresentare – nella qualità di soggetto deputato a valutare i requisiti previsti per le autocertificazioni ai sensi
dell’art. 41 bis del predetto Decreto.
LE LINEE GUIDA DEL REGOLAMENTO
SULLE TERRE E ROCCE DA SCAVO
Gli allegati del DM 161/2012 contengono, in maniera un po’ disorganica – caratteristica questa peculiare di
tutto il Regolamento – le linee guida tecniche e procedurali per una corretta gestione dei MDS. Tali linee
guida possono essere raggruppate in tre grandi famiglie:
Linee guida prescrittive di tipo tecnico:
All. 1 – Caratterizzazione ambientale dei materiali da scavo
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All. 2 – Procedure di campionamento in fase di
progettazione
All. 4 – Procedure di caratterizzazione chimico-fisiche
All. 5 – Piano di Utilizzo
All. 8 – Procedure di campionamento in fase
esecutiva
Linee guida descrittive:
All. 3 – Normale pratica industriale
All. 9 – Materiali di riporto di origine antropica
Linee guida procedurali per il tracciamento:
All. 6 – Documento di trasporto
All. 7 – Dichiarazione di avvenuto utilizzo
IL PIANO DI UTILIZZO
Il Piano di Utilizzo rappresenta senza dubbio il corpo
principale di tutta l’impalcatura del DM 161/2012. È
significativo il fatto che l’unico articolo (art. 5) e gli
allegati di pertinenza (allegati 1-2-3-4-5) del Piano di
Utilizzo costituiscano da soli, in termini di spazio, circa
il 70% dell’intero Decreto. Tale elaborato costituisce la
sintesi delle informazioni tecniche che vedono coinvolte almeno due figure professionali:
– Il Tecnico Progettista che fornisce le informazioni inerenti le attività di scavo (impronta dello
scavo, quantità in banco scavate, modalità di
scavo);
23
– Il Geologo che fornisce, mediante indagini dirette
o indirette, i dati litologici ed i dati ambientali.
5 l’ubicazione degli eventuali siti di deposito
intermedio in attesa di utilizzo;
Tale elaborato, secondo quanto previsto all’allegato 5, deve definire:
6) l’indicazione dei percorsi previsti per il trasporto dei MDS tra i diversi siti.
1) l’ubicazione dei siti di produzione con l’indicazione dei relativi volumi in banco;
2) l’ubicazione del sito di utilizzo e l’individuazione dei processi industriali dei MDS;
3) le operazioni di normale pratica industriale finalizzate a migliorare le caratteristiche dei MDS;
4) le modalità di esecuzione e le risultanze della
caratterizzazione ambientale dei MDS;
24
Relativamente ai punti 1), 2) e 5), per i diversi
siti devono essere fornite informazioni su inquadramento territoriale, inquadramento urbanistico, inquadramento geologico ed idrogeologico, descrizione
delle attività svolte sul sito, piano di campionamento ed analisi.
La “flow-chart” seguente illustra chiaramente le
procedure da seguire ed il ruolo preminente assunto
2014
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dal Piano di Utilizzo nel caso in cui, in seguito all’esecuzione di un’opera soggetta a VIA o AIA che comporti un’attività di scavo, si decida di riutilizzare il
materiale da scavo in un sito differente da quello di
produzione anziché destinare lo stesso a smaltimento
e/o recupero.
Ambientale, e la conformità dei suoli ai limiti normativi previsti dalla destinazione d’uso del sito di
utilizzo nel caso del Piano di Utilizzo. Vediamo quali
sono tali elementi
LA CARATTERIZZAZIONE
AMBIENTALE DEI MDS
1. Scavo areale: almeno 3 punti per aree <2500 mq,
3 punti + 1 ogni 2.500 mq per aree comprese tra
i 2500 e i 5000 mq, n. 7 punti + 1 punto ogni
10.0000 mq per aree superiori ai 10.000 mq.
Se il Piano di Utilizzo rappresenta il “corpo principale” del DM 161/2012, è altrettanto vero che la
caratterizzazione ambientale costituisce sicuramente il
“core” di tale elaborato. Sono infatti dedicati a tale
tematica ben 4 dei 5 allegati di pertinenza del Piano
di Utilizzo. Quella di convertire alle tematiche ambientali gli operatori del mercato edilizio e delle costruzioni civili rappresenta la grande novità introdotta dal
Decreto.
La caratterizzazione ambientale ha lo scopo di
accertare la sussistenza dei requisiti di qualità ambientale dei MDS e viene eseguita normalmente del proponente in fase progettuale, prima dell’inizio dello
scavo, secondo i criteri indicati all’allegato 2. Tuttavia la caratterizzazione ambientale può essere eseguita in corso d’opera dall’esecutore nel sito di utilizzo
– secondo i criteri indicati all’allegato 8 - anche nei
seguenti casi :
• Nel caso sia comprovata l’impossibilità di eseguire un’indagine ambientale propedeutica alla
realizzazione dell’opera da cui deriva la produzione dei MDS;
La maglia dei punti di indagine
(sistematica o ragionata)
2. Scavo lineare: n. 1 punto ogni 500 m di tracciato
o n. 1 punto ogni 2000 m nel caso di progettazione preliminare
3. Scavo in galleria:
3.1. In fase di progettazione: n. 1 sondaggio
ogni 1000 m di tracciato o n. 1 sondaggio
ogni 5.000 m nel caso di progettazione preliminare
3.2. In corso d’opera (dal fronte di avanzamento): all’inizio dello scavo e successivamente ogni 500 m, mediante sondaggio o prelievo dal fronte di scavo con un campione
composito costituito dalla miscelazione di
n. 8 campioni elementari
4. Scavi di sedimenti in ambiente acquatico: transetti, maglie e linee con caratteristiche geometriche
analoghe a quelle viste nei punti precedenti.
Tipologia di indagine
• Nel caso lo scavo avvenga con metodologie che
possano arrecare rischio di contaminazione per
l’ambiente (si ripete, in corso d’opera, la caratterizzazione).
1. Pozzetti esplorativi: preferibili, in quanto meno
invasivi e consentono una visione più completa
della stratigrafia
Nel caso di caratterizzazione in corso d’opera sono
previste, oltre alle verifiche da parte dell’esecutore,
anche verifiche per i controlli e le ispezioni eseguite
in contraddittorio dall’ARPA territorialmente competente, sia a completamento che durante la posa in opera
del materiale da scavo
Il piano di indagini per la verifica ambientale dei
MDS presenta gli stessi elementi caratteristici di un
Piano di Caratterizzazione redatto ai sensi del Titolo V parte IV del D. lgs. 152/06, anche se con le
dovute differenze legate alla differenza degli obiettivi prefissati che sono la ricostruzione del modello
concettuale nel caso del Piano di Caratterizzazione
3. Piezometri: laddove gli scavi interessino il terreno
saturo, nel qual caso si preleva anche un campione d’acqua
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2. Sondaggi a carotaggio continuo
Nel caso di sondaggi o piezometri, vanno scrupolosamente osservate tutte le prescrizioni indicate per
le operazioni di perforazione per indagini ambientali
e ben descritte nel “Protocollo generale per l’esecuzione delle indagini di caratterizzazione e di collaudo degli interventi di bonifica dei siti contaminati da
parte dei soggetti obbligati, ai sensi del D.lgs. 152/06
e s.m.i. e dell’Accordo di Programma per il Sito di
Interesse Nazionale di Priolo” (di seguito denominato Protocollo Priolo) redatto da ARPA, ISPRA e ISS
25
(settembre 2009). Citiamo quale esempi: la georeferenziazione e la quotatura dei punti d’indagine, il non
utilizzo di fluidi per la perforazione e per l’estrusione delle carote, l’esecuzione di manovre omogenee a
velocità controllata per evitare fenomeni di surriscaldamento e garantire il minimo disturbo ed un recupero ≥ 90%, la predisposizione del tubo di rivestimento del foro, la sigillatura del foro a perforazione
completata.
sita segnaletica, preferibilmente in prossimità delle
aree di scavo, o in aree esterne, presso il sito di
utilizzo finale o anche altre aree logisticamente
comode. Si formano cumuli di volume compreso
tra 3.000 e 5.000 mc, in funzione dell’omogeneità del materiale scavato o dell’eventuale caratterizzazione in fase progettuale. Il numero (m) dei
cumuli da campionare è dato dalla formula:
Modalità di campionamento dei MDS
Se n<m si caratterizzano tutti i cumuli (in pratica
quando n≤11). Oltre al numero sopra definito, dovrà
comunque essere caratterizzato il primo cumulo
prodotto dallo scavo e tutte le volte che si riscontrino evidenze organolettiche di contaminazione o
variazioni di litologia. Il campionamento è effettuato sul materiale tal quale, in modo da ottenere un
campione rappresentativo secondo la norma UNI
10802. Dal cumulo da caratterizzare si prelevano 8
campioni elementari (4 in profondità e 4 in superficie) al fine di ottenere un campione composito dal
quale si ricavano, per riduzione volumetrica
mediante quartatura, i campioni da laboratorio.
1. Pozzetti esplorativi: si suggerisce di adottare da
protocollo APAT per pareti e fondo scavo
(http://www.isprambiente.gov.it/files/temi/propostamodifica-protocollo-operativo-rev07-nov06.pdf)
ovvero:
1.1. per il fondo scavo, ogni cella litologicamente
omogenea di superficie ≤ 100 mq n. 1 campione composito ottenuto dalla miscelazione
di n. 10 campioni elementari;
1.2. per ogni singola parete di scavo, ogni cella
litologicamente omogenea di superficie ≤ 50
mq n. 1 campione composito ottenuto dalla
miscelazione di n. 5 campioni elementari;
1.3. Eventuali altri campioni rappresentativi di evidenze organolettiche e/o strumentali di contaminazione ovvero della presenza di rifiuti o di
materiali di riporto (campionamenti puntuali)
nonché di variazioni litologiche
2. Sondaggi a carotaggio continuo: In generale vengono prelevati, da intervalli statigrafici di 1 m:
2.1. Nel caso di scavi > 2m:
2.1.1. Un campione rappresentativo del primo
metro
2.1.2. Un campione rappresentativo della zona
di fondo scavo
2.1.3. Un campione intermedio tra i due campioni precedenti
2.2. Nel caso di scavi <2 m: si prende un campione per ciascun metro di profondità
2.3. Eventuali altri campioni rappresentativi di evidenze organolettiche e/o strumentali di contaminazione ovvero della presenza di rifiuti o di
materiali di riporto (campionamenti puntuali)
nonché di variazioni litologiche
3. Campionamenti da cumuli: Sono eseguiti esclusivamente nella caratterizzazione in corso d’opera.
Vengono predisposte piazzole impermeabilizzate,
opportunamente distinte ed identificate con appo26
m=k*n1/3
dove
k=5
n = n° totale dei cumuli
Formazione dei campioni
Anche in questo caso vanno scrupolosamente osservate indicate tutte le prescrizioni indicate per la decontaminazione delle attrezzature – al fine di evitare fenomeni di “cross-contamination” – e descritte nel
Protocollo Priolo. Tra queste citiamo: il trasferimento dei campioni in un contenitore a 4° e inviato entro
24 h al laboratorio; l’utilizzo di attrezzature caratterizzate da materiali e modalità costruttive tali da non
modificare le caratteristiche delle matrici ambientali e
la concentrazione dei contaminanti; l’assenza di perdite di oli/lubrificanti e altre sostanze dalle attrezzature utilizzate; la predisposizione di un’area delimitata e impermeabilizzata per la decontaminazione delle
attrezzature; la decontaminazione, usando acqua dell’acquedotto o analizzata chimicamente, alla fine di
ogni perforazione degli attrezzi ed utensili utilizzati
in superficie e ad ogni manovra degli attrezzi e gli
utensili utilizzati in profondità nel perforo.
Vi sono due modalità di formazione del campione:
1. Formazione del campione di suolo per l’analisi dei
composti non volatili: Si utilizzano le carote prelevate e disposte nelle cassette catalogatrici o i singoli incrementi prelevati dalle pareti e dal fondo
dello scavo o dal cumulo. La formazione del cam2014
numero unico
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pione avviene su un telo di materiale impermeabile (PE), in condizioni tali da evitare la variazione
delle caratteristiche e la contaminazione del materiale. Il materiale che entra nella formazione del
campione deve essere omogeneizzato sul telo
impermeabile e prelevato sulla base dei metodi di
quartatura per ottenere un campione rappresentativo dell’intero strato individuato. Vengono scartati
in campo, dopo la quartatura, sia i materiali estranei (pezzi di vetro, rami, foglie) che i ciottoli con
diametro > 2 cm. Nel caso di campionamento in
contraddittorio con ARPA, il campione è suddiviso
in tre aliquote: una per l’analisi da condurre ad
opera del proponente/esecutore, una per l’Ente di
controllo (ARPA) ed una da conservare a carico del
proponente/esecutore, con modalità adeguate, per un
eventuale contraddittorio. Le tre aliquote sono suddivise e introdotte in contenitori puliti (vasetti di
vetro), sigillati individualmente e contrassegnati
esternamente con un codice identificativo di punto
di prelievo, intervallo di profondità, data e ora del
confezionamento, firma dell’addetto.
2. Formazione del campione di suolo per l’analisi dei
composti volatili: Il campione deve essere formato immediatamente dopo la deposizione della carota nella canaletta, prima di procedere alle altre operazioni (descrizione carote, formazione dei
campioni per l’analisi dei composti non volatili).
Devono essere inoltre ridotti i tempi di esposizione all’aria per limitare la volatilizzazione. Viene
formata una sola aliquota, nel caso in cui ARPA
non richieda la seconda. Con una paletta/spatola in
acciaio inox opportunamente decontaminata vengono prelevate porzioni di terreno, selezionando
casualmente alcuni settori su tutta la lunghezza
della carota. Il terreno prelevato deve essere immediatamente inserito in un contenitore di vetro, o
una vial, con tappo in teflon, di volume adeguato;
il contenitore deve essere immediatamente sigillato. La tecniche appena descritta spesso non permette di ottenere risultati analitici affidabili a causa
delle perdite imputabili all’elevata volatilità del
contaminante ed all’interazione con il contenitore.
Si preferisce pertanto la adozione di tecniche
(ASTM D4547/91, EPA 5035/97) che permettono
di recuperare il campione direttamente all’interno
delle vial utilizzate per le analisi chimiche: in pratica viene prelevata dal cuore della carota una piccola aliquota di terreno mediante un sub-campionatore costituito da una siringa in plastica, ed il
terreno viene poi estruso all’interno della vial.
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2014
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Set analitico: L’elenco delle sostanze da ricercare
viene definito in funzione di attività antropiche pregresse svolte sul sito o in aree limitrofe, eventuali pregresse contaminazioni, eventuali anomalie del fondo
naturale, inquinamento diffuso e possibili apporti legati all’esecuzione dell’opera. Le metodiche analitiche
devono garantire un limite rilevabilità strumentale non
superiore ad 1/10 dei limiti normativi. Per la scelta
dei parametri da ricercare si può operare nel modo
seguente:
1. Elenco standard: La tabella 4.1 inclusa nell’allegato 4 fornisce un elenco minimale (obbligatorio per
volumi si scavo <6.000 mc) costituito dalle seguenti sostanze: metalli (arsenico, cadmio, cobalto,
cromo totale, cromo VI, mercurio, nichel, piombo,
rame e zinco), THC>12, amianto e, nel caso di
aree a distanza <20 m da infrastrutture viarie a
grande comunicazione e di insediamenti che possono aver influenzato le caratteristiche del sito
mediante ricaduta delle emissioni in atmosfera,
anche BTEXS ed IPA.
2. Sostanze indicatrici: Per volumi di scavo compresi tra 6.000 e 150.000 mc, il proponente può scegliere solo alcune sostanze indicatrici tra quelle
sopra descritte.
3. Colonna A della tabella 1 allegato 5 Titolo V parte
IV: Nel caso di nuove attività di riempimenti e
reinterri (ad es. ritombamenti di cave) in condizioni di falda affiorante o subaffiorante (un metro di
franco dalla massima escursione), dovranno essere cautelativamente ricercate tutte le sostanze previste dalla normativa sui siti contaminati, utilizzando comunque i limiti previsti per i siti a
destinazione d’uso residenziale.
4. Short list Protocollo Priolo: La tabella 4.1 dell’allegato 4 costituisce un elenco minimale. L’allegato 4 prevede però “…che la lista delle sostanze da ricercare può essere modificata ed estesa
in accordo con l’Autorità competente in considerazione delle attività antropiche pregresse...”.
ARPA richiede pertanto di includere anche quelle sostanze individuate con le metodiche analitiche adoperate per ricercare i parametri di cui alla
tabella 4.1. Prendendo quale riferimento la “short
list” inclusa nel Protocollo Priolo, dovrebbero
essere ricercati, ad integrazione della tabella 4.1,
anche i seguenti restanti parametri: metalli (antimonio, berillio, selenio, stagno, tallio, vanadio),
THC<12, alifatici clorurati cancerogeni e non, alifatici alogenati.
27
Accertamento della qualità ambientale dei
MDS: I risultati delle analisi di caratterizzazione vengono confrontati con le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) delle colonne A e B della Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V Parte IV del D.lgs.
152/06, in funzione della destinazione d’uso del sito
di utilizzo. Sulla base di tale confronto, i MDS sono
riutilizzabili per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, ripascimenti, interventi in mare, miglioramenti fondiari o viari o altre forme di ripristino e miglioramento ambientali, per sottofondi e anche nei processi
industriali in sostituzione dei materiali da cava:
In qualsiasi sito se la concentrazione degli inquinanti è < alla CSC della colonna A
In siti a destinazione produttiva (commerciale/industriale), se la concentrazione degli inquinanti è
compresa tra la CSC della colonna A e quella della
colonna B
Occorre sottolineare altresì sottolineare che, ove
vengano riscontrate concentrazioni > alla CSC relativa alla destinazione d’uso del sito di produzione, i
28
MDS non sono comunque riutilizzabili ed inoltre deve
essere attivata la procedura di bonifica prevista per i
siti contaminati (art. 242 del D.lgs 152/06). Il Regolamento prevede tuttavia all’art.5 comma 4 che: “…nel
caso in cui la realizzazione dell’opera interessi un sito
in cui, per fenomeni naturali, nel materiale di scavo
le concentrazioni, superino le CSC di cui alle colonne A e B ...., è fatta salva la possibilità che le concentrazioni ...vengano assunte pari al valore di fondo
naturale esistente per tutti i parametri considerati. A
tal fine, in fase di predisposizione del Piano di Utilizzo, il proponente segnala il superamento di cui
sopra all’Autorità competente, presentando un piano
di accertamento per definire i valori di fondo da assumere. Tale piano è eseguito in contraddittorio con
l’ARPA ....”. In tal caso i materiali da scavo sono riutilizzabili nello stesso sito di produzione o in altro sito,
a condizione che non vi sia un peggioramento della
qualità ambientale e che tale sito sia nel medesimo
ambito territoriale del sito di produzione.
Le procedure sopra descritte possono essere meglio
comprese nella seguente flow-chart.
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numero unico
gdiS
Il piano di accertamento per la determinazione
del fondo naturale: Ha lo scopo di dimostrare che le
aree in cui si riscontrano superamenti delle CSC dei
metalli non siano mai state oggetto di attività antropiche impattanti che possano aver condotto ad una
contaminazione da metalli nel terreno. Viene pertanto eseguito uno studio che dimostri che la presenza
di metalli nel terreno in concentrazioni superiori alle
CSC sia da attribuire alla presenza naturale di tali
metalli nel terreno. Il documento di riferimento è il
Protocollo APAT-ISS del giugno 2006 scaricabile al
link http://www.iss.it/binary/suol/cont/PROT_VALORI FONDO_06.pdf. Per una migliore comprensione
della problematica è necessario alcune importanti definizioni:
Contenuto naturale pedo-geochimico (ISO 19258):
“concentrazione di sostanze nei suoli, risultante da
processi naturali geologici e pedologici, senza
alcuna interferenza di origine antropica”
Caratteristiche statistiche (ISO 19258): “parametro
statistico scelto per rappresentare la distribuzione
delle concentrazioni; ad esempio il 90° percentile”
Valori di fondo naturale (ISO 19258): “caratteristiche statistiche del contenuto naturale pedogeochimico di una sostanza nei suoli”
Le fasi dello studio sono analoghe a quelle di un
normale Piano di Caratterizzazione. Avremo pertanto:
1. Raccolta ed analisi dei dati esistenti: Ha come
obiettivo la definizione dell’assetto geologico dell’area ed una prima ricostruzione della composizione geochimica dei terreni.
2. Sopralluogo e rilievo geologico e geomorfologico in sito: Viene eseguito un rilievo di campo al
fine di individuare aree esterne al sito di produzione (potenzialmente contaminato), ma che
abbiano caratteristiche geologiche e geomorfologiche confontabili e distribuzione delle concentrazioni di metalli/metalloidi non riconducibile ad
alcuna sorgente puntuale attiva nel presente o nel
passato.
3. Costituzione del set di dati: Nelle aree individuate come rappresentative vengono ubicati, con
maglia possibilmente sistematica, i punti di indagine. Per una elaborazione statistica affidabile è
necessario prelevare da 10 a 30 campioni per ogni
strato litologicamente omogeneo. Nelle analisi di
laboratorio dovranno essere ricercati, oltre ai
metalli che presentano superamenti delle CSC,
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numero unico
anche i metalli che possono avere concentrazione
correlabili tra loro (es. rame ed arsenico) nonché
i parametri caratteristici del terreno che influenzano la mobilità e le reazioni chimiche del metallo
con la matrice suolo (tessitura, peso specifico, pH
e potenziale redox dell’acqua interstiziale, TOC,
capacità di scambio cationico, contenuto totale in
Fe ed Al)
4. Elaborazione statistica dei dati: Dopo un’analisi
preliminare del set di dati al fine di individuare
eventuali “non detect” e “outliers”, si sceglie il
descrittore numerico e la rappresentazione grafica
che meglio rappresenta la distribuzione dei dati.
5. Determinazioni dei valori di fondo: Nel Protocollo APAT-ISS è stato individuato quale valore di
fondo naturale il 95° percentile della curva cumulativa di frequenza.
OPERAZIONI DI NORMALE
PRATICA INDUSTRIALE
Una novità importante introdotta dal DM 161/2012
(art. 4 comma 1 lettera c) riguarda la possibilità di
sottoporre i MDS a quei trattamenti che rientrano nelle
“normale pratica industriale”. Questi vengono esplicitamente definiti all’allegato 3 come “…quelle operazioni, alle quali può essere sottoposto il MDS, finalizzate al miglioramento delle sue caratteristiche
merceologiche per renderne l’utilizzo maggiormente
produttivo e tecnicamente efficace…”. Rientrano in
tale fattispecie:
La selezione granulometrica
La riduzione volumetrica mediante macinazione
La stabilizzazione a calce, cemento o altra modalità che migliori le caratteristiche geotecniche, concordata preventivamente con ARPA in fase di redazione del Piano di Utilizzo
La stesa al suolo per consentire l’asciugatura e la
maturazione al fine di conferire al materiale migliori caratteristiche di movimentazione, l’umidità ottimale e favorire la biodegradazione naturale degli
additivi utilizzati nelle operazioni di scavo
La riduzione degli elementi antropici (frammenti
di vetroresina, cementiti, bentoniti) eseguita sia a
mano che con mezzi meccanici, qualora questi
siano riferibili alle necessarie operazioni per la esecuzione dello scavo
29
GLI SCAVI IN SITI CONTAMINATI
I valori delle CSC segnano il confine tra terreni
“puliti” (conformi) e terreni “sporchi” (potenzialmente contaminati). Nel caso di superamenti delle CSC
della destinazione d’uso del sito di produzione, il
D.M. 161/2012 prevede la possibilità che i materiali da scavo possano essere riutilizzati solo nel caso
venga dimostrato che tali valori siano inferiori al
“fondo naturale” (previa esecuzione di un Piano di
Accertamento in contradditorio con ARPA). Se i
superamenti delle CSC non possano essere attribuiti al “fondo naturale”, viene avviato il procedimento ex art. 242 del D. Lgs. 152/06. In tal caso, sono
esclusi dalla possibilità di riutilizzo come sottoprodotti i terreni bonificati con analisi di rischio sitospecifica, ovvero con valori inferiori alle CSR ma
30
superiori alle CSC. Pertanto tali materiali, se scavati, dovranno essere gestiti e smaltiti come rifiuti. In
un sito soggetto ad interventi di bonifica, per la separazione tra le aree conformi e quelle contaminate o
potenzialmente contaminate si adottano criteri di tipo
geostatistico o geometrico. Il metodo usato più comunemente è quello dei “Poligoni di Thyssen”, che vengono costruiti nel modo seguente (vedi figure sottostanti):
I punti d’indagine sono considerati centroidi
Si tracciano le linee rette che uniscono un centroide ai centroidi più vicini
A metà di tali rette se ne tracciano altre ad esse
perpendicolari
L’incontro delle perpendicolari crea un poligono
attorno al centroide.
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gdiS
L’art. 5 comma 5 del DM 161/2012 prevede che:
“Nel caso in cui il sito di produzione interessi un
sito oggetto di interventi di bonifica…i requisiti di
cui all’art. 4, comma 1, lettera d), sono individuati dall’ARPA…”;
“…L’ARPA, entro 60 giorni…comunica al proponente se per i MDS… i valori riscontrati per tutti
gli elementi e i composti di cui alla Tabella 1 dell’allegato 5, alla pate IV^ del D. lgs. 152/06 non
superano le CSC di cui alle colonne A e B della
medesima Tabella 1 sopra indicata, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica
del sito di destinazione indicata nel Piano di Utilizzo...;
… In caso di esito positivo, il proponente può presentare il Piano di Utilizzo…”
Una disamina superficiale dell’art. 5 comma 5 porterebbe a pensare che anche i terreni provenienti da
operazioni di bonifica possano essere riutilizzati in
altri siti come sottoprodotti. Ai fini del pronunciamento di ARPA, nel caso di siti oggetto di intervento di
bonifica, si possono verificare due diverse situazioni:
1. Le terre e rocce provengono da un sito con bonifiche in corso o già bonificato ma non sono
direttamente collegate alla stessa opera di bonifica: sono unanimemente considerate come riutilizzabili se conformi alle CSC del sito di utilizzo, in quanto si tratta di terreni non
contaminati che vengono scavati per poter accedere ai “poligoni” contaminati o perché devono comunque essere rimossi durante gli scavi
di costruzione
2. Le terre e rocce da scavo che si intendono riutilizzare provengono direttamente dalle operazioni di bonifica: l’unico caso teoricamente plausibile di utilizzo è quello della “forchetta” tra i
limiti delle colonne A e B della Tabella 1, ovvero l’utilizzo in un sito a destinazione commerciale/industriale delle terre e rocce da scavo provenienti da un sito a destinazione
residenziale/verde, con concentrazioni di contaminanti superiori alla colonna A ma inferiori
alla colonna B
Sulla riutilizzabilità delle terre e rocce aventi concentrazioni comprese nella “forchetta” tra i limiti delle
colonne A e B della Tabella 1, non vi è univocità di
interpretazione tra le varie ARPA. Una chiave di lettura per una corretta interpretazione della problematica ci viene fornita:
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dalla definizione di “opera” (Art. 1 comma1): “…il
risultato di un insieme di lavori di costruzione,
demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro,
manutenzione, che di per sé esplichi una funzione
economica o tecnica ai sensi dell’art.3 comma 8
del D.lgs. 163/2006
dalle condizioni chimico-ambientali necessarie perché il terreno sia considerato come sottoprodotto
(art. 5 comma 3): “…che le concentrazioni di elementi e composti di cui alla tabella 4.1 dell’allegato 4 del presente regolamento non superino le
CSC di cui alle colonne A e B…del D.lgs
152/06...con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di produzione e del
sito di destinazione…”.
Si desume quindi la non riutilizzabilità delle terre
e rocce aventi concentrazioni comprese nella “forchetta” tra i limiti delle colonne A e B della Tabella 1 in quanto le attività di bonifica non possono
essere considerate come opere ai sensi dell’art.3
comma 8 del D.lgs. 163/2006 ed i terreni asportati dalla bonifica sono per definizione non conformi alla destinazione d’uso e quindi non è possibile ipotizzare un reimpiego degli stessi senza il
preventivo passaggio alla categoria giuridica dei
rifiuti. Tale interpretazione è confermata da un
parere ISPRA del 05/02/2013: “…Qualora le terre
e le rocce vengano utilizzate al di fuori del sito di
produzione dovranno essere rispettati i seguenti
requisiti:
Le terre e rocce rispettano le CSC con riferimento sia al sito di produzione che a quello di
destinazione e…provengano da subaree non
contaminate o sottoposte a…bonifica per fasi
concluse…
Le terre e rocce da scavo sono riferibili alla
realizzazione di un’opera
Le terre e rocce sono interamente utilizzate
secondo quanto previsto nel Piano di Utilizzo
approvato dall’autorità competente
In presenza di riporti…, il materiale di origine
antropica (da caratterizzarsi secondo le metodiche specifiche per i rifiuti) non supera il 20%
in massa
L’utilizzo delle terre e rocce non pone rischi in
termini di contaminazione delle acque sotterranee (utilizzo del test di cessione…e confronto
con i limiti del DM 05/02/98…)
31
IL RUOLO DELL’ARPA
Sia il D.M. 161/2012 che la Legge 98/2013 attribuiscono all’ARPA ruoli specifici, per alcuni dei quali è
previsto che i costi delle attività svolte a carico del soggetto proponente. Vediamo di esaminarle in dettaglio:
DM 161/2012
Espressione di pareri tecnici su:
Piano di Utilizzo (art. 5 commi 3 e 10), su motivata richiesta dell’Autorità competente e con
costi a carico del proponente
Piano di Accertamento (art. 5 comma 4), su
richiesta del proponente e con costi a carico
dello stesso
Riutilizzo da siti in bonifica (art. 5 comma 5),
su richiesta del proponente e con costi a carico dello stesso
Analisi di validazione delle attività sopra
descritte nonché eventuali analisi integrative
Su interventi di stabilizzazione a calce, cemento o altro nel MDS
Ispezioni in campo con o senza prelievo di campioni: Poiché il Regolamento sui MDS si configura come una normativa specifica nel settore dei
rifiuti, le attività ad esso connesse potranno essere oggetti di controlli da parte dei vari organi di
vigilanza, compresa ovviamente l’ARPA, che potrà
prevedere controlli di propria iniziativa ovvero supportare, come spesso accade, altri organismi di controllo, in primis le Province Art. 14). Il controllo
è poi obbligatorio nel caso di caratterizzazione in
corso d’opera (allegato 8 parte B). Per queste attività di controllo non è previsto il pagamento da
parte del soggetto proponente, ma è invece previsto (art. 15, comma 2 del DM 161/2012) che siano
parzialmente finanziate proprio dagli introiti derivanti all’ARPA dalle attività svolte a pagamento
previste dall’art. 5 del Regolamento e descritte nei
punti precedenti.
Analisi di validazione: in tutti i quei casi, sopra
descritti, in cui è stata eseguita un’attività di prelievo campioni in contraddittorio.
Legge 98/2013
L’art. 41bis comma 2 prevede che il proponente o
il produttore attesti, mediante una “autocertificazio32
ne” (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai
sensi del DPR 445/2000) da presentare all’ARPA
territorialmente competente, il rispetto dei 4 requisiti
previsti al comma 1, ovvero:
la destinazione di riutilizzo dei MDS certa e determinata, anche presso più siti;
rispetto delle CSC del sito di destinazione ed
assenza di pericolo di contaminazione per le acque
di falda;
in caso di destinazione ad un successivo ciclo di
produzione, assenza di rischi per la salute o variazioni negative delle emissioni rispetto al normale
utilizzo delle materie prime;
i MDS non siano sottoposti a preventivi trattamenti fatta eccezione per la normale pratica industriale.
È inoltre previsto al comma 3 che venga presentata la Dichiarazione di Avvenuto Utilizzo alle ARPA
territorialmente competenti sia per il sito di produzione che per quello di utilizzo.
ARPA Sicilia ha predisposto una schema di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà disponibile al link
http://www.arpa.sicilia.it/news.jsp?ID_NEWS=1263&
areaNews=6&GTemplate=default.jsp.
Tale modulo consta di n. 5 sezioni in cui vanno
riportati i dati rispettivamente del proponente (sezione n.1), del sito di produzione (sezione n.2), dell’eventuale sito di deposito intermedio (sezione n.3), del
sito di destinazione (sezione n.4), dei tempi previsti
per l’utilizzo (sezione n.5).
L’utilizzo di uno specifico modulo non è un obbligo per i proponenti, ma l’adozione omogenea di
modalità uniformi rappresenta un riferimento utile per
le imprese e consente ad ARPA una più efficace gestione dei contenuti delle dichiarazioni.
Il controllo da parte di ARPA viene organizzato in
due fasi:
controllo a campione ai fini della verifica di veridicità delle dichiarazioni
approfondimento documentale ed eventualmente
anche ispettivo in campo sulle dichiarazioni che
presentino elementi di rischio per l’ambiente più
rilevanti.
Pur non essendo previsto dalla norma – che comunque ricalca la procedura fissata nel DM 161/2012 - si
ritiene che ARPA dopo l’attività di controllo dovrà
comunicare il suo parere all’Amministrazione presso
la quale il materiale verrà collocato.
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IL SISTEMA MIP
PER LA MAPPATURA DEI COV
Giuseppe Giaramida - Giuseppe Prosperi, Geologi ambientali
Il Sistema MIP (Membrane Interface Probe) è una tecnica di rilevamento diretto, concepita per indagare il sottosuolo, e fornisce informazioni sulla localizzazione di contaminanti volatili, sulla valutazione delle loro concentrazioni, nonché sulla caratterizzazione della litologia. Il sistema MIP è un potente strumento in grado di individuare sia i contaminanti clorurati che i contaminanti non clorurati volatili nei terreni saturi o insaturi, come gas interstiziale, assorbito, disciolto o in prodotto in fase libera.
R I A S S U N TO
Membrane Interface Probe(MIP) is a direct measurement equipment designed to investigate shallow soil and
groundwater. It provides data about Volatile and Semi-Volatile Organic Compounds (SVOCs –VOCs) presence
and position, an evaluation of their concentration into soil and groundwater, and finally an evaluation of site lithology. MIP has been useful to
find chlorinated and non-chlorinated compounds at the site shallow soils and groundwater, evaluating gas, dissolved and non-acquous-phaseliquid phases.
ABSTRACT
1. INTRODUZIONE E PRESENTAZIONE
DELLA TECNOLOGIA
Il Sistema MIP (Membrane Interface Probe) è una
tecnica di rilevamento diretto del sottosuolo.
Il MIP è una tecnologia direct push, utilizzata con
particolari sonde con avanzamento a percussione o
rotazione, che fornisce in tempo reale dati semiquantitativi sulla distribuzione di Composti Organici Volatili (COV) nel terreno. La sonda MIP è equipaggiata con una membrana porosa di politetrafluoroetilene
fissata su un piatto di acciaio che viene riscaldato a
temperature comprese tra 90 °C e 120 °C. Il calore
volatilizza i composti organici presenti nel suolo e
nelle acque a contatto con la punta. I COV passano
attraverso la membrana per diffusione seguendo un
gradiente di concentrazione. Una volta che il composto è passato attraverso la membrana, viene prelevato da un gas carrier (azoto) che lo trasferisce in superficie dove viene analizzato attraverso i seguenti
sensori:
• un fotoionizzatore (PID) per misurare composti aromatici;
• uno strumento di cattura degli elettroni
(DELCD) per misurare i composti organoclorurati volatili.
In aggiunta alla membrana ed al riscaldatore, il
MIP è equipaggiato con un dipolo che misura la conducibilità elettrica (EC) del suolo e di qualsiasi fluido nel suolo in milliSiemens per metro (mS/m). Analizzando la variabilità delle proprietà elettriche dei
vari livelli geologici, la registrazione della conducibilità elettrica può fornire una buona indicazione dei
cambiamenti stratigrafici in molti ambienti (Schulmeister et al., 2003). Lo strumento è anche dotato di termocoppia, in grado di fornire in tempo reale la tem-
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peratura della sonda, e di misuratore della velocità di
avanzamento della sonda direct push nel terreno che
fornisce un’idea indicativa della densità del suolo
attraversato.
L’applicazione qui presentata ha previsto la mappatura dei COV, all’interno di uno stabilimento farmaceutico attivo, tramite l’esecuzione di 33 prospezioni del sottosuolo con il sistema MIP fino alla
profondità di 6 metri; per ogni punto d’indagine è stato
eseguito il rilevamento dei seguenti parametri in funzione dell’avanzamento della sonda:
• Segnale rilevatori FID, PID e DELCD;
• Conducibilità elettrica del suolo;
• Velocità d’avanzamento della sonda;
• Temperatura della sonda.
Sulla scorta dei dati raccolti, sono stati elaborati
dei profili relativi ai parametri sopra elencati in funzione della profondità.
2. RISULTATI OTTENUTI
I punti di indagine MIP sono stati previsti in specifiche aree al fine di caratterizzare l’area potenzialmente contaminata. Per ciascuna verticale sono state
raccolte le risposte dei sensori FID, PID, DELCD,
conducibilità, oltre che velocità di avanzamento e temperatura; i dati sono stati analizzati attraverso software specifico. L’analisi dei dati ha permesso di ricostruire sia l’andamento stratigrafico che la
distribuzione nel sottosuolo delle molecole contaminanti (nel caso specifico, solventi clorurati).
In figura 1 viene riportato un esempio di carte
tematiche che analizzano le risposte del rilevatore FID
ogni 0,5 m.
33
Fig. 1. Il caso studio con alcuni esempi di risposta MIP
Fig. 2. Sezione MIP con risposta del sensore FID
34
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Attraverso le carte tematiche è stato
possibile suddividere la superficie dello
stabilimento in due sottoaree caratterizzate da attività differenti. L’Area Operativa (AO) dello stabilimento, con concentrazioni maggiori dei contaminanti
riscontrati, e l’Area con il sistema di
Depurazione (AD) che presentava concentrazioni sensibilmente inferiori.
Il sottosuolo di ciascun area è stato
suddiviso in orizzonti di 50 cm di potenza, in modo da poter meglio valutare la
risposta del rilevatore FID.
La Figura 2 riporta un esempio di carte
tematiche che presentano le risposte verticali del FID lungo alcuni transetti.
Infine in Figura 3 viene riportata un
esempio di vista tridimensionale, secondo diverse angolature, delle anomalie
riscontrate dal rilevatore FID. Ogni
superficie corrisponde alle zone con
risposta con uguale valore di ÌV.
Dall’analisi delle carte tematiche si è
potuto risalire alla distribuzione reale
delle sorgenti secondarie di contaminazione, informazione che si è rilevata fondamentale per la definizione del modello concettuale preliminare del sito, la
progettazione delle successive indagini e
per la successiva individuazione della
miglior strategia di bonifica.
3. CONSIDERAZIONI
CONCLUSIVE
Fig. 3. Ricostruzione tridimensionale degli orizzonti di sottosuolo contaminati.
Il sistema MIP si è dimostrata una tecnologia semplice ed efficace per la determinazione della natura
dei contaminanti rilevati e della concentrazione nel
sottosuolo secondo un approccio semi-quantitativo.
Inoltre, il sistema si è rivelato utile anche per l’acquisizione di indicazioni sulla natura geologica dell’area, attraverso i valori di conducibilità e velocità
d’avanzamento.
A complemento delle attività si è proceduto con
l’elaborazione dei dati acquisiti eseguendo interpolazioni orizzontali e verticali, al fine di ottenere una
rappresentazione tridimensionale delle caratteristiche
del sottosuolo. Tale elaborazione ha permesso di circoscrivere le aree del sottosuolo contaminate, di
valutare la direzione di dispersione della contami-
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nazione, di definire un piano caratterizzazione dell’area, incluso campionamento di terreni ed acque
sotterranee, già mirato alle aree interessate da contaminazione.
L’utilizzo del MIP in aree di dimensioni ragguardevoli, quindi, è una valida tecnica per l’esecuzione
di uno screening preliminare del sottosuolo (stato di
contaminazione, stratigrafia superficiale, presenza di
acque di falda) e l’acquisizione di dati utili a focalizzare, successivamente, l’esecuzione dei carotaggi a
quelle aree di cui si conosce già lo stato di contaminazione e che quindi necessitano l’acquisizione di dati
analitici qualitativi ai sensi della normativa vigente in
tema di bonifica di siti contaminati (Testo Unico
Ambiente, D.Lgs 152/06 e s.m.i.).
35
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L’IMPORTANZA DEL MODELLO GEOLOGICO
E GEOSTRUTTURALE
NEGLI STUDI GEOMECCANICI
Orazio Barbagallo – Docente a contratto di Geologia Applicata corso AGRINA – Università di Messina – [email protected]
This paper describes the methods used for a back analysis relating to a landslide on a limestone cliff in the
town of Praia a Mare, Calabria. The study shows that the landslide occurred, despite an earlier consolidation
of the slope, because the design was developed to prevent the fall of the indi-vidual blocks of rock while the landslide covered the
whole slope. The failure of the project, in the opinion of the author, was due to a lack of preliminary studies to preparing the correct
design choices. In particular the absence of a detailed and reliable geological and geostructural models of the rock mass, together with
the failure to perform analyzes aimed at the recognition the possible breaking processes, in connection with the resistance values and
the degrees of freedom of the cluster, have influenced the design choices that have demonstrate to be not consistent to the actual conditions of hazard of the rocky escarpment.
ABSTRACT
PREMESSA
In data 21/01/2013 sulla scarpata rocciosa che delimita a monte un
villaggio Turistico a Praia a Mare
(CS), è avvenuto un ampio evento
franoso che ha coinvolto alcune
strutture ricettive presenti nella
zona a valle.
Su incarico della Società proprietaria del Villaggio è stato eseguito
uno studio geologico e geostrutturale per la predisposizione ed il
dimensionamento delle opere di
consolidamento e di mitigazione del
rischio dell’area in frana. A tale
scopo sono state effettuate una serie
di indagini, comprendenti dei rilievi in parete del grado di fratturazione della roccia, oltre ad alcune prove
in sito e di laboratorio, atte alla
caratterizzazione geomeccanica e
geotecnica dell’ammasso roccioso.
DESCRIZIONE DEI LUOGHI
E DELL’EVENTO FRANOSO
Il dissesto si è sviluppato su di
una falesia dolomitico-calcarea
subverticale, allungata in direzione
NNE-SSW, ubicata nei pressi di
Praia a Mare, lungo la costa nordoccidentale della Calabria, quasi al
confine con la Lucania. Si tratta di
una scarpata che rappresenta l’elemento di collegamento tra la pianura antistante la spiaggia e un
ampio terrazzo costiero che raccor-
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Figura 1 - Danni alla discoteca del villaggio.
da il litorale con i rilievi collinari
che sorgono ad oriente. Quest’ultimi si distinguono per l’affioramento di corpi carbonatici su cui si
riscontra l’esistenza di terrazzi di
abrasione di origine marina di
diverso ordine, frutto del generale
fenomeno di sollevamento che ha
interessato tutto il settore litorale
calabro durante il quaternario.
37
pervasive che condizionano una
differente risposta, sia in termini di
resistenza meccanica che di stabilità globale dell’ammasso e dei singoli blocchi rocciosi.
Sono state così individuate, in
corrispondenza dell’area in frana,
due differenti zone di omogeneità
costituite da porzioni dell’ammasso sensibilmente diversificate in
funzione dell’assetto strutturale e
del grado di fratturazione della roccia, suddivise da un piano di taglio
verticale ben visibile in affioramento, assimilabile ad una faglia diretta con assetto ENE-WSW.
Zona di omogeneità A
Figura 2 - Residence danneggiato dal crollo.
La falesia che possiede un’altezza variabile tra i 30 e i 40 m con
pendenze rivolte ad ovest, è solcata da numerosi talwegs che formano dei canaloni trasversali che
interrompono la sua continuità e
raccolgono le acque meteoriche
provenienti dai rilievi collinari che
sorgono ad oriente, convogliandole
in direzione ovest verso la sottostante pianura alluvionale.
Dal punto di vista geologico le
rocce che formano la scarpata sono
composte da dolomie a grana fine
e da calcari ricristallizzati di colore grigio scuro di età Triassica. Si
tratta di rocce disposte in livelli ben
stratificati cui si associano fasce
intensamente fratturate nelle quali
l’ammasso è trasformato in una
vera e propria breccia e la stratificazione non è più visibile.
La frana è avvenuta in concomitanza ad un periodo di intense
precipitazioni meteoriche che
hanno interessato la fascia di terreni ove sorge l’abitato di Praia a
Mare, in una zona caratterizzata da
un’altezza della scarpata rocciosa
38
di 40 m circa con pendenze medie
variabili da 75° a 85° e porzioni
aggettanti.
Il dissesto si è sviluppato su di
un fronte di 20 m di lunghezza, per
un’altezza di 20 m ed una profondità media di 5 m circa. In tutto
sono stati mobilizzati circa 2.000
m3 di roccia che hanno coinvolto
alcune infrastrutture presenti al
piede del pendio arrecando notevoli danni al villaggio turistico (Cfr.
Fg. 1 e 2).
RICOSTRUZIONE
DEL MODELLO GEOLOGICO
Suddivisione dell’area
in zone di omogeneità
Il primo passo nella ricostruzione del modello geologico dell’area
in studio è stato quello di suddividere la fascia di terreni sotto osservazione in zone di omogeneità, cioè
in aree differenziate sia in relazione all’assetto del versante di affioramento che alla loro complessità
strutturale, dovuta alla presenza di
un reticolo di discontinuità assai
Comprende la porzione settentrionale della nicchia di distacco
della frana. In quest’area l’ammasso roccioso è composto da straterelli calcarei in assetto monoclinalico, diretti mediamente a SSW con
pendenza di 30° circa, fittamente
fratturati.
Oltre alla stratificazione (ST) si
riscontrano superfici di discontinuità a persistenza da media ad elevata con assetto quasi ortogonale al
pendio (KK1) e fratture parallele al
pendio con superfici di separazione a persistenza elevata (KK2).
Quest’ultima famiglia permette lo
svincolo a tergo del fronte di affioramento dei blocchi rocciosi.
Zona di Omogeneità B
Racchiude la porzione meridionale della nicchia di distacco della
frana, in quest’area l’ammasso roccioso mostra un grado di fratturazione più elevato ed è composto
prevalentemente da brecce ed in
minor misura da straterelli dolomitici fittamente fratturati.
Si tratta di una porzione dell’ammasso costituita prevalentemente da clasti rocciosi competenti immersi in una matrice di fondo
a tessitura fine, caratterizzata da
2014
numero unico
gdiS
Figura 3 - Suddivisione dell’ammasso in zone di omogeneità.
una resistenza meccanica decisamente più scadente.
Tali formazioni, che rappresentano una delle maggiori sfide della
geoingegneria, non sono classificabili né come ammassi rocciosi né
come veri e propri terreni, pertanto la loro caratterizzazione meccanica richiede un’attenta valutazione di tutti i caratteri che concorrono
alla resistenza globale. Per identificarle univocamente da un punto
di vista ingegneristico, nel 1994
Medley ha introdotto il termine di
bimrock (block-in-matrix rock).
Misure SCN1
Plunge
Trend
Scanline °
B1-2 scn 1 -1
B1-2- scn 1-2
TOTALE
superf. Intercettate
0
190
Lunghezza (cm)
562
492
1054
61
Figura 4
gdiS
Nella zona di omogeneità B
l’assetto delle superfici di stratificazione, ove visibili, appare ruotato in direzione Sud ed assume una
pendenza di 15° circa.
Anche in quest’area, oltre alla
stratificazione, si riscontrano superfici di frattura a persistenza da
media ad elevata con assetto quasi
ortogonale al pendio (KK1) e fratture parallele al pendio, con superfici di separazione a persistenza da
media ad elevata, che permettono
lo svincolo a tergo del fronte roccioso (KK2).
Tab. 1 – rilievi eseguiti
Misure SCN2
Plunge
85
Trend
280
Scanline °
Lunghezza (cm)
B1-2 scn 2 -1
630
B1-2- scn 2-2
524
TOTALE
1154
superf. Intercettate
70
INDAGINI IN PARETE
Risultati Rilievo strutturale
Per la determinazione delle
caratteristiche strutturali dell’ammasso nella basi di misura 1-2 e 3
sono stati eseguiti dei rilievi dei
poli lungo scanlines sia orizzontali
che verticali. I risultati complessivi sono di seguito riportati.
I dati ottenuti nelle 3 basi di
misura, sono stati raggruppati insieme per avere una visione complessiva della fratturazione dell’ammasso roccioso.
Misure SCN3
Plunge
0
Trend
40
Scanline °
Lunghezza (cm)
B3 scn 3 -1
300
B3 scn 3-2
429
TOTALE
729
superf. Intercettate
40
Figura 5
2014
numero unico
39
Grado di fratturazione
La distribuzione media delle spaziature è risultata
pari a 17,23 centimetri, con frequenza (f %) dei valori di spaziatura x rappresentata dalla seguente legge
di distribuzione di tipo esponenziale negativo:
f(x) = 5,8 e–5,8x.
Le misure effettuate hanno fornito, per un livello di confidenza del 95% un errore accettabile pari
al 15%.
Spaziature delle discontinuità
I valori medi delle spaziature, ricavati assimilando
i dati a distribuzioni con andamento log-normale attorno ai valori medi, sono riportati nella tabella 2.
Set
KK1
KK2
STR
Figura 6
Tab. 2 – Valori della spaziatura reale complessivi
Assetto medio
Spaz. Media (cm)
Dev. Standard (σ)
61/030
35,1
8,05
81/270
23,8
7,6
30/191
21,2
10,3
Figura 7 - Distribuzione spaziature SCN1.
Tipi di blocchi forma e volume
In base ai risultati conseguiti,
l’ammasso roccioso calcareo-dolomitico, risulta interessato da 3 set
di discontinuità (due famiglie di
giunti più la stratificazione), con un
numero medio di fratture per metro
λ) pari a 5,8. Le superfici di dis(λ
continuità isolano parallelepipedi di
volume variabile ma in genere piuttosto basso ed inferiore al m3.
Le intersezioni tra le varie famiglie di discontinuità determinano
volumi rocciosi unitari tipo “Prismatic blocks” secondo la classificazione di Dearman (1991).
40
Figura 8 - Forma dei blocchi rocciosi.
2014
numero unico
gdiS
Palmstrom nel 1995, in considerazione dell’irregolarità della fratturazione nelle rocce, ha fornito un tipo
di classificazione della forma dei blocchi con una suddivisione in 4 principali categorie.
Figura 9
I differenti tipi di blocchi dipendono prevalentemente dalle differenze nelle spaziature dei set di giunti. La forma dei blocchi viene valutata attraverso il
fattore β che si ricava dal seguente diagramma:
RISULTATI DELLE ANALISI
DI LABORATORIO
Nel corso dei sopralluoghi realizzati nell’area d’interesse sono stati raccolti una serie di campioni in seguito sottoposti a prove di laboratorio. Prima di descrivere i risultati ottenuti è necessario sottolineare che nel
corso dei rilievi dell’ammasso roccioso si è potuto
osservare che tra gli interstrati della famiglia ST (Stratificazione) erano a volte presenti livelletti limo-argillosi di spessore variabile tra 0,5 ed 1 cm.
Tenuto conto dell’importanza della presenza degli
strati limo-argillosi nei valori di resistenza del Set ST,
si è ritenuto opportuno campionare tale materiale, per
sottoporlo a prove ed analisi di laboratorio. Oltre al
suddetto campione limo-argilloso sono stati raccolti 6
campioni di materiale roccioso proveniente dall’ammasso in studio, anch’essi sottoposti a prove di laboratorio.
I campioni sono stati consegnati ad un laboratorio
autorizzato sia per le terre che per le rocce e i risultati ottenuti dalle analisi sono di seguito riportati.
Figura 10 - Diagramma fattore di forma.
Il fattore β considerando un valore di α3=1,66 e
α2=1,12 è pari a 30. La forma dei blocchi di conseguenza è del tipo “Compact block”. La valutazione del volume roccioso unitario è stata effettuata
secondo quanto proposto da Jaboyedoff et Al. (1996)
e corrisponde al volume del parallelepipedo, dato dal
prodotto tra le spaziature medie dei set di discontinuità, diviso per il prodotto vettoriale dei versori perpendicolari ai 3 piani. Si ottiene in tal modo un volume roccioso unitario di 0,02 m3.
Figura 11 - Livelletto limo-argilloso.
Analisi sul campione limo-argilloso
Tabella 3 – Caratteristiche fisiche e di consistenza (interstrato limo-argilloso)
W (%)
γ (KN/m3)
γ s (KN/m3)
e
n
Sr (%)
19,96
19,71
27,24
0,65
0,4
83,7
Wl (%)
Lp
Ip
Grado plasticità
Ic
Stato consistenza
26,5
20
6
Poco plastico
1,6
solida
gdiS
2014
numero unico
41
Tabella 4 – Prova di taglio diretto (intestrato limo-argilloso)
Taglio Diretto
C’(kPa)
ϕ’
0
23
Tabella 5 – Peso di volume dei materiali
Tipo di determinazione
Valori medi
Deviazione standard
Peso di volume (kN/mc)
25,9
0,69
Resistenza UCS da prove Point Load
54,9
19,39
Analisi Tilt test superficie naturale (°)
38,1
3,57
Analisi Tilt test superficie artificiale (°)
32,8
3,91
MISURE SCLEROMETRICHE IN SITO
Per definire le caratteristiche di resistenza della matrice rocciosa, sono state realizzate delle misure di rimbalzo in sito, adoperando uno sclerometro da roccia, che
sono state assimilate ai risultati di prove UCS. Le misu-
re sono state eseguite sia su pareti alterate che su pareti integre previo trattamento di ripulitura. I risultati ottenuti indicano un valore UCS medio di 37,82 (MPa) per
le pareti alterate e 56,9 (MPa) per le pareti integre.
CLASSIFICAZIONE DELL’AMMASSO
La classificazione dell’ammasso è stata effettuata secondo i metodi proposti da Barton (Q System),
Bieniawsky (indice RMR), oltre i suddetti indici è
stato anche calcolato lo Slope Mass Rating (SMR),
adatto alla classificazione di pendii rocciosi, che deri-
va dal metodo di Bieniawsky con le correzioni apportate da Romana nel 1985. Le classificazioni sono
state effettuate per le 2 zone di omogeneità dell’ammasso. I risultati ottenuti sono stati riportati nelle
tabelle 6, 7 e 8.
Tab. 6 – Indice Q e caratteristiche ammasso roccioso
Zona A
Zona B
Indice Q
0,2433
0,055
Classe ammasso roccioso
VII
VIII
Descrizione
Molto scadente
Estremamente scadente
RMR base
RMR corretto
Classe
Descrizione
Tab. 7 – Classificazione dell’ammasso
Zona A
Zona B
40,89
26,80
33,89
19,80
IV
V
Scadente
Molto scadente
Tab. 8 – Classificazione ammasso, grado di stabilità e tipo di cinematismo
Zona A
Zona B
SMR
38,39
24,30
Classe
IV
IV
Descrizione
Scadente
Scadente
Stabilità
Instabile
Instabile
Modo di rottura
Lungo piani o su grandi cunei Lungo piani o su grandi cunei
Stabilizzazione
Estesa
Estesa
42
2014
numero unico
gdiS
VALUTAZIONE DEI PARAMETRI DI RESISTENZA
Resistenza dei giunti
Per la determinazione delle caratteristiche di resistenza d’attrito lungo le superfici di separazione dell’ammasso
è stata applicata l’equazione generalizzata proposta da Barton, (1976):
τ = σn tan(ϕres + i)
dove:
i=
incremento della resistenza d’attrito dovuto alle indentazioni dei giunti di scorrimento;
ϕres =
angolo di attrito residuo del piano di scorrimento;
(ϕres + i) = ϕeq angolo d’attrito equivalente (o di picco);
σn =
tensione normale al piano di scorrimento.
I valori raggiunti sono riportati nelle figure da 12 a 13:
Figura 12
Figura 13
Resistenza dell’ammasso roccioso
Per la valutazione dei parametri di resistenza dell’ammasso è stato applicato il metodo di Hoek e Brown
secondo le modificazioni proposte da Hoek nel 2002. I risultati ottenuti relativi agli ammassi delle zone A e B
sono riportati nelle figure 14 e 15.
Figura 14 - Resistenza al taglio ammasso A.
gdiS
2014
numero unico
Figura 15 - Resistenza al taglio ammasso B.
43
PARAMETRI GEOTECNICI
Dove:
I parametri geotecnici di seguito forniti si riferiscono ai valori medi, a quelli caratteristici ed a quelli di progetto. I valori caratteristici dei parametri sono
stati ricavati dai valori medi di base applicando la
seguente correlazione:
Xk = valore caratteristico calcolato;
X k = x ± z0 , 05
x̄ = valore medio parametro;
z = variabile normale standard;
σ = deviazione standard;
n = numerosità campione.
⎛σ ⎞
i⎜
⎟
⎝ n⎠
I parametri ottenuti sono riportati nella tabella 9.
Tabella 9 - Caratteristiche geotecniche ammasso roccioso
Ammasso roccioso calcareo-dolomitico fratturato, con incluse brecce calcaree a cementazione variabile
CARATTERISTICHE FISICHE
peso di volume medio:
25,9 (kN/m3);
peso di volume caratteristico:
23 (kN/m3)
CARATTERISTICHE AMMASSO ROCCIOSO
Descrizione:
Q Barton zona A
RMR Bieniawsky zona A
Q Barton zona B
RMRBieniawsky zona B
0,24 – Classe VII
33,89 – Classe IV
0,055 – Classe VIII
19,8 – Classe V
Classificazione
VALORI DI RESISTENZA UCS
Point Load
Corr. NTC 2008
Scler. Pareti
Corr. NTC
Scler. Pareti
integre
2008
alterate
54,85
34,28
56,09
35,06
37,82
PARAMETRI DI TAGLIO LUNGO I GIUNTI
Valori
Valori
Coefficiente
medi
Caratteristici
parziale
Interstrati limo argillosi
coesione:
0
0
angolo di resistenza al taglio (gradi):
23°
19,5°
M=1,25
Set KK1 e KK2
coesione:
0
0
angolo di resistenza al taglio (gradi):
38°;
33,1°
M2 = 1,25
PARAMETRI DI TAGLIO AMMASSO ROCCIOSO
Valori
Valori
Coefficiente
Zona A
medi
Caratteristici
Progetto
coesione:
260 (KPa)
131,7 (kPa);
M2 = 1,25
angolo di resistenza al taglio (gradi):
39,8
34,80°;
M2 = 1,25
modulo di deformazione:
548,06 (MPa)
187,44 MPa)
PARAMETRI DI TAGLIO AMMASSO ROCCIOSO
Valori
Valori
Coefficiente
Zona B
medi
Caratteristici
Progetto
coesione:
120 (kPa)
60,8 (kPa)
M2 = 1,25
angolo di resistenza al taglio (gradi):
31,9°
27,5°
M2 = 1,25
modulo di deformazione:
437,4 (MPa)
149,6 (MPa)
Corr. NTC
2008
23,64
Valori
Progetto
0
15,8°
0
27,6°;
Valori
105,4 (kPa);
29,1;
Valori
48,6 (kPa)
22,6°
ANALISI CINEMATICA
Le indagini fin qui condotte ci hanno permesso di
stabilire che l’area sotto osservazione risulta formata
da un ammasso roccioso interessato dalla presenza di
fratture assai pervasive, di dimensioni elevate, che sud44
dividono la roccia in blocchi disarticolati, di volume
medio-basso e forma tetraedrica, cui s’intercalano porzioni brecciate a cementazione variabile poste in condizioni di equilibrio precario.
2014
numero unico
gdiS
Pur in considerazione del fatto che il dissesto avvenuto nell’area ove sorge il villaggio ha interessato
non singoli massi bensì “globalmente” l’intero fronte roccioso, per l’individuazione delle cause che lo
hanno generato non si può prescindere dall’analisi
cinematica dei possibili movimenti delle porzioni rocciose, facendo riferimento ai gradi di libertà disponibili ed ai valori di resistenza lungo le direzioni di scivolamento delle superfici coinvolte nel meccanismo
di dissesto.
Meccanismi cinematici verificati
L’analisi cinematica consente di valutare, in funzione dell’assetto dei giunti e delle superfici libere
(rappresentate nella fattispecie dalla scarpata naturale), le possibilità di innesco di determinati tipi di
scoscendimenti in roccia.
Le diverse analisi sono state eseguite con i metodi
proposti da Markland (1972), Hocking (1976) Hudson (1997) e Goodman (1980). Esse comprendono:
Figura 16
• analisi di scivolamento lungo un piano;
• analisi di scivolamento lungo cunei o intersezioni tra piani;
• analisi di ribaltamento per “Flexural Toppling”;
• analisi di ribaltamento diretto (Direct Toppling).
Analisi di scivolamento bidimensionale
La prima verifica eseguita valuta le possibilità di
scoscendimenti di masse rocciose lungo piani di separazione e si basa sull’esistenza di direzioni spaziali
che permettano tali movimenti. I risultati ottenuti sono
di seguito riportati.
L’area segnata in rosa delimitata dal “Daylight Envelope” e dalle linee di limite laterale rappresenta la zona
critica di scivolamento lungo piani. In essa si osserva
la bassissima probabilità di instabilizzazioni per scivolamento planare che coinvolge solamente 2 poli su 171
(1,17% rispetto al totale). (Fig. 16)
Analisi di scivolamento tridimensionale
L’analisi di scivolamento tridimensionale valuta le
possibilità di scoscendimento lungo direzioni di intersezione tra piani esistenti.
In essa sono segnate in rosa la zona critica principale ed in giallo quelle secondarie. Nelle zone critiche secondarie sono rappresentate le aree comprese
tra il piano del pendio, il piano con inclinazione pari
a quella dell’angolo di frizione e il cerchio che rap-
gdiS
2014
numero unico
Figura 17 - Le zone di contour si riferiscono
alle intersezioni tra giunti.
presenta l’angolo di resistenza al taglio. Le intersezioni critiche che rientrano in queste due zone rappresentano sempre cinematismi che scorrono lungo la
direzione di intersezione tra giunti, esse però sono
meno inclinate rispetto all’angolo di resistenza al
taglio, ma gli scorrimenti possono ancora avvenire su
di un singolo piano se questo ha la pendenza superiore all’angolo di resistenza al taglio.
I risultati ottenuti evidenziano una probabilità
di scivolamento non elevata lungo le intersezioni
tra le KK1 e le ST della zona critica principale,
pari a 1237 intersezioni su 14528, ovvero l’8,51%
del totale.
Analisi ribaltamento per “Flexural Toppling”
Il fenomeno del Flexural toppling è dovuto ad un
ribaltamento in avanti di porzioni rocciose che presentano una serie di fratture parallele al piano del pendio.
45
quenza nel pendio sotto osservazione, essi infatti coinvolgono l’8,1% delle intersezioni tra piani ed il
28,07% dei piani di base.
Analisi del dissesto del 21/01/2013
Figura 18
Come già detto, il 21/01/2013 nella parete calcarea che delimita a monte l’area in studio, a seguito
di un periodo intensamente piovoso, si è sviluppato
un fenomeno franoso di notevoli dimensioni che ha
interessato alcune infrastrutture del centro turistico.
Per determinare le cause che hanno provocato il dissesto dobbiamo partire dai tipi di cinematismi potenziali e dall’assetto complessivo del versante antecedente l’evento franoso. Per fare ciò abbiamo anche
utilizzato una foto realizzata, nel mese di luglio del
2009, prima che si verificasse la frana, riportata nella
figura 20.
La foto è stata scattata immediatamente dopo un
intervento di consolidamento dell’ammasso, realizzato attraverso la messa in opera di rete ad alta resistenza e chiodatura sistematica della parete con barre a
filettatura continua da 3 m e da 6 e 9 m.
Come si può vedere la scarpata in questione si trovava già in condizioni di assetto morfologico precario in seguito alla presenza del grosso masso aggettante, composto da brecce calcaree, già separato a
tergo da una tension Crack assimilabile ad una frattura del Set 3 (KK2). Se confrontiamo la foto antecedente l’evento franoso con quella effettuata sulla
Figura 19
L’area critica è quella delimitata dallo “slip limit” e
le linee di limite laterale. L’analisi effettuata evidenzia,
anche in questo caso, le bassissime probabilità d’innesco di questo meccanismo d’instabilizzazione. Esso
infatti interessa solo una percentuale di 2 giunti su 171
(1,17%) (Fig. 18)
Analisi ribaltamento per “Direct Toppling”
Il fenomeno del “Direct Toppling” si verifica
quando il centro di gravità di un blocco ricade al di
fuori della base del blocco. Ciò genera lo sviluppo
di un momento ribaltante critico del blocco che scoscende verso il basso. Il diagramma riportato suddivide le direzioni spaziali delle intersezioni fra piani
in zone critiche numerate da 1 a 3 in relazione al
meccanismo di instabilizzaione (Fig. 19). I risultati
ottenuti evidenziano che i fenomeni di Direct Toppling sono quelli che si presentano con maggior fre46
Figura 20 - Visione d’insieme dell’area
precedente all’evento franoso.
2014
numero unico
gdiS
Figura 22
Figura 21 - Area in frana si noti la differente forma della nicchia di distacco nelle due zone di omogeneità.
nicchia di distacco formatasi a seguito del dissesto,
possiamo osservare che:
• il grosso blocco aggettante composto dalle brecce è franato completamente provocando un notevole arretramento del versante;
• la zona ove era presente il blocco è delimitata
a nord da una faglia che taglia quasi ortogonalmente il pendio, che ha favorito il detensionamento ed il crollo dell’ammasso in corrispondenza della zona B;
• nella zona di omogeneità A la nicchia di distacco si è ampliata verso nord con una forma trapezoidale (fig. 21);
• la base della nicchia di distacco della zona A è
parallela alla stratificazione dell’ammasso.
VERIFICA DI STABILITÀ
Per definire le modificazioni subite dalla parete
rocciosa abbiamo ricostruito lungo una sezione trasversale significativa che taglia la zona B, le condizioni del pendio antecedenti e successive all’evento
franoso. Allo scopo ci siamo avvalsi delle planimetrie in nostro possesso e dei rilievi topografici forniti dalla Committenza. I risultati ottenuti sono stati
riportati nelle figure 22 (stato precedente all’evento
franoso) e 23 (stato successivo all’evento franoso).
Il confronto tra le condizioni pre e post-frana, evidenziano un arretramento della parete calcarea di 6 m
gdiS
2014
numero unico
Figura 23
circa, con formazione di una nicchia di distacco rettilinea e parallela al set KK2 a dimostrazione del fatto
che queste superfici di separazione hanno agito come
delle “Fratture da Trazione”.
Metodo Monte Carlo
Per lo studio della stabilità della parete rocciosa,
abbiamo preferito eseguire un’analisi di tipo probabilistico onde evitare che le inevitabili incertezze del
modello sottoposto a verifica, potessero riflettersi sui
risultati ottenuti. Allo scopo abbiamo introdotto nei
calcoli tecniche di tipo stocastico, valutando non più
il fattore di sicurezza di un determinato cinematismo
bensì la probabilità che potesse avvenire una rottura.
Nella fattispecie è stata adottata la tecnica di simulazione Monte Carlo.
47
Verifiche effettuate
La verifica è stata realizzata determinando per tentativi, su di una griglia di analisi, il cerchio di sicurezza minimo, eseguendo poi su quest’ultimo 2000 iterazioni scegliendo in modo casuale i parametri
all’interno dell’intervallo compreso tra il valore minimo e quello massimo. Per tenere conto della presenza delle fratture da trazione si è imposto, nel caso di
curvature inverse del cerchio di tentativo, di inserire
le “Tension Crack”. Nell’applicazione del metodo
Monte Carlo per la valutazione della stabilità del pendio, si è fatto riferimento ai valori di resistenza ottenuti per la zona B, considerando ogni parametro come
una variabile, ognuna rappresentata da una distribuzione di tipo normale, raggruppata intorno ad un valore
medio secondo una certa deviazione standard. I valori delle variabili applicati nei calcoli sono i seguenti:
Figura 24 - Verifica stabilità globale del pendio.
Figura 25
Materiale
Ammasso calcareo
Ammasso calcareo
Ammasso calcareo
Tab. 10 – Parametri statistici utilizzati nei calcoli di stabilità
Proprietà
Distribuzione
Media
Dev. Std.
Min Rel.
coesione
Normale
120
36
84
Angolo di taglio
Normale
31,9
3,19
28,7
Peso di volume
Normale
25,9
1,78
24,1
Nella scelta casuale dei parametri la coesione e
l’angolo di resistenza al taglio sono state trattate
come variabili aleatorie, applicando un coefficiente
di correlazione pari a -0,5 (Harr 1996). Le analisi,
tenuto conto che lo studio è stato effettuato con lo
scopo di accertare le condizioni che hanno provoca48
Max Rel.
156
35,1
27,7
to l’instabilizzazione del versante, sono state eseguite in assenza di spinte sismiche. È stato invece valutato il contributo dovuto alla falda idrica ed alla sua
escursione, considerando quest’ultima, in relazione
all’indeterminatezza del livello di falda al momento
della frana, come una variabile indipendente con dis2014
numero unico
gdiS
tribuzione normale oscillante tra un valore minimo
ed un valore massimo da noi calcolati in base a evidenze di campagna (tracce del passaggio o di venute d’acqua). Il contributo delle Tension Cracks è stato
anch’esso applicato in modo probabilistico valutando una profondità teorica massima delle fratture da
trazione a partire dal ciglio della scarpata attraverso
la formula
x=
2 c ' 1 + sen ϕ '
i
1 – sen ϕ '
γ
Le Tension Crack sono state poi raccordate ai
cerchi di scivolamento una volta che questi intersecavano l’area di possibile formazione di sforzi da
trazione.
Figura 27 - Analisi cinematica ottenuta ruotando il versante di 90°.
Cause dell’evento franoso
Considerazioni sui risultati ottenuti
I risultati ottenuti dai calcoli di stabilità evidenziano l’alta propensione al franamento del versante in
esame, l’analisi deterministica fornisce un valore di
Fs pari a 0,946, il parametro medio ottenuto (su 2000
verifiche) è pari a 0,944 con una probabilità di franamento del 69%.
I parametri di resistenza in condizioni di equilibrio
limite sono dati da c = 124 kPa e ϕ = 31,76°. Un
altro dato interessante è dato dal rapporto tra il coefficiente di sicurezza e l’altezza della falda in condizioni di equilibrio limite riportato nella figura 26. Il
dato ottenuto indica il raggiungimento dell’equilibrio
limite per valori dell’escursione tra il livello minimo
e massimo della falda pari al 40% (inferiore al valore medio dell’escursione di falda).
Figura 26
gdiS
2014
numero unico
In relazione alle analisi fin qui effettuate per l’evento franoso possiamo distinguere gli elementi predisponenti il dissesto, dati dal detensionamento complessivo dell’ammasso dovuto al suo grado di
fratturazione con conseguente basso valore dei parametri di resistenza al taglio, dall’elemento determinante da ricercare nell’innalzamento del livello di
falda, così come suggerisce il legame temporale tra le
precipitazioni ed il crollo.
A nostro avviso l’aumento delle spinte idrauliche
ha per primo provocato l’improvviso crollo della zona
di omogeneità contrassegnata con la lettera B, caratterizzata dalla presenza di brecce a caratteristiche geomeccaniche scadenti, secondo lo schema esposto nell’analisi di stabilità prima riportata (ipotesi suffragata
dal fatto che i blocchi composti dalle brecce si rinvengono prevalentemente nella porzione frontale e
basale della frana, ad indicare una sorta di gerarchia
nel franamento). In seguito, nel settore A, in relazione all’arretramento del versante conseguente al crollo, venendo a mancare il contenimento laterale, si è
creata una parete libera ortogonale al pendio che ha
fornito i gradi di libertà sufficienti all’innesco di un
fenomeno di scivolamento lungo il Set ST (Stratificazione), favorito dalla presenza degli interstrati limoargillosi a bassa resistenza.
L’analisi cinematica esposta in figura 27 evidenzia
che la rotazione del versante, causata dal suo arretramento conseguente al crollo del settore B, fa rientrare nella zona di scivolamento critico il Set ST composto dalla Stratificazione. Infatti l’esistenza del piano
di svincolo laterale di neoformazione, fa fortemente
innalzare le possibilità di fenomeni di scivolamento
49
lungo piani, che così interessano 78 poli su 171 (il
45,61%) e il 93,9 % della famiglia ST. Lo scivolamento lungo i piani del Set ST, ha anche coinvolto le
fratture KK1 e KK2 dando luogo ad una superficie di
taglio scalinata.
Tale ipotesi consente anche di spiegare la particolare forma della nicchia di distacco nella zona A ed i
fenomeni di scivolamento bidimensionale chiaramente visibili in questo settore.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le analisi fin qui condotte ci hanno permesso di
definire le cause che hanno determinato il crollo della
parete calcarea e l’insufficiente stabilità globale del
pendio, nonostante il versante fosse stato oggetto di
un intervento di rafforzamento corticale attraverso la
messa in opera di reti ad alta resistenza e la chiodatura sistematica della scarpata, che però non è servito ad impedirne il crollo.
L’insuccesso dell’opera è senz’altro legato al fatto
che l’intervento di consolidamento del versante è stato
progettato fondamentalmente per impedire la caduta
di singoli blocchi rocciosi, anche di grande volume;
il problema è che il dissesto si è sviluppato attraverso un crollo di massa generalizzato del versante.
Premettendo che spesso la distinzione tra i meccanismi che possono dare origine alla caduta di un singolo masso oppure di sciami di massi o di crolli di
massa dell’intera parete, non è assolutamente semplice, si vuole qui far rilevare come la ricostruzione di
un dettagliato modello geologico, unitamente ad un
attento rilievo strutturale dell’ammasso, sarebbe stato
di grande ausilio nell’indirizzare le scelte progettuali
verso più opportune opere di consolidamento dell’intera parete rocciosa e non di solo contenimento dei
singoli massi. Ciò per una serie di motivi che passeremo di seguito ad analizzare.
È indubbio che il rilevamento geologico dell’area
avrebbe dovuto evidenziare la presenza della faglia
che taglia ortogonalmente la falesia. La struttura tettonica ha infatti condizionato la formazione di terreni brecciati (Bimrock) che hanno provocato il complessivo detensionamento dell’ammasso. Ciò ha
influenzato sia la direzione di deflusso delle acque
d’infiltrazione che il decadimento dei parametri di resistenza. A tale proposito Wakabayashi & Medley (2004)
sottolineano che il riconoscimento e la delimitazione
di una bimrock avviene solamente sul terreno attraverso un attento rilievo geologico.
50
Un altro aspetto riguarda la presenza delle “Tension Cracks” che seppure poste in un’area di non facile accesso avrebbero potuto indicare, se rilevate, le
condizioni di “sofferenza” della falesia in quella zona
in quanto soggetta a sforzi di trazione.
La mancata individuazione della presenza degli
interstrati limo-argillosi che, sebbene sottili e a volte
nascosti negli affioramenti, hanno giocato un ruolo
importante nell’evoluzione dell’evento franoso, è
stato un altro fattore che ha concorso all’insuccesso
dell’intervento di mitigazione del rischio. In tutta la
scarpata rocciosa inoltre si osservavano effetti ossidativi delle rocce dovuti alla presenza di piccole
emergenze idriche attive solamente nei periodi susseguenti agli eventi piovosi.
Non si può inoltre non sottolineare come la carenza di una corretta ricostruzione dell’assetto geostrutturale dell’ammasso, attraverso un attento rilievo delle
superfici di separazione e la definizione del loro assetto spaziale, non ha aiutato nella scelta delle opere più
opportune per la stabilizzazione della falesia.
Come abbiamo già detto l’analisi cinematica dei
possibili movimenti avrebbe potuto dimostrare la
bassa possibilità di caduta di blocchi isolati, infatti
tutte le verifiche effettuate manifestavano una scarsa
probabilità di instabilizzazioni di singoli massi, sia
per scivolamento su superfici piane o lungo intersezioni tra piani, che per “Flexural Topling”. L’unico
cinematismo che mostrava una maggiore possibilità
di innesco era dato dal “Direct Topling”.
L’analisi degli eventuali cinematismi, se realizzata
sulla scorta di un rilievo strutturale capace di individuare in modo compiuto il “Fabric” delle discontinuità presenti nella roccia, rappresenta un’indispensabile elemento di valutazione dei potenziali meccanismi
di dissesto che possono insorgere in un ammasso roccioso e un importantissimo mezzo propedeutico alla
progettazione degli interventi di mitigazione del
rischio di crollo e di grande ausilio negli studi di “Back
Analysis” dei movimenti franosi in roccia.
Essa rappresenta un primo approccio per lo studio delle instabilizzazioni in roccia e dovrebbe sempre precedere i calcoli numerici, poiché fornisce i
meccanismi di instabilizzazione ed i modelli di base
per la successiva verifica numerica.
Purtroppo sia a causa dei budget economici sempre più scarsi a supporto delle fasi di progettazione
delle opere ingegneristiche, in particolare per gli studi
geologici, che per la mancanza di specialisti capaci
di sviluppare compiutamente tali studi, le fasi del
rilievo geologico e geostrutturale degli ammassi roc2014
numero unico
gdiS
ciosi vengono frequentemente ristrette ad una generica descrizione della formazione rocciosa ed al semplice rilievo dei blocchi già separati, senza eseguire
una seria valutazione di tutti i potenziali cinematismi
in relazione all’assetto complessivo degli ammassi
rocciosi e dei loro meccanismi di innesto.
Ciò evidentemente limita le fasi di studio propedeutiche al corretto dimensionamento delle opere
ingegneristiche, indirizzando le scelte progettuali
verso soluzioni che non sempre mostrano di essere
quelle più corrette, specialmente quando ci si trova
di fronte ad ammassi rocciosi complessi.
A tale scopo è, a nostro avviso, importante che
prenda sempre più piede l’utilizzo della figura del
geologo capace di rilevare in parete gli affioramenti rocciosi onde procedere alla loro corretta modellazione geologica e geostrutturale, per orientare gli
ingegneri nella scelta delle strutture più consone
per le differenti problematiche che si presentano
negli interventi di mitigazione del rischio di crollo in roccia.
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51
NUOVI METODI DI TELERILEVAMENTO
DA MEZZO AEREO A CONTROLLO REMOTO
APPLICATI ALLA GEOLOGIA TECNICA
Rilievo, studio morfometrico e modellazione 3D
georenferenziata di una parete rocciosa
Giuseppe Lisi – Geologo libero professionista, [email protected]
Questo studio vuole presentare le potenzialità introdotte dall’ideazione di un nuovo metodo di esecuzione di
diversi tipi di rilievi geologici, basati sull’utilizzo non convenzionale di un mezzo aereo a controllo remoto che è
stato costruito dall’autore e, per mezzo di strumentazioni elettroniche realizzate dallo stesso, adattato al telerilevamento per la modellazione
3D e la cartografia numerica. Sulla base di questi strumenti è stato effettuato il rilievo di una parete rocciosa inaccessibile senza la necessità di
ricorrere a squadre di rocciatori o a un elicottero tradizionale, rendendo in questo modo la realizzazione dei modelli digitali d’elevazione
(DEM), estremamente rapida, precisa. Nella seconda parte di questo studio verranno presentati i risultati dell’applicazione del metodo al rilievo di un’area in frana e mostreremo come, dalla fotointerpretazione dei modelli e dalle ortofoto estremamente dettagliate ottenute, sia possibile ricavare velocemente, a costi inferiori rispetto ai metodi tradizionali e con una bassissima percentuale d’errore, rispetto ai classici rilievi
di superficie, la realizzazione di accurate carte geomorfologiche del dissesto, o altra cartografia tematica.
R I A S S U N TO
This study aims to present the potential introduced by the creation of a new method for performing different
types of geological surveys, based on the unusual application of a remote controlled airplane that was built by
the author and, by means of electronic instruments made by the same, adapted to remote sensing for 3D modeling and digital mapping. On
the basis of these tools has been carried out the detection of an inaccessible cliff without the need to resort to teams of climbers or a conventional helicopter, making this way the realization of digital elevation models. In the second part of this study will present the results of
applying the method to the relief of the landslide area and show how, by photo-interpretation of the models and orthophotos extremely
detailed obtained, it is possible to achieve quickly, at a lower cost than traditional methods and with a very low error rate, compared to the
classic surface reliefs, the realization of accurate geomorphological map of instability, or different types of thematic maps.
ABSTRACT
INTRODUZIONE
La redazione di questo studio deriva da un lavoro
sperimentale condotto in campagna nel periodo autunno-inverno 2012- 2013. Alla fine di questo periodo di
sperimentazione e verifica dei risultati ottenuti durante la fase di test, in data 18 febbraio 2013 è stato eseguito un rilievo con un nuovo metodo basato sull’utilizzo di un drone UAV (unmanned aerial vehicle)
telecontrollato. Il rilievo è stato effettuato per essere
utilizzato nelle verifiche di stabilità, che qui per brevità non verranno trattate, ed è stato condotto senza
l’impiego di elicotteri o squadre di rocciatori, al fine
di valutare gli aspetti geologici e strutturali che caratterizzano una parete rocciosa subverticale ricadente nel
comune di Palermo, nonché per la compilazione dei
modelli digitali di elevazione (DEM), dei modelli digitali del terreno (DTM), dei modelli 3D fotorealistici
e dei filmati e delle foto esplorative della parete che
vengono qui presentati.
a pochi m dal viale Regina Margherita di Savoia, al
confine con l’area urbana. Essa è indicata nel P.A.I.
Bacino Oreto, Carta dei dissesti n.05 – Comune di
Palermo, come a rischio crollo attivo, in una zona
popolata, dove insistono alcune villette risalenti al
periodo liberty. Inoltre la zona della falda di detrito
sottostante la parete è attraversata da sentieri pedonali per escursionisti, che la attraversano continuamente.
INQUADRAMENTO
L’area in questione è situata in C.da Valdesi, nei
pressi di Mondello, alle coordinate UTM/ WGS84: N
4228027.09 - E 354154.09 (punto centrale del rilievo),
52
Fig. 1 – Inquadramento dell’area.
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Fig. 2 - Panoramica della parete ripresa durante il volo esplorativo.
CARATTERISTICHE DELL’AREA
Geomorfologia
La parete rocciosa investigata consiste in una falesia subverticale con un’inclinazione media di circa
85°, si estende per oltre 200 m in orizzontale e si
eleva fino a una quota di 135m s.l.m. e assoluta, rispetto alla base, di circa 90 m, per una superficie complessiva di circa due ettari. La superficie topografica
in esame presenta alla base una tipica falda di accumulo di detrito, fortemente acclive che si presenta
inclinata, in direzione ovest, con una pendenza media
di circa 35 gradi.
Tale microfauna consente di datare la massa rocciosa a un periodo risalente al Cretaceo superiore
(Cenomaniano-Maastrichtiano), nonchè di riconoscere l’ambiente marino come corrispondente a un’area
di rampa carbonatica e scarpata superiore. Tale Formazione è conosciuta in letteratura come Formazione
Pellegrino. Diversa è invece la microfauna facilmente rinvenibile nei frammenti litici che si rinvengono
facilmente alla base della parete oggetto del presente
studio, consistente in foraminiferi bentonici (orbitoidi, nummulitidi e alveolinidi) e frammenti di echinodermi e coralli. Quest’ultima, appartenente alla formazione Valdesi, è invece ascrivibile all’Eocene
(Luteziano).
Geologia
Idrografia
Nell’area in questione la massa rocciosa, è costituita da calcareniti e brecce bioclastiche a orbitoline
e rudistidi, con alternanze di biolititi a caprinidi e
banchi di conglomerati con frammenti di rudiste,
associate a biocalcareniti e calcilutiti con cuneoline
e rudistidi.
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2014
numero unico
Per quanto riguarda il reticolo idrografico, nelle
immediate vicinanze alle superfici in questione non si
rinviene la presenza di corsi d’acqua, né di canali di
scolo. Si rinvengono invece copiose e diffuse venute
d’acqua percolante, attraverso il sistema di fratture
53
• ispezione preventiva del sito;
• studio approfondito relativo alle condizioni morfologiche e geometriche complessive dell’ammasso
roccioso e della sua conformazione;
• progettazione dettagliata dei voli, delle posizioni
di presa e delle inquadrature;
• acquisizione topografica con GPS e marcatura dei
punti di controllo a terra (gcp), da usarsi come riferimento per la georeferenziazione dei modelli;
• esecuzione dei voli e acquisizione delle immagini
e dei filmati esplorativi;
Fig. 3 – Postazione di comando a terra.
• elaborazione dei dati;
• produzione degli elaborati finali;
della massa rocciosa. Tali venute d’acqua, visibili
molto chiaramente nei periodi di elevata piovosità,
insieme alle normali precipitazioni, determinano e
hanno determinato nel tempo, le tipiche strutture da
dissoluzione, come conche e karren, oltre che a produrre svariate e concentrate strutture di alterazione
superficiale della roccia.
PIANIFICAZIONE ED ESECUZIONE
DELLE OPERAZIONI
Le operazioni di pianificazione del lavoro sono
state svolte principalmente in studio dopo aver effettuato un sopralluogo preventivo e un successivo studio
approfondito dell’area da investigare. Le operazioni in
sito relative invece all’acquisizione cartografica “non
convenzionale” sono consistite
sia nelle operazioni di acquisizione topografica dei punti di
appoggio, usati come riferimento per la georeferenziazione dei
modelli, sia nell’esecuzione dei
diversi voli al fine di acquisire i
filmati e le foto aeree, in modo
da avere informazioni estremamente precise e dettagliate su
tutta la superficie oggetto dell’intervento; informazioni dalle
quali trarre in seguito tutti i parametri utili per la ricostruzione
cartografica della parete rocciosa e del dissesto ivi insistente.
Nella fattispecie il flusso di
lavoro complessivo è stato suddiviso nelle seguenti fasi:
54
Le operazioni di volo e di ripresa sono state effettuate in data 18 febbraio 2013, in una giornata caratterizzata dalla presenza di cielo nuvoloso, che ha ridotto le condizioni di luce e di esposizione delle
fotocamere, nonché dalla presenza di vento a raffiche
con velocità che superava a tratti anche i 45 Km/h. Le
fotocamere utilizzate per le riprese dispongono di
obbiettivi calibrati, le cui aberrazioni devono essere ben
conosciute affinché se ne possa tener conto durante la
fase di fotoraddrizzamento. Le stesse posseggono inoltre un particolare sistema di controllo automatico dell’esposizione che permette di minimizzare le differenze tonali e cromatiche dovute alla composizione e
all’accostamento di frames ripresi in piena luce solare
e da altri ripresi in condizione di cielo nuvoloso che,
diversamente, renderebbero il lavoro inutilizzabile.
Fig. 4 – Tipico drone UAV.
2014
numero unico
gdiS
Ai fini del lavoro da svolgere sono state riprese
diverse centinaia di frames, tra i quali alcuni sono stati
scartati, altri selezionati e impiegati per le operazioni
di raddrizzamento e di composizione dell’immagine
finale, da cui sono stati derivati i modelli numerici
tridimensionali qui presentati.
CARTOGRAFIA DIGITALE
E MODELLAZIONE 3D RICAVATA
Una volta ricostruita la parete sulla base delle
immagini acquisite, in seguito all’elaborazione numerica di tutti i dati a disposizione, si è pervenuti alla
realizzazione di modelli digitali georeferenziati, che
riproducono fedelmente le reali condizioni della parete e dell’ammasso roccioso ed è stato ricavato anche
un significativo filmato esplorativo della parete,
ingrandibile a piacimento, che mostra direttamente
tutte le caratteristiche strutturali, i blocchi in fase di
distacco, le discontinuità e le zone di criticità. Questi
i modelli ottenuti, mostrati nelle figure seguenti:
Fig. 5 – DEM in file di formato CAD. I “vuoti” bianchi
sono dovuti alla rielaborazione del file, necessaria per la
pubblicazione. Il modello è stato ridotto da 1.200.000 a
circa 100.000 poligoni per non apparire totalmente nero
a questa scala.
• modello digitale di elevazione (DEM) georeferenziato, in ambiente CAD, con risoluzione di 6
cm/pixel e distanza tra i nodi del poligono di 50
cm, per un totale di 1.200.000 poligoni;
• modello digitale del terreno (DTM) georeferenziato, con risoluzione di 6 cm/pixel, ruotabile sui tre
assi e gestibile con tutti i principali programmi di
grafica;
• modellazione 3D fotorealistica della parete, in cui
tutti gli elementi visibili essendo porzioni di foto
ad altissima risoluzione corrispondono esattamente alla realtà. Il modello è ruotabile sui tre assi,
ingrandibile a piacimento e gestibile con tutti i principali programmi di grafica.
Fig. 6 – Modello digitale del terreno DTM. Il punto di vista
è volutamente diverso dagli altri per mostrare il modello in
posizione leggermente ruotata.
VALIDAZIONE DEL MODELLO
E MISURA DEGLI ERRORI
La funzione di mappatura usata per calcolare le
coordinate di tutti i punti di controllo a terra (ground
control point o gcp) ed eseguire la georeferenziazione del modello a partire da quelle dei gcp misurati a
mezzo GPS (in modalità statica per almeno un minuto accertandosi di avere sempre un numero elevato di
satelliti), effettua un’operazione di interpolazione,
ovvero una polinomiale che, a seconda dei casi, può
essere del primo o del secondo ordine, più raramente del terzo, a causa delle deformazioni possibili in
gdiS
2014
numero unico
Fig. 7 – Modellazione 3D “fotorealistica“ finale, ruotabile e
ingrandibile, della parete. Anche qui il modello è mostrato
volutamente in posizione leggermente diversa.
55
uscita. Questa funzione applica le necessarie correzioni geometriche ai vari punti del modello attraverso
operazioni di roto-traslazione o di roto-traslazione e
scalatura. I valori incogniti sono calcolati sulla base
dei valori dei gcp secondo il metodo statistico dei
minimi quadrati, che viene frequentemente applicato
per la deduzione dell’andamento medio in base ai dati
sperimentali e per l’estrapolazione dei valori fuori dal
campo di misura. Per verificare in seguito se la trasformazione sia stata più o meno precisa è stato usato
un metodo di valutazione attraverso la radice dell’errore quadratico medio (RMSE), metodo normalmente utilizzato in statistica per indicare la discrepanza
quadratica media tra i valori osservati e quelli stimati. Per operare si stabilisce dapprima la corrispondenza tra le coordinate del terreno e quelle dell’immagine, quindi si applica per ogni punto una funzione
inversa che ricalcola le coordinate dei punti noti del
terreno a partire da quelle dell’immagine. Lo scarto
tra i due valori, cioè l’errore residuale, viene calcolato per ogni punto noto sulle tre coordinate x, y, z, sottraendo alle coordinate ricalcolate quelle derivate dalle
misure sul terreno, secondo il seguente schema:
r = x’ – x
dove:
r = errore residuale
x’ = coordinate ricalcolate dalla funzione inversa
x = coordinate misurate sul terreno.
La precisione di posizionamento dei punti di controllo a terra, che fornisce già indirettamente un indice della validità generale del modello, viene quindi
valutata per mezzo del RMSE gcp, che viene calcolato estraendo la radice quadrata della somma dei quadrati dei residui, come in eq.1:
RMSE gcp =
(rx )^ 2 + (ry )^ 2 + (rz )^ 2
eq. 1
L’accuratezza complessiva della trasformazione
applicata può essere determinata estraendo la radice quadrata della sommatoria dei quadrati di tutti
gli RMSE gcp divisa per il numero di essi n come
in eq.2:
n
∑ RMSE
2
i
RMSEGLOB =
i=l
n
eq. 2
Operando in questo modo siamo in grado di calcolare di quanto il nostro modello differisca dalla realtà. È stata elaborata quindi una tabella con i margini
di errore riferiti al ricalcolo dei ground control point,
al fine di verificare la validità del modello e l’efficacia del metodo impiegato.
GCP
Errore in X (cm)
Errore in Y (cm)
Errore in Z (cm)
RMSEgcp (cm)
1
-33,07
-49,21
-67,41
0,9
2
89,48
69,98
163,23
1,98
3
-56,57
-20,74
-95,41
1,12
4
25,34
15,03
28,11
1,04
RMSEglob in X = 56,8
RMSEglob in Y = 44,64
RMSEglob in Z = 100,1
RMSEglob = 1,32
Tab. 1 – Tabella dei margini di errore riportati.
È da notare che l’errore più rilevante ricorre sui
valori di z, notoriamente i più variabili e aleatori quando si eseguono misure di posizionamento per mezzo
di sistemi gps standard. Inoltre, anche se la precisione
raggiunta risulta sufficiente per la maggior parte delle
applicazioni, nel caso in cui dovesse essere richiesta
una precisione ancora più elevata rispetto a quella ottenuta, è sufficiente aumentare il numero dei gcp, effet56
tuare molte misure sullo stesso e farne quindi la media,
o quantomeno effettuare un numero maggiore di misure in z. Un’altra possibilità cui ricorrere per aumentare, quando necessario, la precisione può essere quella
di sfruttare, se disponibili, punti notevoli su cartografia (dettagliata) della zona e di inserirne le coordinate
nel nostro modello. Comunque, specialmente quando
è necessaria una precisione molto elevata, risulta fon2014
numero unico
gdiS
Fig. 8 – Foto di dettaglio della parete, ripresa durante il volo esplorativo, in cui sono visibili discontinuità strutturali e alcuni
blocchi parzialmente dislocati in procinto di un prossimo distacco.
damentale rilevare sempre un numero elevato di gcp,
provando a calcolare tutti i valori di RMSE e nel caso
in cui tale calcolo dovesse fornire risultati non ottimali, provare a sostituire via via i singoli gcp con altri e
rifare i calcoli fino a trovare il valore più soddisfacente, quindi inserire nel modello questi ultimi.
CONCLUSIONI
Il modello digitale di elevazione (DEM) ottenuto
in formato vettoriale in ambiente CAD, presenta una
distanza tra i nodi del reticolo di circa di 50 cm, per
un totale di circa 1.200.000 poligoni, più che sufficiente per essere utilizzato nella maggior parte delle
applicazioni. Tutti i modelli della cartografia numerica georeferenziata che con questo nuovo metodo sono
stati ottenuti e su cui è possibile osservare dettagliatamente le reali condizioni caratterizzanti l’ammasso
roccioso, costituiscono di fatto un’ottima base da cui
procedere per la stesura della carta dei dissesti o di
altra cartografia tematica, in modo rapido, ma soprattutto preciso e dettagliato. Inoltre il materiale cartografico allegato consente al professionista di avere disponibile in studio, in qualsiasi istante, tutti i dettagli
reali della parete per successive revisioni o per future elaborazioni. A tale proposito, dall’osservazione del
gdiS
2014
numero unico
filmato e delle foto esplorative è possibile notare lungo
la parete la presenza di fratture beanti piuttosto estese dislocanti alcuni blocchi rocciosi, così come determinare che la giacitura delle superfici di discontinuità inaccessibili sia compatibile con i valori di
orientazione rilevati alla base della parete.
È possibile altresì osservare anche la presenza e la
collocazione di svariati blocchi, più o meno distaccati dalla massa rocciosa, in posizione instabile e precaria, in procinto di un possibile prossimo distacco. Si
intende precisare che tutto quanto viene visto nel
modello 3D, corrisponde esattamente alla realtà in
quanto direttamente derivato da foto reali ad elevatissimo dettaglio. Il metodo proposto ha permesso quindi anche di esplorare la parete in modo molto dettagliato, senza l’impiego tradizionale di elicotteri e di
squadre di rocciatori. Riguardo a questi ultimi rimane
comunque da non escludersi, ove strettamente necessario, la possibilità di un eventuale impiego mirato,
ovvero di indirizzare il loro lavoro esclusivamente in
quei determinati punti, scelti sulla base delle loro caratteristiche, dopo aver eseguito velocemente un’esplorazione strumentale della parete.
Concludendo possiamo affermare che l’impiego
del drone UAV presenta diversi vantaggi: bassa o bassissima quota di volo che consente di ottenere una
risoluzione a terra elevatissima non paragonabile a
Fig. 9 – Veduta aerea panoramica di parte del sito ripresa durante il volo di ricognizione.
nessun altro tipo di velivolo rilevando anche oggetti
di pochi cm sul terreno, possibilità di mantenere una
posizione di volo fissa e costante, rapidità di messa
in opera, di esecuzione del lavoro e di ottenimento
dei dati, multitemporalità e ripetibilità dei rilievi
acquisiti, possibilità di effettuare rilievi ad altissima
risoluzione in zone inaccessibili o pericolose.
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editore srl Palermo.
2014
numero unico
gdiS
ESEMPIO DI CALCOLO: VERIFICA DI LIQUEFAZIONE
DI UN TERRENO DI FONDAZIONE
DA PROVE PENETROMETRICHE DINAMICHE Nspt
Metodo semplificato - Seed e Idriss (1982)
Leonardo Balistreri – Geologo libero professionista
Domenico Balistreri – Dott. in scienze geologiche
L’esempio di calcolo indicato sviluppa la verifica di liquefazione di un terreno di fondazione in condizioni sismiche secondo NTC 2008 per un periodo di ritorno di 475 anni (SLV). La liquefazione è tipica di depositi sabbiosi incoerenti saturi d’acqua. Questi, sottoposti a delle oscillazioni cicliche indotte da un evento sismico, generano effetti di sito capaci di modificare le caratteristiche del terreno interessato. Durante lo scuotimento, le particelle di terreno tendono ad addensarsi, mentre l’acqua, intrappolata nei vuoti tra le particelle del terreno, impedisce tale addensamento per un maggiore incremento delle pressioni interstiziali esercitate tra le particelle solide (condizioni non drenate). In tali condizioni, le particelle di terreno perdono il contatto reciproco e il deposito si
comporta come un liquido, con perdita di capacità portante del suolo.Tra i vari metodi semplificativi per la verifica dinamica della liquefazione dei terreni, si propone quello di Seed e Idriss (1982) che è tra quelli più utilizzati in quanto è di facile applicazione e richiede pochi parametri geotecnici. I metodi semplificativi sono in genere utilizzati per le verifiche dei terreni dove insisteranno opere di media importanza.
R I A S S U N TO
The example of calculation develops the verification of liquefaction of foundation soil under seismic conditions
according to NTC 2008 for a return period of 475 years (SLV).The liquefaction is typical of water-saturated loose
sand deposits which, undergoing cyclical fluctuations caused by seismic phenomena, generate site effects able to modify the characteristics
of the affected land. During the shaking, the soil particles tend to thicken while the water, trapped in the voids among the soil particles, prevents the thickening because of a greater increase in pore pressure exerted among the solid particles (undrained conditions). In such conditions, the soil particles lose contact with each other and the deposit behaves like a liquid, with a consequential loss of load-bearing capacity
of the soil. Among the various methods of simplification for dynamic verification of liquefaction of soils, it is proposed the Seed and Idriss’s
one (1982), which is among the most widely used because it is easy to apply and takes only a few geotechnical parameters.The methods of
simplification are generally used for verification of the land where it is supposed to build up constructions of medium importance.
ABSTRACT
Il D.M. 14 gennaio 2008 s.m.i. decreta al punto
7.11.3.4.2 che la verifica a liquefazione può essere
omessa quando si manifesti almeno una delle seguenti circostanze:
1) eventi sismici di magnitudo M inferiore a 5;
2) accelerazioni massime attese al piano di campagna in assenza di manufatti (condizioni di
campo libero) minori di 0,1 g;
3) profondità media stagionale della falda superiore
a 15 m dal p.c., per piano di campagna sub-orizzontale e strutture con fondazioni superficiali;
4) depositi costituiti da sabbie pulite con resistenza penetrometrica normalizzata (N1)60 > 30 oppure qc1N > 80 dove (N1)60 è il valore della resistenza determinata in prove penetrometriche
dinamiche (Standard Penetration Test) normalizzata ad una tensione efficace verticale di 100
KPa e qc1N è il valore della resistenza determinata in prove penetrometriche statiche (Cone
Penetration Test) normalizzata ad una tensione
efficace verticale di 100 KPa;
5) distribuzione granulometrica esterna alle zone
indicate nella Figura 7.11.1(a) nel caso di terreni con coefficiente di uniformità Uc < 3,5 ed
in Figura 7.11.1(b) nel caso di terreni con coefficiente di uniformità Uc > 3,5
gdiS
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Fig. 7.11.1(a)
Fig. 7.11.1(b)
59
CURVA GRANULOMETRICA DEL TERRENO DI VERIFICA
Nel nostro caso la curva granulometrica del terreno di verifica, riportata in fig. 1 è rappresentativa di un materiale definito “sabbia” avente un coefficiente di uniformità Uc definito dal rapporto:
Uc = D60/D10 = 0,5 mm /0,15 mm = 3,3
Ricadente nella fascia critica della figura 7.11.1(a)
Figura 1
SUSCETTIVITÀ ATTRAVERSO
UN COEFFICIENTE (Fs)
Il calcolo permette di esprimere la suscettività alla
liquefazione attraverso un coefficiente di sicurezza Fs,
dato dal rapporto fra la resistenza al taglio mobilitabile nello strato di terreno CRR (Cyclic Resistance
Ratio) e lo sforzo tagliante indotto dal sisma CSR
(Cyclic Stress Ratio).
Fs = CRR/CSR (1)
CALCOLO DELLA RESISTENZA
DEL TERRENO
AL TAGLIO MOBILITABILE (CRR)
Dati:
Nspt = 10 (numero di colpi medio misurato nello strato sabbioso)
σVO’ = 0,535 Kg/cm2 (il calcolo della tensione vert.
efficace è appresso specificato);
N1
RESISTENZA DEL TERRENO
AL TAGLIO MOBILITABILE (CRR)
sostituendo:
Na = 10 (1,7 /(0,7+ 0,535)) + 0 = 13,76
CRR = 13,76/90 = 0,153
CRR = Na/90 (2)
di cui:
Na = Nspt (1,7 /(0,7+ σVO)) + N1
Nspt = numero di colpi per piede (30 cm) della prova
penetrometrica standard;
σVO’ = tensione verticale efficace alla profondità z dal
p.c. (Kg/cm2);
N1 = valore dipendente dalla granulometria = 0 se
d50(mm) > 0,25; 7,5 se d50(mm) ≤ 0,25;
d50 = diametro della curva granulometrica corrispondente al passante 50% (mm);
60
= 0 (d50(mm) > 0,25 - fig. 1 -)
SFORZO DI TAGLIO
INDOTTO DAL SISMA (CSR)
amax σvo rd
CSR = 0,65
g σvo’ MSF
(3)
amax = accelerazione sismica orizzontale in superficie
(cm/s2);
g
= accelerazione di gravità (980,7 cm/s2);
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σVO = tensione verticale totale alla profondità z dal
p.c. (Kg/cm2);
σVO’ = tensione verticale efficace alla profondità z dal
p.c. (Kg/cm2);
rd
= coefficiente di riduzione funzione della profondità secondo le seguenti relazioni (Liao e
Whitman, 1986)
rd = 1- 0,00765*z
per
z ≤ 9,15 m
(il coeff. rd si ricava per z espresso in metri)
rd = 1,174 – 0,0267*z per 9,15≤ z ≤ 23 m
rd = 0,774 – 0,008*z
per 23 ≤ z ≤ 30 m
rd = 0,5
per
MSF = coefficiente correttivo funzione
della magnitudo del sisma di riferimento
MSF = (M/7,5)-3,3
z ≥ 30 m
MSF= coefficiente correttivo funzione della magnitudo del sisma di riferimento (Magnitudo Scaling Factor)
MSF = (M/7,5)-3,3
per M ≤ 7,5
MSF = 102,24/M2,56
per M > 7,5
per M ≤ 7,5
MSF = (6.14/7,5)-3,3 = 1,93
Stima accelerazione sismica amax
amax = ag . SS . ST
ulteriori dati:
– calcolo riferito ad un tempo di ritorno (SLV) = 475
anni
Stima della magnitudo M
Il sito in esame appartiene a una delle 36 zone
sismogenetiche in cui è divisa l’Italia, ricadente nella
ZS934 con valore corrispondente di Mwmax = 6.14,
quindi nel calcolo si assume M = 6.14.
– classe del sito = C
– accelerazione di picco al suolo ag = 0,148 g
– max fattore amplificazione spettro orizzontale Fo
= 2,390
– inizio tratto velocità costante spettro orizz. TC* =
0,274 s
CARTA SISMOGENETICA D’ITALIA (INGV)
– amplificazione topografica St = 1,00
– amplificazione stratigrafica SS = 1,484
l’accelerazione massima attesa nel sito:
amax = 0,148 * 1,484 * 1,00 = 0,219 * 980,7 = 214,77 cm/s2
n.b.: per la stima dell’accelerazione massima attesa in
sito, vedi dello stesso autore il precedente lavoro pubblicato nel n° 1/2013 della rivista Geologi di Sicilia.
SEZIONE GEOLITOLOGICA
OGGETTO DI VERIFICA
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ricaviamo:
σVO = tensione verticale totale alla profondità z dal
p.c. (Kg/cm2);
σVO = Σ γi * zi
σVO = (1,80 x 2,50) + (1,85 x 1,00) = 4,5 + 1,85 =
6,35 t/m2 = 0,635 Kg/cm2
σVO’ = tensione verticale efficace alla profondità z
dal p.c. (Kg/cm2);
per il principio delle tensioni efficaci (Terzaghi 1936)
σVOw’ = σVOw – u
di cui
σVOw = γsat*zw;
(I)
u = γw*zw
sostituendo (I): σVOw’ = γsat*zw - γw*zw = zw(γsat - γw)
u
= pressione interstiziale;
γsat = peso di volume del terreno saturo;
γw
= peso di volume dell’acqua;
zw
= spessore dello strato in falda.
Nel nostro caso:
σVO’ = (γ1 * z1) + ((γsat - γw) *zw)
sostituendo i valori:
σVO’ = (1,80 x 2,50) + ((1,80-1,00) x 1,00)) = 4,5 +
+0,85 = 5,35 t/m2 = 0,535 Kg/cm2
rd
= coefficiente di riduzione funzione della profondità;
rd = 1- 0,00765*z → rd = 1- 0,00765x 3,50 = 0.9732
62
CALCOLO DELLO SFORZO
DI TAGLIO INDOTTO DAL SISMA
sostituendo i dati ricavati nella formula (3)
CSR = 0,65
214,77*0,635*0,9732
= 0,085
980,7 *0,535* 1,93
CALCOLO DELLA SUSCETTIVITÀ
ATTRAVERSO UN COEFFICIENTE (Fs)
sostituendo i dati ricavati nella formula (1)
Fs = 0,153/0,085 = 1,8
Il deposito sabbioso saturo non risulta liquefacibile (Fs > 1,3).
BIBLIOGRAFIA
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14 gennaio 2008, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 04/02/2008”.
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dei Terreni per le Applicazioni Sismiche”. Flaccovio Editore.
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Corso di perfezionamento in Microzonazione
sismica, Siena 22/10/2011.
2014
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CRITERIO PER LA DETERMINAZIONE DELLA
MAGNITUDO AI FINI DELLA SUSCETTIBILITÀ
ALLA LIQUEFAZIONE DEI TERRENI
Sebastiano Giovanni Monaco – Geologo libero professionista
Nel presente articolo, dopo un breve excursus normativo in cui si chiarisce quanto stabilito nella normativa
in merito alla Liquefazione, si descrive un esempio basato sul concetto di disaggregazione della pericolosità
sismica; in pratica si tratta di sommare i contributi dovuti alle singole coppie magnitudo-distanza degli epicentri ricadenti all’interno di
un’area di riferimento allo scopo di individuare, con una procedura tipo probabilistico, l’evento sismico dominante e, da questo definire
i valori di amax, MW ed R, in funzione dello Stato Limite utilizzato per la progettazione.
R I A S S U N TO
In this article, after a brief excursus regulatory environment in which is clarifies the provisions in the legislation on the Liquefaction, we describe an example based on the concept of disaggregation of seismic hazard;
in practice this is to add up the contributions due to individual pairs magnitude-distance of the epicenters falling within a reference area
in order to identify, with a probabilistic procedure, the dominant earthquake, and from this define the values of amax, MW and R as a
function of the state limit used for the design.
ABSTRACT
NORME
IN VIGORE
• D.M. 14.01.2008 Norme Tecniche per le Costruzioni;
• Circolare 2 febbraio 2009, n. 617-Istruzioni per
l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per
le Costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008.
Stabilità nei confronti della liquefazione
(§ C 7.11.3.4)
“La sicurezza nei confronti della liquefazione può
essere valutata con procedure di analisi avanzate o
con metodologie di carattere semi-empirico, basati sull’osservazione e/o riconoscimento di fenomeni di liquefazione avvenuti nel passato durante i terremoti, rispetto a casi in cui la liquefazione non è avvenuta”.
Nelle verifica alla liquefazione il coefficiente di
sicurezza Fs, viene valutato calcolando il rapporto tra
la resistenza ciclica alla liquefazione (CRR) e la sollecitazione ciclica indotta dall’azione sismica (CSR).
F . S = CRR (Cyclic Resistance Ratio) –
– CSR (Cyclic Stress Ratio)
Nell’equazione sopra riportata, sia CRR che CSR
sono riferite ad una magnitudo 7,5. riportando quanto segue:
“Se le verifiche semplificate sono effettuate contemporaneamente con più metodi, si deve adottare
quella più cautelativa, a meno di non giustificare adeguatamente una scelta diversa”. (§ C 7.11.3.4).
“La sicurezza nei confronti della liquefazione deve
essere effettuata utilizzando i valori caratteristici delle
proprietà meccaniche dei terreni”. (§ C 7.11.3.4).
“L’adeguatezza del margine di sicurezza nei confronti della liquefazione deve essere valutata e motivata dal progettista” (§ 7.11.3.4.3 - § C 7.11.3.4).
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“Tali procedure sono valide per piano di campagna sub-orizzontale. In caso contrario, la verifica va
eseguita con studi specifici”. (§ C 7.11.3.4).
L’Eurocodice 8 [a differenza del D.M 14.01.2008,
che lascia la scelta dell’adeguatezza del margine di
sicurezza nei confronti della liquefazione al progettista purché motivata (§ 7.11.3.4.3 - § C 7.11.3.4)], stabilisce che:
• Un terreno deve essere considerato suscettibile a
liquefazione allorché, lo sforzo di taglio generato
dal terremoto a una data profondità supera l’80%,
dello sforzo critico che provoca la liquefazione
durante i terremoti (CSR ≥ 0,80 . CRR); tale livello di sforzo di taglio (pari all’80%), implica un fattore di sicurezza pari a 1,25 (Fs = CRR/CSR ≥ 1,25).
Esclusione della verifica a liquefazione
(§ 7.11.3.4.2)
“La verifica a liquefazione può essere omessa
quando si manifesti almeno una delle seguenti circostanze:
1. eventi sismici attesi di magnitudo M inferiore a
5.0;
2. accelerazioni massime attese al piano campagna
in assenza di manufatti (condizioni di campo libero) minori di 0,1g;
3. profondità media stagionale della falda superiore a
15 m dal piano campagna, per piano campagna suborizzontale e strutture con fondazioni superficiali;
4. depositi costituiti da sabbie pulite con resistenza
penetrometrica normalizzata (N1)60 > 30 oppure qc1N
> 180 dove (N1)60 è il valore della resistenza determinata in prove penetrometriche dinamiche (Standard Penetration Test), normalizzata ad una tensione efficace verticale di 100 kPa e qc1N è il valore
63
Figura 1(a)
Figura 1(b)
della resistenza determinata in prove penetrometriche statiche (Cone Penetration Test), normalizzata
ad una tensione efficace verticale di 100 kPa;
5. distribuzione granulometrica esterna alle zone
indicate nella Figura 1(a) nel caso di terreni con
coefficiente di uniformità Uc < 3,5 ed in Figura
1(b) nel caso di terreni con coefficiente di uniformità Uc > 3,5.
il controllo del livello di danneggiamento della
costruzione a fronte dei terremoti che possono verificarsi nel sito di costruzione.
L’azione sismica sulle costruzioni è valutata a partire da una “pericolosità sismica di base”, in condizioni ideali di sito di riferimento rigido con superficie topografica orizzontale (di cat.A nelle NTC).
I risultati dello studio di pericolosità sismica sono
forniti:
• In termini di valori di accelerazione orizzontale
massima ag e dei parametri che permettono di definire gli spettri di risposta ai sensi delle NTC, nelle
condizioni di sito di riferimento rigido orizzontale
sopra definite;
• In corrispondenza dei punti di un reticolo (reticolo di riferimento) i cui nodi sono sufficientemente vicini fra loro (non distano più di 10 km), Un
sito sarà sempre compreso tra quattro dei 10751
punti della griglia di accelerazioni (calcolate per
un tempo di ritorno di 475 anni) indicate nelle
Mappe di Pericolosità Sismica Nazionale di cui
all’Allegato B del D.M. 14 Gennaio 2008;
• Per diverse probabilità di superamento in 50 anni
e/o diversi periodi di ritorno TR ricadenti in un
intervallo di riferimento compreso almeno tra 30
e 2475 anni, estremi inclusi.
Quando le condizioni 1 e 2 non risultino soddisfatte, le indagini geotecniche devono essere finalizzate almeno alla determinazione dei parametri necessari per la verifica delle condizioni 3, 4 e 5.
Pericolosità Sismica
[allegato A alle Norme Tecniche
per le Costruzioni (D.M. 14/01/2008)]
Con l’entrata in vigore delle Norme tecniche per
le costruzioni [D.M. 14 Gennaio 2008], si introduce
il concetto di pericolosità sismica di base del territorio nazionale, intesa come accelerazione massima
orizzontale (amax) su suolo rigido affiorante (ovvero caratterizzato da velocità delle onde sismiche trasversali Vs > 800 m/sec).
Le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC)
adottano un approccio prestazionale alla progettazione delle strutture nuove e alla verifica di quelle esistenti. Nei riguardi dell’azione sismica l’obiettivo è
64
Figura 2 - Zone sismogenetiche per le mappe di pericolosità sismica di base di riferimento (Gruppo di Lavoro MS,
2008, Indirizzi e Criteri per la microzonazione sismica, Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, Dipartimento Protezione Civile, Roma).
2014
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Figura 5 - Confronto fra le diverse tipologie di prove in situ
utilizzate per la valutazione della resistenza alla liquefazione (CRR). [Journal of Geotechnical and Geoenvironmental
Engineering, april 2001 - Modificato].
Figura 3 - Mappe di Pericolosità sismica del territorio nazionale con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni (condizioni di Stato Limite di salvaguardia della Vita). Gruppo di
Lavoro 2004-2008.
L’importanza della sua determinazione è legata (oltre
che alla possibile esclusione della verifica) alla determinazione del fattore scala MSF (Magnitudo Scaling
Factor), che rappresenta un coefficiente correttivo per
terremoti di magnitudo momento diversa da 7,5.
Tale fattore, ai fini della valutazione della pericolosità della liquefazione, viene applicato per convenzione alla capacità di resistenza alla liquefazione e
non al carico sismico.
⎛M ⎞
MSF = ⎜
⎟ per M ≤ 7.5 (Andrus e Stokoe, 1997);
⎝ 7.5 ⎠
⎛ 10 2.24 ⎞
MSF = ⎜ 2.56 ⎟ per M > 7.5
(Idriss, 1990);
⎝M ⎠
⎛ 10 2.24 M _ 3.3 ⎞
⎜ 2 , 56 +
⎟
7.5 ⎠
⎝M
per M ≤ 7.5 (NCEER, 1997).
MSF =
2
–3.3
Figura 4 - Cartografia riportante la Classificazione sismica
regionale e la Zonazione sismogenetica (ZS9). Come da
allegato dell’O.P.C.M. 3907 del 2010.
La definizione della pericolosità sismica di base del
territorio nazionale trae le sue origini dalla Carta delle
Zone Sismogenetiche ZS9, nella quale sono individuate le zone caratterizzate da diversi valori della Magnitudo momento massima [Mwmax]. approvata dalla Commissione Grandi Rischi del Dipartimento della
Protezione Civile nella seduta del 6 aprile 2004, recepita dalla O.P.C.M. n° 3519 del 28 Aprile 2006 e divenuta infine la Mappa di riferimento prevista dal D.M. 14
Gennaio 2008 – Norme Tecniche per le Costruzioni.
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Per come fare la valutazione della grandezza della
Magnitudo non vi sono specifici riferimenti nella normativa D.M. 14/01/2008. Non comparendo neanche
negli allegati A e B e nella circolare n. 617 del
02/01/2009.
Quando si procede per la verifica alla liquefazione di un sito, in linea di principio, e’ opportuno applicare due o più procedure per ottenere una valutazione affidabile del potenziale di liquefazione [da Youd
et al., 2001].
Disaggregazione della Pericolosità Sismica
In pratica si tratta di sommare i contributi dovuti
alle singole coppie magnitudo-distanza degli epicentri ricadenti all’interno di un’area di riferimento allo
scopo di individuare, con una procedura tipo probabilistico, l’evento sismico dominante.
65
Se la Magnitudo risulta inferiore a 5.0, non si
deve fare verifica alla Liquefazione
Un procedimento sofisticato e scientificamente corretto si basa sul concetto di disaggregazione (e/o deaggregazione), della pericolosità sismica. In pratica si
tratta di sommare i contributi dovuti alle singole coppie magnitudo-distanza degli epicentri ricadenti all’interno di un’area di riferimento allo scopo di individuare, con una procedura tipo probabilistico, l’evento
sismico dominante.
Il terremoto individuato, detto terremoto di scenario, è caratterizzato da una magnitudo, una distanza
dal sito indagato e da un tempo di ritorno. Ciò lo
rende utilizzabile, ai fini progettuali, nelle verifiche
allo SLU e allo SLE richieste dal D.M.14.01.2008.
Sul sito Internet dell’I.N.G.V., più precisamente
all’indirizzo esse1-gis.mi.ingv.it, è possibile trovare
un’applicazione che consente di calcolare il terremoto di scenario sulla base della mappa della pericolosità sismica del territorio italiano.
Utilizzando questo criterio si determinano i seguenti parametri:
– ag
= accelerazione sismica orizzontale sul
sito rigido (al Bedrock);
– SS
= coefficiente di amplificazione stratigrafica;
– TR
= tempo di riferimento per la definizione
dell’azione sismica;
– amax = accelerazione massima in superficie;
FASE 1 – STIMA
DELL’ACCELERAZIONE DI BASE
ag
Per la definizione del parametro relativo all’accelerazione di base del sito di progetto (ag), sono necessarie alcune informazioni relative al progetto ed alla
sua localizzazione spaziale. In sintesi i parametri
necessari sono i seguenti:
1. Coordinate del sito;
2. Vita di riferimento Vr come moltiplicazione
della Vita nominale (Vn) e del Coefficiente
d’uso (Cu) derivanti dalla scelta progettuale;
3. Stato limite ad esempio Stato Limite di salvaguardia della Vita (di seguito SLV) e Stato Limite di Danno (di seguito SLD), oltre allo Stato
Limite di Collasso (SLC), a cui corrisponderanno differenti ag in funzione dei differenti periodi di ritorno TR.
Tale operazione (definizione dell’accelerazione di
base del sito, mediante definizione del reticolo di
nodi sismici), può essere effettuata mediante svariati programmi di libero accesso. Al tal fine lo scrivente utilizzerà il foglio di calcolo SpettriNTCver.1.0.3 rilasciato dal Consiglio Superiore dei
Lavori Pubblici per la stima dell’azione sismica di
progetto, ricordando che le coordinate inserite devono essere in gradi sessadecimali e nel sistema di
riferimento ED50.
Per l’esempio utilizzando sempre le stesse coordinate riferite ad una zona della città di Messina:
38.262071° N – 15.625858° E
– la coppia Magnitudo (MW) – Distanza (R).
ESEMPIO PRATICO DI CALCOLO
I parametri necessari alla scelta progettuale adottata in funzione delle coordinate del sito (cap. 2.4 delle NTC2008),
comunicati dal progettista sono i seguenti:
1. Vita nominale (Vn)
[§. 2.4.1 (NTC-08)]: ≥ 50 anni
2. Vita di riferimento (Vr)
[§. 2.4.3 (NTC-08)]:
75 anni
3. Classe d’Uso
[§. 2.4.2 (NTC-08)]:
III anni
4. Coefficiente d’uso (Cu)
[Tab. 2.4.II, §. 2.4.2]: 1.5 anni
Figura 6 - Ubicazione del sito all’interno della maglia
www.geostru.com/geoapp/parametri-sismici.aspx
66
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FASE 1 – STIMA
DELL’ACCELERAZIONE DI BASE
ag
Aperto il programma Spettri-NTC ver. 1.03, si può
operare in due modi diversi:
1. ricerca per coordinate (latitudine e longitudine,
introdurre le coordinate geografiche in ED50);
2. ricerca per comune (inserendo regione, la provincia ed il comune);
Successivamente verrà visualizzato il sito in oggetto (rappresentato da un punto rosso), all’interno del
reticolo di nodi sismici che lo contiene mentre si dovrà
individuare il nodo sismico più prossimo al nostro sito
(nel nostro caso il n. 44545). Volendo visionare l’accelerazione di base (ag), in funzione dei tempi di ritorno (TR), basta cliccare sul tasto “Tabella parametri”.
A questo punto è possibile visionare i periodi di
ritorno per la definizione dell’azione sismica (in anni)
TR [Stati limite di esercizio (SLE) e Stati limite ultimi (SLU)].
Cliccando sul tasto “Tabella parametri azione” è
possibile visualizzare il parametro ag, per i singoli
periodi di ritorno TR associati a ciascun SL e supponendo che:
a. le indagini in sito abbiano definito un VS30 =
270,5 m/s, appartenente quindi alla categoria di
sottosuolo tipo “C” come da approccio semplificato;
b. il sito risulta essere pianeggiante e quindi la
categoria topografica sia “T1”;
c. stiamo considerando ai fini del calcolo lo Stato
Limite di salvaguardia della Vita (SLV).
FASE 3 – STIMA
FASE 2 – STIMA
DELL’ACCELERAZIONE DI BASE
DELL’ACCELERAZIONE
amax
ag
In questa finestra devono essere inseriti i seguenti dati progettuali:
a. Vita nominale Vn, (50 anni);
b. Coefficiente d’uso Cu (1,5), relativo alla Classe d’Uso.
Successivamente all’inserimento dei dati sopra
descritti, l’elaborazione attraverso il tasto “parametri
e punti spettri di risposta”, individua il parametro SS
(coefficiente di amplificazione stratigrafica), che insieme a quello topografico (ST), ed all’accelerazione di
base ag, permette di calcolare il valore di amax (accelerazione massima al suolo).
PROCEDIMENTO DESCRITTIVO
FASE 1 – STIMA
gdiS
DELL’ACCELERAZIONE DI BASE
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ag - Inserimento delle coordinate.
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FASE 2 – STIMA
DELL’ACCELERAZIONE DI BASE
FASE 3 – STIMA
DELL’ACCELERAZIONE
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ag - Inserimento dei parametri progettuali.
amax - Definizione del coefficiente di amplificazione stratigrafica SS.
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numero unico
gdiS
FASE 4–STIMA DELLA MAGNITUDO [MW]
ASSOCIATA ALLO
STATO LIMITE
ANALIZZATO (NELL’ESEMPIO
SLV).
Definito il valore di amax, restano da definire i valori di MW e R. Infatti, per la verifica alla Liquefazione i
metodi semplificati utilizzano il rapporto tra: il valore di CRR (Resistenza alla Liquefazione del Terreno), definito dagli autori con varie equazioni, ed il parametro CSR (sforzo di taglio ciclico indotto dal sisma), che è definito secondo l’equazione semiempirica proposta da Seed e Idriss (1971):
dove:
τav
αmax
g
σvo
σ’vo
rd
MSF
R
=
=
=
=
=
=
=
=
valore medio definito come 0,65 Ùmax;
accelerazione massima in superficie (cm/sec2);
accelerazione di gravità (980 cm/sec2);
tensione litostatica verticale totale (Kg/cm2);
tensione litostatica verticale efficace (Kg/cm2);
coefficiente di riduzione delle tensioni;
coefficiente correttivo in funzione della magnitudo del sisma.
distanza epicentrale (generalmente tale termine può entrare nell’equazione che determina CRR).
Per definire il valore della magnitudo associata allo stato limite analizzato utilizzeremo il sito Internet dell’I.N.G.V.,
più precisamente all’indirizzo esse1-gis.mi.ingv.it, ove è possibile trovare un’applicazione che consente di calcolare il terremoto di scenario sulla base della mappa della pericolosità sismica del territorio italiano.
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69
Se avessimo eseguito tutta l’elaborazione imponendo la probabilità in 50 anni al 5% avremmo ottenuto i valori medi della magnitudo, della distanza epicentrale R e della deviazione standard riferiti allo stato limite SLC,
come sotto riportati:
ATTENZIONE
In questo caso (SLC), e/o nel caso SLD, occorre ricordarsi che le corrispondenti amax sono:
amax(SLD) = SS (SLD) · ST · agSLD = 1.500 · 1.0 · 0.098 = 0.147
amax(SLC) = SS (SLC) · ST · agSLC = 1.145 · 1.0 · 0.374 = 0.428
Ottenute con le fasi 1, 2 e 3 per la definizione dell’accelerazione (sempre nelle condizioni delle ipotesi di
partenza VS30 = 270,50 m/s e/o NSPT30 = 31,40; coefficiente topografico T1 e classe di sottosuolo C).
Riepilogando:
Figura 7 - Valori di MW, R, TR, ag, ST, SS e amax in funzione dello Stato Limite.
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Considerazioni
Supponendo che le prove in situ (VS e/o SPT), abbiano portato alla definizione dei valori e dei grafici che
seguono. A questi valori di VS30 e di NSPT30, corrisponde una categoria di sottosuolo tipo C (approccio semplificato).
VS30 = 270,5 m/s (da prove sismiche)
e
NSPT30 = 31,40 (da prove SPT)
Possono presentarsi due casi:
a) terreni non liquefacibili
Categoria di sottosuolo individuata “C”
b) terreni liquefacibili
Categoria di sottosuolo individuata “S2”
Nel caso a): La categoria di sottosuolo resta “C”
Nel caso b): La categoria di sottosuolo diventa S2 (come da approccio semplificato - NTC08 -§ 3.2.3, che definisce i “Depositi di terreni suscettibili di liquefazione, di argille sensitive o qualsiasi altra categoria di sottosuolo non classificabile nei tipi precedenti”.
Per le prime cinque categorie di sottosuolo definite da approccio semplificato (A, B, C, D, E), le azioni sismiche sono definite al § 3.2.3 delle norme definite dal D.M. 14/01/2008, mentre, per sottosuoli appartenenti alle
ulteriori categorie S1 ed S2 prima elencate, è necessario predisporre specifiche analisi per la definizione delle
azioni sismiche, particolarmente nei casi in cui la presenza di terreni suscettibili di liquefazione e/o di argille
d’elevata sensitività possa comportare fenomeni di collasso del terreno.
Pertanto non è possibile rappresentare la categoria di suolo mediante un declassamento della categoria
individuata (nell’esempio la categoria è “C”), con categorie quali “D” o “E”.
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71
In questi casi occorre effettuare prove aggiuntive (di laboratorio su campioni di terreno estratti, prove HVSR,
etc…). Con utilizzo almeno di codici monodimensionali ai fini della valutazione dell’azione sismica locale con
l’estrazione di accelerogrammi di input relativi al sito in esame e definizione degli spettri elastici e di progetto,
mediante software dedicati per l’estrazione dei moti di imput (Rexel, etc…), e software per la realizzazione delle
analisi di risposta sismica locale RSL (STRATA, EERA, etc.).
BIBLIOGRAFIA
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14/01/ 2008, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n.
29 del 04/02/2008 – Supplemento Ordinario n. 30.
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l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le
Costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008.
72
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per la microzonazione sismica. Conferenza delle
Regioni e delle Province autonome - Dipartimento della protezione civile, Roma, 3 vol. e Dvd.
2014
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LA SEZIONE DI PIZZO SANT’OTIERO
(PETRALIA SOTTANA - MADONIE)
GEOSITO PECULIARE PER L’EVOLUZIONE
MEDIO-TRIASSICA
DELL’AREA CENTRO-MEDITERRANEA
Torre A.(1) - Torre F.(1) - Tripodo A.(2) - Di Stefano P.(2) - Renda P.(2)
(1)
Istituto Euro Mediterraneo di Scienze e Tecnologia,Via Emerico Amari 123 - 90139 - Palermo
(2)
Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM), Università di Palermo.
La sezione stratigrafica recentemente descritta a Pizzo di Sant’Otiero, nei pressi di Petralia Sottana sul versante meridionale di Monte San Salvatore (Madonie), è un nuovo e fondamentale tassello per la conoscenza dell’evoluzione pre-Carnica della Sicilia. La sezione è costituita da due zone: quella inferiore, spessa circa 30 metri, è costituita da un megabreccia carbonatica con elementi neritici ad alghe dasycladali quali Diplopora annulatissima Pia, associate a foraminiferi ed organismi problematici. La porzione superiore, spessa circa 20 metri, è costituita da calcilutiti pelagiche con intercalazioni di fittissime lumachelle a Daonella
spp. fra le quali è stato possibile determinare Daonella tyrolensis Mojsisovics. Questo biomarker ha permesso di assegnare le calcilutiti alla
zona a Protrachyceras longobardicum della parte inferiore del Ladinico superiore (Longobardico inferiore). Ulteriori studi biostratigrafici
nella zona superiore hanno rivelato la presenza di conodonti quali Budurovignathus hungaricus (Kozur & Végh), B. mungoensis (Diebel) e
Paragondolella trammeri (Kozur). Questi confermano l’età ladinica della successione, e permettono di estendere la parte inferiore dell’intervallo stratigrafico alle zone ad ammonoidi a P. gredleri e P. Archelaus (Fassanico superiore). Ciò conferma che Pizzo di Sant’Otiero è una
sezione fondamentale per documentare l’esistenza di piattaforme carbonatiche e bacini pelagici lungo la parte più occidentale della Tetide
Ionica durante il Triassico Medio.
R I A S S U N TO
The recently described stratigraphic section at Pizzo di Sant’Otiero, near Petralia Sottana on the southern side
of San Salvatore Mount (Madonie Mountains), is a new and fundamental tile for the knowledge of the pre-Carnian evolution of Sicily.The section consists of two zones: the lower one, about 30 meters thick, consists of a carbonate megabreccia with neritic elements containing dasycladalean algae such as Diplopora annulatissima, associated with foraminifera and problematic organisms. The
upper zone, about 20 meters thick, consists of parallel bedded pelagic calcilutites that are interbedded with coquina beds containing Daonella spp., among which it was possible to determine Daonella tirolensis.This widespread biomarker allow to assign the calcilutites to the Protrachyceras longobardicum zone of the lower part of the upper Ladinian (lower Longobardian). Further biostratigraphic studies in this upper zone
has revealed the presence of conodonts such as Budurovignathus hungaricus (Kozur & Végh), B. mungoensis (Diebel) and Paragondolella trammeri
(Kozur). They confirm the Ladinian age of the succession, and allow to extend the lower part of the stratigraphic interval to the P. gredleri
and P.Archelaus ammonoids zones (Upper Fassanian).This confirms that the Pizzo di Sant’Otiero is a key section to document the presence
of carbonate platforms and pelagic basins along the westernmost part of the Ionian Tethys during Middle Triassic time.
ABSTRACT
In Sicilia centro-occidentale la documentazione dei
terreni pre-carnici è stata oggetto di dibattito, soprattutto a partire dagli anni ‘60 con i lavori di Caflish &
Schmidt di Friedberg (1967), Montanari (1968), Ruggieri & Di Vita (1972), Mascle (1979). La difficoltà
nella individuazione e collocazione stratigrafica di tali
terreni è dovuta essenzialmente alle deformazioni connesse con la genesi dell’orogene Appenninico-Maghrebide durante il Neogene, che hanno determinato estesi
fenomeni di scollamento nell’originario multistrato
sedimentario (Di Stefano & Gullo,1997, 1998).
Per quanto riguarda i terreni mediotriassici, una
indiscussa sezione rappresentativa, è stata descritta
nella Valle del Sosio, lungo il Torrente San Calogero.
Si tratta di depositi pelagici costituiti da radiolariti e
calcari nodulari di età Anisico sup. – Ladinico (Catalano et al., 1988, 1991; Di Stefano, 1988,1990; Gullo &
Kozur, 1989, 1991).
Un nuovo tassello è stato recentemente aggiunto,
grazie al rinvenimento di una sezione stratigrafica nell’area delle Madonie, a Pizzo di Sant’Otiero, lungo il
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versante meridionale di Monte San Salvatore (Di Stefano et al 2012, 2014).
INQUADRAMENTO
GEOLOGICO-STRUTTURALE
Le Madonie rappresentano un segmento della catena appenninico-maghrebide, caratterizzato da un impilamento di unità tettoniche derivanti dalla deformazione di successioni della Piattaforma Panormide, del
sistema scarpata-bacino della successione Imerese,
dalla copertura silicoclastica oligo-miocenica del Flysh
Numidico (Renda et al, 1999) e da unità derivanti dalla
deformazione di successioni riferibili al Dominio Sicilide (Ogniben, 1960).
Nell’area del Monte San Salvatore, che comprende
anche il Pizzo di Sant’Otiero, affiora l’omonima unità
tettonica costituita da una successione sedimentaria
mesozoico-terziaria tipica delle zone di scarpata fra
piattaforma Panormide e bacino Imerese (Renda et al.,
1999).
73
Fig. 1 – Panoramica del versante meridionale di Monte San Salvatore con, al centro, il rilievo calcareo di Pizzo di Sant’Otiero.
La successione sedimentaria è costituita da marne e
calcilutiti pelagiche (Formazione Mufara, Carnico) che
passano verso l’alto a doloruditi e doloareniti (Formazione Quacella, Trias Sup.-Giurassico Inf.) sormontati
dai terreni del Flysch Numidico che poggiano su una
profonda superficie di erosione (Carbone e Grasso,
2012). La presenza di olistoliti e brecce, prevalentemente carbonatiche, di derivazione panormide, caratterizza
le facies torbiditiche numidiche di quest’area, che sono
state indicate come Wildflysch di Monte San Salvatore
(Ogniben, 1960), Argille di Portella Mandarini (Grasso
et al, 1978) o Flysch a Megabrecce” (Abate et al, 1982).
L’affioramento calcareo di Pizzo di Sant’Otiero si
trova alla base di questa unità tettonica, in prossimità
della superficie di sovrascorrimento che la sovrappone
ai terreni del Flysch Numidico (Fig. 1).
La sezione stratigrafica è costituita da due porzioni
ben distinte (Fig. 2). Quella inferiore, spessa circa 30
metri, costituisce nell’insieme una megabreccia carbonatica, mentre quella superiore, spessa circa 20 metri,
è costituita da calcilutiti pelagiche a Daonella, di colo74
re grigio scuro, organizzate in spessi strati pian paralleli. Fra le due porzioni della successione sono presenti strati cuneiformi di spessore metrico, costituiti da
calcilutiti brecciate (pebbly mudstone).
I calcari a Daonella sono sormontati dai tipici sedimenti della Formazione Mufara costituiti da alternanze
di calcilutiti grigie sottilmente stratificate e marne
brune. Questi terreni sono probabilmente scollati dalle
calcilutiti sottostanti, anche se mantengono un apparente rapporto stratigrafico. I depositi della Formazione Mufara passano verso l’alto, lungo il versante di
Monte San Salvatore, alle dolomie della Formazione
Quacella e, quindi, ai depositi del Flysch Numidico.
Piuttosto limitata è l’estensione laterale dei calcari a Daonella, in quanto confinati al Pizzo di Sant’Otiero.
Le calcilutiti stratificate sono piegate a formare
un’ampia sinclinale asimmetrica orientata est-ovest ed
immergente ad ovest. Il fianco settentrionale della sinclinale è sub verticale mentre quello meridionale presenta debole inclinazione.
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LA SEZIONE DI SANT’OTIERO
Le megabrecce presenti nella porzione inferiore
della sezione di Sant’Otiero hanno tessitura clastosostenuta con extraclasti sub-angolari poco selezionati,
con dimensioni assai variabili da pochi cm a qualche
metro. Fra gli elementi è presente una matrice micritica con peloidi e frammenti di bivalvi pelagici (Di Stefano et al, 2012).
L’analisi petrografica e sedimentologica degli elementi ha permesso di riconoscere finora 4 diverse
microfacies:
Grainstone ad alghe Dasicladali. Questa microfacies è caratterizzata da abbondanti manicotti calcarei
dell’alga dasicladacea Diplopora annulatissima Pia
associati ad altro materiale scheletrico costituito da
frammenti indeterminabili di alghe calcaree e rari foraminiferi bentonici; la microfacies in questione è tipica
di ambienti lagunari di piattaforma carbonatica del
tardo Anisico (Illirico superiore) fino alla base del
Ladinico (Fassanico inferiore) (Velledits et al., 2011).
Grainstone a peloidi con foraminiferi bentonici e
“Tubiphytes”. Questa microfacies è molto comune
nei materiali studiati e consiste essenzialmente di
areniti finissime con peloidi e foraminiferi bentonici
(fra i quali Endotriadella wirzi Kohen-Zaninetti,
1969; emend. Vachard et al., 1994) associati ad
abbondanti frammenti dell’organismo problematico
“Tubiphytes”. Quest’ultimo, spesso associato a spugne calcaree, ha rappresentato un importante biocostruttore dei margini delle piattaforme carbonatiche
triassiche.
Boundstone algale con Zornia obscura SenowbariDaryan & Di Stefano. Si tratta di piccole biocostruzioni formate da un’alga calcarea problematica segnalate
in depositi di piattaforma mediotriassici.
Calcilutiti con calcisfere e filaments. Questa microfacies, tipica di ambiente pelagico costituisce in genere piccoli litoclasti, ed è del tutto simile alla matrice
della megabreccia. I clasti derivano con ogni probabilità dal settore di scarpata nel quale si sono messe in
posto le calciruditi.
Fig. 2 – Panoramica della sezione mediotriassica di Pizzo Sant’Otiero. Si nota la porzione inferiore, massiva, costituita da
calciruditi e la porzione superiore, calcilutitica, ben stratificata. Quest’ultima è stata oggetto di campionamenti per le analisi
biostratigrafiche a daonelle ed a conodonti (intervallo fra le linee rosse).
gdiS
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75
Fig. 3 – Particolare del livello 5 ST, costituito da una lumachella a Daonella tyrolensis.
Sulla base delle microfacies rinvenute e della loro
attribuzione stratigrafica è possibile affermare che le
microfacies neritiche sono tipiche di ambienti lagunari
e del margine di una piattaforma carbonatica dell’Anisico. La successione di calcilutiti che sovrasta il corpo
di brecce postdata l’evento di messa in posto del corpo
calciruditico che viene quindi a collocarsi fra l’Anisico
sommitale ed il Ladinico basale.
È evidente che le aree di alimentazione delle calciruditi sono individuabili nella Piattaforma Panormide
che ha, successivamente, alimentato i depositi di scarpata della Fm. Quacella e le calciruditi del “Wildflysh”.
La parte superiore della sezione di Sant’Otiero consiste, di calcilutiti grigio scure in spessi strati pian
paralleli. Questa parte della sezione è caratterizzata da
una stratificazione ben evidente nella cui porzione
superiore è possibile individuare alcuni letti costituiti
da una lumachella a Daonella spp. (Fig. 3). Le daonelle sono un gruppo di bivalvi pelagici caratteristici del
Triassico Medio e sono degli ottimi indicatori biostratigrafici tanto che è stato possibile realizzare una accurata biozonazione (McRoberts, 2010). In particolare a
Sant’Otiero è stata determinata Daonella tyrolensis
Mojsisovics, le cui caratteristiche morfologiche sono
76
facilmente riconoscibili per l’alta densità delle ben evidenti pliche triforcate e dal tipico contorno delle valve.
La D. tyrolensis è tra le più diffuse daonelle del Ladinico alpino ed è correlabile alla zona ad ammonoidi a
Protrachyceras longobardicum indicativa del Ladinico
Superiore (Longobardico).
Più recentemente la porzione superiore calcilutitica
della successione di Sant’Otiero è stata oggetto di uno
studio biostratigrafico a conodonti, al fine di definirne
l’attribuzione cronostratigrafica (Di Stefano et al,
2014). Il campionamento effettuato negli strati basali,
nella porzione intermedia e al tetto delle calcilutiti ha
permesso di accertare la presenza di esemplari di conodonti afferenti ai generi Budurovignathus e Paragondolella. Tali biomarkers hanno confermato le precedenti attribuzioni stratigrafiche ed hanno consentito, in
particolare con la presenza di Budurovignathus hungaricus (Kozur & Végh) negli strati basali, di estendere al
Ladinico Inferiore (Fassanico, zona a Protrachyceras
gredleri) l’età della porzione inferiore delle calcilutiti.
Sulla base dei dati biostratigrafici complessivamente
disponibili l’età della successione calcilutitica è quindi
compresa tra il Ladinico Inferiore e la parte media del
Ladinico Superiore.
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CONCLUSIONI
La sezione stratigrafica di Pizzo Sant’Otiero, costituita da megabrecce ad elementi neritici con Diplopora
annulatissima, sormontate da calcilutiti a Daonella tyrolensis, rappresenta un geosito unico nel suo genere per
l’area centro-mediterranea, in quanto consente di documentare l’esistenza di un bacino sedimentario pelagico
ad alimentazione carbonatica che è perdurato per gran
parte del Ladinico. In questo bacino, alla fine dell’Anisico o nel Ladinico Inferiore, si è messo in posto, attraverso processi di risedimentazione gravitativa, un prisma di
calciruditi con elementi extrabacinali. Le microfacies
rinvenute fra gli elementi, indicative di un ambiente di
piattaforma carbonatica dell’Anisico, consentono di
documentare ulteriormente l’esistenza della piattaforma
carbonatica Panormide già nel Triassico Medio.
L’assetto tettono-stratigrafico di Pizzo Sant’Otiero
costituisce una ulteriore evidenza della presenza di terreni pre-carnici nell’originario multistrato sedimentario che costituiva i domini paleogeografici della Sicilia
paleoalpina e della loro scarsa preservazione a causa
degli estesi fenomeni di scollamento durante i processi di contrazione che hanno determinato il corrugamento della catena Appenninico-Maghrebide.
BIBLIOGRAFIA
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biota and biostratigraphic frame work. Riv. It. Paleont.
Str., 117(2):221-268.
77
CARTA GEOLOGICA DEL VERSANTE
MERIDIONALE DELLE MADONIE OCCIDENTALI
Torre° A. - Torre° F. - Napoli* G. - Perrone°° M. - Zarcone* G. - Renda* P. & Di Stefano* P.
* Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze della terra e del Mare (DiSTeM) via Archirafi 20, Palermo
° Istituto Euro Mediterraneo di Scienza e Tecnologia (I.E.ME.S.T.) Via Emerico Amari 123, Palermo
°° Via Eurialo 32, Palermo
Particolare della cartina inserita a corredo della rivista
78
2014
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gdiS
Il gruppo montuoso delle Madonie rappresenta un
esteso segmento della catena Appenninico – Maghrebide che occupa la porzione centro settentrionale della
Sicilia, e deriva dalla deformazione di originari domini paleogeografici facenti parte, durante il Mesozoico
– Terziario, del settore siculo appenninico del margine
continentale africano (Abate et alii, 1982) e messe in
posto durante le fasi tettoniche del miocene inferiore
(Ogniben, 1960; Broquet, 1968-1972; Grasso et alii.,
1978, Abate et alii., 1982)
Questo contributo cartografico rappresenta una sintesi dei rilievi geologici e delle analisi stratigraficostrutturali svolte nell’area dagli autori nell’ultimo
decennio.
Nel versante meridionale delle Madonie, compreso
tra gli abitati di Caltavuturo, Polizzi Generosa, Castellana Sicula e Petralia Sottana, affiorano successioni
calcareo-silico-marnose e silico-clastiche di età mesozoico-terziaria riferibili ai Domini Sicilide, Imerese,
Panormide e Numidico, sovrapposte tettonicamente ai
più recenti depositi clastici, evaporitici e carbonatici
deposti nei bacini sin-tettonici mio-pliocenici.
I dati stratigrafici e le analisi strutturali hanno
mostrato l’esistenza di una fase tettonica di età postPliocene Inferiore che causa l’accavallamento del
Flysch Numidico sulle unità Sicilidi e di entrambi sui
Trubi e sui terreni del Miocene superiore.
L’importanza rivestita dai Trubi è data dal fatto che
essi predatano importanti strutture compressive sviluppatesi nelle Madonie e lungo la loro fascia pedemontana (Abate et alii, 1991). Tale fase tettonica determina
sia una ulteriore deformazione della catena con traslazioni di minore entità e superfici di sovrascorrimento
che coinvolgono i terreni del Miocene superiore e del
Pliocene Inferiore, che la formazione di un complesso
sistema di strutture plicative orientate E–O probabilmente dovute ad un cambiamento verso Sud della direzione tettonica di stress (Abate et alii, 1991).
Tra il Pliocene ed il Pleistocene nell’area si instaurano movimenti trascorrenti probabilmente legati alla
dinamica di apertura del Bacino Tirrenico (Finetti &
Del Ben, 1986; Sartori, 1989; Boccaletti et alii,1990;
Argnani, 2000; Renda et alii., 2000) determinando
un’ulteriore deformazione ed ulteriori rotazioni della
catena (Grasso et alii, 1987; Oldow et alii, 1990). I
fronti di sovrascorrimento vengono dislocati da fasci di
faglie trascorrenti, orientate NO-SE e NE-SO che
generano nuovi sistemi di pieghe orientate NE-SO e
creano nuovi piani di sovrascorrimento che a luoghi
riattivano quelli miocenici, rideformando le unità tettoniche già messe in posto.
gdiS
2014
numero unico
BIBLIOGRAFIA
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bacino tirrenico ed i suoi rapporti con la geologia delle
aree circostanti. Giorn. Geol. 51 (2), 1 – 39.
ERRATA CORRIGE
– A. Torre e F. L. Torre - I.E.ME.S.T. (Istituto EuroMediterraneo di Scienza e Tecnologia).
– I due sondaggi per idrocarburiubicati ad ovest di Petralia Sottana sono manifestazioni di olio minerale.
– Il sondaggio per idrocarburiubicato a Madonna dell’Olio (Blufi) è una manifestazione di olio minerale.
– Uno dei due geositi posti a nord di località Raffo (P.
Soprana) è una miniera di salgemma attiva.
– Nel versante ovest di Rocca di Sciara a nord di Caltavuturo, è presente una cava attiva.
79
Attività del Consiglio
“GEOSITI IN SICILIA.
APPLICAZIONE L.R. 25 DELL’11-4-2012”
Giornata di Studi - Alcamo (TP)
Si è svolta il 25 giugno 2014, ad Alcamo (TP), la
giornata di studi indetta dall’Ordine Regionale dei
Geologi di Sicilia su “Geositi in Sicilia. Applicazione
L:R. 25 dell’11-4-2012”.
La manifestazione che rientra nel programma dell’aggiornamento professionale continuo portata avanti
dall’Ordine Regionale, organizzata con il patrocinio
dell’Università degli Studi di Palermo e del Comune di
Alcamo, ha visto una notevole partecipazione di geologi professionisti, nonché di funzionari della Regione e
la presenza di alcuni politici locali.
La giornata di studio ha consentito di fare il punto
sullo stato di attuazione della Legge Regionale che istituisce, anche in Sicilia, i geositi, un nuovo strumento
specificatamente volto alla tutela e valorizzazione del
patrimonio geologico. La scelta della città di Alcamo
non è stata casuale; infatti questa città custodisce uno
dei più importanti Geositi a livello mediterraneo. Si
tratta della Cava Cappuccini, ove è possibile osservare
i rapporti stratigrafici tra rocce di diverse età caratterizzate dalla presenza di resti fossili degli elefanti di taglia
ridotta che hanno popolato la Sicilia durante il Pleistocene medio e superiore.
Questo aspetto è stato messo in evidenza sia dai
relatori chiamati a svolgere le diverse relazioni scientifiche sia durante il dibattito che ne è seguito.
Tutti i convenuti hanno ribadito in maniera unanime
l’eccezionale importanza del geosito, (del quale e in
corso l’istituzione formale) che è stato definito “patrimonio geologico dell’umanità”, nonché la preoccupazione che eventuali opere di sistemazione dei luoghi
possano arrecare danni alle evidenze paleontologiche
presenti sul terreno, auspicando quindi un rigoroso
controllo scientifico nella sistemazione dell’area.
L’intervento di Francesco Criscenti, tesoriere dell’Ordine dei
Geologi e Girolamo Culmone.
L’escursione guidata per le vie del centro storico di Alcamo.
Uova di tartaruga (Geosito Cava Cappucini – Alcamo).
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numero unico
gdiS
I GEOLOGI JUNIOR DELLA SICILIA
SI INCONTRANO
Giorno 25 Settembre 2014, presso la sede dell’Ordine a Palermo, si sono incontrati i Geologi Junior
della Regione Sicilia.
L’iniziativa è nata, per cominciare a discutere ed
avere un confronto su tutte le problematiche che la
categoria dei Geologi Junior oggi deve affrontare nel
mondo del mercato professionale.
Sono state evidenziate diverse criticità della categoria junior, nata proprio a partire dal DPR del 5 giugno
2001 n° 328, che sanciva la nascita dei due Albi professionali.
È evidente che oggi esistono troppi limiti professionali dettati dal su detto DPR, con cui vengono distinte
le diverse competenze, tra il geologo Junior ed il geologo Senior.
L’attività professionale che può svolgere un geologo Junior è abbastanza limitata. Dopo 13 anni dall’entrata in vigore del nuovo sistema universitario e
dunque professionale, in Sicilia gli iscritti all’albo
professionale dei Geologi Junior non raggiungono
nemmeno una decina ed in Italia sono appena 73,
significando che qualche criticità il nuovo sistema lo
ha creato, soprattutto dal punto di vista degli sbocchi
lavorativi.
L’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia con me
consigliere Junior, vorrebbe iniziare un percorso di discussione con tutti gli altri consiglieri geologi Junior
delle altre regioni d’Italia, per riuscire con l’ausilio del
Consiglio Nazionale dei Geologi, ad intraprendere iniziative volte ad un miglioramento e ad una implementazione delle competenze professionali dei giovani
professionisti.
Penso che quando attorno ad un tavolo si sono stabilite le competenze del Geologo Junior e del Geologo
Senior, quest’ultimo non poteva essere presente proprio perché era una novità in assoluto in Italia; oggi
però il geologo Junior è una realtà che può e vuole
esprimere la propria opinione.
Credo che ci sia tanto da lavorare, se veramente si
vuole rilanciare un mercato giovanile professionale in
crisi, iniziando ad ascoltare di più, da oggi, i rappresentanti dei geologi Junior, cui il contributo potrebbe essere importante per tutta la categoria.
Basterebbe poco, soprattutto per dare un’impennata
di fiducia a chi si trova oggi ad iniziare o ultimare il
percorso accademico triennale in scienze della Terra.
Geol. Francesco Dionisi
Consigliere Junior ORGS
gdiS
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PROTOCOLLO D’INTESA
ORGS-ANCI SICILIA
Gli avvenimenti catastrofici alluvionali ed i dissesti
idrogeologici verificatisi negli ultimi anni in Sicilia,
hanno evidenziato ancora una volta l’e- strema vulnerabilità del patrimonio residenziale ed infrastrutturale
del territorio regionale.
Il pesante bilancio che la nostra Regione ha subito,
anche in termini di perdita di vite umane, ha spesso
evidenziato l’impreparazione delle istituzioni locali ad
affrontare situazioni di emer- genza.
È indubbio che il Sindaco, in qualità di autori- tà
comunale di protezione civile, al verificarsi del- l’emergenza nell’ambito del territorio comunale, assume
la direzione e il coordinamento degli inter- venti di
soccorso e programmazione.
Tutto ciò porta alla consapevolezza che sia necessaria una preparazione nella gestione delle emergenze e
delle attività di previsione e preven- zione, attraverso
una sinergia tra amministrazioni competenti (Regioni,
Comuni, enti pubblici), asso- ciazioni di volontariato,
Ordini Professionali e soggetti privati.
Un primo ed importante passo nella direzione di
educare ad una cultura della prevenzione è sicu81
L’incontro del Presidente Fabio Tortorici e alcuni Consiglieri dell’ORGS (da sinistra: Giovanni Pantaleo, Giuseppina Scianna e
Calogero Cannella) con l’On. Leoluca Orlando Presidente ANCISICILIA.
ramente la conoscenza dei fenomeni e delle cause che
comportano rischi di natura geologica (sismi- co, vulcanico, idrogeologico, idraulico), soprattut- to in un
territorio come il nostro, complesso ed esposto agli
stessi rischi.
Nell’ottica di fornire un sostegno concreto alle
amministrazioni dell’Isola ed affrontare le nume- rose
criticità presenti sul territorio, attraverso pro- grammi
di interventi di sensibilizzazione per la mitigazione del
rischio geomorfologico, idraulico e sismico anche ai
fini di protezione civile, l’Ordi- ne Regionale dei Geologi di Sicilia ha siglato il 2 Aprile 2014 un Protocollo
d’Intesa con l’ANCI Sicilia, nella sua sede di Villa
Niscemi.
Con il presente protocollo, i Comuni che aderiranno potranno avvalersi di geologi liberi profes- sionisti regolarmente iscritti all’Ordine, che a tito- lo
volontario vogliano promuovere attività d’inte- resse
comune nell’ambito della sensibilizzazione e prevenzione dei rischi naturali (sismico, vulcani- co, idrogeologico, idraulico, …) anche nelle scuo- le dell’obbligo.
La sottoscrizione del protocollo tra il nostro Ordine
regionale e l’AnciSicilia, di fatto ha forma- lizzato l’istituzione di un gruppo di lavoro tra i due soggetti firmatari, che riunendosi almeno due volte l’anno, ha il
compito di attuare un program- ma di attività che prevedono:
82
• La predisposizione di un Piano di informazione
da trattare nell’ambito della divulga- zione dei
rischi naturali da attuarsi nei Comuni e nelle
scuole dell’obbligo della Regione Siciliana.
• Lo sviluppo di una più ampia conoscenza del sistema Terra, indirizzando la popola- zione verso un
approccio con la natura più approfondito e una
coscienza ambientale più radicata.
• La diffusione della conoscenza e della cul- tura
della Protezione Civile anche median- te la conduzione di attività di carattere for- mativo.
• Una collaborazione con i comuni per la corretta
applicazione delle norme legislati- ve attinenti la
professione del geologo al fine di adottare buone
prassi amministrati- ve rispetto agli obblighi
previsti per legge.
Tale protocollo rilancia ancora una volta la figura
del Geologo, che nella nostra regione, ha assunto negli
ultimi anni un importante ruolo nel supportare il Dipartimento di Protezione Civile Regionale nella gestione
delle emergenze e nelle fasi post-emergenziali, attraverso la Convenzione del 13 Luglio 2011 stipulata tra
Regione Siciliana e Ordine Regionale dei Geologi di
Sicilia, con la quale sono state disciplinate le attività di
presidio territoriale idrogeologico.
Giovanni Pantaleo
Coordinatore Commissione LL.PP. e Urbanistica ORGS
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ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE
REGIONALE DI PROTEZIONE CIVILE
L’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia ha istituito, con apposito atto deliberativo di Consiglio del 26
settembre 2013, la Commissione Regionale di Protezione Civile.
L’attività svolta nel periodo 26 settembre 2013 3 dicembre 2014 è stata la seguente:
1. Suggerimenti per la predisposizione dei nuovi
atti di indirizzo per le procedure operative di
impiego dei geologi in emergenza sismica e in
emergenza idrogeologica (Accordo di collaborazione fra DPC e CNG).
2. Stesura e invio proposta protocollo d’intesa
tra Dipartimento Regionale della Protezione
Civile e Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia sul programma di informazione sui rischi
naturali e delle consequenziali azioni di prevenzione proprie delle attività di Protezione
Civile, da attuare nelle scuole del territorio
regionale.
3. Stesura e sottoscrizione protocollo di intesa
tra ORGS e ANCI Sicilia al fine di sviluppare un programma di attività di informazione, educazione e sensibilizzazione nei
comuni e nelle scuole dell’obbligo della
Regione Siciliana, sui reali rischi che derivano dalle calamità naturali. Inoltre, un programma più specifico, destinato alle scolaresche, cercherà di ampliare la conoscenza
del “Sistema Terra”, indirizzando gli studenti
verso un approccio con la natura più approfondito con una coscienza ambientale più
radicata.
4. Condivisione e sottoscrizione Accordo Quadro tra ORGS, Associazione Internazionale dei
Lions - Distretto 108 Yb Sicilia, Scuola Politecnica dell’Università agli Studi di Palermo,
Ordine degli Ingegneri di Palermo, Dipartimento della Protezione Civile della Regione
Siciliana, Ufficio Scolastico Regionale per la
Sicilia, per la diffusione della “Cultura della
prevenzione nell’ambito della tutela dell’ambiente”.
5. Stesura e sottoscrizione protocollo d’intesa
ORGS - DRPC per attività in emergenza e
post-emergenza idrogeologica e sismica.
6. Proposte di modifiche e integrazioni alla
“Bozza della Legge Regionale in materia di
Protezione Civile”.
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Da sinistra: Rotigliano (UNIPA), Randazzo (UNIME), Antoci
(Parco dei Nebrodi), D'Oriano (CNG), Tortorici (ORGS).
Firma protocollo d’intesa ORGS - DRPC
(Palermo 19 novembre 2014).
Firma Accordo Quadro con Lions - Distretto 108 Yb Sicilia
(Palermo 13 maggio 2014).
83
7. Stesura e invio bozza nuova convenzione con il
Dipartimento Regionale della Protezione Civile
(attività di presidio territoriale idrogeologico),
scaduta il 23 agosto 2014. Al riguardo, alla luce
dell’avvio del nuovo Centro Funzionale Decentrato Multirischio e della pianificazione delle
attività su tutto il territorio regionale, preso atto
della volontà del DRPC di proseguire tale rapporto di collaborazione, a breve essa sarà definita per assicurarne la riattivazione.
8. Sottoscrizione data 2 dicembre 2014 del protocollo d’intesa tra ORGS, CNG, Parco dei
Nebrodi, Università degli Studi di Messina per
il tramite del Dipartimento di Fisica e Scienze
della Terra Dipartimento di Fisica e Scienze
della Terra, Università degli Studi di Palermo
per il tramite del Dipartimento di Scienze della
Terra e del Mare, per la costituzione del “Centro Studi Rischi Geomorfologici dei Nebrodi CERIGE”, con finalità di attuare concrete
misure di previsione e di prevenzione del
rischio geo-idrologico.
GiornaleOnLine
Calogero Cannella
Coordinatore Commissione Protezione Civile ORGS
A TUTTI GLI ISCRITTI
Essendo pervenute numerose richieste di chiarimenti riguardo l’obbligo di stipula della polizza
professionale, da parte di chi non svolge la libera professione, si specifica quanto segue.
Il D.P.R. 7 agosto 2012 n° 137 “Regolamento recante Riforma degli ordinamenti professionali a norma dell’articolo 3, comma 5, del Decreto-Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148”, stabilisce all’art. 5 l’obbligo di stipula di assicurazione per il professionista per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale (ivi comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso).
Da un’attenta lettura del su citato comma 1 dell’art. 5 del D.P.R. 137/2012, che recita: “il professionista è tenuto a stipulare .… idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale…”, si eviche esnce iste un collegamento diretto tra l’obbligatorietà della stipula della polizza e lo svolgimento effettivo dell’attività professionale.
Pertanto, si desume che l’obbligo di assicurazione ricade esclusivamente sui professionisti
che esercitano in maniera tangibile l’attività professionale e che quindi col proprio lavoro possono arrecare danno alla committenza. Va da se, che chi non sottoscrive studi geologici, non può
provocare effetti negativi su cose e persone e conseguentemente non necessita di polizza professionale.
Cordiali saluti.
IL PRESIDENTE DELL’O.R.G.S.
Geol. Fabio Tortorici
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LA TARIFFAZIONE DEI LAVORI PRIVATI
Criteri univoci e razionali contro la concorrenza sleale
Corrado Ingallina – Consigliere ORGS
Dopo che il Decreto Bersani (DL 223/2006) abolì
l’obbligo dell’inderogabilità delle tariffe minime dei
professionisti, sappiamo tutti che ci fu l’ecatombe
nel settore dei lavori pubblici, con un calo abnorme
dei compensi professionali e dei relativi redditi dei
professionisti geologi e non solo; ma c’era ancora
qualche amministrazione che, anche in relazione
all’importanza dei lavori che commissionava e del
budget per realizzarli, applicava la tariffa anche a
garanzia della qualità della prestazione, talvolta pretendendo il solo sconto del 20% previsto dalla L.
155/89; peraltro il Consiglio di Stato, nel 2009,
aveva sancito che le tariffe professionali conservavano “carattere di riferimento” per la determinazione
del compenso delle prestazioni rese alla P.A. Ma poi
arrivò il Prof. Monti, che pensò bene di darci il colpo
di grazia con il decreto sulle liberalizzazioni (DL
1/2012), il quale cancellò completamente le tariffe
professionali, benché il precedente DL223/2006 ne
aveva già abolito l’obbligo.
Oggi, vista l’impossibilità di quantificare i compensi delle prestazioni professionali di ingegneri, architetti, geometri geologi, da mettere a gara per l’affidamento di incarichi pubblici, dato che le tariffe professionali, già leggi dello Stato, erano state abrogate dallo stesso Stato, ecco che arriva il DM 143/2003, che, pensate
un po’, quantifica ogni prestazione sulla base di percentuali, importi e parametri vari…..alla stregua dei
vecchi tariffari !
Ma se la situazione nel pubblico è radicalmente
cambiata, con determinazioni di compensi che poi vengono spesso letteralmente decapitati da ribassi scandalosi, nel settore privato le cose permangono tali e quali,
con l’aggravante che il riferimento normativo non esiste più, dato che il citato DM 143/2013 fa riferimento
ai soli lavori di evidenza pubblica.
Allora cerchiamo di capire il quantum corretto per
una prestazione professionale erogata a favore di un
privato, che sia cittadino o impresa. Più di una volta
ci sarà capitato di fare un preventivo per la consulenza a supporto del progetto di una palazzina o di una
casetta di campagna, o di qualsiasi altra opera che
necessita di apposito studio geologico, e, con grande
delusione, di avere scoperto successivamente che il
gdiS
2014
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collega della porta accanto o del paese limitrofo ha
fatto il lavoro per la metà o per un terzo della cifra
richiesta da noi, con il risultato di aver perso il lavoro
(quindi il compenso).
Ebbene, in questi ultimi 25 anni, da quando esercito la professione di geologo, le cose sono andate sempre a peggiorare, probabilmente anche per il crescente
numero di geologi che operano sul territorio, ma sicuramente per la scarsa considerazione che abbiamo di
noi stessi, scendendo talvolta a compromessi che mettono a repentaglio non solo la nostra personale reputazione, ma quella dell’intera categoria.
Ma a cosa andiamo incontro quando apponiamo il
nostro autografo con un timbro su una relazione geologica? Cerchiamo di capire cosa c’è dietro quel timbro
e cosa ci aspetterà domani.
La cosa più banale, ma non meno importante, è che
con la laurea e con l’abilitazione alla professione di
geologo abbiamo fatto un investimento, o meglio, i
nostri genitori hanno investito su di noi permettendoci
di studiare fino alla soglia dei 25/30 anni, con sacrifici
economici ed emotivi non indifferenti (avete fatto mai
un calcolo di quanto è costata la nostra laurea?). Basterebbe solamente questo a farci capire che il lavoro va
pagato e non sottopagato.
Ma non è solo questo. Pensiamo per un momento
di redigere una relazione geologica a supporto di un
grosso fabbricato, magari del valore di 500 mila euro,
facendoci pagare come se fosse la relazione per una
fossa Imhoff o per la denuncia di un pozzo; ipotizziamo che quella costruzione cominci a subire danni
strutturali per una nostra errata valutazione o perché
non abbiamo fatto sufficienti indagini (ritenendo che
per quel prezzo non valeva la pena nemmeno di fare
un sopralluogo!); a quel punto per cosa credete che
saremmo tenuti a rispondere davanti a un giudice, per
il modestissimo compenso che abbiamo percepito o
per il costo dell’intero fabbricato? Ebbene, cari Colleghi, saremmo ritenuti responsabili per tutto il valore dell’immobile, incluse le porte e i rubinetti, l’impianto elettrico e gli intonaci, il cemento armato e i
laterizi, perchè entra in gioco la cosiddetta responsabilità patrimoniale, la stessa che ci permetteva una
volta, a norma di legge, di calcolare l’onorario a percentuale su tutto il valore di un’opera, valore che nel
85
pubblico si configura nell’importo base d’asta dei
lavori. Oggi abbiamo sì l’obbligo di un’assicurazione
professionale che ci dovrebbe tutelare, ma ciò non
toglie che incidenti del genere compromettano la
nostra professionalità, nonché siano fonte di lunghi
periodi di stress, spese legali, inimicizie, e quant’altro
di spiacevole.
Nella tariffazione di un lavoro privato bisogna
capire ed evidenziare un altro aspetto, non meno
importante, certamente caratterizzante di qualsiasi
professione intellettuale: l’etica e la dignità professionale. Spesso siamo soggiogati da clienti e/o tecnici
senza scrupoli (ma talvolta anche da enti pubblici)
che ci impongono più o meno direttamente come e
quanto dobbiamo tariffare, che ci fanno intendere che
se non lo facciamo noi quel lavoro, a quel prezzo, ne
troveranno altri cento di geologi disposti a farlo; allora accettiamo mestamente l’offerta di qualcuno che,
dopo che ci ha salutati, andrà a dire a destra e a manca
che il geologo tal dei tali fa le relazioni per quattro
soldi, che fa risparmiare perché non chiede nemmeno
le indagini, che non fa distinzioni tra lo studio geologico per un grattacielo e per una casetta....tutti allo
stesso prezzo! Ma cosa crediamo possano pensare
questi tecnici e i loro clienti, quale considerazione
possono avere di noi, a quale dignità professionale
potremo assurgerci?
Certamente, non è sempre così e non è così per tutti,
ma coloro che operano in quella direzione remano contro un’intera categoria, già spesso in combutta con
categorie più forti e rinomate; forse questi non si rendono conto che fare il professionista significa assumersi delle responsabilità in “modo responsabile”, significa avere rispetto per sé stessi, per i colleghi e per la
professione, significa in una parola avere moralità,
dignità ed etica professionale; fare il professionista non
è come coltivare un hobby nel tempo libero o praticare uno sport: fare il professionista significa esercitare
un mestiere, che richiede anche un non indifferente
impegno economico per i costi di una struttura come lo
studio professionale (affitto, luce, telefono, computer,
hardware, sofware, etc.). l’assicurazione obbligatoria,
l’aggiornamento professionale continuo (APC), la
cassa di previdenza (EPAP), la tassa d’iscrizione
all’Albo, l’onorario del consulente , i costi di gestione
di un’autovettura …..inoltre, fare il professionista ci
dovrebbe consentire anche di vivere, poiché la Professione di Geologo è un lavoro vero e proprio, è il nostro
mestiere, rispettiamolo!
Dopo queste riflessioni centriamo l’argomento
tariffazione dei lavori privati, partendo dal logico pre86
supposto che tutti i lavori non sono uguali, indi per
cui non si può chiedere lo stesso compenso per un
palazzo e per una cappella gentilizia, per un impianto
di smaltimento al suolo di una casetta di campagna e
di un albergo: la complessità e l’incidenza delle opere
sul suolo devono sempre essere la base per il calcolo
della tariffa.
Un criterio direttamente derivato dalle vecchie
tariffe potrebbe essere l’applicazione di una percentuale su un importo orientativo dell’opera, decrescente
all’aumentare del suo valore, come peraltro avveniva
nel vecchio tariffario; sicuramente con percentuali dell’ordine di un punto difficilmente si può arrivare a
meno di 1000 euro di compenso, oltre le indagini naturalmente. E quando non c’è importo su cui applicare la
percentuale o se non si vuole utilizzare tale criterio,
anche perché si può trattare di una prestazione idrogeologica o ambientale, o una consulenza di qualsiasi tipo,
come ci possiamo comportare?
Prendiamo come base per una corretta tariffazione
il tempo impiegato materialmente per fare il lavoro,
compresi i sopralluoghi, le visite agli uffici, i viaggi,
l’assistenza ad eventuali indagini, l’elaborazione dei
dati di campagna, tenendo presente che il costo orario
(la vacazione) non può essere quello di una collaboratrice domestica (senza offesa), poiché siamo dei Professionisti Laureati! Sommiamo al costo orario le
spese vive ed infine, discrezionalmente, in funzione
dell’importanza del lavoro (che dipende oltre che dall’importo, dalla tipologia dell’opera e dalla sua incidenza sul territorio), aggiungiamo una cifra che ‘paga’
la nostra competenza, professionalità e soprattutto la
responsabilità che su quell’opera avremo….pensate
che ci possano essere prestazioni che valgano meno di
500 Euro?
Vedete, con un pò di buon senso si può arrivare alla
determinazione di onorari dignitosi, al di sotto dei
quali si minano l’importanza e il decoro della Professione di Geologo. Il meccanismo perverso di concorrenza sleale a cui da tempo siamo abituati non fa altro
che creare confusione tra i committenti, con evidente
perdita di immagine e di credibilità.
Credo dipenda solo da noi il futuro di questa bella
nostra Professione, da come noi ci presentiamo e ci
poniamo alla gente e da come la gente ci considera; e
la misura di questa considerazione si basa anche sui
criteri di determinazione degli onorari, che devono
essere più che mai univoci, oltre che commisurati al
tipo di prestazione.
2014
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VERSO GLI UGT
UFFICI GEOLOGICI TERRITORIALI
Calogero Pecoraro - Commissione Protezione Civile ORGS
sità e definire interventi strutturali mirati alla crescita
A poco più di un anno e mezzo dall’insediamento di
del territorio.
questo nuovo consiglio è giunto il momento di fare
Questa necessità nasce fin dai primi anni dello
un’analisi sulle attività portate avanti e porre un punto
Stato
unitario dove importanti studiosi come Quintidi riflessione su come indirizzare meglio la gestione
no Sella e Felice Giordano, chiamarono il governo a
delle proposte per il raggiungimento degli obbiettivi
predisporre strumenti di base come quello della Carta
prefissati.
geologica d’Italia, con la consapevolezza che la conoIl nostro Ordine, tra i propri compiti istituzionali,
scenza del suolo e del sottosuolo costituisse l’indiha posto particolare attenzione all’opera di sensibilizspensabile supporto delle attività industriali, agricole
zazione dell’opinione pubblica, delle istituzioni e
ed infrastrutturali. Oggi più che mai, l’O.R.G.S. invidegli enti preposti alla salvaguardia del territorio
ta il governo a dotarsi di uno strumento vitale per il
affinché si recepisse quanto è importante la figura del
territorio che è quello dell’Ufficio Geologico TerritoGeologo e quanto può contribuire a rendere più sicuriale (UGT), consapevole che un maggior coinvolgiro un Paese così fragile dove secondo dati del Minimento dei Geologi consentirebbe una più attenta ed
stero dell’Ambiente, sono 6.633 (82%) i comuni in
efficacie pianificazione territoriale con conseguente
pericolo per il dissesto idrogeologico, oltre la metà
riduzione degli effetti calamitosi che affliggono il
degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane,
Paese.
smottamenti, terremoti, fenomeni vulcanici e persino
Un forte ringraziamento va all’Onorevole Tonino
maremoti. Negli ultimi 80 anni si sono verificati circa
Moscatt e al nostro Presidente del C.N.G. Gianvito
5.400 alluvioni e 11.000 frane. In Italia per oltre 50
Graziano, per aver fin da subito creduto nel progetto e
anni sono stati consumati in media 7 mq al secondo di
per averci supportati ed accompagnati in questo persuolo, mentre oggi se ne consumano addirittura 8 mq
corso intriso di difficoltà ed ostacoli.
al secondo evidenziando la drammatica situazione
La battaglia non è ancora vinta ma l’O.R.G.S. non
morfologica dei nostri territori. Ogni 5 mesi viene
si fermerà fin quando l’obbiettivo non sarà raggiunto.
cementificata una superficie pari a quella del comune
In queste settimane è stato presentato un’O.d.g per l’idi Napoli e ogni anno una superficie pari alla somma
stituzione dell’U.G.T..
di quelle dei comuni di Milano e di Firenze. In
aggiunta a tali informazioni,
fortemente drammatiche, ci
sono le coste, che hanno subito
attraverso una urbanizzazione
sfrenata (non rispettando i vincoli imposti della cosiddetta
“Legge Galasso” L. n. 431/1985),
un’erosione dal 1985 ad oggi
di ben 160 km di litorale; in 8
regioni italiane tra Adriatico e
Tirreno, ben 1800 km di coste
sono state trasformate dall’urbanizzazione. Si tratta di oltre
il 55% delle coste analizzate.
In definitiva è arrivato il
momento di riflettere su come
avviare attività volte a regolamentare l’uso del suolo al fine
Al centro in primo piano il consigliere Calogero Pecoraro con il deputato Tonino Moscatt
(a sinistra) con una delegazione del CNG.
di limitare i fattori di pericolo-
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ULTIME NOVITÀ SULL’AGGIORNAMENTO
PROFESSIONALE CONTINUO
Giuseppe Collura - Consigliere ORGS e Componente della Commissione Nazionale APC presso il CNG
Carissimi Colleghi, è in vigore dal 01 gennaio
2014, e per il triennio 2014/2017, il nuovo regolamento del Consiglio Nazionale dei Geologi - Regolamento per la formazione professionale continua, in
attuazione dell’art. 7 del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137.
Il regolamento, approvato con delibera del 5 ottobre 2013, è pubblicato sul Bollettino Ufficiale del
Ministero della Giustizia n. 22 del 30/11/2013. Il
nuovo regolamento presenta numerose variazioni in
particolare nelle modalità di accreditamento dei corsi.
L’attività relativa all’APC è esplicitata dettagliatamente nelle circolari C.N.G. n. 368 del 04 dicembre
2013 e n. 377 del 30 gennaio 2014.
Come già sapete dal 2010 (escluso quindi il primo
triennio 2008/2010) la formazione/aggiornamento
professionale non ha più carattere sperimentale ma
obbligatorio.
Le “Norme deontologiche riguardanti l’esercizio
della professione del geologo in Italia” di cui alla delibera n° 143/06 del Consiglio Nazionale dei Geologi
(CNG), all’art.7 e, segnatamente, all’art. 9 prevedono
l’obbligo per il geologo di aggiornare la propria preparazione professionale.
Pertanto tutti gli iscritti devono ottemperare all’obbligo deontologico dell’Aggiornamento Professionale
Continuo (APC), nel rispetto e recepimento della risoluzione del Consiglio Europeo 2002/C 163/01 del 27
gennaio 2002 e così come ulteriormente disciplinato
dal Nuovo Regolamento approvato dal Consiglio
Nazionale dei Geologi.
Ciascun periodo di APC ha durata triennale; è
attualmente in corso il triennio 2014/2017. Fermo
restando l’obbligo deontologico dell’aggiornamento
professionale, per il suo adempimento ogni iscritto
all’Ordine deve conseguire 50 crediti formativi che ha
durata dal 01 gennaio 2014 - 31 dicembre 2017.
L’obiettivo principale dell’APC è quello di garantire e migliorare nel tempo la qualità delle prestazioni professionali del professionista geologo, sia se
impegnato nell’attività di libera professione. sia se
dipendente privato o all’interno di enti e/o amministrazioni pubbliche.
In sostanza tutti i geologi iscritti all’albo professionale dovranno frequentare corsi APC, seminari,
convegni master riguardanti temi e argomenti attinenti la geologia e l’attività professionale di geologo.
88
In un momento molto difficile per le professioni tecniche legato principalmente ad una sfavorevole congiuntura economica, ma anche alla crescente complessità
dello scenario normativo ed alla continua evoluzione del
sapere scientifico e della tecnologia è necessario un continuo adeguamento delle competenze professionali del
geologo che non può essere legato esclusivamente all’esperienza derivante dall’attività professionale.
Il Consiglio dell’O.R.G.S., in questo anno ha avviato e organizzato numerose attività (corsi di aggiornamento professionale, convegni e seminari formativi),
quasi tutte gratuite, minimizzando i costi per i Colleghi, soprattutto per quelli più giovani, e distribuendo
in modo omogeneo gli eventi in tutte le province,
affinché tutti gli iscritti abbiano la possibilità di acquisire nel modo più agevole possibile i crediti stabiliti
dal regolamento.
La programmazione degli eventi formativi è differenziata su un’ampia gamma di argomenti di interesse professionale e con particolare attenzione verso temi
e ambiti professionali emergenti ed innovativi come
le attività di studio e progettazione legate al nuovo
“Decreto Crolli”, alla “Geologia Forense” alle Energie Rinnovabili e a tutto quanto attiene alle attività di
recupero, bonifica e valorizzazione. Nella organizzazione di queste attività particolare attenzione è stata
rivolta nella scelta dei docenti al fine di garantire standard di elevata qualificazione.
Il CNG ha istituito una commissione nazionale
APC, di cui faccio parte, con il compito di valutare i
programmi degli eventi di formazione e di fissare i
relativi crediti.
Ricordo a tutti i colleghi che è possibile inoltrare
al Consiglio dell’Ordine la richiesta di riconoscimento di eventi formativi APC frequentati organizzati ed
accreditati da altri ordini professionali secondo una
procedura descritta dal regolamento (Articolo 7 comma 10) su cui daremo prossimamente comunicazione con maggiori e più dettagliate informazioni.
L’iscritto che non assolverà l’obbligo dell’APC,
cosi come previsto dal regolamento, sarà assoggettato a procedure disciplinari.
Maggiori informazioni possono essere acquisite
collegandosi al sito http://www.geologidisicilia.it o
contattando la segreteria dell’O.R.G.S.
Buon Natale a Tutti.
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gdiS
GEOLOGIA E GREEN ECONOMY
NELLO SVILUPPO DEL SETTORE GEOTERMICO
Antonio Cubito - Mario Leta - Commissione Energia ORGS
In un contesto economico nazionale in cui la recessione e la crisi finanziaria hanno pesantemente colpito l’economia, il cambiamento verso una green economy e l’utilizzo di fonti energetiche alternative
rappresenta un’occasione di rilancio per nuovi investimenti, per l’avvio di nuovi processi produttivi con
un uso sostenibile e più efficiente delle risorse ambientali, per essere nuovamente competitivi ed innovativi.
Già agli inizi del XX secolo a Larderello, in Toscana, il calore di fluidi geotermici fu utilizzato per generare elettricità facendo dell’Italia la prima produttrice
al mondo di energia geotermoelettrica, idea che solo
dopo parecchi anni si diffuse in altri paesi.
La geotermia può pertanto considerarsi l’energia
rinnovabile che storicamente rappresenta il nostro
Paese, con ampi margini di crescita e di sviluppo locale, in ragione di un favorevole assetto geologico complessivo e di un potenziale naturale in grado di valorizzare l’uso di tale risorsa.
Ciò nonostante la produzione di energia da fonti
rinnovabili, ancora oggi, in Italia, risulta fortemente
penalizzata rispetto quella ottenuta da materie prime
fossili.
In realtà lo sfruttamento della risorsa geotermica,
nelle sue diverse forme (alta, media, bassa entalpia),
comporterebbe significativi vantaggi anche in relazione alla differenziata vocazione delle aree di impiego.
La geotermia, oltre ad essere finalizzata alla produzione di energia elettrica, può essere indirizzata
all’ottimizzazione energetica dei processi industriali
e/o agricoli e nei contesti urbani per il condizionamento termico degli edifici.
La geotermia a bassa entalpia, che riguarda essenzialmente lo scambio termico con il sottosuolo, potrebbe assumere nel prossimo futuro un ruolo strategico nel
programma di utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili al pari dell’eolico e del fotovoltaico. Inoltre esibisce elevata potenzialità poiché applicabile a qualsiasi
latitudine, in qualsiasi luogo e situazione, soddisfacendo sia il fabbisogno di riscaldamento nel periodo invernale, sia quello di raffrescamento nel periodo estivo.
Per tali ragioni la geotermia rappresenta una concreta prospettiva di lavoro per il geologo il cui contributo è indispensabile nella valutazione del rendimento termico del sottosuolo.
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Sulla base delle considerazioni esposte il consiglio
dell’ORGS ha ritenuto opportuno dedicare una delle
sessioni del recente congresso regionale, che si è tenuto a Siracusa nel mese di aprile u.s., agli aspetti inerenti le forme di utilizzo della risorsa geotermica applicate alle competenze del Geologo nella pianificazione
e nello sfruttamento delle risorsa geotermica.
I contributi dei diversi relatori hanno tracciato un
importante percorso di sintesi e collegamento tra le
esigenze dettate da un uso sostenibile delle risorse
naturali e le possibili applicazioni correlate ad un’ottimizzazione dei processi, evidenziando le relazioni
con la naturale vocazione del territorio siciliano.
La sessione ha visto la partecipazione del Dott.
Paride Antolini (coordinatore della commissione energia del CNG), del prof. Salvatore Monteleone (Distem, Università di Palermo) del dott. Salvo Torrisi
(Università di Catania), del dott. Roberto Pedron
(Sinergeo) del dott. Tranchida (CNR) della dott.ssa
Adele Manzella (IGG di Pisa Coordinatrice del progetto VIGOR).
I relatori hanno illustrato il ruolo che la geotermia
ricopre di diritto nell’ambito della green economy, evidenziando il ritardo nello sfruttamento e nella valorizzazione di tale risorsa nel territorio italiano, soprattutto nel sud Italia, rispetto ai paesi del nord Europa
e del Nord America.
Gli interventi hanno affrontato gli studi attualmente in corso nell’isola di Pantelleria (per lo sfruttamento dell’energia geotermica ad alta entalpia) e l’impianto geotermico a bassa entalpia di Capo Granitola
(Trapani), per il condizionamento delle strutture del
CNR. Sono stati analizzati gli aspetti idrogeotermici
e l’ottimizzazione dell’uso dei fluidi a bassa entalpia
sul territorio siciliano e presentati alcuni studi per la
valutazione della potenzialità geotermica su base provinciale riguardanti la valutazione del potenziale di
scambio geotermico.
La sessione è stata conclusa con la presentazione
del progetto VIGOR (valutazione del potenziale geotermico delle regioni della convergenza Campania,
Calabria, Puglia e Sicilia), dedicato alla valutazione
del potenziale geotermico delle Regioni Obiettivo
Convergenza e recentemente terminato. Secondo quanto stimato nel progetto VIGOR, vaste aree del terri89
torio siciliano sono caratterizzate da
un’elevata energia termica potenzialmente utilizzabile con le tecnologie note in ambito geotermico.
La descrizione del progetto ha
evidenziato come l’utilizzo del
calore prelevato dal sottosuolo può
innescare una serie di nuovi processi e promuovere innovative
realtà produttive in grado di rilanciare l’economia dei territori.
Anche le pubbliche amministrazioni, oltre a professionisti e operatori del settore, possono oggi disporre, grazie a VIGOR, di mappe,
valutazioni, e riferimenti normativi. I documenti sono interamente
disponibili in rete. La valorizzazione della fonte geotermica, ai fini
dello sviluppo socioeconomico,
richiede infatti un’intensa comunicazione ed un’adeguata divulgazione dei dati. Lo sviluppo di knowhow per la progettazione, la
realizzazione e la gestione di
impianti alimentati da geotermia
può indurre una concreta risposta
in ambito occupazionale.
Per la geotermia, analogamente
a quanto avviene per le altre energie rinnovabili, si stanno sviluppando nuove figure professionali,
capaci di avere una visione “sistemica” e in grado di cogliere il
“comparto” geotermia nel suo
insieme, dal quadro normativo a
quello ambientale, dagli aspetti
energetici a quelli tecnologici.
Tra i posti di lavoro “diretti” in
questo settore, ovvero quelli che
riguardano la progettazione,
gestione e manutenzione degli
impianti, la professionalità del
geologo trova quindi naturale collocazione per la conoscenza della
complessità dei processi alla base
dei flussi geotermici.
Si ringrazia la Dott.ssa Adele
Manzella per avere fornito un
importante contributo con i dati
relativi al progetto VIGOR.
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Figura 1. Carta del Calore in Posto (in alto) e del potenziale di geoscambio (in
basso) calcolata in VIGOR.
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gdiS
Le nostre interviste
ANTONINO MOSCATT, Deputato Nazionale PD
Calogero Pecoraro - Commissione Protezione Civile ORGS
Continuiamo con la pagina delle interviste dedicate alle autorità e ai rappresentanti politici locali e
nazionali. Oggi pubblichiamo l’intervista al deputato
nazionale del PD Antonino Moscatt.
Per combattere il dissesto idrogeologico il governo si è dotato di un nuovo strumento che è quello
dell’Unità di missione. Tale strumento può realmente essere utile per fronteggiare un fenomeno di questa portata?
“Sicuramente. Uno strumento che non esisteva ed
adesso è presente e funzionale, che mette in relazione professionalità e competenze diverse con un obiettivo comune che è quello di fare – finalmente – un’analisi concreta della situazione, intervenendo in
maniera efficace. Si è chiesto al governo Renzi, inoltre, di escludere dal Patto di stabilità gli investimenti per la sicurezza da alluvioni e frane del nostro
Paese. Parliamo di spazi finanziari di circa tre miliardi di euro fuori dal Patto di Stabilità per i Comuni
che devono investire in manutenzione e prevenzione
ed in tutte quelle opere che non vengono realizzate
pur avendo, talvolta, anche risorse disponibili. Adesso potranno farlo con uno sforamento di ben tre
miliardi. Erasmo D’Angelis che ne è a capo, ma non
solo, ha il compito di mettere a punto un piano di
intervento per la difesa del suolo che metta insieme
e coordini le iniziative, le risorse e gli obiettivi sparsi fra piani ministeriali e regionali”.
A fronte di dati poco confortanti legati alle prospettive di riduzione del dissesto idrogeologico nel
nostro Paese si registra un fatto in controtendenza. Lei assieme al Consiglio Regionale dei Geologi
di Sicilia e al Consiglio Nazionale dei Geologi, dopo
svariate proposte, presenta un nuovo Odg che
potrebbe dare inizio ad un percorso di cambiamento per contrastare questo fenomeno, secondo lei è
un obiettivo raggiungibile?
“Si, ho presentato un atto concreto per fronteggiare quella che oggi si manifesta come un’emergenza
su cui ognuno di noi deve lavorare, far qualcosa, per
prendere le ‘contromisure’ ad ogni brutta eventualità
gdiS
2014
numero unico
e programmare un futuro fatto d’attenzione, tutela e
responsabilità. Dopo lo studio di certe dinamiche, la
partecipazione al 6° congresso regionale dei geologi
di Sicilia ed il confronto col Consiglio nazionale dei
Geologi, ho presentato un Odg concordato proprio
con il consiglio nazionale e gli esperti del settore per
l’Istituzione degli uffici geologici territoriali (UGT).
Il governo in questi mesi sta facendo molto, ma credo
vada fatto uno sforzo superiore. Mi sono chiesto quali
misure possono ancora essere attuate per prevenire le
esondazioni, i fiumi che straripano, le piogge che allagano, i costoni che cedono e le frane che devastano
le città. Quale metodologia venisse applicata e come
si potevano affrontare eventuali futuri eventi calamitosi più che gli allarmismi dell’immediato. Occorre
monitorare ed attivare tutto ciò che risulti utile a
garantire l’incolumità dei cittadini e per questo l’Odg
sul collegato ambientale che impegna il governo ad
istituire, gli Uffici Geologici Territoriali (UGT). Per
il monitoraggio dei territori, programmazione di interventi nelle aree a rischio idrogeologico, supporto agli
enti locali, azioni di vigilanza sulla rete idrografica
secondaria, supporto agli uffici di protezione civile ed
agli uffici tecnici dei comuni, sono alcuni dei punti
evidenziati nell’Odg che punta a fortificare preven91
zione e riduzione del rischio idrogeologico. In parte
é quello che ci chiedono gli italiani che in ogni regione vivono un fenomeno sempre più strutturale e sempre meno casuale”.
Si parla tanto di green economy, energia rinnovabile e nuovi sistemi di produzione d’energia pulita: cosa, secondo lei, può essere ancora fatto per
migliorarne la gestione e soprattutto lo sviluppo?
“Tanto ancora in Italia deve essere fatto. Ma intanto stiamo cercando di prorogare l’ecobonus del 65%,
sugli interventi di ristrutturazione e riqualificazione
energetica degli edifici, anche per l’intero 2015. La
stessa percentuale sarà valida pure per schermature
solari, l’acquisto e la messa in opera di impianti di
climatizzazione alimentati da biomasse. Un ecobonus del 50 %, invece, è valido per le ristrutturazioni
edilizie e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici.
Sostanzialmente buone cose, ma ritengo che interventi di questo tipo debbano potersi sfruttare continuamente e rappresentare l’opportunità della quotidianità al consumo e al riutilizzo delle energie. Solo in
questo modo, nel nostro Paese, l’utilizzo di energia
da fonti rinnovabili può diventare tema centrale e di
facile, per così dire, accesso. Da parte mia ci sarà
sicuramente il massimo impegno per creare le condizioni affinché, insieme al mio gruppo politico ed il
Ministero competente, si possa procedere verso queste soluzioni sempre più vantaggiose e virtuose. Tutti
noi dobbiamo crederci; il rapporto GreenItalty 2014,
presentato ad inizio Novembre da Unioncamere alla
Camera, riporta numeri incoraggianti. Sono infatti
341.500 le aziende nel nostro Paese, con almeno un
dipendente, che negli ultimi sei anni hanno investito
in prodotti o tecnologie eco-sostenibili. Una scelta
che, dati alla mano, sembra pagare, visto che il 18,8%
delle aziende green ha visto crescere il proprio fatturato nel 2013, contro il 12.6% della media italiana.
Merito di una maggiore concorrenzialità sui mercati
internazionali e maggiore capacità di produrre innovazione: il 19,6% delle aziende verdi esporta infatti
stabilmente merci fuori dall’Italia, contro una media
del 9,4%, e il 20,6% ha sviluppato nuovi prodotti o
servizi nello scorso anno, contro l’8,7% di quelli che
non investono in prodotti green. Numeri importanti,
che si riflettono anche sulla quantità di lavoratori
impegnati nel settore. Sono infatti oltre 3 milioni in
Italia i lavori green, il 13,3% dell’occupazione complessiva nazionale, ed è previsto che crescano ancora nei prossimi anni, con oltre 234.00 assunzioni di
figure con competenze green. Degna di nota è anche
l’istituzione delle Oil free zone col collegato ambientale alla Legge di Stabilità 2014; si tratta di aree territoriali nelle quali, entro un determinato arco temporale e sulla base di specifico atto di indirizzo
adottato dai comuni del territorio di riferimento, si
prevede la progressiva sostituzione del petrolio e dei
suoi derivati con energie prodotte da fonti rinnovabili. In buona sostanza, si promuovere su base sperimentale e sussidiaria la progressiva fuoriuscita dall’economia basata sul ciclo del carbonio, per
raggiungere gli standard europei in materia di sostenibilità ambientale”.
Una delegazione dell’Ordine dei Geologi di Sicilia
presso gli Uffici dell’Assessorato Infrastrutture e Mobilità
Il giorno 3 Dicembre 2014, una delegazione dell’ORGS composta dai consiglieri Francesco Criscenti, Mario Leta e Giuseppina Scianna, è stata ricevuta negli uffici dell’assessore Giovanni Pizzo, presso
l’assessorato Infrastrutture e Mobilità al fine di discutere l’attuale carenza numerica di dirigenti e/o funzionari geologi presso gli Uffici del Genio Civile
della Regione Siciliana.
Tutto ciò al fine di garantire l’efficacia degli Uffici del Genio Civile e soprattutto, di assicurare una corretta valutazione della conformità dei progetti alle condizioni geologiche di un territorio ad elevato rischio
sismico ed idrogeologico come quello siciliano.
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I consiglieri hanno proposto, inoltre, che venisse
accettato ed adottato, da parte di tutti gli Uffici del
Genio Civile, uno standard minimo di lavoro. Il Consiglio dell’Ordine trasmetterà una serie di documentazioni utili, tra le quali il quadro numerico completo dei
funzionari attualmente presenti presso gli Uffici, al fine
di definire, nel più breve tempo possibile, quanto sopra.
L’Assessorato ha dato la massima disponibilità e
totale collaborazione e ci si è aggiornati ad altro
incontro, per definire ed approfondire quanto sopra e
dove possibile affrontare ulteriori problematiche.
Francesco Criscenti
Tesoriere ORGS
2014
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gdiS
Le Consulte Provinciali
Il nuovo Consiglio dell’Ordine Regionale dei
Geologi di Sicilia appena insediatosi, ha dato seguito
a quanto già programmato in fase elettorale, attivando uno strumento di partecipazione e di incentivazione della cultura professionale come le Consulte Provinciali, con lo scopo di condividere la passione per il
nostro lavoro, coinvolgendo quanti più colleghi nell’elaborazione di iniziative e proposte atte a promuovere e a salvaguardare l’attività professionale del
geologo.
Le Consulte Provinciali sono organismi consultivi e
propositivi, attraverso i quali l’Ordine valorizza e promuove la partecipazione, su scala provinciale, dei propri iscritti disposti a impegnarsi a titolo gratuito in attività utili a rafforzare il ruolo del geologo nei rapporti
con il territorio e con le realtà istituzionali e sociali.
L’Ordine riconosce nel proprio iscritto, per la presenza e per il radicamento nella propria provincia, una
risorsa insostituibile, un interlocutore privilegiato
capace di interpretare i bisogni della categoria e di
agire efficacemente, a fianco dei Consiglieri dell’Ordine, con amministrazioni locali, associazioni, organizzazioni o enti.
Le attività principali delle Consulte Provinciali
sono quelle di svolgere un’azione di supporto e di raccordo tra il Consiglio e gli iscritti, effettuare un monitoraggio capillare di ciò che succede nel territorio
riguardante la professione e di collaborare per l’organizzazione di incontri culturali, riunioni, convegni e
corsi di approfondimento.
Le Consulte Provinciali, istituite dal Consiglio dell’O.R.G.S., hanno durata naturale pari a quella del
Consiglio stesso e sono costituite da 5 componenti
regolarmente iscritti all’O.R.G.S. ed in regola con
l’Aggiornamento Professionale Continuo, di cui uno
ne è Coordinatore.
Di seguito sono riportati i nominativi dei 45 colleghi, componenti delle 9 Consulte Provinciali che collaborano fattivamente con il Consiglio dell’Ordine e
che a nome di quest’ultimo intendo ringraziare per il
senso di responsabilità fin qui dimostrato e per la qualità del lavoro svolto nell’affrontare le specifiche problematiche.
Enzo Pinizzotto
Vice Presidente O.R.G.S.
gdiS
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numero unico
LE NOVE CONSULTE
Consulta provinciale O.R.G.S. “AGRIGENTO”
Emerico SCIASCIA (Coordinatore), Andrea CANNIZZARO, Giuseppe LOMBARDO, Gaetano RIZZUTO, Tiziana SABBELLA.
Consulta provinciale O.R.G.S. “CALTANISSETTA”
Massimo RIZZO (Coordinatore), Marcello FRANGIAMONE, Roberto PRISCO, Giovanni ANTINORO, Carmelo Silvano IUDICA.
Consulta provinciale O.R.G.S. “CATANIA”
Thalassia GIACCONE (Coordinatrice), Carmelo
BIVONA, Francesco FAZIO, Danilo MESSINA,
Marco NERI.
Consulta provinciale O.R.G.S. “ENNA”
Salvatore PALILLO (Coordinatore), Salvatore BANNÒ,
Paolo DI FRANCA, Paolo DI MATTIA, Maurizio
MULARA.
Consulta provinciale O.R.G.S. “MESSINA”
Vito TRECARICHI (Coordinatore), Antonio CHIANESE, Fabio GIANNINO, Concettina MANITTA,
Carmelo NICITA.
Consulta provinciale O.R.G.S. “PALERMO”
Salvatore PIERINI (Coordinatore), Giuseppe ABBATE, Rosalinda D’UGO, Fabio FAZIO, Giuseppe
NAPOLI.
Consulta provinciale O.R.G.S. “RAGUSA”
Piero SPADARO (Coordinatore), Francesco CELESTE, Luca MASSARI, Fausto SENIA, Michele
ZOCCO.
Consulta provinciale O.R.G.S. “SIRACUSA”
Maurizio MESSINA (Coordinatore), Francesco
APARO, Andrea GIUNTA, Gaetano TURCO, Umberto Vanella.
Consulta provinciale O.R.G.S. “TRAPANI”
Michele MORTILLARO (Coordinatore), Caterina
CARADONNA, Giovanni DE SIMONE, Roberto
GALLO, Giorgio TRANCHIDA.
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numero unico
gdiS
RECENSIONI
a cura di Pietro Todaro
e Antonio Gallitto
Abbiamo letto per voi
Antonio Cirillo
GEOTECNICA E FONDAZIONI
pgg. 245 - Euro 70,00 - Wolters Kluwer Editore
Il volume è rivolto a chi deve affrontare la progettazione geotecnica, fornendo un riferimento
normativo in applicazione delle NTC 08. In particolare il testo si sofferma sulle tipologie di fondazione, indagando sulla relazione che intercorre tra sovrastruttura, sistema fondale e volume significativo del sottosuolo. L’autore attribuisce una notevole importanza alla conoscenza
del terreno di fondazione soffermandosi sulle maggiori proprietà geotecniche e sulle indagini
specifiche atte a valutarle. Avendo introdotti gli strumenti e le norme utili alla definizione delle
condizioni geotecniche il testo procede all’esame dei diversi tipi di opere geotecniche. Il testo
ha un linguaggio facilmente comprensibile frutto di una lunga esperienza professionale operativa che affronta in modo pragmatico e d efficace al fine di risolvere i problemi in modo pratico e sollecito. Allegato al volume un CD-Rom contenente file in Excel che consente verifiche geotecniche di portanza e risposta sismica secondo le NTC in zona sismica.
Luca Casagrande, Paolo Cavallini, Alessandro Frigeri,
Alessandro Furieri, Ivan Marchesini, Markus Neteler
GIS OPEN SOURCE
pgg. 220 - Euro 42,00 - Dario Flaccovio Editore
Per i professionisti geologi, ingegneri e architetti, e tecnici in genere, prevalentemente connessi alla pianificazione territoriale, alla protezione civile, alla stesura di carte tematiche, è
diventata una necessità conoscere gli strumenti necessari per gestire informazioni territoriali. Il testo introduce il lettore nel tema del software GIS e, in particolare, nell’uso di alcuni software geografici Liberi e Open Source. Preliminarmente sono fornite nozioni di carattere generale sulla cartografia numerica e sui sistemi di riferimento. L’originalità del testo
sta soprattutto nel potersi avvalere immediatamente sia degli strumenti software che delle
numerose risorse documentali accessibili via Internet, descritte nel volume. L’utente viene
assistito nell’installazione dei software su sistemi operativi Microsoft, Apple, GNU/Linux.
Soni inoltre introdotte le funzionalità più importanti di software ben noti come QGIS o
GRASS GIS e si forniscono le modalità di approccio alla gestione del dato geografico
mediante motori di database (SpatiaLite).
David Muir Wood
GEOTECHNICAL MODELLING
pgg. 504 - CRC Press - Taylor & Francis Group - 2004 - Lire sterline 43,99
È uno dei pochi testi editi che tratta della modellazione geotecnica, una tecnica che si distingue da quella geologica perché si fonda sulle conoscenze di base della meccanica dei terreni e sui metodi di progettazione geotecnica tradizionali. I primi capitoli richiamano i principi basilari della geotecnica sulle resistenze e sulle deformazioni dei terreni sollecitati e del comportamento del suolo ai fini di un’agevole ricostruzione di modelli. La modellazione geotecnica deriva dalla modellazione geologica che è rivisitata e trasformata in una descrizione di fisica numerica e di modellazione fisica che interagisce con la realtà discretizzata dei vari strati che costituiscono il volume significativo del terreno di fondazione. La modellazione geotecnica è implicita in ogni progetto strutturale e ogni ingegnere progettista che fa uso della modellazione
numerica, deve considerare che le approssimazioni e le ipotesi sono parte dei modelli costitutivi che si assumono nella ricerca del modello definitivo che più assimila il comportamento fisico meccanico del sottosuolo. Il testo presenta alcuni modelli geotecnici e offre le conoscenze
di base per affrontare professionalmente la modellazione in ingegneria geotecnica. Nell’ipotesi che si abbia una buona familiarità con i principi della meccanica dei terreni e della progettazione geotecnica allora il testo è uno strumento prezioso per gli studenti di specializzazione
post-laurea di geotecnica e d’ingegneria strutturale, ma certamente utile per ricercatori e professionisti coinvolti nella specificazione del numerico e della modellazione geotecnica fisica.
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2014
numero unico
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Carmelo Gaudioso
MANUALE DI GEOFISICA DI CAMPAGNA
pgg. 140 - Edizioni Stampeacontatto - Euro 34,00
Il “Manuale di geofisica di campagna” scritto dal dott. Carmelo Gaudioso, evidenzia in
modo completo ed esaustivo le principali metodologie geofisiche utilizzabili per la definizione di un modello geofisico del sottosuolo nell’ambito della Microzonazione Sismica e della Risposta Sismica Locale a partire dall’entrata in vigore delle NTC 08. Anche
se non si tratta di una pubblicazione per neofiti, come evidenziato in premessa, il
manuale fornisce un importante contributo nel chiarire le procedure da adottare sul terreno, inclusa la necessità di eseguire, nel medesimo sito, per una migliore conoscenza del sottosuolo, più indagini geofisiche tra loro complementari. Tale procedura di fondamentale utilità, troppo spesso ignorata per scarsa cultura geofisica e per gli ormai
noti vincoli di budget imposti dal committente, permette di ridurre i margini di errore
propri di un’indagine di tipo indiretto come l’indagine geofisica, consentendo, inoltre, al
geofisico di fornire una risposta completa e valida tecnicamente. Particolarmente utile
e di facile comprensione la parte relativa agli esempi pratici chiara per tutti i livelli di
conoscenza geofisica. Questo manuale risulta, quindi, di supporto sia per l’operatore
esperto in geofisica sia per il Committente, soprattutto quando si tratta di un tecnico
(geologo ecc). La guida costituisce uno strumento in grado di suggerire ad entrambe
le figure sopra indicate il metodo più idoneo da utilizzare per ricavare i risultati migliori a seconda dei diversi casi, e permette di valutare se l’indagine geofisica proposta
abbia un valido rapporto risoluzione/risultato anche in relazione ad una coerente
richiesta economica.
Manuela Lopez
IL RESPIRO DELLA TERRA - Vulcani & Randon
Edizioni Lussografica - Euro 15,00
Dalla tettonica delle placche alle misurazioni di gas Radon in vulcanologia, passando per
il ciclo delle rocce, soprattutto le rocce magmatiche, e i diversi tipi di vulcani ed eruzioni,
senza trascurare il rischio vulcanico. Tutto questo è racchiuso nel libro di Manuela Lopez,
geologo e già ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria ambientale di Palermo e
l’INGV di Catania. Un libro che può essere utilizzato per avvicinarsi al meraviglioso mondo
delle scienze della Terra. Pensiamo ai programmi didattici di scienze nelle scuole dove
l’approfondimento, anche sulla geologia regionale dei nostri vulcani, diventerebbe occasione per trasmettere la passione per la vulcanologia e la mineralogia agli studenti che si
accostano per le prima volta alle scienze della Terra. Il volume può essere usato anche da
professionisti che si occupano di comunicare e divulgare la geologia e le varie discipline
ad essa collegate, con un primo livello di conoscenza sul rischio vulcanico, uno dei rischi
inerenti alla Protezione civile.
Fabio Giannino
METODI ELETTROMAGNETICI IN GEOFISICA APPLICATA
pgg. 104 - Euro 19,80 - Dario Flaccovio Editore
Il presente volume approfondisce gli aspetti teorici, pratici ed applicativi riguardanti la
tecnica Elettromagnetica ad Induzione FDEM, ovvero metodo elettromagnetico induttivo nel dominio delle frequenze. Gli aspetti teorici di tali tecniche vengono illustrati
con un grado di approfondimento sufficiente da rendere il lettore erudito sulle implicazioni che possono avere rispetto agli aspetti costruttivi di uno strumento di acquisizione dati, cosi come rispetto alla capacità di progettare una campagna di misure. Vengono poi esaminati tutti gli aspetti di una campagna di misure FDEM inclusa la progettazione, l’acquisizione e l’analisi dei dati, e l’interpretazione dei risultati ottenuti, prestando particolare attenzione alle problematiche che si possono riscontrare durante le
varie fasi. I numerosi casi studio illustrati hanno l’obiettivo di evidenziare gli aspetti
tecnici e pratici che possono risultare di maggior interesse per il Geofisico che si avvicina all’impiego della tecnica FDEM.
96
2014
numero unico
gdiS