gdiS 2014 - Ordine Regionale dei Geologi Di Sicilia
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Geologi di Sicilia Ano XXII Numero Unico 2014 IN D DE EL V CA S LL ER RT E A E M SAN GE R AD T O T O ON E M LO G IE ER IC OC ID A CI ION DE NT A L E AL I Bollettino dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia Geologi di Sicilia - Bollettino dell’Ordine dei Geologi di Sicilia Anno XXII Numero Unico 2014 Direttore Responsabile Antonio Gallitto Comitato di Redazione Mario Leta, Calogero Pecoraro, Francesco Dionisi, Giuseppe Collura, Calogero Cannella, Giovanni Pantaleo. Segreteria Giusy Lo Presti Comitato dei Garanti Calogero Cannella, Giuseppe Collura, Francesco Criscenti, Antonio Cubito, Francesco Dionisi, Saro Di Raimondo, Antonio Gallitto, Francesco Geremia, Corrado Ingallina, Mario Leta, Giovanni Pantaleo, Calogero Pecoraro, Vincenzo Pinizzotto, Giuseppina Scianna, Fabio Tortorici. Referenti Scientifici ed Esperti Valerio Agnesi, Eros Aiello, Aurelio Aureli, Giovanni Bruno, Fabio Cafiso, Mario Cosentino, Pietro Cosentino, Sebastiano Imposa, Fabio Lentini, Vincenzo Liguori, Giuseppe Montana, Giuseppe Patanè, Giovanni Randazzo, Attilio Sulli, Francesco Schilirò. Direzione, Redazione, Amministrazione e Pubblicità Ordine Regionale dei Geologi 90144 Palermo - Via Lazio, 2/A Tel. 091.6269470 - Fax 091.6269471 www.geologidisicilia.it [email protected] Editore Scientific Books di G. Cafaro 90127 Palermo - Via L. Giuffrè, 52 Tel./Fax 091.6512048 E-mail: [email protected] Progetto grafico e fotocomposizione aldografica - Palermo Stampa Punto Grafica Mediterranea - Palermo Concessionaria Pubblicità Scientific Books di G. Cafaro 90127 Palermo - Via L. Giuffrè, 52 Tel./Fax 091.6512048 E-mail: [email protected] SOMMARIO 2-6 Editoriale del Presidente dell’ORGS Congresso, innovazione e crescita professionale Contribuiamo ad arginare l’esercizio abusivo della professione di Fabio Tortorici 7-8 Redazionale A.G. e D.G. prima e dopo Giampilieri di Antonio Gallitto 9-19 Priolo Gargallo (SR) - Seminario di Studio Gestione dei “materiali da scavo” dopo il D.M. 161/2012 e il “decreto del fare” di Domenico Sole Greco 20-21 23-32 Terre e rocce di scavo; un po’ di storia Escursione al geosito “La Pillirina” Aspetti tecnici e procedurali nella gestione delle terre e rocce da scavo dopo il decreto del “fare” di Marcello Farina 33-35 Il sistema MIP per la mappatura dei COV di Giuseppe Giaramida - Giuseppe Prosperi 37-51 L’importanza del modello geologico e geostrutturale negli studi geomeccanici di Orazio Barbagallo 52-58 Nuovi metodi di telerilevamento da mezzo aereo a controllo remoto applicati alla geologia tecnica di Giuseppe Lisi 59-62 Esempio di calcolo: verifica di liquefazione di un terreno di fondazione da prove penetrometriche dinamiche Nspt di Leonardo Balistreri - Domenico Balistreri 63-72 Criterio per la determinazione della magnitudo ai fini della suscettibilità alla liquefazione dei terreni di Sebastiano Giovanni Monaco 73-77 La sezione di Pizzo Sant’Otiero (Petralia Sottana - Madonie) Geosito peculiare per l’evoluzione medio-triassica dell’area centro-mediterranea di Torre A. - Torre F. - Tripodo A. - Di Stefano P. - Renda P. 78-79 Carta geologica del versante meridionale delle Madonie occidentali di Torre A., Torre F., Napoli G., Perrone M., Zarcone G., Renda P., Di Stefano P. 80-84 Attività del Consiglio di Francesco Dionisi - Giovanni Pantaleo - Calogero Cannella. 85-86 La tariffazione dei lavori privati di Corrado Ingallina 87 Verso gli UGT - Uffici Geologici Territoriali di Calogero Pecoraro 88 Ultime novità sull’aggiornamento professionale continuo di Giuseppe Collura 89-90 Geologia e green economy nello sviluppo del settore geotermico di Antonio Cubito - Mario Leta 91-92 Le nostre interviste: Antonino Moscatt, deputato nazionale PD di Calogero Pecoraro 93 Le Consulte Provinciali di Enzo Pinizzotto 95-96 Recensioni a cura di Pietro Todaro e Antonio Gallitto EDITORIALE DEL PRESIDENTE DELL’O.R.G.S. CONGRESSO, INNOVAZIONE E CRESCITA PROFESSIONALE Il VI congresso dei geologi di Sicilia è stato un evento che ha visto l’iscrizione di oltre 300 partecipanti, tra geologi liberi professionisti, dipendenti di Enti pubblici e privati, docenti universitari, provenienti da tutta Italia, che si sono incontrati per discutere di temi cruciali per lo sviluppo della professione e della sua capacità di incidere sulla società. Noi geologi siamo stati gli indiscussi protagonisti dell’evento, dando vita ad una manifestazione di passione per la nostra professione. Abbiamo sottolineato come il geologo sia fondamentale nel rapporto tra ambiente e uomo, sia nella previsione e gestione delle calamità, che nella valorizzazione delle risorse del nostro pianeta; il nostro ruolo è imprescindibile, le nostre competenze sono indispensabili allo sviluppo di un paese civile ed è per questo che bisogna innanzitutto recuperare tutta la fiducia in noi stessi. Abbiamo voluto inviare un messaggio chiaro: nella competizione del mercato del lavoro, abbiamo tanti rivali, ora sta a noi esaltare le nostre vocazioni; non lasciamo l’ambiente a chi non ha le competenze, non facciamolo diventare patrimonio altrui. Il congresso in tutte le sue sessioni ha sottolineato la necessità che il geologo modifichi la sua tradizionale figura professionale, indirizzandola verso settori come la gestione ed il riciclo dei rifiuti, il monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati, la riqualificazione ambientale di aree industriali dismesse, la gestione di terre e rocce da scavo. Anche la tutela e la valorizzazione del patrimonio geologico (Geositi, Geoparchi) devono rappresentare per il nostro Paese e per la Sicilia, una grande e nuova opportunità di lavoro, ma necessita un cambio culturale che miri al rilancio del territorio e dell’ambiente. Proprio la città che ha ospitato il congresso, Siracusa e la sua provincia, sono l’esempio tangibile di un modello di sviluppo che dagli anni ‘50 ha visto la difficile convivenza di aree industriali in una zona a palese vocazione geoturistica e geoculturale, ma che non ha mai sviluppato un progetto occupazionale in tal senso. Oggi la nostra visibilità professionale ed il nostro interesse, dobbiamo spostarlo, tenendo conto che il 2 mercato delle professioni tecniche sta cambiando rapidamente, indirizzandosi verso un’economia più sostenibile ed efficiente nell’uso delle risorse naturali. I Geologi come principali interpreti delle dinamiche del territorio devono essere pronti e determinanti in un nuovo mercato del lavoro proiettato verso la “Green Economy”, una realtà ancora debole in Sicilia ma in crescita e che deve essere avviata a pieno ritmo. Al centro del congresso abbiamo sempre messo l’individuo come punto di partenza del professionista, dipendente dalla capacità di investire sulla propria formazione e voglia di innovazione, ampliando le proprie competenze professionali, senza adagiarsi nell’attesa di una nuova norma che ci porti profitti facili o demandando all’Ordine il proprio futuro lavorativo; ci vuole innanzitutto la volontà del singolo di crescere. È evidente che l’importante risultato ottenuto è stato possibile grazie al lavoro di tanti colleghi, consiglieri, semplici iscritti che hanno accettato di lavorare con alto senso di responsabilità, trascurando a volte, la loro stessa attività professionale per l’interesse comune; a loro va il mio ringraziamento più sincero unitamente all’apprezzamento per le capacità messe in gioco, con grande generosità e dedizione. Un sentito ringraziamento lo voglio rivolgere a tutti gli ospiti per la loro partecipazione che non è stata formale o di tipo istituzionale, ma appassionata e interessata, riempiendo di contenuti e di interesse il congresso. Un altrettanto meritato riconoscimento spetta ai relatori, i quali sono riusciti a tenere alto il livello di attenzione dei circa 300 colleghi presenti. Nell’ultimo passaggio, certamente non per importanza, permettetemi di rimarcare che la nostra è una professione a preminente interesse pubblico, e volendo testimoniare il nostro impegno etico e sociale abbiamo invitato il movimento “Liberi Professionisti” a patrocinare il congresso ed a portare un saluto per dare sostegno morale alla legalità, all’educazione contro il racket e la mafia. IL PRESIDENTE DELL’ORGS Geol. Fabio Tortorici 2014 numero unico gdiS Il presidente Fabio Tortorici legge la mozione finale del VI Congresso dei Geologi di Sicilia. CONTRIBUIAMO AD ARGINARE L’ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE Gli ordini professionali hanno il compito di vigilare e sanzionare i comportamenti dei propri Iscritti che violano la deontologia, cioè l’insieme di norme di comportamento che un professionista deve rispettare nello svolgimento della propria attività. Inoltre, gli ordini debbono svolgere attività dirette ad impedire l’esercizio abusivo della professione, anche attraverso la denuncia alla Procura della Repubblica. È quindi implicito nel mandato istituzionale del nostro Ordine, il dovere di perseguire quanti svolgono attività per legge riservate ai geologi senza averne i titoli, così come valutare i casi di esercizio non corretto della professione da parte di colleghi. Attualmente in Italia l’art. 2229 del Codice Civile, affida alla Legge la determinazione delle professioni intellettuali, per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi, tenuti presso i relativi Ordini. Invece, il codice penale (Art. gdiS 2014 numero unico 348) punisce con la reclusione fino a sei mesi, il reato di esercizio abusivo della professione. Al fine di tutelare la nostra cara professione di “Geologo”, chiedo la collaborazione di tutti voi, segnalandoci le situazioni di cui venite a conoscenza, che rientrano nei casi di abuso o di scorretto esercizio della professione, così da permetterci di svolgere il nostro compito istituzionale, tutelando direttamente sia tutti gli iscritti che la committenza. Anche i colleghi qualificati nello status di “sospesi”, non possono esercitare la professione; a tal proposito, vi comunico che sul sito istituzionale dell’Ordine (www.geologidisicilia.it), è presente una sezione con l’elenco dei “sospesi”, pertanto invito tutti a consultarlo, al fine di vigilare ed informarci su eventuali atti illeciti, tenendo conto che verrà garantita la riservatezza di chi fa pervenire le segnalazioni. IL PRESIDENTE DELL’ORGS Geol. Fabio Tortorici 3 Da sinistra: Il consigliere Giovanni Pantaleo, il presidente Fabio Tortorici (in piedi), i consiglieri Antonino Cubito, Calogero Cannella, Francesco Geremia e Calogero Pecoraro. I consiglieri Giuseppina Scianna, il presidente Fabio Tortorici, Corrado Ingallina, Saro di Raimondo e il vicepresidente Vincenzo Pinizzotto. I consiglieri Corrado Ingallina (di profilo), Saro Di Raimondo, il presidente Fabio Tortorici (in piedi), il vicepresidente Vincenzo Pinizzotto e il consigliere Mario Leta. Da sinistra: Il tesoriere Francesco Criscenti insieme ai consiglieri Giuseppe Collura e Francesco Dionisi. Al centro, il presidente Fabio Tortorici. Il consigliere Antonio Gallitto e il vicepresidente dell’Ordine dei Geologi di Sicilia Vincenzo Pinizzotto. gdiS 2014 numero unico I consiglieri Giuseppe Collura, Francesco Dionisi e Antonio Gallitto insieme al presidente Fabio Tortorici. 5 Il presidente dell’Ordine dei Geologi di Sicilia Fabio Tortorici, il consigliere Corrado Ingallina, il presidente del Consiglio nazionale dei Geologi Gian Vito Graziano, il consigliere Antonio Gallitto e il vicepresidente dell’Ordine dei Geologi di Sicilia Vincenzo Pinizzotto. Uno scorcio della sala gremita con gli oltre 350 partecipanti. 6 2014 numero unico gdiS REDAZIONALE A.G. E D.G. PRIMA E DOPO GIAMPILIERI Cosa è cambiato nella politica della mitigazione dei rischi territoriali? I dissesti rimangono ancora una causa di morte e devastazione per i quali occorre una politica cosciente di mitigazione del rischio Era il primo giorno di ottobre del 2009 quando una intensa perturbazione atmosferica scaricò sul suolo della provincia di Messina oltre 200 mm di pioggia in 6 ore, innescando, tra le altre, una frana di detrito per circa 50 Km quadrati nell’abitato di Giampilieri. Da quel giorno sono seguiti anni di dissesti e, purtroppo, di morti che, come avvenuto ancora oggi con i recenti fatti di Genova e di Massa Carrara, pare nulla abbiano insegnato a chi è preposto alla gestione e alla mitigazione dei rischi territoriali. È da quel momento che la categoria dei geologi realizza un’attiva collaborazione sul campo con la Protezione civile, ed è quello il momento in cui si percepisce la funzione sociale di una professione dalle mille sfaccettature che partendo dalla bellezza e dal fascino del libro scritto dalla Terra con i geositi, arriva alla lettura delle dinamiche territoriali che si manifestano con terremoti, frane e alluvioni. Ma l’elenco dei dissesti è ancora lungo. A febbraio 2010 è la volta di S. Fratello, sempre nel messinese, dove una frana provocò lo sfollamento di circa 1500 persone. Da un rapporto del Consiglio nazionale dei geologi, si stima che tra il 2002 e il mese di settembre del 2010, si sono verificate in Sicilia 130 frane di cui 28 con danni a persone e 5 con vittime. In Sicilia su 25.833 km quadrati di Isola, con ben 87% di territorio montano e collinare, abbiamo circa 500 Kmq di area soggetta a frane. Messina e Agrigento fanno la parte del leone in merito alle aree totali in frana con, rispettivamente, 141 Kmq e 138 Kmq. Fin qui alcuni numeri che dovrebbero fare capire l’urgenza di una politica volta al territorio e ai suoi rischi. Quel tragico evento di Giampilieri segna, per i geologi di Sicilia, un momento nel quale e dal quale si attiva una intensa campagna di comunicazione, insieme a degli studi e degli approfondimenti mirati. Eccone alcune tappe: 1. Nel mese di gennaio 2010, esattamente giorno 12, una delegazione dell’Ordine regionale dei geologi di Sicilia, viene ascoltata dalla Commissione Ambiente della Camera dei gdiS 2014 numero unico Deputati e propone la figura del geologo di zona, cioè la presenza di uno o più geologi che monitorano i rischi territoriali in base all’estensione territoriale dei comuni interessati e al loro numero di abitanti. Nello stesso anno viene siglata la prima convenzione tra il dipartimento regionale della protezione civile e l’Ordine regionale dei geologi di Sicilia; 2. Il 21 ottobre 2010 i geologi di Sicilia presentano un’indagine assieme ad Eurispes Sicilia, subito dopo i fatti del 2009, nella quale si evince quanto i cittadini abbiano sentito la vicinanza di una categoria professionale, quale è quella dei geologi, in quei momenti così forti e dolorosi; 3. Il 21 aprile 2011 si redige per la prima volta nella storia di un Ordine professionale, un rapporto nel quale, numeri alla mano, i geologi di Sicilia sottolineano la carenza, purtroppo cronica, di geologi negli uffici della pubblica amministrazione. Tra le proposte fatte alla Regione siciliana – ricordiamo che sono state da poco soppresse le commissioni edilizie comunali, togliendo ai comuni la figura consultiva del geologo –, oltre a ritornare sul geologo di zona, c’è quella di dare maggiore impulso e supporto tecnico-scientifico a tutte quelle azioni mirate alla pianificazione del territorio e alla mitigazione dei rischi. Sempre nello stesso anno l’Ordine partecipa al tavolo tecnico per la legge regionale sui lavori pubblici; 4. Nell’anno 2012 l’Ordine dei geologi di Sicilia è parte attiva nella revisione della Circolare n. 2222/95 (oggi, Circolare n. 1 del 14 gennaio 2014, poi n.3 del 20 giugno 2014 avente come oggetto “Studi geologici per la redazione di strumenti urbanistici” che abroga e sostituisce sia la n. 2222/95 sia quella del 15 Ottobre 2012, prot. N. 57027) sui lavori pubblici per quanto riguarda gli studi geologici a supporto degli 7 strumenti urbanistici. Sempre nel 2012 i geologi di Sicilia aderiscono al manifesto di legalità dell’Associazione Professionisti Liberi; 5. Il 6 e il 13 Maggio 2013 i geologi di Sicilia partecipano alla esercitazione regionale di protezione civile denominata “Trinacria 2013” organizzando a Messina e Siracusa seminari ed esercitazioni insieme agli uffici di Protezione civile delle due province. A Siracusa si presenta un progetto pilota, il primo in Sicilia, su una scuola pubblica per la mitigazione del rischio sismico; Da Luglio 2013 ad oggi sono state tante le attività svolte da questo Consiglio regionale, come leggerete in appresso, ma soprattutto, molto rimane da fare perché questa professione cresca sempre di più. Con l’occasione di questo numero unico pubblicato e divulgato con l’approssimarsi delle festività natalizie, auguro, a nome di tutto il Consiglio regionale a tutti Voi e alle Vostre famiglie, l’augurio di un Natale sereno e di rinascita, perché la speranza di quel “meglio” che tutti ci auspichiamo, diventi realtà. Adesso apriamo la nostra rivista con due articoli che rappresentano gli atti di un convegno tenutosi a Siracusa il 23 dicembre 2013 sull’argomento “Terre e rocce da scavo”. Antonio Gallitto Direttore responsabile Bollettino dei Geologi di Sicilia 8 2014 numero unico gdiS Priolo Gargallo (SR) - Seminario di studio GESTIONE DEI “MATERIALI DA SCAVO” DOPO IL D.M. 161/2012 E IL “DECRETO DEL FARE” Normativa per la gestione dei materiali di riporto Domenico Sole Greco, Responsabile del Servizio Rifiuti e Bonifiche, X Settore Territorio ed Ambiente, della Provincia Regionale di Siracusa R I A S S U N TO ABSTRACT Con la pubblicazione del D.M. 10 agosto, n. 161, in vigore dal 6 ottobre 2012 e della Legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (il c. d. “Decreto del Fare”), in vigore dal 21 agosto 2013, sono state introdotte sostanziali modifiche sulla gestione delle terre e rocce da scavo, o meglio, dei materiali da scavo, doverosa precisazione in quanto include anche i materiali di riporto. Gli articolati delle due normative disciplinano, rispettivamente, il riutilizzo dei materiali da scavo provenienti da opere soggette a VIA e/o AIA e quelle non soggette a questi adempimenti ambientali, compresi i materiali da scavo < a 6.000 mc. Facendo un escursus temporale-normativo, si passa dall’esclusione dal novero dei rifiuti (c.d. mercuriali) delle terre e rocce da scavo, ad opera del D.M. 05/09/1994, all’inclusione di questi materiali nella definizione di rifiuto ad opera del D.Lgs. 22/97 (c.d. decreto Ronchi), alla nuova esclusione dalla normativa sui rifiuti, sotto certe condizioni, ad opera della Legge Lunardi, alla reinclusione nell’ambito della gestione dei rifiuti dopo la procedura di infrazione europea del giugno 2002, all’elaborazione dell’art. 186 del D.Lgs. 152/06, fino alle leggi attuali. Nella trattazione viene evidenziata, inoltre, la normativa relativa ai materiali di riporto, D.L. n. 2/2012, conv. L. n. 28/2012, che assumono, sotto certe condizioni, la connotazione giuridica di ulteriore matrice ambientale, in aggiunta al suolo, sottosuolo e acque di falda, e come tale incluse in eventuali procedimenti di bonifica, ai sensi della titolo V, della parte IV del D.Lgs. 152/06. With the publication of the Ministerial Decree n. 161/2012, in force since October 6, 2012 and Law n. 98/2013, conversion of the D.L. June 21, 2013, n. 69, "Urgent provisions for economic recovery" (the "Decree of Fare"), in force since 21 August 2013, substantial changes have been introduced on the management of soil and rock excavation, or rather, the materials to be excavation, necessary clarification as it also includes the landfills. The articulated the two provisions relate, respectively, re-use of materials from excavation works subject to VIA, and / or AIA and those not subject to these environmental compliance, including excavation materials <6.000 mc. Taking an overview of time-normative, we move from exclusion from the category of waste (so-called mercurial) of soil and rock excavation, by the DM 05/09/1994, the inclusion of these materials in the definition of waste by Legislative Decree no. 22/97 (socalled Ronchi Decree), the new exclusion from the legislation on waste, under certain conditions, by the Law Lunardi, the re-inclusion in the management of waste after the European infringement proceedings in June 2002, drawing art. 186 of Legislative Decree no. 152/06 to the current laws. In the discussion is highlighted, also, the law relating to landfills, DL n. 2/2012, conv. L. n. 28/2012, that assume, under certain conditions, the legal connotation of further environmental matrix, in addition to the soil, subsoil and groundwater, and as such are included in any such proceedings remediation, pursuant to Title V of Part IV of Leg. 152/06. gdiS 2014 numero unico 9 Priolo Gargallo (SR) - Seminario di studio TERRE E ROCCE DI SCAVO: UN PO’ DI STORIA Il DM 5 settembre 1994 (elenco dei mercuriali, cioè materiali da ritenersi svincolati dalla normativa sui rifiuti) annoverava la “roccia di varia pezzatura proveniente dall’esecuzione degli scavi per l’edilizia, scavi per fondazioni fabbricati, trincee per posa cavi, tubazioni, scavi per galleria, etc”. Pertanto in vigenza del D.P.R. 915/82, cioè prima dell’entrata in vigore del D.lgs 22/97 (c.d. Decreto Ronchi), le terre e rocce di scavo non erano gestite nell’ambito del regime normativo dei rifiuti. L’art. 7 comma 3, lettera b) del D.lgs 22/97 classificava come rifiuti speciali, i rifiuti inerti derivanti da demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano da attività di scavo, escludendo dalla normativa dei rifiuti, in virtù dell’art. 8 comma 2 lettera c) del medesimo decreto, i materiali non pericolosi derivanti dall’attività di scavo. L’art. 1, comma 9 del D.Lgs 389/97, “Modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 22/97”, sopprimeva i commi 2, 3 e 4 dell’art. 8 del D.Lgs 22/97, facendo sì che i materiali non pericolosi derivanti dall’attività di scavo (fra cui terre e rocce) fossero assoggettati anch’essi alla normativa sui rifiuti. L’art 10 della legge 23 marzo 2001 n. 93, “Disposizioni in campo ambientale”, modificava l’art. 8 del D.Lgs. 22/97 escludendo dai rifiuti le “terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti”. L’art. 1 della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (c.d. legge Lunardi) prevedeva che: “le terre e rocce da scavo, anche di gallerie non costituiscono rifiuti anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti 10 una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti”. Tale articolo prevedeva che “i limiti massimi accettabili sono individuati dall’allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore”. Con la “Procedura d’infrazione della Commissione Ue contro Italia n. C(2002)/2002 del 26 giugno 2002”, la Commissione delle Comunità Europee riteneva che con la legge n. 443 del 21 dicembre 2001, la Repubblica Italiana era venuta meno, in relazione ai rifiuti costituiti da terre e rocce, agli obblighi previsti dalla direttiva 75/442/Cee come modificata dalla direttiva 91/156/Cee. La legge 31 ottobre 2003, n. 306, “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2003”, all’art. 23 prevedeva importanti modifiche all’art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Legge Lunardi) per l’esclusione delle terre e rocce da scavo dalla normativa sui rifiuti. Queste dovevano essere utilizzate, senza trasformazioni preliminari (c.d. utilizzo tal quale), secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente, previo parere dell’ARPA”. L’art. 186 del D.Lgs. 152/06 conferma l’esclusione delle terre e rocce alle stesse condizioni della legge 31 ottobre 2003, n. 306 e in più prevede che nel caso in cui non sia possibile l’immediato riutilizzo del materiale di scavo, dovrà anche essere indicato il sito di deposito del materiale, il quantitativo, la tipologia del materiale. Il riutilizzo dovrà avvenire entro sei mesi dall’avvenuto deposito, salvo proroga su istanza motivata dell’interessato. N.B. RIUTILIZZO PREVIO PARERE ARPA 2014 numero unico gdiS L’ Art. 186 del D.Lgs. 152/06 (dopo il correttivo operato dal D.Lgs. 04/08), prevedeva: Il D.M. 161/2012 è composto da 16 articoli e 9 allegati: Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché: 1. Caratterizzazione ambientale dei materiali da scavo; a) siano impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti; 2. Procedure di campionamento in fase di progettazione; 3. Normale pratica industriale; b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell’integrale utilizzo; 4. Procedure di caratterizzazione chimico-fisiche e accertamento delle qualità ambientali; c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale per i siti di destinazione; 5. Piano di Utilizzo; d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale; 9. Materiali di riporto di origine antropica. e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto; f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali, deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione; g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata. Le terre e rocce da scavo, qualora non siano utilizzate nel rispetto della disciplina fissata dall’articolo 186,del D.Lgs. 152/0, sono sottoposte alla disciplina dei rifiuti. DECRETO MINISTERIALE 10 AGOSTO 2012, N. 161 - (GURI N. 221 DEL 21/09/2012) - REGOLAMENTO RECANTE LA DISCIPLINA DELL’UTILIZZAZIONE DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO. IN VIGORE DAL 06/10/2012 L’articolo 39, comma 4, del D.Lgs. n. 205 del 2010, come modificato dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevedeva che dalla data di entrata in vigore del regolamento sulle terre e rocce da scavo veniva abrogato l’articolo 186 del D.Lgs. 152/06. gdiS 2014 numero unico 6. Documento di trasporto; 7. Dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.); 8, Procedure di campionamento in fase esecutiva e per i controlli e le ispezioni; Si passa alla rassegna dei vari articoli che costituiscono il D.M. 161/12, evidenziando, ove presenti, le criticità riscontrate. Art. 1 - Definizioni Materiali da scavo: il suolo o sottosuolo, con eventuali presenze di riporto, derivanti dalla realizzazione di un’opera. I residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre, ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un’opera e non contenenti sostanze pericolose. I materiali da scavo possono contenere, anche i seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi per scavo meccanizzato, se l’intera massa presenta concentrazioni di inquinanti inferiore a quanto stabilito dal Regolamento. CRITICITÀ: Non viene definita la % max delle impurezze consentite nei materiali da scavo. Riporto: orizzonte stratigrafico costituito da una miscela eterogenea di materiali di origine antropica e suolo/sottosuolo come definito nell’allegato 9 del Regolamento; Materiale inerte di origine antropica: i materiali di cui all’Allegato 9. Le tipologie che si riscontrano più comunemente sono riportate in Allegato 9; 11 Allegato 9 Materiali di riporto di origine antropica I riporti sono per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni. Ai fini del presente regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%, sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci. Art. 2 – Finalità Al fine di migliorare l’uso delle risorse naturali e prevenire la produzione dei rifiuti, il presente Regolamento stabilisce, sulla base delle condizioni previste al co. 1, dell’art. 184-bis del D.Lgs. 152/06, i criteri qualitativi da soddisfare affinchè i materiali di scavo, siano considerati sottoprodotti e non rifiuti, ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera qq) del decreto legislativo stesso. illecita dei rifiuti. Per evitare tale evenienza si rende quindi necessaria la pratica del c.d. “scavo selettivo”, ovvero separare già in fase di scavo i vari materiali e/o manufatti interrati presenti sul sito di scavo (asfalto o pavimentazione in genere, pozzetti, tubazioni, cavi elettrici, telefonici, ecc. ). Art. 4 – Disposizioni generali 1. In applicazione dell’articolo 184-bis , co. 1, del D.Lgs. 152/06, è un sottoprodotto, il materiale da scavo che risponde ai seguenti requisiti: a) il materiale da scavo è generato durante la realizzazione di un’opera, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale materiale; b) il materiale da scavo è utilizzato, in conformità al Piano di Utilizzo: 1) nel corso dell’esecuzione della stessa opera, nel quale è stato generato (n.d.r. tale fattispecie di utilizzo è in contrasto con quanto statuito dall’art. 185, co.1, lett. c, D.Lgs.152/06 che esclude dalla normativa dei rifiuti le terre e rocce non contaminate riutilizzate nello stesso sito di scavo), o di un’opera diversa, per la realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, ripascimenti, interventi a mare, miglioramenti fondiari o viari oppure altre forme di ripristini e miglioramenti ambientali; 2) in processi produttivi, in sostituzione di materiali di cava; Art. 3 – Ambiti di applicazione ed esclusione c) il materiale da scavo è idoneo ad essere utilizzato direttamente, ossia senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale secondo i criteri di cui all’Allegato 3; Il presente regolamento si applica alla gestione dei materiali da scavo. d) il materiale da scavo soddisfa i requisiti di qualità ambientale di cui all’Allegato 4. Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente regolamento i rifiuti provenienti direttamente dall’esecuzione di interventi di demolizione di edifici o altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006. Nota: Dalla lettura dei primi tre articoli del D.M. 161/12 e dall’allegato 9, si può ritenere che il riutilizzo di terre e rocce da scavo con percentuali di impurezze > 20% di materiali non naturali (PVC, cemento, metalli, ecc.) integra il reato di gestione 12 Art. 5 – Piano di Utilizzo Il Piano di Utilizzo del materiale da scavo è presentato dal proponente all’Autorità competente almeno 90 gg prima dell’inizio dei lavori per la realizzazione dell’opera. Può essere presentato in fase di approvazione del progetto definitivo dell’opera. Nel caso in cui l’opera sia oggetto di una procedura VIA, l’espletamento di quanto previsto dal presente Regolamento deve avvenire prima dell’espressione del parere di valutazione ambientale. 2014 numero unico gdiS La sussistenza dei requisiti di cui all’articolo 4, comma 1 (disposizioni generali), è attestata dal Legale rappresentante della persona giuridica o dalla persona fisica proponente l’opera mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’articolo 47 del D.P.R. n. 445/2000. L’Autorità competente può chiedere, in un’unica soluzione entro 30 gg dalla presentazione del Piano di Utilizzo, integrazioni alla documentazione presentata. Se nel P.U. si dimostra che le concentrazioni di elementi e composti di cui alla tab. 4.1 dell’all. 4 del Reg. non superano le Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) di cui alle colonne A e B della tab. 1 dell’all. 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/06, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di produzione e del sito di destinazione, l’Autorità competente, entro 90 gg. dalla presentazione del P.U. o delle eventuali integrazioni, approva il piano o lo rigetta. L’Autorità competente ha la facoltà di chiedere all’ARPA, entro 30 gg dalla presentazione del P.U. o dell’eventuale integrazione, di verificare la sussistenza dei requisiti dell’all. 4 relativo all’accertamento della qualità ambientale del materiale da scavo. L’ARPA può chiedere al proponente un approfondimento d’indagine in contraddittorio, accerta entro 45 gg la sussistenza dei requisiti ambientali, comunicando gli esiti all’Autorità competente. Decorso il termine di 90 gg dalla presentazione del P. U. o delle eventuali integrazioni, il proponente gestisce il materiale da scavo nel rispetto del Piano di Utilizzo stesso. Nota: La Commissione ambiente del Parlamento europeo, che ha valutato nel complesso positivamente il D.M. 161/2012, ha ritenuto di chiedere al Governo italiano chiarimenti circa il principio del “silenzio assenso“ implicitamente previsto dal decreto. Se il sito di produzione interessa un sito oggetto di interventi di bonifica - Titolo V, Parte IV ovvero di ripristino ambientale - Titolo II, Parte VI, del D.Lgs. 152/06 i requisiti di qualità ambientale sono individuati dall’ARPA che, entro 60 gg dalla richiesta, comunica se per i materiali da scavo, compresi i materiali da riporto, i valori riscontrati per tutti gli elementi e i composti di cui alla Tab. 1 dell’all. 5, alla Parte IV del D.Lgs. 152/06 non superano le relative CSC, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urba- gdiS 2014 numero unico nistica del sito di destinazione indicata dal Piano di Utilizzo. Il P. U. definisce la durata di validità del piano stesso. Decorso tale termine temporale il Piano cessa di produrre effetti. Salvo deroghe espressamente motivate dall’Autorità competente in ragione delle opere da realizzare, l’inizio dei lavori deve avvenire entro due anni dalla presentazione del Piano di Utilizzo. Allo scadere dei termini fissati dal P. U. viene meno la qualifica di sottoprodotto del materiale da scavo con conseguente obbligo di gestire il predetto materiale come rifiuto. Entro i due mesi antecedenti la scadenza dei termini, si ha la facoltà di presentare un nuovo P. U. che ha la durata massima di un anno. In caso di violazione degli obblighi assunti nel P. U. viene meno la qualifica di sottoprodotto del materiale da scavo con conseguente obbligo di gestire il predetto materiale come rifiuto. Fatte salve le modifiche apportate al P. U., approvate dall’A. C., il venir meno di una delle condizioni di cui all’art. 4, co. 1 (disposizioni generali) del Regolamento, fa cessare gli effetti del Piano di Utilizzo e comporta l’obbligo di gestire il relativo materiale da scavo come rifiuto. Art. 6 – Situazioni di emergenza In deroga all’art. 5, in situazioni di emergenza dovute a causa di forza maggiore, la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 4, co. 1, è attestata all’A.C. mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’articolo 47 del D.P.R. n. 445/2000 nella forma di cui all’allegato 7 – Dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.). Dalla data della predetta dichiarazione il materiale da scavo può essere gestito nel rispetto di quanto dichiarato. Entro 15 gg dalla data di inizio lavori, il soggetto che ha rilasciato la dichiarazione deve comunque presentare il Piano di Utilizzo secondo le modalità previste dall’articolo 5. È facoltà dell’Autorità competente eseguire controlli e richiedere verifiche e integrazioni alla documentazione presentata. La deroga di cui al comma 1 non può essere applicata nel caso in cui il sito di produzione è interessato ad interventi di bonifica di cui alla Parte IV, Titolo V, del D.Lgs. 152/06. 13 Art. 7 – Obblighi generali Il Piano di Utilizzo, nonché le dichiarazioni rese conformemente all’articolo 6, nel caso di deroghe dovute a situazioni di emergenza, devono essere conservati presso il sito di produzione del materiale escavato o presso la sede legale del proponente e, se diverso, anche dell’esecutore. La documentazione è conservata per 5 anni e resa disponibile in qualunque momento all’Autorità di controllo che ne faccia richiesta. Copia di tale documentazione deve essere conservata anche presso l’Autorità competente. Art. 8 – Modifica del Piano di Utilizzo In caso di modifica sostanziale al P. U., il proponente o l’esecutore aggiornano il Piano stesso. Costituisce modifica sostanziale: Art. 10 – Deposito in attesa di utilizzo Il deposito del materiale escavato in attesa dell’utilizzo avviene all’interno del sito di produzione, dei siti di deposito intermedio e dei siti di destinazione. Il P.U. indica il sito o i siti di deposito intermedio. In caso di variazione dei siti di deposito intermedio indicati nel P.U., il proponente aggiorna il piano medesimo in conformità alla procedura prevista all’articolo 8. Il deposito di materiale escavato deve essere fisicamente separato e gestito in modo autonomo rispetto ai rifiuti eventualmente presenti nel sito in un deposito temporaneo. b) la destinazione del materiale escavato ad un sito di destinazione o ad un utilizzo diverso da quello indicato nel Piano di Utilizzo; Il deposito del materiale escavato avviene in conformità al P. U. identificando, tramite apposita segnaletica posizionata in modo visibile, le informazioni relative al sito di produzione, le quantità del materiale depositato, nonché i dati amministrativi del Piano di Utilizzo. c) la destinazione del materiale escavato ad un sito di deposito intermedio diverso da quello indicato nel Piano di Utilizzo; Il deposito del materiale escavato avviene tenendo fisicamente distinto il materiale escavato oggetto di differenti P. U. d) la modifica delle tecnologie di scavo. Il deposito del materiale escavato non può avere durata superiore alla durata del Piano di Utilizzo. a) l’aumento del volume in banco > al 20%; Nei casi previsti dalla lettera a), il P. U. deve essere aggiornato entro 15 gg dal momento in cui sia intervenuta la variazione. Decorso tale termine cessa, con effetto immediato, la qualifica del materiale escavato come sottoprodotto. Nei casi previsti dalle lettere b), c) e d), in attesa del completamento della procedura di modifica, il materiale escavato non può essere destinato ad un utilizzo diverso o non potrà essere escavato con tecnologie diverse da quanto previsto nel Piano di Utilizzo. Art. 9 – Realizzazione del Piano di Utilizzo Il proponente del P.U. deve comunicare all’A.C. l’indicazione dell’esecutore del Piano prima dell’inizio dei lavori di realizzazione dell’opera. A far data dalla comunicazione l’esecutore del Piano di Utilizzo è tenuto a far proprio e rispettare il Piano di Utilizzo e ne è responsabile. L’esecutore del Piano di Utilizzo redigerà la modulistica necessaria a garantire la tracciabilità del mate14 riale di cui agli allegati 6 - Documento di trasporto e 7 - Dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.). Decorso il tale periodo viene meno, con effetto immediato, la qualifica di sottoprodotto del materiale escavato, pertanto tale materiale deve essere trattato quale rifiuto. Resta impregiudicata la facoltà di presentare un nuovo Piano di Utilizzo. Art. 11 – Trasporto In tutte le fasi successive all’uscita del materiale dal sito di produzione, il trasporto del materiale escavato è accompagnato dalla documentazione di cui all’allegato 6 – Documento di trasporto. È equipollente alla scheda di trasporto prevista dalle vigenti normative. La documentazione predisposta in triplice copia, una per l’esecutore, una per il trasportatore e una per il destinatario e conservata, dai predetti soggetti, per cinque anni e resa disponibile, in qualunque momento, all’Autorità di controllo che ne faccia richiesta. 2014 numero unico gdiS Qualora il proponente e l’esecutore siano diversi, una quarta copia della documentazione deve essere conservata presso il proponente. Art. 12 – Dichiarazione di avvenuto utilizzo L’avvenuto utilizzo del materiale escavato in conformità al Piano di Utilizzo è attestato dall’esecutore all’autorità competente, mediante una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà di cui all’articolo 47 del D.P.R. n. 445/2000, in conformità all’allegato 7 – Dichiarazione di avvenuto utilizzo, e corredata della documentazione completa richiamata al predetto allegato. Il deposito o altre forme di stoccaggio di materiali escavati non costituiscono un utilizzo ai sensi del presente Regolamento. Tale dichiarazione è conservata per cinque anni dalla dichiarazione di avvenuto utilizzo ed è resa disponibile in qualunque momento all’autorità di controllo che ne faccia richiesta. La dichiarazione di avvenuto utilizzo (D.A.U.) deve essere resa entro il termine in cui il Piano di Utilizzo cessa di avere validità. L’omessa dichiarazione di avvenuto utilizzo nel termine previsto dal precedente periodo comporta la cessazione, con effetto immediato, della qualifica del materiale escavato come sottoprodotto. Nel caso l’utilizzo avvenga non da parte del proponente o dell’esecutore, nella dichiarazione di avvenuto utilizzo deve essere riportato il periodo entro il quale il soggetto indicato deve completare l’utilizzo. Dell’avvenuto utilizzo deve comunque essere data comunicazione all’Autorità competente. L’omessa dichiarazione di avvenuto utilizzo da parte del soggetto terzo indicato comporta la cessazione, con effetto immediato, della qualifica del materiale escavato come sottoprodotto. Decorso il predetto termine senza che sia stato presentato un Piano di Utilizzo, i progetti sono portati a termine secondo la procedura prevista dall’art. 186. In caso di inottemperanza alla corretta gestione dei materiali di scavo secondo quanto disposto dal presente regolamento il materiale scavato verrà considerato rifiuto ai sensi del D.Lgs. 152/06. Pertanto resta valido il sistema sanzionatorio del sopraindicato decreto per tutte le violazioni alle disposizioni del presente Regolamento. Circolare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, prot. 36288 del 14 novembre 2012 La circolare del MATTM ha chiarito che il D.M. 161/2012 non si applica ai materiali di scavo riutilizzati nel sito di produzione per il quale è in vigore l’art. 185 del D.Lgs. 152/06 che, al comma 1, lettera c) riporta: “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”. Parimenti la circolare affermava che il D.M. 161/2012 non contemplava il caso di gestione dei materiali di scavo dei “piccoli cantieri”, in quanto l’art. 266, co. 7 del D.Lgs. 152/06 demandava ad uno specifico decreto, non ancora emanato, la gestione “dei materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia”. Si ritiene invece, in assenza di regole specifiche, proprio per la generalità dell’ambito di applicazione e per evitare vuoti normativi, che tali fattispecie di opere ricadevano nell’ambito di gestione del D.M. 161/2012 (analogamente a quanto avveniva in vigenza dell’art. 186 del D.Lgs. 152/06), pur riconoscendo la laboriosità del procedimento non commisurata alla realizzazione dell’opera. Art. 15 – Disposizioni finali e transitorie Entro 180 gg dalla data di entrata in vigore del presente regolamento (n.d.r. ovvero entro il 04/04/2013), i progetti per i quali è in corso una procedura ai sensi e per gli effetti dell’art. 186, del D.Lgs. 152/2006, possono essere assoggettati alla disciplina prevista dal presente regolamento con la presentazione di un Piano di Utilizzo. gdiS 2014 numero unico GESTIONE “DECRETO MATERIALI DA SCAVO A SEGUITO DEL C.D. DEL FARE” D.L. 21 giugno 2013, n. 69 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia – c.d. Decreto del Fare (SO n. 50 alla GURI 21/06/ 2013 n. 144). In vigore dal 22/06/2013. 15 Articolo 41 (Disposizioni in materia ambientale). 2. “Il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 10 agosto 2012, n. 161, ….., si applica solo alle terre e rocce da scavo che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale. D.L. 26 aprile 2013, n. 43 - Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015 (GURI 26 aprile 2013 n. 97), convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24 giugno 2013, n. 71 (GURI 25 giugno 2013 n.147) Articolo 8-bis. (Deroga alla disciplina dell’utilizzazione di terre e rocce da scavo). In vigore dal 26/06/2013 2. “…. in attesa di una specifica disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure, alla gestione dei materiali da scavo, provenienti dai cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale, continuano ad applicarsi su tutto il territorio nazionale le disposizioni stabilite dall’articolo 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”. Dal combinato disposto dell’art. 41 del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 - c.d. Decreto del Fare, in vigore dal 22/06/2013 e dell’art. 8-bis del D.L. 26 aprile 2013, n. 43, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24 giugno 2013, n. 71, in vigore dal 26/06/2013, deriva che, a quella data, non risultava normata la gestione del materiale di scavo proveniente dalla realizzazione di opere non soggette ad AIA o VIA ma superiori a 6.000 metri cubi. Per tale fattispecie di interventi occorreva, pertanto, fare riferimento all’art. 184-bis del D.Lgs. 152/06 che definisce i sottoprodotti. Art. 184-bis del D.Lg. 152/06 – Sottoprodotto È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: 16 a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. Tale procedura, considerato che l’attività di scavo non è propriamente un “processo di produzione”, comporta una certa difficoltà applicativa che richiede, pertanto, specifiche regole procedurali. Al riguardo, la Legge 9 agosto 2013, n. 98 (GURI 20 agosto 2013 n. 194), di conversione, con modificazioni, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 - c.d. Decreto del Fare, aggiungeva infatti: Articolo 41-bis (Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo). In vigore dal 21 agosto 2013. 1. In relazione a quanto disposto dall’articolo 266, co. 7, del D.Lgs. 152/06 (n.d.r. relativo ai piccoli cantieri con produzione di materiali da scavo < 6.000 mc), i materiali da scavo, prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, sono sottoposti al regime di cui all’articolo 184-bis del D.Lgs. 152/2006 (sottoprodotti), se il produttore dimostra: a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati; b) che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle CSC di cui alle colonne A e B della tab. 1 dell’all. 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i 2014 numero unico gdiS materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee (n.d.r. per definire la quale occorre eseguire il test di cessione), fatti salvi i valori di fondo naturale; c) che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime; d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere. (n.d.r. vedi D.M. 161/2012) 2. Il proponente o il produttore attesta il rispetto delle condizioni di cui al co. 1 tramite dichiarazione resa all’ARPA territorialmente competente, ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, precisando le quantità destinate all’utilizzo, il sito di deposito e i tempi previsti per l’utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione, salvo il caso in cui l’opera nella quale il materiale è destinato ad essere utilizzato preveda un termine di esecuzione superiore. Le attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico-sanitaria. (Piano di Utilizzo, vedi D.M. 161/2012). La modifica dei requisiti e delle condizioni indicati nella dichiarazione di cui al primo periodo è comunicata entro trenta giorni al comune del luogo di produzione. Gestione del materiale da scavo 3. Il produttore deve, in ogni caso, confermare alle autorità di cui al co. 2, territorialmente competenti con riferimento al luogo di produzione e di utilizzo, che i materiali da scavo sono stati completamente utilizzati secondo le previsioni comunicate. (n.d.r. D.A.U., vedi D.M. 161/2012) 4. L’utilizzo dei materiali da scavo come sottoprodotto resta assoggettato al regime proprio dei beni e dei prodotti. A tal fine il trasporto di tali materiali è accompagnato dal documento di trasporto o da copia del contratto di trasporto o dalla scheda di trasporto di cui al D.Lgs. 286/2005. (n.d.r. Doc. di trasporto, vedi D.M. 161/2012) 5. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano anche ai materiali da scavo derivanti da attività e opere che non rientrano nel campo di applicazione del D.M. 161/2012 (non soggetti ad AIA o VIA). 6. L’articolo 8-bis del D.L. 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71 (n.d.r. ovvero il ricorso all’art. 186 del D.Lgs. 152/06 per la gestione dei materiali da scavo derivante dai piccoli cantieri, < 6.000 mc), è abrogato. 7. L’articolo 1 del regolamento di cui al D.M. n. 161/2012, recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo, nel definire al comma 1, lettera b), i materiali da scavo integra, a tutti gli effetti, le corrispondenti disposizioni del D.Lgs. 152/06. Si riporta schematicamente come avviene oggi la gestione dei materiali da scavo: Norma di riferimento Periodo Art. 185, co. 2, lett. c) D.Lgs. 152/06 Dal 28/01/2009 Materiale da scavo per la realizzazione di opere soggette ad AIA o VIA, riutilizzate fuori sito D.M. 161/2012 Dal 06/10/2012 Materiale da scavo per la realizzazione di opere non soggette ad AIA o VIA indipendentemente dai volumi prodotti, riutilizzate fuori sito Art. 41-bis D.L. n. 69/2013, convertito con L. n. 98/2013 Dal 21/08/2013 Materiale da scavo riutilizzato nello stesso sito di produzione gdiS 2014 numero unico 17 GESTIONE MATERIALI DI RIPORTO D.L. 25 gennaio 2012, n. 2 – Misure straordinarie ed urgenti in materia ambientale, (GURI 25 gennaio 2012 n. 20), convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24 marzo 2012, n. 28 (GURI 24 marzo 2012 n. 71). Articolo 3 (Interpretazione autentica dell’articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, disposizioni in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti). In vigore dal 25/03/2012. (n.d.r. L’art. 3 è stato profondamente modificato dalla legge di conversione, L. n. 28/2012 e successivamente dal D.L. n. 69/2013, convertito in L. n. 98/2013, modifiche riportate di seguito con doppia sottolineatura). 1. I riferimenti al “suolo” contenuti all’art. 185, co. 1, lettere b) e c), e 4, del D.Lgs. 152/06, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’all. 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo (n.d.r. Criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati); (Comma in vigore già dal 26 gennaio 2012 e non modificato dalla legge di conversione L. n. 28/2012) Articolo 185, D.Lgs. 152/06 - Esclusioni dall’ambito di applicazione 1. Non rientrano nel campo di applicazione della Parte quarta: b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, …… c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato; 4. Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter. 2. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all’art. 49 del D.L. n. 1/2012 – c.d. “Liberizzazio18 ni” (n.d.r. ovvero il decreto sulla gestione delle terre e rocce da scavo da emanare entro 60 gg.), utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei. 3. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al co. 2 del presente articolo, le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono considerate sottoprodotti solo se ricorrono le condizioni di cui all’articolo 184bis (sottoprodotto) del citato decreto legislativo n. 152 del 2006. (Comma aggiunto dalla legge di conversione) D.L. 25 gennaio 2012, n. 2, convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24 marzo 2012, n. 28 . Modificato dal D.L. n. 69/2013 Articolo 3 (in vigore dal 22/06/2013) 1. I riferimenti al “suolo” contenuti all’art. 185, co. 1, lett. b) e c), e 4, del D.Lgs. 152/06, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’all. 2 alla parte IV del medesimo D.Lgs., costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri. 2. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 185, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del D.M. 5 febbraio 1998, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati. (n.d.r. ovvero conformità rispetto alle CSC, in relazione alle specifiche destinazioni d’uso - Tab. A o B, all. 5 alla parte IV del D.Lgs. 152/06). 2014 numero unico gdiS 3. Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute. A questo punto si formulano le seguenti osservazioni e si evidenziano alcune criticità riscontrate nell’applicazioni delle leggi e decreti passati in rassegna: a) Per il riutilizzo al di fuori dal sito di prelievo del materiale di riporto scavato, ai sensi dell’art. 185, co. 4, del D.Lgs. 152/06, in quanto compresi nella definizione di materiali da scavo, si richiamano le modalità di gestione di cui al D.M. 161/2012, per la realizzazione di opere sottoposte ad AIA e/o VIA e l’art. 41-bis, della L. 98/2013 di conversione del D.L. n. 69/2013, per la realizzazione delle restanti opere; b) considerato che, ai sensi del co. 7 dell’art. 41bis, quanto definito per i materiali da scavo (inclusi gli eventuali materiali di riporto) dal D.M. 161/2012, integra le corrispondenti disposizioni del D.Lgs. 152/06, si ritiene che la limitazione pari al 20% max della presenza di materiale antropico frammisto al terreno naturale nella matrice materiale di riporto, di cui all’all. 9 del D.M., 161/12, è vincolante sia per la gestione dei materiali di scavo normati dalla legge n. 98/2013, sia per il riutilizzo in sito di questi materiali ai sensi dell’art. 185, co.1 lett. c); c) il test di cessione è espressamente previsto per il riutilizzo dei materiali di riporto: art.3, co. 2, L. 24/03/2012, n. 28: “… le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’articolo 9 del D.M. 5 febbraio 1998, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee …” gdiS 2014 numero unico Il test è implicitamente previsto per il riutilizzo del materiale di scavo derivante da opere non soggette ad AIA e/o VIA: art. 41-bis, co. 1, lett. b) della L. 09/08/2013, n. 98: “… i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee …” Del test di cessione non si tiene conto per il riutilizzo dei materiali da scavo per opere soggette ad AIA o VIA, di cui al D.M. 10/08/2012, n. 161. Infatti l’Allegato 4, relativo all’accertamento delle qualità ambientali dai materiali da scavo, riporta: “Il rispetto dei requisiti di qualità ambientale di cui all’art. 184 bis, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i. per l’utilizzo dei materiali da scavo come sottoprodotti, è garantito quando il contenuto di sostanze inquinanti all’interno dei materiali da scavo sia inferiore alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC), di cui alle colonne A e B Tabella 1 allegato 5, al Titolo V parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e s.m.i., con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica, o ai valori di fondo naturali.” Si ritiene, invero, che il test di cessione deve essere effettuato anche per il riutilizzo dei materiale da scavo, di cui al D.M. n. 161/2012 in quanto: – l’art. 184-bis, co. 1, lett. d) del D.Lgs.152/06 prevede che l’utilizzo di un materiale come sottoprodotto: “… non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana” compresa la salvaguardia delle acque sotterranee; – essendo previsto per il materiale di scavo derivante dalla realizzazione di opere “minori”, non potrebbe non valere per opere soggette ad AIA o VIA (ovvero per opere di importanza “maggiore”); – la legge n. 98 del 09/08/2013, oltre ad essere successiva al D.M. n. 161 del 10/08/2012, è di rango giuridico maggiore. 19 VI CONGRESSO REGIONALE GEOLOGI DI SICILIA • 11-12-13 APRILE 2014 • SIRACUSA Escursione al geosito “La Pillirina” all’interno della riserva dell’area marina protetta del Plemmirio presso la Penisola della Maddalena Grotta d’abrasione marina sulle calcareniti pleistoceniche. 20 Grotta di abrasione marina nei calcari pleistocenici 2014 numero unico gdiS Stratificazione orizzontale nelle alcareniti organogene del Pleistocene medio (pietra giuggiulena) Piccola spiaggia tra le calcareniti pleistoceniche gdiS 2014 numero unico Falesia sulle calcareniti pleistoceniche. Da notare, sullo sfondo, i blocchi rocciosi caduti 21 per erosione della falesia. 22 2014 numero unico gdiS Priolo Gargallo (SR) - Seminario di studio ASPETTI TECNICI E PROCEDURALI NELLA GESTIONE DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO DOPO IL DECRETO DEL “FARE” Dott. Marcello Farina - A.R.P.A. Sicilia, Struttura Territoriale di Siracusa, U.O. A.E.R.C.A., Coordinatore Settore Bonifiche siti contaminati Il D.M. 161/2012 ha regolamentato gli aspetti tecnici e procedurali per una corretta gestione dei materiali da scavo (MDS). La struttura portante del Regolamento sui MDS è costituita da un elaborato progettuale denominato Piano di Utilizzo (PDU), nel quale una parte rilevante è assunta dalla caratterizzazione ambientale dei MDS. Nel Regolamento sui MDS viene fatta anche chiarezza su alcuni concetti quali le operazioni di normale pratica industriale, il piano di accertamento per la determinazione del fondo naturale dei suoli e la gestione dei MDS in siti contaminati. Più recentemente l’art. 41bis del Decreto del Fare, pur confermando implicitamente l’impalcatura tecnica del D.M. 161/2012, ha introdotto ulteriori semplificazioni procedurali per le opere non assoggettate a VIS o ad AIA.Tale novità legislativa ha fatto sì che l’ARPA, già coinvolta in alcuni aspetti tecnici e procedurali del D.M. 161/2012, abbia adesso assunto un ruolo fondamentale nell’iter autorizzativo della procedura semplificata prevista dall’art. 41 bis del Decreto del FARE. R I A S S U N TO The Ministerial Decree 161/2012 has regulated the technical and procedural aspects for the proper management of excavation materials (EM).The structure of the Regulations on EM consists of an elaborate project called Plan Utilization (PU), in which a significant part is taken by the environmental characterization by EM.The Regulations on EM is also made clear on some concepts such as the operations of normal industrial practice, the level of assessment for the determination of the natural background of soil and the management of EM in contaminated sites. More recently the art. 41bis of Law n. 98/2013, while confirming implicitly framework of MD 161/2012, has introduced further procedural simplifications for the works not subject to VIA or AIA.This new legislation has meant that ARPA, already involved in some technical and procedural aspects of the DM 161/2012, has now taken a leadership role in the authorization of the simplified procedure provided by art. 41bis of Law n. 98/2013. ABSTRACT PREMESSA Con precedente articolo è stata ampiamente trattata dall’Ing. Sole Greco la tematica inerente gli aspetti normativi sui materiali da scavo (MDS), passando in rassegna l’evoluzione sino ad arrivare all’inquadramento attuale nel complesso ambito della problematica della gestione dei rifiuti. Questo articolo ne rappresenta la continuazione logica, avendo come obiettivo quello di affrontare le tematiche prettamente tecniche del regolamento sui MDS, contenute negli allegati del DM 161/2012. Si tratterà anche delle semplificazioni introdotte dal Decreto del “FARE”, e del ruolo preminente assunto dall’ARPA – ente che ho l’onore di rappresentare – nella qualità di soggetto deputato a valutare i requisiti previsti per le autocertificazioni ai sensi dell’art. 41 bis del predetto Decreto. LE LINEE GUIDA DEL REGOLAMENTO SULLE TERRE E ROCCE DA SCAVO Gli allegati del DM 161/2012 contengono, in maniera un po’ disorganica – caratteristica questa peculiare di tutto il Regolamento – le linee guida tecniche e procedurali per una corretta gestione dei MDS. Tali linee guida possono essere raggruppate in tre grandi famiglie: Linee guida prescrittive di tipo tecnico: All. 1 – Caratterizzazione ambientale dei materiali da scavo gdiS 2014 numero unico All. 2 – Procedure di campionamento in fase di progettazione All. 4 – Procedure di caratterizzazione chimico-fisiche All. 5 – Piano di Utilizzo All. 8 – Procedure di campionamento in fase esecutiva Linee guida descrittive: All. 3 – Normale pratica industriale All. 9 – Materiali di riporto di origine antropica Linee guida procedurali per il tracciamento: All. 6 – Documento di trasporto All. 7 – Dichiarazione di avvenuto utilizzo IL PIANO DI UTILIZZO Il Piano di Utilizzo rappresenta senza dubbio il corpo principale di tutta l’impalcatura del DM 161/2012. È significativo il fatto che l’unico articolo (art. 5) e gli allegati di pertinenza (allegati 1-2-3-4-5) del Piano di Utilizzo costituiscano da soli, in termini di spazio, circa il 70% dell’intero Decreto. Tale elaborato costituisce la sintesi delle informazioni tecniche che vedono coinvolte almeno due figure professionali: – Il Tecnico Progettista che fornisce le informazioni inerenti le attività di scavo (impronta dello scavo, quantità in banco scavate, modalità di scavo); 23 – Il Geologo che fornisce, mediante indagini dirette o indirette, i dati litologici ed i dati ambientali. 5 l’ubicazione degli eventuali siti di deposito intermedio in attesa di utilizzo; Tale elaborato, secondo quanto previsto all’allegato 5, deve definire: 6) l’indicazione dei percorsi previsti per il trasporto dei MDS tra i diversi siti. 1) l’ubicazione dei siti di produzione con l’indicazione dei relativi volumi in banco; 2) l’ubicazione del sito di utilizzo e l’individuazione dei processi industriali dei MDS; 3) le operazioni di normale pratica industriale finalizzate a migliorare le caratteristiche dei MDS; 4) le modalità di esecuzione e le risultanze della caratterizzazione ambientale dei MDS; 24 Relativamente ai punti 1), 2) e 5), per i diversi siti devono essere fornite informazioni su inquadramento territoriale, inquadramento urbanistico, inquadramento geologico ed idrogeologico, descrizione delle attività svolte sul sito, piano di campionamento ed analisi. La “flow-chart” seguente illustra chiaramente le procedure da seguire ed il ruolo preminente assunto 2014 numero unico gdiS dal Piano di Utilizzo nel caso in cui, in seguito all’esecuzione di un’opera soggetta a VIA o AIA che comporti un’attività di scavo, si decida di riutilizzare il materiale da scavo in un sito differente da quello di produzione anziché destinare lo stesso a smaltimento e/o recupero. Ambientale, e la conformità dei suoli ai limiti normativi previsti dalla destinazione d’uso del sito di utilizzo nel caso del Piano di Utilizzo. Vediamo quali sono tali elementi LA CARATTERIZZAZIONE AMBIENTALE DEI MDS 1. Scavo areale: almeno 3 punti per aree <2500 mq, 3 punti + 1 ogni 2.500 mq per aree comprese tra i 2500 e i 5000 mq, n. 7 punti + 1 punto ogni 10.0000 mq per aree superiori ai 10.000 mq. Se il Piano di Utilizzo rappresenta il “corpo principale” del DM 161/2012, è altrettanto vero che la caratterizzazione ambientale costituisce sicuramente il “core” di tale elaborato. Sono infatti dedicati a tale tematica ben 4 dei 5 allegati di pertinenza del Piano di Utilizzo. Quella di convertire alle tematiche ambientali gli operatori del mercato edilizio e delle costruzioni civili rappresenta la grande novità introdotta dal Decreto. La caratterizzazione ambientale ha lo scopo di accertare la sussistenza dei requisiti di qualità ambientale dei MDS e viene eseguita normalmente del proponente in fase progettuale, prima dell’inizio dello scavo, secondo i criteri indicati all’allegato 2. Tuttavia la caratterizzazione ambientale può essere eseguita in corso d’opera dall’esecutore nel sito di utilizzo – secondo i criteri indicati all’allegato 8 - anche nei seguenti casi : • Nel caso sia comprovata l’impossibilità di eseguire un’indagine ambientale propedeutica alla realizzazione dell’opera da cui deriva la produzione dei MDS; La maglia dei punti di indagine (sistematica o ragionata) 2. Scavo lineare: n. 1 punto ogni 500 m di tracciato o n. 1 punto ogni 2000 m nel caso di progettazione preliminare 3. Scavo in galleria: 3.1. In fase di progettazione: n. 1 sondaggio ogni 1000 m di tracciato o n. 1 sondaggio ogni 5.000 m nel caso di progettazione preliminare 3.2. In corso d’opera (dal fronte di avanzamento): all’inizio dello scavo e successivamente ogni 500 m, mediante sondaggio o prelievo dal fronte di scavo con un campione composito costituito dalla miscelazione di n. 8 campioni elementari 4. Scavi di sedimenti in ambiente acquatico: transetti, maglie e linee con caratteristiche geometriche analoghe a quelle viste nei punti precedenti. Tipologia di indagine • Nel caso lo scavo avvenga con metodologie che possano arrecare rischio di contaminazione per l’ambiente (si ripete, in corso d’opera, la caratterizzazione). 1. Pozzetti esplorativi: preferibili, in quanto meno invasivi e consentono una visione più completa della stratigrafia Nel caso di caratterizzazione in corso d’opera sono previste, oltre alle verifiche da parte dell’esecutore, anche verifiche per i controlli e le ispezioni eseguite in contraddittorio dall’ARPA territorialmente competente, sia a completamento che durante la posa in opera del materiale da scavo Il piano di indagini per la verifica ambientale dei MDS presenta gli stessi elementi caratteristici di un Piano di Caratterizzazione redatto ai sensi del Titolo V parte IV del D. lgs. 152/06, anche se con le dovute differenze legate alla differenza degli obiettivi prefissati che sono la ricostruzione del modello concettuale nel caso del Piano di Caratterizzazione 3. Piezometri: laddove gli scavi interessino il terreno saturo, nel qual caso si preleva anche un campione d’acqua gdiS 2014 numero unico 2. Sondaggi a carotaggio continuo Nel caso di sondaggi o piezometri, vanno scrupolosamente osservate tutte le prescrizioni indicate per le operazioni di perforazione per indagini ambientali e ben descritte nel “Protocollo generale per l’esecuzione delle indagini di caratterizzazione e di collaudo degli interventi di bonifica dei siti contaminati da parte dei soggetti obbligati, ai sensi del D.lgs. 152/06 e s.m.i. e dell’Accordo di Programma per il Sito di Interesse Nazionale di Priolo” (di seguito denominato Protocollo Priolo) redatto da ARPA, ISPRA e ISS 25 (settembre 2009). Citiamo quale esempi: la georeferenziazione e la quotatura dei punti d’indagine, il non utilizzo di fluidi per la perforazione e per l’estrusione delle carote, l’esecuzione di manovre omogenee a velocità controllata per evitare fenomeni di surriscaldamento e garantire il minimo disturbo ed un recupero ≥ 90%, la predisposizione del tubo di rivestimento del foro, la sigillatura del foro a perforazione completata. sita segnaletica, preferibilmente in prossimità delle aree di scavo, o in aree esterne, presso il sito di utilizzo finale o anche altre aree logisticamente comode. Si formano cumuli di volume compreso tra 3.000 e 5.000 mc, in funzione dell’omogeneità del materiale scavato o dell’eventuale caratterizzazione in fase progettuale. Il numero (m) dei cumuli da campionare è dato dalla formula: Modalità di campionamento dei MDS Se n<m si caratterizzano tutti i cumuli (in pratica quando n≤11). Oltre al numero sopra definito, dovrà comunque essere caratterizzato il primo cumulo prodotto dallo scavo e tutte le volte che si riscontrino evidenze organolettiche di contaminazione o variazioni di litologia. Il campionamento è effettuato sul materiale tal quale, in modo da ottenere un campione rappresentativo secondo la norma UNI 10802. Dal cumulo da caratterizzare si prelevano 8 campioni elementari (4 in profondità e 4 in superficie) al fine di ottenere un campione composito dal quale si ricavano, per riduzione volumetrica mediante quartatura, i campioni da laboratorio. 1. Pozzetti esplorativi: si suggerisce di adottare da protocollo APAT per pareti e fondo scavo (http://www.isprambiente.gov.it/files/temi/propostamodifica-protocollo-operativo-rev07-nov06.pdf) ovvero: 1.1. per il fondo scavo, ogni cella litologicamente omogenea di superficie ≤ 100 mq n. 1 campione composito ottenuto dalla miscelazione di n. 10 campioni elementari; 1.2. per ogni singola parete di scavo, ogni cella litologicamente omogenea di superficie ≤ 50 mq n. 1 campione composito ottenuto dalla miscelazione di n. 5 campioni elementari; 1.3. Eventuali altri campioni rappresentativi di evidenze organolettiche e/o strumentali di contaminazione ovvero della presenza di rifiuti o di materiali di riporto (campionamenti puntuali) nonché di variazioni litologiche 2. Sondaggi a carotaggio continuo: In generale vengono prelevati, da intervalli statigrafici di 1 m: 2.1. Nel caso di scavi > 2m: 2.1.1. Un campione rappresentativo del primo metro 2.1.2. Un campione rappresentativo della zona di fondo scavo 2.1.3. Un campione intermedio tra i due campioni precedenti 2.2. Nel caso di scavi <2 m: si prende un campione per ciascun metro di profondità 2.3. Eventuali altri campioni rappresentativi di evidenze organolettiche e/o strumentali di contaminazione ovvero della presenza di rifiuti o di materiali di riporto (campionamenti puntuali) nonché di variazioni litologiche 3. Campionamenti da cumuli: Sono eseguiti esclusivamente nella caratterizzazione in corso d’opera. Vengono predisposte piazzole impermeabilizzate, opportunamente distinte ed identificate con appo26 m=k*n1/3 dove k=5 n = n° totale dei cumuli Formazione dei campioni Anche in questo caso vanno scrupolosamente osservate indicate tutte le prescrizioni indicate per la decontaminazione delle attrezzature – al fine di evitare fenomeni di “cross-contamination” – e descritte nel Protocollo Priolo. Tra queste citiamo: il trasferimento dei campioni in un contenitore a 4° e inviato entro 24 h al laboratorio; l’utilizzo di attrezzature caratterizzate da materiali e modalità costruttive tali da non modificare le caratteristiche delle matrici ambientali e la concentrazione dei contaminanti; l’assenza di perdite di oli/lubrificanti e altre sostanze dalle attrezzature utilizzate; la predisposizione di un’area delimitata e impermeabilizzata per la decontaminazione delle attrezzature; la decontaminazione, usando acqua dell’acquedotto o analizzata chimicamente, alla fine di ogni perforazione degli attrezzi ed utensili utilizzati in superficie e ad ogni manovra degli attrezzi e gli utensili utilizzati in profondità nel perforo. Vi sono due modalità di formazione del campione: 1. Formazione del campione di suolo per l’analisi dei composti non volatili: Si utilizzano le carote prelevate e disposte nelle cassette catalogatrici o i singoli incrementi prelevati dalle pareti e dal fondo dello scavo o dal cumulo. La formazione del cam2014 numero unico gdiS pione avviene su un telo di materiale impermeabile (PE), in condizioni tali da evitare la variazione delle caratteristiche e la contaminazione del materiale. Il materiale che entra nella formazione del campione deve essere omogeneizzato sul telo impermeabile e prelevato sulla base dei metodi di quartatura per ottenere un campione rappresentativo dell’intero strato individuato. Vengono scartati in campo, dopo la quartatura, sia i materiali estranei (pezzi di vetro, rami, foglie) che i ciottoli con diametro > 2 cm. Nel caso di campionamento in contraddittorio con ARPA, il campione è suddiviso in tre aliquote: una per l’analisi da condurre ad opera del proponente/esecutore, una per l’Ente di controllo (ARPA) ed una da conservare a carico del proponente/esecutore, con modalità adeguate, per un eventuale contraddittorio. Le tre aliquote sono suddivise e introdotte in contenitori puliti (vasetti di vetro), sigillati individualmente e contrassegnati esternamente con un codice identificativo di punto di prelievo, intervallo di profondità, data e ora del confezionamento, firma dell’addetto. 2. Formazione del campione di suolo per l’analisi dei composti volatili: Il campione deve essere formato immediatamente dopo la deposizione della carota nella canaletta, prima di procedere alle altre operazioni (descrizione carote, formazione dei campioni per l’analisi dei composti non volatili). Devono essere inoltre ridotti i tempi di esposizione all’aria per limitare la volatilizzazione. Viene formata una sola aliquota, nel caso in cui ARPA non richieda la seconda. Con una paletta/spatola in acciaio inox opportunamente decontaminata vengono prelevate porzioni di terreno, selezionando casualmente alcuni settori su tutta la lunghezza della carota. Il terreno prelevato deve essere immediatamente inserito in un contenitore di vetro, o una vial, con tappo in teflon, di volume adeguato; il contenitore deve essere immediatamente sigillato. La tecniche appena descritta spesso non permette di ottenere risultati analitici affidabili a causa delle perdite imputabili all’elevata volatilità del contaminante ed all’interazione con il contenitore. Si preferisce pertanto la adozione di tecniche (ASTM D4547/91, EPA 5035/97) che permettono di recuperare il campione direttamente all’interno delle vial utilizzate per le analisi chimiche: in pratica viene prelevata dal cuore della carota una piccola aliquota di terreno mediante un sub-campionatore costituito da una siringa in plastica, ed il terreno viene poi estruso all’interno della vial. gdiS 2014 numero unico Set analitico: L’elenco delle sostanze da ricercare viene definito in funzione di attività antropiche pregresse svolte sul sito o in aree limitrofe, eventuali pregresse contaminazioni, eventuali anomalie del fondo naturale, inquinamento diffuso e possibili apporti legati all’esecuzione dell’opera. Le metodiche analitiche devono garantire un limite rilevabilità strumentale non superiore ad 1/10 dei limiti normativi. Per la scelta dei parametri da ricercare si può operare nel modo seguente: 1. Elenco standard: La tabella 4.1 inclusa nell’allegato 4 fornisce un elenco minimale (obbligatorio per volumi si scavo <6.000 mc) costituito dalle seguenti sostanze: metalli (arsenico, cadmio, cobalto, cromo totale, cromo VI, mercurio, nichel, piombo, rame e zinco), THC>12, amianto e, nel caso di aree a distanza <20 m da infrastrutture viarie a grande comunicazione e di insediamenti che possono aver influenzato le caratteristiche del sito mediante ricaduta delle emissioni in atmosfera, anche BTEXS ed IPA. 2. Sostanze indicatrici: Per volumi di scavo compresi tra 6.000 e 150.000 mc, il proponente può scegliere solo alcune sostanze indicatrici tra quelle sopra descritte. 3. Colonna A della tabella 1 allegato 5 Titolo V parte IV: Nel caso di nuove attività di riempimenti e reinterri (ad es. ritombamenti di cave) in condizioni di falda affiorante o subaffiorante (un metro di franco dalla massima escursione), dovranno essere cautelativamente ricercate tutte le sostanze previste dalla normativa sui siti contaminati, utilizzando comunque i limiti previsti per i siti a destinazione d’uso residenziale. 4. Short list Protocollo Priolo: La tabella 4.1 dell’allegato 4 costituisce un elenco minimale. L’allegato 4 prevede però “…che la lista delle sostanze da ricercare può essere modificata ed estesa in accordo con l’Autorità competente in considerazione delle attività antropiche pregresse...”. ARPA richiede pertanto di includere anche quelle sostanze individuate con le metodiche analitiche adoperate per ricercare i parametri di cui alla tabella 4.1. Prendendo quale riferimento la “short list” inclusa nel Protocollo Priolo, dovrebbero essere ricercati, ad integrazione della tabella 4.1, anche i seguenti restanti parametri: metalli (antimonio, berillio, selenio, stagno, tallio, vanadio), THC<12, alifatici clorurati cancerogeni e non, alifatici alogenati. 27 Accertamento della qualità ambientale dei MDS: I risultati delle analisi di caratterizzazione vengono confrontati con le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) delle colonne A e B della Tabella 1 dell’Allegato 5 al Titolo V Parte IV del D.lgs. 152/06, in funzione della destinazione d’uso del sito di utilizzo. Sulla base di tale confronto, i MDS sono riutilizzabili per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, ripascimenti, interventi in mare, miglioramenti fondiari o viari o altre forme di ripristino e miglioramento ambientali, per sottofondi e anche nei processi industriali in sostituzione dei materiali da cava: In qualsiasi sito se la concentrazione degli inquinanti è < alla CSC della colonna A In siti a destinazione produttiva (commerciale/industriale), se la concentrazione degli inquinanti è compresa tra la CSC della colonna A e quella della colonna B Occorre sottolineare altresì sottolineare che, ove vengano riscontrate concentrazioni > alla CSC relativa alla destinazione d’uso del sito di produzione, i 28 MDS non sono comunque riutilizzabili ed inoltre deve essere attivata la procedura di bonifica prevista per i siti contaminati (art. 242 del D.lgs 152/06). Il Regolamento prevede tuttavia all’art.5 comma 4 che: “…nel caso in cui la realizzazione dell’opera interessi un sito in cui, per fenomeni naturali, nel materiale di scavo le concentrazioni, superino le CSC di cui alle colonne A e B ...., è fatta salva la possibilità che le concentrazioni ...vengano assunte pari al valore di fondo naturale esistente per tutti i parametri considerati. A tal fine, in fase di predisposizione del Piano di Utilizzo, il proponente segnala il superamento di cui sopra all’Autorità competente, presentando un piano di accertamento per definire i valori di fondo da assumere. Tale piano è eseguito in contraddittorio con l’ARPA ....”. In tal caso i materiali da scavo sono riutilizzabili nello stesso sito di produzione o in altro sito, a condizione che non vi sia un peggioramento della qualità ambientale e che tale sito sia nel medesimo ambito territoriale del sito di produzione. Le procedure sopra descritte possono essere meglio comprese nella seguente flow-chart. 2014 numero unico gdiS Il piano di accertamento per la determinazione del fondo naturale: Ha lo scopo di dimostrare che le aree in cui si riscontrano superamenti delle CSC dei metalli non siano mai state oggetto di attività antropiche impattanti che possano aver condotto ad una contaminazione da metalli nel terreno. Viene pertanto eseguito uno studio che dimostri che la presenza di metalli nel terreno in concentrazioni superiori alle CSC sia da attribuire alla presenza naturale di tali metalli nel terreno. Il documento di riferimento è il Protocollo APAT-ISS del giugno 2006 scaricabile al link http://www.iss.it/binary/suol/cont/PROT_VALORI FONDO_06.pdf. Per una migliore comprensione della problematica è necessario alcune importanti definizioni: Contenuto naturale pedo-geochimico (ISO 19258): “concentrazione di sostanze nei suoli, risultante da processi naturali geologici e pedologici, senza alcuna interferenza di origine antropica” Caratteristiche statistiche (ISO 19258): “parametro statistico scelto per rappresentare la distribuzione delle concentrazioni; ad esempio il 90° percentile” Valori di fondo naturale (ISO 19258): “caratteristiche statistiche del contenuto naturale pedogeochimico di una sostanza nei suoli” Le fasi dello studio sono analoghe a quelle di un normale Piano di Caratterizzazione. Avremo pertanto: 1. Raccolta ed analisi dei dati esistenti: Ha come obiettivo la definizione dell’assetto geologico dell’area ed una prima ricostruzione della composizione geochimica dei terreni. 2. Sopralluogo e rilievo geologico e geomorfologico in sito: Viene eseguito un rilievo di campo al fine di individuare aree esterne al sito di produzione (potenzialmente contaminato), ma che abbiano caratteristiche geologiche e geomorfologiche confontabili e distribuzione delle concentrazioni di metalli/metalloidi non riconducibile ad alcuna sorgente puntuale attiva nel presente o nel passato. 3. Costituzione del set di dati: Nelle aree individuate come rappresentative vengono ubicati, con maglia possibilmente sistematica, i punti di indagine. Per una elaborazione statistica affidabile è necessario prelevare da 10 a 30 campioni per ogni strato litologicamente omogeneo. Nelle analisi di laboratorio dovranno essere ricercati, oltre ai metalli che presentano superamenti delle CSC, gdiS 2014 numero unico anche i metalli che possono avere concentrazione correlabili tra loro (es. rame ed arsenico) nonché i parametri caratteristici del terreno che influenzano la mobilità e le reazioni chimiche del metallo con la matrice suolo (tessitura, peso specifico, pH e potenziale redox dell’acqua interstiziale, TOC, capacità di scambio cationico, contenuto totale in Fe ed Al) 4. Elaborazione statistica dei dati: Dopo un’analisi preliminare del set di dati al fine di individuare eventuali “non detect” e “outliers”, si sceglie il descrittore numerico e la rappresentazione grafica che meglio rappresenta la distribuzione dei dati. 5. Determinazioni dei valori di fondo: Nel Protocollo APAT-ISS è stato individuato quale valore di fondo naturale il 95° percentile della curva cumulativa di frequenza. OPERAZIONI DI NORMALE PRATICA INDUSTRIALE Una novità importante introdotta dal DM 161/2012 (art. 4 comma 1 lettera c) riguarda la possibilità di sottoporre i MDS a quei trattamenti che rientrano nelle “normale pratica industriale”. Questi vengono esplicitamente definiti all’allegato 3 come “…quelle operazioni, alle quali può essere sottoposto il MDS, finalizzate al miglioramento delle sue caratteristiche merceologiche per renderne l’utilizzo maggiormente produttivo e tecnicamente efficace…”. Rientrano in tale fattispecie: La selezione granulometrica La riduzione volumetrica mediante macinazione La stabilizzazione a calce, cemento o altra modalità che migliori le caratteristiche geotecniche, concordata preventivamente con ARPA in fase di redazione del Piano di Utilizzo La stesa al suolo per consentire l’asciugatura e la maturazione al fine di conferire al materiale migliori caratteristiche di movimentazione, l’umidità ottimale e favorire la biodegradazione naturale degli additivi utilizzati nelle operazioni di scavo La riduzione degli elementi antropici (frammenti di vetroresina, cementiti, bentoniti) eseguita sia a mano che con mezzi meccanici, qualora questi siano riferibili alle necessarie operazioni per la esecuzione dello scavo 29 GLI SCAVI IN SITI CONTAMINATI I valori delle CSC segnano il confine tra terreni “puliti” (conformi) e terreni “sporchi” (potenzialmente contaminati). Nel caso di superamenti delle CSC della destinazione d’uso del sito di produzione, il D.M. 161/2012 prevede la possibilità che i materiali da scavo possano essere riutilizzati solo nel caso venga dimostrato che tali valori siano inferiori al “fondo naturale” (previa esecuzione di un Piano di Accertamento in contradditorio con ARPA). Se i superamenti delle CSC non possano essere attribuiti al “fondo naturale”, viene avviato il procedimento ex art. 242 del D. Lgs. 152/06. In tal caso, sono esclusi dalla possibilità di riutilizzo come sottoprodotti i terreni bonificati con analisi di rischio sitospecifica, ovvero con valori inferiori alle CSR ma 30 superiori alle CSC. Pertanto tali materiali, se scavati, dovranno essere gestiti e smaltiti come rifiuti. In un sito soggetto ad interventi di bonifica, per la separazione tra le aree conformi e quelle contaminate o potenzialmente contaminate si adottano criteri di tipo geostatistico o geometrico. Il metodo usato più comunemente è quello dei “Poligoni di Thyssen”, che vengono costruiti nel modo seguente (vedi figure sottostanti): I punti d’indagine sono considerati centroidi Si tracciano le linee rette che uniscono un centroide ai centroidi più vicini A metà di tali rette se ne tracciano altre ad esse perpendicolari L’incontro delle perpendicolari crea un poligono attorno al centroide. 2014 numero unico gdiS L’art. 5 comma 5 del DM 161/2012 prevede che: “Nel caso in cui il sito di produzione interessi un sito oggetto di interventi di bonifica…i requisiti di cui all’art. 4, comma 1, lettera d), sono individuati dall’ARPA…”; “…L’ARPA, entro 60 giorni…comunica al proponente se per i MDS… i valori riscontrati per tutti gli elementi e i composti di cui alla Tabella 1 dell’allegato 5, alla pate IV^ del D. lgs. 152/06 non superano le CSC di cui alle colonne A e B della medesima Tabella 1 sopra indicata, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione indicata nel Piano di Utilizzo...; … In caso di esito positivo, il proponente può presentare il Piano di Utilizzo…” Una disamina superficiale dell’art. 5 comma 5 porterebbe a pensare che anche i terreni provenienti da operazioni di bonifica possano essere riutilizzati in altri siti come sottoprodotti. Ai fini del pronunciamento di ARPA, nel caso di siti oggetto di intervento di bonifica, si possono verificare due diverse situazioni: 1. Le terre e rocce provengono da un sito con bonifiche in corso o già bonificato ma non sono direttamente collegate alla stessa opera di bonifica: sono unanimemente considerate come riutilizzabili se conformi alle CSC del sito di utilizzo, in quanto si tratta di terreni non contaminati che vengono scavati per poter accedere ai “poligoni” contaminati o perché devono comunque essere rimossi durante gli scavi di costruzione 2. Le terre e rocce da scavo che si intendono riutilizzare provengono direttamente dalle operazioni di bonifica: l’unico caso teoricamente plausibile di utilizzo è quello della “forchetta” tra i limiti delle colonne A e B della Tabella 1, ovvero l’utilizzo in un sito a destinazione commerciale/industriale delle terre e rocce da scavo provenienti da un sito a destinazione residenziale/verde, con concentrazioni di contaminanti superiori alla colonna A ma inferiori alla colonna B Sulla riutilizzabilità delle terre e rocce aventi concentrazioni comprese nella “forchetta” tra i limiti delle colonne A e B della Tabella 1, non vi è univocità di interpretazione tra le varie ARPA. Una chiave di lettura per una corretta interpretazione della problematica ci viene fornita: gdiS 2014 numero unico dalla definizione di “opera” (Art. 1 comma1): “…il risultato di un insieme di lavori di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro, manutenzione, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica ai sensi dell’art.3 comma 8 del D.lgs. 163/2006 dalle condizioni chimico-ambientali necessarie perché il terreno sia considerato come sottoprodotto (art. 5 comma 3): “…che le concentrazioni di elementi e composti di cui alla tabella 4.1 dell’allegato 4 del presente regolamento non superino le CSC di cui alle colonne A e B…del D.lgs 152/06...con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di produzione e del sito di destinazione…”. Si desume quindi la non riutilizzabilità delle terre e rocce aventi concentrazioni comprese nella “forchetta” tra i limiti delle colonne A e B della Tabella 1 in quanto le attività di bonifica non possono essere considerate come opere ai sensi dell’art.3 comma 8 del D.lgs. 163/2006 ed i terreni asportati dalla bonifica sono per definizione non conformi alla destinazione d’uso e quindi non è possibile ipotizzare un reimpiego degli stessi senza il preventivo passaggio alla categoria giuridica dei rifiuti. Tale interpretazione è confermata da un parere ISPRA del 05/02/2013: “…Qualora le terre e le rocce vengano utilizzate al di fuori del sito di produzione dovranno essere rispettati i seguenti requisiti: Le terre e rocce rispettano le CSC con riferimento sia al sito di produzione che a quello di destinazione e…provengano da subaree non contaminate o sottoposte a…bonifica per fasi concluse… Le terre e rocce da scavo sono riferibili alla realizzazione di un’opera Le terre e rocce sono interamente utilizzate secondo quanto previsto nel Piano di Utilizzo approvato dall’autorità competente In presenza di riporti…, il materiale di origine antropica (da caratterizzarsi secondo le metodiche specifiche per i rifiuti) non supera il 20% in massa L’utilizzo delle terre e rocce non pone rischi in termini di contaminazione delle acque sotterranee (utilizzo del test di cessione…e confronto con i limiti del DM 05/02/98…) 31 IL RUOLO DELL’ARPA Sia il D.M. 161/2012 che la Legge 98/2013 attribuiscono all’ARPA ruoli specifici, per alcuni dei quali è previsto che i costi delle attività svolte a carico del soggetto proponente. Vediamo di esaminarle in dettaglio: DM 161/2012 Espressione di pareri tecnici su: Piano di Utilizzo (art. 5 commi 3 e 10), su motivata richiesta dell’Autorità competente e con costi a carico del proponente Piano di Accertamento (art. 5 comma 4), su richiesta del proponente e con costi a carico dello stesso Riutilizzo da siti in bonifica (art. 5 comma 5), su richiesta del proponente e con costi a carico dello stesso Analisi di validazione delle attività sopra descritte nonché eventuali analisi integrative Su interventi di stabilizzazione a calce, cemento o altro nel MDS Ispezioni in campo con o senza prelievo di campioni: Poiché il Regolamento sui MDS si configura come una normativa specifica nel settore dei rifiuti, le attività ad esso connesse potranno essere oggetti di controlli da parte dei vari organi di vigilanza, compresa ovviamente l’ARPA, che potrà prevedere controlli di propria iniziativa ovvero supportare, come spesso accade, altri organismi di controllo, in primis le Province Art. 14). Il controllo è poi obbligatorio nel caso di caratterizzazione in corso d’opera (allegato 8 parte B). Per queste attività di controllo non è previsto il pagamento da parte del soggetto proponente, ma è invece previsto (art. 15, comma 2 del DM 161/2012) che siano parzialmente finanziate proprio dagli introiti derivanti all’ARPA dalle attività svolte a pagamento previste dall’art. 5 del Regolamento e descritte nei punti precedenti. Analisi di validazione: in tutti i quei casi, sopra descritti, in cui è stata eseguita un’attività di prelievo campioni in contraddittorio. Legge 98/2013 L’art. 41bis comma 2 prevede che il proponente o il produttore attesti, mediante una “autocertificazio32 ne” (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi del DPR 445/2000) da presentare all’ARPA territorialmente competente, il rispetto dei 4 requisiti previsti al comma 1, ovvero: la destinazione di riutilizzo dei MDS certa e determinata, anche presso più siti; rispetto delle CSC del sito di destinazione ed assenza di pericolo di contaminazione per le acque di falda; in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, assenza di rischi per la salute o variazioni negative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime; i MDS non siano sottoposti a preventivi trattamenti fatta eccezione per la normale pratica industriale. È inoltre previsto al comma 3 che venga presentata la Dichiarazione di Avvenuto Utilizzo alle ARPA territorialmente competenti sia per il sito di produzione che per quello di utilizzo. ARPA Sicilia ha predisposto una schema di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà disponibile al link http://www.arpa.sicilia.it/news.jsp?ID_NEWS=1263& areaNews=6>emplate=default.jsp. Tale modulo consta di n. 5 sezioni in cui vanno riportati i dati rispettivamente del proponente (sezione n.1), del sito di produzione (sezione n.2), dell’eventuale sito di deposito intermedio (sezione n.3), del sito di destinazione (sezione n.4), dei tempi previsti per l’utilizzo (sezione n.5). L’utilizzo di uno specifico modulo non è un obbligo per i proponenti, ma l’adozione omogenea di modalità uniformi rappresenta un riferimento utile per le imprese e consente ad ARPA una più efficace gestione dei contenuti delle dichiarazioni. Il controllo da parte di ARPA viene organizzato in due fasi: controllo a campione ai fini della verifica di veridicità delle dichiarazioni approfondimento documentale ed eventualmente anche ispettivo in campo sulle dichiarazioni che presentino elementi di rischio per l’ambiente più rilevanti. Pur non essendo previsto dalla norma – che comunque ricalca la procedura fissata nel DM 161/2012 - si ritiene che ARPA dopo l’attività di controllo dovrà comunicare il suo parere all’Amministrazione presso la quale il materiale verrà collocato. 2014 numero unico gdiS IL SISTEMA MIP PER LA MAPPATURA DEI COV Giuseppe Giaramida - Giuseppe Prosperi, Geologi ambientali Il Sistema MIP (Membrane Interface Probe) è una tecnica di rilevamento diretto, concepita per indagare il sottosuolo, e fornisce informazioni sulla localizzazione di contaminanti volatili, sulla valutazione delle loro concentrazioni, nonché sulla caratterizzazione della litologia. Il sistema MIP è un potente strumento in grado di individuare sia i contaminanti clorurati che i contaminanti non clorurati volatili nei terreni saturi o insaturi, come gas interstiziale, assorbito, disciolto o in prodotto in fase libera. R I A S S U N TO Membrane Interface Probe(MIP) is a direct measurement equipment designed to investigate shallow soil and groundwater. It provides data about Volatile and Semi-Volatile Organic Compounds (SVOCs –VOCs) presence and position, an evaluation of their concentration into soil and groundwater, and finally an evaluation of site lithology. MIP has been useful to find chlorinated and non-chlorinated compounds at the site shallow soils and groundwater, evaluating gas, dissolved and non-acquous-phaseliquid phases. ABSTRACT 1. INTRODUZIONE E PRESENTAZIONE DELLA TECNOLOGIA Il Sistema MIP (Membrane Interface Probe) è una tecnica di rilevamento diretto del sottosuolo. Il MIP è una tecnologia direct push, utilizzata con particolari sonde con avanzamento a percussione o rotazione, che fornisce in tempo reale dati semiquantitativi sulla distribuzione di Composti Organici Volatili (COV) nel terreno. La sonda MIP è equipaggiata con una membrana porosa di politetrafluoroetilene fissata su un piatto di acciaio che viene riscaldato a temperature comprese tra 90 °C e 120 °C. Il calore volatilizza i composti organici presenti nel suolo e nelle acque a contatto con la punta. I COV passano attraverso la membrana per diffusione seguendo un gradiente di concentrazione. Una volta che il composto è passato attraverso la membrana, viene prelevato da un gas carrier (azoto) che lo trasferisce in superficie dove viene analizzato attraverso i seguenti sensori: • un fotoionizzatore (PID) per misurare composti aromatici; • uno strumento di cattura degli elettroni (DELCD) per misurare i composti organoclorurati volatili. In aggiunta alla membrana ed al riscaldatore, il MIP è equipaggiato con un dipolo che misura la conducibilità elettrica (EC) del suolo e di qualsiasi fluido nel suolo in milliSiemens per metro (mS/m). Analizzando la variabilità delle proprietà elettriche dei vari livelli geologici, la registrazione della conducibilità elettrica può fornire una buona indicazione dei cambiamenti stratigrafici in molti ambienti (Schulmeister et al., 2003). Lo strumento è anche dotato di termocoppia, in grado di fornire in tempo reale la tem- gdiS 2014 numero unico peratura della sonda, e di misuratore della velocità di avanzamento della sonda direct push nel terreno che fornisce un’idea indicativa della densità del suolo attraversato. L’applicazione qui presentata ha previsto la mappatura dei COV, all’interno di uno stabilimento farmaceutico attivo, tramite l’esecuzione di 33 prospezioni del sottosuolo con il sistema MIP fino alla profondità di 6 metri; per ogni punto d’indagine è stato eseguito il rilevamento dei seguenti parametri in funzione dell’avanzamento della sonda: • Segnale rilevatori FID, PID e DELCD; • Conducibilità elettrica del suolo; • Velocità d’avanzamento della sonda; • Temperatura della sonda. Sulla scorta dei dati raccolti, sono stati elaborati dei profili relativi ai parametri sopra elencati in funzione della profondità. 2. RISULTATI OTTENUTI I punti di indagine MIP sono stati previsti in specifiche aree al fine di caratterizzare l’area potenzialmente contaminata. Per ciascuna verticale sono state raccolte le risposte dei sensori FID, PID, DELCD, conducibilità, oltre che velocità di avanzamento e temperatura; i dati sono stati analizzati attraverso software specifico. L’analisi dei dati ha permesso di ricostruire sia l’andamento stratigrafico che la distribuzione nel sottosuolo delle molecole contaminanti (nel caso specifico, solventi clorurati). In figura 1 viene riportato un esempio di carte tematiche che analizzano le risposte del rilevatore FID ogni 0,5 m. 33 Fig. 1. Il caso studio con alcuni esempi di risposta MIP Fig. 2. Sezione MIP con risposta del sensore FID 34 2014 numero unico gdiS Attraverso le carte tematiche è stato possibile suddividere la superficie dello stabilimento in due sottoaree caratterizzate da attività differenti. L’Area Operativa (AO) dello stabilimento, con concentrazioni maggiori dei contaminanti riscontrati, e l’Area con il sistema di Depurazione (AD) che presentava concentrazioni sensibilmente inferiori. Il sottosuolo di ciascun area è stato suddiviso in orizzonti di 50 cm di potenza, in modo da poter meglio valutare la risposta del rilevatore FID. La Figura 2 riporta un esempio di carte tematiche che presentano le risposte verticali del FID lungo alcuni transetti. Infine in Figura 3 viene riportata un esempio di vista tridimensionale, secondo diverse angolature, delle anomalie riscontrate dal rilevatore FID. Ogni superficie corrisponde alle zone con risposta con uguale valore di ÌV. Dall’analisi delle carte tematiche si è potuto risalire alla distribuzione reale delle sorgenti secondarie di contaminazione, informazione che si è rilevata fondamentale per la definizione del modello concettuale preliminare del sito, la progettazione delle successive indagini e per la successiva individuazione della miglior strategia di bonifica. 3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Fig. 3. Ricostruzione tridimensionale degli orizzonti di sottosuolo contaminati. Il sistema MIP si è dimostrata una tecnologia semplice ed efficace per la determinazione della natura dei contaminanti rilevati e della concentrazione nel sottosuolo secondo un approccio semi-quantitativo. Inoltre, il sistema si è rivelato utile anche per l’acquisizione di indicazioni sulla natura geologica dell’area, attraverso i valori di conducibilità e velocità d’avanzamento. A complemento delle attività si è proceduto con l’elaborazione dei dati acquisiti eseguendo interpolazioni orizzontali e verticali, al fine di ottenere una rappresentazione tridimensionale delle caratteristiche del sottosuolo. Tale elaborazione ha permesso di circoscrivere le aree del sottosuolo contaminate, di valutare la direzione di dispersione della contami- gdiS 2014 numero unico nazione, di definire un piano caratterizzazione dell’area, incluso campionamento di terreni ed acque sotterranee, già mirato alle aree interessate da contaminazione. L’utilizzo del MIP in aree di dimensioni ragguardevoli, quindi, è una valida tecnica per l’esecuzione di uno screening preliminare del sottosuolo (stato di contaminazione, stratigrafia superficiale, presenza di acque di falda) e l’acquisizione di dati utili a focalizzare, successivamente, l’esecuzione dei carotaggi a quelle aree di cui si conosce già lo stato di contaminazione e che quindi necessitano l’acquisizione di dati analitici qualitativi ai sensi della normativa vigente in tema di bonifica di siti contaminati (Testo Unico Ambiente, D.Lgs 152/06 e s.m.i.). 35 36 2014 numero unico gdiS L’IMPORTANZA DEL MODELLO GEOLOGICO E GEOSTRUTTURALE NEGLI STUDI GEOMECCANICI Orazio Barbagallo – Docente a contratto di Geologia Applicata corso AGRINA – Università di Messina – [email protected] This paper describes the methods used for a back analysis relating to a landslide on a limestone cliff in the town of Praia a Mare, Calabria. The study shows that the landslide occurred, despite an earlier consolidation of the slope, because the design was developed to prevent the fall of the indi-vidual blocks of rock while the landslide covered the whole slope. The failure of the project, in the opinion of the author, was due to a lack of preliminary studies to preparing the correct design choices. In particular the absence of a detailed and reliable geological and geostructural models of the rock mass, together with the failure to perform analyzes aimed at the recognition the possible breaking processes, in connection with the resistance values and the degrees of freedom of the cluster, have influenced the design choices that have demonstrate to be not consistent to the actual conditions of hazard of the rocky escarpment. ABSTRACT PREMESSA In data 21/01/2013 sulla scarpata rocciosa che delimita a monte un villaggio Turistico a Praia a Mare (CS), è avvenuto un ampio evento franoso che ha coinvolto alcune strutture ricettive presenti nella zona a valle. Su incarico della Società proprietaria del Villaggio è stato eseguito uno studio geologico e geostrutturale per la predisposizione ed il dimensionamento delle opere di consolidamento e di mitigazione del rischio dell’area in frana. A tale scopo sono state effettuate una serie di indagini, comprendenti dei rilievi in parete del grado di fratturazione della roccia, oltre ad alcune prove in sito e di laboratorio, atte alla caratterizzazione geomeccanica e geotecnica dell’ammasso roccioso. DESCRIZIONE DEI LUOGHI E DELL’EVENTO FRANOSO Il dissesto si è sviluppato su di una falesia dolomitico-calcarea subverticale, allungata in direzione NNE-SSW, ubicata nei pressi di Praia a Mare, lungo la costa nordoccidentale della Calabria, quasi al confine con la Lucania. Si tratta di una scarpata che rappresenta l’elemento di collegamento tra la pianura antistante la spiaggia e un ampio terrazzo costiero che raccor- gdiS 2014 numero unico Figura 1 - Danni alla discoteca del villaggio. da il litorale con i rilievi collinari che sorgono ad oriente. Quest’ultimi si distinguono per l’affioramento di corpi carbonatici su cui si riscontra l’esistenza di terrazzi di abrasione di origine marina di diverso ordine, frutto del generale fenomeno di sollevamento che ha interessato tutto il settore litorale calabro durante il quaternario. 37 pervasive che condizionano una differente risposta, sia in termini di resistenza meccanica che di stabilità globale dell’ammasso e dei singoli blocchi rocciosi. Sono state così individuate, in corrispondenza dell’area in frana, due differenti zone di omogeneità costituite da porzioni dell’ammasso sensibilmente diversificate in funzione dell’assetto strutturale e del grado di fratturazione della roccia, suddivise da un piano di taglio verticale ben visibile in affioramento, assimilabile ad una faglia diretta con assetto ENE-WSW. Zona di omogeneità A Figura 2 - Residence danneggiato dal crollo. La falesia che possiede un’altezza variabile tra i 30 e i 40 m con pendenze rivolte ad ovest, è solcata da numerosi talwegs che formano dei canaloni trasversali che interrompono la sua continuità e raccolgono le acque meteoriche provenienti dai rilievi collinari che sorgono ad oriente, convogliandole in direzione ovest verso la sottostante pianura alluvionale. Dal punto di vista geologico le rocce che formano la scarpata sono composte da dolomie a grana fine e da calcari ricristallizzati di colore grigio scuro di età Triassica. Si tratta di rocce disposte in livelli ben stratificati cui si associano fasce intensamente fratturate nelle quali l’ammasso è trasformato in una vera e propria breccia e la stratificazione non è più visibile. La frana è avvenuta in concomitanza ad un periodo di intense precipitazioni meteoriche che hanno interessato la fascia di terreni ove sorge l’abitato di Praia a Mare, in una zona caratterizzata da un’altezza della scarpata rocciosa 38 di 40 m circa con pendenze medie variabili da 75° a 85° e porzioni aggettanti. Il dissesto si è sviluppato su di un fronte di 20 m di lunghezza, per un’altezza di 20 m ed una profondità media di 5 m circa. In tutto sono stati mobilizzati circa 2.000 m3 di roccia che hanno coinvolto alcune infrastrutture presenti al piede del pendio arrecando notevoli danni al villaggio turistico (Cfr. Fg. 1 e 2). RICOSTRUZIONE DEL MODELLO GEOLOGICO Suddivisione dell’area in zone di omogeneità Il primo passo nella ricostruzione del modello geologico dell’area in studio è stato quello di suddividere la fascia di terreni sotto osservazione in zone di omogeneità, cioè in aree differenziate sia in relazione all’assetto del versante di affioramento che alla loro complessità strutturale, dovuta alla presenza di un reticolo di discontinuità assai Comprende la porzione settentrionale della nicchia di distacco della frana. In quest’area l’ammasso roccioso è composto da straterelli calcarei in assetto monoclinalico, diretti mediamente a SSW con pendenza di 30° circa, fittamente fratturati. Oltre alla stratificazione (ST) si riscontrano superfici di discontinuità a persistenza da media ad elevata con assetto quasi ortogonale al pendio (KK1) e fratture parallele al pendio con superfici di separazione a persistenza elevata (KK2). Quest’ultima famiglia permette lo svincolo a tergo del fronte di affioramento dei blocchi rocciosi. Zona di Omogeneità B Racchiude la porzione meridionale della nicchia di distacco della frana, in quest’area l’ammasso roccioso mostra un grado di fratturazione più elevato ed è composto prevalentemente da brecce ed in minor misura da straterelli dolomitici fittamente fratturati. Si tratta di una porzione dell’ammasso costituita prevalentemente da clasti rocciosi competenti immersi in una matrice di fondo a tessitura fine, caratterizzata da 2014 numero unico gdiS Figura 3 - Suddivisione dell’ammasso in zone di omogeneità. una resistenza meccanica decisamente più scadente. Tali formazioni, che rappresentano una delle maggiori sfide della geoingegneria, non sono classificabili né come ammassi rocciosi né come veri e propri terreni, pertanto la loro caratterizzazione meccanica richiede un’attenta valutazione di tutti i caratteri che concorrono alla resistenza globale. Per identificarle univocamente da un punto di vista ingegneristico, nel 1994 Medley ha introdotto il termine di bimrock (block-in-matrix rock). Misure SCN1 Plunge Trend Scanline ° B1-2 scn 1 -1 B1-2- scn 1-2 TOTALE superf. Intercettate 0 190 Lunghezza (cm) 562 492 1054 61 Figura 4 gdiS Nella zona di omogeneità B l’assetto delle superfici di stratificazione, ove visibili, appare ruotato in direzione Sud ed assume una pendenza di 15° circa. Anche in quest’area, oltre alla stratificazione, si riscontrano superfici di frattura a persistenza da media ad elevata con assetto quasi ortogonale al pendio (KK1) e fratture parallele al pendio, con superfici di separazione a persistenza da media ad elevata, che permettono lo svincolo a tergo del fronte roccioso (KK2). Tab. 1 – rilievi eseguiti Misure SCN2 Plunge 85 Trend 280 Scanline ° Lunghezza (cm) B1-2 scn 2 -1 630 B1-2- scn 2-2 524 TOTALE 1154 superf. Intercettate 70 INDAGINI IN PARETE Risultati Rilievo strutturale Per la determinazione delle caratteristiche strutturali dell’ammasso nella basi di misura 1-2 e 3 sono stati eseguiti dei rilievi dei poli lungo scanlines sia orizzontali che verticali. I risultati complessivi sono di seguito riportati. I dati ottenuti nelle 3 basi di misura, sono stati raggruppati insieme per avere una visione complessiva della fratturazione dell’ammasso roccioso. Misure SCN3 Plunge 0 Trend 40 Scanline ° Lunghezza (cm) B3 scn 3 -1 300 B3 scn 3-2 429 TOTALE 729 superf. Intercettate 40 Figura 5 2014 numero unico 39 Grado di fratturazione La distribuzione media delle spaziature è risultata pari a 17,23 centimetri, con frequenza (f %) dei valori di spaziatura x rappresentata dalla seguente legge di distribuzione di tipo esponenziale negativo: f(x) = 5,8 e–5,8x. Le misure effettuate hanno fornito, per un livello di confidenza del 95% un errore accettabile pari al 15%. Spaziature delle discontinuità I valori medi delle spaziature, ricavati assimilando i dati a distribuzioni con andamento log-normale attorno ai valori medi, sono riportati nella tabella 2. Set KK1 KK2 STR Figura 6 Tab. 2 – Valori della spaziatura reale complessivi Assetto medio Spaz. Media (cm) Dev. Standard (σ) 61/030 35,1 8,05 81/270 23,8 7,6 30/191 21,2 10,3 Figura 7 - Distribuzione spaziature SCN1. Tipi di blocchi forma e volume In base ai risultati conseguiti, l’ammasso roccioso calcareo-dolomitico, risulta interessato da 3 set di discontinuità (due famiglie di giunti più la stratificazione), con un numero medio di fratture per metro λ) pari a 5,8. Le superfici di dis(λ continuità isolano parallelepipedi di volume variabile ma in genere piuttosto basso ed inferiore al m3. Le intersezioni tra le varie famiglie di discontinuità determinano volumi rocciosi unitari tipo “Prismatic blocks” secondo la classificazione di Dearman (1991). 40 Figura 8 - Forma dei blocchi rocciosi. 2014 numero unico gdiS Palmstrom nel 1995, in considerazione dell’irregolarità della fratturazione nelle rocce, ha fornito un tipo di classificazione della forma dei blocchi con una suddivisione in 4 principali categorie. Figura 9 I differenti tipi di blocchi dipendono prevalentemente dalle differenze nelle spaziature dei set di giunti. La forma dei blocchi viene valutata attraverso il fattore β che si ricava dal seguente diagramma: RISULTATI DELLE ANALISI DI LABORATORIO Nel corso dei sopralluoghi realizzati nell’area d’interesse sono stati raccolti una serie di campioni in seguito sottoposti a prove di laboratorio. Prima di descrivere i risultati ottenuti è necessario sottolineare che nel corso dei rilievi dell’ammasso roccioso si è potuto osservare che tra gli interstrati della famiglia ST (Stratificazione) erano a volte presenti livelletti limo-argillosi di spessore variabile tra 0,5 ed 1 cm. Tenuto conto dell’importanza della presenza degli strati limo-argillosi nei valori di resistenza del Set ST, si è ritenuto opportuno campionare tale materiale, per sottoporlo a prove ed analisi di laboratorio. Oltre al suddetto campione limo-argilloso sono stati raccolti 6 campioni di materiale roccioso proveniente dall’ammasso in studio, anch’essi sottoposti a prove di laboratorio. I campioni sono stati consegnati ad un laboratorio autorizzato sia per le terre che per le rocce e i risultati ottenuti dalle analisi sono di seguito riportati. Figura 10 - Diagramma fattore di forma. Il fattore β considerando un valore di α3=1,66 e α2=1,12 è pari a 30. La forma dei blocchi di conseguenza è del tipo “Compact block”. La valutazione del volume roccioso unitario è stata effettuata secondo quanto proposto da Jaboyedoff et Al. (1996) e corrisponde al volume del parallelepipedo, dato dal prodotto tra le spaziature medie dei set di discontinuità, diviso per il prodotto vettoriale dei versori perpendicolari ai 3 piani. Si ottiene in tal modo un volume roccioso unitario di 0,02 m3. Figura 11 - Livelletto limo-argilloso. Analisi sul campione limo-argilloso Tabella 3 – Caratteristiche fisiche e di consistenza (interstrato limo-argilloso) W (%) γ (KN/m3) γ s (KN/m3) e n Sr (%) 19,96 19,71 27,24 0,65 0,4 83,7 Wl (%) Lp Ip Grado plasticità Ic Stato consistenza 26,5 20 6 Poco plastico 1,6 solida gdiS 2014 numero unico 41 Tabella 4 – Prova di taglio diretto (intestrato limo-argilloso) Taglio Diretto C’(kPa) ϕ’ 0 23 Tabella 5 – Peso di volume dei materiali Tipo di determinazione Valori medi Deviazione standard Peso di volume (kN/mc) 25,9 0,69 Resistenza UCS da prove Point Load 54,9 19,39 Analisi Tilt test superficie naturale (°) 38,1 3,57 Analisi Tilt test superficie artificiale (°) 32,8 3,91 MISURE SCLEROMETRICHE IN SITO Per definire le caratteristiche di resistenza della matrice rocciosa, sono state realizzate delle misure di rimbalzo in sito, adoperando uno sclerometro da roccia, che sono state assimilate ai risultati di prove UCS. Le misu- re sono state eseguite sia su pareti alterate che su pareti integre previo trattamento di ripulitura. I risultati ottenuti indicano un valore UCS medio di 37,82 (MPa) per le pareti alterate e 56,9 (MPa) per le pareti integre. CLASSIFICAZIONE DELL’AMMASSO La classificazione dell’ammasso è stata effettuata secondo i metodi proposti da Barton (Q System), Bieniawsky (indice RMR), oltre i suddetti indici è stato anche calcolato lo Slope Mass Rating (SMR), adatto alla classificazione di pendii rocciosi, che deri- va dal metodo di Bieniawsky con le correzioni apportate da Romana nel 1985. Le classificazioni sono state effettuate per le 2 zone di omogeneità dell’ammasso. I risultati ottenuti sono stati riportati nelle tabelle 6, 7 e 8. Tab. 6 – Indice Q e caratteristiche ammasso roccioso Zona A Zona B Indice Q 0,2433 0,055 Classe ammasso roccioso VII VIII Descrizione Molto scadente Estremamente scadente RMR base RMR corretto Classe Descrizione Tab. 7 – Classificazione dell’ammasso Zona A Zona B 40,89 26,80 33,89 19,80 IV V Scadente Molto scadente Tab. 8 – Classificazione ammasso, grado di stabilità e tipo di cinematismo Zona A Zona B SMR 38,39 24,30 Classe IV IV Descrizione Scadente Scadente Stabilità Instabile Instabile Modo di rottura Lungo piani o su grandi cunei Lungo piani o su grandi cunei Stabilizzazione Estesa Estesa 42 2014 numero unico gdiS VALUTAZIONE DEI PARAMETRI DI RESISTENZA Resistenza dei giunti Per la determinazione delle caratteristiche di resistenza d’attrito lungo le superfici di separazione dell’ammasso è stata applicata l’equazione generalizzata proposta da Barton, (1976): τ = σn tan(ϕres + i) dove: i= incremento della resistenza d’attrito dovuto alle indentazioni dei giunti di scorrimento; ϕres = angolo di attrito residuo del piano di scorrimento; (ϕres + i) = ϕeq angolo d’attrito equivalente (o di picco); σn = tensione normale al piano di scorrimento. I valori raggiunti sono riportati nelle figure da 12 a 13: Figura 12 Figura 13 Resistenza dell’ammasso roccioso Per la valutazione dei parametri di resistenza dell’ammasso è stato applicato il metodo di Hoek e Brown secondo le modificazioni proposte da Hoek nel 2002. I risultati ottenuti relativi agli ammassi delle zone A e B sono riportati nelle figure 14 e 15. Figura 14 - Resistenza al taglio ammasso A. gdiS 2014 numero unico Figura 15 - Resistenza al taglio ammasso B. 43 PARAMETRI GEOTECNICI Dove: I parametri geotecnici di seguito forniti si riferiscono ai valori medi, a quelli caratteristici ed a quelli di progetto. I valori caratteristici dei parametri sono stati ricavati dai valori medi di base applicando la seguente correlazione: Xk = valore caratteristico calcolato; X k = x ± z0 , 05 x̄ = valore medio parametro; z = variabile normale standard; σ = deviazione standard; n = numerosità campione. ⎛σ ⎞ i⎜ ⎟ ⎝ n⎠ I parametri ottenuti sono riportati nella tabella 9. Tabella 9 - Caratteristiche geotecniche ammasso roccioso Ammasso roccioso calcareo-dolomitico fratturato, con incluse brecce calcaree a cementazione variabile CARATTERISTICHE FISICHE peso di volume medio: 25,9 (kN/m3); peso di volume caratteristico: 23 (kN/m3) CARATTERISTICHE AMMASSO ROCCIOSO Descrizione: Q Barton zona A RMR Bieniawsky zona A Q Barton zona B RMRBieniawsky zona B 0,24 – Classe VII 33,89 – Classe IV 0,055 – Classe VIII 19,8 – Classe V Classificazione VALORI DI RESISTENZA UCS Point Load Corr. NTC 2008 Scler. Pareti Corr. NTC Scler. Pareti integre 2008 alterate 54,85 34,28 56,09 35,06 37,82 PARAMETRI DI TAGLIO LUNGO I GIUNTI Valori Valori Coefficiente medi Caratteristici parziale Interstrati limo argillosi coesione: 0 0 angolo di resistenza al taglio (gradi): 23° 19,5° M=1,25 Set KK1 e KK2 coesione: 0 0 angolo di resistenza al taglio (gradi): 38°; 33,1° M2 = 1,25 PARAMETRI DI TAGLIO AMMASSO ROCCIOSO Valori Valori Coefficiente Zona A medi Caratteristici Progetto coesione: 260 (KPa) 131,7 (kPa); M2 = 1,25 angolo di resistenza al taglio (gradi): 39,8 34,80°; M2 = 1,25 modulo di deformazione: 548,06 (MPa) 187,44 MPa) PARAMETRI DI TAGLIO AMMASSO ROCCIOSO Valori Valori Coefficiente Zona B medi Caratteristici Progetto coesione: 120 (kPa) 60,8 (kPa) M2 = 1,25 angolo di resistenza al taglio (gradi): 31,9° 27,5° M2 = 1,25 modulo di deformazione: 437,4 (MPa) 149,6 (MPa) Corr. NTC 2008 23,64 Valori Progetto 0 15,8° 0 27,6°; Valori 105,4 (kPa); 29,1; Valori 48,6 (kPa) 22,6° ANALISI CINEMATICA Le indagini fin qui condotte ci hanno permesso di stabilire che l’area sotto osservazione risulta formata da un ammasso roccioso interessato dalla presenza di fratture assai pervasive, di dimensioni elevate, che sud44 dividono la roccia in blocchi disarticolati, di volume medio-basso e forma tetraedrica, cui s’intercalano porzioni brecciate a cementazione variabile poste in condizioni di equilibrio precario. 2014 numero unico gdiS Pur in considerazione del fatto che il dissesto avvenuto nell’area ove sorge il villaggio ha interessato non singoli massi bensì “globalmente” l’intero fronte roccioso, per l’individuazione delle cause che lo hanno generato non si può prescindere dall’analisi cinematica dei possibili movimenti delle porzioni rocciose, facendo riferimento ai gradi di libertà disponibili ed ai valori di resistenza lungo le direzioni di scivolamento delle superfici coinvolte nel meccanismo di dissesto. Meccanismi cinematici verificati L’analisi cinematica consente di valutare, in funzione dell’assetto dei giunti e delle superfici libere (rappresentate nella fattispecie dalla scarpata naturale), le possibilità di innesco di determinati tipi di scoscendimenti in roccia. Le diverse analisi sono state eseguite con i metodi proposti da Markland (1972), Hocking (1976) Hudson (1997) e Goodman (1980). Esse comprendono: Figura 16 • analisi di scivolamento lungo un piano; • analisi di scivolamento lungo cunei o intersezioni tra piani; • analisi di ribaltamento per “Flexural Toppling”; • analisi di ribaltamento diretto (Direct Toppling). Analisi di scivolamento bidimensionale La prima verifica eseguita valuta le possibilità di scoscendimenti di masse rocciose lungo piani di separazione e si basa sull’esistenza di direzioni spaziali che permettano tali movimenti. I risultati ottenuti sono di seguito riportati. L’area segnata in rosa delimitata dal “Daylight Envelope” e dalle linee di limite laterale rappresenta la zona critica di scivolamento lungo piani. In essa si osserva la bassissima probabilità di instabilizzazioni per scivolamento planare che coinvolge solamente 2 poli su 171 (1,17% rispetto al totale). (Fig. 16) Analisi di scivolamento tridimensionale L’analisi di scivolamento tridimensionale valuta le possibilità di scoscendimento lungo direzioni di intersezione tra piani esistenti. In essa sono segnate in rosa la zona critica principale ed in giallo quelle secondarie. Nelle zone critiche secondarie sono rappresentate le aree comprese tra il piano del pendio, il piano con inclinazione pari a quella dell’angolo di frizione e il cerchio che rap- gdiS 2014 numero unico Figura 17 - Le zone di contour si riferiscono alle intersezioni tra giunti. presenta l’angolo di resistenza al taglio. Le intersezioni critiche che rientrano in queste due zone rappresentano sempre cinematismi che scorrono lungo la direzione di intersezione tra giunti, esse però sono meno inclinate rispetto all’angolo di resistenza al taglio, ma gli scorrimenti possono ancora avvenire su di un singolo piano se questo ha la pendenza superiore all’angolo di resistenza al taglio. I risultati ottenuti evidenziano una probabilità di scivolamento non elevata lungo le intersezioni tra le KK1 e le ST della zona critica principale, pari a 1237 intersezioni su 14528, ovvero l’8,51% del totale. Analisi ribaltamento per “Flexural Toppling” Il fenomeno del Flexural toppling è dovuto ad un ribaltamento in avanti di porzioni rocciose che presentano una serie di fratture parallele al piano del pendio. 45 quenza nel pendio sotto osservazione, essi infatti coinvolgono l’8,1% delle intersezioni tra piani ed il 28,07% dei piani di base. Analisi del dissesto del 21/01/2013 Figura 18 Come già detto, il 21/01/2013 nella parete calcarea che delimita a monte l’area in studio, a seguito di un periodo intensamente piovoso, si è sviluppato un fenomeno franoso di notevoli dimensioni che ha interessato alcune infrastrutture del centro turistico. Per determinare le cause che hanno provocato il dissesto dobbiamo partire dai tipi di cinematismi potenziali e dall’assetto complessivo del versante antecedente l’evento franoso. Per fare ciò abbiamo anche utilizzato una foto realizzata, nel mese di luglio del 2009, prima che si verificasse la frana, riportata nella figura 20. La foto è stata scattata immediatamente dopo un intervento di consolidamento dell’ammasso, realizzato attraverso la messa in opera di rete ad alta resistenza e chiodatura sistematica della parete con barre a filettatura continua da 3 m e da 6 e 9 m. Come si può vedere la scarpata in questione si trovava già in condizioni di assetto morfologico precario in seguito alla presenza del grosso masso aggettante, composto da brecce calcaree, già separato a tergo da una tension Crack assimilabile ad una frattura del Set 3 (KK2). Se confrontiamo la foto antecedente l’evento franoso con quella effettuata sulla Figura 19 L’area critica è quella delimitata dallo “slip limit” e le linee di limite laterale. L’analisi effettuata evidenzia, anche in questo caso, le bassissime probabilità d’innesco di questo meccanismo d’instabilizzazione. Esso infatti interessa solo una percentuale di 2 giunti su 171 (1,17%) (Fig. 18) Analisi ribaltamento per “Direct Toppling” Il fenomeno del “Direct Toppling” si verifica quando il centro di gravità di un blocco ricade al di fuori della base del blocco. Ciò genera lo sviluppo di un momento ribaltante critico del blocco che scoscende verso il basso. Il diagramma riportato suddivide le direzioni spaziali delle intersezioni fra piani in zone critiche numerate da 1 a 3 in relazione al meccanismo di instabilizzaione (Fig. 19). I risultati ottenuti evidenziano che i fenomeni di Direct Toppling sono quelli che si presentano con maggior fre46 Figura 20 - Visione d’insieme dell’area precedente all’evento franoso. 2014 numero unico gdiS Figura 22 Figura 21 - Area in frana si noti la differente forma della nicchia di distacco nelle due zone di omogeneità. nicchia di distacco formatasi a seguito del dissesto, possiamo osservare che: • il grosso blocco aggettante composto dalle brecce è franato completamente provocando un notevole arretramento del versante; • la zona ove era presente il blocco è delimitata a nord da una faglia che taglia quasi ortogonalmente il pendio, che ha favorito il detensionamento ed il crollo dell’ammasso in corrispondenza della zona B; • nella zona di omogeneità A la nicchia di distacco si è ampliata verso nord con una forma trapezoidale (fig. 21); • la base della nicchia di distacco della zona A è parallela alla stratificazione dell’ammasso. VERIFICA DI STABILITÀ Per definire le modificazioni subite dalla parete rocciosa abbiamo ricostruito lungo una sezione trasversale significativa che taglia la zona B, le condizioni del pendio antecedenti e successive all’evento franoso. Allo scopo ci siamo avvalsi delle planimetrie in nostro possesso e dei rilievi topografici forniti dalla Committenza. I risultati ottenuti sono stati riportati nelle figure 22 (stato precedente all’evento franoso) e 23 (stato successivo all’evento franoso). Il confronto tra le condizioni pre e post-frana, evidenziano un arretramento della parete calcarea di 6 m gdiS 2014 numero unico Figura 23 circa, con formazione di una nicchia di distacco rettilinea e parallela al set KK2 a dimostrazione del fatto che queste superfici di separazione hanno agito come delle “Fratture da Trazione”. Metodo Monte Carlo Per lo studio della stabilità della parete rocciosa, abbiamo preferito eseguire un’analisi di tipo probabilistico onde evitare che le inevitabili incertezze del modello sottoposto a verifica, potessero riflettersi sui risultati ottenuti. Allo scopo abbiamo introdotto nei calcoli tecniche di tipo stocastico, valutando non più il fattore di sicurezza di un determinato cinematismo bensì la probabilità che potesse avvenire una rottura. Nella fattispecie è stata adottata la tecnica di simulazione Monte Carlo. 47 Verifiche effettuate La verifica è stata realizzata determinando per tentativi, su di una griglia di analisi, il cerchio di sicurezza minimo, eseguendo poi su quest’ultimo 2000 iterazioni scegliendo in modo casuale i parametri all’interno dell’intervallo compreso tra il valore minimo e quello massimo. Per tenere conto della presenza delle fratture da trazione si è imposto, nel caso di curvature inverse del cerchio di tentativo, di inserire le “Tension Crack”. Nell’applicazione del metodo Monte Carlo per la valutazione della stabilità del pendio, si è fatto riferimento ai valori di resistenza ottenuti per la zona B, considerando ogni parametro come una variabile, ognuna rappresentata da una distribuzione di tipo normale, raggruppata intorno ad un valore medio secondo una certa deviazione standard. I valori delle variabili applicati nei calcoli sono i seguenti: Figura 24 - Verifica stabilità globale del pendio. Figura 25 Materiale Ammasso calcareo Ammasso calcareo Ammasso calcareo Tab. 10 – Parametri statistici utilizzati nei calcoli di stabilità Proprietà Distribuzione Media Dev. Std. Min Rel. coesione Normale 120 36 84 Angolo di taglio Normale 31,9 3,19 28,7 Peso di volume Normale 25,9 1,78 24,1 Nella scelta casuale dei parametri la coesione e l’angolo di resistenza al taglio sono state trattate come variabili aleatorie, applicando un coefficiente di correlazione pari a -0,5 (Harr 1996). Le analisi, tenuto conto che lo studio è stato effettuato con lo scopo di accertare le condizioni che hanno provoca48 Max Rel. 156 35,1 27,7 to l’instabilizzazione del versante, sono state eseguite in assenza di spinte sismiche. È stato invece valutato il contributo dovuto alla falda idrica ed alla sua escursione, considerando quest’ultima, in relazione all’indeterminatezza del livello di falda al momento della frana, come una variabile indipendente con dis2014 numero unico gdiS tribuzione normale oscillante tra un valore minimo ed un valore massimo da noi calcolati in base a evidenze di campagna (tracce del passaggio o di venute d’acqua). Il contributo delle Tension Cracks è stato anch’esso applicato in modo probabilistico valutando una profondità teorica massima delle fratture da trazione a partire dal ciglio della scarpata attraverso la formula x= 2 c ' 1 + sen ϕ ' i 1 – sen ϕ ' γ Le Tension Crack sono state poi raccordate ai cerchi di scivolamento una volta che questi intersecavano l’area di possibile formazione di sforzi da trazione. Figura 27 - Analisi cinematica ottenuta ruotando il versante di 90°. Cause dell’evento franoso Considerazioni sui risultati ottenuti I risultati ottenuti dai calcoli di stabilità evidenziano l’alta propensione al franamento del versante in esame, l’analisi deterministica fornisce un valore di Fs pari a 0,946, il parametro medio ottenuto (su 2000 verifiche) è pari a 0,944 con una probabilità di franamento del 69%. I parametri di resistenza in condizioni di equilibrio limite sono dati da c = 124 kPa e ϕ = 31,76°. Un altro dato interessante è dato dal rapporto tra il coefficiente di sicurezza e l’altezza della falda in condizioni di equilibrio limite riportato nella figura 26. Il dato ottenuto indica il raggiungimento dell’equilibrio limite per valori dell’escursione tra il livello minimo e massimo della falda pari al 40% (inferiore al valore medio dell’escursione di falda). Figura 26 gdiS 2014 numero unico In relazione alle analisi fin qui effettuate per l’evento franoso possiamo distinguere gli elementi predisponenti il dissesto, dati dal detensionamento complessivo dell’ammasso dovuto al suo grado di fratturazione con conseguente basso valore dei parametri di resistenza al taglio, dall’elemento determinante da ricercare nell’innalzamento del livello di falda, così come suggerisce il legame temporale tra le precipitazioni ed il crollo. A nostro avviso l’aumento delle spinte idrauliche ha per primo provocato l’improvviso crollo della zona di omogeneità contrassegnata con la lettera B, caratterizzata dalla presenza di brecce a caratteristiche geomeccaniche scadenti, secondo lo schema esposto nell’analisi di stabilità prima riportata (ipotesi suffragata dal fatto che i blocchi composti dalle brecce si rinvengono prevalentemente nella porzione frontale e basale della frana, ad indicare una sorta di gerarchia nel franamento). In seguito, nel settore A, in relazione all’arretramento del versante conseguente al crollo, venendo a mancare il contenimento laterale, si è creata una parete libera ortogonale al pendio che ha fornito i gradi di libertà sufficienti all’innesco di un fenomeno di scivolamento lungo il Set ST (Stratificazione), favorito dalla presenza degli interstrati limoargillosi a bassa resistenza. L’analisi cinematica esposta in figura 27 evidenzia che la rotazione del versante, causata dal suo arretramento conseguente al crollo del settore B, fa rientrare nella zona di scivolamento critico il Set ST composto dalla Stratificazione. Infatti l’esistenza del piano di svincolo laterale di neoformazione, fa fortemente innalzare le possibilità di fenomeni di scivolamento 49 lungo piani, che così interessano 78 poli su 171 (il 45,61%) e il 93,9 % della famiglia ST. Lo scivolamento lungo i piani del Set ST, ha anche coinvolto le fratture KK1 e KK2 dando luogo ad una superficie di taglio scalinata. Tale ipotesi consente anche di spiegare la particolare forma della nicchia di distacco nella zona A ed i fenomeni di scivolamento bidimensionale chiaramente visibili in questo settore. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Le analisi fin qui condotte ci hanno permesso di definire le cause che hanno determinato il crollo della parete calcarea e l’insufficiente stabilità globale del pendio, nonostante il versante fosse stato oggetto di un intervento di rafforzamento corticale attraverso la messa in opera di reti ad alta resistenza e la chiodatura sistematica della scarpata, che però non è servito ad impedirne il crollo. L’insuccesso dell’opera è senz’altro legato al fatto che l’intervento di consolidamento del versante è stato progettato fondamentalmente per impedire la caduta di singoli blocchi rocciosi, anche di grande volume; il problema è che il dissesto si è sviluppato attraverso un crollo di massa generalizzato del versante. Premettendo che spesso la distinzione tra i meccanismi che possono dare origine alla caduta di un singolo masso oppure di sciami di massi o di crolli di massa dell’intera parete, non è assolutamente semplice, si vuole qui far rilevare come la ricostruzione di un dettagliato modello geologico, unitamente ad un attento rilievo strutturale dell’ammasso, sarebbe stato di grande ausilio nell’indirizzare le scelte progettuali verso più opportune opere di consolidamento dell’intera parete rocciosa e non di solo contenimento dei singoli massi. Ciò per una serie di motivi che passeremo di seguito ad analizzare. È indubbio che il rilevamento geologico dell’area avrebbe dovuto evidenziare la presenza della faglia che taglia ortogonalmente la falesia. La struttura tettonica ha infatti condizionato la formazione di terreni brecciati (Bimrock) che hanno provocato il complessivo detensionamento dell’ammasso. Ciò ha influenzato sia la direzione di deflusso delle acque d’infiltrazione che il decadimento dei parametri di resistenza. A tale proposito Wakabayashi & Medley (2004) sottolineano che il riconoscimento e la delimitazione di una bimrock avviene solamente sul terreno attraverso un attento rilievo geologico. 50 Un altro aspetto riguarda la presenza delle “Tension Cracks” che seppure poste in un’area di non facile accesso avrebbero potuto indicare, se rilevate, le condizioni di “sofferenza” della falesia in quella zona in quanto soggetta a sforzi di trazione. La mancata individuazione della presenza degli interstrati limo-argillosi che, sebbene sottili e a volte nascosti negli affioramenti, hanno giocato un ruolo importante nell’evoluzione dell’evento franoso, è stato un altro fattore che ha concorso all’insuccesso dell’intervento di mitigazione del rischio. In tutta la scarpata rocciosa inoltre si osservavano effetti ossidativi delle rocce dovuti alla presenza di piccole emergenze idriche attive solamente nei periodi susseguenti agli eventi piovosi. Non si può inoltre non sottolineare come la carenza di una corretta ricostruzione dell’assetto geostrutturale dell’ammasso, attraverso un attento rilievo delle superfici di separazione e la definizione del loro assetto spaziale, non ha aiutato nella scelta delle opere più opportune per la stabilizzazione della falesia. Come abbiamo già detto l’analisi cinematica dei possibili movimenti avrebbe potuto dimostrare la bassa possibilità di caduta di blocchi isolati, infatti tutte le verifiche effettuate manifestavano una scarsa probabilità di instabilizzazioni di singoli massi, sia per scivolamento su superfici piane o lungo intersezioni tra piani, che per “Flexural Topling”. L’unico cinematismo che mostrava una maggiore possibilità di innesco era dato dal “Direct Topling”. L’analisi degli eventuali cinematismi, se realizzata sulla scorta di un rilievo strutturale capace di individuare in modo compiuto il “Fabric” delle discontinuità presenti nella roccia, rappresenta un’indispensabile elemento di valutazione dei potenziali meccanismi di dissesto che possono insorgere in un ammasso roccioso e un importantissimo mezzo propedeutico alla progettazione degli interventi di mitigazione del rischio di crollo e di grande ausilio negli studi di “Back Analysis” dei movimenti franosi in roccia. Essa rappresenta un primo approccio per lo studio delle instabilizzazioni in roccia e dovrebbe sempre precedere i calcoli numerici, poiché fornisce i meccanismi di instabilizzazione ed i modelli di base per la successiva verifica numerica. Purtroppo sia a causa dei budget economici sempre più scarsi a supporto delle fasi di progettazione delle opere ingegneristiche, in particolare per gli studi geologici, che per la mancanza di specialisti capaci di sviluppare compiutamente tali studi, le fasi del rilievo geologico e geostrutturale degli ammassi roc2014 numero unico gdiS ciosi vengono frequentemente ristrette ad una generica descrizione della formazione rocciosa ed al semplice rilievo dei blocchi già separati, senza eseguire una seria valutazione di tutti i potenziali cinematismi in relazione all’assetto complessivo degli ammassi rocciosi e dei loro meccanismi di innesto. Ciò evidentemente limita le fasi di studio propedeutiche al corretto dimensionamento delle opere ingegneristiche, indirizzando le scelte progettuali verso soluzioni che non sempre mostrano di essere quelle più corrette, specialmente quando ci si trova di fronte ad ammassi rocciosi complessi. A tale scopo è, a nostro avviso, importante che prenda sempre più piede l’utilizzo della figura del geologo capace di rilevare in parete gli affioramenti rocciosi onde procedere alla loro corretta modellazione geologica e geostrutturale, per orientare gli ingegneri nella scelta delle strutture più consone per le differenti problematiche che si presentano negli interventi di mitigazione del rischio di crollo in roccia. BIBLIOGRAFIA BARBAGALLO O. (1997) - Valutazioni statistiche per la caratterizzazione strutturale di un ammasso roccioso - Boll. Ord. Reg. Geologi di Sicilia n 2. BARBAGALLO O. (2000) - Il metodo di Hoek & Brown per la determinazione della resistenza al taglio di un ammasso roccioso - Boll. Ord. Reg. Geologi di Sicilia n 2. BARBERO M. E BORRI BRUNETTO M. - Esercitazioni di meccanica delle rocce - Politeko, Torino. BARLA G. E BARLA M. 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Feldsbau, J. of Engineering Geology, Geomechanics and Tunnelling. 19 (5/2004). 51 NUOVI METODI DI TELERILEVAMENTO DA MEZZO AEREO A CONTROLLO REMOTO APPLICATI ALLA GEOLOGIA TECNICA Rilievo, studio morfometrico e modellazione 3D georenferenziata di una parete rocciosa Giuseppe Lisi – Geologo libero professionista, [email protected] Questo studio vuole presentare le potenzialità introdotte dall’ideazione di un nuovo metodo di esecuzione di diversi tipi di rilievi geologici, basati sull’utilizzo non convenzionale di un mezzo aereo a controllo remoto che è stato costruito dall’autore e, per mezzo di strumentazioni elettroniche realizzate dallo stesso, adattato al telerilevamento per la modellazione 3D e la cartografia numerica. Sulla base di questi strumenti è stato effettuato il rilievo di una parete rocciosa inaccessibile senza la necessità di ricorrere a squadre di rocciatori o a un elicottero tradizionale, rendendo in questo modo la realizzazione dei modelli digitali d’elevazione (DEM), estremamente rapida, precisa. Nella seconda parte di questo studio verranno presentati i risultati dell’applicazione del metodo al rilievo di un’area in frana e mostreremo come, dalla fotointerpretazione dei modelli e dalle ortofoto estremamente dettagliate ottenute, sia possibile ricavare velocemente, a costi inferiori rispetto ai metodi tradizionali e con una bassissima percentuale d’errore, rispetto ai classici rilievi di superficie, la realizzazione di accurate carte geomorfologiche del dissesto, o altra cartografia tematica. R I A S S U N TO This study aims to present the potential introduced by the creation of a new method for performing different types of geological surveys, based on the unusual application of a remote controlled airplane that was built by the author and, by means of electronic instruments made by the same, adapted to remote sensing for 3D modeling and digital mapping. On the basis of these tools has been carried out the detection of an inaccessible cliff without the need to resort to teams of climbers or a conventional helicopter, making this way the realization of digital elevation models. In the second part of this study will present the results of applying the method to the relief of the landslide area and show how, by photo-interpretation of the models and orthophotos extremely detailed obtained, it is possible to achieve quickly, at a lower cost than traditional methods and with a very low error rate, compared to the classic surface reliefs, the realization of accurate geomorphological map of instability, or different types of thematic maps. ABSTRACT INTRODUZIONE La redazione di questo studio deriva da un lavoro sperimentale condotto in campagna nel periodo autunno-inverno 2012- 2013. Alla fine di questo periodo di sperimentazione e verifica dei risultati ottenuti durante la fase di test, in data 18 febbraio 2013 è stato eseguito un rilievo con un nuovo metodo basato sull’utilizzo di un drone UAV (unmanned aerial vehicle) telecontrollato. Il rilievo è stato effettuato per essere utilizzato nelle verifiche di stabilità, che qui per brevità non verranno trattate, ed è stato condotto senza l’impiego di elicotteri o squadre di rocciatori, al fine di valutare gli aspetti geologici e strutturali che caratterizzano una parete rocciosa subverticale ricadente nel comune di Palermo, nonché per la compilazione dei modelli digitali di elevazione (DEM), dei modelli digitali del terreno (DTM), dei modelli 3D fotorealistici e dei filmati e delle foto esplorative della parete che vengono qui presentati. a pochi m dal viale Regina Margherita di Savoia, al confine con l’area urbana. Essa è indicata nel P.A.I. Bacino Oreto, Carta dei dissesti n.05 – Comune di Palermo, come a rischio crollo attivo, in una zona popolata, dove insistono alcune villette risalenti al periodo liberty. Inoltre la zona della falda di detrito sottostante la parete è attraversata da sentieri pedonali per escursionisti, che la attraversano continuamente. INQUADRAMENTO L’area in questione è situata in C.da Valdesi, nei pressi di Mondello, alle coordinate UTM/ WGS84: N 4228027.09 - E 354154.09 (punto centrale del rilievo), 52 Fig. 1 – Inquadramento dell’area. 2014 numero unico gdiS Fig. 2 - Panoramica della parete ripresa durante il volo esplorativo. CARATTERISTICHE DELL’AREA Geomorfologia La parete rocciosa investigata consiste in una falesia subverticale con un’inclinazione media di circa 85°, si estende per oltre 200 m in orizzontale e si eleva fino a una quota di 135m s.l.m. e assoluta, rispetto alla base, di circa 90 m, per una superficie complessiva di circa due ettari. La superficie topografica in esame presenta alla base una tipica falda di accumulo di detrito, fortemente acclive che si presenta inclinata, in direzione ovest, con una pendenza media di circa 35 gradi. Tale microfauna consente di datare la massa rocciosa a un periodo risalente al Cretaceo superiore (Cenomaniano-Maastrichtiano), nonchè di riconoscere l’ambiente marino come corrispondente a un’area di rampa carbonatica e scarpata superiore. Tale Formazione è conosciuta in letteratura come Formazione Pellegrino. Diversa è invece la microfauna facilmente rinvenibile nei frammenti litici che si rinvengono facilmente alla base della parete oggetto del presente studio, consistente in foraminiferi bentonici (orbitoidi, nummulitidi e alveolinidi) e frammenti di echinodermi e coralli. Quest’ultima, appartenente alla formazione Valdesi, è invece ascrivibile all’Eocene (Luteziano). Geologia Idrografia Nell’area in questione la massa rocciosa, è costituita da calcareniti e brecce bioclastiche a orbitoline e rudistidi, con alternanze di biolititi a caprinidi e banchi di conglomerati con frammenti di rudiste, associate a biocalcareniti e calcilutiti con cuneoline e rudistidi. gdiS 2014 numero unico Per quanto riguarda il reticolo idrografico, nelle immediate vicinanze alle superfici in questione non si rinviene la presenza di corsi d’acqua, né di canali di scolo. Si rinvengono invece copiose e diffuse venute d’acqua percolante, attraverso il sistema di fratture 53 • ispezione preventiva del sito; • studio approfondito relativo alle condizioni morfologiche e geometriche complessive dell’ammasso roccioso e della sua conformazione; • progettazione dettagliata dei voli, delle posizioni di presa e delle inquadrature; • acquisizione topografica con GPS e marcatura dei punti di controllo a terra (gcp), da usarsi come riferimento per la georeferenziazione dei modelli; • esecuzione dei voli e acquisizione delle immagini e dei filmati esplorativi; Fig. 3 – Postazione di comando a terra. • elaborazione dei dati; • produzione degli elaborati finali; della massa rocciosa. Tali venute d’acqua, visibili molto chiaramente nei periodi di elevata piovosità, insieme alle normali precipitazioni, determinano e hanno determinato nel tempo, le tipiche strutture da dissoluzione, come conche e karren, oltre che a produrre svariate e concentrate strutture di alterazione superficiale della roccia. PIANIFICAZIONE ED ESECUZIONE DELLE OPERAZIONI Le operazioni di pianificazione del lavoro sono state svolte principalmente in studio dopo aver effettuato un sopralluogo preventivo e un successivo studio approfondito dell’area da investigare. Le operazioni in sito relative invece all’acquisizione cartografica “non convenzionale” sono consistite sia nelle operazioni di acquisizione topografica dei punti di appoggio, usati come riferimento per la georeferenziazione dei modelli, sia nell’esecuzione dei diversi voli al fine di acquisire i filmati e le foto aeree, in modo da avere informazioni estremamente precise e dettagliate su tutta la superficie oggetto dell’intervento; informazioni dalle quali trarre in seguito tutti i parametri utili per la ricostruzione cartografica della parete rocciosa e del dissesto ivi insistente. Nella fattispecie il flusso di lavoro complessivo è stato suddiviso nelle seguenti fasi: 54 Le operazioni di volo e di ripresa sono state effettuate in data 18 febbraio 2013, in una giornata caratterizzata dalla presenza di cielo nuvoloso, che ha ridotto le condizioni di luce e di esposizione delle fotocamere, nonché dalla presenza di vento a raffiche con velocità che superava a tratti anche i 45 Km/h. Le fotocamere utilizzate per le riprese dispongono di obbiettivi calibrati, le cui aberrazioni devono essere ben conosciute affinché se ne possa tener conto durante la fase di fotoraddrizzamento. Le stesse posseggono inoltre un particolare sistema di controllo automatico dell’esposizione che permette di minimizzare le differenze tonali e cromatiche dovute alla composizione e all’accostamento di frames ripresi in piena luce solare e da altri ripresi in condizione di cielo nuvoloso che, diversamente, renderebbero il lavoro inutilizzabile. Fig. 4 – Tipico drone UAV. 2014 numero unico gdiS Ai fini del lavoro da svolgere sono state riprese diverse centinaia di frames, tra i quali alcuni sono stati scartati, altri selezionati e impiegati per le operazioni di raddrizzamento e di composizione dell’immagine finale, da cui sono stati derivati i modelli numerici tridimensionali qui presentati. CARTOGRAFIA DIGITALE E MODELLAZIONE 3D RICAVATA Una volta ricostruita la parete sulla base delle immagini acquisite, in seguito all’elaborazione numerica di tutti i dati a disposizione, si è pervenuti alla realizzazione di modelli digitali georeferenziati, che riproducono fedelmente le reali condizioni della parete e dell’ammasso roccioso ed è stato ricavato anche un significativo filmato esplorativo della parete, ingrandibile a piacimento, che mostra direttamente tutte le caratteristiche strutturali, i blocchi in fase di distacco, le discontinuità e le zone di criticità. Questi i modelli ottenuti, mostrati nelle figure seguenti: Fig. 5 – DEM in file di formato CAD. I “vuoti” bianchi sono dovuti alla rielaborazione del file, necessaria per la pubblicazione. Il modello è stato ridotto da 1.200.000 a circa 100.000 poligoni per non apparire totalmente nero a questa scala. • modello digitale di elevazione (DEM) georeferenziato, in ambiente CAD, con risoluzione di 6 cm/pixel e distanza tra i nodi del poligono di 50 cm, per un totale di 1.200.000 poligoni; • modello digitale del terreno (DTM) georeferenziato, con risoluzione di 6 cm/pixel, ruotabile sui tre assi e gestibile con tutti i principali programmi di grafica; • modellazione 3D fotorealistica della parete, in cui tutti gli elementi visibili essendo porzioni di foto ad altissima risoluzione corrispondono esattamente alla realtà. Il modello è ruotabile sui tre assi, ingrandibile a piacimento e gestibile con tutti i principali programmi di grafica. Fig. 6 – Modello digitale del terreno DTM. Il punto di vista è volutamente diverso dagli altri per mostrare il modello in posizione leggermente ruotata. VALIDAZIONE DEL MODELLO E MISURA DEGLI ERRORI La funzione di mappatura usata per calcolare le coordinate di tutti i punti di controllo a terra (ground control point o gcp) ed eseguire la georeferenziazione del modello a partire da quelle dei gcp misurati a mezzo GPS (in modalità statica per almeno un minuto accertandosi di avere sempre un numero elevato di satelliti), effettua un’operazione di interpolazione, ovvero una polinomiale che, a seconda dei casi, può essere del primo o del secondo ordine, più raramente del terzo, a causa delle deformazioni possibili in gdiS 2014 numero unico Fig. 7 – Modellazione 3D “fotorealistica“ finale, ruotabile e ingrandibile, della parete. Anche qui il modello è mostrato volutamente in posizione leggermente diversa. 55 uscita. Questa funzione applica le necessarie correzioni geometriche ai vari punti del modello attraverso operazioni di roto-traslazione o di roto-traslazione e scalatura. I valori incogniti sono calcolati sulla base dei valori dei gcp secondo il metodo statistico dei minimi quadrati, che viene frequentemente applicato per la deduzione dell’andamento medio in base ai dati sperimentali e per l’estrapolazione dei valori fuori dal campo di misura. Per verificare in seguito se la trasformazione sia stata più o meno precisa è stato usato un metodo di valutazione attraverso la radice dell’errore quadratico medio (RMSE), metodo normalmente utilizzato in statistica per indicare la discrepanza quadratica media tra i valori osservati e quelli stimati. Per operare si stabilisce dapprima la corrispondenza tra le coordinate del terreno e quelle dell’immagine, quindi si applica per ogni punto una funzione inversa che ricalcola le coordinate dei punti noti del terreno a partire da quelle dell’immagine. Lo scarto tra i due valori, cioè l’errore residuale, viene calcolato per ogni punto noto sulle tre coordinate x, y, z, sottraendo alle coordinate ricalcolate quelle derivate dalle misure sul terreno, secondo il seguente schema: r = x’ – x dove: r = errore residuale x’ = coordinate ricalcolate dalla funzione inversa x = coordinate misurate sul terreno. La precisione di posizionamento dei punti di controllo a terra, che fornisce già indirettamente un indice della validità generale del modello, viene quindi valutata per mezzo del RMSE gcp, che viene calcolato estraendo la radice quadrata della somma dei quadrati dei residui, come in eq.1: RMSE gcp = (rx )^ 2 + (ry )^ 2 + (rz )^ 2 eq. 1 L’accuratezza complessiva della trasformazione applicata può essere determinata estraendo la radice quadrata della sommatoria dei quadrati di tutti gli RMSE gcp divisa per il numero di essi n come in eq.2: n ∑ RMSE 2 i RMSEGLOB = i=l n eq. 2 Operando in questo modo siamo in grado di calcolare di quanto il nostro modello differisca dalla realtà. È stata elaborata quindi una tabella con i margini di errore riferiti al ricalcolo dei ground control point, al fine di verificare la validità del modello e l’efficacia del metodo impiegato. GCP Errore in X (cm) Errore in Y (cm) Errore in Z (cm) RMSEgcp (cm) 1 -33,07 -49,21 -67,41 0,9 2 89,48 69,98 163,23 1,98 3 -56,57 -20,74 -95,41 1,12 4 25,34 15,03 28,11 1,04 RMSEglob in X = 56,8 RMSEglob in Y = 44,64 RMSEglob in Z = 100,1 RMSEglob = 1,32 Tab. 1 – Tabella dei margini di errore riportati. È da notare che l’errore più rilevante ricorre sui valori di z, notoriamente i più variabili e aleatori quando si eseguono misure di posizionamento per mezzo di sistemi gps standard. Inoltre, anche se la precisione raggiunta risulta sufficiente per la maggior parte delle applicazioni, nel caso in cui dovesse essere richiesta una precisione ancora più elevata rispetto a quella ottenuta, è sufficiente aumentare il numero dei gcp, effet56 tuare molte misure sullo stesso e farne quindi la media, o quantomeno effettuare un numero maggiore di misure in z. Un’altra possibilità cui ricorrere per aumentare, quando necessario, la precisione può essere quella di sfruttare, se disponibili, punti notevoli su cartografia (dettagliata) della zona e di inserirne le coordinate nel nostro modello. Comunque, specialmente quando è necessaria una precisione molto elevata, risulta fon2014 numero unico gdiS Fig. 8 – Foto di dettaglio della parete, ripresa durante il volo esplorativo, in cui sono visibili discontinuità strutturali e alcuni blocchi parzialmente dislocati in procinto di un prossimo distacco. damentale rilevare sempre un numero elevato di gcp, provando a calcolare tutti i valori di RMSE e nel caso in cui tale calcolo dovesse fornire risultati non ottimali, provare a sostituire via via i singoli gcp con altri e rifare i calcoli fino a trovare il valore più soddisfacente, quindi inserire nel modello questi ultimi. CONCLUSIONI Il modello digitale di elevazione (DEM) ottenuto in formato vettoriale in ambiente CAD, presenta una distanza tra i nodi del reticolo di circa di 50 cm, per un totale di circa 1.200.000 poligoni, più che sufficiente per essere utilizzato nella maggior parte delle applicazioni. Tutti i modelli della cartografia numerica georeferenziata che con questo nuovo metodo sono stati ottenuti e su cui è possibile osservare dettagliatamente le reali condizioni caratterizzanti l’ammasso roccioso, costituiscono di fatto un’ottima base da cui procedere per la stesura della carta dei dissesti o di altra cartografia tematica, in modo rapido, ma soprattutto preciso e dettagliato. Inoltre il materiale cartografico allegato consente al professionista di avere disponibile in studio, in qualsiasi istante, tutti i dettagli reali della parete per successive revisioni o per future elaborazioni. A tale proposito, dall’osservazione del gdiS 2014 numero unico filmato e delle foto esplorative è possibile notare lungo la parete la presenza di fratture beanti piuttosto estese dislocanti alcuni blocchi rocciosi, così come determinare che la giacitura delle superfici di discontinuità inaccessibili sia compatibile con i valori di orientazione rilevati alla base della parete. È possibile altresì osservare anche la presenza e la collocazione di svariati blocchi, più o meno distaccati dalla massa rocciosa, in posizione instabile e precaria, in procinto di un possibile prossimo distacco. Si intende precisare che tutto quanto viene visto nel modello 3D, corrisponde esattamente alla realtà in quanto direttamente derivato da foto reali ad elevatissimo dettaglio. Il metodo proposto ha permesso quindi anche di esplorare la parete in modo molto dettagliato, senza l’impiego tradizionale di elicotteri e di squadre di rocciatori. Riguardo a questi ultimi rimane comunque da non escludersi, ove strettamente necessario, la possibilità di un eventuale impiego mirato, ovvero di indirizzare il loro lavoro esclusivamente in quei determinati punti, scelti sulla base delle loro caratteristiche, dopo aver eseguito velocemente un’esplorazione strumentale della parete. Concludendo possiamo affermare che l’impiego del drone UAV presenta diversi vantaggi: bassa o bassissima quota di volo che consente di ottenere una risoluzione a terra elevatissima non paragonabile a Fig. 9 – Veduta aerea panoramica di parte del sito ripresa durante il volo di ricognizione. nessun altro tipo di velivolo rilevando anche oggetti di pochi cm sul terreno, possibilità di mantenere una posizione di volo fissa e costante, rapidità di messa in opera, di esecuzione del lavoro e di ottenimento dei dati, multitemporalità e ripetibilità dei rilievi acquisiti, possibilità di effettuare rilievi ad altissima risoluzione in zone inaccessibili o pericolose. 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La liquefazione è tipica di depositi sabbiosi incoerenti saturi d’acqua. Questi, sottoposti a delle oscillazioni cicliche indotte da un evento sismico, generano effetti di sito capaci di modificare le caratteristiche del terreno interessato. Durante lo scuotimento, le particelle di terreno tendono ad addensarsi, mentre l’acqua, intrappolata nei vuoti tra le particelle del terreno, impedisce tale addensamento per un maggiore incremento delle pressioni interstiziali esercitate tra le particelle solide (condizioni non drenate). In tali condizioni, le particelle di terreno perdono il contatto reciproco e il deposito si comporta come un liquido, con perdita di capacità portante del suolo.Tra i vari metodi semplificativi per la verifica dinamica della liquefazione dei terreni, si propone quello di Seed e Idriss (1982) che è tra quelli più utilizzati in quanto è di facile applicazione e richiede pochi parametri geotecnici. I metodi semplificativi sono in genere utilizzati per le verifiche dei terreni dove insisteranno opere di media importanza. R I A S S U N TO The example of calculation develops the verification of liquefaction of foundation soil under seismic conditions according to NTC 2008 for a return period of 475 years (SLV).The liquefaction is typical of water-saturated loose sand deposits which, undergoing cyclical fluctuations caused by seismic phenomena, generate site effects able to modify the characteristics of the affected land. During the shaking, the soil particles tend to thicken while the water, trapped in the voids among the soil particles, prevents the thickening because of a greater increase in pore pressure exerted among the solid particles (undrained conditions). In such conditions, the soil particles lose contact with each other and the deposit behaves like a liquid, with a consequential loss of load-bearing capacity of the soil. Among the various methods of simplification for dynamic verification of liquefaction of soils, it is proposed the Seed and Idriss’s one (1982), which is among the most widely used because it is easy to apply and takes only a few geotechnical parameters.The methods of simplification are generally used for verification of the land where it is supposed to build up constructions of medium importance. ABSTRACT Il D.M. 14 gennaio 2008 s.m.i. decreta al punto 7.11.3.4.2 che la verifica a liquefazione può essere omessa quando si manifesti almeno una delle seguenti circostanze: 1) eventi sismici di magnitudo M inferiore a 5; 2) accelerazioni massime attese al piano di campagna in assenza di manufatti (condizioni di campo libero) minori di 0,1 g; 3) profondità media stagionale della falda superiore a 15 m dal p.c., per piano di campagna sub-orizzontale e strutture con fondazioni superficiali; 4) depositi costituiti da sabbie pulite con resistenza penetrometrica normalizzata (N1)60 > 30 oppure qc1N > 80 dove (N1)60 è il valore della resistenza determinata in prove penetrometriche dinamiche (Standard Penetration Test) normalizzata ad una tensione efficace verticale di 100 KPa e qc1N è il valore della resistenza determinata in prove penetrometriche statiche (Cone Penetration Test) normalizzata ad una tensione efficace verticale di 100 KPa; 5) distribuzione granulometrica esterna alle zone indicate nella Figura 7.11.1(a) nel caso di terreni con coefficiente di uniformità Uc < 3,5 ed in Figura 7.11.1(b) nel caso di terreni con coefficiente di uniformità Uc > 3,5 gdiS 2014 numero unico Fig. 7.11.1(a) Fig. 7.11.1(b) 59 CURVA GRANULOMETRICA DEL TERRENO DI VERIFICA Nel nostro caso la curva granulometrica del terreno di verifica, riportata in fig. 1 è rappresentativa di un materiale definito “sabbia” avente un coefficiente di uniformità Uc definito dal rapporto: Uc = D60/D10 = 0,5 mm /0,15 mm = 3,3 Ricadente nella fascia critica della figura 7.11.1(a) Figura 1 SUSCETTIVITÀ ATTRAVERSO UN COEFFICIENTE (Fs) Il calcolo permette di esprimere la suscettività alla liquefazione attraverso un coefficiente di sicurezza Fs, dato dal rapporto fra la resistenza al taglio mobilitabile nello strato di terreno CRR (Cyclic Resistance Ratio) e lo sforzo tagliante indotto dal sisma CSR (Cyclic Stress Ratio). Fs = CRR/CSR (1) CALCOLO DELLA RESISTENZA DEL TERRENO AL TAGLIO MOBILITABILE (CRR) Dati: Nspt = 10 (numero di colpi medio misurato nello strato sabbioso) σVO’ = 0,535 Kg/cm2 (il calcolo della tensione vert. efficace è appresso specificato); N1 RESISTENZA DEL TERRENO AL TAGLIO MOBILITABILE (CRR) sostituendo: Na = 10 (1,7 /(0,7+ 0,535)) + 0 = 13,76 CRR = 13,76/90 = 0,153 CRR = Na/90 (2) di cui: Na = Nspt (1,7 /(0,7+ σVO)) + N1 Nspt = numero di colpi per piede (30 cm) della prova penetrometrica standard; σVO’ = tensione verticale efficace alla profondità z dal p.c. (Kg/cm2); N1 = valore dipendente dalla granulometria = 0 se d50(mm) > 0,25; 7,5 se d50(mm) ≤ 0,25; d50 = diametro della curva granulometrica corrispondente al passante 50% (mm); 60 = 0 (d50(mm) > 0,25 - fig. 1 -) SFORZO DI TAGLIO INDOTTO DAL SISMA (CSR) amax σvo rd CSR = 0,65 g σvo’ MSF (3) amax = accelerazione sismica orizzontale in superficie (cm/s2); g = accelerazione di gravità (980,7 cm/s2); 2014 numero unico gdiS σVO = tensione verticale totale alla profondità z dal p.c. (Kg/cm2); σVO’ = tensione verticale efficace alla profondità z dal p.c. (Kg/cm2); rd = coefficiente di riduzione funzione della profondità secondo le seguenti relazioni (Liao e Whitman, 1986) rd = 1- 0,00765*z per z ≤ 9,15 m (il coeff. rd si ricava per z espresso in metri) rd = 1,174 – 0,0267*z per 9,15≤ z ≤ 23 m rd = 0,774 – 0,008*z per 23 ≤ z ≤ 30 m rd = 0,5 per MSF = coefficiente correttivo funzione della magnitudo del sisma di riferimento MSF = (M/7,5)-3,3 z ≥ 30 m MSF= coefficiente correttivo funzione della magnitudo del sisma di riferimento (Magnitudo Scaling Factor) MSF = (M/7,5)-3,3 per M ≤ 7,5 MSF = 102,24/M2,56 per M > 7,5 per M ≤ 7,5 MSF = (6.14/7,5)-3,3 = 1,93 Stima accelerazione sismica amax amax = ag . SS . ST ulteriori dati: – calcolo riferito ad un tempo di ritorno (SLV) = 475 anni Stima della magnitudo M Il sito in esame appartiene a una delle 36 zone sismogenetiche in cui è divisa l’Italia, ricadente nella ZS934 con valore corrispondente di Mwmax = 6.14, quindi nel calcolo si assume M = 6.14. – classe del sito = C – accelerazione di picco al suolo ag = 0,148 g – max fattore amplificazione spettro orizzontale Fo = 2,390 – inizio tratto velocità costante spettro orizz. TC* = 0,274 s CARTA SISMOGENETICA D’ITALIA (INGV) – amplificazione topografica St = 1,00 – amplificazione stratigrafica SS = 1,484 l’accelerazione massima attesa nel sito: amax = 0,148 * 1,484 * 1,00 = 0,219 * 980,7 = 214,77 cm/s2 n.b.: per la stima dell’accelerazione massima attesa in sito, vedi dello stesso autore il precedente lavoro pubblicato nel n° 1/2013 della rivista Geologi di Sicilia. SEZIONE GEOLITOLOGICA OGGETTO DI VERIFICA gdiS 2014 numero unico 61 ricaviamo: σVO = tensione verticale totale alla profondità z dal p.c. (Kg/cm2); σVO = Σ γi * zi σVO = (1,80 x 2,50) + (1,85 x 1,00) = 4,5 + 1,85 = 6,35 t/m2 = 0,635 Kg/cm2 σVO’ = tensione verticale efficace alla profondità z dal p.c. (Kg/cm2); per il principio delle tensioni efficaci (Terzaghi 1936) σVOw’ = σVOw – u di cui σVOw = γsat*zw; (I) u = γw*zw sostituendo (I): σVOw’ = γsat*zw - γw*zw = zw(γsat - γw) u = pressione interstiziale; γsat = peso di volume del terreno saturo; γw = peso di volume dell’acqua; zw = spessore dello strato in falda. Nel nostro caso: σVO’ = (γ1 * z1) + ((γsat - γw) *zw) sostituendo i valori: σVO’ = (1,80 x 2,50) + ((1,80-1,00) x 1,00)) = 4,5 + +0,85 = 5,35 t/m2 = 0,535 Kg/cm2 rd = coefficiente di riduzione funzione della profondità; rd = 1- 0,00765*z → rd = 1- 0,00765x 3,50 = 0.9732 62 CALCOLO DELLO SFORZO DI TAGLIO INDOTTO DAL SISMA sostituendo i dati ricavati nella formula (3) CSR = 0,65 214,77*0,635*0,9732 = 0,085 980,7 *0,535* 1,93 CALCOLO DELLA SUSCETTIVITÀ ATTRAVERSO UN COEFFICIENTE (Fs) sostituendo i dati ricavati nella formula (1) Fs = 0,153/0,085 = 1,8 Il deposito sabbioso saturo non risulta liquefacibile (Fs > 1,3). BIBLIOGRAFIA – Norme Tecniche per le Costruzioni “DECRETO del 14 gennaio 2008, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 04/02/2008”. – COLESELLI F., SORANZO M., “Esercitazioni di Geotecnica” Cleup - PADOVA. – FAVARETTI M., MAZZUCATO A., “Prove Geotecniche di Laboratorio” Cleup - PADOVA. – CRESPELLANI T., FACCIORUSSO J., 2010 “Dinamica dei Terreni per le Applicazioni Sismiche”. Flaccovio Editore. – FACCIORUSSO J., 2011 “La liquefazione sismica” Corso di perfezionamento in Microzonazione sismica, Siena 22/10/2011. 2014 numero unico gdiS CRITERIO PER LA DETERMINAZIONE DELLA MAGNITUDO AI FINI DELLA SUSCETTIBILITÀ ALLA LIQUEFAZIONE DEI TERRENI Sebastiano Giovanni Monaco – Geologo libero professionista Nel presente articolo, dopo un breve excursus normativo in cui si chiarisce quanto stabilito nella normativa in merito alla Liquefazione, si descrive un esempio basato sul concetto di disaggregazione della pericolosità sismica; in pratica si tratta di sommare i contributi dovuti alle singole coppie magnitudo-distanza degli epicentri ricadenti all’interno di un’area di riferimento allo scopo di individuare, con una procedura tipo probabilistico, l’evento sismico dominante e, da questo definire i valori di amax, MW ed R, in funzione dello Stato Limite utilizzato per la progettazione. R I A S S U N TO In this article, after a brief excursus regulatory environment in which is clarifies the provisions in the legislation on the Liquefaction, we describe an example based on the concept of disaggregation of seismic hazard; in practice this is to add up the contributions due to individual pairs magnitude-distance of the epicenters falling within a reference area in order to identify, with a probabilistic procedure, the dominant earthquake, and from this define the values of amax, MW and R as a function of the state limit used for the design. ABSTRACT NORME IN VIGORE • D.M. 14.01.2008 Norme Tecniche per le Costruzioni; • Circolare 2 febbraio 2009, n. 617-Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le Costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008. Stabilità nei confronti della liquefazione (§ C 7.11.3.4) “La sicurezza nei confronti della liquefazione può essere valutata con procedure di analisi avanzate o con metodologie di carattere semi-empirico, basati sull’osservazione e/o riconoscimento di fenomeni di liquefazione avvenuti nel passato durante i terremoti, rispetto a casi in cui la liquefazione non è avvenuta”. Nelle verifica alla liquefazione il coefficiente di sicurezza Fs, viene valutato calcolando il rapporto tra la resistenza ciclica alla liquefazione (CRR) e la sollecitazione ciclica indotta dall’azione sismica (CSR). F . S = CRR (Cyclic Resistance Ratio) – – CSR (Cyclic Stress Ratio) Nell’equazione sopra riportata, sia CRR che CSR sono riferite ad una magnitudo 7,5. riportando quanto segue: “Se le verifiche semplificate sono effettuate contemporaneamente con più metodi, si deve adottare quella più cautelativa, a meno di non giustificare adeguatamente una scelta diversa”. (§ C 7.11.3.4). “La sicurezza nei confronti della liquefazione deve essere effettuata utilizzando i valori caratteristici delle proprietà meccaniche dei terreni”. (§ C 7.11.3.4). “L’adeguatezza del margine di sicurezza nei confronti della liquefazione deve essere valutata e motivata dal progettista” (§ 7.11.3.4.3 - § C 7.11.3.4). gdiS 2014 numero unico “Tali procedure sono valide per piano di campagna sub-orizzontale. In caso contrario, la verifica va eseguita con studi specifici”. (§ C 7.11.3.4). L’Eurocodice 8 [a differenza del D.M 14.01.2008, che lascia la scelta dell’adeguatezza del margine di sicurezza nei confronti della liquefazione al progettista purché motivata (§ 7.11.3.4.3 - § C 7.11.3.4)], stabilisce che: • Un terreno deve essere considerato suscettibile a liquefazione allorché, lo sforzo di taglio generato dal terremoto a una data profondità supera l’80%, dello sforzo critico che provoca la liquefazione durante i terremoti (CSR ≥ 0,80 . CRR); tale livello di sforzo di taglio (pari all’80%), implica un fattore di sicurezza pari a 1,25 (Fs = CRR/CSR ≥ 1,25). Esclusione della verifica a liquefazione (§ 7.11.3.4.2) “La verifica a liquefazione può essere omessa quando si manifesti almeno una delle seguenti circostanze: 1. eventi sismici attesi di magnitudo M inferiore a 5.0; 2. accelerazioni massime attese al piano campagna in assenza di manufatti (condizioni di campo libero) minori di 0,1g; 3. profondità media stagionale della falda superiore a 15 m dal piano campagna, per piano campagna suborizzontale e strutture con fondazioni superficiali; 4. depositi costituiti da sabbie pulite con resistenza penetrometrica normalizzata (N1)60 > 30 oppure qc1N > 180 dove (N1)60 è il valore della resistenza determinata in prove penetrometriche dinamiche (Standard Penetration Test), normalizzata ad una tensione efficace verticale di 100 kPa e qc1N è il valore 63 Figura 1(a) Figura 1(b) della resistenza determinata in prove penetrometriche statiche (Cone Penetration Test), normalizzata ad una tensione efficace verticale di 100 kPa; 5. distribuzione granulometrica esterna alle zone indicate nella Figura 1(a) nel caso di terreni con coefficiente di uniformità Uc < 3,5 ed in Figura 1(b) nel caso di terreni con coefficiente di uniformità Uc > 3,5. il controllo del livello di danneggiamento della costruzione a fronte dei terremoti che possono verificarsi nel sito di costruzione. L’azione sismica sulle costruzioni è valutata a partire da una “pericolosità sismica di base”, in condizioni ideali di sito di riferimento rigido con superficie topografica orizzontale (di cat.A nelle NTC). I risultati dello studio di pericolosità sismica sono forniti: • In termini di valori di accelerazione orizzontale massima ag e dei parametri che permettono di definire gli spettri di risposta ai sensi delle NTC, nelle condizioni di sito di riferimento rigido orizzontale sopra definite; • In corrispondenza dei punti di un reticolo (reticolo di riferimento) i cui nodi sono sufficientemente vicini fra loro (non distano più di 10 km), Un sito sarà sempre compreso tra quattro dei 10751 punti della griglia di accelerazioni (calcolate per un tempo di ritorno di 475 anni) indicate nelle Mappe di Pericolosità Sismica Nazionale di cui all’Allegato B del D.M. 14 Gennaio 2008; • Per diverse probabilità di superamento in 50 anni e/o diversi periodi di ritorno TR ricadenti in un intervallo di riferimento compreso almeno tra 30 e 2475 anni, estremi inclusi. Quando le condizioni 1 e 2 non risultino soddisfatte, le indagini geotecniche devono essere finalizzate almeno alla determinazione dei parametri necessari per la verifica delle condizioni 3, 4 e 5. Pericolosità Sismica [allegato A alle Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. 14/01/2008)] Con l’entrata in vigore delle Norme tecniche per le costruzioni [D.M. 14 Gennaio 2008], si introduce il concetto di pericolosità sismica di base del territorio nazionale, intesa come accelerazione massima orizzontale (amax) su suolo rigido affiorante (ovvero caratterizzato da velocità delle onde sismiche trasversali Vs > 800 m/sec). Le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC) adottano un approccio prestazionale alla progettazione delle strutture nuove e alla verifica di quelle esistenti. Nei riguardi dell’azione sismica l’obiettivo è 64 Figura 2 - Zone sismogenetiche per le mappe di pericolosità sismica di base di riferimento (Gruppo di Lavoro MS, 2008, Indirizzi e Criteri per la microzonazione sismica, Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, Dipartimento Protezione Civile, Roma). 2014 numero unico gdiS Figura 5 - Confronto fra le diverse tipologie di prove in situ utilizzate per la valutazione della resistenza alla liquefazione (CRR). [Journal of Geotechnical and Geoenvironmental Engineering, april 2001 - Modificato]. Figura 3 - Mappe di Pericolosità sismica del territorio nazionale con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni (condizioni di Stato Limite di salvaguardia della Vita). Gruppo di Lavoro 2004-2008. L’importanza della sua determinazione è legata (oltre che alla possibile esclusione della verifica) alla determinazione del fattore scala MSF (Magnitudo Scaling Factor), che rappresenta un coefficiente correttivo per terremoti di magnitudo momento diversa da 7,5. Tale fattore, ai fini della valutazione della pericolosità della liquefazione, viene applicato per convenzione alla capacità di resistenza alla liquefazione e non al carico sismico. ⎛M ⎞ MSF = ⎜ ⎟ per M ≤ 7.5 (Andrus e Stokoe, 1997); ⎝ 7.5 ⎠ ⎛ 10 2.24 ⎞ MSF = ⎜ 2.56 ⎟ per M > 7.5 (Idriss, 1990); ⎝M ⎠ ⎛ 10 2.24 M _ 3.3 ⎞ ⎜ 2 , 56 + ⎟ 7.5 ⎠ ⎝M per M ≤ 7.5 (NCEER, 1997). MSF = 2 –3.3 Figura 4 - Cartografia riportante la Classificazione sismica regionale e la Zonazione sismogenetica (ZS9). Come da allegato dell’O.P.C.M. 3907 del 2010. La definizione della pericolosità sismica di base del territorio nazionale trae le sue origini dalla Carta delle Zone Sismogenetiche ZS9, nella quale sono individuate le zone caratterizzate da diversi valori della Magnitudo momento massima [Mwmax]. approvata dalla Commissione Grandi Rischi del Dipartimento della Protezione Civile nella seduta del 6 aprile 2004, recepita dalla O.P.C.M. n° 3519 del 28 Aprile 2006 e divenuta infine la Mappa di riferimento prevista dal D.M. 14 Gennaio 2008 – Norme Tecniche per le Costruzioni. gdiS 2014 numero unico Per come fare la valutazione della grandezza della Magnitudo non vi sono specifici riferimenti nella normativa D.M. 14/01/2008. Non comparendo neanche negli allegati A e B e nella circolare n. 617 del 02/01/2009. Quando si procede per la verifica alla liquefazione di un sito, in linea di principio, e’ opportuno applicare due o più procedure per ottenere una valutazione affidabile del potenziale di liquefazione [da Youd et al., 2001]. Disaggregazione della Pericolosità Sismica In pratica si tratta di sommare i contributi dovuti alle singole coppie magnitudo-distanza degli epicentri ricadenti all’interno di un’area di riferimento allo scopo di individuare, con una procedura tipo probabilistico, l’evento sismico dominante. 65 Se la Magnitudo risulta inferiore a 5.0, non si deve fare verifica alla Liquefazione Un procedimento sofisticato e scientificamente corretto si basa sul concetto di disaggregazione (e/o deaggregazione), della pericolosità sismica. In pratica si tratta di sommare i contributi dovuti alle singole coppie magnitudo-distanza degli epicentri ricadenti all’interno di un’area di riferimento allo scopo di individuare, con una procedura tipo probabilistico, l’evento sismico dominante. Il terremoto individuato, detto terremoto di scenario, è caratterizzato da una magnitudo, una distanza dal sito indagato e da un tempo di ritorno. Ciò lo rende utilizzabile, ai fini progettuali, nelle verifiche allo SLU e allo SLE richieste dal D.M.14.01.2008. Sul sito Internet dell’I.N.G.V., più precisamente all’indirizzo esse1-gis.mi.ingv.it, è possibile trovare un’applicazione che consente di calcolare il terremoto di scenario sulla base della mappa della pericolosità sismica del territorio italiano. Utilizzando questo criterio si determinano i seguenti parametri: – ag = accelerazione sismica orizzontale sul sito rigido (al Bedrock); – SS = coefficiente di amplificazione stratigrafica; – TR = tempo di riferimento per la definizione dell’azione sismica; – amax = accelerazione massima in superficie; FASE 1 – STIMA DELL’ACCELERAZIONE DI BASE ag Per la definizione del parametro relativo all’accelerazione di base del sito di progetto (ag), sono necessarie alcune informazioni relative al progetto ed alla sua localizzazione spaziale. In sintesi i parametri necessari sono i seguenti: 1. Coordinate del sito; 2. Vita di riferimento Vr come moltiplicazione della Vita nominale (Vn) e del Coefficiente d’uso (Cu) derivanti dalla scelta progettuale; 3. Stato limite ad esempio Stato Limite di salvaguardia della Vita (di seguito SLV) e Stato Limite di Danno (di seguito SLD), oltre allo Stato Limite di Collasso (SLC), a cui corrisponderanno differenti ag in funzione dei differenti periodi di ritorno TR. Tale operazione (definizione dell’accelerazione di base del sito, mediante definizione del reticolo di nodi sismici), può essere effettuata mediante svariati programmi di libero accesso. Al tal fine lo scrivente utilizzerà il foglio di calcolo SpettriNTCver.1.0.3 rilasciato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per la stima dell’azione sismica di progetto, ricordando che le coordinate inserite devono essere in gradi sessadecimali e nel sistema di riferimento ED50. Per l’esempio utilizzando sempre le stesse coordinate riferite ad una zona della città di Messina: 38.262071° N – 15.625858° E – la coppia Magnitudo (MW) – Distanza (R). ESEMPIO PRATICO DI CALCOLO I parametri necessari alla scelta progettuale adottata in funzione delle coordinate del sito (cap. 2.4 delle NTC2008), comunicati dal progettista sono i seguenti: 1. Vita nominale (Vn) [§. 2.4.1 (NTC-08)]: ≥ 50 anni 2. Vita di riferimento (Vr) [§. 2.4.3 (NTC-08)]: 75 anni 3. Classe d’Uso [§. 2.4.2 (NTC-08)]: III anni 4. Coefficiente d’uso (Cu) [Tab. 2.4.II, §. 2.4.2]: 1.5 anni Figura 6 - Ubicazione del sito all’interno della maglia www.geostru.com/geoapp/parametri-sismici.aspx 66 2014 numero unico gdiS FASE 1 – STIMA DELL’ACCELERAZIONE DI BASE ag Aperto il programma Spettri-NTC ver. 1.03, si può operare in due modi diversi: 1. ricerca per coordinate (latitudine e longitudine, introdurre le coordinate geografiche in ED50); 2. ricerca per comune (inserendo regione, la provincia ed il comune); Successivamente verrà visualizzato il sito in oggetto (rappresentato da un punto rosso), all’interno del reticolo di nodi sismici che lo contiene mentre si dovrà individuare il nodo sismico più prossimo al nostro sito (nel nostro caso il n. 44545). Volendo visionare l’accelerazione di base (ag), in funzione dei tempi di ritorno (TR), basta cliccare sul tasto “Tabella parametri”. A questo punto è possibile visionare i periodi di ritorno per la definizione dell’azione sismica (in anni) TR [Stati limite di esercizio (SLE) e Stati limite ultimi (SLU)]. Cliccando sul tasto “Tabella parametri azione” è possibile visualizzare il parametro ag, per i singoli periodi di ritorno TR associati a ciascun SL e supponendo che: a. le indagini in sito abbiano definito un VS30 = 270,5 m/s, appartenente quindi alla categoria di sottosuolo tipo “C” come da approccio semplificato; b. il sito risulta essere pianeggiante e quindi la categoria topografica sia “T1”; c. stiamo considerando ai fini del calcolo lo Stato Limite di salvaguardia della Vita (SLV). FASE 3 – STIMA FASE 2 – STIMA DELL’ACCELERAZIONE DI BASE DELL’ACCELERAZIONE amax ag In questa finestra devono essere inseriti i seguenti dati progettuali: a. Vita nominale Vn, (50 anni); b. Coefficiente d’uso Cu (1,5), relativo alla Classe d’Uso. Successivamente all’inserimento dei dati sopra descritti, l’elaborazione attraverso il tasto “parametri e punti spettri di risposta”, individua il parametro SS (coefficiente di amplificazione stratigrafica), che insieme a quello topografico (ST), ed all’accelerazione di base ag, permette di calcolare il valore di amax (accelerazione massima al suolo). PROCEDIMENTO DESCRITTIVO FASE 1 – STIMA gdiS DELL’ACCELERAZIONE DI BASE 2014 numero unico ag - Inserimento delle coordinate. 67 FASE 2 – STIMA DELL’ACCELERAZIONE DI BASE FASE 3 – STIMA DELL’ACCELERAZIONE 68 ag - Inserimento dei parametri progettuali. amax - Definizione del coefficiente di amplificazione stratigrafica SS. 2014 numero unico gdiS FASE 4–STIMA DELLA MAGNITUDO [MW] ASSOCIATA ALLO STATO LIMITE ANALIZZATO (NELL’ESEMPIO SLV). Definito il valore di amax, restano da definire i valori di MW e R. Infatti, per la verifica alla Liquefazione i metodi semplificati utilizzano il rapporto tra: il valore di CRR (Resistenza alla Liquefazione del Terreno), definito dagli autori con varie equazioni, ed il parametro CSR (sforzo di taglio ciclico indotto dal sisma), che è definito secondo l’equazione semiempirica proposta da Seed e Idriss (1971): dove: τav αmax g σvo σ’vo rd MSF R = = = = = = = = valore medio definito come 0,65 Ùmax; accelerazione massima in superficie (cm/sec2); accelerazione di gravità (980 cm/sec2); tensione litostatica verticale totale (Kg/cm2); tensione litostatica verticale efficace (Kg/cm2); coefficiente di riduzione delle tensioni; coefficiente correttivo in funzione della magnitudo del sisma. distanza epicentrale (generalmente tale termine può entrare nell’equazione che determina CRR). Per definire il valore della magnitudo associata allo stato limite analizzato utilizzeremo il sito Internet dell’I.N.G.V., più precisamente all’indirizzo esse1-gis.mi.ingv.it, ove è possibile trovare un’applicazione che consente di calcolare il terremoto di scenario sulla base della mappa della pericolosità sismica del territorio italiano. gdiS 2014 numero unico 69 Se avessimo eseguito tutta l’elaborazione imponendo la probabilità in 50 anni al 5% avremmo ottenuto i valori medi della magnitudo, della distanza epicentrale R e della deviazione standard riferiti allo stato limite SLC, come sotto riportati: ATTENZIONE In questo caso (SLC), e/o nel caso SLD, occorre ricordarsi che le corrispondenti amax sono: amax(SLD) = SS (SLD) · ST · agSLD = 1.500 · 1.0 · 0.098 = 0.147 amax(SLC) = SS (SLC) · ST · agSLC = 1.145 · 1.0 · 0.374 = 0.428 Ottenute con le fasi 1, 2 e 3 per la definizione dell’accelerazione (sempre nelle condizioni delle ipotesi di partenza VS30 = 270,50 m/s e/o NSPT30 = 31,40; coefficiente topografico T1 e classe di sottosuolo C). Riepilogando: Figura 7 - Valori di MW, R, TR, ag, ST, SS e amax in funzione dello Stato Limite. 70 2014 numero unico gdiS Considerazioni Supponendo che le prove in situ (VS e/o SPT), abbiano portato alla definizione dei valori e dei grafici che seguono. A questi valori di VS30 e di NSPT30, corrisponde una categoria di sottosuolo tipo C (approccio semplificato). VS30 = 270,5 m/s (da prove sismiche) e NSPT30 = 31,40 (da prove SPT) Possono presentarsi due casi: a) terreni non liquefacibili Categoria di sottosuolo individuata “C” b) terreni liquefacibili Categoria di sottosuolo individuata “S2” Nel caso a): La categoria di sottosuolo resta “C” Nel caso b): La categoria di sottosuolo diventa S2 (come da approccio semplificato - NTC08 -§ 3.2.3, che definisce i “Depositi di terreni suscettibili di liquefazione, di argille sensitive o qualsiasi altra categoria di sottosuolo non classificabile nei tipi precedenti”. Per le prime cinque categorie di sottosuolo definite da approccio semplificato (A, B, C, D, E), le azioni sismiche sono definite al § 3.2.3 delle norme definite dal D.M. 14/01/2008, mentre, per sottosuoli appartenenti alle ulteriori categorie S1 ed S2 prima elencate, è necessario predisporre specifiche analisi per la definizione delle azioni sismiche, particolarmente nei casi in cui la presenza di terreni suscettibili di liquefazione e/o di argille d’elevata sensitività possa comportare fenomeni di collasso del terreno. Pertanto non è possibile rappresentare la categoria di suolo mediante un declassamento della categoria individuata (nell’esempio la categoria è “C”), con categorie quali “D” o “E”. gdiS 2014 numero unico 71 In questi casi occorre effettuare prove aggiuntive (di laboratorio su campioni di terreno estratti, prove HVSR, etc…). Con utilizzo almeno di codici monodimensionali ai fini della valutazione dell’azione sismica locale con l’estrazione di accelerogrammi di input relativi al sito in esame e definizione degli spettri elastici e di progetto, mediante software dedicati per l’estrazione dei moti di imput (Rexel, etc…), e software per la realizzazione delle analisi di risposta sismica locale RSL (STRATA, EERA, etc.). BIBLIOGRAFIA – Norme Tecniche per le Costruzioni - D.M. del 14/01/ 2008, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 04/02/2008 – Supplemento Ordinario n. 30. – Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 - Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le Costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008. 72 – Eurocodice 8 - Indicazioni progettuali per la resistenza sismica delle strutture. Parte 5: Fondazioni, strutture di contenimento ed aspetti geotecniciUNI ENV 1998-5, Febbraio 1998. – Gruppo di lavoro MS (2008) - Indirizzi e criteri per la microzonazione sismica. Conferenza delle Regioni e delle Province autonome - Dipartimento della protezione civile, Roma, 3 vol. e Dvd. 2014 numero unico gdiS LA SEZIONE DI PIZZO SANT’OTIERO (PETRALIA SOTTANA - MADONIE) GEOSITO PECULIARE PER L’EVOLUZIONE MEDIO-TRIASSICA DELL’AREA CENTRO-MEDITERRANEA Torre A.(1) - Torre F.(1) - Tripodo A.(2) - Di Stefano P.(2) - Renda P.(2) (1) Istituto Euro Mediterraneo di Scienze e Tecnologia,Via Emerico Amari 123 - 90139 - Palermo (2) Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM), Università di Palermo. La sezione stratigrafica recentemente descritta a Pizzo di Sant’Otiero, nei pressi di Petralia Sottana sul versante meridionale di Monte San Salvatore (Madonie), è un nuovo e fondamentale tassello per la conoscenza dell’evoluzione pre-Carnica della Sicilia. La sezione è costituita da due zone: quella inferiore, spessa circa 30 metri, è costituita da un megabreccia carbonatica con elementi neritici ad alghe dasycladali quali Diplopora annulatissima Pia, associate a foraminiferi ed organismi problematici. La porzione superiore, spessa circa 20 metri, è costituita da calcilutiti pelagiche con intercalazioni di fittissime lumachelle a Daonella spp. fra le quali è stato possibile determinare Daonella tyrolensis Mojsisovics. Questo biomarker ha permesso di assegnare le calcilutiti alla zona a Protrachyceras longobardicum della parte inferiore del Ladinico superiore (Longobardico inferiore). Ulteriori studi biostratigrafici nella zona superiore hanno rivelato la presenza di conodonti quali Budurovignathus hungaricus (Kozur & Végh), B. mungoensis (Diebel) e Paragondolella trammeri (Kozur). Questi confermano l’età ladinica della successione, e permettono di estendere la parte inferiore dell’intervallo stratigrafico alle zone ad ammonoidi a P. gredleri e P. Archelaus (Fassanico superiore). Ciò conferma che Pizzo di Sant’Otiero è una sezione fondamentale per documentare l’esistenza di piattaforme carbonatiche e bacini pelagici lungo la parte più occidentale della Tetide Ionica durante il Triassico Medio. R I A S S U N TO The recently described stratigraphic section at Pizzo di Sant’Otiero, near Petralia Sottana on the southern side of San Salvatore Mount (Madonie Mountains), is a new and fundamental tile for the knowledge of the pre-Carnian evolution of Sicily.The section consists of two zones: the lower one, about 30 meters thick, consists of a carbonate megabreccia with neritic elements containing dasycladalean algae such as Diplopora annulatissima, associated with foraminifera and problematic organisms. The upper zone, about 20 meters thick, consists of parallel bedded pelagic calcilutites that are interbedded with coquina beds containing Daonella spp., among which it was possible to determine Daonella tirolensis.This widespread biomarker allow to assign the calcilutites to the Protrachyceras longobardicum zone of the lower part of the upper Ladinian (lower Longobardian). Further biostratigraphic studies in this upper zone has revealed the presence of conodonts such as Budurovignathus hungaricus (Kozur & Végh), B. mungoensis (Diebel) and Paragondolella trammeri (Kozur). They confirm the Ladinian age of the succession, and allow to extend the lower part of the stratigraphic interval to the P. gredleri and P.Archelaus ammonoids zones (Upper Fassanian).This confirms that the Pizzo di Sant’Otiero is a key section to document the presence of carbonate platforms and pelagic basins along the westernmost part of the Ionian Tethys during Middle Triassic time. ABSTRACT In Sicilia centro-occidentale la documentazione dei terreni pre-carnici è stata oggetto di dibattito, soprattutto a partire dagli anni ‘60 con i lavori di Caflish & Schmidt di Friedberg (1967), Montanari (1968), Ruggieri & Di Vita (1972), Mascle (1979). La difficoltà nella individuazione e collocazione stratigrafica di tali terreni è dovuta essenzialmente alle deformazioni connesse con la genesi dell’orogene Appenninico-Maghrebide durante il Neogene, che hanno determinato estesi fenomeni di scollamento nell’originario multistrato sedimentario (Di Stefano & Gullo,1997, 1998). Per quanto riguarda i terreni mediotriassici, una indiscussa sezione rappresentativa, è stata descritta nella Valle del Sosio, lungo il Torrente San Calogero. Si tratta di depositi pelagici costituiti da radiolariti e calcari nodulari di età Anisico sup. – Ladinico (Catalano et al., 1988, 1991; Di Stefano, 1988,1990; Gullo & Kozur, 1989, 1991). Un nuovo tassello è stato recentemente aggiunto, grazie al rinvenimento di una sezione stratigrafica nell’area delle Madonie, a Pizzo di Sant’Otiero, lungo il gdiS 2014 numero unico versante meridionale di Monte San Salvatore (Di Stefano et al 2012, 2014). INQUADRAMENTO GEOLOGICO-STRUTTURALE Le Madonie rappresentano un segmento della catena appenninico-maghrebide, caratterizzato da un impilamento di unità tettoniche derivanti dalla deformazione di successioni della Piattaforma Panormide, del sistema scarpata-bacino della successione Imerese, dalla copertura silicoclastica oligo-miocenica del Flysh Numidico (Renda et al, 1999) e da unità derivanti dalla deformazione di successioni riferibili al Dominio Sicilide (Ogniben, 1960). Nell’area del Monte San Salvatore, che comprende anche il Pizzo di Sant’Otiero, affiora l’omonima unità tettonica costituita da una successione sedimentaria mesozoico-terziaria tipica delle zone di scarpata fra piattaforma Panormide e bacino Imerese (Renda et al., 1999). 73 Fig. 1 – Panoramica del versante meridionale di Monte San Salvatore con, al centro, il rilievo calcareo di Pizzo di Sant’Otiero. La successione sedimentaria è costituita da marne e calcilutiti pelagiche (Formazione Mufara, Carnico) che passano verso l’alto a doloruditi e doloareniti (Formazione Quacella, Trias Sup.-Giurassico Inf.) sormontati dai terreni del Flysch Numidico che poggiano su una profonda superficie di erosione (Carbone e Grasso, 2012). La presenza di olistoliti e brecce, prevalentemente carbonatiche, di derivazione panormide, caratterizza le facies torbiditiche numidiche di quest’area, che sono state indicate come Wildflysch di Monte San Salvatore (Ogniben, 1960), Argille di Portella Mandarini (Grasso et al, 1978) o Flysch a Megabrecce” (Abate et al, 1982). L’affioramento calcareo di Pizzo di Sant’Otiero si trova alla base di questa unità tettonica, in prossimità della superficie di sovrascorrimento che la sovrappone ai terreni del Flysch Numidico (Fig. 1). La sezione stratigrafica è costituita da due porzioni ben distinte (Fig. 2). Quella inferiore, spessa circa 30 metri, costituisce nell’insieme una megabreccia carbonatica, mentre quella superiore, spessa circa 20 metri, è costituita da calcilutiti pelagiche a Daonella, di colo74 re grigio scuro, organizzate in spessi strati pian paralleli. Fra le due porzioni della successione sono presenti strati cuneiformi di spessore metrico, costituiti da calcilutiti brecciate (pebbly mudstone). I calcari a Daonella sono sormontati dai tipici sedimenti della Formazione Mufara costituiti da alternanze di calcilutiti grigie sottilmente stratificate e marne brune. Questi terreni sono probabilmente scollati dalle calcilutiti sottostanti, anche se mantengono un apparente rapporto stratigrafico. I depositi della Formazione Mufara passano verso l’alto, lungo il versante di Monte San Salvatore, alle dolomie della Formazione Quacella e, quindi, ai depositi del Flysch Numidico. Piuttosto limitata è l’estensione laterale dei calcari a Daonella, in quanto confinati al Pizzo di Sant’Otiero. Le calcilutiti stratificate sono piegate a formare un’ampia sinclinale asimmetrica orientata est-ovest ed immergente ad ovest. Il fianco settentrionale della sinclinale è sub verticale mentre quello meridionale presenta debole inclinazione. 2014 numero unico gdiS LA SEZIONE DI SANT’OTIERO Le megabrecce presenti nella porzione inferiore della sezione di Sant’Otiero hanno tessitura clastosostenuta con extraclasti sub-angolari poco selezionati, con dimensioni assai variabili da pochi cm a qualche metro. Fra gli elementi è presente una matrice micritica con peloidi e frammenti di bivalvi pelagici (Di Stefano et al, 2012). L’analisi petrografica e sedimentologica degli elementi ha permesso di riconoscere finora 4 diverse microfacies: Grainstone ad alghe Dasicladali. Questa microfacies è caratterizzata da abbondanti manicotti calcarei dell’alga dasicladacea Diplopora annulatissima Pia associati ad altro materiale scheletrico costituito da frammenti indeterminabili di alghe calcaree e rari foraminiferi bentonici; la microfacies in questione è tipica di ambienti lagunari di piattaforma carbonatica del tardo Anisico (Illirico superiore) fino alla base del Ladinico (Fassanico inferiore) (Velledits et al., 2011). Grainstone a peloidi con foraminiferi bentonici e “Tubiphytes”. Questa microfacies è molto comune nei materiali studiati e consiste essenzialmente di areniti finissime con peloidi e foraminiferi bentonici (fra i quali Endotriadella wirzi Kohen-Zaninetti, 1969; emend. Vachard et al., 1994) associati ad abbondanti frammenti dell’organismo problematico “Tubiphytes”. Quest’ultimo, spesso associato a spugne calcaree, ha rappresentato un importante biocostruttore dei margini delle piattaforme carbonatiche triassiche. Boundstone algale con Zornia obscura SenowbariDaryan & Di Stefano. Si tratta di piccole biocostruzioni formate da un’alga calcarea problematica segnalate in depositi di piattaforma mediotriassici. Calcilutiti con calcisfere e filaments. Questa microfacies, tipica di ambiente pelagico costituisce in genere piccoli litoclasti, ed è del tutto simile alla matrice della megabreccia. I clasti derivano con ogni probabilità dal settore di scarpata nel quale si sono messe in posto le calciruditi. Fig. 2 – Panoramica della sezione mediotriassica di Pizzo Sant’Otiero. Si nota la porzione inferiore, massiva, costituita da calciruditi e la porzione superiore, calcilutitica, ben stratificata. Quest’ultima è stata oggetto di campionamenti per le analisi biostratigrafiche a daonelle ed a conodonti (intervallo fra le linee rosse). gdiS 2014 numero unico 75 Fig. 3 – Particolare del livello 5 ST, costituito da una lumachella a Daonella tyrolensis. Sulla base delle microfacies rinvenute e della loro attribuzione stratigrafica è possibile affermare che le microfacies neritiche sono tipiche di ambienti lagunari e del margine di una piattaforma carbonatica dell’Anisico. La successione di calcilutiti che sovrasta il corpo di brecce postdata l’evento di messa in posto del corpo calciruditico che viene quindi a collocarsi fra l’Anisico sommitale ed il Ladinico basale. È evidente che le aree di alimentazione delle calciruditi sono individuabili nella Piattaforma Panormide che ha, successivamente, alimentato i depositi di scarpata della Fm. Quacella e le calciruditi del “Wildflysh”. La parte superiore della sezione di Sant’Otiero consiste, di calcilutiti grigio scure in spessi strati pian paralleli. Questa parte della sezione è caratterizzata da una stratificazione ben evidente nella cui porzione superiore è possibile individuare alcuni letti costituiti da una lumachella a Daonella spp. (Fig. 3). Le daonelle sono un gruppo di bivalvi pelagici caratteristici del Triassico Medio e sono degli ottimi indicatori biostratigrafici tanto che è stato possibile realizzare una accurata biozonazione (McRoberts, 2010). In particolare a Sant’Otiero è stata determinata Daonella tyrolensis Mojsisovics, le cui caratteristiche morfologiche sono 76 facilmente riconoscibili per l’alta densità delle ben evidenti pliche triforcate e dal tipico contorno delle valve. La D. tyrolensis è tra le più diffuse daonelle del Ladinico alpino ed è correlabile alla zona ad ammonoidi a Protrachyceras longobardicum indicativa del Ladinico Superiore (Longobardico). Più recentemente la porzione superiore calcilutitica della successione di Sant’Otiero è stata oggetto di uno studio biostratigrafico a conodonti, al fine di definirne l’attribuzione cronostratigrafica (Di Stefano et al, 2014). Il campionamento effettuato negli strati basali, nella porzione intermedia e al tetto delle calcilutiti ha permesso di accertare la presenza di esemplari di conodonti afferenti ai generi Budurovignathus e Paragondolella. Tali biomarkers hanno confermato le precedenti attribuzioni stratigrafiche ed hanno consentito, in particolare con la presenza di Budurovignathus hungaricus (Kozur & Végh) negli strati basali, di estendere al Ladinico Inferiore (Fassanico, zona a Protrachyceras gredleri) l’età della porzione inferiore delle calcilutiti. Sulla base dei dati biostratigrafici complessivamente disponibili l’età della successione calcilutitica è quindi compresa tra il Ladinico Inferiore e la parte media del Ladinico Superiore. 2014 numero unico gdiS CONCLUSIONI La sezione stratigrafica di Pizzo Sant’Otiero, costituita da megabrecce ad elementi neritici con Diplopora annulatissima, sormontate da calcilutiti a Daonella tyrolensis, rappresenta un geosito unico nel suo genere per l’area centro-mediterranea, in quanto consente di documentare l’esistenza di un bacino sedimentario pelagico ad alimentazione carbonatica che è perdurato per gran parte del Ladinico. In questo bacino, alla fine dell’Anisico o nel Ladinico Inferiore, si è messo in posto, attraverso processi di risedimentazione gravitativa, un prisma di calciruditi con elementi extrabacinali. Le microfacies rinvenute fra gli elementi, indicative di un ambiente di piattaforma carbonatica dell’Anisico, consentono di documentare ulteriormente l’esistenza della piattaforma carbonatica Panormide già nel Triassico Medio. L’assetto tettono-stratigrafico di Pizzo Sant’Otiero costituisce una ulteriore evidenza della presenza di terreni pre-carnici nell’originario multistrato sedimentario che costituiva i domini paleogeografici della Sicilia paleoalpina e della loro scarsa preservazione a causa degli estesi fenomeni di scollamento durante i processi di contrazione che hanno determinato il corrugamento della catena Appenninico-Maghrebide. BIBLIOGRAFIA ABATE B., CATALANO R., D’ARGENIO B., DI STEFANO P. & RENDA P. (1982) - Facies sedimentarie e rapporti strutturali nelle Madonie Orientali. In: Catalano R. & D’argenio B. (eds.) - Guida alla Geologia della Sicilia Occidentale. Guide Geol. Reg., Soc. Geol. It., Suppl. A: 43-45. CAFLISH L. & SCHMIDT DI FRIEDBERG P. 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Str., 117(2):221-268. 77 CARTA GEOLOGICA DEL VERSANTE MERIDIONALE DELLE MADONIE OCCIDENTALI Torre° A. - Torre° F. - Napoli* G. - Perrone°° M. - Zarcone* G. - Renda* P. & Di Stefano* P. * Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze della terra e del Mare (DiSTeM) via Archirafi 20, Palermo ° Istituto Euro Mediterraneo di Scienza e Tecnologia (I.E.ME.S.T.) Via Emerico Amari 123, Palermo °° Via Eurialo 32, Palermo Particolare della cartina inserita a corredo della rivista 78 2014 numero unico gdiS Il gruppo montuoso delle Madonie rappresenta un esteso segmento della catena Appenninico – Maghrebide che occupa la porzione centro settentrionale della Sicilia, e deriva dalla deformazione di originari domini paleogeografici facenti parte, durante il Mesozoico – Terziario, del settore siculo appenninico del margine continentale africano (Abate et alii, 1982) e messe in posto durante le fasi tettoniche del miocene inferiore (Ogniben, 1960; Broquet, 1968-1972; Grasso et alii., 1978, Abate et alii., 1982) Questo contributo cartografico rappresenta una sintesi dei rilievi geologici e delle analisi stratigraficostrutturali svolte nell’area dagli autori nell’ultimo decennio. Nel versante meridionale delle Madonie, compreso tra gli abitati di Caltavuturo, Polizzi Generosa, Castellana Sicula e Petralia Sottana, affiorano successioni calcareo-silico-marnose e silico-clastiche di età mesozoico-terziaria riferibili ai Domini Sicilide, Imerese, Panormide e Numidico, sovrapposte tettonicamente ai più recenti depositi clastici, evaporitici e carbonatici deposti nei bacini sin-tettonici mio-pliocenici. I dati stratigrafici e le analisi strutturali hanno mostrato l’esistenza di una fase tettonica di età postPliocene Inferiore che causa l’accavallamento del Flysch Numidico sulle unità Sicilidi e di entrambi sui Trubi e sui terreni del Miocene superiore. L’importanza rivestita dai Trubi è data dal fatto che essi predatano importanti strutture compressive sviluppatesi nelle Madonie e lungo la loro fascia pedemontana (Abate et alii, 1991). Tale fase tettonica determina sia una ulteriore deformazione della catena con traslazioni di minore entità e superfici di sovrascorrimento che coinvolgono i terreni del Miocene superiore e del Pliocene Inferiore, che la formazione di un complesso sistema di strutture plicative orientate E–O probabilmente dovute ad un cambiamento verso Sud della direzione tettonica di stress (Abate et alii, 1991). Tra il Pliocene ed il Pleistocene nell’area si instaurano movimenti trascorrenti probabilmente legati alla dinamica di apertura del Bacino Tirrenico (Finetti & Del Ben, 1986; Sartori, 1989; Boccaletti et alii,1990; Argnani, 2000; Renda et alii., 2000) determinando un’ulteriore deformazione ed ulteriori rotazioni della catena (Grasso et alii, 1987; Oldow et alii, 1990). I fronti di sovrascorrimento vengono dislocati da fasci di faglie trascorrenti, orientate NO-SE e NE-SO che generano nuovi sistemi di pieghe orientate NE-SO e creano nuovi piani di sovrascorrimento che a luoghi riattivano quelli miocenici, rideformando le unità tettoniche già messe in posto. gdiS 2014 numero unico BIBLIOGRAFIA ABATE B., CATALANO R., D’ARGENIO B., DI STEFANO P. & RENDA P. (1982a) – Facies sedimentarie e rapporti strutturali nelle Madonie Orientali. In: CATALANO R. & D’ARGENIO B. (eds), “Guida alla geologia della Sicilia occidentale”, Guide Geologiche Regionali. Mem. Soc. Geol. It., Suppl. A., 24, 43-45, Palermo. ABATE B., DI STEFANO E., INCANDELA A. & RENDA P. (1991) - Evidenze di una fase tettonica pliocenica nelle Madonie Occidentali. Mem. Soc. Geol. It., 47, 225-505. ARGNANI, A. (2000) - “The Southern Tyrrhenian subduction system: recent evolution and neotectonic implications”. Ann. 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(Istituto EuroMediterraneo di Scienza e Tecnologia). – I due sondaggi per idrocarburiubicati ad ovest di Petralia Sottana sono manifestazioni di olio minerale. – Il sondaggio per idrocarburiubicato a Madonna dell’Olio (Blufi) è una manifestazione di olio minerale. – Uno dei due geositi posti a nord di località Raffo (P. Soprana) è una miniera di salgemma attiva. – Nel versante ovest di Rocca di Sciara a nord di Caltavuturo, è presente una cava attiva. 79 Attività del Consiglio “GEOSITI IN SICILIA. APPLICAZIONE L.R. 25 DELL’11-4-2012” Giornata di Studi - Alcamo (TP) Si è svolta il 25 giugno 2014, ad Alcamo (TP), la giornata di studi indetta dall’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia su “Geositi in Sicilia. Applicazione L:R. 25 dell’11-4-2012”. La manifestazione che rientra nel programma dell’aggiornamento professionale continuo portata avanti dall’Ordine Regionale, organizzata con il patrocinio dell’Università degli Studi di Palermo e del Comune di Alcamo, ha visto una notevole partecipazione di geologi professionisti, nonché di funzionari della Regione e la presenza di alcuni politici locali. La giornata di studio ha consentito di fare il punto sullo stato di attuazione della Legge Regionale che istituisce, anche in Sicilia, i geositi, un nuovo strumento specificatamente volto alla tutela e valorizzazione del patrimonio geologico. La scelta della città di Alcamo non è stata casuale; infatti questa città custodisce uno dei più importanti Geositi a livello mediterraneo. Si tratta della Cava Cappuccini, ove è possibile osservare i rapporti stratigrafici tra rocce di diverse età caratterizzate dalla presenza di resti fossili degli elefanti di taglia ridotta che hanno popolato la Sicilia durante il Pleistocene medio e superiore. Questo aspetto è stato messo in evidenza sia dai relatori chiamati a svolgere le diverse relazioni scientifiche sia durante il dibattito che ne è seguito. Tutti i convenuti hanno ribadito in maniera unanime l’eccezionale importanza del geosito, (del quale e in corso l’istituzione formale) che è stato definito “patrimonio geologico dell’umanità”, nonché la preoccupazione che eventuali opere di sistemazione dei luoghi possano arrecare danni alle evidenze paleontologiche presenti sul terreno, auspicando quindi un rigoroso controllo scientifico nella sistemazione dell’area. L’intervento di Francesco Criscenti, tesoriere dell’Ordine dei Geologi e Girolamo Culmone. L’escursione guidata per le vie del centro storico di Alcamo. Uova di tartaruga (Geosito Cava Cappucini – Alcamo). 80 2014 numero unico gdiS I GEOLOGI JUNIOR DELLA SICILIA SI INCONTRANO Giorno 25 Settembre 2014, presso la sede dell’Ordine a Palermo, si sono incontrati i Geologi Junior della Regione Sicilia. L’iniziativa è nata, per cominciare a discutere ed avere un confronto su tutte le problematiche che la categoria dei Geologi Junior oggi deve affrontare nel mondo del mercato professionale. Sono state evidenziate diverse criticità della categoria junior, nata proprio a partire dal DPR del 5 giugno 2001 n° 328, che sanciva la nascita dei due Albi professionali. È evidente che oggi esistono troppi limiti professionali dettati dal su detto DPR, con cui vengono distinte le diverse competenze, tra il geologo Junior ed il geologo Senior. L’attività professionale che può svolgere un geologo Junior è abbastanza limitata. Dopo 13 anni dall’entrata in vigore del nuovo sistema universitario e dunque professionale, in Sicilia gli iscritti all’albo professionale dei Geologi Junior non raggiungono nemmeno una decina ed in Italia sono appena 73, significando che qualche criticità il nuovo sistema lo ha creato, soprattutto dal punto di vista degli sbocchi lavorativi. L’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia con me consigliere Junior, vorrebbe iniziare un percorso di discussione con tutti gli altri consiglieri geologi Junior delle altre regioni d’Italia, per riuscire con l’ausilio del Consiglio Nazionale dei Geologi, ad intraprendere iniziative volte ad un miglioramento e ad una implementazione delle competenze professionali dei giovani professionisti. Penso che quando attorno ad un tavolo si sono stabilite le competenze del Geologo Junior e del Geologo Senior, quest’ultimo non poteva essere presente proprio perché era una novità in assoluto in Italia; oggi però il geologo Junior è una realtà che può e vuole esprimere la propria opinione. Credo che ci sia tanto da lavorare, se veramente si vuole rilanciare un mercato giovanile professionale in crisi, iniziando ad ascoltare di più, da oggi, i rappresentanti dei geologi Junior, cui il contributo potrebbe essere importante per tutta la categoria. Basterebbe poco, soprattutto per dare un’impennata di fiducia a chi si trova oggi ad iniziare o ultimare il percorso accademico triennale in scienze della Terra. Geol. Francesco Dionisi Consigliere Junior ORGS gdiS 2014 numero unico PROTOCOLLO D’INTESA ORGS-ANCI SICILIA Gli avvenimenti catastrofici alluvionali ed i dissesti idrogeologici verificatisi negli ultimi anni in Sicilia, hanno evidenziato ancora una volta l’e- strema vulnerabilità del patrimonio residenziale ed infrastrutturale del territorio regionale. Il pesante bilancio che la nostra Regione ha subito, anche in termini di perdita di vite umane, ha spesso evidenziato l’impreparazione delle istituzioni locali ad affrontare situazioni di emer- genza. È indubbio che il Sindaco, in qualità di autori- tà comunale di protezione civile, al verificarsi del- l’emergenza nell’ambito del territorio comunale, assume la direzione e il coordinamento degli inter- venti di soccorso e programmazione. Tutto ciò porta alla consapevolezza che sia necessaria una preparazione nella gestione delle emergenze e delle attività di previsione e preven- zione, attraverso una sinergia tra amministrazioni competenti (Regioni, Comuni, enti pubblici), asso- ciazioni di volontariato, Ordini Professionali e soggetti privati. Un primo ed importante passo nella direzione di educare ad una cultura della prevenzione è sicu81 L’incontro del Presidente Fabio Tortorici e alcuni Consiglieri dell’ORGS (da sinistra: Giovanni Pantaleo, Giuseppina Scianna e Calogero Cannella) con l’On. Leoluca Orlando Presidente ANCISICILIA. ramente la conoscenza dei fenomeni e delle cause che comportano rischi di natura geologica (sismi- co, vulcanico, idrogeologico, idraulico), soprattut- to in un territorio come il nostro, complesso ed esposto agli stessi rischi. Nell’ottica di fornire un sostegno concreto alle amministrazioni dell’Isola ed affrontare le nume- rose criticità presenti sul territorio, attraverso pro- grammi di interventi di sensibilizzazione per la mitigazione del rischio geomorfologico, idraulico e sismico anche ai fini di protezione civile, l’Ordi- ne Regionale dei Geologi di Sicilia ha siglato il 2 Aprile 2014 un Protocollo d’Intesa con l’ANCI Sicilia, nella sua sede di Villa Niscemi. Con il presente protocollo, i Comuni che aderiranno potranno avvalersi di geologi liberi profes- sionisti regolarmente iscritti all’Ordine, che a tito- lo volontario vogliano promuovere attività d’inte- resse comune nell’ambito della sensibilizzazione e prevenzione dei rischi naturali (sismico, vulcani- co, idrogeologico, idraulico, …) anche nelle scuo- le dell’obbligo. La sottoscrizione del protocollo tra il nostro Ordine regionale e l’AnciSicilia, di fatto ha forma- lizzato l’istituzione di un gruppo di lavoro tra i due soggetti firmatari, che riunendosi almeno due volte l’anno, ha il compito di attuare un program- ma di attività che prevedono: 82 • La predisposizione di un Piano di informazione da trattare nell’ambito della divulga- zione dei rischi naturali da attuarsi nei Comuni e nelle scuole dell’obbligo della Regione Siciliana. • Lo sviluppo di una più ampia conoscenza del sistema Terra, indirizzando la popola- zione verso un approccio con la natura più approfondito e una coscienza ambientale più radicata. • La diffusione della conoscenza e della cul- tura della Protezione Civile anche median- te la conduzione di attività di carattere for- mativo. • Una collaborazione con i comuni per la corretta applicazione delle norme legislati- ve attinenti la professione del geologo al fine di adottare buone prassi amministrati- ve rispetto agli obblighi previsti per legge. Tale protocollo rilancia ancora una volta la figura del Geologo, che nella nostra regione, ha assunto negli ultimi anni un importante ruolo nel supportare il Dipartimento di Protezione Civile Regionale nella gestione delle emergenze e nelle fasi post-emergenziali, attraverso la Convenzione del 13 Luglio 2011 stipulata tra Regione Siciliana e Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia, con la quale sono state disciplinate le attività di presidio territoriale idrogeologico. Giovanni Pantaleo Coordinatore Commissione LL.PP. e Urbanistica ORGS 2014 numero unico gdiS ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE REGIONALE DI PROTEZIONE CIVILE L’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia ha istituito, con apposito atto deliberativo di Consiglio del 26 settembre 2013, la Commissione Regionale di Protezione Civile. L’attività svolta nel periodo 26 settembre 2013 3 dicembre 2014 è stata la seguente: 1. Suggerimenti per la predisposizione dei nuovi atti di indirizzo per le procedure operative di impiego dei geologi in emergenza sismica e in emergenza idrogeologica (Accordo di collaborazione fra DPC e CNG). 2. Stesura e invio proposta protocollo d’intesa tra Dipartimento Regionale della Protezione Civile e Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia sul programma di informazione sui rischi naturali e delle consequenziali azioni di prevenzione proprie delle attività di Protezione Civile, da attuare nelle scuole del territorio regionale. 3. Stesura e sottoscrizione protocollo di intesa tra ORGS e ANCI Sicilia al fine di sviluppare un programma di attività di informazione, educazione e sensibilizzazione nei comuni e nelle scuole dell’obbligo della Regione Siciliana, sui reali rischi che derivano dalle calamità naturali. Inoltre, un programma più specifico, destinato alle scolaresche, cercherà di ampliare la conoscenza del “Sistema Terra”, indirizzando gli studenti verso un approccio con la natura più approfondito con una coscienza ambientale più radicata. 4. Condivisione e sottoscrizione Accordo Quadro tra ORGS, Associazione Internazionale dei Lions - Distretto 108 Yb Sicilia, Scuola Politecnica dell’Università agli Studi di Palermo, Ordine degli Ingegneri di Palermo, Dipartimento della Protezione Civile della Regione Siciliana, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, per la diffusione della “Cultura della prevenzione nell’ambito della tutela dell’ambiente”. 5. Stesura e sottoscrizione protocollo d’intesa ORGS - DRPC per attività in emergenza e post-emergenza idrogeologica e sismica. 6. Proposte di modifiche e integrazioni alla “Bozza della Legge Regionale in materia di Protezione Civile”. gdiS 2014 numero unico Da sinistra: Rotigliano (UNIPA), Randazzo (UNIME), Antoci (Parco dei Nebrodi), D'Oriano (CNG), Tortorici (ORGS). Firma protocollo d’intesa ORGS - DRPC (Palermo 19 novembre 2014). Firma Accordo Quadro con Lions - Distretto 108 Yb Sicilia (Palermo 13 maggio 2014). 83 7. Stesura e invio bozza nuova convenzione con il Dipartimento Regionale della Protezione Civile (attività di presidio territoriale idrogeologico), scaduta il 23 agosto 2014. Al riguardo, alla luce dell’avvio del nuovo Centro Funzionale Decentrato Multirischio e della pianificazione delle attività su tutto il territorio regionale, preso atto della volontà del DRPC di proseguire tale rapporto di collaborazione, a breve essa sarà definita per assicurarne la riattivazione. 8. Sottoscrizione data 2 dicembre 2014 del protocollo d’intesa tra ORGS, CNG, Parco dei Nebrodi, Università degli Studi di Messina per il tramite del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra, Università degli Studi di Palermo per il tramite del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare, per la costituzione del “Centro Studi Rischi Geomorfologici dei Nebrodi CERIGE”, con finalità di attuare concrete misure di previsione e di prevenzione del rischio geo-idrologico. GiornaleOnLine Calogero Cannella Coordinatore Commissione Protezione Civile ORGS A TUTTI GLI ISCRITTI Essendo pervenute numerose richieste di chiarimenti riguardo l’obbligo di stipula della polizza professionale, da parte di chi non svolge la libera professione, si specifica quanto segue. Il D.P.R. 7 agosto 2012 n° 137 “Regolamento recante Riforma degli ordinamenti professionali a norma dell’articolo 3, comma 5, del Decreto-Legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148”, stabilisce all’art. 5 l’obbligo di stipula di assicurazione per il professionista per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale (ivi comprese le attività di custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente stesso). Da un’attenta lettura del su citato comma 1 dell’art. 5 del D.P.R. 137/2012, che recita: “il professionista è tenuto a stipulare .… idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale…”, si eviche esnce iste un collegamento diretto tra l’obbligatorietà della stipula della polizza e lo svolgimento effettivo dell’attività professionale. Pertanto, si desume che l’obbligo di assicurazione ricade esclusivamente sui professionisti che esercitano in maniera tangibile l’attività professionale e che quindi col proprio lavoro possono arrecare danno alla committenza. Va da se, che chi non sottoscrive studi geologici, non può provocare effetti negativi su cose e persone e conseguentemente non necessita di polizza professionale. Cordiali saluti. IL PRESIDENTE DELL’O.R.G.S. Geol. Fabio Tortorici 84 2014 numero unico gdiS LA TARIFFAZIONE DEI LAVORI PRIVATI Criteri univoci e razionali contro la concorrenza sleale Corrado Ingallina – Consigliere ORGS Dopo che il Decreto Bersani (DL 223/2006) abolì l’obbligo dell’inderogabilità delle tariffe minime dei professionisti, sappiamo tutti che ci fu l’ecatombe nel settore dei lavori pubblici, con un calo abnorme dei compensi professionali e dei relativi redditi dei professionisti geologi e non solo; ma c’era ancora qualche amministrazione che, anche in relazione all’importanza dei lavori che commissionava e del budget per realizzarli, applicava la tariffa anche a garanzia della qualità della prestazione, talvolta pretendendo il solo sconto del 20% previsto dalla L. 155/89; peraltro il Consiglio di Stato, nel 2009, aveva sancito che le tariffe professionali conservavano “carattere di riferimento” per la determinazione del compenso delle prestazioni rese alla P.A. Ma poi arrivò il Prof. Monti, che pensò bene di darci il colpo di grazia con il decreto sulle liberalizzazioni (DL 1/2012), il quale cancellò completamente le tariffe professionali, benché il precedente DL223/2006 ne aveva già abolito l’obbligo. Oggi, vista l’impossibilità di quantificare i compensi delle prestazioni professionali di ingegneri, architetti, geometri geologi, da mettere a gara per l’affidamento di incarichi pubblici, dato che le tariffe professionali, già leggi dello Stato, erano state abrogate dallo stesso Stato, ecco che arriva il DM 143/2003, che, pensate un po’, quantifica ogni prestazione sulla base di percentuali, importi e parametri vari…..alla stregua dei vecchi tariffari ! Ma se la situazione nel pubblico è radicalmente cambiata, con determinazioni di compensi che poi vengono spesso letteralmente decapitati da ribassi scandalosi, nel settore privato le cose permangono tali e quali, con l’aggravante che il riferimento normativo non esiste più, dato che il citato DM 143/2013 fa riferimento ai soli lavori di evidenza pubblica. Allora cerchiamo di capire il quantum corretto per una prestazione professionale erogata a favore di un privato, che sia cittadino o impresa. Più di una volta ci sarà capitato di fare un preventivo per la consulenza a supporto del progetto di una palazzina o di una casetta di campagna, o di qualsiasi altra opera che necessita di apposito studio geologico, e, con grande delusione, di avere scoperto successivamente che il gdiS 2014 numero unico collega della porta accanto o del paese limitrofo ha fatto il lavoro per la metà o per un terzo della cifra richiesta da noi, con il risultato di aver perso il lavoro (quindi il compenso). Ebbene, in questi ultimi 25 anni, da quando esercito la professione di geologo, le cose sono andate sempre a peggiorare, probabilmente anche per il crescente numero di geologi che operano sul territorio, ma sicuramente per la scarsa considerazione che abbiamo di noi stessi, scendendo talvolta a compromessi che mettono a repentaglio non solo la nostra personale reputazione, ma quella dell’intera categoria. Ma a cosa andiamo incontro quando apponiamo il nostro autografo con un timbro su una relazione geologica? Cerchiamo di capire cosa c’è dietro quel timbro e cosa ci aspetterà domani. La cosa più banale, ma non meno importante, è che con la laurea e con l’abilitazione alla professione di geologo abbiamo fatto un investimento, o meglio, i nostri genitori hanno investito su di noi permettendoci di studiare fino alla soglia dei 25/30 anni, con sacrifici economici ed emotivi non indifferenti (avete fatto mai un calcolo di quanto è costata la nostra laurea?). Basterebbe solamente questo a farci capire che il lavoro va pagato e non sottopagato. Ma non è solo questo. Pensiamo per un momento di redigere una relazione geologica a supporto di un grosso fabbricato, magari del valore di 500 mila euro, facendoci pagare come se fosse la relazione per una fossa Imhoff o per la denuncia di un pozzo; ipotizziamo che quella costruzione cominci a subire danni strutturali per una nostra errata valutazione o perché non abbiamo fatto sufficienti indagini (ritenendo che per quel prezzo non valeva la pena nemmeno di fare un sopralluogo!); a quel punto per cosa credete che saremmo tenuti a rispondere davanti a un giudice, per il modestissimo compenso che abbiamo percepito o per il costo dell’intero fabbricato? Ebbene, cari Colleghi, saremmo ritenuti responsabili per tutto il valore dell’immobile, incluse le porte e i rubinetti, l’impianto elettrico e gli intonaci, il cemento armato e i laterizi, perchè entra in gioco la cosiddetta responsabilità patrimoniale, la stessa che ci permetteva una volta, a norma di legge, di calcolare l’onorario a percentuale su tutto il valore di un’opera, valore che nel 85 pubblico si configura nell’importo base d’asta dei lavori. Oggi abbiamo sì l’obbligo di un’assicurazione professionale che ci dovrebbe tutelare, ma ciò non toglie che incidenti del genere compromettano la nostra professionalità, nonché siano fonte di lunghi periodi di stress, spese legali, inimicizie, e quant’altro di spiacevole. Nella tariffazione di un lavoro privato bisogna capire ed evidenziare un altro aspetto, non meno importante, certamente caratterizzante di qualsiasi professione intellettuale: l’etica e la dignità professionale. Spesso siamo soggiogati da clienti e/o tecnici senza scrupoli (ma talvolta anche da enti pubblici) che ci impongono più o meno direttamente come e quanto dobbiamo tariffare, che ci fanno intendere che se non lo facciamo noi quel lavoro, a quel prezzo, ne troveranno altri cento di geologi disposti a farlo; allora accettiamo mestamente l’offerta di qualcuno che, dopo che ci ha salutati, andrà a dire a destra e a manca che il geologo tal dei tali fa le relazioni per quattro soldi, che fa risparmiare perché non chiede nemmeno le indagini, che non fa distinzioni tra lo studio geologico per un grattacielo e per una casetta....tutti allo stesso prezzo! Ma cosa crediamo possano pensare questi tecnici e i loro clienti, quale considerazione possono avere di noi, a quale dignità professionale potremo assurgerci? Certamente, non è sempre così e non è così per tutti, ma coloro che operano in quella direzione remano contro un’intera categoria, già spesso in combutta con categorie più forti e rinomate; forse questi non si rendono conto che fare il professionista significa assumersi delle responsabilità in “modo responsabile”, significa avere rispetto per sé stessi, per i colleghi e per la professione, significa in una parola avere moralità, dignità ed etica professionale; fare il professionista non è come coltivare un hobby nel tempo libero o praticare uno sport: fare il professionista significa esercitare un mestiere, che richiede anche un non indifferente impegno economico per i costi di una struttura come lo studio professionale (affitto, luce, telefono, computer, hardware, sofware, etc.). l’assicurazione obbligatoria, l’aggiornamento professionale continuo (APC), la cassa di previdenza (EPAP), la tassa d’iscrizione all’Albo, l’onorario del consulente , i costi di gestione di un’autovettura …..inoltre, fare il professionista ci dovrebbe consentire anche di vivere, poiché la Professione di Geologo è un lavoro vero e proprio, è il nostro mestiere, rispettiamolo! Dopo queste riflessioni centriamo l’argomento tariffazione dei lavori privati, partendo dal logico pre86 supposto che tutti i lavori non sono uguali, indi per cui non si può chiedere lo stesso compenso per un palazzo e per una cappella gentilizia, per un impianto di smaltimento al suolo di una casetta di campagna e di un albergo: la complessità e l’incidenza delle opere sul suolo devono sempre essere la base per il calcolo della tariffa. Un criterio direttamente derivato dalle vecchie tariffe potrebbe essere l’applicazione di una percentuale su un importo orientativo dell’opera, decrescente all’aumentare del suo valore, come peraltro avveniva nel vecchio tariffario; sicuramente con percentuali dell’ordine di un punto difficilmente si può arrivare a meno di 1000 euro di compenso, oltre le indagini naturalmente. E quando non c’è importo su cui applicare la percentuale o se non si vuole utilizzare tale criterio, anche perché si può trattare di una prestazione idrogeologica o ambientale, o una consulenza di qualsiasi tipo, come ci possiamo comportare? Prendiamo come base per una corretta tariffazione il tempo impiegato materialmente per fare il lavoro, compresi i sopralluoghi, le visite agli uffici, i viaggi, l’assistenza ad eventuali indagini, l’elaborazione dei dati di campagna, tenendo presente che il costo orario (la vacazione) non può essere quello di una collaboratrice domestica (senza offesa), poiché siamo dei Professionisti Laureati! Sommiamo al costo orario le spese vive ed infine, discrezionalmente, in funzione dell’importanza del lavoro (che dipende oltre che dall’importo, dalla tipologia dell’opera e dalla sua incidenza sul territorio), aggiungiamo una cifra che ‘paga’ la nostra competenza, professionalità e soprattutto la responsabilità che su quell’opera avremo….pensate che ci possano essere prestazioni che valgano meno di 500 Euro? Vedete, con un pò di buon senso si può arrivare alla determinazione di onorari dignitosi, al di sotto dei quali si minano l’importanza e il decoro della Professione di Geologo. Il meccanismo perverso di concorrenza sleale a cui da tempo siamo abituati non fa altro che creare confusione tra i committenti, con evidente perdita di immagine e di credibilità. Credo dipenda solo da noi il futuro di questa bella nostra Professione, da come noi ci presentiamo e ci poniamo alla gente e da come la gente ci considera; e la misura di questa considerazione si basa anche sui criteri di determinazione degli onorari, che devono essere più che mai univoci, oltre che commisurati al tipo di prestazione. 2014 numero unico gdiS VERSO GLI UGT UFFICI GEOLOGICI TERRITORIALI Calogero Pecoraro - Commissione Protezione Civile ORGS sità e definire interventi strutturali mirati alla crescita A poco più di un anno e mezzo dall’insediamento di del territorio. questo nuovo consiglio è giunto il momento di fare Questa necessità nasce fin dai primi anni dello un’analisi sulle attività portate avanti e porre un punto Stato unitario dove importanti studiosi come Quintidi riflessione su come indirizzare meglio la gestione no Sella e Felice Giordano, chiamarono il governo a delle proposte per il raggiungimento degli obbiettivi predisporre strumenti di base come quello della Carta prefissati. geologica d’Italia, con la consapevolezza che la conoIl nostro Ordine, tra i propri compiti istituzionali, scenza del suolo e del sottosuolo costituisse l’indiha posto particolare attenzione all’opera di sensibilizspensabile supporto delle attività industriali, agricole zazione dell’opinione pubblica, delle istituzioni e ed infrastrutturali. Oggi più che mai, l’O.R.G.S. invidegli enti preposti alla salvaguardia del territorio ta il governo a dotarsi di uno strumento vitale per il affinché si recepisse quanto è importante la figura del territorio che è quello dell’Ufficio Geologico TerritoGeologo e quanto può contribuire a rendere più sicuriale (UGT), consapevole che un maggior coinvolgiro un Paese così fragile dove secondo dati del Minimento dei Geologi consentirebbe una più attenta ed stero dell’Ambiente, sono 6.633 (82%) i comuni in efficacie pianificazione territoriale con conseguente pericolo per il dissesto idrogeologico, oltre la metà riduzione degli effetti calamitosi che affliggono il degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane, Paese. smottamenti, terremoti, fenomeni vulcanici e persino Un forte ringraziamento va all’Onorevole Tonino maremoti. Negli ultimi 80 anni si sono verificati circa Moscatt e al nostro Presidente del C.N.G. Gianvito 5.400 alluvioni e 11.000 frane. In Italia per oltre 50 Graziano, per aver fin da subito creduto nel progetto e anni sono stati consumati in media 7 mq al secondo di per averci supportati ed accompagnati in questo persuolo, mentre oggi se ne consumano addirittura 8 mq corso intriso di difficoltà ed ostacoli. al secondo evidenziando la drammatica situazione La battaglia non è ancora vinta ma l’O.R.G.S. non morfologica dei nostri territori. Ogni 5 mesi viene si fermerà fin quando l’obbiettivo non sarà raggiunto. cementificata una superficie pari a quella del comune In queste settimane è stato presentato un’O.d.g per l’idi Napoli e ogni anno una superficie pari alla somma stituzione dell’U.G.T.. di quelle dei comuni di Milano e di Firenze. In aggiunta a tali informazioni, fortemente drammatiche, ci sono le coste, che hanno subito attraverso una urbanizzazione sfrenata (non rispettando i vincoli imposti della cosiddetta “Legge Galasso” L. n. 431/1985), un’erosione dal 1985 ad oggi di ben 160 km di litorale; in 8 regioni italiane tra Adriatico e Tirreno, ben 1800 km di coste sono state trasformate dall’urbanizzazione. Si tratta di oltre il 55% delle coste analizzate. In definitiva è arrivato il momento di riflettere su come avviare attività volte a regolamentare l’uso del suolo al fine Al centro in primo piano il consigliere Calogero Pecoraro con il deputato Tonino Moscatt (a sinistra) con una delegazione del CNG. di limitare i fattori di pericolo- gdiS 2014 numero unico 87 ULTIME NOVITÀ SULL’AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE CONTINUO Giuseppe Collura - Consigliere ORGS e Componente della Commissione Nazionale APC presso il CNG Carissimi Colleghi, è in vigore dal 01 gennaio 2014, e per il triennio 2014/2017, il nuovo regolamento del Consiglio Nazionale dei Geologi - Regolamento per la formazione professionale continua, in attuazione dell’art. 7 del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137. Il regolamento, approvato con delibera del 5 ottobre 2013, è pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 22 del 30/11/2013. Il nuovo regolamento presenta numerose variazioni in particolare nelle modalità di accreditamento dei corsi. L’attività relativa all’APC è esplicitata dettagliatamente nelle circolari C.N.G. n. 368 del 04 dicembre 2013 e n. 377 del 30 gennaio 2014. Come già sapete dal 2010 (escluso quindi il primo triennio 2008/2010) la formazione/aggiornamento professionale non ha più carattere sperimentale ma obbligatorio. Le “Norme deontologiche riguardanti l’esercizio della professione del geologo in Italia” di cui alla delibera n° 143/06 del Consiglio Nazionale dei Geologi (CNG), all’art.7 e, segnatamente, all’art. 9 prevedono l’obbligo per il geologo di aggiornare la propria preparazione professionale. Pertanto tutti gli iscritti devono ottemperare all’obbligo deontologico dell’Aggiornamento Professionale Continuo (APC), nel rispetto e recepimento della risoluzione del Consiglio Europeo 2002/C 163/01 del 27 gennaio 2002 e così come ulteriormente disciplinato dal Nuovo Regolamento approvato dal Consiglio Nazionale dei Geologi. Ciascun periodo di APC ha durata triennale; è attualmente in corso il triennio 2014/2017. Fermo restando l’obbligo deontologico dell’aggiornamento professionale, per il suo adempimento ogni iscritto all’Ordine deve conseguire 50 crediti formativi che ha durata dal 01 gennaio 2014 - 31 dicembre 2017. L’obiettivo principale dell’APC è quello di garantire e migliorare nel tempo la qualità delle prestazioni professionali del professionista geologo, sia se impegnato nell’attività di libera professione. sia se dipendente privato o all’interno di enti e/o amministrazioni pubbliche. In sostanza tutti i geologi iscritti all’albo professionale dovranno frequentare corsi APC, seminari, convegni master riguardanti temi e argomenti attinenti la geologia e l’attività professionale di geologo. 88 In un momento molto difficile per le professioni tecniche legato principalmente ad una sfavorevole congiuntura economica, ma anche alla crescente complessità dello scenario normativo ed alla continua evoluzione del sapere scientifico e della tecnologia è necessario un continuo adeguamento delle competenze professionali del geologo che non può essere legato esclusivamente all’esperienza derivante dall’attività professionale. Il Consiglio dell’O.R.G.S., in questo anno ha avviato e organizzato numerose attività (corsi di aggiornamento professionale, convegni e seminari formativi), quasi tutte gratuite, minimizzando i costi per i Colleghi, soprattutto per quelli più giovani, e distribuendo in modo omogeneo gli eventi in tutte le province, affinché tutti gli iscritti abbiano la possibilità di acquisire nel modo più agevole possibile i crediti stabiliti dal regolamento. La programmazione degli eventi formativi è differenziata su un’ampia gamma di argomenti di interesse professionale e con particolare attenzione verso temi e ambiti professionali emergenti ed innovativi come le attività di studio e progettazione legate al nuovo “Decreto Crolli”, alla “Geologia Forense” alle Energie Rinnovabili e a tutto quanto attiene alle attività di recupero, bonifica e valorizzazione. Nella organizzazione di queste attività particolare attenzione è stata rivolta nella scelta dei docenti al fine di garantire standard di elevata qualificazione. Il CNG ha istituito una commissione nazionale APC, di cui faccio parte, con il compito di valutare i programmi degli eventi di formazione e di fissare i relativi crediti. Ricordo a tutti i colleghi che è possibile inoltrare al Consiglio dell’Ordine la richiesta di riconoscimento di eventi formativi APC frequentati organizzati ed accreditati da altri ordini professionali secondo una procedura descritta dal regolamento (Articolo 7 comma 10) su cui daremo prossimamente comunicazione con maggiori e più dettagliate informazioni. L’iscritto che non assolverà l’obbligo dell’APC, cosi come previsto dal regolamento, sarà assoggettato a procedure disciplinari. Maggiori informazioni possono essere acquisite collegandosi al sito http://www.geologidisicilia.it o contattando la segreteria dell’O.R.G.S. Buon Natale a Tutti. 2014 numero unico gdiS GEOLOGIA E GREEN ECONOMY NELLO SVILUPPO DEL SETTORE GEOTERMICO Antonio Cubito - Mario Leta - Commissione Energia ORGS In un contesto economico nazionale in cui la recessione e la crisi finanziaria hanno pesantemente colpito l’economia, il cambiamento verso una green economy e l’utilizzo di fonti energetiche alternative rappresenta un’occasione di rilancio per nuovi investimenti, per l’avvio di nuovi processi produttivi con un uso sostenibile e più efficiente delle risorse ambientali, per essere nuovamente competitivi ed innovativi. Già agli inizi del XX secolo a Larderello, in Toscana, il calore di fluidi geotermici fu utilizzato per generare elettricità facendo dell’Italia la prima produttrice al mondo di energia geotermoelettrica, idea che solo dopo parecchi anni si diffuse in altri paesi. La geotermia può pertanto considerarsi l’energia rinnovabile che storicamente rappresenta il nostro Paese, con ampi margini di crescita e di sviluppo locale, in ragione di un favorevole assetto geologico complessivo e di un potenziale naturale in grado di valorizzare l’uso di tale risorsa. Ciò nonostante la produzione di energia da fonti rinnovabili, ancora oggi, in Italia, risulta fortemente penalizzata rispetto quella ottenuta da materie prime fossili. In realtà lo sfruttamento della risorsa geotermica, nelle sue diverse forme (alta, media, bassa entalpia), comporterebbe significativi vantaggi anche in relazione alla differenziata vocazione delle aree di impiego. La geotermia, oltre ad essere finalizzata alla produzione di energia elettrica, può essere indirizzata all’ottimizzazione energetica dei processi industriali e/o agricoli e nei contesti urbani per il condizionamento termico degli edifici. La geotermia a bassa entalpia, che riguarda essenzialmente lo scambio termico con il sottosuolo, potrebbe assumere nel prossimo futuro un ruolo strategico nel programma di utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili al pari dell’eolico e del fotovoltaico. Inoltre esibisce elevata potenzialità poiché applicabile a qualsiasi latitudine, in qualsiasi luogo e situazione, soddisfacendo sia il fabbisogno di riscaldamento nel periodo invernale, sia quello di raffrescamento nel periodo estivo. Per tali ragioni la geotermia rappresenta una concreta prospettiva di lavoro per il geologo il cui contributo è indispensabile nella valutazione del rendimento termico del sottosuolo. gdiS 2014 numero unico Sulla base delle considerazioni esposte il consiglio dell’ORGS ha ritenuto opportuno dedicare una delle sessioni del recente congresso regionale, che si è tenuto a Siracusa nel mese di aprile u.s., agli aspetti inerenti le forme di utilizzo della risorsa geotermica applicate alle competenze del Geologo nella pianificazione e nello sfruttamento delle risorsa geotermica. I contributi dei diversi relatori hanno tracciato un importante percorso di sintesi e collegamento tra le esigenze dettate da un uso sostenibile delle risorse naturali e le possibili applicazioni correlate ad un’ottimizzazione dei processi, evidenziando le relazioni con la naturale vocazione del territorio siciliano. La sessione ha visto la partecipazione del Dott. Paride Antolini (coordinatore della commissione energia del CNG), del prof. Salvatore Monteleone (Distem, Università di Palermo) del dott. Salvo Torrisi (Università di Catania), del dott. Roberto Pedron (Sinergeo) del dott. Tranchida (CNR) della dott.ssa Adele Manzella (IGG di Pisa Coordinatrice del progetto VIGOR). I relatori hanno illustrato il ruolo che la geotermia ricopre di diritto nell’ambito della green economy, evidenziando il ritardo nello sfruttamento e nella valorizzazione di tale risorsa nel territorio italiano, soprattutto nel sud Italia, rispetto ai paesi del nord Europa e del Nord America. Gli interventi hanno affrontato gli studi attualmente in corso nell’isola di Pantelleria (per lo sfruttamento dell’energia geotermica ad alta entalpia) e l’impianto geotermico a bassa entalpia di Capo Granitola (Trapani), per il condizionamento delle strutture del CNR. Sono stati analizzati gli aspetti idrogeotermici e l’ottimizzazione dell’uso dei fluidi a bassa entalpia sul territorio siciliano e presentati alcuni studi per la valutazione della potenzialità geotermica su base provinciale riguardanti la valutazione del potenziale di scambio geotermico. La sessione è stata conclusa con la presentazione del progetto VIGOR (valutazione del potenziale geotermico delle regioni della convergenza Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), dedicato alla valutazione del potenziale geotermico delle Regioni Obiettivo Convergenza e recentemente terminato. Secondo quanto stimato nel progetto VIGOR, vaste aree del terri89 torio siciliano sono caratterizzate da un’elevata energia termica potenzialmente utilizzabile con le tecnologie note in ambito geotermico. La descrizione del progetto ha evidenziato come l’utilizzo del calore prelevato dal sottosuolo può innescare una serie di nuovi processi e promuovere innovative realtà produttive in grado di rilanciare l’economia dei territori. Anche le pubbliche amministrazioni, oltre a professionisti e operatori del settore, possono oggi disporre, grazie a VIGOR, di mappe, valutazioni, e riferimenti normativi. I documenti sono interamente disponibili in rete. La valorizzazione della fonte geotermica, ai fini dello sviluppo socioeconomico, richiede infatti un’intensa comunicazione ed un’adeguata divulgazione dei dati. Lo sviluppo di knowhow per la progettazione, la realizzazione e la gestione di impianti alimentati da geotermia può indurre una concreta risposta in ambito occupazionale. Per la geotermia, analogamente a quanto avviene per le altre energie rinnovabili, si stanno sviluppando nuove figure professionali, capaci di avere una visione “sistemica” e in grado di cogliere il “comparto” geotermia nel suo insieme, dal quadro normativo a quello ambientale, dagli aspetti energetici a quelli tecnologici. Tra i posti di lavoro “diretti” in questo settore, ovvero quelli che riguardano la progettazione, gestione e manutenzione degli impianti, la professionalità del geologo trova quindi naturale collocazione per la conoscenza della complessità dei processi alla base dei flussi geotermici. Si ringrazia la Dott.ssa Adele Manzella per avere fornito un importante contributo con i dati relativi al progetto VIGOR. 90 Figura 1. Carta del Calore in Posto (in alto) e del potenziale di geoscambio (in basso) calcolata in VIGOR. 2014 numero unico gdiS Le nostre interviste ANTONINO MOSCATT, Deputato Nazionale PD Calogero Pecoraro - Commissione Protezione Civile ORGS Continuiamo con la pagina delle interviste dedicate alle autorità e ai rappresentanti politici locali e nazionali. Oggi pubblichiamo l’intervista al deputato nazionale del PD Antonino Moscatt. Per combattere il dissesto idrogeologico il governo si è dotato di un nuovo strumento che è quello dell’Unità di missione. Tale strumento può realmente essere utile per fronteggiare un fenomeno di questa portata? “Sicuramente. Uno strumento che non esisteva ed adesso è presente e funzionale, che mette in relazione professionalità e competenze diverse con un obiettivo comune che è quello di fare – finalmente – un’analisi concreta della situazione, intervenendo in maniera efficace. Si è chiesto al governo Renzi, inoltre, di escludere dal Patto di stabilità gli investimenti per la sicurezza da alluvioni e frane del nostro Paese. Parliamo di spazi finanziari di circa tre miliardi di euro fuori dal Patto di Stabilità per i Comuni che devono investire in manutenzione e prevenzione ed in tutte quelle opere che non vengono realizzate pur avendo, talvolta, anche risorse disponibili. Adesso potranno farlo con uno sforamento di ben tre miliardi. Erasmo D’Angelis che ne è a capo, ma non solo, ha il compito di mettere a punto un piano di intervento per la difesa del suolo che metta insieme e coordini le iniziative, le risorse e gli obiettivi sparsi fra piani ministeriali e regionali”. A fronte di dati poco confortanti legati alle prospettive di riduzione del dissesto idrogeologico nel nostro Paese si registra un fatto in controtendenza. Lei assieme al Consiglio Regionale dei Geologi di Sicilia e al Consiglio Nazionale dei Geologi, dopo svariate proposte, presenta un nuovo Odg che potrebbe dare inizio ad un percorso di cambiamento per contrastare questo fenomeno, secondo lei è un obiettivo raggiungibile? “Si, ho presentato un atto concreto per fronteggiare quella che oggi si manifesta come un’emergenza su cui ognuno di noi deve lavorare, far qualcosa, per prendere le ‘contromisure’ ad ogni brutta eventualità gdiS 2014 numero unico e programmare un futuro fatto d’attenzione, tutela e responsabilità. Dopo lo studio di certe dinamiche, la partecipazione al 6° congresso regionale dei geologi di Sicilia ed il confronto col Consiglio nazionale dei Geologi, ho presentato un Odg concordato proprio con il consiglio nazionale e gli esperti del settore per l’Istituzione degli uffici geologici territoriali (UGT). Il governo in questi mesi sta facendo molto, ma credo vada fatto uno sforzo superiore. Mi sono chiesto quali misure possono ancora essere attuate per prevenire le esondazioni, i fiumi che straripano, le piogge che allagano, i costoni che cedono e le frane che devastano le città. Quale metodologia venisse applicata e come si potevano affrontare eventuali futuri eventi calamitosi più che gli allarmismi dell’immediato. Occorre monitorare ed attivare tutto ciò che risulti utile a garantire l’incolumità dei cittadini e per questo l’Odg sul collegato ambientale che impegna il governo ad istituire, gli Uffici Geologici Territoriali (UGT). Per il monitoraggio dei territori, programmazione di interventi nelle aree a rischio idrogeologico, supporto agli enti locali, azioni di vigilanza sulla rete idrografica secondaria, supporto agli uffici di protezione civile ed agli uffici tecnici dei comuni, sono alcuni dei punti evidenziati nell’Odg che punta a fortificare preven91 zione e riduzione del rischio idrogeologico. In parte é quello che ci chiedono gli italiani che in ogni regione vivono un fenomeno sempre più strutturale e sempre meno casuale”. Si parla tanto di green economy, energia rinnovabile e nuovi sistemi di produzione d’energia pulita: cosa, secondo lei, può essere ancora fatto per migliorarne la gestione e soprattutto lo sviluppo? “Tanto ancora in Italia deve essere fatto. Ma intanto stiamo cercando di prorogare l’ecobonus del 65%, sugli interventi di ristrutturazione e riqualificazione energetica degli edifici, anche per l’intero 2015. La stessa percentuale sarà valida pure per schermature solari, l’acquisto e la messa in opera di impianti di climatizzazione alimentati da biomasse. Un ecobonus del 50 %, invece, è valido per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici. Sostanzialmente buone cose, ma ritengo che interventi di questo tipo debbano potersi sfruttare continuamente e rappresentare l’opportunità della quotidianità al consumo e al riutilizzo delle energie. Solo in questo modo, nel nostro Paese, l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili può diventare tema centrale e di facile, per così dire, accesso. Da parte mia ci sarà sicuramente il massimo impegno per creare le condizioni affinché, insieme al mio gruppo politico ed il Ministero competente, si possa procedere verso queste soluzioni sempre più vantaggiose e virtuose. Tutti noi dobbiamo crederci; il rapporto GreenItalty 2014, presentato ad inizio Novembre da Unioncamere alla Camera, riporta numeri incoraggianti. Sono infatti 341.500 le aziende nel nostro Paese, con almeno un dipendente, che negli ultimi sei anni hanno investito in prodotti o tecnologie eco-sostenibili. Una scelta che, dati alla mano, sembra pagare, visto che il 18,8% delle aziende green ha visto crescere il proprio fatturato nel 2013, contro il 12.6% della media italiana. Merito di una maggiore concorrenzialità sui mercati internazionali e maggiore capacità di produrre innovazione: il 19,6% delle aziende verdi esporta infatti stabilmente merci fuori dall’Italia, contro una media del 9,4%, e il 20,6% ha sviluppato nuovi prodotti o servizi nello scorso anno, contro l’8,7% di quelli che non investono in prodotti green. Numeri importanti, che si riflettono anche sulla quantità di lavoratori impegnati nel settore. Sono infatti oltre 3 milioni in Italia i lavori green, il 13,3% dell’occupazione complessiva nazionale, ed è previsto che crescano ancora nei prossimi anni, con oltre 234.00 assunzioni di figure con competenze green. Degna di nota è anche l’istituzione delle Oil free zone col collegato ambientale alla Legge di Stabilità 2014; si tratta di aree territoriali nelle quali, entro un determinato arco temporale e sulla base di specifico atto di indirizzo adottato dai comuni del territorio di riferimento, si prevede la progressiva sostituzione del petrolio e dei suoi derivati con energie prodotte da fonti rinnovabili. In buona sostanza, si promuovere su base sperimentale e sussidiaria la progressiva fuoriuscita dall’economia basata sul ciclo del carbonio, per raggiungere gli standard europei in materia di sostenibilità ambientale”. Una delegazione dell’Ordine dei Geologi di Sicilia presso gli Uffici dell’Assessorato Infrastrutture e Mobilità Il giorno 3 Dicembre 2014, una delegazione dell’ORGS composta dai consiglieri Francesco Criscenti, Mario Leta e Giuseppina Scianna, è stata ricevuta negli uffici dell’assessore Giovanni Pizzo, presso l’assessorato Infrastrutture e Mobilità al fine di discutere l’attuale carenza numerica di dirigenti e/o funzionari geologi presso gli Uffici del Genio Civile della Regione Siciliana. Tutto ciò al fine di garantire l’efficacia degli Uffici del Genio Civile e soprattutto, di assicurare una corretta valutazione della conformità dei progetti alle condizioni geologiche di un territorio ad elevato rischio sismico ed idrogeologico come quello siciliano. 92 I consiglieri hanno proposto, inoltre, che venisse accettato ed adottato, da parte di tutti gli Uffici del Genio Civile, uno standard minimo di lavoro. Il Consiglio dell’Ordine trasmetterà una serie di documentazioni utili, tra le quali il quadro numerico completo dei funzionari attualmente presenti presso gli Uffici, al fine di definire, nel più breve tempo possibile, quanto sopra. L’Assessorato ha dato la massima disponibilità e totale collaborazione e ci si è aggiornati ad altro incontro, per definire ed approfondire quanto sopra e dove possibile affrontare ulteriori problematiche. Francesco Criscenti Tesoriere ORGS 2014 numero unico gdiS Le Consulte Provinciali Il nuovo Consiglio dell’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia appena insediatosi, ha dato seguito a quanto già programmato in fase elettorale, attivando uno strumento di partecipazione e di incentivazione della cultura professionale come le Consulte Provinciali, con lo scopo di condividere la passione per il nostro lavoro, coinvolgendo quanti più colleghi nell’elaborazione di iniziative e proposte atte a promuovere e a salvaguardare l’attività professionale del geologo. Le Consulte Provinciali sono organismi consultivi e propositivi, attraverso i quali l’Ordine valorizza e promuove la partecipazione, su scala provinciale, dei propri iscritti disposti a impegnarsi a titolo gratuito in attività utili a rafforzare il ruolo del geologo nei rapporti con il territorio e con le realtà istituzionali e sociali. L’Ordine riconosce nel proprio iscritto, per la presenza e per il radicamento nella propria provincia, una risorsa insostituibile, un interlocutore privilegiato capace di interpretare i bisogni della categoria e di agire efficacemente, a fianco dei Consiglieri dell’Ordine, con amministrazioni locali, associazioni, organizzazioni o enti. Le attività principali delle Consulte Provinciali sono quelle di svolgere un’azione di supporto e di raccordo tra il Consiglio e gli iscritti, effettuare un monitoraggio capillare di ciò che succede nel territorio riguardante la professione e di collaborare per l’organizzazione di incontri culturali, riunioni, convegni e corsi di approfondimento. Le Consulte Provinciali, istituite dal Consiglio dell’O.R.G.S., hanno durata naturale pari a quella del Consiglio stesso e sono costituite da 5 componenti regolarmente iscritti all’O.R.G.S. ed in regola con l’Aggiornamento Professionale Continuo, di cui uno ne è Coordinatore. Di seguito sono riportati i nominativi dei 45 colleghi, componenti delle 9 Consulte Provinciali che collaborano fattivamente con il Consiglio dell’Ordine e che a nome di quest’ultimo intendo ringraziare per il senso di responsabilità fin qui dimostrato e per la qualità del lavoro svolto nell’affrontare le specifiche problematiche. Enzo Pinizzotto Vice Presidente O.R.G.S. gdiS 2014 numero unico LE NOVE CONSULTE Consulta provinciale O.R.G.S. “AGRIGENTO” Emerico SCIASCIA (Coordinatore), Andrea CANNIZZARO, Giuseppe LOMBARDO, Gaetano RIZZUTO, Tiziana SABBELLA. Consulta provinciale O.R.G.S. “CALTANISSETTA” Massimo RIZZO (Coordinatore), Marcello FRANGIAMONE, Roberto PRISCO, Giovanni ANTINORO, Carmelo Silvano IUDICA. Consulta provinciale O.R.G.S. “CATANIA” Thalassia GIACCONE (Coordinatrice), Carmelo BIVONA, Francesco FAZIO, Danilo MESSINA, Marco NERI. Consulta provinciale O.R.G.S. “ENNA” Salvatore PALILLO (Coordinatore), Salvatore BANNÒ, Paolo DI FRANCA, Paolo DI MATTIA, Maurizio MULARA. Consulta provinciale O.R.G.S. “MESSINA” Vito TRECARICHI (Coordinatore), Antonio CHIANESE, Fabio GIANNINO, Concettina MANITTA, Carmelo NICITA. Consulta provinciale O.R.G.S. “PALERMO” Salvatore PIERINI (Coordinatore), Giuseppe ABBATE, Rosalinda D’UGO, Fabio FAZIO, Giuseppe NAPOLI. Consulta provinciale O.R.G.S. “RAGUSA” Piero SPADARO (Coordinatore), Francesco CELESTE, Luca MASSARI, Fausto SENIA, Michele ZOCCO. Consulta provinciale O.R.G.S. “SIRACUSA” Maurizio MESSINA (Coordinatore), Francesco APARO, Andrea GIUNTA, Gaetano TURCO, Umberto Vanella. Consulta provinciale O.R.G.S. “TRAPANI” Michele MORTILLARO (Coordinatore), Caterina CARADONNA, Giovanni DE SIMONE, Roberto GALLO, Giorgio TRANCHIDA. 93 94 2014 numero unico gdiS RECENSIONI a cura di Pietro Todaro e Antonio Gallitto Abbiamo letto per voi Antonio Cirillo GEOTECNICA E FONDAZIONI pgg. 245 - Euro 70,00 - Wolters Kluwer Editore Il volume è rivolto a chi deve affrontare la progettazione geotecnica, fornendo un riferimento normativo in applicazione delle NTC 08. In particolare il testo si sofferma sulle tipologie di fondazione, indagando sulla relazione che intercorre tra sovrastruttura, sistema fondale e volume significativo del sottosuolo. L’autore attribuisce una notevole importanza alla conoscenza del terreno di fondazione soffermandosi sulle maggiori proprietà geotecniche e sulle indagini specifiche atte a valutarle. Avendo introdotti gli strumenti e le norme utili alla definizione delle condizioni geotecniche il testo procede all’esame dei diversi tipi di opere geotecniche. Il testo ha un linguaggio facilmente comprensibile frutto di una lunga esperienza professionale operativa che affronta in modo pragmatico e d efficace al fine di risolvere i problemi in modo pratico e sollecito. Allegato al volume un CD-Rom contenente file in Excel che consente verifiche geotecniche di portanza e risposta sismica secondo le NTC in zona sismica. Luca Casagrande, Paolo Cavallini, Alessandro Frigeri, Alessandro Furieri, Ivan Marchesini, Markus Neteler GIS OPEN SOURCE pgg. 220 - Euro 42,00 - Dario Flaccovio Editore Per i professionisti geologi, ingegneri e architetti, e tecnici in genere, prevalentemente connessi alla pianificazione territoriale, alla protezione civile, alla stesura di carte tematiche, è diventata una necessità conoscere gli strumenti necessari per gestire informazioni territoriali. Il testo introduce il lettore nel tema del software GIS e, in particolare, nell’uso di alcuni software geografici Liberi e Open Source. Preliminarmente sono fornite nozioni di carattere generale sulla cartografia numerica e sui sistemi di riferimento. L’originalità del testo sta soprattutto nel potersi avvalere immediatamente sia degli strumenti software che delle numerose risorse documentali accessibili via Internet, descritte nel volume. L’utente viene assistito nell’installazione dei software su sistemi operativi Microsoft, Apple, GNU/Linux. Soni inoltre introdotte le funzionalità più importanti di software ben noti come QGIS o GRASS GIS e si forniscono le modalità di approccio alla gestione del dato geografico mediante motori di database (SpatiaLite). David Muir Wood GEOTECHNICAL MODELLING pgg. 504 - CRC Press - Taylor & Francis Group - 2004 - Lire sterline 43,99 È uno dei pochi testi editi che tratta della modellazione geotecnica, una tecnica che si distingue da quella geologica perché si fonda sulle conoscenze di base della meccanica dei terreni e sui metodi di progettazione geotecnica tradizionali. I primi capitoli richiamano i principi basilari della geotecnica sulle resistenze e sulle deformazioni dei terreni sollecitati e del comportamento del suolo ai fini di un’agevole ricostruzione di modelli. La modellazione geotecnica deriva dalla modellazione geologica che è rivisitata e trasformata in una descrizione di fisica numerica e di modellazione fisica che interagisce con la realtà discretizzata dei vari strati che costituiscono il volume significativo del terreno di fondazione. La modellazione geotecnica è implicita in ogni progetto strutturale e ogni ingegnere progettista che fa uso della modellazione numerica, deve considerare che le approssimazioni e le ipotesi sono parte dei modelli costitutivi che si assumono nella ricerca del modello definitivo che più assimila il comportamento fisico meccanico del sottosuolo. Il testo presenta alcuni modelli geotecnici e offre le conoscenze di base per affrontare professionalmente la modellazione in ingegneria geotecnica. Nell’ipotesi che si abbia una buona familiarità con i principi della meccanica dei terreni e della progettazione geotecnica allora il testo è uno strumento prezioso per gli studenti di specializzazione post-laurea di geotecnica e d’ingegneria strutturale, ma certamente utile per ricercatori e professionisti coinvolti nella specificazione del numerico e della modellazione geotecnica fisica. gdiS 2014 numero unico 95 Carmelo Gaudioso MANUALE DI GEOFISICA DI CAMPAGNA pgg. 140 - Edizioni Stampeacontatto - Euro 34,00 Il “Manuale di geofisica di campagna” scritto dal dott. Carmelo Gaudioso, evidenzia in modo completo ed esaustivo le principali metodologie geofisiche utilizzabili per la definizione di un modello geofisico del sottosuolo nell’ambito della Microzonazione Sismica e della Risposta Sismica Locale a partire dall’entrata in vigore delle NTC 08. Anche se non si tratta di una pubblicazione per neofiti, come evidenziato in premessa, il manuale fornisce un importante contributo nel chiarire le procedure da adottare sul terreno, inclusa la necessità di eseguire, nel medesimo sito, per una migliore conoscenza del sottosuolo, più indagini geofisiche tra loro complementari. Tale procedura di fondamentale utilità, troppo spesso ignorata per scarsa cultura geofisica e per gli ormai noti vincoli di budget imposti dal committente, permette di ridurre i margini di errore propri di un’indagine di tipo indiretto come l’indagine geofisica, consentendo, inoltre, al geofisico di fornire una risposta completa e valida tecnicamente. Particolarmente utile e di facile comprensione la parte relativa agli esempi pratici chiara per tutti i livelli di conoscenza geofisica. Questo manuale risulta, quindi, di supporto sia per l’operatore esperto in geofisica sia per il Committente, soprattutto quando si tratta di un tecnico (geologo ecc). La guida costituisce uno strumento in grado di suggerire ad entrambe le figure sopra indicate il metodo più idoneo da utilizzare per ricavare i risultati migliori a seconda dei diversi casi, e permette di valutare se l’indagine geofisica proposta abbia un valido rapporto risoluzione/risultato anche in relazione ad una coerente richiesta economica. Manuela Lopez IL RESPIRO DELLA TERRA - Vulcani & Randon Edizioni Lussografica - Euro 15,00 Dalla tettonica delle placche alle misurazioni di gas Radon in vulcanologia, passando per il ciclo delle rocce, soprattutto le rocce magmatiche, e i diversi tipi di vulcani ed eruzioni, senza trascurare il rischio vulcanico. Tutto questo è racchiuso nel libro di Manuela Lopez, geologo e già ricercatrice presso il Dipartimento di Ingegneria ambientale di Palermo e l’INGV di Catania. Un libro che può essere utilizzato per avvicinarsi al meraviglioso mondo delle scienze della Terra. Pensiamo ai programmi didattici di scienze nelle scuole dove l’approfondimento, anche sulla geologia regionale dei nostri vulcani, diventerebbe occasione per trasmettere la passione per la vulcanologia e la mineralogia agli studenti che si accostano per le prima volta alle scienze della Terra. Il volume può essere usato anche da professionisti che si occupano di comunicare e divulgare la geologia e le varie discipline ad essa collegate, con un primo livello di conoscenza sul rischio vulcanico, uno dei rischi inerenti alla Protezione civile. Fabio Giannino METODI ELETTROMAGNETICI IN GEOFISICA APPLICATA pgg. 104 - Euro 19,80 - Dario Flaccovio Editore Il presente volume approfondisce gli aspetti teorici, pratici ed applicativi riguardanti la tecnica Elettromagnetica ad Induzione FDEM, ovvero metodo elettromagnetico induttivo nel dominio delle frequenze. Gli aspetti teorici di tali tecniche vengono illustrati con un grado di approfondimento sufficiente da rendere il lettore erudito sulle implicazioni che possono avere rispetto agli aspetti costruttivi di uno strumento di acquisizione dati, cosi come rispetto alla capacità di progettare una campagna di misure. Vengono poi esaminati tutti gli aspetti di una campagna di misure FDEM inclusa la progettazione, l’acquisizione e l’analisi dei dati, e l’interpretazione dei risultati ottenuti, prestando particolare attenzione alle problematiche che si possono riscontrare durante le varie fasi. I numerosi casi studio illustrati hanno l’obiettivo di evidenziare gli aspetti tecnici e pratici che possono risultare di maggior interesse per il Geofisico che si avvicina all’impiego della tecnica FDEM. 96 2014 numero unico gdiS