Beautiful Monsters

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Beautiful Monsters
BEAUTIFUL MONSTERS
Autrice:
Sheila©
Disclaimer: I personaggi della saga di Anita Blake non sono di mia proprietà, ma di Laurell K.
Hamilton e di chiunque altro ne detenga i diritti con lei, ad eccezione di Alex e Viky O’Brian,
Marcus il Master di New York, Belial ed il suo “branco” che sono di mia esclusiva invenzione. La
fanfiction non è scritta per fini di lucro, ma per il solo gusto di muovere gli incantevoli personaggi
della saga di Anita Blake a modo mio, quindi con i suoi contenuti, non si intende violare alcun tipo
di Copyright.
Timeline:
Subito dopo lo scontro de il Circo dei Dannati.
Spoiler:
Nessuno
Rating:
FF NC-17
Piccola Premessa
La premessa è questa, piccola, breve e concisa... Io adoro Jean-Claude sopra ogni altra cosa al
mondo e Richard mi sta simpatico, ma ancor più amo creare personaggi miei, che possano dare ai
miei beniamini quello che la mamma a mio avviso non gli da... Tutto questo per dire che, avendo
una passione sviscerata per la coppia Edward/Anita, questa non poteva che essere una ff di questa
shipper. La prima, fatta interamente con il cuore ^^ Con il cuore di chi vorrebbe vedere il suo
vampiro amato sopra ogni altra cosa al mondo dalla donna così detta giusta e una ff dove i due
sociopatici D.O.C. possano finalmente capire che si amano... Ma si tanto lo so che è così, fate come
vi pare tanto io ne sono certa hihiih :P Quindi non aspettatevi Anita nè con JC nè con RAZ qui lei è
destinata ad un altro ^_^
Se dopo questa premessa volete ancora affrontare la mia tenebrosa St. Louis sulle soglie della fine
del mondo... Allora Buona Lettura!
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Indice
Capitolo 1. St. Louis By Night..................................................................... 3
Capitolo 2. Ice green .................................................................................. 16
Capitolo 3. Wind of change ....................................................................... 30
Capitolo 4. Heart of darkness..................................................................... 57
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Capitolo 1. St. Louis By Night
“Anita?” la voce le giunse da molto lontano. Sembrava essere solo un vago sussurro nel buio. Anita
mosse lentamente le ciglia ed esalò un flebile respiro, ma continuò a tenere gli occhi chiusi. La testa
le esplodeva e non ricordava niente dei fatti accaduti prima di perdere i sensi. Perché aveva perso i
sensi vero? Si, era svenuta, ma come mai non era morta? Lei, la Sterminatrice, si era fatta mettere in
scacco da un vampiro azteco, con la faccia da monolito. Bene, cominciava seriamente a perdere
colpi, ma pareva che nonostante tutto fosse riuscita a salvarsi. Almeno così sperava. Una mano le
passò dietro la schiena e due forti braccia la sollevarono, togliendola dalla terra fredda del circo. Il
circo? Era ancora all’interno del Circo dei Dannati. “Su piccola, è tutto finito…” di nuovo quella
soffice voce, ma sta volta le soffiò direttamente nelle orecchie. La riconobbe subito come la voce
della Morte. Però non era morta ed era un bel passo avanti. Edward… Edward che la chiamava
piccola? No, non c’era dubbio, doveva per forza essere morta. La profonda fitta di dolore che le
squarciò la schiena l’avviso immediatamente del contrario. Ok, non era morta, ma a quanto pareva
Edward stava peggio di lei. Per lo meno si era salvato anche lui. Dio, non ricordava nulla, se non i
profondissimi occhi di Jean-Claude che la fissavano in attesa che le sue mani gli infiggessero il
colpo di grazia. Mugolò ancora ad occhi rigorosamente chiusi, perché soltanto l’idea di guardare un
flebile bagliore di luce, le attorcigliava lo stomaco. Alla fine lo aveva ucciso? La sua mano era
calata per mettere fine alla vita, non vita pardon, del Master della città? Lo stomaco e le viscere si
mossero in un unico disastroso movimento di panico ed angoscia, ed i suoi occhi si sgranarono a
fissare quelli chiari di colui che la stava portando fuori dal tendone. La luce la investì come un
pugno e le sue labbra si aprirono per lasciar defluire un gemito roco ed addolorato. Edward abbassò
lo sguardo su di lei ed in un gesto stranamente protettivo, sollevò la spalla per ripararla dal riverbero
del faretto che illuminava a giorno l’ingresso. Accelerò il passo per portarla lontana dalla luce e
soltanto quando fu perfettamente in ombra la riadagiò sull’asfalto tenendola dritta con l’aiuto del
suo petto.
Anita si guardò intorno spaesata. Batté le palpebre una, due, forse una decina di volte prima di
riuscire a capacitarsi della situazione. “Anita, tutto bene?” Si voltò a guardarlo senza il coraggio
necessario per riprendere a parlare. Ah, si, se non era morta allora doveva essere sul punto di farlo,
perché era la prima volta che la sua lingua non riusciva ad animare una battuta saccente al riguardo
di qualche bella scazzottata alla quale avevano preso parte assieme. Edward levò lo sguardo al
cielo, ma subito dopo, si sciolse in un caloroso sorriso che Anita non aveva mai avuto il piacere di
veder brillare sul suo volto di norma alquanto gelido ed impassibile.
“Dio mio,” rantolò ancora fastidiosamente ottenebrata dalla precedente perdita di sensi. “Edward, se
non fossi tu, crederei che sei felice di vedermi.” L’uomo non rispose, ma le sue labbra
s’incurvarono ancora di più, dando al suo bel viso un’espressione di umanità, che lei non gli aveva
mai visto. “Come diavolo hai fatto a portarmi fin qui?”
L’uomo rise, una risata stanca, ma sincera e sentita. Dio mio, quello non era Edward! “Faccio pesi,
poi non sei più pesante di un bazooka ed io con i bazooka ho una discreta dimestichezza.” Le
rispose scherzosamente.
Bah, forse non era un complimento, ma almeno quello strano tipo con la faccia da Edward, aveva
dimostrato di avere il suo stesso orribile senso dell’umorismo. Scosse la testa, ma non appena
terminò di accennare il movimento, una fitta lancinante nelle tempie le strappò un gridolino di
dolore ed animò il buio che le calò davanti agli occhi, con una miriade di lucine intermittenti.
“Stai ferma,” le disse con voce calma ma decisa. “probabilmente hai una commozione celebrale.”
Non annuì per evitarsi altre lucciole e fitte strappa fiato, ma mugolò di assenso. “Ora però voglio
sapere perché diavolo non sei morta.”
Ok, l’uomo con la faccia da Edward era Edward, diciamo che forse era di buon umore per non
essere rimasto secco durante il conflitto. La vampa di fuoco che lo aveva investito, le brillò
nuovamente negli occhi e con essa l’immagine di Richard che lo aiutava a spegnere l’incendio ed a
liberarsi del serbatoio in fiamme. Era stata l’esplosione a lasciarla priva di sensi? No, a quello c’era
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stato un seguito. Quel bastardo di Alejandro le aveva imposto il quarto marchio e l’aveva costretta
ad ammazzare Jean-Claude. Di nuovo l’accartocciarsi feroce delle sue viscere, ma sta volta fu
seguito da un violento conato di vomito che la fece accasciare di lato, sottraendosi alla sicurezza del
corpo della Morte. Del resto lui era la morte e lei era viva… Che cazzo voleva da lei? Ok, stava
sragionando. “L’ho ammazzato?!” ansimò, asciugandosi le labbra, quando il suo stomaco cessò di
tirare fuori tutto quello che aveva mangiato negli ultimi quindici anni.
Edward rispose con calma. “Si. Non so come hai fatto, ma gli hai strappato il cuore e lo hai ridotto
in poltiglia.” Lei si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati ed in lui lesse una vivace espressione di
compiacimento. Perfetto, lei voleva morire e lui era fiero di lei. Andavano di pari passo… “Alle
volte mi spaventi Anita Blake,” proseguì guardandola dritta negli occhi “ma ancora continuo a
chiedermi come diavolo hai fatto a non morire dopo i morsi di quei cosi.”
Che cosi? Ha, si, i cosi… Poi di nuovo l’immagine di due meravigliosi occhi blu che empivano ogni
minuscola cellula del suo corpo, facendola piovere in un piacevole tepore che ricordava molto
quello di un abbraccio. Aveva ammazzato Jean-Claude?! Ok, la sua vita sarebbe stata più semplice,
le sue giornate meno incasinate, ma cazzo! Aveva ammazzato Jean-Claude! Il cuore sembrò
scoppiarle nel petto per la disperazione. Che diavolo stava facendo? Lo detestava, era un
dannatissimo bastardo pieno di boria, un arrogante dispotico figlio di puttana! Oddio! Non poteva
averlo ammazzato! Non Jean-Claude!! “Ho ammazzato Jean-Claude…” balbettò sconvolta. “Ho
ammazzato Jean-Claude…” il fatto di ripeterselo per imprimerselo nella testa come un dogma
biblico, non le servì certo a stare meglio. Al contrario delle aspettative, il suo stomaco tornò ad
accartocciarsi nel petto ed i suoi occhi a calare sull’asfalto umido per seguire la violenta contrazione
degli addominali già abbastanza spossati e doloranti per lo scontro precedente. Fu un istante in cui
ogni cellula del suo corpo gridò vendetta dichiarando la resa ed in cui la risposta di Edward le arrivò
talmente distante da essere un balbettio intermittente ed indecifrabile. “Ho ammazzato il Master
della città…” si ripeté, dando sfogo ad un altro conato che le folgorò le tempie. Una parte di lei
cantava a squarciagola “I am free”, mentre l’altra supplicava il cielo di non averle permesso di fare
una cosa del genere. Della serie, era completamente uscita di testa. Jean-Claude morto in una
pallida carcassa esangue, voleva dire vita semplice e tranquilla. Yuppy! See, lei voleva soltanto
piangere.
“Ma petite…” sussurrò una voce ad un passo dal suo viso. “Sembra quasi che l’idea di avermi
ammazzato ti faccia stare male…”
Poteva svenire ancora? Sgranò gli occhi e li levò a fissare il magico volto di Jean-Claude, che se pur
bianco cadaverico e lievemente rigato dalle rughe della stanchezza, in quel momento sembrava più
vivo e raggiante che mai. Certo, si era convinto di aver fatto finalmente colpo! Come no… I suoi
immensi occhi blu brillarono, colorando tutto il mondo che pareva ruotare intorno a lui. Le sue
labbra s’incurvarono in un sorriso e la sua mano si tese ad invitare la sua ad afferrarla. Lei rimase
immobile, con le labbra spalancate a cercare di tenere a bada la profonda vertigine che le stava
facendo franare la terra sotto i piedi. Il Master incurvò ancora di più le labbra ed invece che
attendere che lei rispondesse al suo richiamo, sollevò la mano, fino a sfiorarle il viso. Una carezza
gelida e marmorea, che la fece avvampare del caldo dei raggi del sole in agosto.
“Hai ammazzato l’altro…” la redarguì la voce di Edward, di colpo tornata ad essere gelida e priva
della calda intonazione che aveva assunto al suo risveglio. Ok, almeno di una cosa ora era certa, lo
strano tipo che l’aveva guardata come se la sua incolumità fosse stata la cosa più bella del mondo
era realmente Edward… Si girò a guardarlo ed anche un’altra certezza le piovve sul viso
strappandole un sorriso divertito: Edward era felice di essere vivo e lei in quella bella faccia da
umano vestito a festa, non c’entrava proprio niente.
“Ok, non ti ho ammazzato…” commentò cercando di rimettersi seduta e di riguadagnare un po’ di
dignità sulla confortevole spalla di Edward, che non tardò ad accoglierla se pur molto più rigida di
prima. “Ho ammazzato Alejandro?” La lunga chioma corvina di Jean-Claude si animò per mimarle
un delicato ed elegantissimo si, nel cui movimento l’onda serica dei suoi capelli, frusciò con la
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morbidezza del canto di un ruscello d’alta montagna. Dio mio, lo detestava, perché diavolo non
l’aveva ammazzato?! See…
In riferimento alla sua strampalata faccia, Jean-Claude sollevò il sopracciglio in una graziosa
smorfia che, se possibile, lo rese ancora più bello. “Sembra che ti dispiaccia, ma petite…”
Lei lo guardò imponendosi fierezza e sano sarcasmo. “Com’era la cosa?” ghignò. “Possiamo
sempre rimediare…”
Il vampiro si sciolse in una caldissima risata che cullò la notte come una carezza e le scivolò sulla
pelle, come la mano appassionata di un amante. Anita rabbrividì e le mani di Edward le si strinsero
addosso per ripararla da quello che pensò essere freddo. Sgranò gli occhi sconvolta dall’accortezza,
ma non si voltò a guardarlo, per evitarsi accuratamente un’altra scarica di dolore. No, quello non era
Edward, o stava dimostrando di avere dei pregi che andavano oltre la bravura di massacrare la
gente. Merda. Edward era un uomo, come cavolo era che non se n’era mai accorta? Naa, era ancora
stordita dal colpo in testa. Poi una nuova immagine. “Richard…” sussurrò di nuovo agitata. “Che
fine ha fatto Richard?” Ecco la fregatura: l’unico essere decente con il quale fosse mai uscita, se
l’era giocato durante la carneficina, perché conoscendolo per quel poco che aveva imparato a
conoscerlo, se non fosse morto nello scontro, in quel momento sarebbe stato di sicuro lì con lei…
“E’ andato a leccarsi le ferite…” commentò languidamente Jean-Claude, proponendole
un’espressione astuta e divertita che la irritò non poco. La mano del Master tornò a levarsi verso il
suo viso, ma lei, a discapito del mal di testa che l’asserragliò di nuovo facendole richiudere la vista,
si sottrasse dal tocco della sua mano, con un veloce e sofferto colpo di testa. Lui la fissò
assottigliando gli occhi in due fessure in cui il blu profondo dei suoi occhi, vorticò come l’abisso
del mare. Di nuovo quella strampalata sensazione di annegare in lui e di sentirsi in pace. “Non è
morto, se è questo che vuoi sapere.” Disse con calma ferocia.
Si voleva sapere questo… Non era morto nemmeno lui, ed era un altro passo avanti. Ma allora chi
cazzo era morto?! In tutta risposta, decise che, se era morto qualcuno, non era morto nessuno di
particolarmente importante e sospirò rasserenata. “Sia lodato Gesù Cristo.” Esalò, ma lo sguardo
che le riservò il vampiro, le disse che non era stata la cosa giusta da dire. Una scintilla di contrarietà
gli brillò nelle pupille, come una scarica elettrica che di colpo rese l’aria irrespirabile. Rigirò gli
occhi all’indietro esasperata e, con uno sforzo titanico, cercò di rimettersi in piedi facendo leva sul
suo ginocchio, che pareva non avere nessunissima intenzione di collaborare, e sulla spalla di
Edward, che pronta e veloce, le si insinuò sotto il braccio per fare tutto il resto del lavoro. Cavolo,
piccolo, ma tenace… Dieci punti per la Morte. Ah, beh, se non ci fosse stato lui, ci sarebbe stato
bisogno di qualche altro aiuto esterno, perché a stento si reggeva in piedi. Si guardò attorno, poi
sospirò ringraziando mentalmente Dio. I poliziotti erano troppo indaffarati per pensare a lei ed a
portata di mano c’era soltanto Jean-Claude. Jean-Claude come bastone della vecchiaia? Lo guardò
di sbieco e scosse impercettibilmente la testa. Ok, non lo voleva morto e questo finalmente l’aveva
capito, ma di sicuro non lo voleva più vicino a lei di quanto non fosse stato in quel momento,
ovvero al massimo un metro e non un millimetro di più. Inconsciamente si ritrovò a percorrere la
sensuale linea del suo corpo in lungo ed in largo, scivolando sulla meravigliosa camicia di antiquata
foggia parigina ormai un po’ sgualcita e sugli attillatissimi pantaloni di tessuto nero che non
lasciavano nulla all’immaginazione, ed un secondo prima che tutte le sue blande convinzioni
andassero in frantumi, girò di scatto la testa per osservare il volto un po’ bruciacchiato della Morte.
Ah, Edward, umano e mostruoso allo stesso tempo. Amico, nemico, ma di sicuro una morte
migliore della non-morte. Si ritrovò a ridere, ma prima che la risata potesse empire l’aria svelando a
tutta la gente radunatasi fuori dal tendone, che la Sterminatrice aveva cominciato a dare di matto,
una strana energia iniziò a far ribollire l’aria mozzandole il fiato. Il riso le morì sulle labbra,
assieme al caldo bagliore degli occhi di Edward. Entrambi si voltarono velocemente in direzione
della strada buia e da lì, un fruscio di pelle ed un delicato profumo di vaniglia, li investì mettendoli
di nuovo in guardia. Anita barcollò pericolosamente colta da un giramento improvviso, ma cercò di
mantenere saldo il fin troppo precario equilibrio. Edward dal suo canto, posò istintivamente la mano
sull’inseparabile Beretta, fissando intensamente la sagoma che avanzava fluttuando nella notte.
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Jean-Claude si voltò nella stessa direzione, con un lentissimo movimento, che parve scivolare
nell’aria come olio caldo e profumato.
L’ombra, ondeggiò nella fioca luce di un lampione, poi arrestò i suoi passi per guardare in dietro
come ad attendere qualcuno. Piovve un silenzio impossibile, i poliziotti parvero acquietarsi vittime
della stessa sensazione di vertigine che aveva messo sotto pressione la Sterminatrice. Impossibile,
non è che il mondo intero ha la possibilità di avvertire la scia di un potere, o si?
Poi di nuovo passi, svelti e frettolosi, un ticchettio intermittente di tacchi alti, che raggiunse l’ombra
e le si affiancò. Due sagome indistinte guardarono diritto verso di lei come se fosse loro intenzione
raggiungerla, ed al dolciastro odore di vaniglia, si aggiunse la soffice fragranza dei fiori di
camomilla. Che diavolo stava succedendo? Erano due rappresentanti mistici di una marca di
profumi?!
“Anita!” Una voce ansante la distrasse per un attimo dalla strana apparizione. Si voltò appena, ma
quello che vide riuscì a strapparle un sorriso di sincera felicità. Richard, con un bel paio di jeans
ridotti ad un colabrodo ed una camicia sbrindellata in dosso, dalla quale gli addominali
perfettamente scolpiti ammiccavano in una guizzante danza al ritmo di ogni passo, zoppicava
animosamente per apprestarsi a raggiungerla. Quell’uomo sarebbe stato incantevole anche immerso
nel fango fino all’attaccatura dei capelli…
“Richard!” con la Browning perfettamente impugnata nella mano destra, roteò le spalle per tenere
sott’occhio entrambe le situazioni. “Come stai?”
Il meraviglioso sorriso dell’uomo illuminò la notte come se fosse dotato di una luce propria. Forse
aveva davvero trovato l’uomo della sua vita… Si, come no. Richard avanzò con andatura incerta,
ma a metà strada il suo sorriso si spense, come del resto aveva fatto quello di tutti gli altri. Anche il
suo viso perse giovialità ed i suoi immensi occhi nocciola, in cui la dolcezza disarmante
dell’umanità la faceva da padrona, divennero vigili e puntati nella direzione dei due strani individui.
Ok, chiaramente non era il momento dei convenevoli.
Di nuovo il fruscio della pelle del lungo spolverino che pareva fondersi con la notte e con l’asfalto.
Al suo fianco, una stessa figura, magari un po’ più minuta e meno potente, ma ugualmente
portatrice di un’enorme energia mistica. “Voglio andare a dormire…” borbottò facendo pressione
sul grilletto per tenersi pronta a fare fuoco. Ed Edward sorrise. Dio, aveva preso davvero una bella
botta in testa, povera stella.
“Anita Blake?” Una donna?! Gli occhi della Sterminatrice si spalancarono di netto quasi a voler
schizzare fuori dalle orbite. L’ombra continuò il suo percorso seguita a ruota dall’altra ed a mano a
mano che la distanza si assottigliò, ogni particolare della strana apparizione prese forma. Quello che
aveva visto come un energumeno di almeno un metro ed ottanta, altro non era che una splendida
donna bruna sulla trentina, inerpicata su stivali con un tacco a dir poco ingestibile ed avvolta in un
lunghissimo spolverino di pelle nera, tallonata nient’altro che da un’altra donna, bruna come lei, più
bassa di statura ma vestita in modo molto simile alla prima, che pareva non avere più della sua
stessa età. Beh, se non fosse stato completamente fuori luogo, in quel momento le sarebbe venuto
da ridere, perché conciate così, se pur discretamente suggestive, quelle ragazze parevano essere
appena uscite da qualche darkissimo film d’azione. Il pallidissimo volto della sconosciuta si sciolse
in un sorriso che le fece brillare gli occhi di un verde a dir poco impossibile. Non un filo di trucco,
ma sembrava essere completamente priva di qualsiasi tipo di difetto. Merda, sembrava uno spettro
inguainato in tre metri quadrati di pelle nera lucida… “Anita Blake?” chiese ancora, tendendo la
mano senza un briciolo di paura, verso le due pistole spianate nella sua direzione. Edward guardò
Anita incerto sul da farsi, ma non appena la compagna abbassò l’arma, si strinse nelle spalle e fece
altrettanto. “Edward…” sussurrarono le soffici labbra della straniera e l’uomo s’irrigidì
completamente preso alla sprovvista. O c’era di più? Boh!
“E’ umana…” borbottò Anita, cercando di placare la sua stessa agitazione. L’immenso potere della
più grande fra le due, continuava a serpeggiarle sottopelle come una violenta scarica di adrenalina.
“Ritira l’armamentario…” e la donna spalancò le mani, per farle vedere di essere disarmata. “Sai
bene di cosa parlo, ritiralo o non ho nessuna intenzione di rinfoderare la pistola.”
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La lunga coda di cavallo della straniera si animò come un serpente, e le guizzò dietro la testa con
lunghe, meravigliose, morbidissime striature blu cobalto. Se fosse stata un vampiro, si sarebbe detta
vittima di un’illusione di serie A. “Non so di cosa parla Mrs. Blake.” Sorrise. “Sono disarmata e
non ho cattive intenzioni.”
L’altra sconosciuta rise, una risata tintinnante e fresca, da farti venire voglia di comprarle dello
zucchero filato. I suoi occhi baluginarono nella luce del lampione dello stesso sconvolgente verde
dell’altra e una nuova ondata di potere, profumò l’aria di una fragrante cascata di fiori di camomilla.
“Mi ricorda te… Ha ragione il sergente Storr a dire che siete molto simili.” Commentò
allegramente, sviolinando un pesantissimo accento del nord.
Anita aggrottò le sopracciglia perplessa e si guardò intorno per constatare di non essere la sola a
percepire la scarica di energia che animava l’aria intorno alle due sconosciute. I suoi occhi da prima
si posarono su Jean-Claude, che pareva completamente impietrito nella sua statuaria posa da pantera
pronta a sferrare un attacco, per poi scorrere sul volto sconvolto di Richard che pareva non riuscisse
quasi più a respirare e su quello di Edward, che fissava le due donne, come se da un momento
all’altro dovesse mettersi a scaricargli addosso tutto il caricatore. Perfetto, non era impazzita e con i
suoi modi bruschi la commozione celebrale non c’entrava niente. Poi va beh, lei era così, antipatica
e arrogante fino al midollo. E meno male che lo diceva di Jean-Claude! “Storr? Quel Dolph Storr?!”
Le due donne annuirono all’unisono ma con enfasi totalmente diverse. Una parve non muoversi
nemmeno nella sua imperscrutabile espressione da serial killer pronto per una sfilata di moda,
mentre l’altra mosse la cascata di riccioli neri in un si sfacciatamente divertito. Perfetto, già le
detestava.
Come se qualcuno gli avesse premuto il bottone dell’accensione, Jean-Claude si rianimò, esalando
un flebile sospiro. “Bon soire mademoiselle…” sussurrò, riempiendo l’aria con la sua voce languida
e carezzevole, nella quale l’accento francese, vibrò come il placido ronzio delle fusa di un gatto.
“Alexandra O’Brian, monsieur Jean-Claude” soffiò nell’aria con un accento francese a dir poco
impeccabile e tese la mano verso il vampiro, che l’accolse nella sua in una stretta che parve un vero
e proprio amplesso sessuale. “Felice di poter incontrare il Master della città… Ho sentito molto
parlare di lei, e sono sicura che il suo aiuto mi sarà prezioso…” Il vampiro sorrise, un solare sorriso
senza l’ombra delle zanne, in cui scivolò delicatamente un mondo intero di promesse.
Che cazzo stava succedendo?! Anita fissò i due con la bocca spalancata per lo stupore. Uno, pareva
che Wonderwoman non avesse nessun tipo di problema a fare la scivolosa con un vampiro; due, lo
conosceva e lui non pareva essere affatto contrariato della cosa; tre, ora sapeva chi era e la cosa la
disturbava non poco. Alex O’Brian, ovvero la gelida, impeccabile ed in fine spietata, Sterminatrice
di New York. Ne aveva sentito parlare, ma non l’aveva mai incontrata e doveva ammettere che se
fosse stato per lei avrebbe volentieri continuato così fino alla fine dei tempi. Era completamente
fuori dalla sua giurisdizione e qualcosa le diceva che il suo arrivo non fosse affatto dovuto a
semplicistici motivi vacanzieri. Lo spolverino si animò sotto un improvviso alito di vento e, come
se fosse stata chiamata a rispondere alle sue domande, nel suo interno baluginò la canna di un
piccolo mitragliatore. Merda! Ma non aveva detto di essere disarmata?! “Alexandra O’Brian…”
borbottò rinfoderando finalmente la pistola. “Edward, rinfodera il cannone… Evitiamo di farci
sbattere in galera ammazzando proprio la polizia.” Edward obbedì senza troppe storie, ma continuò
a fissare intensamente, prima l’una e poi l’altra donna. “Quindi se lei è Alexandra, tu devi essere
Victoria…” la più giovane annuì compiaciuta del fatto di essere stata riconosciuta senza troppe
presentazioni. Anita si voltò verso Edward con sguardo sarcastico. “Guardale Edward, quella sono
io in veste newyorchese” additò la più grande “e l’altra è la tua versione in completo sexy e tacchi
alti.”
Edward non apparve affatto stupito dalla cosa e la risposta della stranezza arrivò proprio dalle
labbra della più giovane. “Ma noi ci conosciamo, Mrs. Blake. Con Edward ci siamo incontrati, un
po’ di tempo fa…” E allora perché cazzo gli aveva puntato una pistola addosso?! Ok, forse non
voleva saperlo…
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“Ma ci siamo lasciati in pessimi rapporti.” Aggiunse lui, con voce gelida e profonda. Bene, dopo
una nottata già abbastanza disastrosa di suo, era finita nel bel mezzo di una faida fra psicopatici.
Che bello!
Di colpo, come se un fulmine avesse fatto squarciare il cielo ed il fragore assordante avesse
ridestato di colpo le due straniere, i loro corpi si mossero all’unisono roteando il busto verso destra.
Un movimento fluido ed elegante, due pantere nere senza un briciolo di umanità nello sguardo, che
puntarono inaspettatamente una preda. Il fruscio della pelle, fu seguito dall’energia che i loro corpi
ricominciarono a sprigionare con maggiore intensità. Un potere sottile, che pervase l’aria facendola
muovere in cerchi concentrici che partivano da un punto preciso: loro. Come un sasso gettato nel
mare, l’aria s’increspò e cominciò a circolare in volute sempre più ampie. Anita sentì l’energia
penetrarle sottopelle come un olio bollente. Trattenne il fiato, ma come se quel tocco fosse stato un
input preciso a reagire, anche il suo potere prese vita, scatenandosi nell’aria, come un’onda puntata
ad inghiottire il fremito del mare. Un cavallone che lottò con l’imperterrita scia di un’elica, fin
quando le tre essenze, non si fusero, facendo ribollire l’aria rendendola spessa e pesante. A loro si
aggiunse anche un vento freddo ed impetuoso che parve scuotere il mondo intero. Una tormenta di
antico potere, che scaturì dalla statuaria immagine di Jean-Claude, scegliendo come fulcro di
appartenenza proprio le due donne. Una coalizione silenziosa ed inaspettata, tre potenze che le si
riversarono addosso, per poi deviare in direzione di qualcun altro. Un circuito chiuso di sguardi
intensi, nei quali, inaspettatamente, si aggiunsero anche gli splendidi occhi nocciola di Richard. La
Sterminatrice di New York parve tendersi come una corda di violino e sua sorella divenne gelida
come una statua di alabastro. Il verde dell’onda newyorchese, si fuse con il blu profondo che si
muoveva fra le soffici ciglia di Jean-Claude e con il selvaggio ambrato che di punto in bianco
animò lo sguardo di Richard Zeeman. “No…” sussurrarono le sue belle labbra. Ed Anita, come
spinta dall’impulso irrefrenabile di difenderlo, scattò frapponendosi fra le due assurde fazioni. Fu
colpita alle spalle da una sensazione selvaggia che la indusse prima al panico, poi alla collera. In
Richard si mosse qualcosa d’indescrivibile, una sottile onda che le fece ribollire il sangue, ma che
s’acquietò, prima ancora che potesse decifrarne l’essenza.
“Ok…” Sussurrò Alexandra, adagiando la mano sul braccio di sua sorella, come a volerle imporre
la calma e l’aria tornò semplice aria, prima ancora che la Sterminatrice titolare potesse rendersene
conto. Il potere tornò indietro con la fluidità della risacca.
Jean-Claude si voltò verso di loro e sorrise, poi il suo sguardo si levò al cielo ed i suoi magici occhi
cobalto, s’insinuarono nelle tenebre, di colpo svuotati e stanchi. “E’ un vero peccato…” mormorò
docilmente. “Mademoiselle, l’alba si avvicina ed il richiamo della notte mi conduce al sonno.” La
bruna annuì e stirò le labbra in un sorriso amichevole. “Ma sono convinto che ci rivedremo.” La
candida mano del Master di St. Louis si tese in un nuovo lento gesto d’invito, al quale l’altra rispose
senza esitazione. I loro occhi s’incontrarono per un lunghissimo istante.
“Non guardarlo negli occhi…” Sibilò Anita, ancora stordita dal vortice di sensazioni provato
pochissimi istanti prima.
“Mrs. Blake… Dovrebbe imparare a liberare il suo potere e capirebbe che da un vampiro, una vera
negromante,” puntualizzò “non ha nulla di cui temere…”
Anita sollevò il sopracciglio in maniera molto poco socievole. “Il tuo teatrino lo consideri un
lasciare libero il potere?”
Alexandra la fissò intensamente poi annuì. “Il mio teatrino, come lo chiama lei Mrs. Blake,” le
rispose palesemente divertita. “mi da la possibilità di guardare oltre a molte cose…” I suoi immensi
occhi di giada saettarono nel buio dietro le sue spalle e Richard, deglutì vistosamente agitato.
Le soffici labbra di Jean-Claude s’incurvarono in un sorriso, un solo istante prima di sfiorarle la
mano con un bacio galante. Anita per un attimo fu sicura che avrebbe tirato fuori la lingua per
leccare la candida pelle del dorso. “Ourevoire mademoiselle…” Niente di fatto, almeno doveva
ammettere che Jean-Claude sapeva controllarsi… Con l’eleganza di un ballerino alla Scala, il
Master roteò su sé stesso in un frusciare di pizzi e capelli soffici come la seta, per poi soffermarsi a
guardare Anita dritto negli occhi. “Sei libera da me, se così preferisci. Ma io spero che tu voglia
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rivedermi come io desidero rivedere te.” Il suo sguardo tornò al cielo, per divenire ancora un
tutt’uno con la plumbea oscurità che volgeva all’alba. “Spetta a te scegliere, ma petite… Soltanto a
te…”
“Magari in un’altra vita, Jean-Claude…” rispose asciutta e gli occhi del vampiro tornarono a calare
su di lei, scuri, profondi ed imperscrutabili. Una carezza di velluto blu notte, che le accapponò la
pelle.
“Come vedi ti sto dando una scelta…” E detto questo, si mosse nel buio svanendo poco dopo dietro
gli enormi tendaggi del Circo dei Dannati. Alexandra e Victoria O’Brian, si guardarono negli occhi
ed annuirono in uno strano cenno di compiacimento.
Il suo sguardo seguì l’elegante camminata fin quando le fu possibile. Una tigre affamata che tentava
la sua preda, un selvaggio essere delle tenebre, che con l’eleganza camuffava la sua ferocia… Stava
soltanto tenendo d’occhio un pericoloso assassino! Anita inspirò un’enorme quantità di aria e riuscì
a ridestarsi, soltanto quando la mano di Richard le si chiuse sulla spalla, per farle sentire la sua
presenza. Anita chinò lo sguardo all’asfalto umido di brina e sorrise, un lieve accenno di piacevole
complicità, che però fu completamente privo di allegria. “Ti pensavo morto…” sussurrò, girandosi
verso di lui, per incontrare i suoi splendidi occhi nocciola, di nuovo tornati ad essere l’infinito
abisso di umana dolcezza in cui aveva imparato ad annegare senza troppa paura.
Richard le sorrise e le sfiorò la guancia, con la punta delle dita. “Io pensavo che lo fossi tu.”
“Io sono dura a morire…”
“Anche io.”
“Anita!” l’imponente figura di Dolph le corse incontro, sventolando la mano in un gioviale cenno di
saluto. Ecco che tornavano i problemi dovuti alla commozione celebrale, anche quello non poteva
essere Dolph. L’uomo le raggiunse con poche ampie falcate, seguito dal frenetico trotterellio del
detective Zerbrowsky. Non aveva voglia di parlare, e voleva soltanto andarsi ad infilare sotto le
coperte. Ce l’avrebbe fatta? Osservò l’espressione crucciata di Zerbrowsky, ed in tutta risposta, si
ripose di no. “Si può sapere che cosa diavolo è successo?” Anita si massaggiò le tempie martoriate
dal mal di testa, ma prima che potesse provare a rispondere, fu anticipata da lui. “Ci sono arrivate
una marea di telefonate che dicevano che qui c’era stato un carnaio, ma non c’è niente…” Gli occhi
della risvegliante si sgranarono cercando un briciolo di aiuto da Edward o da Richard. Entrambi
tacquero, stringendosi impercettibilmente nelle spalle.
“Se tu sei qui,” borbottò Zerbrowsky vistosamente assonnato. “e così malridotta, è segno evidente
che qualche problema c’è stato…” I suoi occhi si assottigliarono cercando di sfoderare
un’espressione astuta e professionale. Cosa che gli uscì, tipo la smorfia di un clown. “Che è
successo, Anita Blake?”
Fu Richard a parlare per lei, perché era l’ultimo ad essere uscito dal tendone, quindi l’unico a sapere
cosa fosse successo dopo la sua disastrosa perdita di sensi. “Hanno messo in scena una battaglia fra
bene e male… Tutto qui.” I suoi occhi si riversarono in quelli di Anita cercando una spalla.
Dolph si fece serio ed incrociò le braccia sul petto. “Lei sarebbe?”
“Richard Alaric Zeeman…” rispose prontamente Anita. “Uno degli attori.” Si come no, Zerbrowsky
la fissava come fosse una criminale incallita e Dolph tamburellava le enormi dita, sul braccio.
“Anche tu hai fatto l’attrice?” commentò il sergente squadrandola in lungo ed in largo,
infinitamente scettico.
“Sai, me l’hanno chiesto…” Ne sarebbe mai uscita?
“L’altro chi è?” proseguì il detective, indicando Edward ancora travestito da teschio, con la sua
penna già intenta a scribacchiare sull’inseparabile taccuino spiegazzato. “La Morte?”
Cavolo che uomo perspicace! La soffice risatina di Victoria, animò il silenzio palpabile ed i suoi
enormi occhi verdi, calarono sulla gelida espressione di Edward, lanciandogli un vezzoso
occhiolino. Dio mio, era talmente fanciullesca da far vomitare. Come cavolo faceva a scannare la
gente, con la freddezza che si leggeva nei dettagliatissimi rapporti della polizia? “Ciao Dolph!”
Squittì ancheggiando nella sua direzione, per poi stringergli la mano in maniera amichevole.
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Alexandra non si mosse, ma il suo sguardo s’addolcì di colpo, non appena entrò in contatto con lo
strampalato sorriso stampato sul volto del sergente Storr. “Ciao Dolph…”
“Allora è vero che siete in città!” Zerbrowsky, fissò le due donne con un misto di soggezione e
mascolino interesse. “E se siete qui, è anche vero che vi è sfuggito dalle mani.”
“Già…” rispose la donna, senza troppa animosità nella voce. Il suo viso traspariva un’infinita calma
ed i suoi occhi un’astuzia a dir poco geniale. Dio del cielo, chi cazzo era che era riuscito a scappare
dalle mani di una così? “Ma è qui… E questo vuol dire che durerà ancora poco.”
Dolph annuì compiaciuto. “Vedo che hai già conosciuto la concorrenza…” sorrise con fare
orgoglioso, indicando con un fugace cenno del capo, la minuta figurina che ancora si teneva fuori
dalla conversazione.
Alexandra annuì e Victoria ridolinò ancora una volta, fissando intensamente Edward. New York
contro St. Louis… Che bello, sembrava un derby fra sicari! Zerbrowsky continuò a fissare le due
sconosciute con sempre più crescente interesse. Il suo sguardo vagò in lungo in largo su di loro, fin
quando, come una lampadina che si accende, si animò di una febbrile espressione da shock. La
penna gli s’inchiodò fra le dita ed il taccuino per un pelo non gli scivolò dalle mani. “Alexandra
O’Brian?!?” Un gemito strozzato, seguito dal lento annuire da parte dell’altra. Zerbrowsky parve
essere sul punto di soffocare, tanto i suoi occhi si sgranarono per lo stupore. “Quella Alexandra
O’Brian?!?”
“Zerbrowsky…” borbottò Anita. “Se continui così, sembrerà che tu non abbia mai visto una donna
in vita tua!”
Le labbra del detective si mossero per risponderle qualcosa, ma il buon senso lo costrinse a non
farsi riconoscere subito per quello che era. Si limitò ad un’occhiataccia assassina, ma non appena fu
fuori dalla portata dello sguardo della straniera, si voltò verso Anita, per fa scorrere lo sguardo sul
suo minuscolo metro e cinquanta e dopo farlo migrare sulla statuaria figura della Sterminatrice del
nord. Ci volle tutto l’autocontrollo acquisito in anni ed anni di lavoro, per non saltargli al collo e
strozzarlo sotto gli occhi di tutti. Che c’era da confrontare? Alexandra era uno ed ottanta –
rigorosamente munita di tacchi impossibili – mentre lei era uno e cinquanta con le fedeli scarpe da
ginnastica. I suoi occhi ispezionarono accuratamente l’abbigliamento impeccabile dell’altra per poi
tornare a posarsi sulla sua squalliduccia felpa disintegrata dalla battaglia appena intrapresa. Beh,
che c’era di male a voler stare comoda sul lavoro?!? Oltretutto tutto quel profumo… Bleah! Che
andassero a fare le modelle, no?
“Sono sicuro che andrete d’accordo…” proseguì Dolph gettandole un’occhiata allusiva e severa.
“Anita è il nostro fiore all’occhiello e sono sicura che in due farete molto prima.” Prima a fare che?!
“Non lo metto in dubbio…” Alexandra parve crescere ancora di statura ed i suoi infiniti occhi verdi,
le piombarono addosso come lame arroventate. “Il caso è molto complicato, ma dopo qualche ora di
sonno” aggiunse con una nota di sarcasmo nella voce. “sono sicura che sarà in grado di aiutarmi.”
“Io vado a letto.” Perfetto, si era comportata da perfetta idiota. “Dolph ha il numero del mio
cercapersone e domani, a mente lucida, fra una rianimazione e l’altra, potrete spiegarmi che cosa sta
succedendo.” Non era da lei eludere una spiegazione, ma Dio, doveva necessariamente dormire
almeno due ore.
“Giusto, tu fai anche la risvegliante…” Sorrise l’altra, in un baluginio di perfetti denti bianchi come
la neve. “Abbiamo veramente un sacco di cose in comune…”
“Anche tu resusciti i morti?” domandò senza troppo interesse, giusto per farlo.
“No, ma sono una negromante… Per fare questo lavoro, bisogna esserlo per forza, no?”
L’immagine di Jean-Claude istintivamente postosi dalla sua parte quando c’era stato da scatenare
l’offensiva contro Richard, le riempì la visuale, facendole muovere le viscere in una domanda alla
quale non diede voce per via dei due intrusi. Forse ad animare il vampiro era stata la solita stupida
gelosia nei suoi confronti… Ci credeva? Diciamo che voleva crederci, se pur il suo atteggiamento
fosse stato troppo partigiano per essere normale. “Vai a dormire, Anita Blake… Ho paura che le
prossime notti saranno di gran lunga peggiori di questa…”
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Dolph e Zerbrosky fecero guizzare lo sguardo su tutti i visi dei presenti. Qualcosa allora era
successo davvero, ma visti i candidati per la galera, preferirono imporsi di non fare altre domande…
Del resto i morti non c’erano…
Anita finse di rimanere estranea alla cosa e salutò il gruppo con un frettoloso cenno di circostanza.
Lei sapeva, lei sapeva perfettamente cos’era successo all’interno di quel dannato tendone. Allora
perché diavolo non l’aveva detto? Gli occhi della straniera si assottigliarono svelandole una strana,
ma sincera complicità. Victoria fece altrettanto, e con un gesto languido assestò una pacca
amichevole sulla spalla di Edward, che si ritrasse velocemente, come se il solo tocco della sua mano
gli risultasse ripugnante. “Andiamo Edward…” L’uomo la seguì senza esitazione e si fermò al suo
fianco, nello stesso istante in cui lo fecero i suoi passi. “Richard, tu non vieni con me?” C’era
qualcosa che ancora non tornava, veramente c’erano una marea di cose che non andavano, prima fra
tutte, la strana ostilità che aveva dato vita alla tempesta energetica di poco prima. Tese la mano
verso l’uomo e lo invitò a seguirla, l’idea di lasciarlo in balia di quelle due assassine, non le piaceva
affatto.
“Lascia defluire liberamente il tuo potere Anita Blake,” la voce dell’altra Sterminatrice, l’avvolse
come l’abbraccio di un’amica. “vedrai che ti saranno chiare un sacco di cose e diventerai ancora più
potente di quello che già sei.”
Anita finse di non aver sentito ed eluse magistralmente gli sguardi dei due uomini che le erano
affianco. “Quella donna non mi piace…” borbottò pensierosa, mentre raggiungeva l’auto. “Ha
qualcosa d’inumano.”
“E’ molto meno inumana di quello che credi, Anita…” sussurrò Edward salendo in macchina.
“Molto meno di me e di te…”
Avevano riportato Richard al suo appartamento ed ora proseguivano nelle strade di St. Louis,
mentre il cielo schiariva sotto i tenui raggi del sole dell’alba. Anita si fregò gli occhi ed Edward,
pigiò più forte sull’acceleratore per portarla il prima possibile a casa. Sembrava distrutta e qualche
sana ora di sonno, le sarebbe servita a rimettersi in sesto almeno in parte. I suoi occhi fissarono la
strada, ma davanti a loro, non c’era St. Louis, bensì il viso di quelle due maledette donne venute da
New York.
“A che cosa pensi?” gli domandò stancamente Anita, ridestandolo come se di punto in bianco si
fosse messa ad urlare. Edward si aggrappò al volante e scosse la testa. “Su Edward, ci conosciamo
da troppo tempo perché non riesca a capire quando qualcosa ti preoccupa.” La ragazza stirò la
schiena, articolò il collo che emise un lugubre scricchiolio di ossa e muscoli contratti, poi lasciò
scivolare la testa nella sua direzione per guardarlo. “Come conosci Batman e Robin?”
Edward emise un fugace risucchio, che svelò una risata ricacciata prepotentemente indietro.
“Batman e Robin?!” ripeté con una singolare inclinazione nella voce ed il suo sguardo tornò ad
animarsi di quella soffice scintilla azzurra, che lo rendeva vivo e umano. “Dubito che sarebbero
contente di sapere che le chiami così.”
Anita si strinse candidamente nelle spalle e si accomodò meglio sul sedile. “Ne avrei anche altri di
modi per chiamarle, ma obbiettivamente questo è quello che gli si addice di più.” Edward si voltò a
guardarla, senza però perdere di vista la strada dove l’auto sfrecciava ad una velocità di gran lunga
fuori dai limiti prestabiliti dalla legge. “Su Morte, di alla tua collega Sterminatrice per quale motivo
siete pronti a spararvi a prima vista.” Le sue labbra s’incurvarono in un sorriso di scherno. “A
dispetto delle apparenze, sembrano proprio il tipo di donna fatto apposta per te.”
Di colpo, lo sguardo dell’uomo tornò ad essere vuoto e scuro. Una burrasca interiore, che gli piovve
sul viso rendendolo la solita maschera d’inespressività, con la quale Anita aveva imparato a
convivere. Le sue mani si strinsero sul volante ed il suo corpo, ebbe un leggero fremito, come se di
punto in bianco l’aria avesse perso qualche grado. Lo fissò intensamente. Eh, si, c’era proprio
qualcosa che non andava. “Assolutamente no, Anita…” una risposta secca e cupa, vibrante nell’aria
come il rintocco di una campana a lutto. “Sono molto diverse da quello che pensi tu… Tu guardi
l’apparenza, il loro atteggiamento gelido e deciso… Io, invece, le conosco e le evito.” La sua
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espressione lasciò trasparire una vena di dolore, che si mescolò con l’intonazione delle sue parole.
“Viky, non è affatto come credi…” Viky?! Oh mio Dio! Edward che si lasciava andare ai
vezzeggiativi! Cavolo, la cosa doveva essere davvero grossa! “Bracca con la tenacia di un giaguaro
ed uccide con una destrezza che farebbe invidia persino a te… Per non parlare di Alex…” Alex… E
se gli fosse scoppiata a ridere in faccia?!? No, forse non era il caso, era la prima volta che si
lasciava andare ad un discorso che non fosse poco più di una blanda risposta e non voleva mettere
nessun tipo di paletto per impedirglielo. Era come se stesse parlando a sé stesso… “Alex è una furia
omicida. Assedia, distrugge, massacra senza pietà… Alex è un vero e proprio killer del mondo
oscuro. Un mostro senza limiti. Ma nonostante tutto, e questo vale per entrambe, le creature
sovrannaturali non hanno assolutamente paura di loro…”
Il silenzio piovve nell’abitacolo come una cortina di fumo acre ed inviolabile. Da come ne aveva
parlato sembravano due assassine terribili, come diavolo era possibile che vampiri e company non
avessero paura di due esecutrici del genere? No, mancava un pezzo… Lei, la Sterminatrice più
minuta della storia del mondo, aveva il suo stuolo di vampiri imploranti pietà, come cazzo era che
loro non riscuotevano il suo stesso successo? “Non hanno paura di loro?” Edward annuì, con una
lentezza che lo rese un’immagine lugubre. “Perché?”
La Morte si passò la lingua sulle labbra riflettendo accuratamente su cosa rispondere. Passarono
all’incirca un paio di minuti finché potesse riprendere a parlare. “Tu conoscile…”
Una pesante cappa di gelo le piombò sulle spalle facendola rabbrividire di freddo. Le aveva detto
che erano molto meno inumane di quanto pensasse, ma dai suoi modi si evinceva l’opposto
contrario. Sembrava che stesse parlando della reale essenza della morte, incarnata nel corpo di due
sorelle votate allo sterminio dei criminali soprannaturali. Poi di colpo, come un vento caldo che le
inumidì le mani, le giunse il bisogno di posargli una carezza sul viso. Oddio mio, stava veramente
male! “Edward, come vi siete conosciuti?” La vera domanda sarebbe stata, chi delle due ti ha
piantato in asso, ma preferì usare un minimo di tatto.
Lo sguardo dell’uomo si fece nuovamente vacuo e spento, come annebbiato dal susseguirsi di
ricordi lontani ed a lei totalmente sconosciuti. E di nuovo giunse quell’irresistibile necessità di
prenderlo fra le braccia e di fargli sentire che c’era. Si aggrappò al sedile, trattenendosi dallo
sgranare gli occhi in uno sguardo sconvolto, ma iniziò ad inspirare aria sempre più a fondo…
Doveva calmarsi, stava delirando… Ci mancava soltanto che Edward si mettesse a spararle
addosso, credendo in un tentativo di aggressione. Edward e lei stretti in un abbraccio… Naa!
La voce dell’uomo giunse alle sue orecchie come un soffio leggero, nel quale si mosse un
impetuoso vortice di emozioni contrastanti. Rabbia, rancore, disgusto, ma anche rispetto, stima ed
una sottile vena di paura mista a smarrimento che gli incrinarono le parole, mano a mano che
uscivano. “Ero stato ingaggiato per uccidere uno dei Master di New York.” Tipico di Edward, i
soldi muovono il mondo e soprattutto un mercenario richiestissimo come lui. “Uno dei più potenti
della gerarchia. Marcus, seicento anni, razza americana, occhi azzurri e capelli biondi.” Perfetto, ora
aveva anche l’identikit di tale Marcus il Master di New York. In caso fosse passato di lì, l’avrebbe
riconosciuto subito. La testa di Anita annuì concentrata sul racconto, ma Edward non parve affatto
dar peso alla cosa. “Mi ero addentrato nel clan fingendomi uno di quei fanatici che non vedono l’ora
di diventare i vampiri, ed un po’ alla volta, guadagnandomi la fiducia dei sottoposti, sono riuscito
ad arrivare a lui.”
Anita si ritrovò a non riuscire più a non sgranare gli occhi. “Hai fatto lo Junkie?!” squittì al limite
dello sconvolto.
Edward scosse la testa guardandola più sconvolto di lei. “Ti paio il tipo che si fa ciucciare dal primo
che capita?” Evidentemente no, ma per farglielo sapere si limitò ad una fugace scrollata di spalle
che le costò l’ennesima fitta ed un altro dei nauseanti capogiri della serata. Le labbra dell’uomo
s’incurvarono in un soffice sorriso amichevole ed una delle sue mani si staccò dal volante per
posarsi sulla sua gamba in un gesto di conforto. “Resisti, Anita, siamo quasi arrivati…”
Lei annuì deglutendo lo smarrimento dovuto all’inaspettato tocco caldo della sua mano. “Va
avanti…” ah si, avanti e guarda avanti! Si, si, dovevano essere stanchi tutti e due, non c’era altra
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spiegazione, perché quello non era l’Edward che conosceva e lei non era affatto la solita
inespugnabile Anita Blake.
“Ok.” Con disinvoltura, la mano di Edward tornò al cambio e le sue labbra tornarono a dar voce al
racconto. “Ero riuscito a raggiungere il mio scopo, ma a dispetto del fatto che non mi faccio
ciucciare dal primo che capita,” sorrise sarcastico. “uno degli scagnozzi del Master decise che era
ora che diventassi un vampiro con la v maiuscola.” Gli occhi azzurri dell’uomo si voltarono a
guardarla in una splendida espressione alludente al seguito e lei scoppiò a ridere, tanto da farsi
mancare il fiato. “Ho fatto una strage…”
“Questo era ovvio…” ansimò cercando di recuperare un briciolo di dignità.
“Ma è anche ovvio, che la cosa mi ha inimicato tutta la comunità vampiresca di New York.”
Anita annuì e si asciugò una lacrima. “Quanti?”
“Cinque…”
“Pensavo peggio…” commentò espirando una forte boccata d’aria.
Questa volta fu Edward ad annuire. “Il problema è che uno di questi era proprio uno dei Master
sotto il controllo di Marcus. Non lui, perchè purtroppo non c’ero ancora arrivato tanto vicino da
scaricargli addosso una pioggia di proiettili d’argento.”
“Seicento anni, Edward, ci vuole ben altro che l’argento…” gli sorrise.
“Anita… Ero armato fino ai denti…” le rispose ammiccando in sua direzione.
“Ah, ok…” Il che significava un vero e proprio arsenale… Tipico di Edward… “E le due furie
omicide, quando entrano in ballo?”
“Se mi dai il tempo te lo dico…” i due si guardarono intensamente, e l’animo ripiovve a picco nel
racconto. “Loro, o meglio Alex, era la pupilla di Marcus…” Anita sgranò gli occhi, allora la sfiga di
essere piantonata da un vampiro petulante non era soltanto una sua prerogativa! “E’ apparsa sulla
scena, come fuoriuscita dal nulla. Non so come abbia fatto a sapere così velocemente cosa stesse
succedendo. E’ entrata nella villa a mitra spianato e dietro di lei, a seguito, come animate da
un’unica mente, ha fatto ingresso anche Victoria.”
Un lieve sentore di complicità fra vampiro e Sterminatrice, cominciò ad insinuarsi nella mente di
Anita. Ricordò l’ovattato richiamo della bella voce di Jean-Claude che pronunciava il suo nome
direttamente all’interno della sua testa ed il lieve sentore divenne una quasi certezza. “E’ marchiata
anche lei?” Edward si voltò a guardarla con un’intensità talmente pesante da toglierle il respiro.
“Sai cosa sono i marchi di un Master?” Lui non si mosse di molto, accennando ad un microscopico
movimento del collo, che voleva di sicuro dire no. “Quattro marchi e sei loro, ti entrano nel
cervello, ti trovano ovunque tu sia, ma ad averceli, ti danno un potere infinito e, ad una negromante,
danno la piena libertà dalle illusioni create dall’essenza vampiresca.” Edward non distolse lo
sguardo da lei nemmeno per svoltare nella via di casa sua. “Ovvero il potere che mi ha salvato dal
veleno degli ibridi di Lamia.”
“Sei stata marchiata?” non sembrava né troppo sconvolto, né troppo sorpreso.
“In tutto sette volte.” Gli sorrise stancamente, mentre l’auto si fermava davanti al portone. “Tre da
Jean-Claude e quattro da Alejandro…” i suoi occhi scuri vagarono persi sull’asfalto illuminato dai
fari dell’auto e sospirò. “Jean-Claude, a modo suo ovvio, l’ha fatto per salvarmi. Il primo è stato per
aiutarmi quando Aubrey mi ha mezzo fracassato la testa con un pugno, il secondo diciamo che l’ha
fatto più che altro per sé stesso ed il terzo, per aiutarmi quando una lamia mi ha inferto il suo
veleno.” Sorrise, un lieve incurvarsi delle labbra, privo di allegria. “Ha voluto impedirmi di morire,
nonostante sapesse che non gliel’avrei mai perdonata.” Assurdo, stava trovando una scusante per un
mostro…
Edward girò la chiave ed incrociò le braccia sul petto crucciato. “Anche il Master di questa città, ha
un debole per la sua Sterminatrice.”
“Per la sua negromante…” precisò. “Credo che la passione ossessiva che ha nei miei confronti, sia
dovuta unicamente al mio potere di negromante. Comunque ha sempre cercato di farlo con
eleganza.” Dio, le veniva da ridere da sola… I marchi dati con eleganza, c’era da sbracarsi. Edward
in risposta assunse un’espressione stralunata, che lei capì a pieno. “Lo so che è folle, ma lui, a
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differenza di Alejandro, mi ha imposto il suo potere soltanto a seguito di situazioni troppo fuori
dalla mia portata. Ha sempre cercato di aiutarmi, fatto sta che il quarto, l’ha lasciato a me come
scelta…” Mah, ci credeva?
Gli occhi azzurri della Morte, si assottigliarono divenendo due microscopiche fessure rifulgenti
nelle prime luci dell’alba. “Cos’è il quarto marchio, Anita?”
Lei esalò un profondo sospiro tremante. “Il quarto ti rende quasi immune alla morte e vuol dire un
legame eterno con colui che te l’ha dato. Per certi versi ti rende anche schiava della sua volontà ma,
considerando che ho fatto secco Alejandro senza tanti problemi, mi sa che su quelle come me non
funziona molto bene.” Sorrise.
Edward si adagiò di nuovo sullo schienale e con il collo rilassato sul poggiatesta, fissò la strada
come se però non la vedesse affatto. “Alex, Alex, stavi scivolando in basso, ma dubito che te ne sia
accorta prima della fine…” disse parlando al vuoto e non a lei.
“Ha preso il quarto marchio?” gli domandò lei un po’ esitante.
“Non lo so, Anita, non lo so… So solo che quando ha dato mano a quel corpo a corpo con me, tutto
sembrava fuorché umana.” I suoi occhi saettarono di indignazione e la sua mascella vibrò in uno
scatto nervoso. “Lui l’ha chiamata e lei e sua sorella sono corse in suo aiuto per non far sporcare le
mani ad un vampiro, che con la mia morte avrebbe perso tutti i diritti civili…” tacque un secondo,
poi scosse la testa. “La legge dalla parte dei mostri, assurdo…”
“Come è andata a finire?”
“Niente di che, mi ha disarmato senza troppa fatica e lasciato andare perché lei non ammazza gli
umani…” Parlò senza guardarla mai negli occhi, con lo sguardo perso in un vuoto che per lui era
animato dalle immagini di quella notte. “Ma mi ha anche avvisato di tenermi a debita distanza da
New York, perché non tollera chi ammazza i vampiri senza un motivo ben preciso. Una possibilità,
una sola, la stessa che concede ai mostri.” Si empì i polmoni e li risvuotò prima di proseguire, ma
quando la sua voce tornò ad empire l’aria, più che arrabbiato sembrava essere profondamente ferito.
“Di fronte ai suoi occhi non ero di molto diverso da loro…” Anita corrugò la fronte in
un’espressione crucciata ed indecifrabile. “Te l’ho detto, Anita, è un killer senza pietà, ma per certi
versi è molto più umana di me e di te messi assieme…”
Lei annuì e scese dalla macchina con un lento movimento sofferto che le fece percorrere la schiena
da una fitta rete di spine. Si voltò a guardarlo, richiuse la portiera e si adagiò con il palmo della
mano sullo sportello massaggiandosi la spina dorsale. “E tu te ne sei andato?” Lui scosse la testa.
“Allora hai ammazzato Marcus.” La bionda capigliatura di Edward si mosse ancora in un lento no.
“No?”
“No, ho studiato la mia nuova preda…”
Anita strabuzzò gli occhi sconvolta. “Volevi ammazzare la Sterminatrice?! Oh mio Dio, Edward,
sarà stronza, ma è comunque una dei buoni!” Lui si strinse candidamente nelle spalle, facendole
scorrere sulla schiena un febbrile brivido di agitazione. Un vero sicario… Edward non aveva mai
ucciso per sé stesso ed era il re degli assassini, come aveva fatto una vittima designata proprio dal
suo stesso orgoglio a sfuggirgli dalle grinfie?! “E allora come mai è ancora viva?!”
“L’ho studiata… Ma quando l’ho vista al pieno della sua ferocia, spalla a spalla con la sorella, mi
sono detto che sarebbe stato un vero peccato eliminare una forza della natura così spettacolare.
Quando agiscono assieme sono l’ottava meraviglia del mondo…” Si strinse nelle spalle e sospirò.
“Forse era proprio per questo che Marcus stravedeva per lei…”
Certo che il concetto di femminilità di quel maschio era proprio contorto… Anita sorrise, si staccò
dall’auto e scosse la testa in un rassegnato moto di diniego. Alexandra O’Brian aveva preso su di sé
quello che lei non aveva voluto ricevere da parte di Jean-Claude. “E’ un potere non suo, Edward…”
Edward rimise in moto l’auto e tornò a fissare la strada davanti a lui. “Sai quand’è che ho deciso di
risparmiarle la vita?” Bah, dai racconti che le aveva appena fatto, cominciava persino a dubitare che
la Sterminatrice avesse avuto seriamente da temere per la sua incolumità. “Proprio quando è morto
Marcus…” aggiunse, come se lei avesse posto la domanda di rito.
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Anita strabuzzò gli occhi sconvolta. “Marcus è morto?!” Lui annuì in un delicato fruscio scaturito
dall’alcantara dei sedili dell’auto. “Chi l’ha ammazzato?!”
Il rombo del motore ruggì nell’alba e la macchina ricominciò a muoversi. Non avvertì il suo della
sua voce ma, il lento scandire delle sue labbra le fu chiaro e nitido come uno squarcio bianco, nel
cielo nero di una notte senza stelle. Lei.
Fissò i fari dell’auto fin quando non svanirono dietro una svolta. Alexandra aveva ammazzato il suo
stesso Master?! Perché diavolo aveva ammazzato colui che le aveva dato la forza di essere la
spietata creatura delle tenebre che era diventata? La domanda risuonò nel silenzio in un lento
defluire intermittente, ma ovviamente, né il vento, né lei, avevano le risposte giuste da dare. Stanca
e spossata risalì le scale che conducevano al suo appartamento. Voleva dormire, soltanto dormire.
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Capitolo 2. Ice green
Otto e trenta del mattino, le dichiarò la sveglia non appena l’orribile suono del telefono le entrò nel
cervello strappandola dal sogno in cui era piombata non appena aveva chiuso gli occhi. Gemette
disperata e nascose il viso fra la soffice lana del suo pinguino da compagnia e la fresca stoffa del
cuscino. Il telefono si fermò al settimo squillo e lei esalò un lungo sospiro di sollievo. Non ce la
faceva ad alzarsi e, se pur una telefonata a quell’ora del mattino voleva dire che qualcuno aveva
seriamente bisogno del suo aiuto, non aveva nessuna intenzione di scendere dal letto prima del
momento di andare a pranzo. La schiena le doleva come se fosse stata presa a bastonate da un
gigante e la testa continuava a ronzare in fluttuanti liquide ondate di emicrania. Se non avesse
dormito un altro po’, di sicuro sarebbe morta stecchita entro l’ora di cena e dopo cena doveva
risvegliare ben tre zombie… Ci mancava solo di doversi sorbire le grida di Bert, perché pure se
fosse morta, dubitava che l’avrebbe scusata per aver lasciato il lavoro non fatto… Ce lo vedeva
bene ad inveire contro la sua lapide. Tipico di Bert…
Il silenzio tornò ad essere la calda coperta confortevole in cui annegare ed il sogno, lo strano sogno
fatto quella notte, tornò a muoversi davanti ai suoi occhi, scontato e nitido come un film già visto.
Una vera e propria immersione in ricordi non suoi e dei quali sapeva forse troppo poco per poter
rendere il tutto così dannatamente perfetto e dettagliato. L’immagine di Alexandra O’Brian, tornò a
fare irruzione dall’enorme portone di legno nero intarsiato e dietro di lei la minuta ma non meno
spaventosa figura di Victoria. Entrambe ruotarono su loro stesse intercettando la preda. Era vero, se
quello era minimamente simile alla realtà, Edward aveva perfettamente ragione a dire che parevano
animate da una stessa mente comune… Una rapida panoramica sui cadaveri abbandonati dei cinque
vampiri, alla quale era seguito uno scoppiettante fragore di pallottole liberate dal caricatore di un
piccolo Uzi. Alex O’Brian aveva fatto fuoco un’altra volta. L’ottica girò velocemente strappandole
il fiato per la vertigine e, dall’altro lato dell’ampio salone, apparve di nuovo il volto terrorizzato di
Edward. Edward in preda al panico era una cosa impensabile, eppure, quella smorfia congelata sul
suo viso mentre cadeva ferito ad una gamba da almeno tre proiettili, non era altro che quello. Panico
allo stato puro… Edward in preda al panico… Si, nient’altro che un sogno dovuto ai suoi racconti
troppo poco dettagliati. Gli occhi azzurri della Morte, guardarono in faccia la fine della loro
esistenza e si tinsero degli inequivocabili colori della paura. Rabbrividì guardandolo mentre
strisciava all’indietro cercando di guadagnare la parete e le sue mani tremanti, cercavano di tenere
salda la Beretta. Lui sparò ancora, uno sparo secco e gelido, che squarciò l’innaturale silenzio del
sogno come un fulmine a ciel sereno. Poi lei, leggera ed elegante, avvolta nella sua lunghissima
cappa di pelle nera frusciante, che si scostava semplicemente di lato, per schivare il proiettile e
mandarlo a conficcarsi sulla parete dietro le sue spalle. Un’immagine da mettere i brividi addosso
anche ad una come lei. Edward gridò vittima di un panico oscuro e delirante e la delicata mano
della donna calò sul suo giacchetto nero, per sollevarlo da terra senza il minimo sforzo. Un gesto
fluido e rapido, al quale rispose la lenta ma inesorabile alzata del cannemozze della sorella che,
nonostante l’ascesa repentina, non lasciò nemmeno per un attimo il tiro sul bel viso di lui. Edward
trattenne il fiato convinto di morire, mentre la sua fedele pistola gli veniva strappata dalle mani per
andare a fracassarsi sul gelido marmo bianco dell’atrio. “Uccidilo Alex.” Tuonò una voce calda e
vellutata, che Anita riconobbe subito come quella di Marcus.
Alexandra si voltò a guardarlo senza un briciolo di umanità nello sguardo ed il suo bel viso da
fotomodella, si distorse in una terribile maschera di gelida ferocia. “Dimmi, se ce ne hai uno…”
sibilò a denti stretti, rivolgendosi ad Edward se pur senza guardarlo. “Per quale motivo sta notte hai
ammazzato cinque persone!” Non una semplice domanda, ma un vero e proprio ordine a rispondere.
Le labbra di Edward fremettero, dicendo la stessa identica cosa che avrebbe detto lei a seguito di
una domanda del genere. “Persone?!” boccheggiò confuso, dando alla stretta ferrea della donna
l’impulso di stringere ancora più forte il colletto della giacca tanto da togliergli il respiro, mentre
con tetra lentezza tornava a guardarlo negli occhi. “Ho ammazzato dei vampiri, non delle persone…
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Vampiri che hanno attentato alla mia vita!” Sembrava un bambino spaventato. Edward?! Naa. Il
suo, era semplice e puro delirio notturno post commozione celebrale.
Il volto di Alexandra si fece scuro ed i suoi immensi occhi verdi tornarono a voltarsi verso
l’immagine già vista, ma in quel momento ancora apparentemente sconosciuta. Anita si aggrappò al
cuscino e le labbra della Sterminatrice ringhiarono un’altra domanda. “E’ vero, Marcus?!”
Silenzio, spesso e profondo, intercalato soltanto dalla lenta discesa di passi riecheggianti sul marmo
dell’enorme scalinata. Come in un film, il sogno intraprese una lentissima panoramica ad ascesa, fin
quando, non incontrò un paio di stivali di lucida pelle nera finemente ricamati. Un film dark, nel
quale un paio di pantaloni di pelle del colore di una notte priva di stelle, che parevano fondersi
perfettamente con lo stivale, scorsero lentamente modellando in un delicato gioco di luce ed ombra
due meravigliose gambe con muscoli da atleta. Poi, lenta, carezzevole, ma inarrestabile, l’ottica
proseguì andandosi a posare su una leggera camicia di raso ugualmente nero, lasciata aperta su di
un petto talmente sensuale, da far scorrere un liquido fuoco nelle vene della spettatrice. Il sogno si
ripeteva, ma lui era come se fosse completamente estraneo al de-ja-veux. Il disegno degli
addominali scolpiti nell’alabastro, si fuse con due ampi pettorali, incorniciati dalla netta vu della
camicia dove il gioco della luce, fu ancora più spettacolare. Poi ancora più su, melliflua, come per
corrodere d'attesa l'animo di chi ne osservava la figura, apparvero delle soffici onde di fili d’oro che
si muovevano in serpeggianti volute ad incorniciare il viso più bello che Anita avesse mai visto.
Magia, illusione di vampiro. No, non poteva essere così, perché lui non era presente per lanciarle
addosso la sua malia e l’immagine era dovuta soltanto ad un suo sogno. La sua mente aveva dato a
Marcus, una bellezza sublime e quasi angelica… Una perfezione da artista romantico, che nella
figura maschile riversava il rifulgente splendore di un arcangelo. Sembrava essere appena scivolato
fuori da una delle più belle opere del Botticelli. Forse lo aveva fatto per dare una giustificazione
all’insensata accettazione di Alexandra di divenire la sua serva umana consenziente… Ma, come
per magia, a strapparla dalle congetture, apparvero quelle labbra morbide e vellutate che chiedevano
soltanto di essere baciate, incurvate in un elegante sorriso dolce ma allo stesso tempo sensuale ed
accattivante; il naso disegnato con perfezione maniacale, nel bianco incontaminato della sua pelle
serica; gli zigomi alti, mascolini, incantevoli… Poi i suoi occhi… Due stralci di un cristallino e
spumeggiante oceano in cui annegare senza timore, racchiusi tra le leggere ciglia di splendenti fili
di seta dorata. Anita si ritrovò ad avere un bisogno disperato di toccarlo, di posare le sue mani su
quel petto puro, perfetto, di nascondere le dita in quei capelli fatti di raggi di sole, di seguirli nella
loro morbida discesa verso le belle spalle e l’idea di sapere che l’immutabile esistenza di una
creatura così sublime fosse stata interrotta dalla morte, le spezzò il cuore. Il profumo dell’antichità
le ferì le narici e la sua voce, il canto appassionato di un angelo, la avvolse completamente
strappandole un flebile sospiro adorante. “Alex, amore mio, tu credi davvero che uno dei miei
vampiri avrebbe attentato alla sua vita, se non fosse stato proprio lui a volerlo?” sembrava così
ragionevole, che si ritrovò a dire lentamente di no persino lei. “Amore mio, tu sai cosa significhi per
noi quello che abbiamo, sai cosa sto cercando di fare per concedere alla mia specie l’integrazione
che merita. Pensi davvero che avrei permesso una cosa del genere?” I suoi passi scivolarono ancora
più in basso sulla scala, empiendo tutto lo spazio della sua meravigliosa figura. Si mosse con la
fluidità di un puro spirito e le sue labbra si sciolsero in un tenero sorriso completamente libero dalla
macchia delle zanne. Dio, se non fosse stato per quei capelli biondi e per quei duecento anni che li
dividevano, Anita lo avrebbe detto il gemello eterozigotico di Jean-Claude. “Alex…” la sua mano si
tese ad indicare una giovane vampira bionda con il petto massacrato da una scarica di colpi, per poi
deviare su quello di un altro giovane vampiro, che al tempo della passaggio alla non morte, non
aveva potuto avere più di ventun’anni. “Michelle e Nicholas…” tacque facendo riecheggiare quei
due nomi, come fossero quelli di due vittime dell’olocausto. “Se hai qualche dubbio, guardali e
rifletti, amore mio. Tu li conoscevi…” Ok, era soltanto un sogno, ma quel vampiro non aveva un
briciolo di mostruosità in corpo. Magari stava impazzendo, ma se anche soltanto minimamente
Marcus era stato così incantevole come se lo immaginava lei, allora perché cazzo quella dannata
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stronza lo aveva ammazzato?! Il cuore le pompò nel petto una rabbia disperata e, se pur ancora nel
sonno, si aggrappò al cuscino scivolando in un pianto silenzioso, ma ugualmente violento.
Gli occhi di Victora scivolarono sui due corpi e la sua arma perse la mira, per calare lentamente a
puntare il pavimento. “Nicholas…” sussurrò come se stesse per mettersi a piangere, ma prima che
le lacrime potessero prendere il sopravvento, i suoi occhi brillarono di una cecità omicida che
raggelò l’aria. “Perché l’hai fatto!” gridò, squittendo come una bambina alla quale era stato ucciso il
cagnolino, ma dietro a quel dolore acerbo, serpeggiò qualcosa di molto più maturo di quello che
diede a vedere la sua fanciullesca intonazione.
Edward s’irrigidì, ma cercò ugualmente di sottrarsi alla stretta ferrea della Sterminatrice. Fu
completamente inutile. “Vampiri! Sono vampiri! Mostri che si nutrono di noi umani, non persone,
maledetti schifosissimi vampiri!” Un patetico tentativo di trovarsi una giustificazione, di fronte al
dolore implacabile, che accese di un verde rifulgente le iridi delle due sorelle. “Ma tu…” balbettò
spaesato. “Chi diavolo sei?”
“La Sterminatrice…” le parole di Marcus fluttuarono nell’aria come una carezza di seta scaldata dal
tepore di un corpo umano. Un soffio languido, nel quale vibrò un sentimento di stima ed amore
profondi come la sua stessa antichità, ed al quale, seguì un lunghissimo silenzio ancora più
profondo ed inviolabile del precedente.
Alexandra fece scorrere lo sguardo sui cadaveri dei vampiri, poi sul magico volto del Master della
città, poi su quello addolorato della sorella. I suoi occhi calarono in un lento triste riflettere, poi la
sua mano lasciò bruscamente la presa sul collo di Edward che si accasciò per terra, gemendo per il
dolore alla gamba ferita. Sollevò di nuovo la mitragliatrice e la puntò dritta nel centro degli occhi
dell’umano. Anita gemette inorridita, ma già sapeva, già aveva visto, Edward nonostante il
disprezzo che aveva riscosso in tutti loro, non era morto. “Chi diavolo sei, tu!” ringhiò, stringendo
lievemente il dito sul grilletto.
“La Morte…” Tipico di Edward… Borioso, arrogante e vanitoso anche in punto di morte.
Alexandra inclinò il volto di lato come per riflettere, poi ghignò profondamente divertita. “La
Morte… Ho sentito parlare di te… I vampiri ti temono nonostante tu sia semplicemente un
umano…”
“Ma è proprio nell’inumanità che sta il tuo potere, figlio di puttana…” Sibilò Victoria, ma la mano
della sorella si levò per intimarle di tacere.
Gli occhi di Edward si assottigliarono riacquistando la loro perduta espressione da killer. “Mi danno
un compito, e lo porto avanti anche a costo della mia stessa vita.”
“Ovvero,” ghignò la Sterminatrice “sei un mostro.” Edward cercò di rimettersi in piedi
riacquistando anche un po’ della sua perduta dignità, ma un calcio della donna lo rimandò a sedere
con un rantolo addolorato. “Ma sei umano, ed io purtroppo ho giurato di proteggere la mia
specie…”
“Alex, ha massacrato la mia gente!” Tuonò il Master, avanzando velocemente verso di lei. “Non
puoi tutelare un assassino, non puoi farlo!”
Il verde rifulgente degli occhi della donna si levò al suo viso, annuendo in un sofferto cenno di
assenso. “Sai com’è la legge, Marcus, sta a te ed alla tua gente guadagnarvi i diritti necessari a
cambiarla…” L’azzurro sconfinato degli occhi del vampiro mutò velocemente, ed i suoi lineamenti
si tesero vinti da una rabbia oscura e letale, che lo animò come un angelo votato allo sterminio. Si
avventò su Edward, lo sollevò di nuovo da terra fracassandolo contro il muro, e fra le sue labbra,
distorte in una smorfia agghiacciante in cui la sua vera essenza prese forma, scaturì l’immediato
scintillio delle zanne. Alex non parve nemmeno muoversi, proprio come la sorella che eretta al suo
fianco, non mosse un muscolo per dividerli. I loro sguardi però, furono animati da sentimenti
completamente diversi. Victoria fremette in attesa della fine dell’unico mostro che vedeva nella
villa, mentre Alexandra sorrideva calma e serena. Edward si dimenò in un forsennato tentativo di
fuga, ma la stretta delle dita del vampiro, lo trascinò lentamente al soffocamento. “Sai che non ti
fermerò…” sussurrò la Sterminatrice.
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Marcus rimase immobile, una mostruosa statua straripante potere, in cui vibrava un odio profondo
ed una rabbia cieca ed inumana. Un Master al pieno delle sue facoltà distruttive. Ma come aveva
aggredito, con la stessa rapida semplicità, lasciò ricadere il corpo della Morte, ormai priva di sensi.
“Ma mi uccideresti.” Alexandra annuì con calma, senza un briciolo di dispiacere nello sguardo. Il
vampiro sorrise, un sorriso spento, ma che si accese non appena incontrò il viso di lei. “Portalo via,
perché non lo proteggerò…” La Sterminatrice annuì impassibile. Marcus roteò su sé stesso, ma si
fermò un secondo prima di sorpassarla. “Davvero mi uccideresti, amore mio?”
“Si, sai chi sono…”
La lunga mano affusolata del vampiro, si tese ad accarezzarle il viso, e per un solo infinitesimale
istante, il volto della donna si sciolse lasciando trasparire una tenera complicità, che si svelò a pieno
nel suo lento strofinarsi sulla mano candida di lui. “Tutto questo cambierà…” le sussurrò fra i
capelli.
“Sai che lo spero tanto quanto te…” gli rispose, mentre le labbra del vampiro le si accostavano per
posarle un delicato bacio sulla guancia. “Lo spero, Marcus, ma purtroppo guadagnarvi il rispetto
degli umani, è solo compito vostro.”
“Già…” Il Master accarezzò il volto di Victoria e la baciò sulla fronte. “Ma ho due buone alleate
dalla mia parte…” E come se non fosse mai realmente esistito, svanì nel nulla, lasciandole ad
occuparsi di Edward.
Anita sgranò gli occhi e riprese aria, non appena l’ossessionante trillo del telefono tornò a vibrarle
nelle tempie, come la campanella della fine delle lezioni. Cercò di ricordare il seguito… Un seguito
che aveva visto la prima volta, ma che ora pareva non esserci mai stato. Edward si era salvato, ma
ricordava che Alexandra fosse stata molto dura con lui quando lo aveva lasciato libero di
andarsene… Si passò il braccio sugli occhi quando il terzo squillo le entrò nella testa, quasi
spaccandogliela a metà. Che gli aveva detto? Oddio… Non riusciva proprio a ricordarselo. Allungò
la mano alla cornetta, disperata. Tanto era solo un sogno e ricordarselo non le sarebbe servito a
nulla. Si era fatta quello che si dice un film… Ma si, ora l’importante era far star zitto quel dannato
apparecchio infernale. “Anita Blake.” Borbottò.
“Lo so che sei Anita Blake, se ho fatto questo numero un motivo ci sarà!”
Oddio, Dolph che parlava, ci mancava solo l’impossibile buongiorno e si sarebbe detta caduta in
una puntata di “Ai confini della realtà”. Si rigirò sul cuscino per ripararsi dal riverbero del sole
filtrato dalle spesse tende e mugolò una blanda risposta. “Buon giorno Dolph, sai che diavolo di ore
sono?” il sogno sembrava essere durato una notte intera, invece erano passati si e no cinque minuti
da quando il telefono aveva squillato la prima volta.
“E’ una cosa importante Anita.” Tuonò la voce dall’altro capo, riprendendo la solita intonazione del
poliziotto burbero e deciso. “Ho bisogno di te.”
Otto e trentasette del mattino, il che voleva dire morte certa nell’arco della giornata. “Dolph, ti
prego, ho bisogno di dormire qualche ora.”
“Se non vuoi che ti metta sotto torchio per farmi dire per quale motivo sei ridotta ad uno straccio, ti
consiglio di portare il tuo culo, qui al distretto.” Bene erano passati addirittura alle minacce.
“Uomo, razza bianca, possibili origini europee, apparentemente massacrato da un orso… E visto
che dubito che si tratti realmente di un orso che gironzola per la città, messo tutto insieme se ne
evince un solo nome…”
“Anita Blake.” Sospirò rassegnata. Del resto era stata lei la pazza ad accordargli il fatto di essere il
loro consulente sulle creature oscure. “Alexandra è andata a fare shopping?” mugugnò sbadigliando
a pieni polmoni.
“Anita!” dovette staccarsi la cornetta dall’orecchio per non farsi scoppiare le cervella. “Alex è fuori
dalla sua giurisdizione! Poi sei tu la mia addetta ai crimini soprannaturali, non lei!”
Rigirò gli occhi all’indietro e si convinse a tirare giù i piedi dal letto, se pur con un gemito sofferto,
che anticipò la resa. “Ok Dolph, dove…”
“Ti do mezz’ora, siamo al Lunatic Caffé.” Click.
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“Ciao Dolph, sono felice anche io di sentirti Dolph…” borbottò irritata, ma tanto alla fine con chi
aveva parlato? Col vento!
Quando arrivò al locale erano le nove e trenta del mattino. Non ci aveva messo mezz’ora, ma
sfidava chiunque a farglielo notare. Quel giorno, come del resto tutti quelli in cui dormiva si e no tre
ore, non era proprio in vena. Il detective Zerbrowsky le andò incontro, sviolinandole un allegro
sorriso a trentadue denti. Bene, qualcuno di buon umore c’era, solo non riusciva ad immaginare
cosa ci si potesse trovare da ridere, in un carnaio in bella vista sotto i raggi del sole. Se c’era una
cosa che detestava era esaminare i casi di crimini soprannaturali di giorno, di solito le tenebre
coprono gran parte dello schifo, ma non si può sempre avere tutto dalla vita, no? “Anita! Ce l’hai
fatta ad arrivare, la scientifica sta spettando soltanto te per togliere di mezzo il cadavere.”
Anche lui, dannatamente poliziotto fino al midollo. Cadavere, togliere di mezzo… Dio mio, alle
volte li avrebbe volentieri mandati a farsi fottere. A dispetto del pensiero, le sue labbra si tesero in
un sorriso stiracchiato e la sua voce proferì uno stanchissimo “Buon giorno Zerbrowsky.” Lo
sorpassò con una manata sulla spalla, per poi girarsi e fargli cenno di seguirla. “Prima che mi
rifaccia gli occhi, ragguagliami su cosa sto per andare ad esaminare.”
“Maschio bianco di probabili origini europee…” e fin qui, sapeva già tutto. “Altezza fra l’uno e
settanta e l’uno e settantacinque, capelli biondi e morto.”
Che cazzo di senso dell’umorismo… “Zerbrowsky, vieni al dunque.”
L’uomo sorrise e voltò la pagina del solito osceno taccuino, per dare libero sfogo al seguito.
“Ecchimosi all’altezza dell’occhio destro, varie tumefazioni cosparse su tutto il corpo…” e l’orso?
Dov’era la zampa del famigerato orso? “Gola squarciata di netto tanto da far vedere l’osso, assenza
del famoso occhio destro ed è completamente eviscerato.” Ecco l’orso non orso… Oddio, già le
veniva voglia di rimettersi al letto. “Un vero scempio, Anita, una cosa mai vista…” aggiunse
scuotendo la testa.
Anita si fermò per guardarlo negli occhi. “Dici sempre la stessa cosa, Zerbrowsky. Possibile che
dopo due anni nella Spook Squad non ti sia ancora inventato una conclusione diversa?” l’uomo si
guardò bene dal raccogliere la battuta tagliente e la spinse avanti con una pacca amichevole. Cosa
che gli costò un “Cazzo Zerbrowsky, rifallo e ti sparo addosso tutto il caricatore!” Anita finì di
entrare nel locale, praticamente piegata in due dal mal di schiena.
All’interno, la soffice musica di una bella canzone degli Evanescence, l’avvolse cullandola fra le
note della melodia. Conosceva quel posto, anche se fino a quel momento non ricordava di esserci
mai entrata. “Certo che lo spettacolo di ieri deve essere stato davvero molto realistico…” Borbottò
il detective, adocchiando la mano di lei intenta a massaggiarsi la schiena. Anita si voltò a guardarlo
sicura di averlo sentito parlare, ma senza essere riuscita a capire nulla della frase. Lui scosse la testa
e lasciò perdere. Del resto Dolph era stato chiaro in merito, se anche due come Alexandra e Victoria
O’Brian avevano preferito evitare di raccontare l’accaduto, allora era meglio lasciar stare. Tanto
segnalazioni di morti o persone scomparse non ce n’erano state e l’unico cadavere della serata, era
stato trovato dalla parte opposta del distretto. Perché indagare su un’inezia, quando la vita ti
metteva di fronte qualcosa di meglio? Con un cenno della testa, Zerbrowsky indicò una figura di
donna che stava fumando mollemente adagiata sul bancone principale. “Quella è la proprietaria del
locale, Mrs. Raina Wallis.” La adocchiò da sotto a sopra con fare astuto ed indagatore. “Pare che sia
stata lei a trovare il cadavere di quel poveraccio.”
“L’avete interrogata?” domandò lei di rimando, ma senza troppo interesse.
“Si, ma dice che l’ha trovato solo stamattina, quando ha aperto per sistemare per la serata.” Beh,
non è che un’assassina ti dice di aver ammazzato qualcuno soltanto chiedendoglielo… “Ma non mi
sembra molto sconvolta dalla cosa e questo non è normale.”
Anita osservò la donna e si strinse nelle spalle. Non era compito suo mettersi a fare indagini, o
almeno, non era compito suo farlo in quel momento. Oltretutto era fuori dal gioco, perché troppo
snella e filiforme. Si parlava di squartamenti e non di coltellate, quindi lei non poteva essere stata. I
grandi occhi nocciola della donna, si voltarono lentamente ad incontrare i suoi, e le sue belle labbra
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laccate dello stesso rosso dell’elegante tailleur, s’incurvarono in uno strano sorriso. Ok, o l’aveva
riconosciuta o doveva esserci dell’altro. “Dille di non muoversi di qui, perché dopo aver esaminato
il cadavere voglio farci due chiacchiere.” Ecco la sua indole del cazzo farsi strada prima del buon
senso, precludendole di netto la possibilità di rimettersi a dormire prima di dover andare al lavoro.
Merda!
Zerbrowsky, ubbidiente come un cagnolino ben addestrato, s’incamminò verso la donna, mentre lei
riprendeva a seguire la scia di poliziotti che andavano avanti e dietro per il locale. Non le ci volle
molto per capire dove fosse avvenuto il crimine, perché, ad aspettarla comodamente sedute su un
tavolinetto di lato alla porta del bagno degli uomini, trovò le due detestabili newyorchesi già pronte
a sfoderare il loro migliore sorriso da copertina. Beh, visto che c’erano loro, svegliarla era stata pura
e semplice crudeltà. Victoria saltò giù dal tavolinetto addossandosi ad Alexandra, che al contrario
non mosse un muscolo. Impeccabili nel loro solito completo da panterone sadomaso, sembravano
essere appena uscite dal parrucchiere. Anita rigirò gli occhi all’indietro e, per la prima volta in vita
sua, maledì la sua tutaccia e le sue adorate nike nere. Batman e Robin… Si, perfette per la locandina
di un eventuale sequel. Un involontario sorriso di scherno le si disegnò sul viso, ma lo ricacciò
lontano, fingendosi felice di vederle. “Già qui?” domandò con falsa cordialità.
Victoria incrociò le braccia sul petto e tornò a sorridere. “Quando seguiamo un caso, di solito non
dormiamo molto.” Non raccolse la nota sarcastica, del resto lei non stava seguendo nessun tipo di
caso o almeno non fin quando non fosse entrata dentro a quel fottutissimo bagno. “Non è un
orso…” sentenziò allegramente la giovane, incrociando le braccia sul petto e facendo scivolare il
peso tutto sul fianco destro. Viste così, ora erano la copertina perfetta di Vogue. Oddio, ma chi ce le
aveva mandate?! “Ed il morto è un licantropo.”
L’aveva detto, svegliarla era stata pura e semplice crudeltà. “Victoria…” la chiamò la sorella. “Dai
il tempo a Mrs. Blake di fare il suo lavoro.” Calma e serena, ma quello era stato un vero e proprio
modo di sgridare quella tronfia ragazzina tutta boccoli. Victoria mosse le labbra in un delicato muso
e lei decise che Alex O’Brian non era poi così tanto male. Due secondi, poche battute, dieci punti
per lei.
Anita sorrise. “Non preoccuparti, per me va bene anche così, ma smettila di chiamarmi Mrs. Blake
o finirò con il darti del lei.” Avanzò ancora di qualche passo e strinse la mano alla maggiore, che
ricambiò con una stretta forte e decisa. Come la pioggia di un uragano improvviso, l’immagine del
sogno le ripiombò davanti agli occhi e ritrasse velocemente le dita da quelle dell’altra.
“Tutto bene, Mrs… Anita?” le domandò l’altra un po’ accigliata.
Anita scosse la testa, ma invece di risponderle, sfuggì al suo sguardo entrando in fretta e furia nel
bagno. Peggio che andare di notte. Se non fosse stato per l’enorme figura di Dolph che riduceva un
bel po’ la visuale, si sarebbe trovata a vomitare seduta stante. Non aveva avuto il solito tempo di
prepararsi psicologicamente ed ora, oltre all’orribile pozza di sangue che arrivava fin quasi a
lambirgli i piedi, a stordirla c’era anche il turchese riverbero del ricordo degli occhi di Marcus. Si
passò la mano sul viso per cercare d’indursi calma e professionalità, ma prima ancora che potesse
far sentire la sua presenza, Dolph si girò nella sua direzione, esclamando un esasperatissimo
“Finalmente! Sbaglio o ti avevo dato mezz’ora?” bofonchiò.
“Dolph, quando mi pagherai un salario decente, prometto che sarò molto più puntuale di così.”
Socchiuse gli occhi per imprimersi bene a mente la scena. Dio, era un vero e proprio carnaio. La
spiegazione di Zerbrosky era stata piuttosto dettagliata, ad eccezione dell’assenza dell’occhio
destro, che invece che essere svanito nel nulla, era languidamente adagiato in mezzo al sangue
ormai quasi coagulato. La pupilla dilatata nella morte, pareva fissare proprio lei, come in cerca di
aiuto. Una cosa era certa, in quanto a salvezza, non poteva più dargliene né lei, né nessun altro.
La voce di Dolph, tornò a parlare lievemente attutita dalla concentrazione che si era imposta per
guardare la scena. “Ho una versione dei fatti, ora voglio la tua.” Anita gettò un cenno fugace alle
due donne che ora si erano affacciate alla porta e lui annuì. “Si, loro dicono che l’orso è una cazzata
e che c’è di mezzo una faida fra licantropi…” Dolph sollevò lo sguardo alle due donne ed annuì
come se loro avessero parlato. “Ah, si, Robert Finn” indicò la salma. “è… era un licantropo.”
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Sperò con tutta sé stessa che quelle due amazzoni non avessero pensato che l’idea dell’orso fosse
sua, ma per essere sicura dissipò qualsiasi eventuale dubbio. “Mi chiedo di chi diavolo sia stata
l’idea dell’orso…” Borbottò.
“Anita, la proprietaria del locale ci ha chiamato dicendo che c’era un cadavere nel suo bagno e che
pareva essere stato massacrato da un orso…” le rispose lui, evidentemente sulla difensiva. “Io ho
parlato di uno massacrato come se fosse stato aggredito da un orso, se fossi stato in grado di
decidere da solo l’entità dell’assassino, tu non saresti qui.” E non sapeva quanto le sarebbe stato
d’aiuto… Minimo avrebbe dormito altre sei ore… Dolph levò lo sguardo dietro le sue spalle ed in
quel gesto fu chiaro come il sole, che il punto di vista di New York sulla sua persona, era la cosa
più di rilievo in tutta la storia.
Esalando un respiro spossato, Anita avanzò verso il corpo riverso atterra, e lo esaminò più da
vicino. La quantità di sangue “sprecata”, scartava a priori la comunità vampiresca. Le viscere
sembravano essere state completamente asportate, forse divorate, ma le ferite del ventre non
parevano affatto lacerazioni di denti. Frastagliate come strappi, ma ugualmente nette come se fosse
bastata una sola zampata. Si, non era stata usata un’arma, bensì una zampa, ma non era né di canide,
né di felino, né tanto meno di un roditore… Le scoppiava la testa. Indossò velocemente i guanti di
lattice e scostò i brandelli di tessuto della camicia, per controllare le contusioni. Era stato aggredito
prima di essere massacrato e, vista la posizione rilassata del corpo, probabilmente era morto prima
del servizietto. Probabilmente soffocato dopo l’asportazione della trachea. Beh, forse Robert Finn si
era risparmiato l’orrore di essere eviscerato a mente sveglia. Gli girò la testa di lato per controllare
il retro del collo. A parte la famosa totale assenza del blocco tracheale e quella terribile ecchimosi
sullo zigomo destro, probabilmente inferta dallo stesso violentissimo colpo che gli aveva fatto
schizzare via l’occhio, non aveva nessun altro segno rilevante. Solo una piccola frattura dietro il
cranio, ma con tutta probabilità era dovuta alla botta subita quando era caduto per terra. “Niente
denti…” dichiarò apertamente, come se quello volesse dire chissà quante cose.
Dolph incrociò le braccia sul petto e mugugnò un “Hum?” che dava per scontato che voleva anche
un seguito.
Anita si tolse i guanti in lattice e si rimise in piedi, con non poca fatica, aiutandosi con una sofferta
spinta sul ginocchio. “Nel senso che non è un vampiro, ma questo era palese…” ghignò in direzione
delle due donne oramai nel bagno assieme a loro. “Ma che non parliamo nemmeno di un
licantropo… Almeno non di uno di quelli della comunità di St. Louis…”
“Come non è un licantropo?” esalò Dolph, come se di punto in bianco il mondo avesse iniziato a
franargli sotto i piedi.
Lei scosse la testa. “No Dolph, qui l’unico licantropo è proprio la vittima…” poi, come se fosse
stata chiamata a farlo da una sensazione improvvisa, Anita si voltò a guardare negli occhi l’altra
Sterminatrice. “Tu lo sapevi vero?” Lei annuì nel soffice frusciare della sua impeccabile coda di
cavallo. “Perché allora hai parlato di faida fra licantropi?”
Alexandra sorrise e si adagiò languidamente sullo stipite della porta. La gamba piegata in una
sensuale posa da diva e le braccia incrociate sul petto, in un palese segno d’attesa. Dolph, deglutì
con tanta forza da farsi sentire e la risatina di scherno di Victoria animò la calma piatta del locale.
“Veramente l’idea della faida fra licantropi è stata mia…” Anita sollevò gli occhi al cielo
esasperata, cominciava seriamente a perdere la pazienza. “E’ un licantropo, omicidio da parte di
licantropo, l’ho semplicemente classificato come faida…”
“Gliel’hai detto tu, che l’omicida è un licantropo?” chiese con calma ad Alexandra che, in tutta
risposta, mosse la testa in un altro appena accennato no. Anita volse lo guardo alla sorella e da lei
ricevette lo stesso sorridente moto di diniego. “Dolph, da quando in qua tiri le conclusioni da solo?”
Anita tornò a scuotere la testa in un gesto di reale disperazione. “Non è un licantropo, o almeno non
uno dei nostri. L’artiglio che ha inferto il colpo non è né di lupo, né di ratto, né di leopardo.” Poi i
suoi occhi tornarono a conficcarsi in quelli verdi e profondi della collega, che ricambiò il suo
sguardo con una tale intensità da farle scorrere un brivido sulla pelle. Di nuovo quella strana
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sensazione che le animò il sangue fin quasi a farglielo ribollire. “Chi è che ti è scappato dalle mani,
Sterminatrice?”
Il silenzio piovve implacabile, seguito dal lento scricchiolio della pelle dei pantaloni della donna,
che tornava a mettersi in equilibrio su entrambe le gambe. Alex scosse appena la testa, ma questo
bastò a congelare l’aria. Si mosse verso il cadavere, lo guardò intensamente, poi, con angosciante
lentezza, tornò a guardare lei. Uno sguardo profondo, sconfinato, nel quale la potenza letale del suo
immenso potere di negromante e Sterminatrice, si mossero in serpeggianti nembi di rabbia. Odio
allo stato puro, una spessa cortina di mostruosa ferocia, che riempì l’aria saturandola
completamente. “Non lo so Anita, è questo il problema… Se l’avessi scoperto, ora non sarebbe qui,
e di questo puoi starne certa.”
Sembravano i tre moschettieri, non era bello, ma a questo punto pareva davvero inevitabile. Forse
avrebbe dovuto cominciare a vestirsi in maniera un po’ meno sciatta per non sfigurare troppo, ma di
sicuro questo non era il momento adatto per mettersi a riflettere su cosa indossare al prossimo
incontro. Oramai doveva mandare giù l’idea di essere una paperetta sciatta in mezzo a due
giunoniche fotomodelle. Una cosa era certa, tacchi, alti magari impossibili da gestire, ma senza
ombra di dubbio tacchi. Dio mio, già le facevano male i piedi. Alexandra l’anticipava di qualche
passo, mentre Victoria le rimaneva incollata a pochi centimetri dietro le spalle. Una diva con due
bodyguard che avrebbero messo in fuga qualsiasi tipo di aggressore. Il loro profumo l’avvolgeva
completamente, fiori di camomilla, mescolati a bacche di vaniglia e pelle appena uscita da una
conceria, un cocktail tanto intenso di fragranze, che riuscì quasi a stordirla. Anita accelerò
vistosamente il passo e si affiancò alla maggiore. “Raina Wallis…” ansimò cercando di stare dietro
all’andatura spedita dell’altra. “E’ la proprietaria del Lunatic Caffé.”
Alex annuì continuando a fissare il corridoio che l’avrebbe ricondotta all’interno del locale.
“Nonché la compagna del Capobranco dei licantropi di St. Louis, nonché una lupa mannara
Alpha…” Anita, s’immobilizzò tanto bruscamente da essere quasi investita dall’inarrestabile
avanzata di Victoria, che squittì sconcertata dal repentino cambiamento di programma. “Non te
n’eri accorta?” le chiese la donna voltandosi a guardarla di sbieco, con le labbra appena increspate
da un lieve sorriso indecifrabile.
“E’ umana…” borbottò la risvegliante, spiazzata dalla rivelazione evidentemente ad effetto.
Victoria, in risposta, schioccò due volte la lingua sul palato in un no talmente infantile da portarla
quasi sul punto di farsi scoppiare il fegato. “Sentite ragazze, sono stanca e non sono affatto in vena
di giochetti… L’avete già interrogata?!” Non poteva essere una lupa mannara, perché lei se ne
sarebbe accorta. Magari era appariscente e un po’ troppo provocante, ma non era meno umana di
una di loro. Le guardò entrambe e qualcosa nel loro sguardo la mise sull’avviso. Ne era davvero
così convinta? Beh, considerato che non aveva mai visto nessuno così serio e convinto di qualcosa
come quelle due, sinceramente cominciava a dubitarne. Dubitava di sé stessa?! Anita Blake che
iniziava a dubitare del suo infallibile sesto senso? Naa… O si?!
“Quando ti dico di lasciare libero il tuo potere, intendo proprio questo, Anita Blake…” le disse la
più grande, con fare amichevole. “Tu sei una fortissima negromante, ma molte creature oscure,
soprattutto le più potenti, sanno camuffarsi molto bene.” Il suo busto roteò in uno scricchiolante
attorcigliarsi della pelle del lungo spolverino ed i suoi immensi occhi verdi si spensero e si
riaccesero in un fugace battito di ciglia. “Non parlo di normali creature soprannaturali, Anita, ma di
licantropi Alpha, Master, maghi di grado superiore e demoni antichi come il mondo stesso…
L’unica cosa che ci rende più forti di loro è la nostra prerogativa di poterli riconoscere ancora prima
che possano rendersene conto, o proprio il fatto stesso di attirarli a noi come una calamita fa con il
ferro.”
Prima che potesse assimilare il discorso e magari risponderle a tono, l’immagine della perfezione
umana, si affacciò dalla porta dietro le spalle di Alexandra. Anita lo squadrò turbata dalla sua
presenza lì, e mentre il potere delle due donne cominciava nuovamente a reagire alla sua presenza,
Richard, ai suoi occhi, assunse un aspetto completamente diverso. “Alex no.” Disse Victoria,
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allungando una mano in direzione del braccio della sorella. Alex annuì senza voltarsi e Richard fece
altrettanto continuando a fissare lei, sembrava fossero in completa sintonia spirituale e lei era
l’unica ad esserne stata esclusa. O si stava escludendo da sola? Mah…
“Richard, ora non ho tempo…” Il potere fu risucchiato indietro come la prima volta, un veloce
defluire della frenetica essenza delle due donne verso il suo punto di origine. Loro non si mossero
nemmeno, ma quando tutto fu terminato e l’aria tornò ad essere soltanto pura e semplice aria,
entrambe inspirarono un profondo respiro a pieni polmoni. Anita le fissò intensamente, poi tornò a
guardare Richard e lì, di fronte al suo sguardo nocciola evidentemente agitato, le giunse ancora una
volta l’impressione di essere stata tagliata fuori da qualche grande verità. “Si può sapere che diavolo
ci fai qui?”
Le labbra dell’uomo fremettero prima di muoversi per parlare. “Robert, era amico mio…” non era
agitazione quella che aveva negli occhi, bensì dolore per aver perso un caro amico in un modo così
terribile.
Anita scosse la testa esasperata. Quelle due riuscivano a farle vedere mostri ovunque, non si
potevano certo dire una buona compagnia. Forse il fatto di frequentarle l’avrebbe resa persino più
paranoica del solito… “Mi di dispiace tanto Richard, ma ora non puoi vederlo.” I suoi occhi si
addolcirono ed avanzò verso di lui per dargli un minimo di conforto. La vecchia acida Anita Blake,
che si apprestava a consolare un uomo… Naa. “Non è un bello spettacolo…” aggiunse tanto per
rimanere calata nella parte della cinica, Sterminatrice senza cuore.
Gli occhi dell’uomo, belli, enormi pozze di cioccolata calda in cui annegare i dispiaceri e la
stanchezza, si levarono a lei per guardarla diritta negli occhi. Morire così, annegata nel soffice
tepore del suo sguardo… Si come no. Anita sostenne lo sguardo di lui, mantenendo completamente
inalterato il suo miglior sorriso professionale. “Anita, ho saputo che c’eri tu e sono corso qui perché
devo assolutamente parlarti…”
Anita incrociò le braccia sul petto, accigliata. “Come diavolo hai fatto a sapere che ero qui?” di
nuovo quello strano fremito di agitazione che gli animò le labbra, ma questa volta non parlò,
limitandosi a gettare una fugace occhiata dietro di lei.
“Noi andiamo avanti.” Esordì Alex, non appena gli occhi dell’uomo le si posarono addosso. “Viky,
sbrigati.” Frettolosi rintocchi di tacchi alti, che si muovevano per raggiungerli ed infine sorpassarli
nell’uscire dalla porta alla quale ancora era affacciato Richard. L’uomo si fece di lato per farle
passare e stirò un tesissimo sorriso in direzione Alexandra. Quando Victoria gli posò
amichevolmente una mano sulla spalla, il sorriso di Richard si spense, ma la guardò con
un’intensità quasi selvaggia che fece brillare per qualche istante nei suoi occhi, il verde di quelli di
lei. Si fissarono fin quando gli fu possibile, poi Victoria svanì dietro la sorella all’interno del
Lunatic Caffé e Richard, palesemente turbato da qualche strana alchimia che si era instaurata fra lui
e la straniera, tornò a guardare Anita.
Forse doveva mettersi davvero qualcosa di più decente addosso. Era gelosa di Richard? Naa. Si, lo
era. “Richard, ho delle indagini da seguire e odio che mi si scavalchi.” Accennò in direzione del
punto in cui erano svanite le due donne. Lui annuì, ma scivolò nel corridoio, posando la schiena
sulla parete ed incrociando le braccia sul petto. I suoi immensi occhi nocciola calarono al
pavimento, e di nuovo, come una morbida piuma che scorre sulla pelle ustionata dal sole, l’idea di
essere stata tenuta all’oscuro di qualcosa di dannatamente importante, le accapponò la pelle. Lo
studiò con la stessa cura ed intensità con cui avrebbe studiato uno dei suoi “casi”, ma non riuscì a
percepire niente di sovrannaturale. Poi di colpo, come fuoriuscita dal nulla, un’immagine
agghiacciante le strappò il fiato facendola indietreggiare inorridita. Richard sollevò velocemente gli
occhi su di lei, ma ancora prima che potesse cercare di dire qualcosa, Anità lo batté sul tempo dando
voce all’immagine che le si muoveva nella testa. “Oliver…” Balbettò additandolo in maniera
frenetica. “Tu sei morto! Ti ho visto morire!” Ansimò di nuovo padrona di parte dei ricordi della
notte precedente. Deglutì lo strano nodo di lacrime che le asserragliò la gola e chiuse gli occhi per
cercare di ricordare meglio. Alejandro l’aiutava a rimettersi in piedi, Jean-Claude semicosciente
sull’altare in attesa del colpo di grazia e… L’immagine di Richard che correva in aiuto di Jean24
Claude e di Oliver che gli strappava di netto la trachea, le si mosse dietro le palpebre chiuse come
un film mandato al rallentatore. Fissò di nuovo i suoi occhi terrorizzati che fissavano il vuoto,
mentre il suo corpo agonizzava in cerca di aria, anche se oramai non aveva più niente per respirare.
“Tu sei morto Richard… Ti ho visto morire!”
Il volto dell’uomo parve sul punto di andare in frantumi. Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi
come prive di forza e di energie ed i suoi occhi calarono al pavimento, a voler disperatamente
eludere l’espressione scioccata di Anita. “Non sono morto…” soffiò nell’aria, come se la cosa fosse
la peggiore del mondo. Non era morto, ma ora, di fronte a quegli occhi di colpo divenuti duri e
gelidi, forse avrebbe preferito che fosse andata in maniera diversa. “Si Oliver mi ha squarciato la
gola, come hai visto, però non mi ha ucciso…” Si trattenne dal portarsi una mano alla gola, ma
inspirò forte per ricacciare in dietro le lacrime.
Anita cercò di mantenere il più possibile la calma. “Nessun essere umano avrebbe potuto
sopravvivere…”
“Lo so…” ammise in modo incredibilmente triste.
“Allora che cosa sei?”
Per un attimo il bel professore di scienze dell’università di St. Louis, non fu altro che un bambino
tremante ed indifeso. I suoi immensi occhi nocciola si chiusero lentamente, ed il suo collo, in un
frusciare di boccoli morbidi come la seta, tornò ad adagiarsi sul muro, mettendo completamente in
luce gli splendidi lineamenti del viso. Richard inspirò forte e strinse i pugni, come se quello che
stava per dire fosse un’eruzione acida nella gola. Il suo corpo fremette ed Anita, come se a lui tutto
fosse concesso, sentì il disperato bisogno di dirgli che non aveva niente da temere. Fu lui a parlare
per primo, ma la risposta, uscì sussurrata e gonfia del dolore sordo di chi sa di essere un mostro
nonostante voglia ostinarsi a fingere che non sia così. “Sono un licantropo.”
“No Richard, percepisco istintivamente i licantropi, li…” Poi di colpo, come un fiume in piena che
travolge un ponte che si regge su pilastri ormai completamente marci, il ricordo dell’inaspettata
offensiva che le due straniere aveva scagliato contro di lui la sera prima, le chiuse la gola e le
impedì di proseguire. “Loro ti hanno sentito…” esalò sconvolta e ad aggiungersi al ricordo arrivò la
voce di Alexandra che le diceva che, creature sovrannaturali molto potenti, possono facilmente
nascondersi dietro una falsa parvenza di umanità.
“Si, non so come abbiano fatto, Anita. Di solito so nascondere molto bene la mia vera natura. Sono
un lupo Alpha e sono inferiore soltanto al Capobranco…”
Ed ecco chiarita la selvaggia sensazione provata quando si era posta fra le due fazioni ed alla quale
era seguita anche quella strana ma velocissima resa generale… L’unico ad aver dimostrato un
minimo di blanda contrarietà era stato Jean-Claude, ma doveva ammettere che alla fine non aveva
fatto troppe storie nemmeno lui. Cominciava a non capirci davvero più niente… Anche oggi era
stato così. I loro corpi avevano reagito d’istinto, ma era bastato che Viky mettesse a fuoco l’intruso,
per chiudere con la stessa velocità con la quale era iniziato tutto. Come avevano fatto a decidere che
Richard fosse uno dei buoni? Anita esalò esasperata ed incrociò le braccia sul petto. “Perché mi hai
mentito, Richard?”
“Non volevo farlo…” sussurrò lui reclinando di nuovo il viso in avanti, che svanì nella morbida
pioggia delle lunghe ciocche di capelli castani.
“Ma l’hai fatto.” Aggiunse Anita, con freddezza.
“Sai che l’animale di Jean-Claude è il lupo, vero?” lei annuì. “Il mio Capobranco mi ha ceduto a
Jean-Claude a patto che non venisse scoperta la mia situazione, e per pareggiare il conto del suo
silenzio lui mi ha ordinato di non dirtelo.”
“Jean-Claude ti ha ordinato di non dirmi che sei un lupo mannaro?!”
Lui annuì. “Si, sapeva che lo avresti detestato. Tu non perdoni gli inganni e lui lo sa.”
Perfetto, Jean-Claude in veste di sfascia coppie… Ce lo vedeva? Si. Che grande figlio di puttana!
“Così, sei un licantropo…” lo scrutò dalla testa ai piedi, passandosi una mano nei capelli, in
maniera nervosa. Richard annuì. I suoi occhi lasciavano trasparire l’agitazione e la paura di non
essere accettato. “Mio Dio, avrò mai una vita normale?” La sua mano si tese a quella di lui per
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chiudercisi sopra in un gesto di conforto ed il petto del giovane si gonfiò e sgonfiò, come se per un
lunghissimo periodo avesse smesso di respirare. “Ora ho da fare… Magari ne riparliamo, ok?” E
che doveva farci, non ci riusciva proprio ad avercela con lui. Poi, ognuno ha i suoi difetti, a lei
erano toccati il cinismo e l’arroganza, a lui la pelliccia, chi può dire quale sia il peggiore? Oltretutto
un licantropo è figlio di una violenza, quindi… Meglio licantropo che morto! Forse sarebbe stato
carino andare ad attaccare uno striscione del genere davanti all’entrata del Guilty Pleasures, e stare
a guardare la faccia di Jean-Claude mentre lo leggeva. No, in certi casi magari è meglio non sfidare
troppo la fortuna…
Richard sorrise, un sorriso solare, sincero, nel cui interno si mosse tutto un mondo di sofferta
ricerca di umanità, ma prima che potesse trovare il coraggio di chiederle di riparlarne magari
proprio quella sera stessa a cena, un fortissimo fragore di vetri andati in frantumi, strappò entrambi
dal bel momento di ritrovata complicità.
Anita si aggrappò alla Browning e divorò a grandi falcate la distanza che la divideva dal punto in
cui i bicchieri erano stati fracassati. Il cuore le si fermò nel petto ed il fiato le si congelò nei
polmoni, non appena fu in grado di rendersi conto dell’accaduto. Puntò la canna della pistola ad
altezza d’uomo, ma, stranamente, senza riuscire a capire su chi puntarla.
L’uomo si aggrappò con i gomiti ai due scaffali e guardò intensamente colei, che apparentemente
senza il minimo sforzo, lo stava tenendo con la schiena piantata contro lo specchio. “Tu non sai
cosa stai facendo…” I suoi occhi si accesero di un giallo selvaggio e feroce, mentre le sue labbra
s’incurvavano in un terribile sorriso.
“Lei lo faccia dottor Fletcher, e le assicuro che scoprirà subito cosa si prova ad avere un chilo
d’argento nello stomaco.” Immobile, eterea nella sua imponente posa da sicario, Alexandra teneva
inchiodato al muro un uomo sull’uno e settanta, biondo e con una vezzosa fossetta sul mento, che
aveva lo stomaco praticamente perforato dalla canna della sua mitragliatrice.
Anita fissò intensamente la piega della giacca, per riuscire a capire se l’uomo fosse stato ferito.
“Alex, che succede?” Ma dove cazzo era Dolph, quando c’era realmente bisogno di lui?!
Alexandra non si mosse, ma Victoria roteò leggermente le spalle, per non perdere di vista la sua
preda, ma poter ugualmente parlare con lei guardandola direttamente negli occhi. “Niente Anita…”
le sorrise affabile. “Un Capobranco… Hanno la prerogativa di fare gli stronz…” Alexandra rilasciò
un forte sbuffo contrariato, che le mozzò la parola in gola. “Dicevo…” Viky ridolinò come scoperta
con la dita nella marmellata e si corresse. “Hanno l’abitudine di non collaborare, ma di solito a fare
gli… a non collaborare tendono a rimetterci molto di più di noi.”
Anita avanzò con cautela verso la scena e, nascosta dietro l’imponente figura della Sterminatrice,
proprio sotto il tiro del cannone della minore, vide Raina Wallis. Stesso sguardo selvaggio e letale,
stesso orribile ghigno da predatore stampato sul viso. “Certo, se li ammazzate, si…”
“No, qui non muore nessuno.” aggiunse la ragazza. “Ma se il dottor Fletcher diventerà quello che è
con tutta questa gente in giro, di sicuro perderà il suo bel posto di lavoro…” L’uomo s’irrigidì fra le
braccia della maggiore e ricacciò all’indietro la brutale essenza del licantropo.
Alexandra annuì con molta calma e lo lasciò tornare con i piedi per terra. “E noi, dottor Fletcher,
non vogliamo assolutamente che questo accada, vero?” i magici occhi verdi della donna,
baluginarono in quello che parve un consiglio dato con sincerità. “So che le sue mani hanno salvato
un sacco di gente, quindi, per cortesia, cerchiamo di non interrompere l’opera soltanto per motivi
territoriali.”
L’uomo inspirò un’enorme boccata d’aria ed annuì. “Raina, basta così.” La donna non parve affatto
felice della cosa, ma obbedì docilmente, riportando i suoi occhi ad uno stato di calma perfetta. Lui
inspirò di nuovo, e quando tese la mano verso colei che fino a quel momento lo aveva sbatacchiato
come un burattino, sorrideva ed i suoi occhi erano di un soffice grigio fumo venato di azzurro. “Mi
chiami Marcus, signorina…?”
Come se le sorelle fossero loro due, Victoria e Anita s’irrigidirono al semplice scandirsi del nome
del licantropo. Victoria guardò la sorella con gli occhi sgranati, Anita fece altrettanto,
aggrappandosi alla pistola, come se fosse l’unica cosa capace di tenerla a galla nelle turchesi pozze
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di antichità, che avevano ripreso a brillarle nella mente. “Alexandra O’Brian… Marcus.” Rispose la
donna, pronunciando il nome di lui, come una carezza vellutata.
Anita vacillò impercettibilmente e batté più volte le ciglia per cercare di dissipare la strana nebbia
che le aveva ottenebrato la vista. “Marcus?” ripeté in un lieve sussurro appena percettibile. La mano
di Richard le si strinse su un fianco come a voler infonderle un po’ di calma, cosa che gli riuscì
molto bene. Il volto di Marcus, il vampiro del sogno, fu inghiottito dalla coltre e davanti a lei,
tornarono tutti i reali componenti della scena. Si voltò a tre quarti per parlare direttamente con lui.
“E’ il tuo Capobranco?”
Il tocco di Richard si fece intenso, vibrante, come se la cosa non fosse affatto di suo gradimento, ma
le sue labbra bisbigliarono un secco “Si.”
Victoria continuò a fissare la sorella, come se fosse terrorizzata da qualcosa. I suoi occhi percorsero
il suo viso, si posarono sui suoi occhi e sulla mano ancora immobile sul grilletto. Un’esplorazione
febbrile, che non mutò nemmeno quando sfilò il dito dall’impugnatura, per tendersi a stringere la
mano dell’altro. “Non credo che ci sia bisogno di farci la guerra…” dichiarò Alex, ignorando
l’accorato richiamo visivo della sorella e dopo aver riposto il piccolo mitragliatore all’interno del
lungo spolverino. “Uno dei suoi è stato ammazzato e, a meno che lei non c’entri qualcosa, la
collaborazione mi pare una cosa senza troppe complicazioni.”
L’uomo annuì, sistemandosi con un gesto meccanico le spiegazzature che lei aveva inferto al suo
bel completo scuro. “Raina mi ha chiamato subito dopo aver trovato il corpo di Robert.” Le disse
con estrema calma. “Sono stato io a dirle di chiamare immediatamente la polizia, quindi, se pur mi
dispiaccia non poterle essere d’aiuto, non so altro che quello che mi ha raccontato lei.” I suoi occhi
tornarono ad immergersi pesantemente in quelli della Sterminatrice, ma sta volta senza un briciolo
di ostilità.
Lei annuì, un gesto lento e calibrato, al quale seguì un altro sorriso. “Ma sono sicura che non
m’impedirà di fare qualche domanda in giro…” Per un solo istante, l’uomo parve riflettere
sull’eventualità di avere una donna armata in giro fra i componenti del branco, ma poi, dopo un
respiro rassegnato, le accordò la piena collaborazione dei licantropi sotto il suo controllo.
Il rumore della barella che portava via il cadavere dal locale, distolse l’attenzione di tutti dai due. I
paramedici armeggiarono per far uscire senza intoppi il cadavere, poi, dopo aver salutato
velocemente Anita Blake, si diressero velocemente all’ambulanza che li attendeva di fuori. Dietro
di loro, seguirono Dolph e Zerbrowsky, che si limitarono ad un ininfluente scambio di battute, per
poi seguire la barella.
“Mi auguro che possiate fare presto luce su questo orrore…” sibilò Raina, con gli occhi piantati sul
lucido sacco di plastica nera che avvolgeva uno dei suoi.
“Me lo auguro anch’io Mrs. Wallis, sono qui proprio per questo.” Con un gesto fluido ma deciso,
roteò su sé stessa e si diresse verso l’uscita del Lunatic Caffé. Victoria rimase un po’ spiazzata, ma
due secondi dopo, era già rigida ed impettita dietro ai suoi passi. Alexandra si fermò poco prima di
uscire ed accennò ad un breve saluto in direzione dei due licantropi.
“Qualcosa mi dice che ci rivedremo presto, signorina O’Brian.” Sorrise Marcus, con le mani nelle
tasche degli impeccabili pantaloni neri.
Lei annuì e come se oramai in quel posto non ci fosse più nulla di importante da fare, uscì nelle vie
del Distretto. “Alexandra!” Anita, se pur massacrata dalle continue fitte di dolore che le
imperversavano nella schiena, la raggiunse praticamente di corsa. “Posso sapere che diavolo è
successo lì dentro?” La donna si voltò a guardarla ma non rispose, limitandosi ad un’indecifrabile
alzata di sopracciglio. “Non so come funzioni dalle tue parti, ma noi non mettiamo sotto tiro i nostri
testimoni!” sibilò con una spiccata nota di rimprovero nella voce.
L’altra sorrise, un sorriso freddo e distaccato, privo di qualsiasi cenno di cordialità. “Quante volte ti
è capitato di fare i conti con un vero Capobranco?” Anita non si mosse… Evidentemente, mai,
perché quell’uomo non l’aveva mai visto prima di allora. “Sta notte è stato ammazzato un uomo in
un locale di ritrovo per licantropi.” L’aveva chiamato un uomo in un locale per licantropi… Dio,
più la guardava e meno riusciva ad inquadrarla. “Ho dovuto prendermi con la forza quello che
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altrimenti non mi sarebbe mai stato dato…” tacque un istante ed incrociò le braccia sul petto in una
posa che la rese ancora più imponente del solito. “Il rispetto Anita, una cosa che fra belve feroci si
prende soltanto dimostrando chi è il più forte…”
Dio, sembrava così ragionevole… “L’hai inchiodato al muro e gli hai conficcato la canna del
mitragliatore nello stomaco, minacciando apertamente di usarlo…”
Alexandra rise, un soffice alito di vento fresco, che l’avvolse come un piccolo mulinello. Era
inumana e la sua forza ne era la dimostrazione. “Pensi che mi denuncerà?” Anita non rispose. “No
Anita, perché fra loro funziona così…”
Fece per riprendere a camminare, quando le labbra della risvegliante si mossero per fare una
domanda diretta. “Da dove tiri fuori tutta quella forza.” L’aria parve gelarsi assieme al soffio della
sua voce. “Sei alta, imponente e magari hai fatto pesi, ma è assurdo che tu riesca a sollevare un
uomo da terra senza un briciolo di sforzo.” Victoria sgranò gli occhi terrorizzata e si aggrappò alla
sorella, che di punto in bianco pareva essere diventata una statua avvolta in una lunga tenuta di pelle
nera. Alex guardò prima lei, poi tornò a voltarsi verso Anita. “Che fine ha fatto il tuo Master,
Sterminatrice?!”
“Alex, andiamo!” squittì Victoria, con la stessa frenetica agitazione di chi sta per assistere alla fine
del mondo.
La sorella si divincolò velocemente dalla sua mano e roteò su sé stessa, per divorare la distanza che
la divideva da Anita. Anita trattenne il fiato e per quanto poté, cercò di dimostrarsi immune dalla
sua palese aggressività. La mano della donna le si strinse sul braccio fin quasi a farle male, ma
ugualmente, non emise suono e non mosse un passo. “Anita Blake, non t’immischiare in cose che
non ti competono…” Ringhiò a denti talmente stretti da farsi scricchiolare la mascella.
“Hai ucciso Marcus… Perché?” Beh, se Alexandra O’Brian si fosse messa a spararle addosso tutto
il caricatore della sua mitragliatrice, non avrebbe potuto certo dire di non essere stata avvisata.
Al contrario, però, la donna parve sgretolarsi come una scultura di sabbia sotto l’implacabile
influsso del vento, ed i suoi occhi fino a quel momento glaciali e feroci, divennero due lande
desolate, in cui il deserto spaziò a perdita d’occhio. Il verde rifulgente si appannò di lacrime, e la
sua stretta, che altrimenti avrebbe potuto essere letale, s’indebolì fino a far scivolare via la mano dal
suo braccio. Rimase immobile, curva sotto un peso invisibile, persa in qualche oscuro ricordo al
quale non diede voce. Alex levò lo sguardo al cielo e nell’azzurro terso del primo mattino di St.
Louis, lasciò defluire una lacrima, segno inequivocabile di una fragilità fino a quel momento
ritenuta impossibile. Anita si sentì morire e cercò di rimediare a quella sua incosciente crudeltà,
dandole un po’ di conforto stringendole la mano nella sua. “Ti prego, Anita, non immischiarti in
cose che non dovresti nemmeno sapere…”
Victoria tornò sui suoi passi ed appoggiò entrambe le mani sulle spalle della sorella per costringerla
a seguirla e, per la prima volta, il suo volto da eterna fanciulla, lasciò trasparire una maturità
profonda e vera che fino a quel momento non aveva mani dimostrato di possedere. “Andiamo
Alex…” le sussurrò e l’altra accondiscese semplicemente rispondendole con un lieve cenno del
capo. “Noi andiamo a riposare, Anita Blake… Ci vediamo sta sera.”
E mentre l’imponente figura delle due donne si allontanava da lei, Anita si sentì per la prima volta
una reale carnefice. Non aveva avuto un briciolo di tatto, dando voce ad una domanda diretta, senza
dare peso alle eventuali conseguenze. Vero, voleva sapere, capire se quella donna era umana o no,
cercare di comprendere i suoi sibillini avvertimenti riguardo al potere che a detta sua lei teneva
segregato e magari scoprire se il sogno così realistico di quella notte, fosse in parte fedele alla
realtà. Non aveva mai avuto visioni, ma quel sogno nel suo ripetersi era stato troppo dettagliato, per
poter scartare a priori l’ipotesi che non fosse soltanto un frutto della sua fervida fantasia, stimolata
dai racconti di Edward. Sbuffò amareggiata, girò su sé stessa e s’incamminò per tornare a casa, ma
quando levò lo sguardo alla via da intraprendere, ad attenderla, trovò il bel viso della Morte,
adagiata sullo sportello della sua auto nera. “Edward… Che diavolo ci fai qui?”
Lui le sorrise, un’ampia veduta sui suoi splendidi denti perfetti, un semplice gesto che gli animò il
viso, rendendogli gli occhi due gemme azzurre di inestimabile valore. “Ti riporto a casa?”
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Annuì senza aggiungere altre domande, del resto anche lei non aveva la benché minima voglia di
stare sola. Dormire? Lei? Anita Blake? Naa.
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Capitolo 3. Wind of change
Il sole era alto nel cielo, ma a dispetto di quello che aveva detto ad Anita Balke soltanto poche ore
prima, Alex stava dormendo profondamente nel suo letto. Un sonno agitato, nel quale continuava a
pronunciare il nome di Marcus in un perpetuo sussurro addolorato. Victoria chiuse gli occhi e li
nascose dietro il braccio. Era stanca, erano mesi che continuavano a seguire una pista priva d’indizi
soddisfacenti, ma sua sorella ancora pareva non avere nessunissima intenzione di mollare. Come
biasimarla? Se fosse stata al suo posto, avrebbe rigirato tutto il mondo pur di appagare la sua sete di
vendetta… Ed era proprio per questo che la seguiva in quell’imperterrito cammino senza sbocchi,
senza battere ciglio o pronunciare una parola contraria al suo volere. Era sua sorella, le voleva bene
e anche lei sentiva il bisogno di vendicare coloro ai quali aveva imparato a credere ed a voler bene a
dispetto della specie di appartenenza o del primario elemento di nutrizione. Fanculo il mondo, lei li
aveva conosciuti…
Di nuovo quel nome invocato nel sonno, che riempì l’aria profumandola della delicata fragranza di
quella splendida antichità ormai svanita nel nulla. Victoria serrò la mascella per non permettersi di
urlare la sua rabbia. L’unica cosa che aveva sempre chiesto a Dio, era di poterla vedere felice. Con
chiunque, purché fosse maledettamente felice di essere viva… Una cosa sola, la prima da quando
fosse riuscita a ricordare, ma nessuno pareva averle dato ascolto. Poi si chiedevano per quale
motivo, nonostante fosse così giovane, fosse così dissacrante ed assetata di farsi giustizia da sola…
Si rigirò su un fianco ed osservò la schiena di sua sorella scossa da silenziosi singhiozzi. Dio del
cielo, non ce la faceva più a vederla così. Quando aveva deciso di seguirla in quel diavolo di lavoro,
non si sarebbe mai detta di poter diventare la più forte fra le due. No, forse non era così che stavano
le cose. Alex continuava ad essere indiscutibilmente la più forte e spietata, solo cominciava a
sentire il peso della stanchezza e del dolore gravare sui suoi gesti. Alexandra O’Brian, ovvero la
peggior minaccia che il mondo oscuro avesse mai conosciuto, un giorno, aveva visto scivolare fra le
sue mani, tutto il bello che non aveva mai nemmeno sperato di poter trovare nella vita. Marcus le
era sfiorito fra le dita come una bolla di sapone ed ora, la forte ed inespugnabile guerriera della luce,
si era ridotta ad essere l’ombra di sé stessa. Un’ombra senza voglia di vivere, animata soltanto dalla
collera, dall’odio e dal rancore, un’ombra assetata di una vendetta impossibile da gestire per
chiunque. Fingeva calma, ma il suo spirito era sempre e perennemente inquieto… Fingeva forza e
gelida risolutezza, invece si limitava a sfogare la rabbia che le ribolliva nelle vene, nell’unica cosa
che le era rimasta: la legge. Una legge squallida ed ingiusta, che aveva servito a testa alta, anche
andando contro ai suoi stessi ideali. Una legge spietata e tutta puntata a tutelare la barbarie
dell’umanità, che fino all’ultimo momento aveva sperato con tutta sé stessa di poter veder cambiare.
Il cambiamento è in quello che tu sarai in grado di dimostrare al mondo, gli diceva, ma se quel
cambiamento un giorno fosse giunto per rendere la vita di tutti almeno di un po’ migliore di quello
che era adesso, purtroppo, lui non ci sarebbe stato per gioirne assieme a loro ed a quella che aveva
sempre chiamato la sua gente.
Ci avevano creduto fino all’ultimo, tutti assieme, umani e mostri, come li chiamava il mondo, e
forse quelli che restavano ci credevano ancora. Forse ci credeva ancora persino Alex, che nel lento
spegnersi dell’azzurro profondo degli occhi di Marcus, aveva visto andare in frantumi la sua stessa
vita.
L’immagine di Anita Blake che pronunciava quell’orribile domanda, le balenò dentro gli occhi
muovendole il sangue in una violenta ondata di rancore. In quel momento avrebbe soltanto voluto
prenderla a schiaffi fino ad ammazzarla ed invece, da brava sorella, si era limitata a portare via la
più “debole” fra le due per non aggravare le cose. Anita Blake, niente di meglio o niente di peggio
del suo degno compare biondo. La Morte? Patetico… Due figure vestite da umani, ma che in loro
conservavano una mostruosità al limite dell’impossibile. Entrambi accecati dal pregiudizio e
dall’insulsa certezza che il mondo fosse fatto solo ed esclusivamente per gli uomini. Anche il bel
Master della città era stato in grado di metterle davanti agli occhi la mostruosità che le imperversava
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dentro… Come vedi ti sto dando una scelta, le aveva detto, ma dubitava che la tronfia boriosa
Sterminatrice, si fosse resa conto di quanta umanità ci fosse stata in lui e quanta poca nel suo
minuscolo corpicino di sacra umana del cazzo. I suoi occhi si levarono al cielo terso che si
intravedeva da dietro le candide tende animate dalla soffice brezza e sorrise. Un sorriso stanco ed
un po’ spento ma un vero e proprio sorriso. “Se Dio avesse voluto un mondo fatto soltanto di
uomini, allora non avrebbe creato degli esseri così differenziati fra loro…” sussurrò divertita. Non
era una frase sua, ma proprio di quella sorella che aveva votato la sua vita allo sterminio delle
creature oscure, con le quali alla fine, a dispetto del compito che aveva continuato a portare avanti
con tenacia e determinazione, aveva imparato a sedersi ed a conversare. A ridere ed a piangere, a
guardare al futuro con un bel sorriso stampato sulle labbra ed al mondo con l’ottica di chi sa cosa
sia giusto e cosa sbagliato. Anche il termine creature oscure era un po’ scemato dal loro gergo, si
esprimevano così soltanto in sede d’indagine. “Creature oscure…” sussurrò. Dio come suonava
male… Cosa c’era mai stato di oscuro nel sorriso caldo ed appassionato di Marcus? I suoi occhi si
chiusero ed un nodo di lacrime le strinse la gola, mentre riascoltava la sua voce, raccontarle seicento
anni di storia del mondo. Per Alex era stato un compagno splendido, affettuoso, coinvolgente,
protettivo, perfetto, e per lei, nonostante il suo aspetto da eterno giovane, era stato il padre che non
aveva mai avuto il tempo di conoscere ed amare. Un fulcro intorno al quale le loro vite avevano
imparato a muoversi e sul quale, l’oscillazione del loro immenso potere aveva preso inizio… Era
stato proprio lui a guidare Alexandra verso l’espansione della sua potenza, una cosa, che di riflesso
aveva mutato in maniera sostanziale anche lei. Alex aveva appreso come essere completamente
padrona di sé stessa e delle sue inesprimibili facoltà e lei, apprendendo dal suo nuovo modo di
gestire l’energia, era diventata a sua volta inarrestabile. Insieme erano inarrestabili, questa era la
verità… Ad entrambe, un vampiro, aveva insegnato a non aver paura della spiccata diversità che le
rendeva completamente dissimili dai comuni mortali. Aveva dato consigli, accorati suggerimenti
per divenire impossibili da abbattere. Uno degli esseri che più di tutti avrebbe dovuto aver timore a
guardarle negli occhi, era stato il loro mentore… Victoria si rigirò ancora una volta nel letto ed
affogò nel cuscino le lacrime. Marcus aveva dato a loro, più di quanto un comune mortale avrebbe
mai potuto dare a nessuno. E l’aveva fatto con la semplicità di un sorriso, di una parola amica, di
una carezza… Non aveva mai usato i suoi poteri e le sue malie per farsi amare… Era stato così e
basta, dalla stessa notte in cui le loro strade si erano incontrate per fondersi e divenire una. Ed anche
nel suo ultimo respiro, ad Alex, l’unica donna che avesse mai realmente amato nella sua
lunghissima esistenza, aveva donato tutto ciò che poteva ancora darle di sé stesso. Era già passato
più di un anno, ma faceva male come se fosse successo soltanto la sera prima.
I suoi occhi rivissero il loro primo incontro, lo scatto fulmineo di Alexandra che sferrava l’offensiva
e lui che si voltava a guardarla e spalancava le braccia per farle vedere di non avere brutte
intenzioni. A quel tempo la cosa era sembrata ridicola ad entrambe, ma avrebbe sfidato chiunque a
guardare in quegli occhi incontaminati ed a trovarci un briciolo di ambiguità. “Allora perché mi
segui?” Aveva gridato lei, spianando il fucile, come se non vi fosse nulla di più normale che puntare
un cannemozze addosso ad un uomo disarmato. Non un uomo, bensì un vampiro, ma vista da
un’ottica esterna, bisognava ammettere che ci sarebbe stato da chiamare subito la polizia.
Lui aveva inclinato la testa di lato ed aveva sorriso. Un gesto naturale, che l’aveva reso incantevole
e disarmante. Marcus con i sorrisi ci aveva sempre saputo fare… “Ti sto studiando…”
“Mi stai studiando?”
Le soffici onde bionde dei suoi capelli di seta, si erano animate di uno strabiliante gioco di luce nel
mimare un semplice e languido si. “Sto cercando di capire perché t’imponi dei limiti, Sterminatrice.
Senza di quelli, saresti una forza della natura senza eguali.”
Era iniziato così, con frasi lasciate a metà e fugaci scambi di sguardi. Niente malie, niente illusioni,
solo un uomo immortale, che cercava di comprendere per quale motivo qualcuno si affannasse tanto
a distribuire morte fra la sua gente. Niente rancore o rabbia, solo, pura, umana, curiosità.
Ed un po’ alla volta era entrato nelle loro vite… Una brezza tiepida, che leniva la stanchezza e
guariva le ferite dell’anima. Una voce fuori dal coro che aveva svelato ad entrambe un mondo fino a
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quel momento sconosciuto, e che aveva dissipato le nebbie su un’umanità che, se pur molto diversa
dai canoni fino a quel momento da loro conosciuti, si era rivelata semplice e pura umanità.
Alexandra gemette in un urlo soffocato e Victoria scivolò velocemente dal letto per darle conforto.
“Alex,” le sussurrò scostandole una lunga ciocca di capelli dal viso madido di sudore. “è solo un
sogno…”. Il sonno della sorella parve acquietarsi di colpo ed i suoi occhi smisero di guizzare in
maniera febbrile sotto le palpebre, contemporaneamente al lento rallentare del respiro. “Vedrai che
lo troveremo sorellina…” l’altra annuì e le sue belle labbra si distesero in un lieve sorriso
incosciente. Victoria le asciugò le lacrime con la punta delle dita, poi si diresse al balcone per
respirare un po’.
Marcus era morto ed un universo intero di speranze pareva essere svanito assieme al rifulgente
splendore dei suoi sorrisi. Mostri, ma quali mostri, se poi alla fine cadono preda di qualcosa che
bracca uomini e mostri allo stesso modo? Quella era una guerra ad armi impari, che non
risparmiava proprio nessuno. Il peggiore sbaglio dell’umana concezione è proprio nell’identificare
il male nella diversità… Il male è qualcosa di vero, di reale, di dannatamente palpabile, qualcosa
che ingoia al suo passaggio chiunque sia utile per portare a termine il suo gioco. Il male non cerca
di ritagliarsi uno spazio in cui vedersi conquistare gli stessi diritti degli altri. Il male ambisce a
provocare soltanto altro male. Victoria adagiò la schiena sullo stipite della finestra e fissò la linea
del corpo di sua sorella che finalmente pareva dormire un po’ più tranquilla. “Ti prometto che farò
di tutto per esserti d’aiuto.” Sussurrò aggrappandosi a sé stessa per autoinfondersi coraggio e
determinazione. “Qualsiasi cosa, purché quel gran figlio di puttana trovi nelle tue mani, la fine che
merita.”
Edward si lasciò cadere pesantemente sull’impeccabile divano bianco e si nascose il viso dietro le
braccia, lasciando defluire dalle labbra un enorme sospiro spossato. “Stanco?” Gli domandò Anita,
con un delicato sorriso sulle labbra. Lui si limitò ad un mugugno d’assenso. “Caffè?”
“Otto litri, nero e senza zucchero.” Le soffici labbra dell’uomo s’incurvarono in un sorriso divertito,
ma non si mosse nemmeno di un millimetro dalla sua posizione stravaccata.
Anita lo guardò per un attimo, giusto il tempo necessario per imprimersi nella memoria quel lieve
incresparsi delle labbra, che dava vita a quella strampalata parvenza di umanità, che pareva essergli
entrata nel sangue da subito dopo essere scampato all’incubo del Circo. Inclinò la testa di lato e,
conscia di non essere vista, scosse la testa in un divertitissimo moto di diniego. Salvarsi la pelle alle
volte fa davvero miracoli, solo che fino a quel momento aveva creduto che Edward, nella sua lunga
carriera di perfetto sicario, ne avesse viste di molto peggiori di quella. Bah, perché mettersi a
riflettere su di un cambiamento, se alla fine non era stato altro che un notevole miglioramento?!
Lasciò stare, si strinse nelle spalle, girò su sé stessa e si diresse velocemente alla piccola cucina per
preparare il caffé. Anche lei ne aveva bisogno, del resto la notte era stata lunga ed il sonno troppo
breve per tutti e due.
Fra loro regnò un silenzio perfetto, animato soltanto dallo sporadico tintinnio della porcellana delle
tazze e dal gorgogliante ribollire del caffé nella moka. Inspirò a pieni polmoni la fragranza speziata
che riempì l’aria e, soltanto dopo aver messo tre zollette di zucchero nella sua tazza, si decise a
ritornare indietro per servire il suo strampalato ospite. Lo osservò di nuovo, immobile sulla soglia
della cucina, con le tazze in entrambe le mani. Era un sacco di tempo che conosceva Edward, ma
quella era la prima volta che la sua presenza le infondeva calma. Forse era il suo respiro lento e
calibrato, o magari il fatto di saperlo lì senza cattive intenzioni o qualche assurdo incarico da
portare a termine. Di solito la sua presenza voleva dire guai, ma quella volta, assurdo ma vero, la
sua presenza voleva dire soltanto semplice e pura voglia di tenersi compagnia. E per la prima volta
da quando si erano incontrati, l’idea di non sapere nulla di quell’uomo che le era stato affianco in un
sacco di pessime occasioni, la fece sentire strana. Lo conosceva abbastanza bene da percepire il suo
umore, da capire cosa si celava dietro una minuscola sfumatura del suo sguardo, abbastanza da
riconoscere i suoi passi che si muovevano nella notte, ma non abbastanza da sapere chi fosse
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realmente e quale fosse stata la sua vita prima di divenire la Morte. A dire la verità, non sapeva
nemmeno cosa fosse la sua vita quando non si accaniva ad ammazzare qualcuno…
Forse fu semplicemente perché il silenzio perfetto ronzò per troppo tempo senza che nulla lo
interrompesse, ma Edward, come se non fosse mai stato in quel languido stato di dormiveglia, si
voltò lentamente a guardarla da sotto le braccia ancora mollemente posate sul viso. “Qualche
problema?” le domandò tranquillo ed Anita, in tutta risposta, sorrise arrossendo, mentre si tendeva
per porgergli la sua tazza di fumante e profumatissimo caffé. “Non sono otto litri, ma è nero e senza
zucchero…” disse piano, rigirandoselo nelle mani, prima di portarselo alle labbra ed emettere un
delicato mugolio di compiacimento.
Anita annuì. “Fanne cadere una sola goccia sul divano e ti ammazzo.” Gli immensi occhi azzurri
dell’uomo si levarono a lei, per regalarle un altro di quei magnifici sorrisi che non aveva mai visto.
Si sedette al suo fianco e si tolse le scarpe per sistemarsi a gambe incrociate accanto a lui. Non gli
diede mai la schiena e non distolse mai completamente lo sguardo dalla sua fidata Beretta
perfettamente visibile dal rigonfiamento che gli animava la camicia dello stesso colore dei suoi
occhi. Beh, forza dell’abitudine!
Il silenzio tornò a regnare, spesso, quasi palpabile, ma nessuno dei due, per tutti quei dieci minuti di
calma piatta, parve trovarci nulla di sbagliato.
Quando il caffé fu finito, Edward si alzò per posare la sua tazza nel lavello e ritornare al suo fianco.
L’elasticità dei suoi muscoli gli regalarono la grazia di un giaguaro, ma lui non era un mostro, lui
era soltanto un umano… Anita fece altrettanto ed entrambi tornarono a languire in un po’ di
meritato totale relax. Non seppe come fu possibile, ma quando la voce di Edward tornò a parlare, lei
era rilassata e, assurdo ma vero, ad occhi chiusi. “Anita.” La chiamò. Un soffice richiamo che le
accarezzò la mente e la indusse a riaprire gli occhi. Quando lo fece, lui era mollemente adagiato con
i gomiti sulle ginocchia e fissava le sue stesse mani, che teneva pensosamente intrecciate l’una con
l’altra. “Ho visto Richard…” Le mancò il fiato. Di nuovo silenzio, ma questa volta nello sguardo di
entrambi scattò una vistosa scintilla d’inquietudine. “L’ho visto morire e con me, c’eri anche tu,
Anita.” Lui tacque un secondo, giusto il tempo necessario alla risvegliante di pregare iddio che non
giungesse la terribile domanda che invece arrivò come da copione. “Come me lo spieghi?” Magari
non proprio quella, ma ci era andato maledettamente vicino.
Come spiegare ad un sicario, che l’uomo con il quale si è deciso di uscire fa parte della lista dei suoi
bersagli primari? Anita deglutì vistosamente agitata, ma cercò di mantenere la calma. “E’ un
licantropo.” Ecco forse non avrebbe dovuto dirgli proprio così, magari avrebbe dovuto prenderla un
po’ più alla larga o magari eludere di netto la domanda fingendo un malore… Odiava i giri di
parole, ma quello era stato proprio uno di quei momenti in cui il mandarli giù diventa
indispensabile.
Edward inspirò una boccata d’aria che gli gonfiò il petto, tanto da far ondeggiare il rigonfiamento
della pistola. Chiuse gli occhi, un gesto lento, tremendamente riflessivo, che la portò sul punto di
afferrare la Browning che precedentemente aveva agganciato allo spigolo del divano, dietro la sua
testa. S’inclinò all’indietro indecisa se farlo o meno, ma come se Edward avesse avvertito il suo
repentino cambio d’umore, si voltò a guardarla tornando ad adagiarsi sullo schienale. Di nuovo un
respiro, lo stesso, ma ancora più lungo e profondo. Un alito di aria dei suoi polmoni, che riempì il
silenzio come un colpo di arma da fuoco. “E’ un licantropo.” Ripeté con infinita calma. “Un
licantropo che mi ha salvato la vita.”
Il corpo della Sterminatrice reagì immobilizzandosi di colpo, per poi camuffare il lento movimento
verso la Browning, con un languido appoggiarsi di lato allo schienale. “Già.” Non riuscì a dire altro.
Gli occhi di lui le entrarono dentro tanto da ferirla, la scandagliarono, l’analizzarono fin dentro
l’anima. Cominciava seriamente ad odiare quei lunghissimi silenzi che la vedevano cadere
completamente vittima dei suoi sguardi oceanici. Nell’inevitabile resa, i suoi occhi calarono al suo
petto, per poi scivolare giù, in un malcelato gesto di timidezza. Stava seriamente perdendo colpi…
“Cosa provi per lui?” Se le avesse dato uno schiaffo o se si fosse messo a spararle addosso, sarebbe
stato tutto molto più facile.
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Anita fece guizzare febbrilmente lo sguardo, gettandolo di nuovo contro il suo viso. Un gesto secco,
veloce, freddo. Un moto d’agitazione e smarrimento camuffato con l’ira. Si aggrappò al divano e lo
sfidò senza paura. “Non vedo cosa possa interessarti.” Cosa provava per lui? La verità era che forse
non lo sapeva nemmeno lei. O almeno non lo sapeva più. Fin quando Richard Alaric Zeeman era
stato solo un meraviglioso professore universitario, avrebbe detto di provare per lui qualcosa che
avrebbe persino potuto essere duraturo, ma ora, di fronte alla realtà delle cose, tutto pareva essere
cambiato. Edward si limitò ad un lento si con il capo, che però lasciò trasparire qualcosa di
sconosciuto persino a lei. Per la prima volta, non riuscì ad interpretare il suo sguardo, a capire cosa
si celasse dietro le sue mani strette in grembo come se stessero cercando di aggrapparsi a qualcosa.
Per la prima volta, e fu davvero la prima perché mai nulla in lui era stato così, Edward, apparve
davvero un uomo. Anita rilasciò il collo all’indietro e fece defluire dal suo corpo un forte sospiro di
rassegnazione, non seppe perché, ma lo fece. Anita Blake, in quel momento regalò alla Morte i suoi
pensieri. “Prima, forse, credevo di saperlo, ma ora no… Per quanto sappia perfettamente che la
licantropia non è né una colpa né una scelta, questa cosa mi ha freddata.” Tornò a guardarlo, a
perdersi nel suo sguardo infinito come il cielo terso di una mattina d’inverno. Ma non ci fu freddo
nei suoi occhi, il gelo era stato dissipato da qualcosa di diverso, qualcosa che non riuscì a
riconoscere, ma nella quale trovò un rifugio in cui far approdare le sue paure. “So che fino a ieri,
Richard era la migliore persona del mondo, mentre oggi non so nemmeno più chi sia.”
“Non è poi tanto diverso da prima, Anita…” le disse, sporgendosi verso di lei, come a volerla
confortare con la sua presenza.
Rimase immobile, quasi senza fiato, a fissare le sue labbra che s’incurvavano in quel delizioso
sorriso che tornò ad illuminargli gli occhi di un azzurro sconvolgente. Detta da lui quella cosa
doveva farla morir dal ridere, ed invece, a dispetto di tutto, le fece soltanto venir voglia di piangere.
Aveva ragione lui, Richard non era cambiato di una virgola dalla sera prima, in cui si era gettato a
testa bassa a salvare uno dei suoi migliori amici, ma lei, la Sterminatrice, non riusciva affatto a
vederla così. Richard non era più quel caro ragazzo con cui condividere una cena per sentirsi amata
e protetta, come del resto Edward non era più lo stesso spietato uomo di cui aver fottutamente paura
e lei, non era più la ostica ed invulnerabile Anita Blake. Forse era stato l’arrivo di quelle due a farla
sentire un cucciolo indifeso. La loro forza, la loro spavalda dimestichezza con quel terribile potere
che gli scorreva nelle vene o magari soltanto la loro fraterna complicità… Non lo sapeva e forse
non voleva nemmeno saperlo, fatto sta, che di punto in bianco, Anita Blake, si sentì dannatamente
sola, svuotata e più di tutto stanca. Girò la testa di scatto e nascose nel nulla l’arrivo delle lacrime.
Un solo istante, il tempo necessario di scivolare nel pianto, poi, come se nulla fosse stato più giusto
ed indispensabile di quello, si gettò sul petto di Edward per far piovere tutte quelle lacrime che per
anni non si era permessa di versare.
Come se non avesse aspettato altro che quello per tutta la vita, l’abbraccio della Morte l’avvolse
completamente cullandola con una dolcezza impensabile. Il suo mento si adagiò sulle soffici e
profumate onde dei suoi capelli corvini e gli occhi si chiusero, a cercare nel conforto che stava
dando a lei, lo stesso conforto che cercava per sé stesso. Due anime sole, che si fusero nel loro
primo vero abbraccio. Niente armi, niente metallo a dividerli per metterli spalla a spalla o l’uno
contro l’altro… Solo calore, umana concezione del sentirsi soli, ma al contempo vicini… Edward la
cullò fin quando i singhiozzi non cessarono e lentamente, facendola sdraiare al suo fianco, fra le sue
braccia e con lei, scivolò nel sonno.
Alexandra avanzò nel tramonto fissando la palla di fuoco che si spegneva all’orizzonte, poco dietro
di lei, come una fedele ombra, camminava sua sorella. Gli occhi di Viky erano puntati alla sua
schiena. I sogni erano finiti con il sonno ed ora Alex sembrava essere di nuovo l’invulnerabile
Sterminatrice con la quale era cresciuta… Peccato che non fosse affatto così e che in lei vi fosse la
terribile certezza che prima o poi, quella facciata di determinazione e forza sarebbe andata in
frantumi. Entrarono nel Distretto, quando il sole era ormai soltanto una linea di sangue
all’orizzonte. “Viky.” la chiamò la sorella e lei trotterellò velocemente al suo fianco per guardarla
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negli occhi. Quella sera brillavano più del solito. “Tu vai al Guilty Pleasures ed io al Lunatic
Caffé.”
Victoria sgranò gli occhi sgomenta. “Dividerci?! Perché?!” Erano secoli che non facevano indagini
in solitaria e quello non era affatto il momento per ricominciare.
Alexandra si voltò a guardarla terribilmente seria. “Voglio chiudere questa storia una volta per tutte
e se controlleremo due posti contemporaneamente, eviteremo di farci scappare qualche indizio che
ci farebbe sfuggire dalle mani quello che cerchiamo.”
Fiera, imperturbabile, una perfetta maschera di tenacia e determinazione… Peccato che non fosse
affatto così. Victoria cercò di ricacciare indietro quel pensiero e scivolò in un sorriso solare ed
accattivante. “Non mi va di andare da sola a stuzzicare un covo di sanguisughe…” Si pentì quasi
subito di aver dato delle sanguisughe a dei vampiri che ancora non conosceva affatto, ma si
mantenne ben salda alla sua espressione gioviale.
Alex sollevò il sopracciglio in una smorfia stralunata. “Da quando in qua ti fai di questi problemi?”
Da quando le veniva chiesto di lasciarla sola in una città sconosciuta, in cui il male aveva messo
radici e non aspettava altro che cominciare a mettere mano ai suoi orribili giochetti. Non era per sé
stessa che aveva paura, ma per lei, ma solo l’idea di dare voce a quel pensiero così assurdo le fece
accapponare la pelle. Come minimo sua sorella le avrebbe davvero sparato addosso. “Almeno
dimmi con che diavolo di criterio hai scelto le dislocazioni!” borbottò. Linguaggio professionale e
sguardo da dura. NON voleva lasciarla sola, punto e basta, ma vista la faccia che le era giunta in
risposta, dubitava seriamente che sarebbe riuscita a spuntarla. “Oltretutto il Master mi pareva molto
più interessato a te che a me…” ridacchiò, provando con metodi meno formali.
Alexandra incrociò le braccia sul petto con fare infinitamente serio. “Viky, il Master è ragionevole,
almeno sembra,” sorrise. “i licantropi non lo sono.” La sorella provò a dire qualcosa, ma la
maggiore fu più veloce di lei. “Io ho stabilito la mia gerarchia, tu, no.”
Victoria aggrottò le sopracciglia tremendamente contrariata dalla precisazione. Una smorfia
fanciullesca, che riscosse nell’altra un dolce sorriso materno. “Non è colpa mia se hai fatto tutto
tu…”
“L’ho fatto perché ero l’unica in grado di farlo…” nella sua voce, vibrò la piena consapevolezza
della loro profonda diversità, un divario che Victoria conosceva bene, ma che continuava
ostinatamente a voler fingere di non conoscere affatto. “Un paio d’ore…” le sussurrò dolcemente,
scostandole i capelli dal viso. “Un paio d’ore al massimo… Ti raggiungerò lì, promesso…”
Il corpo di Alexandra tornò ad animarsi prendendo la via del Lunatic Caffé. Non era una bambina e
non aveva bisogno di una balia, ma Alex era diventata troppo impulsiva per poter gestire da sola un
branco di licantropi. “Sai che tipo di locale è il Guilty Pleasures, vero?!” squittì. Un ultimo
tentativo, poi avrebbe smesso di controbattere, per evitare di metterla di cattivo umore.
La sorella proseguì imperterrita, ma sollevò i palmi delle mani stringendosi candidamente nelle
spalle. “Sei maggiorenne e vaccinata…”
Victoria alzò le braccia al cielo e sbuffò la sua esasperazione nella notte. Poi, con le mani nelle
tasche, ed il suo fedele arsenale sotto lo spolverino, si diresse al Guilty Pleasures.
Guilty Pleasures – ore 21:30
L’enorme vampiro sulla porta le sorrise in un patetico scintillio di zanne, ma si fece
immediatamente da parte per lasciarla entrare. Salì il primo gradino e diresse l’attenzione al
singolare cartello sul muro accanto alla porta d’ingresso. “Vietato l’ingresso con croci, crocifissi o
altri oggetti e simboli sacri?!” bisbigliò divertita, ma si limitò a gettare un’altra occhiata
all’energumeno che pareva essere diventato una brutta scultura di pietra e stringendosi nelle spalle,
fece ingresso. Aveva smesso di portare con sé croci o altra roba del genere, da quando aveva preso a
frequentare la comunità vampiresca di New York. Marcus e gli altri avevano gli stessi problemi dei
vampiri di St. Louis, ed anche se in qualche caso una croce od un oggetto sacro avrebbero
evidentemente potuto risparmiarle qualche problema, aveva preferito optare per metodologie
diverse. Del resto, funzionavano pure meglio… La musica l’avvolse sin da subito, un ovattato
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scandirsi delle note sfuggite alla porta asonorizzante che le precludeva ancora la vista sull’interno
del locale. Avanzò spedita, sua sorella aveva deciso di lasciarla da sola in un locale di spogliarelli e
lei doveva farsela andare giù. C’era soltanto una cosa decente in tutta quella storia così stonata, lei
non aveva mai visto con i suoi occhi un locale del genere. L’immagine di donne assatanate che
infilavano banconote negli slip di uomini unti fino ai capelli, le strappò un sorriso che si spense non
appena la mano di qualcuno le si chiuse sul braccio strappandole un gridolino di paura.
Si aggrappò al suo fucile, ma grazie al cielo, volse lo sguardo all’aggressore un secondo prima di
sfoderarlo per fare fuoco. Levò lo sguardo al soffitto terribilmente irritata, ma che si fa così?!
“Ben venuta al Guilty Pleasures!” cinguettò la guardarobiera, sciovinandole un sorriso a trentadue
denti mentre la squadrava in lungo ed in largo. Victoria la fissò intensamente, poi rispose al sorriso.
Soltanto un’umana, niente di più. La ragazza continuò ad ispezionare con lo sguardo il suo lungo
impermeabile di pelle, fin quando non tornò a guardarla dritta negli occhi. Il suo sorriso di rito non
scemò nemmeno per un istante. Almeno non ancora… “Ha nulla da dichiarare?”
Victoria si liberò dalla sua mano e la guardò perplessa. “In che senso, scusi?”
Il sorriso dell’altra si allargò ancora di più, tanto da farle credere che di lì a due secondi si sarebbe
slogata la mascella. “Non lo so, crocifissi, medagliette con qualche santo…” la donna tornò a
percorrere avidamente il suo lungo cappotto ed aggiunse un “armi…” come se non avesse mai
smesso di parlare.
Victoria finalmente rispose al sorriso. “Un cannemozze, tre coltelli d’argento, sei granate e due
Magnum…” La donna rise, una risatina allegra, che si spense non appena si slacciò lo spolverino
per farle constatare di persona che non aveva tralasciato nulla. Forse non si vedeva il coltello che
teneva legato allo stinco, ma per grandi linee doveva essere chiaro così. E fu chiaro, abbastanza
chiaro da far schizzare la ragazza verso la porta d’ingresso gridando aiuto.
Victoria si guardò intorno spiazzata, non è che avesse pensato di riscuotere simpatie, ma nemmeno
che le avessero fatto tutte quelle storie in un locale dove i vampiri… Merda! Non era a New York e
lì non la conosceva nessuno! Roteò velocemente sui tacchi alti e si addossò al muro per mirare
dritto al cuore dell’energumeno che, di punto in bianco, fece irruzione nel locale a denti spianati.
Dio, sua sorella sta volta l’avrebbe ammazzata sul serio! Nemmeno il tempo di pensarlo, che
un’ombra, alta, snella, ma straripante potere, rispedì indietro quello che scoprì chiamarsi Buzz, con
una veloce portata sul naso. Il vampiro grugnì furioso, ma non appena riconobbe gli occhi di chi gli
aveva messo i bastoni fra le ruote, uggiolò come un cagnolino bastonato e tornò sui suoi passi per
svanire di nuovo fuori dal locale. “La signorina è con me…” dichiarò una voce di uomo, che parve
fluttuare nell’aria con la sua morbida inflessione parigina. Victoria trattenne il fiato, e nel lento
svelarsi del suo viso, si sentì morire.
“E’ armata!” Squittì la guardarobiera, ma bastò un cenno secco del capo dell’altro, per indurla a
tacere ed a correre a rintanarsi nel retro.
Il Master era corso in suo soccorso proprio come una chioccia avrebbe fatto con i suoi piccoli, ed
ora, per ovvie ragioni, la fissava con l’aria di chi stava per farle una sonora ramanzina. Abbassò il
fucile con la stessa velocità con cui l’aveva sfoderato e si morse il labbro, attendendo la giusta
paternale da parte del padrone di casa. Al contrario, Jean-Claude sollevò gli occhi in una graziosa
smorfia di esasperazione che si spense nell’incantevole apparire di un sorriso privo di zanne.
“Chouchou, forse dovresti evitare di fare queste entrate ad effetto.” Chouchou?! Che diavolo voleva
dire chouchou? Al contrario di sua sorella, lei non capiva una parola di francese, ma che ci pensava
a fare, era carino, suonava bene e dava di molto zuccheroso… Poi dopo la figura di merda appena
fatta doveva permettergli tutto… “Abbiamo già una Sterminatrice ufficiale con cui dover fare i
conti almeno tre volte alla settimana.” Il vampiro avanzò verso di lei, in un frusciante sospiro di seta
nera. Il suo petto bianco brillava fra le linee seghettate dello scollo cangiante, lasciando trasparire
l’ammiccante scorcio di una cicatrice che pareva una croce. Victoria lo fissò negli occhi, e nel blu
sconfinato di quella magica antichità che le tendeva la mano per fare le dovute presentazioni, lesse
la stessa sensuale linea di potere che aveva animato quelli del suo adorato Marcus. “Tu e tua sorella
siete due tipi davvero speciali.” Sussurrò lui.
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Victoria gli strinse la mano, un tocco che la fece piacevolmente rabbrividire, come se avesse
passato le dita su di un drappo di velluto bianco. “Victoria O’Brian, Jean-Claude, ma dopo questo
spettacolino non mi sento più così tanto speciale.” Ridacchiò timidamente. “E’ che dalle mie parti
mi conoscono…” cercò di giustificarsi… “Di solito basta che dica quello che ho con me…” Si
come no…
Lui annuì, un lento movimento del collo, che fece ondeggiare i boccoli corvini che gli
incorniciavano il viso. Una tra le più belle creature della notte che avesse mai visto in vita sua.
Anche in lui, non c’era un briciolo di illusione, era così e basta. Splendido ed elegante nel suo
sensuale completo nero che gli modellava il corpo come una seconda pelle di seta, etereo ed al
contempo letale, nel suo magnifico sorriso in grado di illuminare il mondo intero. Victoria distolse
lo sguardo soltanto per evitare di fargli vedere che stava arrossendo come un peperone. “Sostenere
lo sguardo di un vampiro non è cosa da poco, e tu lo fai senza il minimo sforzo.” Di nuovo quel
soffio in cui la erre del suo delizioso accento, vibrò come un alito di vento caldo… “Tua sorella non
è con te?”
Lei si strinse nelle spalle e scosse la testa amareggiata. “No, ha preferito separarci per controllare
due piste contemporaneamente.”
“Mmm…” mugugnò pensieroso. “Allora sei qui in veste ufficiale…” Lei annuì e lui in risposta si
strinse nelle spalle. “E’ un vero peccato, poussin, ma del resto dovevo aspettarmelo.” Tacque un
istante, poi pennellando l’aria con un soffice colpo di ciglia, che spense e riaccese il blu profondo
del mondo che si muoveva nei suoi occhi, si mosse verso di lei. “Comunque, spero ugualmente che
la serata possa essere di tuo gradimento…” Le posò dolcemente una mano dietro la schiena e
mentre i suoi passi decisi la conducevano attraverso l’ultima porta che la divideva dal locale,
Victoria, senza farsi troppe domande sul perché ed il percome della cosa, si sentì di nuovo in pace.
Levò lo sguardo al suo bel viso e nella linea perfetta dei suoi lineamenti scoprì di riuscire a vedere
qualcuno che purtroppo non c’era più. E se ci fosse riuscita anche sua sorella? Espirò forte ed anche
se un po’ malinconicamente sorrise, Jean-Claude, senza il bisogno di guardarla lo fece con lei…
Mostri, forse da un lato poteva anche essere vero che lo erano, ma a dispetto di tutto e tutti, lei, con
i mostri, riusciva sempre a sentirsi come se fosse a casa.
Lunatic Caffè – 22:25
Alexandra espirò una profonda boccata d’aria e si asciugò il viso dal sudore. Le girava ancora la
testa, ma finalmente si sentiva un po’ meglio. Fissò l’orologio… Le aveva detto soltanto due ore ed
una era già volata via. Maledizione! Doveva rimettersi in sesto e soprattutto sbrigarsi a parlare con i
maschi Alpha del branco. Viky odiava più di ogni altra cosa i ritardi, proprio come lei odiava farla
aspettare. Era l’ultima cosa che le rimaneva al mondo e detestava farla preoccupare più di quanto
già non fosse abbastanza. La conosceva troppo bene per credere alla sua bella facciata di sorellina
consenziente e fiduciosa… Victoria aveva paura per lei, come del resto proprio lei aveva paura per
sé stessa. Gli doveva anche il fatto di non fargliela mai pesare. Victoria era una persona
straordinaria e con l’età stava diventando sempre più insostituibile anche nel lavoro.
Si rimise in perfetto equilibrio sulle gambe e si passò una mano sulle labbra in un gesto meccanico.
Doveva farcela… Deglutì la spossatezza, ricacciò indietro gli ultimi rimasugli di malessere ed entrò
nel locale senza più esitazioni. Musica, assordante e selvaggia. Frastuono, semplice e puro rumore
ed a lei in quel momento scoppiava la testa. Non si poteva certo dire che la fortuna la stesse
aiutando… Espirò a pieni polmoni e socchiuse gli occhi per resistere alla fitta che le attraversò le
tempie. Strinse la mascella e si fece coraggio… Non poteva mostrare cedimenti, perché fra gli
animali vige la legge del più forte e purtroppo, anche a discapito di tutti i suoi buoni propositi di
non vederli più così, era proprio di questo che si parlava. Avanzò senza più fermarsi e raggiunse ad
ampie falcate il bancone. Al di là, ad attenderla, gli occhi agguerriti della lupa Alpha. “Raina…”
sibilò, con la voce lievemente arrochita. L’altra annuì gelida. Uno scontro di sguardi in cui non vi fu
bisogno di parole per stabilire la gerarchia. L’aveva già fatto… “Ho bisogno di parlare con tutti i
maschi Alpha che ci sono nel locale.”
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“Sta sera non ce ne sono molti…” le rispose, con quello che parve più un flebile ringhio. I suoi
occhi si accesero di un giallo quasi fosforescente, ma l’altra si sporse immediatamente sul bancone
per farle vedere di non avere nessuna paura di lei. Raina indietreggiò come colpita da uno schiaffo
ed abbassò la testa, riportando il suo sguardo ad uno stato di totale calma.
“Non voglio problemi…” le disse con tranquillità, cercando di stirare un sorriso.
“Nemmeno io.”
Alex tornò al suo posto con un gesto fluido, ma non molto più umano di quello che avrebbe potuto
fare un uno dei clienti del locale. “Perfetto, allora deduco che non ce ne saranno.”
“Sta sera ci sono soltanto Gabriel e Rafael…”
“Marcus non c’è?” L’onda ramata dei capelli della donna, si mosse in un inequivocabile cenno di
diniego. Con calma calibrata, adagiò la schiena sul bancone e si voltò a seguire l’indice della sua
mano. Ad attenderla, come se non avessero fatto altro che guardarla dal momento stesso in cui
aveva fatto ingresso nel locale, trovò gli occhi di due Capobranco già puntati su di lei. “Ho bisogno
di tutti i maschi Alpha, Raina.” Le disse di schiena, senza distogliere nemmeno per un attimo lo
sguardo dai due uomini. “Mi servono tutti quelli che hanno sotto la loro protezione qualche
componente del branco… Ad esempio Richard…” Un nome a caso…
L’agitazione di Raina fu a dir poco palpabile. “Richard non c’è, e lui NON è un Capobranco!”
sibilò di nuovo animata dalla collera.
“Non m’interessano i vostri problemi interni…” sorrise, ed in una lentissima rotazione del busto
tornò a guardarla negli occhi. “Raina, c’è qualcosa là fuori, che non starà a guardare se tu comandi
o meno…” La donna parve irrigidirsi, e lei accentuò il sorriso, rendendolo quasi caldo ed
amichevole. “Anzi, ti dirò, purtroppo predilige proprio i più forti, quindi voglio guardare in faccia
tutte le possibili persone che dovrò ammazzare per evitare inutili massacri.” Le posò la mano sulla
sua, che apparve gelata e, con un colpo di reni si rimise in piedi.
Due uomini, due Capobranco con un potere talmente forte da far visibilmente vibrare l’aria che gli
si muoveva attorno. Li fissò intensamente e camminò verso il centro del locale, per decidere da chi
andare per primo. Uno un po’ tozzo nella sua muscolatura portata al massimo, l’altro snello e felino,
entrambi due gran bei maschi, ma per ovvie ragioni, in quel momento non era quello che le
interessava. Camminò in diagonale, lenta ma ugualmente determinata ad arrivare al centro della
loro visuale. Si fermò precisamente nel mezzo e tornò ad osservarli con avido interesse.
Il primo, forse il più giovane fra i due, era alto e slanciato, avvolto in finissimi strati di cuoio nero e
borchie di metallo che nella luce delle strobo brillavano come pezzi d’argento. Lo osservò
attentamente, con la stessa arrogante intensità con cui lui stava facendo con lei. I lunghi capelli un
po’ arruffati, gli scivolavano fin quasi sugli occhi, in soffici ciuffi neri che ricordavano vagamente
la vellutata consistenza di una pelliccia. Gli occhi scuri e penetranti, gli zigomi alti ma accattivanti e
le labbra sensuali, incurvate in un ghigno sardonico ma fiero. L’uomo spalancò le braccia sullo
schienale del divano e si lasciò scivolare sul sedile, fino a portare la testa a posarsi languidamente
sul velluto nero per fissarla comodamente stravaccato. Non aveva paura di lei e dai suoi occhi, era
chiaro come il sole che non stava aspettando altro che lo raggiungesse. Alex gli fece scorrere
addosso la sua energia, ma lui non apparve affatto turbato dalla cosa. Potente e feroce… Un
Capobranco perfettamente degno del suo ruolo.
Con disinvoltura, lasciò che lo sguardo vagasse nello spazio che li divideva come una linea di
confine invalicabile, e posò gli occhi sull’altro. Non era molto alto, ma non aveva nulla da invidiare
al suo antagonista. Capelli neri lasciati liberi di scendere vertiginosamente sulle spalle poderose ed
ampie, occhi tanto scuri da sembrare tizzoni di carbone, volto squadrato molto mascolino, e labbra
carnose e disegnate perfettamente sulla splendida abbronzatura. Anche lì, il pesante sguardo
dell’uomo intraprese la lenta discesa sul suo corpo, per fare sua ogni soffice piega del suo seno, dei
suoi fianchi snelli ed ogni sfumatura della cappa di pelle che l’avvolgeva partendole dal collo fino a
raggiungerle i lucidissimi stivali neri dal tacco alto che calzava ai piedi. Diversi, profondamente
diversi, ma entrambi dannatamente potenti… Le mani dell’uomo rotearono il bicchiere con
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languida lentezza, mentre i suoi occhi, vigili ma calmi, le indicavano di andare prima dall’altro.
Evidentemente anche lui, almeno per quella sera, non voleva avere problemi. Astuto e calcolatore.
Si mosse in direzione del divanetto del centauro, conscia di andare incontro a qualcosa di
particolarmente selvaggio. Gli sorrise, un sorriso lento, provocante, nel quale le sue labbra
mimarono un soffice “Miao.” Non c’era voluto molto per capire chi fra i due fosse il leopardo… La
lingua frenetica dell’uomo guizzò sulle sue belle labbra carnose, come se stesse assaporando l’odore
di una femmina in calore sulla quale sfogare i suoi istinti animaleschi. Se le fosse saltato addosso,
avrebbe dovuto ammettere che esordendo così se l’era proprio andata a cercare. Lo raggiunse
pochissimo dopo, rimanendo perfettamente impassibile di fronte al suo sguardo vistosamente
eccitato. Avrebbe potuto essere un gran bel pezzo di maschio, ma nell’insieme, purtroppo per lui,
era semplicemente osceno. “Alexandra O’Brian… Mister?”
“Gabriel, chiamami soltanto Gabriel…” soffiarono le sue labbra. Un gesto semplice, che al
contrario lasciò trasparire uno sfaccettatissimo universo di notti perverse ed amplessi bestiali.
Sembrava essere nato per dare piacere ed allo stesso tempo per riceverne. La fissò negli occhi senza
il minimo cenno di tentennamento, limitandosi a muovere languidamente la mano sullo schienale
per invitarla a sedersi al suo fianco.
Semplicemente disgustoso, ma doveva ammettere che riusciva a suscitare nel prossimo un certo
fascino. “Le devo parlare.”
“Siediti.” Le ordinò. Un’altra gelida carezza sensuale che le accapponò la pelle.
Non se lo lasciò ripetere, aveva troppo poco tempo e doveva a tutti i costi guadagnarsi la sua
fiducia. In casi come quelli, il termine fiducia era una parola grossa, ma doveva perlomeno fare in
modo che le desse retta. Forse con uno così avrebbe dovuto mettersi a fare lo streaptease, ma
sinceramente, anche a discapito della strampalata voglia di farlo che le era piovuta addosso mano a
mano che i suoi occhi la scandagliavano in ogni più piccolo angolo del suo corpo, non era proprio il
caso. Gli scivolò accanto in un frusciante ondeggiare di pelle, che nel suo lento movimento animato
dai passi lenti e calibrati con cui raggiunse il posto alla sua sinistra, gli sfiorò il ginocchio,
portandolo ad emettere un delicato rumore alla base della gola, che al suo udito apparve come un
vero e proprio attacco di fusa. Alex si riempì i polmoni e li risvuotò in un sospiro esasperato
percettibile a malapena per sé stessa. Leopardi mannari, ovvero una vera e propria tempesta
ormonale inappagabile. Se i licantropi affogano le lune piene nel sesso, allora loro ne fanno una
vera e propria ragione di vita. “Gabriel…” Ripeté il suo nome, per cercare di stabilire un contatto
diretto. Gli occhi di lui si accesero di lussuria e la sua testa si animò per far muovere un
eccitatissimo si di assenso. “Conoscevi l’uomo che è stato ammazzato ieri sera?”
Di colpo, come se si fosse messa ad urlargli in faccia una valanga d’insulti, il volto dell’uomo si
fece scuro e feroce. Non si mosse, iniziando a fissarla con la stessa intensità di un leopardo che
studia la sua nuova preda. “Chi sei?” un delicato gorgoglio gli animò la voce, come ad anticipare lo
scaturirsi di un ringhio.
“Alexandra O’Brian, te l’ho detto…” gli sorrise, mantenendosi ben salda alla sua spavalda
espressione di tranquillità. Lui si girò su un fianco, posando tutto il peso del suo corpo sul braccio
sinistro. Un gesto lento, animalesco, che la portò a diretto cospetto con i suoi occhi neri, nei quali
delle sconvolgenti striature ambrate iniziavano a scorrere verso la pupilla per dare vita alla muta
minaccia. Lei fece altrettanto, tanto che le loro fronti arrivarono fin quasi sul punto di sfiorarsi.
Tornò a sorridere, ed a liberare il suo immenso potere per strappargli un po’ di quella patetica
parvenza da duro. Gli occhi dell’uomo si assottigliarono in due fessure rifulgenti, non appena le due
essenze entrarono realmente in contatto. Un’onda perfettamente circolare, che si fondeva con
un’altra per interrompere la sua avanzata. Un lento incresparsi dell’aria, che attirò su di loro
l’attenzione di tutti coloro fossero nel raggio d’azione della guerra invisibile. “Vorrei evitare di dare
troppo nell’occhio…” Gli sussurrò praticamente sulle labbra.
“Allora cedi.” Lei scosse la testa, mentre le sue labbra perennemente sorridenti emettevano dei
secchi schiocchi di lingua. “Non penserai davvero che sarò io a farlo!” Sibilò lui, perfettamente
immobile, nella tensione spasmodica dei suoi muscoli perfetti ammantati di cuoio nero.
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“Sei troppo furbo e assetato di potere per voler rischiare di fare una figura di merda di fronte al tuo
branco.” Gli occhi di lei guizzarono dietro le spalle dell’uomo per indicargli che c’era qualcuno
vistosamente interessato alla situazione.
“Non mi sfidare…” Di nuovo quel basso ringhio che gli distorse la voce, rendendola cupa e tetra.
“Ho detto che voglio soltanto parlarti e mi sono limitata a fare una domanda, alla quale però, non
hai ancora risposto.” Alex si adagiò con il gomito sulla spalliera del divanetto e posò languidamente
lo zigomo sul palmo della mano. “Conoscevi Robert Finn, Gabriel?”
Gabriel si voltò lentamente a guardarsi le spalle, per poi tornare a guardarla negli occhi, lasciandole
scivolare addosso un sorriso feroce che fece brillare fra le sue labbra due minuscoli canini appuntiti
come lame. “Ritira il tuo potere, dimmi chi sei e dopo ti risponderò.”
Alexandra scosse lentamente la testa e dopo aver gettato fuori il primo vero sospiro di
esasperazione, lasciò refluire all’indietro la sua essenza. “Alexandra O’Brian, te l’ho detto, ma non
vedo cosa potrei dirti di più…”
Lui le si accostò talmente tanto da insinuare il naso nei suoi capelli e l’annusò con la stessa
morbidezza di un gatto. Si voltò a guardarle la guancia, poi, come se non potesse fare a meno di
farlo, le passo la lingua accanto all’orecchio. Lei chiuse gli occhi, rabbrividì, ma raccolse il
coraggio necessario per non mettersi a spianargli addosso tutto il caricatore del suo uzzi. “Profumi
di sangue da far accapponare la pelle, piccola…” le sussurrò sulla pelle con un’eccitazione tanto
forte da incrinargli la voce.
“Sarà che per mestiere ammazzo la gente…” l’uomo si scostò bruscamente da lei e la fissò ad occhi
sgranati. “Sono una Sterminatrice, al mondo, purtroppo o per fortuna visto che dipende dai punti di
vista di chi parla, non esiste soltanto Anita Blake.” Tacque per un istante mentre, in maniera
distaccata, si asciugava la guancia dalla sua saliva. “Ora voglio la mia risposta.”
“No.” Sembrava impietrito, ma dubitava che quella che si muoveva nei suoi occhi fosse paura.
“Non era uno dei miei.” I suoi immensi occhi neri, si puntarono a guardare l’altro Capobranco che
ancora continuava a girare fra le mani il bicchiere colmo di liquore. “Dovresti chiedere a lui.” Le
accennò con la testa, nella sua direzione. “Robert Finn, era un ratto mannaro.”
Perfetto, aveva trovato il suo uomo. Alexandra si rimise lentamente in piedi, ma prima di andarsene
si voltò verso Gabriel per tendergli la mano. Lui la fissò turbato, ma la strinse come se fosse la cosa
più normale del mondo. Le labbra della donna tornarono ad incresparsi in un sorriso, ed il suo corpo
si tese verso di lui, per bisbigliargli in un orecchio. Era vero, i suoi capelli erano morbidi e vellutati
come la pelliccia di un gattino appena nato ed avevano lo stesso delicatissimo profumo… Uhm…
Davvero affascinante… “Gabriel,” gli soffiò sulla pelle, facendolo vistosamente rabbrividire. “a St.
Louis, purtroppo, è arrivato qualcosa che va di molto oltre la tua portata.” L’uomo cercò di
scostarsi, ma la stretta ferrea di lei, lo obbligò a non farlo. “Se ti capita di vedere qualcosa di strano
o semplicemente di sentirti strano, mi trovi al Sunshine… Non fare il duro, non sai con cosa hai a
che fare…” detto questo si scostò.
L’uomo annuì con gli occhi ancora vistosamente sgranati. “Chi stai braccando, Sterminatrice?” Lei
non rispose e se ne andò. Se mai si fossero incontrati ancora, sperò con tutta sé stessa che fosse
stato soltanto per ballare. A dirla tutta, non le sarebbe poi così tanto dispiaciuto strusciarsi un po’ su
tutta quella sensualissima massa di muscoli inguainati… Ok, aveva da fare! Di buono però, c’era
che si sentiva dannatamente meglio…
Non servì essere gioviale con il secondo Capobranco della serata, per attirarsi la sua cordialità.
L’uomo le scostò la sedia per invitarla a sedersi, ancora prima che fosse uscita dal salottino su cui
aveva tenuto la sua “pacifica” conversazione con Gabriel. “Buona sera, Alex.” La salutò,
indicandole la sedia. Lei lo squadrò un po’ perplessa, ma il sorriso amichevole dell’altro la indusse
comunque a sedersi. “Come vedi, la tua fama ti ha preceduta…”
Lei rise, una risata calda e vellutata che si mosse nell’aria come una carezza. “Di solito preferisco le
entrate ad effetto, ma diciamo che per questa sera ne ho già fatte abbastanza.” Lui annuì ed indicò a
Raina di portare al tavolo un altro bicchiere. “Tu sei, Rafael.”
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“Già…” gli occhi astuti dell’uomo intercettarono quelli del suo precedente interlocutore e sorrise.
“Hai rischiato grosso, lo sai, vero?”
Lei si strinse nelle spalle. “Ho l’abitudine di prendere le cose di petto e purtroppo in certi casi, nel
farlo, rischio di finire con il fare a cazzotti.” Raina le consegnò il bicchiere, e sgattaiolò via, come
se avesse visto il diavolo in persona.
“Che le hai fatto?”
Lei? La santarellina con il fedele mitra sempre al collo? Ma dai, cosa mai avrebbe potuto farle?!
“Niente di grave…” Ridacchiò e lui si strinse nelle spalle, decidendo di smettere di fare domande
inutili. “Chi ti ha parlato di me?” Non era stata semplice curiosità a dare vita a quella domanda
precisa, bensì qualcosa di molto più sottile e concreto. L’idea che il suo impeccabile operato nel
lavoro avesse varcato ben tre continenti l’avrebbe indubbiamente messa di ottimo umore, ma era
abbastanza sveglia da sapere che a St. Louis c’era una Sterminatrice molto più temuta di lei… Non
ci voleva una laurea in psicologia per capire che, se Rafael la conosceva abbastanza bene da andare
al di là del suo nome, forse c’era qualcosa che doveva proprio dirle.
Lui la guardò negli occhi e nell’infinito nero che si dilatava come una macchia d’olio nel suo
sguardo, Alex percepì le prime avvisaglie d’inquietudine. Rafael si portò al bicchiere alle labbra e
con una sola sorsata ne scolò voracemente tutto il contenuto. “Robert… Robert Finn… E se vuoi
chiedermi se lo conoscevo, beh, si, era uno dei miei… Un bravo ragazzo, se pur avesse la luna
storta almeno una volta al mese.” Sorrise, un sorriso spento, triste, lontano. La morte dell’uomo per
lui doveva essere stato un duro colpo. Ma Finn, come diavolo aveva fatto a sapere di lei? Non si
erano mai incontrati ed era morto la notte stessa del suo arrivo in città… Gli occhi dell’uomo
tornarono ad immergersi nel verde rifulgente dei suoi e sospirò. “Alex, chi l’ha ammazzato, ti
conosce bene.” I suoi occhi tornarono assenti, se pur stessero ancora fingendo di guardarla. “Mi ha
detto di aver sentito dire che stavi arrivando in città… Mi ha detto che erano tipi strani e che
sembravano davvero agitati. Non gli ho dato molto peso, questa dannata città è piena di gente
strana. Purtroppo però, avrei dovuto dargliene almeno quando mi ha detto che secondo lui
l’avevano visto e che non si sentiva tranquillo…”
Alexandra si rigirò il bicchiere nelle mani in maniera assorta. “Strani? In che senso strani?”
Lui scosse la testa. “Questo non lo so, ma ti assicuro che se lo sapessi ora non sarei qui a sorbirmi
questo schifo di musica.” Accennò ad una risata alla quale lei rispose con un sorriso appena
accennato. “Non so che diavolo stia succedendo, ma ho un buon fiuto…” lei sollevò il sopracciglio
divertita e lui scosse la testa accennando un’altra risata. “Chiamalo sesto senso allora, ma sento che
stai andando incontro a qualcosa che dovresti soltanto evitare, Sterminatrice…”
Lei si alzò di scatto. Un gesto secco che fece stridere le zampe della sedia sul pavimento
appiccicoso del locale e che fece ondeggiare pericolosamente il contenuto del suo bicchiere. Odiava
quando i test uscivano dal seminato. Comunque nessuno dei due pareva essere coinvolto, almeno
non ancora, e visto che gli altri non c’erano, adesso poteva proprio andarsene. “Non c’è bisogno che
ti dica…”
“No,” la interruppe lui. “visto quello che è successo, sono già dalla tua parte.” La donna roteò su sé
stessa, ma prima che potesse muoversi per andarsene la mano di lui le si strinse sul polso
obbligandola a voltarsi per sentire quello che aveva ancora da dirle. “Io ed il mio branco
accorreremo al minimo richiamo, ma stai attenta, Alex, quello che hai negli occhi è molto
pericoloso.”
“Quello che ho negli occhi, mi tiene in vita.” Lui annuì e le liberò la mano. “Non preoccuparti per
me e pensa solo a salvarti… Chi si muove là fuori nell’oscurità, cerca proprio gente come te.”
Quando riaprì gli occhi era ormai calato il sole. Rimase immobile, avvolta in un dolce tepore che
continuava a cullarla nei sogni ed inspirò una profonda boccata del buon profumo di muschio
selvatico che si propagava nell’aria. Non ricordava né come né quando si fosse addormentata, ma
rammentava di aver sognato ancora. Si era immersa in un altro sogno in cui la figura di Marcus il
vampiro aveva regnato incontrastata ed in cui i suoi immensi occhi turchesi, le avevano chiesto
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senza mezzi termini di essere ascoltati. Non ricordava i particolari, ma era dannatamente sicura che
quella notte, la diretta interessata delle azioni del Master, fosse stata proprio lei. Cercò di aprire gli
occhi, ma il dolce calore che l’avvolgeva come una coperta la indusse ad aspettare ancora un po’.
Era un sacco di tempo che non dormiva così bene, così serenamente, tanto che, se fosse stato per lei,
sarebbe rimasta così per sempre. Empì i polmoni e li risvuotò con un sospiro beato, che s’interruppe
bruscamente a metà, quando avvertì la pressione di una mano muovere una tenera carezza sulla sua
schiena. Rimase impietrita ed il cuore iniziò a pomparle adrenalina nel petto ed in tutto il corpo.
Possibile che…? Sgranò gli occhi e ad attenderla trovò quello che si era aspettata nonostante la
ritenesse la cosa più impossibile del mondo. Dormiva ancora profondamente, forse stava sognando
visto che i suoi occhi guizzavano in maniera frenetica dietro le palpebre abbassate, ma sembrava
tranquillo come un bambino. Edward l’aveva cullata per tutto il sonno, tenendola inconsciamente al
sicuro dal mondo intero. No, quello non poteva essere Edward, o meglio non poteva essere
l’Edward che conosceva lei! Merda! Che cazzo di fine aveva fatto il suo spietato compagno di
battaglia?!
Si mosse appena fra le sue braccia cercando accuratamente di non svegliarlo e scivolò giù dal
divano. Lo fissò sconvolta… Si teneva il viso con il palmo di una mano e l’altra, ora scendeva a
picco giù dal bordo del divano, priva del volume del suo corpo, che aveva reso quel semplice gesto
un tenero abbraccio. Un abbraccio nel quale aveva trovato la serenità che aveva chiesto quando era
scoppiata in lacrime, un’avvolgente dimensione sconosciuta, in cui aveva scoperto in Edward anche
un buon amico sempre pronto ad esserle vicino. Una cosa che a modo suo aveva sempre fatto, ma
che non era mai stata così speciale. Tenendosi dritta con la schiena, cercò disperatamente di
ripristinare il respiro affannoso che le impediva di guardarlo senza sentire il bisogno di tornare a
sdraiarsi accanto a lui. Stava impazzendo, la botta in testa doveva essere stata peggiore di quanto
avesse pensato, perché adesso, tanto per aggravare lo smarrimento che sentiva schiacciarle lo
stomaco, le veniva dannatamente voglia di togliergli dal viso le soffici ciocche bionde che vi
ricadevano scomposte. Non riuscì a muoversi e continuò a fissare ad occhi sgranati i suoi splendidi
lineamenti che, per la prima volta da quando lo conosceva, sembravano completamente umani. Un
bellissimo assassino che si riposava dalle fatiche della battaglia… Si come no. No, la verità era, che
con quei ciuffi scomposti sul viso, con quel dolce sorriso beato che gli incurvava le labbra piene e
vellutate e la mano mollemente scesa al lato del cuscino, per i suoi occhi era quanto di più avesse
chiesto di avere dalla vita. Si mosse all’indietro sul soffice tappeto di pelo bianco e scivolò il più
lontano possibile da lui. Non riusciva a smettere di guardarlo, ma doveva per forza scappare via. Il
lavoro chiamava! No, la sua mente disperava cercando una spiegazione a quello che era successo tra
di loro ed il suo corpo tremava al solo contatto con quello che sentiva muoversi dentro di lei. Non
riusciva nemmeno a credere che non si fosse svegliato quando si era divincolata dalla sua tiepida
stretta. Impossibile ma vero… Edward, quel pomeriggio in cui lei aveva riversato su di lui tutte le
sue paure e la sua stanchezza, aveva completamente abbassato le difese. Edward, per la prima volta
era stato soltanto un uomo, un uomo comprensivo, protettivo e stanco, che si era accoccolato al suo
fianco, per lenire in una comunione di tenera complicità l’immensa solitudine che faceva soffrire
entrambi. Tra di loro c’era sempre stata un’intesa perfetta, ma quel giorno, c’era stato molto ma
molto di più. Si passò lentamente una mano sul viso, poi, con cautela ed un briciolo di timore, la
fece scivolare sul petto per ascoltare il battito accelerato del suo stesso cuore… Batteva a più non
posso, dichiarando apertamente di non aver mai desiderato niente di più di quello che era accaduto.
Entrambi avevano fatto saltare i muri che li avevano sempre visti vicini ma allo stesso tempo
infinitamente distanti. Ma perché? Come era potuto succedere, che due come loro avessero deciso
di lasciarsi andare ai sentimentalismi? Edward si mosse lievemente nel sonno e lei indietreggiò
angosciata, come se da un momento all’altro potesse mettersi a spararle addosso. Gattonò via e si
precipitò nella sua stanza in punta di piedi, chiudendosi la porta delicatamente dietro le spalle, per
poi posarvisi con la schiena e cercare di riprendere il controllo. “Che diavolo ti succede, Anita?”
sussurrò a sé stessa, mentre le gambe si piegavano per farla tornare a sedersi sul pavimento, con le
ginocchia incollate al petto. Fissò il suo fedele pinguino di peluches per cercare conforto, ma si
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sentì morire, non appena l’assurda idea di rimpiazzarlo proprio con Edward le si affacciò alla mente
come la più sensata delle ipotesi. Nascose il viso nelle mani spaurita e lo calò sulle gambe per
diventare una pallina inespugnabile. Un riccio terrorizzato che chiedeva disperatamente di ritornare
indietro per rimettersi al sicuro fra le braccia della Morte, ma che allo stesso tempo cercava di
convincersi che non fosse successo niente di importante. “E’ che la morte, sta volta, è stata molto
più vicina del solito…” cercò di spiegarsi. “Eravate soltanto stanchi…” annuì, ma non era affatto
d’accordo con quello che stava dicendo a sé stessa. “Si, Anita, vi siete limitati a concedervi qualche
ora di sonno, niente di più…” ma purtroppo ancora una volta non servì a mettere a tacere quello che
sentiva. Una blanda giustificazione per qualcosa che avrebbe potuto spiegarsi soltanto tornando
indietro, per chiedere a lui ma soprattutto a sé stessa cosa stesse succedendo. La verità era, che da
quando aveva riaperto gli occhi sfuggendo inspiegabilmente a morte certa, aveva visto Edward sotto
tutt’altra ottica. Si era preso cura di lei molto di più di quanto avesse mai fatto, l’aveva scortata
fuori tenendola al sicuro fra le sue braccia e non si era scostato dal suo fianco nemmeno quando
Richard e Jean-Claude avevano fatto ingresso sulla scena, per far notare il loro coinvolgimento
nella storia. Edward… La Morte che l’aveva accompagnata al ballo, era stato la prima persona sulla
quale avesse posato gli occhi quando il buio si era dissipato per ricondurla alla vita. Appoggiò la
testa al legno della porta ed inspirò forte fissando il riverbero verde dell’orario della sveglia. Tra
meno di un’ora avrebbe dovuto tirare fuori dalla tomba il suo primo cliente e non aveva nessuna
voglia di muoversi da lì. Voleva guardarlo dormire, farsi cullare dal suo soffice respiro lento e
sereno, attendere in silenzio che i suoi meravigliosi occhi azzurri tornassero ad aprirsi per offuscare
la bellezza del cielo con il loro magico turchese. Voleva guardarlo mentre il suo corpo continuava
ad essere quello di un uomo e credere che in lui, la spietata freddezza che gli aveva fatto
guadagnare il soprannominare di Morte, fosse completamente svanita. Dio, erano così simili da
sembrare l’uno l’immagine riflessa dell’altra. Solitari, cinici, spietati, gonfi del bisogno di imporsi
sui mostri per sentirsi vivi ed invincibili. Si fece coraggio e continuando a fissare la sveglia si rimise
in piedi. Voleva soltanto restare, ma sarebbe andata al lavoro. Del resto lei era vittima degli
scombussolamenti dovuti ad una commozione cerebrale che non aveva curato, lui era felice di
essere vivo nonostante il peggio del regno oscuro si fosse fatto la guerra fino all’eliminazione fisica,
e fra loro non era successo proprio niente di strano. NON era cambiato niente… “Non è successo
niente…” sussurrò alla sua immagine riflessa, che si aggrappava a sé stessa cercando il coraggio
necessario per credersi. “Non è cambiato niente, Anita. Lui è Edward e tu sei Anita Blake… Niente
di più, mettitelo in testa.”
Indossò un bel paio di jeans chiari, una t-shirt nera elasticizzata, si pettinò i capelli legandoli in una
morbida coda che le scivolava serpeggiando dietro la schiena e s’infilò un paio di stivaletti con il
tacco alto, pur sapendo perfettamente che se ne sarebbe pentita amaramente in meno di un’ora. Si
guardò e sorrise. Che idiota, stava andando a farsi una doccia nel sangue di gallina, vestita come
un’emulatrice di Alexandra O’Brian. Beh, di sicuro avrebbe avuto il piacere d’incontrarle e questa
volta non avrebbe sfigurato troppo. In punta di piedi, ripercorse lo spazio che la divideva dalla
porta, espirò un’enorme boccata d’aria e facendosi coraggio l’aprì. Edward dormiva ancora, o
almeno era quello che dava a vedere. La sua mano continuava a sfiorare il pavimento in quello che
era stato l’abbraccio nel quale si era sentita in pace con il mondo intero e le sue labbra continuavano
a sorridere. Lo fissò per quasi un minuto senza nemmeno respirare, poi si decise ad andare a
recuperare l’armamentario. Sistemò la cinghia della Browning proprio sotto l’ascella e assicurò i
due pugnali d’argento agli avambracci. Non avrebbe mai creduto di poter essere così silenziosa con
due tacchi del genere, ma il detto dice che la necessità fa virtù, e visto in quel momento, quel detto
diceva proprio il vero. Scivolò fino alla porta ed afferrò un po’ incerta il lungo spolverino di pelle.
Quelle due l’avrebbero presa per una perfetta idiota, ma a quel punto non poteva tornare indietro.
Espirò forte e decise di non voltarsi più, perché quella splendida immagine di un Edward che aveva
scoperto di adorare, le avrebbe tolto tutta la determinazione che aveva cercato d’infondersi. Doveva
andare.
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“Vai al lavoro vestita così?” sussurrò la voce di lui, mentre la sua mano si posava sulla maniglia per
uscire da casa. Rimase completamente senza respiro ma annuì senza voltarsi. Lui si passò una mano
sugli occhi con noncuranza, del resto stava davvero bene vestita così… “Vuoi che ti accompagni?”
Scosse la testa e racimolando il coraggio necessario per farlo, si voltò a guardarlo con un sorriso.
“Non è una bella cosa resuscitare i morti.”
Lui si stirò e roteò il collo facendone scricchiolare le giunture intorpidite. “Non credo che la cosa mi
farebbe troppo effetto, Anita…” La fissò sarcastico ed in quello sguardo dove l’intesa raggiunse il
suo culmine massimo entrambi persero definitivamente sé stessi. “Chiedimi di venire con te…” Le
sussurrò facendo scivolare lentamente le gambe giù dal divano.
Anita deglutì agitata. “Non porto pubblico ai miei spettacoli.”
“La notte sta diventando troppo pericolosa per girare da soli…” Edward si alzò e le andò incontro
con il suo solito sguardo tenace e privo di fondo, mentre i suoi splendidi occhi si accendevano di
una muta richiesta alla quale dire di no sarebbe stato impossibile per chiunque. “So che sei forte, ma
sarei più tranquillo se…”
Sarebbe stato più tranquillo se… cosa?! Dire di no, sarebbe stato impossibile per chiunque ma non
per lei. “No Edward, ho tre zombie da resuscitare e la notte è l’ultima cosa che può mettermi
paura.” Si come no… Lui annuì con calma, e lei si sentì franare il mondo da sotto i piedi. “Preparati
un caffé, sei uno straccio.” Detto questo gli lanciò un falsissimo sorriso di scherno e fuggì, perché
se le avesse chiesto ancora di andare con lei, non sarebbe stata più in grado di negarglielo. Si gettò
di corsa per le scale e raggiunse la sua auto, evitando di guardare verso la finestra di casa sua. “Non
è cambiato niente, Anita.” Si ripeté ancora una volta, mentre scivolava frettolosamente
nell’abitacolo, fingendo che lui non fosse dietro la tenda a guardarla andare via. “Non è cambiato
proprio niente.” E mentre le ruote stridevano sull’asfalto gettandola verso la via del cimitero di St.
Louis, il suo cuore le dichiarò a chiari polmoni, che a dispetto di quello che si stava ostinatamente
ripetendo dal suo risveglio, oramai, era cambiato proprio tutto.
“Sei in ritardo…” la salutò la sorella, senza nemmeno accennare a voltarsi per guardarla. Tra loro
era sempre stato così, si sentivano e basta, potere di negromante o semplice fraterno sesto senso…
Perché spiegarselo? Del resto era comodo per un sacco di cose. “Come hai fatto ad entrare senza
farle dare di matto?”
Alex avanzò verso di lei e le posò la mano sulla spalla in un mesto gesto di rammarico. Alla fine,
anche se ci aveva provato, non era proprio riuscita ad essere puntuale. “Mi sono limitata a
qualificarmi con nome cognome e carica, e anche se non è stata proprio felice di vedermi, mi ha
lasciata passare.”
Victoria annuì distaccata, le porse il grosso bicchiere ormai smezzato in cui le era stata servita la
sua Coca-Cola Light e si adagiò languidamente sul palmo della mano, per osservare da
un’angolazione diversa i muscoli spettacolari e perfettamente oleati del nuovo stripper. Guizzavano
in un’ipnotica danza che pulsava a ritmo perfetto con la musica… Una cosa da far salire la
pressione! Era il terzo della serata, ma era ancora meglio degli altri. Bah, forse era stato fatto
apposta, perché sembravano essere stati messi in scaletta per ordine di bellezza. Certo era, che se
avessero mantenuto quel ritmo, al quinto avrebbero dovuto chiamarle un’ambulanza.
Alexandra le prese il bicchiere dalle mani e portandolo alle labbra si voltò nella sua stessa
direzione. Victoria sospirò sognante, praticamente in estasi e lei, la dura condottiera della legge, la
stoica Sterminatrice croce e delizia di New York, crollò pesantemente sulla sedia al suo fianco con
gli occhi voracemente inchiodati all’addome dello spogliarellista. Addentò inconsciamente il
bicchiere, e finse di farlo con quei quadratini invitanti che fremevano nel ballo scatenato che il
giovane stava regalando alle sue febbricitanti fans. Ok, non era molto da signorine per bene il
mettersi ad ululare come pazze dietro ad un uomo, ma in quel momento lo avrebbe fatto molto
volentieri anche lei. Quei dannati muscoli erano talmente definiti e perfetti, da sembrare quelli di un
manuale di anatomia dell’università. Lo studiò attentamente e quando lui si girò di spalle per
regalare un sorriso ad una donna che gridava a squarciagola il suo nome, l’impatto con le sue
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magnifiche natiche sode ed abbronzate, per un pelo non la fece cadere dalla sedia. Si aggrappò al
bicchiere al punto da farlo scricchiolare fra le dita, e sgranò gli occhi tanto da farseli quasi schizzare
fuori dalle orbite. I lunghi capelli biondi lucidi al punto da sembrare seta, gli lambivano i reni e
sulla schiena, uno spettacolo di fasce muscolari da delirio psichiatrico, gli si muovevano in soffici
guizzi ondulatori che si fondevano in un connubio perfetto con la musica. Oh, si, alla faccia del suo
solito professionale distacco, Nathaniel era una cosa da sturbo! Tanto per aggravare la situazione, lo
stripper spiccò un balzo felino e cadde in ginocchio a cosce spalancate, proprio di fronte ai loro
occhi. Alex abbassò febbrilmente lo sguardo nei punti hot, ma prima di poter essere vista dalla
sorellina, lo risollevò al suo viso, fingendo accuratamente, se pur con tanta taaanta fatica, di non
aver visto quel voluminoso rigonfiamento che tendeva il perizoma di pelle nera lucida. In risposta al
gesto dell’uomo, Victoria sospirò talmente forte da poter gonfiare un pallone con una sola boccata
ed Alex sventolò in maniera quasi isterica la mano sopra la testa, per attirare su di sé l’attenzione
del cameriere. Se doveva finire lì la nottata e voleva tenersi addosso almeno un briciolo di dignità,
aveva necessariamente bisogno di qualcosa di molto più forte di una Coca-Cola Light… Due minuti
ancora, un’altra occhiata a quei selvaggi occhi chiari che parevano riempire il mondo intero e di
sicuro si sarebbe messa ad urlare anche lei. Come diavolo aveva fatto a mandarla da sola in un
posto come quello?! La guardò attentamente ed in risposta trovò Viky intenta a gettare occhiatine
invitanti allo stripper… Ok, era andata… Merda, aveva rovinato sua sorella!
Nathaniel gattonò fino al limite del palco, poi tornò ad erigersi, facendosi lascivamente scorrere le
mani sul torso abbronzato. Si voltò lentamente verso destra, il quadricipite femorale vibrò
leggermente, ma non appena la musica tornò a crescere d’intensità, scattò in maniera decisa per
rimetterlo in piedi apparentemente senza il minimo sforzo. Rapido, morbido ed elastico come un
gatto. Dio, sarebbe morta… “E’ un licantropo…” sussurrò e la sorella annuì, con gli occhi
completamente colmi della selvaggia figura del leopardo mannaro. Se pur si fosse detta abbastanza
immune dalle grazie di un maschio, quella sera il suo sistema nervoso stava subendo un vero e
proprio assalto ad armi impari. Lei pareva essersi auto inchiodata ad una sedia, completamente
svuotata di qualsiasi sano principio, e lui continuava a muoversi con la fluidità di un giaguaro nella
savana, aspettando soltanto che qualcuno si facesse avanti per appagare su quel dannato
palcoscenico il proprio desiderio di averlo. “Mmm,” mugolò senza accorgersene e prima di poter
capire quale assurdità stesse per dire, le sue labbra mossero un lievissimo “Mica male come idea…”
Si portò una mano al petto ed arrossì fino all’attaccatura dei capelli. Si voltò con estrema cautela
verso la sorella e tornò a respirare soltanto quando fu sicura di non essere stata scoperta. Era troppo
impegnata a fargli una radiografia per stare dietro ai suoi vaneggiamenti… Diciamo che vaneggiava
già abbastanza di suo.
In lui si muoveva un universo infinito di sogni erotici che chiedevano di essere appagati, una sottile
linea di ambiguità che gli animava gli occhi e li rendeva uno spettacolo del quale cibarsi per sentirsi
in estasi perfetta. Si voltò cercando disperatamente di rimettersi nella testa il dannato caso che
l’aveva condotta in quel maledetto locale, ma un po’ alla volta, senza nemmeno rendersene conto
davvero, tornò a voltarsi per potersi imprimere bene nella memoria la scultorea magnificenza di
quel corpo da sogno, completamente lucido di olio canforato. Strabuzzò gli occhi, non appena l’idea
di fargli scorrere le mani sulla pelle, gli si affacciò alla mentre strappandole anche l’ultimo briciolo
di lucidità. Non aveva mai ceduto ad un uomo con così tanta facilità, ma cazzo, quella dannata
cittadina sembrava essere stata creata per racchiudere tutto il meglio del genere maschile. Dal
Master a Richard, per poi finire su Marcus, Gabriel ed infine, Rafael. Scosse la testa e si aggrappò
al bicchiere che le porse il cameriere, per rimanere salda a qualcosa di reale. Se non fossero venute
a capo della storia al più presto, lei, la Sterminatrice di ghiaccio, non avrebbe più risposto di sé.
Forse era troppo tempo che non aveva un uomo, ma forse era proprio perché, dopo aver perso
Marcus, aveva deciso di chiudere radicalmente con le relazioni. Ed avrebbe continuato così per
sempre. Senza di lui non c’era niente… Niente. “Victoria…” la chiamò posandole la mano sul
braccio. “Parliamo di…” prima che potesse finire, la sorella la scacciò per sporgersi verso il palco.
Alex girò velocemente lo sguardo per capire cosa fosse successo e scoprì che quel dannatissimo
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maschio mannaro adesso aveva puntato proprio il loro tavolo. Fu ancora peggio di prima! Lo
stripper le fissò con vorace intensità, sparando verso di loro un sorriso a trentadue denti che avrebbe
fatto sciogliere persino una frigida. La Sterminatrice si ritrovò a trattenere il respiro e scoprì che, in
quel sorriso talmente bello ed accattivante, devastante sarebbe stato senza ombra di dubbio il
termine più appropriato, quei minuscoli canini appuntiti, gli stessi che avevano reso sottilmente
perverso anche il sorriso di Gabriel, erano la cosa più deliziosa che avesse mai visto. Con gli occhi
stracolmi della sua bellezza, adagiò i gomiti sul tavolo ed il viso su entrambi i palmi delle mani. Ok,
ci aveva rinunciato… Se non puoi vincere, allora alleati con loro. Beh, del resto amore e sesso non
vanno di pari passo, no?!?
Il bel giovane scattò verso di loro, tanto veloce che per la sorpresa quasi non caddero dalla sedia, ed
afferrò con forza la mano di Victoria. I suoi occhi si accesero di un giallo talmente intenso da
riuscire ad illuminargli il viso e Viky, la piccola inesperta Viky, interagì al volo schizzando in piedi
come se le fosse scoppiato un petardo sotto il sedere. Non aveva aspettato altro! “Victoria!”
gridolinò scandalizzata, ma prima che la più giovane potesse sfuggirle dalle mani per andarsi a
spalmare sulle grazie dello spogliarellista, qualcosa ripristinò la caduta di stile. Dio, non è che le
importasse dello stile, ma sua sorella era ancora troppo piccola per mettersi a fare certe cose!
Il giovane indietreggiò con una rapidità inaudita, ancora prima che l’altra potesse darsi il reale
slancio per seguirlo sul palco. Levò lo sguardo al pubblico dietro le loro schiene, sgranò gli occhi e
come se avesse visto l’immagine della morte in persona, liberò la presa e fuggì come un razzo nel
back stage. “Eh?!” squittì Victoria fissando la sua bella schiena che filava via come il vento. “Che
diavolo gli ho fatto?!”
Alexandra si voltò dietro le sue spalle, ma non vide niente di più che uno stuolo di uomini e donne
in visibilio per lo spettacolo. Arricciò il naso perplessa e con la stessa espressione tornò a fissare la
sorella che pareva essere reduce da una doccia gelata. “Non è che troppo presa dall’emozione, hai
lasciato che il tuo potere entrasse in contatto con il suo?”
Victoria si voltò indignata ed incrociando le braccia sul petto, tornò a sedersi rispondendole in
maniera aspra. “Guarda che non sono mica una cretina! Non era un Alpha ed era un licantropo da
pochissimo tempo, se lo avessi fatto, sarebbe scappato guaendo come un cagnolino bastonato!”
Alex alzò i palmi delle mani in un cenno di scuse e l’altra fece scivolare il broncio, talmente in
basso da farsi sfiorare il petto con il mento. Mollata da un gatto ancora prima di essere presa… Dio!
Adesso avrebbe fatto volentieri una strage. “Beh, pregasse Dio di non combinarne mai nessuna,
perché anche a costo di incatenare Anita Blake, a lui ci penso io…” brontolò furiosa.
Alexandra rise, ma non appena la stretta ferrea di una mano le si chiuse sulla spalla, smise
all’istante di farlo e rimase impietrita. Non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscerlo. Il suo profumo
delicato le solleticò le narici e la pressione delle sue dita affusolate che facevano scricchiolare la
pelle del cappotto, la misero di fronte alla rivelazione ancora prima di potersi deliziare del suo
splendido accento francese. Quando si sporse per parlare con Victoria, avvertì il dolce peso del suo
corpo calare sulla sua spalla. Non si mosse, imprimendosi nella memoria il fruscio dei suoi capelli
neri che a poco scivolavano in avanti per seguire il lento inclinarsi del suo viso e la loro dolce
fragranza che si faceva strada nell’aria. Un profumo così buono che le strappò un lungo brivido. Ci
sarebbe stato da farglielo notare, ma preferì tacere, perché quando il suo profilo perfetto si delineò
proprio accanto al suo viso, ci sarebbe stato da fargli notare molto ma molto di più. Continuò a
fissare il palco vuoto, ma il mondo svanì nell’ombra del suo serico pallore. Incantevole?! Non
c’erano parole per definire quel dannato vampiro! Era la perfetta rappresentazione del detto troppo
bello per essere vero! Si voltò a guardarlo ed in lui non trovò nessuna vibrazione di potere… Era
assurdo anche il solo pensarlo, ma purtroppo, o per fortuna visto che sinceramente avrebbe voluto
non smettere mai più di guardarlo, era tutta roba sua. Se solo avesse avuto il coraggio di farlo, si
sarebbe detta che quella era l’immagine che aveva aspettato di poter guardare per tutta la vita.
“Chérie,” soffiò nell’aria solleticando il mondo con il dolce ronzio della sua erre soffusa. “sei un
po’ piccola per lasciarti andare a certe cose, non credi?!”
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Victoria lo fissò irritata e sollevò il naso all’insù per far notare quanto fosse stata pessima
quell’uscita. “Ho ventiquattro anni, Jean-Claude, non avrò i quattrocento anni d’esperienza che hai
tu, ma non mi reputo nemmeno una ragazzina sprovveduta.”
Lui si strinse graziosamente nelle spalle e con estrema disinvoltura, fece scivolare una sedia proprio
fra di loro. Vi si accomodò con languida lentezza, un gesto composto ed elegante che offuscò di
netto qualsiasi altro inutile tentativo di fingersi immune al suo fascino. Era praticamente perfetto e
nel suo attillatissimo completo di seta nera, dalla cui profonda e frastagliata scollatura della camicia
il candido petto statuario ammiccava al mondo per chiamare a sé carezze, era la cosa più disarmante
su cui Alex avesse mai avuto la possibilità di posare gli occhi. I suoi lunghi boccoli corvini,
ondeggiarono nelle luci fin quando non fu completamente immobile. Le splendide gambe
accavallate e le braccia morbidamente incrociate sul petto. Non un gesto di chiusura, bensì un modo
come un altro per fare conversazione con quelle che riteneva essere delle ospiti di gran riguardo. Lo
guardò negli occhi, un abisso incontaminato da cui certamente l’oceano attingeva il suo colore
notturno e mentre lui reclinava il volto di lato per sorriderle ancora una volta amichevolmente, lei
scoprì che, su quelle labbra che reclamavano baci con un’intensità da far accapponare la pelle,
desiderava ardentemente di poter morire. Eh si, St. Louis sarebbe stata la sua rovina… “Bonne soir
monsieur, questo posto est très joli…” gli sorrise cercando di mantenersi su un tono più che
formale.
Lui annuì compiaciuto, un gesto perfettamente umano, in cui la seta ed i suoi capelli sussurrarono in
perfetta armonia. “Sono contento che le piaccia mademoiselle, è il mio giocattolo…” ammiccò
divertito, verso la platea che bisbigliava in attesa del numero successivo. “Diciamo che un vampiro,
anche se è fuori dalla corsa all’oro che ossessiona la razza umana, può cercare di rendere migliore la
sua vita…” Tornò ad inclinare la testa di lato. “Non pensa che sia giusto?”
Dovette arrangiarsi con un colpo di tosse ed un frenetico si con la testa, perché la voce le mancò di
netto. “La prego monsieur, la smetta di darmi del lei, non ci sono abituata…” una perfetta idiota…
Victoria ridacchiò, un piccolo frullo d’ali di colibrì, che attirò su di lei l’attenzione del vampiro.
Alexandra rimase pietrificata ancora prima che le sue labbra potessero dare voce alla frecciatina e
due secondi dopo, desiderò di averla azzittita sparandole in faccia. “Capiscila, di solito ha a che fare
con gente che quando non le spara, alla meglio le salta addosso per ammazzarla…”
“Victoria!” gridò sferrandole una sberla sulla spalla. La sorella tornò a ridere e con lei, la soffice
carezza della delicata risata del Master fece altrettanto. Alex arrossì come una scolaretta e distolse
lo sguardo da tutti e due, per fingersi interessata al nuovo arrivo. Un meraviglioso vampiro dai
lunghi capelli biondi, aveva fatto ingresso sul palco avvolto dal collo in giù in una rilucente cappa
di raso nero, attirando dal pubblico quella che si sarebbe potuta definire un’accorata standing
ovation. “Ecco Robert,” disse Jean-Claude adagiandosi a braccia incrociate sul tavolinetto. “lui è il
direttore del locale, ma diciamo che ama dare spettacolo di sé…” sorrise. “Alle volte è molto più
importante sentirsi amati che ricevere una promozione.” Alexandra annuì… In quella frase c’era
molta più verità che in una legge scientifica. Non aveva detto niente e l’aveva messa K.O. Non lo
conosceva affatto, avevano scambiato si e no tre parole, ma le ricordava così tanto Marcus, da farla
sentire male… Con un saltello frettoloso, allontanò la propria sedia da lui, senza troppo curarsi di
quello che avrebbe potuto pensare al riguardo, né tanto meno dell’occhiataccia assassina che le
riservò la sorella. Non aveva più preconcetti sui vampiri, ma non voleva nemmeno scoppiare a
piangere come una cretina, perché quel maschio immortale diceva le stesse cose che aveva detto
l’unico essere che avesse mai amato nei suoi ventotto anni di vita. Lui si voltò verso di lei un po’
accigliato, ma due secondi dopo sorrideva di nuovo. “Hai trovato quello che cercavi al Lunatic
Caffé, Alex?”
Lei incrociò le braccia sul petto e scosse la testa indirizzando a Victoria un’occhiata di rimprovero.
Segretezza Viky, le aveva detto, ma alle volte le sembrava proprio di parlare al muro. “Poca gente e
nessuno d’importante…” lui annuì languidamente e tornò a guardare il numero. Robert, al centro
del palco, si stava slacciando i bottoni della camicia, con una lentezza a dir poco estenuante. Dio,
era un martirio! Anche lui, era talmente bello da togliere il fiato, peccato però, che su quello
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splendore ci fosse tanta di quella malia da saturare l’aria… “Patetico…” borbottò, ma si pentì non
appena gli occhi blu del Master tornarono a posarsi pesantemente su di lei. “No, intendevo…”
Lui riadagiò la schiena sulla sedia ed inspirò come se stesse cercando di mantenere il controllo sulla
sua pazienza. “No, intendevi proprio quello che hai detto…” una risposta che vibrò sulla sua pelle
come una sferzata di aria gelida. Non parve neppure muoversi, ma un secondo dopo era a
pochissimi centimetri dal suo viso. “E’ un vampiro… Un vampiro che fa vedere quello che è senza
farsi troppi problemi… Che cosa ci trovi di così sbagliato?”
Victoria rigirò gli occhi all’indietro esasperata. Jean-Claude, ovvero la creatura più paziente e
comprensiva che avesse incontrato a St. Louis, stava dando seri cenni di non poterla sopportare.
Non era da lei comportarsi così, non lo era scansarsi da un vampiro come se fosse un appestato,
tanto quanto non lo era gettare al vento giudizi inutili. La morte di Marcus l’aveva davvero
cambiata, troppo, al punto da non farla sembrare nemmeno più la stessa persona con la quale era
cresciuta. In quel momento le ricordava troppo Anita Blake… Osservò il suo viso gelido ed i suoi
immensi occhi verdi che fissavano intensamente quelli del vampiro. Non c’era repulsione, ma
nemmeno la solita giovialità con la quale si era sempre imposta di dare a tutti almeno una
possibilità di farsi conoscere. “Alex…” sussurrò, ma per entrambi, per lei ed il vampiro, fu come se
non avesse mai parlato. Forse per loro non esisteva nemmeno più… Li guardò attentamente… Si
stavano studiando, una sfida invisibile nella quale la paura non esisteva. La detestava quando faceva
così…
“Sai cosa significa doversi ritagliare uno spazio nella società, Alexandra?” lei annuì
immediatamente, un colpo secco e deciso, che le animò la lunga chioma corvina di serpeggianti
sfumature blu cobalto. Lui rimase impassibile, ma il suo corpo fremette come se fosse stato molto
colpito dalla risposta. “No, invece non puoi saperlo…”
Lei sorrise, gelida e spavalda nel suo ostentato atteggiamento da donna inespugnabile e gli posò la
mano sulla sua. In quel tocco senza troppa importanza, entrambi, senza riuscire a capirlo, fecero
defluire il primo soffio di cambiamento sulle loro vite. Jean-Claude non ritrasse la mano quando le
sue dita gli chiusero delicatamente il dorso. “Lo so invece… Lo so eccome, perché ho conosciuto
un sacco di vampiri, che hanno cercato e ancora cercano di far capire al sistema che nella diversità
non c’è necessariamente il male…”
Lui socchiuse gli occhi come a voler cercare la menzogna fra le note scaturite dalla sua voce. “E
allora perché hai…”
Lei lo batté sul tempo. “Perché ho detto che è patetico?” il vampiro annuì quasi senza muoversi.
“Perché lo è, Jean-Claude…” lui socchiuse gli occhi tanto da renderli due fessure rifulgenti nella
delicata penombra e la studiò per poterle leggere dentro. Era forte, determinata, inarrestabile, ma a
lui purtroppo non poteva mentire… Era sul punto di andare in pezzi. Una splendida statua di marmo
pregiato, che nella sua apparente inattaccabilità, cominciava a cedere sotto l’azione implacabile del
tempo. Si nascondeva dietro a quella falsa facciata da dura, ma dentro aveva una stanchezza ed un
dolore talmente prorompenti da fargli ribollire il sangue nelle vene. Quando lambì con la mente il
suo immenso potere di negromante, chiuse un po’ le dita sul tavolo per tenersi saldo alla sua gelida
imperscrutabilità… Faceva male, da lei si sprigionò una muta richiesta d’aiuto, che non riuscì
proprio ad ignorare. Alexandra O’Brian stava cercando di tenersi in piedi con tutte le sue forze, ma
la rottura era vicina ed il crollo imminente della sua ostinazione fin troppo palese. Sentì il bisogno
di accarezzarla per darle un minimo di conforto, ma la sua voce lo ridestò dall’immersione nel suo
essere per ricondurlo bruscamente alla realtà. “E’ patetico,” spiegò “che per attirarvi consensi
dobbiate nascondervi dietro alle vostre illusioni, quando vi basterebbe semplicemente dimostrare
quello che valete.” Lui rigirò gli occhi all’indietro in una smorfia molto umana, ma prima che
potesse rimettersi dritto sullo schienale, lei lo fermò. “Non è ridicolo, c’è chi l’ha fatto e se ti
azzardi solo a pensare che è un idiota, ti lascio secco su questa sedia!”
Victoria squittì spaventata, ma la risata di Jean-Claude soffiò nell’aria come un alito di vento del
sud… Caldo, avvolgente come un cappotto di lana, delicato come un soffio sul viso, dolce come un
bacio dato sulla pelle vellutata di un bambino appena nato… Dio! Cominciava seriamente a
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detestarlo! “Ora ho capito da chi hai ripreso, chérie!” esclamò, voltandosi a guardare Victoria che si
teneva le mani sul petto come se da un momento all’altro il cuore dovesse saltarle fuori per mettersi
zompettare sul tavolo. “Tu es impétueuxe, comme ta soeur!” Alex rigirò gli occhi all’indietro
irritata dall’atteggiamento del vampiro, mentre Victoria cercava da lei una traduzione di quello che
lui le aveva appena detto. Jean-Claude tornò a dedicare tutta la sua attenzione alla maggiore e, come
se fosse la cosa più normale del mondo, le sistemò delicatamente i capelli dietro l’orecchio. “Sei
davvero particolare…”
Lei lo fissò imperturbabile. “Il fatto di non vederti nelle vesti del brutto mostro cattivo delle favole
mi rende particolare?” Lui sollevò il sopracciglio destro in un’espressione deliziosamente stralunata
ed Alex lasciò defluire un lungo sospiro esasperato. “Jean-Claude, faccio la Sterminatrice è vero,
ma questo non vuol dire che io non possa essere un pochino diversa dalla tua adorata Anita Blake.”
Il volto del vampiro parve irrigidirsi di colpo. “Anita è testarda…”
Lei sorrise. “Beh, quella invece è proprio una delle prerogative che abbiamo in comune.” Lui
rispose al sorriso con sincera complicità. Guardarlo sorridere riempiva il cuore, ma non era il
momento per pensarci… purtroppo. “Intendo dire, che Anita ha paura, paura di credere che il
mondo non sia stato fatto soltanto per gli uomini.” Il volto di lui divenne di nuovo
un’imperscrutabile maschera di gelido distacco. Come dargli torto? La sua passione per la
risvegliante non era affare suo, ma allora perché stava cercando di dargli una motivazione per la
repulsione che gli dimostrava quella donna? Dopotutto consolarlo del fatto di essere stato respinto
non era annoverato fra la lista dei suoi molteplici compiti! Poi, però, l’immagine di un perduto
Nicholas in lacrime per essere stato lasciato dalla ragazza di cui si era innamorato soltanto perché
non era capace di essere umano davanti ai suoi, le empì il cuore e la indusse a chiudere ancora una
volta la mano sulla sua. Allo stesso tempo, le piovve addosso anche una rabbia sorda che le vorticò
nel sangue al ritmo frenetico del suo stesso cuore. “Non c’è cosa più stupida che attirarvi i consensi
del mondo nascondendovi dietro le illusioni, Jean-Claude, e quando lo capirai, sarai un passo avanti
per sentirti in pace con te stesso.”
Si alzò con un gesto rapido, ma rimase fermo accanto a lei, per fissarla al lungo. Gli occhi blu che le
scorrevano addosso pesanti come mani di velluto blu, talmente profondi e sconfinati da poter
sperare di annegarvi dentro. Raccolse il coraggio per non alzarsi ed abbracciarlo, ma in quel
momento il suo corpo la supplicò a gran voce di lasciarsi andare. Lui non chiedeva altro che gli
venisse data la possibilità di conquistarsi un po’ di complicità e fiducia, tanto quanto lei chiedeva
disperatamente a Dio di trovare qualcuno che fosse in grado di capirla e farla sentire di nuovo parte
di qualcosa di importante. Quel qualcuno quella notte fu lì per entrambi, peccato però, che nessuno
dei due ebbe la forza di “abbassarsi” a fare il primo passo. Il vampiro si accomiatò con un fugace
inchino e con la stessa leggera eleganza con cui era venuto se ne andò.
Victoria sollevò gli occhi al soffitto ringraziando il cielo per averle evitato di doversi mettere a fare
fuoco su Jean-Claude. “Io ti avrei ammazzata… certe volte sei davvero impossibile.”
Un ultimo sguardo al buio in cui era svanito ed Alex si strinse nelle spalle con noncuranza. “Mi
sono limitata a dire quello che penso.”
“Già, ma non è detto che dire quello che pensi sia sempre una buona idea…”
La maggiore si massaggiò le tempie e si adagiò sullo schienale della sedia per dedicarsi allo
spettacolo. Patetico per carità, ma era pur sempre un gran bel vedere. Almeno lo sarebbe stato, se
l’incantevole immagine di Jean-Claude, si fosse decisa a sfumarle dalla testa. Di fronte a lui, gli
altri svanivano come fragili ombre. “Che hai scoperto?” esordì quando fu perfettamente
consapevole che Robert, non sarebbe mai stato in grado di eguagliare un Jean-Claude avvolto dalla
seta, nemmeno se si fosse tolto anche quel succinto perizoma che gli era rimasto addosso.
Victoria scolò gli ultimi rimasugli della coca-cola e distese le gambe sotto il tavolino. “Nell’ultimo
anno, grazie ad Anita sono rimasti solo tre Master… Jean-Claude, Robert,” lo indicò con una
languida occhiata adorante. “e una certa Gretchen, che però ringraziando Dio, pare che abbia
lasciato la città…”
“Perché ringraziando Dio?”
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La ragazza assunse un’aria distaccata. “A detta di tre quarti dei vampiri che ci sono nel locale, è una
psicolabile…” il suo viso tornò a voltarsi verso di lei, per poterla guardare negli occhi. “Tu?”
Alexandra bevve finalmente una lunga sorsata del suo cocktail alla fragola e sospirò stancamente.
“Per quanto mi riguarda niente di rilevante. Solo tre Capobranco, Raina ed un maschio Alpha che
rivaleggia con Marcus…”
“Richard…” annuì la sorella.
L’altra la squadrò con materno compiacimento. “Sapevi della faida?!”
Victoria sorrise. “Diciamo che studio attentamente tutti quelli che rientrano in qualche modo fra le
mie mire…”
“Ti piace Richard?!” squittì la sorella facendosi quasi cadere il bicchiere dalle mani. “Ma non si
vede con Anita?!”
Lei si strinse nelle spalle con la stessa noncuranza con cui lei aveva giustificato l’orribile
comportamento tenuto con Jean-Claude. “Non ho visto baci, carezze, né tanto meno anelli al
dito…”
“Tu cominci seriamente a preoccuparmi…” borbottò la più grande guardandola di traverso. “Anche
prima con… Nath…”
“Senti, mi sta bene che la paternale me la faccia un ultra quadricentenario che magari ancora non ha
capito che il mondo è andato avanti, ma che ora me la venga a fare pure tu, no!” le abbaiò contro
profondamente irritata, cosa che ad Alexandra ricordò molto una scena di New York in cui aveva
visto un minuscolo chiwawa farsi sotto ad un mastino. “Quattro anni di differenza non sono una
vita, capito?! Ed anche se lo fossero, per la legge sarei comunque maggiorenne e vaccinata, quindi
NON una bambina!”
Alex si sporse verso di lei e la sgomitò allegramente. “Tu sarai sempre la mia bambina, sia
chiaro…” l’altra sbuffò. “Dai, scema, godiamoci lo spettacolo finché possiamo.” L’altra l’adocchiò
di sbieco ma infine tornò a sorridere. Quella era sua sorella e non c’era proprio verso che riuscisse
ad avercela con lei per più di due minuti. “Questa dannata città non sembra anche a te un covo di
bonazzi?!”
“Anita Blake…” si qualificò lanciando un sorriso cordiale alla donna bionda che scese dalla
macchina non appena lei scese dalla sua. Una splendida donna che se non fosse stato per quello
sguardo gelido e distaccato, sarebbe stata la personificazione perfetta della fata turchina. I lunghi
capelli biondi raccolti in una crocchia elegante, brillarono nella fioca luce della luna come seta, e la
sua mantella turchese fluttuò nel riverbero dei fari ancora accesi della sua auto, come se fosse fatta
di aria. Che diavolo di tessuto era? La vera domanda? Come cazzo era che quella donna aveva una
mantella di quel dannato colore? Guardarla era come immergersi ancora negli occhi sconfinati di
Edward. Merda! Doveva toglierselo velocemente dalla testa, se no addio resurrezione! Sai Bert, ho
scoperto che forse ho sottovalutato uno dei miei peggiori nemici, no, sai, una vita a cercare di farsi
la pelle, ed ora forse ho scoperto che è l’uomo dei miei sogni… Si come no. Uno, da quando in qua
Edward era l’uomo dei suoi sogni?! Richard lo era, o forse no?! Va beh, no comment… Due,
dubitava che Bert si sarebbe degnato di felicitarsi con lei per la sua stupefacente scoperta… Si
aggrappò con tenacia al suo sorriso, ma questo scemò completamente, quando al fianco della fata
turchina apparve una bella bambina bionda di circa sei anni, avvolta in un soffice cappottino bianco
come la neve. Le fissò sgomenta. Madre e figlia, mano nella mano, che avanzavano verso di lei,
scortate da due omoni vestiti di nero e da un piccolo orsacchiotto di peluches, amorevolmente
stretto fra le braccia della piccola. Una bambina ad una rianimazione?! Ma chi cazzo era quella? La
strega cattiva vestita a festa?! “Mi dispiace signora, ma la piccola deve rimanere in macchina.”
Disse con tono deciso, ma l’altra non parve nemmeno darle ascolto. La sorpassò con ostentata
eleganza e raggiunse la cancellata del cimitero ancheggiando in perfetto equilibrio sulle sue
splendide decoltè nere dal tacco alto. Anita rigirò gli occhi all’indietro e le corse dietro. “Signora?!”
la chiamò bussandole sulla spalla. “NON rianimo nessuno davanti ai minori…” Perché qualcosa le
diceva che Bert era a conoscenza dell’assurdità?! Dio, quell’uomo era un mostro, di sicuro si era
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fatto pagare doppio. Non c’era una legge che tutelava i minori riguardo alle rianimazioni, ma in
certi casi la legge è bene farsela da soli.
La donna si voltò a guardarla senza un briciolo di cordialità nello sguardo e strinse più saldamente
la mano di sua figlia. “Mrs. Blake, mia figlia vuole rivedere suo nonno e noi non glielo
impediremo.” Sibilò a denti stretti, con la tipica espressione di chi è nata apposta per comandare.
“Lei si limiti a fare bene il suo lavoro, e non si preoccupi del resto… A mia figlia ci penso io.”
Anita incrociò le braccia sul petto profondamente irritata. Odiava le persone che dettavano legge,
senza avere il diritto di farlo e poi, a cosa diavolo avrebbe pensato lei? A toglierle gli incubi
notturni, che l’avrebbero accompagnata per tutta la vita? “Per quanto mi riguarda, possiamo tornare
tutti a casa.” Per risponderle usò la sua stessa determinazione, la stessa spiccata indignazione nello
sguardo e la stessa identica voglia di mandarla a farsi fottere seduta stante. Era assurdo che una
madre portasse una bambina a vedere un morto che scava la terra per far presente a sua figlia dove
ha nascosto il testamento, ma il mondo è bello perché è vario e non è detto che tutte le madri siano
delle vere madri. I due uomini le si accostarono in maniera minacciosa, ma lei non li degnò di uno
sguardo e non si mosse nemmeno di un passo. “So che lei non ha la più pallida idea di cosa voglia
dire resuscitare un trapassato…” aggiunse con voce un po’ meno scontrosa, cercando di indurla a
ragionare senza cadere troppo nei dettagli. La bambina non doveva sapere un cazzo. “Ma le
assicuro che NON è il caso che una bambina così piccola prenda parte ad una cosa del genere.” Per
quanto le riguardava, non era il caso che NESSUNO prendesse parte ad una cosa del genere, ma il
lavoro è lavoro.
Se uno sguardo fosse in grado di uccidere, lei in quel momento avrebbe dovuto mettersi a fare fuoco
per salvarsi la pelle. La donna strattonò a sé la bambina e socchiuse gli occhi, facendoli diventare
due gelide fessure di un azzurro talmente pallido da sembrare cristallo. La mascella le vibrò
vistosamente irritata ma alzò la mano verso i due uomini per ordinargli di stare immediatamente
fermi. A quanto pareva lo spolverino copriva a perfezione tutto l’armamentario. Uno a zero per lei.
“Signorina Blake…” sibilò come una tigre pronta a dilaniare la sua preda. “Mia figlia vuole vedere
suo nonno e le consiglio di fare il suo lavoro alla svelta.” Come se la madre le avesse ordinato di
farlo, la bambina stirò un sorriso ed annuì.
Chissà come mai però, a lei non sembrava affatto contenta di dover varcare la soglia di quel dannato
cimitero e le sue mani si stringevano addosso al soffice pelo del suo orsacchiotto, non come se lo
facesse tanto per farlo, ma bensì come se lo stesse supplicando di proteggerla. Era lei la malfidata, o
aveva ragione a credere che la donna avesse un sottile interesse a portarsi dietro quella povera
piccola? Anita si curvò verso la bambina ed allungò la mano, per scostarle un ciuffo di boccoli dal
viso. Gli occhi apparvero come due stelle che si mostrano al di là del grigiore delle nuvole. Era
terrorizzata, ma non era chiaro se lo fosse per il buio, o per la stretta ferrea che sua madre le
imprimeva sulle spalle. “Vuoi rimanere in macchina?” le sussurrò con dolcezza. La piccola scosse
la testa in un incerto moto di diniego. “Signora Wallace, la prego di darmi ascolto per il bene di sua
figlia, la lasci in macchina almeno fino a quando suo padre non sarà stato resuscitato…” I suoi
occhi s’infissero dentro quelli feroci della donna, ancora una volta senza dare accenni di timore.
Timore di che? Un solo passo falso e le avrebbe infilato nel fango quel suo bel faccino da snob.
“NON è un bello spettacolo.” Ripeté, ma al contrario delle sue aspettative, la donna girò sui tacchi e
s’inoltrò nel buio del cimitero senza più fermarsi, trascinandosi dietro la povera bambina che
trotterellava cercando di tenere il passo della madre. “Puttana!” sibilò, ma ancora prima che potesse
tentare un’altra volta di farla ragionare, la piccola gridò disperata, staccandosi dalla madre per
correre verso l’esterno. Per un istante la risvegliante fu certa che fosse stata una blanda ed infantile
paura del buio, ma quando l’ombra turchese fece altrettanto, svanendo sotto un groviglio di ombre
ruggenti, tutto le fu più chiaro. I due energumeni schizzarono verso l’interno cominciando a fare
fuoco sui latrati e lei si lanciò sulla piccola sfoderando febbrilmente la Browning. Cadde su di lei, la
circondò con il braccio disarmato e si rimise in piedi per correre di nuovo verso l’uscita. “Sta
calma!” gridò mentre la chiudeva nella stessa auto con cui era arrivata. “Ma chiuditi dentro!” La
bambina annuì, ma quando guardò dietro alle sue spalle per cercare la madre, emise un grido
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talmente acuto e terribile da farle accapponare la pelle. Doveva solo resuscitare un morto per una
cazzo di eredità! Si voltò ed ancora prima di sincerarsi cosa stesse accadendo dietro di lei, fece
fuoco. Uno scoppio sordo e macabramente attutito dal contatto diretto con il corpo del suo
aggressore, al quale seguì un altro grido agghiacciante. Il necrofago le si accasciò addosso con tutto
il suo peso e mentre il cielo svaniva dietro di lui e la liquida consistenza del suo sangue le
inzuppava la t-shirt, altre grida e ruggiti, le riempirono la mente riportandole alla memoria le parole
di qualcun altro. “La notte sta diventando troppo pericolosa per girare da soli…” Merda! Possibile
che avesse sempre ragione lui?! Edward, perché cazzo non se l’era portato dietro!
Possibile che non si potesse più resuscitare un morto in pace?! Si liberò del peso del mostro e rotolò
sulla spalla destra, per cercare nel buio le ombre degli altri due uomini. Del resto aveva soltanto
loro, le stavano discretamente sul cazzo, ma erano sempre meglio di niente. Il mondo franò di fronte
all’orribile realtà… Il buio si fece ancora più scuro ed angusto e l’ultimo grido umano si spense
dietro ad un ruggito. Anita sgranò gli occhi, fissa sull’orribile immagine del branco che si nutriva
dei poveri resti dei tre esseri umani che poco prima avevano voluto farle la guerra. Si voltò
istintivamente verso l’abitacolo e lì, pietrificata e pallida come una statua di cera, trovò la bambina
fissa sull’orrore che le portava via anche l’ultimo componente della sua famiglia. Si era preoccupata
di non farle vedere resuscitare un morto… E ora? Se si fossero salvate, quella povera bambina
avrebbe mai più dormito?
D’un tratto, Alexandra tese l’orecchio al locale, dove le voci concitate degli avventori e la musica
assordante che muoveva i gesti del nuovo stripper parvero svanire nel nulla. Un ronzio, lento ed
intermittente le empì la mente… Un soffocato impulso di potere che si faceva strada fra le strade di
St. Louis per arrivare anche a lei. Posò la mano sul braccio della sorella e la fissò intensamente in
uno sguardo d’intesa che non aveva bisogno di tante parole per essere chiaro. “Lo senti?” sussurrò
tesa ed evidentemente preoccupata.
Victoria socchiuse gli occhi, un gesto lento, assorto, terribilmente riflessivo, che la indusse ad una
strana totale immobilità. Di colpo, come se fosse stata ridestata dall’esplosione di uno sparo, sgranò
gli occhi ed annuì… “Anita…”
Furono in piedi ancora prima di poterlo decidere e si gettarono a capofitto verso l’uscita. Il cuore
talmente accelerato da togliere il fiato nei polmoni e le mani già saldamente incollate all’arsenale,
blandamente celato dai lunghi spolverini di pelle. “Dove?!” Gridò Victoria scivolando velocemente
fuori dalla prima porta, ma prima che potesse avere in cambio una risposta, questa si richiuse
bruscamente senza che l’altra ne fosse uscita.
Alex gridolinò sgomenta, non appena il suo corpo fu bruscamente intercettato da un’imponente
figura vestita di nero che, a dirla tutta, profumava proprio di buono. Evitò per la seconda volta il
commento e tentò ancora di farsi largo. Inutile, qualunque cosa facesse, il petto candido come la
neve di qualcuno che aveva riconosciuto senza nemmeno il bisogno di dover alzare gli occhi per
guardarlo in viso, glielo impedì senza troppi problemi. Ma non era andato via?! Perché diavolo
stava facendo così, ok, magari ce l’aveva ancora con lei, ma quell’atteggiamento da perfetto idiota
su di lui era assurdo! Gli ringhiò contro al quinto tentativo di fuga non andato a buon fine. Non
sembrava nemmeno muoversi, ma riusciva comunque ad anticiparla con una destrezza impossibile.
Beh, che scoperta, quello era un vampiro molto antico e per di più il Master della città, il che
significava, che se solo avesse voluto continuare a non lasciarla passare, Jean-Claude sarebbe stato
a dir poco inespugnabile. “Fammi passare!” sibilò spintonandolo irritata. Sua sorella era già oltre la
prima porta e per quanto cercasse di tornare sui suoi passi per capire chi o cosa la stesse trattenendo,
la forza della mano di lui le impediva d’entrare. Senza un briciolo di sforzo, riusciva a tenere a bada
tutte e due. Merda!
Lo fissò intensamente, un lunghissimo istante di silenzio, che se non fosse stato per l’attutito palpito
della musica proveniente dall’interno del locale sarebbe stato perfetto, in cui l’etereo volto di JeanClaude rimase immobile ed impassibile. I suoi occhi la fissarono inespressivi, scivolandole addosso
con una tale intensità da rendere il suo sguardo palpabile come una carezza lenta e sensuale. Poi,
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come se quello strampalato gioco del gatto e del topo fosse stata la cosa più divertente del mondo,
increspò le splendide labbra in un sorriso gioviale che lo illuminò praticamente a giorno. “Andate
via?” Alexandra strabuzzò gli occhi sconvolta un po’ per l’incantevole visione, un po’ per
l’assurdità con cui aveva candidamente esordito. “Dove state andando?”
Di nuovo il silenzio… Lo stesso che pochi istanti prima aveva rischiato di farla annegare nel suo
sguardo dove un intero universo, continuava a muoversi in soffici volute di velluto blu notte.
“Fammi passare Jean-Claude!” ancora una spinta, alla quale l’altro non parve assolutamente dare
peso. Sembrava una statua scolpita nell’alabastro ed i suoi piedi parevano essere parte integrante del
marmo del pavimento. Le resisteva senza il minimo sforzo e le impediva categoricamente di
passare, tutto questo senza nemmeno accennare a muoversi. Cazzo, era molto più forte di quanto
avesse immaginato fino a quel momento!
“Alex!” gridò la sorella spiazzata dallo strano cambiamento di programma.
“Sto arrivando!” Rigirò gli occhi all’indietro rassegnata a tirare fuori il peggio di sé e gli si avventò
addosso per farsi largo. Fu quasi troppo facile. Lo afferrò per le spalle, lo sollevò praticamente da
terra e lo sbatté di schiena contro la parete di velluto rosso alla destra della maledetta porta. “Non
ho tempo per giocare, Jean-Claude!” sibilò ed in risposta ebbe la piacevole sensazione di essere
stata abbastanza convincente.
Il Master la fissò ad occhi sgranati, con le braccia lasciate molli lungo il corpo. Non provò
nemmeno a divincolarsi dalla stretta ferrea che lo teneva inchiodato al muro. Nonostante tutto
sarebbe bastato un niente per liberarsi, ma il suo corpo non reagì all’aggressione. Come pietrificato,
si limitò ad immergersi negli occhi di lei, per cercare di trovare una spiegazione plausibile a quello
che era appena successo. “Come…!” Un solo istante, il tempo di racimolare la calma necessaria per
tornare sé stesso. Di colpo, come se lo sgomento non fosse mai venuto, i suoi occhi si fecero scuri, e
la sua energia iniziò a farsi strada nel corpo dell’altra. Alexandra trattenne il fiato e come colpita da
una scarica elettrica, si staccò velocemente da lui. “Chi è il portatore del sangue che ti scorre dentro,
Sterminatrice?”
Lei indietreggiò vistosamente agitata, mentre la sua gola deglutiva lo strano groppo di panico che le
aveva asserragliato la gola. “Non ho tempo! Anita è in gravissimo pericolo!” Il nome della donna fu
una pugnalata infertagli in mezzo al cuore. Jean-Claude tornò a sgranare gli occhi sconvolto e si
gettò sulla porta per precederla. Fu interrotto un secondo prima di avventarsi sulla maniglia, da una
mano che lo afferrò con decisione e lo rispedì violentemente contro il muro. “No… Tu aspetti qui!”
gli ordinò perentoria. “Non ho nessuna intenzione di perdere un altro Master!” Dietro l’ordine,
vibrò un’accorata supplica. Solo l’idea di dover mettere fine ad un’altra splendida eternità, le faceva
accapponare la pelle.
Lui ringhiò inferocito e la sua figura divenne ancora più imponente e fiera di quanto non fosse mai
stata. “Non puoi impedirmelo!” Gli occhi gli vorticarono di un potere implacabile ed il suo corpo
immortale reagì avanzando minacciosamente verso di lei.
Alexandra non si mosse, non indietreggiò, ma abbassò lo sguardo. Non fu affatto paura, bensì una
disperata richiesta di essere ascoltata. Non voleva farlo di nuovo, non poteva ricominciare a
distruggere quelli che aveva imparato a considerare degli esseri dannatamente nel diritto di vivere,
ma, soprattutto, non voleva dover uccidere proprio lui. Porre fine all’esistenza di un altro Master
avrebbe voluto dire, infiggere il colpo di grazia a sé stessa. Ma forse inconsciamente non era
nemmeno questo. “No,” sussurrò con la voce rotta dall’angoscia. “ma posso supplicarti di non
muoverti da qui…” La vista le vibrò fra le lacrime e gli serrò più saldamente il polso tornando a
guardarlo dritto negli occhi. “Ti prego, non voglio che succeda di nuovo e quello che è là fuori non
vuole altro…”
Lui liberò bruscamente la mano dalla sua ma annuì. Non seppe perché lo fece, ma nell’aria dove il
profumo di vaniglia di quella sconosciuta regnava incontrastato riempiendogli la mente fino ad
offuscarla, trovò il coraggio necessario per obbedire all’ordine di qualcuno… “Perché vuoi
proteggermi?” Lei non rispose, ma lui annuì ancora come se lo avesse fatto, facendo ondeggiare nel
lieve cenno del capo, le lucide onde nere che incorniciavano la dolce perfezione del suo viso.
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“Grazie…” Sorrise, un sorriso spento, ma infinitamente riconoscente che le fece brillare gli occhi e
ricacciò all’indietro il pianto. “Ora devo andare, Anita ha bisogno di aiuto…” Tentò di andarsene,
ma ancora prima di poter muovere il primo passo verso la sorella che continuava a chiamarla a gran
voce, ricevette lo stesso trattamento che aveva riservato a lui poco prima. Jean-Claude la inchiodò
sulla porta con una facilità che la lasciò sgomenta, impedendo così anche all’altra di accedere al
locale.
Lento, sensuale, letale come un predatore che studia la sua preda, le accostò il naso al viso e ne
annusò la fragranza. Spinto dall’irrefrenabile bisogno di toccarla, fece scivolare la sua mano
candida ed affusolata fra le soffici onde dei suoi capelli. Una carezza di marmo gelido, che le scottò
la pelle come olio bollente. “E’ strano…” esalò dolcemente continuando ad empirsi i polmoni con il
suo profumo. “Sei di qualcuno, ma allo stesso tempo sei libera da qualsiasi legame…” il suo
delicato accento francese, la cullò come una musica d’arpa che ad ogni nota la faceva fremere di
piacere. “Quale è il tuo segreto, Alex?” le sussurrò sulle lebbra per poi chiuderle con la vellutata
freschezza delle sue. Un bacio, in cui tutta la sua forza e la sua determinazione, scivolarono via
come una frana del terreno. Soffocare lì, in quel punto, morire nella dolcezza di quel bacio appena
accennato che la fece sentire di nuovo viva. Sentì le gambe cederle mentre la lingua di lui la
invadeva come un vento caldo, per muoversi fra i denti in un lento movimento circolare. Desiderio,
trasporto, passione, puro bisogno di aversi… Un gioco di immagini riflesse, di grandi specchi
voltati a guardare i suoi ricordi, in cui lo splendido viso di Jean-Claude svanì come un miraggio, per
lasciare spazio a quello di qualcun altro. Alexandra rimase immobile, vittima consenziente del suo
respiro che le solleticava il viso, del suo profumo così umano che le empiva le narici e del delicato
fruscio dei suoi boccoli neri che le scivolavano sulla scollatura fino a lambirle i seni, come piccoli
baci soffiati dalle labbra di un amante. Rispose al bacio senza accorgersene e le sue mani si
adagiarono sui fianchi snelli del vampiro per sentirsi parte integrante di quel momento irripetibile.
Un sogno che tornava dal passato, un sogno che aveva assunto tratti somatici diversi, ma che non
era meno meraviglioso della realtà sfumata. Sgranò gli occhi e ripiovve brutalmente nella realtà,
soltanto quando la voce di sua sorella tornò a chiamare il suo nome. Lui sorrise entusiasta e le sfiorò
lo zigomo con la punta del naso. Incantevole, perfetto, delicato come un gattino appena nato. “Non
riesco a crederci…” Lei cercò di guardarlo negli occhi per capire, ma lui svanì sul suo collo, mentre
le faceva scivolare le braccia attorno alla vita e la stringeva dolcemente a sé. “Tu sei pura leggenda,
Alexandra… Sei magia…” Fra le sue labbra, persino il suo nome acquisiva un suono diverso. In lui
tutto mutava, in lui la perfezione prendeva forma con la stessa naturalezza di un respiro incosciente.
Lei tornò ad irrigidirsi, completamente impietrita da quel tenero abbraccio che chiedeva soltanto di
essere corrisposto. Nel soffio di quel bacio che ancora le pulsava sulle labbra al ritmo del suo cuore
impazzito, il suo segreto più nascosto era stato scoperto. “Sai che sei unica al mondo, vero?” annuì,
ma forse non lo sapeva affatto… Forse aveva voluto convincersi che quel “dono” di Marcus fosse
stato dato anche ad altri e che quella dolce condanna a vita non fosse solo sua. “Come ha fatto?” di
nuovo quel sussurro di seta, che la condusse attraverso un sentiero fatto di brividi e le fece
accelerare il respiro.
Alex scosse la testa. “Non lo so…” balbettò con la voce arrochita dal disperato bisogno di mettersi a
piangere e di rannicchiarsi fra le sue braccia per sentirsi protetta. “Forse non lo sapeva nemmeno
lui…”
Lui annuì espirando una forte boccata d’aria. “E’ morto?” Il volto della Sterminatrice trovò rifugio
sulla sua spalla ed annuì. Si era morto ed aveva portato con sé tutto il bello che c’era stato nella sua
vita. “Lo amavi?”
Forse in quel momento le lacrime sarebbero state un dolce conforto, ma si obbligò a non cedere.
Non rispose, perché quella risposta sarebbe stata ancora più dura del dover mandare giù che, se pur
nel giusto, era stata proprio lei a porre fine alla sua esistenza. Jean-Claude, l’avvolse ancora più
saldamente fra le braccia, per cullarla e proteggerla da quel terribile dolore che, da lei, scaturiva
nell’aria per avvolgere entrambi. Era assurdo, ma fu come se lo conoscesse da tutta la vita. Già la
sera prima, quando non era stato altro che un Master appena sfuggito all’inferno, aveva guardato in
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quegli occhi ed aveva capito di potervi perdere sé stessa. Chiuse le palpebre e trattenne le lacrime,
sarebbe rimasta così per sempre, ma la voce di sua sorella tornò a chiamare il suo nome
evidentemente sul limite di una crisi isterica. La porta vibrò colpita da un calcio della ragazza e lei
anche se a malincuore, scivolò via dall’abbraccio di Jean-Claude spingendolo gentilmente
all’indietro. “Devo andare…”
Di nuovo quel lento cenno di assenso. “Lei lo sa?” le sussurrò accennando alla porta chiusa.
Alexandra si strinse nelle spalle in un fanciullesco “ni” e lui si mordicchiò il labbro in un gesto così
delizioso da renderlo quasi completamente umano. “Sa quello che deve sapere ma non tutto, vero?”
Alex roteò su sé stessa e si aggrappò alla maniglia per nulla felice di doverlo lasciare. Il fatto che
sapesse, per certi versi la faceva sentire molto meglio e forse ora avrebbe soltanto voluto poterne
parlare. Anche per ore, anche per tutta la notte… “Sa quello che è meglio per lei…”
“Sa quello che non hai paura di farle sapere…”
Finse di non aver letto la verità in quella frase, ma prima di uscire, tornò a guardarlo. “JeanClaude,” disse con voce calma, ma determinata. “promettimi che non ti muoverai di qui…”
“Par bleu! E’ la prima volta che qualcuno mi chiede espressamente di fargli una promessa!”
esclamò sinceramente colpito dalla strana richiesta. “Di solito le mie promesse non hanno molto
peso, chèrie…”
Chérie?! Oh Dio del cielo! Alexandra levò gli occhi la soffitto esasperata. Ci mancavano soltanto i
nomignoli, ma sospirò arrendendosi ad essere la sua diletta, perchè non c’era tempo per mettersi a
discutere su un nomignolo. Tornò a guardarlo negli occhi. “Ho imparato molto tempo fa a guardare
oltre le diversità…” Sorrise fiera di sé stessa e di chi era stato in grado d’insegnarglielo. “Tu
promettimelo e basta, poi sarò io a decidere se crederti o meno…”
Lui incrociò le braccia sul petto e reclinò la testa di lato, mutando l’espressione sarcastica in una
dolce anticipazione della resa. “Alex, prima dell’alba sarò comunque costretto a tornare al mio
rifugio per andare a coricarmi…”
Lei inspirò forte e prese il coraggio per dire qualcosa, di cui già sapeva che si sarebbe
tremendamente pentita in seguito. “Un’ora prima dell’alba ti verrò a prendere…”
Jean-Claude sollevò il sopracciglio scandalizzato. Come dargli torto? Si stava comportando come
mamma chioccia con i pulcini ed i pulcini del caso, altri non erano che un vampiro ultra
quadricentenario che solo un minuto prima le aveva fatto notare di essere così magnificamente
uomo, da farla fremere come una corda di violino al solo sfiorarla… Attese una crisi da Master
ferito nell’orgoglio, ma al contrario delle sue peggiori aspettative che la vedevano barbaramente
sbatacchiata da una parte all’altra del Guilty Pleasures proprio dalle mani del suo proprietario, lui
reclinò la testa all’indietro e rise. La risata l’avvolse, la cullò ridonandole la forza ed il coraggio
necessari per essere, al fianco di Anita Blake, al pieno delle sue facoltà; le si mosse sulla pelle ed
ancora una volta, fu come poter baciare quelle labbra soffici e voluttuose, per poi immergersi ed
annegare senza paura in quegli occhi di velluto blu. Fu una soffice brezza di vento caldo, che le
soffiò sulla pelle e riscaldò il mondo come il sole a primavera. Rigirò la maniglia, finalmente aprì la
porta e, come sempre del resto, l’immagine di Victoria la riscaraventò bruscamente con i piedi per
terra. Dalle stelle alle stalle… D'altronde, la sua vita era sempre stata così. Curva sul mirino,
l’occhio strizzato per prendere la mira ed il dito già pronto a chiudersi sul grilletto, Victoria aveva
autonomamente preso la decisione di entrare facendo fuoco sulla porta… Dio del cielo, stava
diventando persino peggio di lei! “Che fai?!” la fissò sgomenta.
Victoria sgranò gli occhi e si nascose l’arma dietro la schiena, cercando di eludere gli sguardi dei
due. “Si può sapere che è successo?”
Jean-Claude roteò gli occhi all’indietro e sorrise. “Pardonne moi, chouchou, stava parlando con
me…” Alex si voltò a squadrare Jean-Claude, per poi avventare gli occhi sulla sorella che apparve
più turbata dalla situazione che dall’assurdo nomignolo… CHOUCHOU?!? Oh mon Dieu!
“Andiamo?” squittì la più giovane, vistosamente intenzionata a svanire il prima possibile da sotto
gli occhi di Jean-Claude. Due figure di merda nella stessa sera, sarebbero state troppo per chiunque.
Alex scosse la testa e una volta per tutte, s’incamminò velocemente fuori dal locale.
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“Prima dell’alba Sterminatrice, non te ne dimenticare, perché io sarò qui ad aspettarti…” la notte
tacque di colpo, per poi riempirsi ancora una volta della sua splendida voce. “Stai attenta a non
sfidare troppo te stessa, chérie… E’ vero, siamo molto simili ma questo vuol dire che, proprio come
me purtroppo non sei del tutto immortale…”
Victoria le corse dietro ed accelerò il passo per arrivare al suo fianco. La fissò e nonostante
ansimasse per la corsa, non si impedì di parlare. “Ce l’aveva con te, vero?” La sorella annuì
svoltando per raggiungere l’auto. Ecco, Jean-Claude sapeva… Come avesse fatto a saperlo non
aveva importanza, perché la vera domanda era: era un bene o un male? Inspirò forte e decise di
preoccuparsene soltanto se fosse stato necessario… Dopotutto lui era un vampiro e lei, almeno fino
ad un’evidente prova contraria, di quelli come lui aveva imparato a fidarsi… “Che cosa dovete fare
prima dell’alba?”
Alexandra spalancò lo sportello entro velocemente nell’abitacolo e la sorella fece altrettanto.
“Parlare, Viky, soltanto parlare.” Un mugolio pensieroso da parte dell’altra anticipò lo stridore delle
ruote sull’asfalto. Anita, era nei guai e per adesso esisteva solo lei. Poi di colpo, Alex tornò a
guardare la sorella con uno strano ghignetto disegnato sul viso. “Chouchou?”
“Uhm?” mugugnò l’altra, un po’ stranita dalla domanda non domanda…
“Niente, niente…” sghignazzò “Cavoletta mia…” Victoria per un pelo non si fece saltare gli occhi
fuori dalle orbite mentre rantolava sconvolta dalla tremenda rivelazione e la bella risata della
sorella, defluì nella notte che sfrecciava fuori dai finestrini dell’auto, gettando un po’ di buon umore
sulla prima battaglia che avrebbero intrapreso a St. Louis. Sulle sue labbra, il magico bacio di quella
notte, continuò ad ardere come il fuoco dell’inferno.
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Capitolo 4. Heart of darkness
“Ci sta ancora seguendo…” Victoria socchiuse gli occhi per mettere meglio a fuoco l’immagine
che, celata dai vetri di un’automobile nera come la notte stessa, da quando avevano lasciato il
Guilty Pleasures, non aveva mai smesso di pedinarle. Un’ombra incombente dietro le spalle,
direttamente fuoriuscita da un orribile passato che nessuna delle due era riuscita realmente a
dimenticare.
“Non è pericoloso…” commentò la sorella con distacco.
Victoria inspirò lentamente e tornò a guardarla mentre, tesa come una corda di violino continuava a
far divorare all’auto la strada che ancora le divideva dal punto focale della muta richiesta d’aiuto. A
mano a mano che si avvicinavano a lei, il potere di Anita pareva divenire un grido articolato da
labbra invisibili. Si scosse per allontanare il fastidioso intorpidimento dovuto al potere della
risvegliante e guardò intensamente la strada davanti a lei. Avevano lasciato il centro abitato ed ora
sfrecciavano attraverso una campagna scura nella quale, di tanto in tanto, sfrecciava qualche
spettrale tronco d’albero. “Sai…” esordì ancora un po’ incerta su come prendere il discorso senza
ferirla troppo. “Alle volte ancora mi chiedo perché non l’hai ammazzato…” Alexandra non mutò
d’espressione, continuando a tenere d’occhio la strada, proprio come se non l’avesse nemmeno
sentita parlare. Ma non era così, Victoria ne era certa e proprio per questo proseguì con maggiore
determinazione. A distanza di più di un anno aveva bisogno di sapere il perché. Non importava che
ne avessero già parlato almeno un milione di volte, perché di fronte a quell’indefinita presenza
bionda che le inseguiva impunemente sin da quando erano partite per raggiungere Anita, il veleno
di quella maledetta notte in cui un assassino era rimasto impunito, era tornato ad irrorarle la gola
come un rigurgito acido e nauseante. Aveva bisogno di risposte sensate e non delle solite blande
giustificazioni che era abituata a sentire. “Nessuno l’avrebbe saputo,” sibilò asciutta. “nessuno,
Alex. Avrebbe pagato per aver assassinato degli innocenti, proprio com’era giusto che fosse…”
assottigliò lo sguardo per percepire il minimo cambiamento nel viso dell’altra, ma questo rimase
imperturbabile nonostante nelle sue parole fosse ben chiara la gorgogliante vibrazione della collera.
Fosse stato per lei, quella fottuta notte gli avrebbe fatto saltare le cervella, ma Alex, la ligia
Sterminatrice senza macchia, non gliel’aveva permesso. Bisogna seguire la legge nonostante, alle
volte, sia completamente insensata e squilibrata verso il lato sbagliato, diceva, ma vedrai che il
tempo cambierà le cose. Il tempo, un tempo che per qualcuno era stato letale, nonostante avrebbe
dovuto non esserlo affatto. Una cosa che, ora più di allora, non poteva e non voleva mandare giù.
Quel grandissimo figlio di puttana continuava a vivere la sua pseudo vita del cazzo, mentre i
migliori amici che avesse mai avuto, giacevano come carne morta a dispetto dell’immortalità che
gli sarebbe spettata di diritto. Tornò a scrutare le tenebre dietro di lei e desiderò di far saltare in aria
quella maledetta automobile, come nella sua vita non aveva mai desiderato di fare nient’altro.
L’idea che la fine di Marcus fosse dovuta anche agli eventi successi quella notte, non poteva
rimanere in silenzio anche ora che quell’uomo era tornato a muoversi davanti ai suoi occhi. Le sue
labbra parlarono senza esitazioni, a quel punto una reazione contraria di sua sorella sarebbe stato il
male minore. Il male si muoveva in lei, nella voglia disperata di staccargli la testa dal collo e di
lasciarlo in quel deserto a marcire come un lurido pezzo di carne avariata. Il bisogno di vendetta fu
più forte del buon senso ed anche il fatto di dover fare presto per andare a salvare un altro dei
maledetti umani che si tacciavano di sublime onnipotenza, divenne l’ultimo dei suoi problemi. “Ti è
mai venuto in mente che quello che è successo, potrebbe essere stato anche una conseguenza di
quella stupida decisione di perseguire fino in fondo il tuo compito?” Per la prima volta, il volto di
Alexandra diede chiari segni di essere pienamente cosciente del dialogo. I suoi occhi si sgranarono
a fissare il vuoto e le sue mani si aggrapparono al volante come se da un momento all’altro potesse
sfuggirle. Smise di respirare ed osservò fugacemente nello specchietto retrovisore, l’auto che a fari
spenti continuava a tenersi ad almeno cinquecento metri da loro. “Se tu gli avessi dimostrato che
non aveva bisogno di cercare altrove l’appoggio di cui aveva bisogno, forse Marcus non sarebbe
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caduto così in basso.” Victoria si aggrappò al suo giubbetto di pelle, per sentire il rassicurante gelo
del fucile che vi era contenuto. Sarebbe bastato un gesto fin troppo naturale per potersi sentire
subito meglio, ovvero sfoderarlo, girare le spalle di centoottanta gradi, prendere velocemente la
mira e fare fuoco. Un colpo rapido e preciso, dritto al centro degli occhi. Il mostro avrebbe cessato
di esistere e con lui anche quel terribile senso di colpa che, da quella notte in cui non aveva
realmente fatto il suo dovere di fautrice della legge, non l’aveva più lasciata in pace. Lui morto
stecchito e lei in pace con sé stessa… Che dolce conclusione di serata sarebbe stata… Sarebbe
bastato così poco e nella morte di un colpevole lasciato libero di continuare a seminare la sua falsa
giustizia, avrebbe potuto credere di aver vendicato tutti quanti. No, non tutti purtroppo, ma con il
sangue della Morte, avrebbe almeno tratto il giusto conforto per lenire la profonda nostalgia che
ancora aveva di Nicholas…
Alexandra si passò la lingua sulle labbra arse dall’angoscia e deglutì con rabbia il nodo di lacrime
che le dilaniò la gola. In quel semplice gesto che da principio servì soltanto per trovare il coraggio
di parlare, tornò ad immergersi nel sapore di due labbra delicate che non avrebbe mai creduto di
poter sfiorare e nelle splendide immagini di quella notte. Jean-Claude che le sussurrava con infinita
dolcezza che lei era una magia… Il cuore le mancò di un battito al ricordo della sua voce che le
accarezzava la pelle assieme alle sue mani. Si, forse aveva avuto ragione nel dirlo, ma era anche
vero, che lei era la magia di qualcuno che si era spento fra le sue mani, proprio per merito dei suoi
innumerevoli sbagli di valutazione. Era solo una magra consolazione continuare a volersi
convincere che erano sempre stati dettati dalla voglia disperata di cambiare le cose. “Marcus è stato
uno stupido.” Sussurrò cercando in sé stessa il coraggio per dire quello che stava dicendo. Victoria
risucchiò una sonora quantità d’aria terribilmente sconvolta, ma lei la fece tacere andando avanti
per la sua strada. Una strada tutta in salita, nella quale prima di tutto doveva cercare di non odiarsi
per essersi permessa di dire quella gravosa verità che si era sempre imposta di tenere per sé. Marcus
le scorreva nel sangue come il più dolce dei segreti e non avrebbe mai creduto possibile che un
giorno si sarebbe trovata ad ammettere apertamente che il primo ad aver peccato di stupidità fosse
stato proprio lui. Era difficile lasciarsi andare alla verità, ma proprio perché Marcus ai suoi occhi
era sempre stato un uomo, biologicamente diverso ma pur sempre un uomo con tutti i pregi e i
difetti del caso, ora doveva ammettere che quando aveva dato vita a quell’errore madornale, lo
aveva fatto proprio avvalendosi a pieno del suo avventato lato umano. Gli uomini sbagliano e
purtroppo, il più delle volte, cadono sotto il terribile peso dei loro stessi errori. “Ha cercato nel
male, la via del bene…” sorrise, un sorriso amaro nel quale due lacrime brillarono al chiarore della
luna e sfuggirono al suo controllo. “Cercare il bene, nel male…” esalò scuotendo tristemente la
testa. “Viky, purtroppo dire che è stato un povero stupido è comunque cercare di dargli una blanda
scusante per riscattarlo.” Victoria la fissò smarrita. Forse avrebbe voluto ammazzarla in quel
preciso istante, ma in quello sguardo svuotato di tutto, lesse un dolore che non avrebbe mai trovato
il modo di acquietarsi. “Sapeva cosa stava facendo, è stato proprio lui a chiederci perdono, ricordi?”
Victoria annuì ma, la terribile sensazione di essere stata la concausa dello scivolone dell’amato
Master, continuò a farle desiderare di fare fuoco su Edward. Tornò a guardare dietro alle sue spalle,
ma la mano calda della sorella la obbligò a smettere di farlo. “E’ un uomo, Viky, un uomo con tutti
i pregi ed i difetti degli uomini comuni…” le disse con dolcezza alludendo ad Edward. “Un uomo
terrorizzato dalla diversità, proprio come lo eravamo noi prima di incontrare qualcuno in grado di
farci aprire gli occhi… Noi siamo state molto fortunate, lui ed Anita no. Questo puoi reputarlo una
colpa?”
“Uccidere cinque vampiri con l’inganno e farla franca, questa è una colpa! Una colpa che ci
porteremo addosso tutti quanti, Alex!” si divincolò dalle dita della sorella e nascose il viso nelle
mani, per placare con enormi respiri il feroce istinto di fare finalmente giustizia. “Una colpa che,
per quanto tu finga ostinatamente il contrario, sta schiacciando te più di tutti! Sei sicura che se
riuscirai ad eliminare quello che cerchi, dopo potrai di nuovo sentirti in pace con te stessa?!”
Alexandra non le rispose, facendo crollare un pesantissimo silenzio nell’abitacolo. Un lungo
silenzio che per la prima volta le vide l’una contro l’altra, divise da una spiccata diversità d’animo e
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di vedute. “Il problema, è che non lo sai nemmeno tu…” La maggiore fissò la cancellata nord del
cimitero e per la prima volta desiderò di fuggire da una battaglia. Sua sorella aveva trovato il
momento peggiore per dare voce ai suoi malumori ed alle sue maledette constatazioni, e lei ora, a
dispetto del fatto che doveva essere al pieno della forma per affrontare il male reale, si sentiva
completamente svuotata. “Se il chiudere i conti con questo orrore che ancora non ha un nome
dovesse lasciarti ancora con l’amaro in bocca, allora che farai?!” Alex inchiodò l’auto davanti al
cancello, ma prima che potesse mettere i piedi sulla terra umida di brina, la mano ferma della
sorella le impedì di scendere. “Pensi che il caro Edward sia addolorato come te?!” L’altra sfuggì
febbrilmente al suo sguardo. “No Alex! Perché se non lo avessimo fermato, quella notte avrebbe
fatto l’impossibile per andare fino in fondo!” Gli occhi di Victoria si fecero gelidi e feroci. “Voleva
uccidere Marcus, ricordi?!” la strattonò con rabbia. “Se tu non fossi arrivata, che cosa sarebbe
successo?! Tu lo amavi Alex, e viste le lacrime che versi ogni volta che pensi di non essere vista da
nessuno, lo sai molto meglio di me!”
Alexandra si divincolò bruscamente dalla mano della sorella ed aprì lo sportello con gli occhi
puntati alla notte che cancellava di netto tutti i colori del cimitero. “Mettiti bene una cosa in
testa…” sibilò già pronta a richiudere la portiera per interrompere di netto una discussione che
faceva troppo male. “Marcus ha sbagliato! Non ha mantenuto la promessa di rimanere sempre sé
stesso! Ha agito proprio come tutti quei dannati uomini che stavamo cercando di combattere
assieme!”
“Magari era stanco di andare a sbattere contro i muri!” latrò l’altra furiosa.
Alexandra si voltò a guardarla per la prima volta ed immergendosi negli immensi occhi della
sorella, dichiarò a sé stessa che non avrebbe ceduto per niente al mondo. Aveva creduto in lui e
nella sua infinita voglia di imporsi nel bene ed alla faccia della profonda fiducia, era stata
fottutamente tradita. “Io credevo in lui e lui ha sputato su tutto, su tutto, capisci?!” si sporse verso
l’abitacolo e sfidò a pieno viso la sorella, che ora pareva sul punto di mettersi a singhiozzare. “Non
pretendo che tu capisca quello che provo, ma sappi che mi sento tradita… Lui sapeva perfettamente
che se avesse sbagliato avrei fatto quello che era giusto fare, ma lo ha fatto lo stesso… Si è fatto
ammazzare! Si è fatto ammazzare da me, nonostante sapesse che non potevo pensare di vivere un
solo giorno della mia vita senza di lui!” Stritolò l’aria come se volesse tenersi salda a qualcosa che
non trovò. “Le scusanti non mi bastano più, Victoria, come non mi basta più il fatto che continuo ad
amarlo più d’ogni altra cosa al mondo e che anche io voglio per forza trovargli una giustificazione
per quello che ha fatto.” Chiuse gli occhi e si asciugò con rabbia le lacrime. “Ho solo una verità fra
le mani, ovvero che mi ha dato l’incombenza di ammazzarlo, nonostante sapesse perfettamente che
non me lo sarei mai perdonato. Gli ho dato la mia vita, l’ho seguito senza esitazioni rinunciando
anche alla mia libertà di essere umano… Ho deciso di dargli quello che chiedeva, ovvero tutta me
stessa, e scusami se per te è poco!” squittì fuori di sé dalla collera. “Ed invece guarda come mi ha
ripagata, lui…” sussurrò sfoderando la mitragliatrice per tenersi pronta a dare ancora una volta il
meglio di sé. Nonostante tutti i suoi sbagli, Anita aveva disperatamente bisogno d’aiuto e non
l’avrebbe lasciata da sola a combattere per gli stupidi errori di qualcuno che non aveva avuto il
coraggio di credere fino in fondo in quello che faceva. Marcus aveva mollato senza nemmeno
curarsi di dirgli che lo stava facendo, ma lei non l’avrebbe fatto né ora né mai. C’erano altri al
mondo che cercavano di ritagliarsi un pezzettino di cielo all’inferno ed avrebbe continuato a lottare
per loro, come per sé stessa. Questo, soprattutto ora che la guerra per l’accettazione della diversità,
purtroppo era diventata una cosa del tutto personale. “Mi ha tradita e lasciata da sola a combattere
una battaglia che non era mia. Ti rendi conto che fino a quel momento combattevo soltanto per
lui?!” Il dolore si fece strada in lei ed indietreggiò per richiudere violentemente la portiera. Si voltò
a fissare l’auto ormai ferma nella macchia d’alberi poco distante e, con gli occhi appannati dalle
lacrime che avrebbe voluto non dover versare, si sbracciò sventolando l’arma sopra la testa.
“Edward!” gridò a squarciagola, mentre il sapore delle labbra di Jean-Claude tornava a farsi strada
in lei, per farla scivolare nel pianto. La sagoma guizzò febbrilmente nell’abitacolo oscuro, ma non
scese. “Anita!” gridò ancora. “Anita è in pericolo!”
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Edward sentì il cuore andare in pezzi ed un lungo brivido di paura gli scorse lungo la schiena
spingendolo a mettere da parte tutto il resto. Era stato scoperto, ma forse non aveva mai creduto di
poter passare inosservato con due così. Forse non ci aveva nemmeno provato, perché per quanto
avesse dichiarato di averle spiate per mesi con la maestria di un ladro, era sempre stato convinto che
almeno una delle due fosse sempre stata pienamente cosciente della sua presenza. Alexandra aveva
semplicemente permesso ad un estraneo di spiare le sue mosse. Il motivo? Mai capito o forse mai
realmente ricercato. Anita era in pericolo e per lui in quel momento contava solo quello. Un lugubre
eco attutito dal vetro e dalla distanza, dichiarò l’impellenza di agire al più presto. Erano cambiate un
sacco di cose ed ora la realtà di quel cambiamento si faceva sentire riempiendogli gli occhi di un
pianto al quale non avrebbe permesso di piovere. Doveva salvarla proprio come aveva fatto la notte
prima. Doveva esserle vicino, proprio come aveva sempre fatto, anche se fino alla notte precedente
non aveva mai dato la giusta importanza ai suoi gesti. Finalmente aveva aperto gli occhi, e questo
era successo quando aveva visto chiudersi i suoi. Si gettò sul sedile posteriore ed afferrò un enorme
fucile che brillò nella tenue luce della luna come una lama votata alla morte. Espirò forte per
riprendere il controllo, poi si lanciò a perdifiato fuori dell’auto. Prima che ne fosse sceso per
raggiungerla, la Sterminatrice era già sparita, ingoiata dall’oscurità che si muoveva al di là del
famelico cancello. Divorò la distanza e non badò alla ragazza nell’auto che lo seguì attentamente
con lo sguardo. Si gettò nel cimitero senza pensare, senza dare peso a niente che non fosse Anita
Blake.
Victoria scivolò dietro di loro pochissimo dopo.
Edward seguì le grida guizzando fra una lapide e l’altra, spianando il fucile di fronte a sé, per
distruggere qualsiasi cosa si fosse messo fra lui ed il bisogno di correre a salvarla. Non si voltò mai
indietro, troppo accecato dalla soffocante paura di perdere qualcosa che aveva scoperto molto più
importante di sé stesso, completamente ignaro dell’odio che gli puntava le spalle, pronto a mettere
fine alla sua vita non appena se ne fosse presentata la minima occasione.
Anita si rannicchiò sul sedile di dietro, tenendo bassa sulle sue gambe la testa della bambina che
continuava ad urlare come se non potesse più fare a meno di farlo. Come darle torto?! Se fosse stata
da sola, in quel momento probabilmente si sarebbe squarciata la gola a forza di strillare anche lei…
“Sta tranquilla” sibilò cercando di farla tacere accarezzandole la testa. “presto andremo via di qui.”
Puntò la canna della Browning verso il vetro, ma non fece fuoco, perfettamente conscia che i vetri
spessi almeno un centimetro avrebbero fatto schizzare il colpo all’indietro rischiando così di ferire
proprio una di loro. Era dannatamente in trappola e non poteva fare niente per uscirne. Fissò ad
occhi sgranati l’orribile sagoma malandata dell’ennesimo necrofago che si avventava sull’auto e
pregò Dio con tutta sé stessa che qualcuno si degnasse di fare un giretto da quelle parti. Si come no,
la verità era che quando era entrata in macchina aveva creduto di poterla mettere in moto e di poter
portare il suo culo ad almeno un miglio di distanza da lì, speranza che era andata in frantumi
praticamente da subito. Purtroppo, a dispetto di tutto il suo sano cinico ottimismo, uno dei due
energumeni aveva avuto la bella pensata di sfilare le chiavi dall’accensione e di portarsele dietro.
Ora l’oggetto dei suoi desideri, languiva candidamente nella tasca di un morto, e l’idea di andarlo a
prendere era completamente fuori discussione. Un gruppo di necrofagi fuori di testa, continuava a
cibarsi delle tre vittime, mentre un altro ben assortito mucchietto di carcasse si abbatteva sul suo
rifugio, cercando ostinatamente di farvi irruzione. Si fece coraggio e tolse il dito dal grilletto per
non permettersi di fare fuoco, ma la sua fidata arma, l’unica in grado di bloccarli ancora a debita
distanza da lei e da quella povera piccola che quasi non respirava più per la paura, rimase
perfettamente puntata sul vetro. Sinceramente dubitava che avrebbe fatto in tempo a farli secchi
tutti quanti, ma aveva imparato a non abbattersi ed anche se in quel momento sarebbe stata la cosa
più giusta da fare, non l’avrebbe fatto nemmeno sta volta. Non era servito nemmeno il caro
insegnamento di Edward per sfuggire a quell’inaspettato incubo ringhiante, perché quella cazzo di
macchina era dotata di un modernissimo dispositivo di sicurezza che staccava di netto la batteria.
Senza l’ausilio della chiave magica, non sarebbero mai andate da nessuna parte nemmeno
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attaccando tutti i fili assieme… Edward, Edward, le aveva fatto scuola soltanto a metà, altro che
scassinatore provetto! Beh, ma se per puro caso ne fosse uscita viva anche sta volta, allora
gliel’avrebbe fratto notare a modo suo! “Merda!” sibilò con gli occhi piantati nelle lattiginose
voragini di follia, che continuavano a fissarla come un affamato guarda una polpetta sigillata in una
vetrina antiscasso. La sua fortuna erano i vetri blindati, ma vista dalla sua ottica non si poteva certo
parlare di fortuna, visto che era sottovetro! Doveva a tutti i costi uscire da lì, ma da come si stava
mettendo, l’unica cosa possibile, sarebbe stato aspettare l’arrivo del sole… Avrebbe resistito così
tanto? Naa… Avrebbe dovuto trovare qualcosa di meglio, perché da lì a due minuti, quei maledetti
bastardi avrebbero cappottato l’auto con loro dentro. Bene, avrebbe dato buca anche ai due clienti
successivi… Rigirò gli occhi all’indietro ed esalò rassegnata, del resto di quel passo Bert avrebbe
avuto da ringhiare contro la sua lapide, e se come si dice a cospetto di Dio ogni altra cosa diventa
irrilevante, nonostante tutto, forse sarebbe stata in grado di sopportarlo.
La macchina oscillò pericolosamente strappandole un grido. Si aggrappò alla bambina e la costrinse
a rannicchiarsi meglio su di sé. Come se il salvarsi la pelle non fosse stata una cosa già abbastanza
impegnativa, avrebbe avuto da tutelare anche una minorenne. Perfetto, cominciava seriamente a
detestare il suo lavoro. Di nuovo il brusco sussulto, che strappò di netto il fiato dalle labbra della
piccola. Le sue mani si aggrapparono a lei, tanto strette da provocarle dolore. “Qualunque cosa
succeda,” le disse la Sterminatrice, costringendola a farsi guardare negli occhi. L’immenso abisso di
panico della piccola, le si aprì davanti rischiando di ingoiarla e di trascinarla lontana dalla solita
prontezza di spirito. Serrò la mascella, deglutì con foga cercando di recuperare il controllo su di sé e
proseguì. “stammi attaccata addosso. Ci sono io.”
I lunghi boccoli biondi della piccola, si animarono in un disperato cenno di fiducia. “Moriremo?”
sussurrò tremando. Anita scosse la testa ma non rispose, del resto chi poteva dirlo?! L’ottimismo è
alla base della vita!
Quando l’auto iniziò ad inclinarsi pericolosamente di lato e tutto il mondo esterno svanì dietro i
corpi ammassati del branco inferocito, il colpo secco e riecheggiante di una fucilata si fece largo
nella sua testa, facendola trasalire con lo stesso smarrito singulto della sua protetta. Strinse le
braccia su di lei, e per la prima volta lasciò andare la mira. Sogno o realtà?! Possibile che le sue
preghiere fossero state ascoltate? Chi diavolo avrebbe potuto scoprire che cosa stava succedendo
almeno tre chilometri fuori città?! La voce di donna che gridò il suo nome e la successiva raffica di
mitra, squarciarono velocemente il velo di mistero sulle sue domande. Un lampo di luce nel buio
più pesto dell’inferno. Ecco, da quel momento in poi, Alexandra O’Brian, sarebbe stata senza
ombra di dubbio una delle sue migliori amiche. “Anita!” gridò la donna puntando l’arma su un
gruppo di necrofagi che avevano preso a correrle incontro in maniera disordinata. Fece fuoco e
roteò sul bacino per eliminarne almeno la metà. “Anita! Abbassa la testa!”
Nell’auto il comando arrivò attutito, ma Anita fu certa di aver udito la sua voce proprio dentro la
testa. Annuì come se l’altra potesse guardare attraverso il ferro ed i corpi che ancora asserragliavano
la sua prigione e si spalmò sul sedile, schiacciando sotto di sé il corpicino impietrito della bambina.
Come se Alex fosse stata cosciente delle sue mosse, fece immediatamente fuoco. La raffica di colpi
che seguì, tintinnò tra il vetro e la lamiera, come il disastroso crollo di uno specchio sull’asfalto. Le
grida riecheggiarono nella notte e dietro di loro, ruggiti e tonfi di corpi privi di vita, avvisarono
entrambe dell’arrivo della cavalleria. Anita chiuse gli occhi respirando appena. Di chi era stato il
primo colpo? Victoria, si certo, doveva essere stato per forza di Victoria. Al contrario delle sue
aspettative, un nuovo poderoso sparo dello stesso fucile, anticipò di pochissimo un grido di uomo
che riconobbe sin da subito. Tornò a sgranare gli occhi e nella totale confusione mentale, soffiò a
fior di labbra il suo nome. “Anita!” gridò Edward, continuando a fare fuoco su qualsiasi cosa si
muovesse nel campo della sua visuale. “Stiamo arrivando!”
Nella sua voce, fu chiara l’inclinazione della paura. Un tremolio che rese un grido di guerra, una
disperata supplica d’aiuto verso l’invisibile ma probabilmente bonaria essenza che guidava i suoi
passi. Edward parlava con Dio?! Naa… Però, non poteva sbagliarsi ancora… Edward, il temerario
gelido dispendiatore di morte a caro prezzo, era terribilmente in pena per lei. Il cuore le sobbalzò
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nel petto, obbligandola a rimettersi dritta per poter guardare fuori del finestrino. Dietro i vetri
oscurati, i bei volti dei suoi due salvatori, brillarono nel buio, come una splendida apparizione
divina. Robin apparentemente sta volta non c’era, ma al suo posto era arrivato l’arcangelo Gabriele!
Scosse febbrilmente la testa scioccata da sé stessa e si lasciò andare ad un gemito d’esasperazione.
Edward l’arcangelo Gabriele?! Ma per carità… “Stai qui!” gridò alla piccola inchiodandola sul
sedile con uno scatto deciso. “Io ora vado fuori a dargli una mano, ma tu DEVI chiuderti dentro!” la
bambina boccheggiò sconvolta e tentò di tenersi salda all’unica cosa buona che si muoveva al suo
fianco, ma la sua determinazione fu più forte della pena che provò per lei. Anita scosse la testa e si
liberò velocemente dalle sue piccole dita tremanti. “Non preoccuparti…” le disse cercando di usare
la dolcezza che non avrebbe mai pensato di racimolare in un momento come quello. “Li facciamo
secchi e torniamo tutti a casa.” sorrise, un sorriso incerto al quale si aggrappò disperatamente per
cercare di infonderle un po’ di coraggio. Tutti, tutti esclusa la madre… Come sarebbe stata la vita di
quel cucciolo da quella notte?! La bambina annuì e non appena i suoi capelli biondi cessarono di
muoversi, la Sterminatrice schizzò fuori dell’auto, chiudendo velocissimamente la porta dietro di sé.
Non era il momento di pensare al peggio. Ottimismo, Anita, ottimismo! “Chiuditi subito dentro!”
nemmeno il tempo di dirlo che la bambina l’aveva già fatto. Annuì piacevolmente soddisfatta, ma
ancor prima di poterle fare un materno cenno di compiacimento, si ritrovò stretta in un mortale
corpo a corpo con uno dei suoi precedenti carcerieri.
Si divincolò con fatica, resistendo alla trafittura dolorosa di un’unghiata che le lacerò la giacca ed il
braccio, e mentre lui spalancava le labbra per infliggerle un morso che le sarebbe di sicuro costato
un’altra spossante seduta d’acqua santa, gli sparò alla tempia facendolo crollare di lato esanime. Il
sangue le schizzò sul viso, le imbrattò i capelli oramai scomposti e le investì lo stomaco con il suo
nauseabondo odore di decomposizione. “Merda!” rantolò mentre lo stomaco si rivoltava nel petto,
cercando di espellere rapidamente il malessere.
Chiuse gli occhi, strinse i denti, ma senza nemmeno accorgersene, due secondi dopo, o meglio
pochissimo prima che la sua determinazione a non vomitare per la terza volta in meno di
ventiquattro ore andasse del tutto in frantumi, si ritrovò in piedi con la schiena saldamente incollata
a quella di qualcun altro. “Anita, stai bene?!” ringhiò la donna dietro di lei, sovrastandola di almeno
una quindicina di centimetri nonostante i tacchi alti. Bene no, ma almeno era ancora tutta intera.
Anita non si voltò a guardarla ma annuì con enfasi. Del resto, se si fossero salvati, per i
ringraziamenti ci sarebbe stato tutto il tempo… Non udì richiami, ma non appena sentì la schiena
della donna scivolare in uno scatto veloce verso il basso, proprio come se fosse stata animata dallo
stesso cervello, fece altrettanto. Uno schioppo di un altro fucile squarciò il cielo e proprio sopra la
sua testa, sibilò il proiettile che andò a conficcarsi nel centro della fronte dell’ennesimo aggressore.
Una precisione assurda, che avrebbe fatto invidia anche al miglior cecchino del mondo. Edward le
guizzò davanti, facendo fuoco alla sua destra e, conscia del fatto che non poteva essere stato lui a
sparare il colpo, finalmente scoprì che aveva preso parte alle danze anche Victoria. Dio, se Edward
voleva ancora avvalersi del nome di Morte, forse avrebbe dovuto dimostrare al mondo molto di più
di quello che aveva fatto fino a quel momento. “Dio,” sibilò Alex con rabbia. “sembra che non
finiscano più!”
Anita girò velocemente lo sguardo intorno a sé e scoprì che nonostante le vittime fossero già
almeno una ventina, il branco che ancora continuava a muoversi nel piazzale, pareva rasentare
almeno il triplo dei caduti. “Non capisco…” sussurrò facendo fuoco su un altro dei tanti mostri che
pareva essere animato da una fame implacabile. “Non assalgono mai i vivi ed invece questa sera
pare che non abbiano altro da fare che compiere una strage…”
“Non sono liberi di scegliere, Anita…” la voce di Alex le giunse ancora una volta chiara e limpida
nonostante il rumore assordante della guerra. Il mitra fece nuovamente fuoco e con lui i due fucili e
la pistola. “Sono mossi da qualcuno che…”
Un ruggito squarciò la notte ottenebrando completamente la voce dell’altra sterminatrice e quello
che accadde dopo, per tutti fu come il poter assistere alla carica di un orso. Un’enorme figura
completamente coperta di pelliccia dorata, si avventò su un branco di necrofagi e li scaraventò ai
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lati come se fossero birilli. Alexandra e Anita rotearono su loro stesse per potersi accertare della
situazione e per la prima volta da quella sera, interruppero il contatto che le rendeva in sintonia
perfetta. Edward si avventò su Anita e le fece abbassare velocemente la testa, mentre una raffica di
colpi ben calibrati, mandava a segno altri spari mortali sul branco. Sei mostri crollarono sotto il
peso dell’argento sparato da Victoria, mentre almeno altri dieci, venivano barbaramente dilaniati
dalle fauci del licantropo. Alex sollevò due mostri contemporaneamente e mentre li fissava con
gelido furore gli spezzò di netto l’osso del collo. Il licantropo massacrò tutto ciò che entrò in
contatto con la furia delle sue zampe poderose e Victoria, come se stesse cercando di coprirgli le
spalle, sparò instancabilmente su tutto il resto. Alexandra avanzò con passo lento ma implacabile,
scivolò nella notte come un angelo votato allo sterminio e nel frusciare odoroso della pelle del suo
lunghissimo spolverino che la rendeva un’immagine evanescente nel buio, dispendiò la morte con
una naturalezza agghiacciante. La Morte e la Sterminatrice titolare rimasero a guardare sgomenti,
mentre tutto il resto del branco si disperdeva in maniera disordinata, per sfuggire ad una forza della
natura a tre mani, con la quale forse non aveva pensato di dover fare i conti. “No, non può essere
umana…” balbettò Anita fissando con gli occhi fuori delle orbite la collega venuta da New York.
Edward scosse la testa e le si affiancò scivolandole da sopra con il fucile saldamente stretto nelle
mani. “Forse non completamente, ma guardala, ti sembra un mostro?”
Da quando in qua Edward si metteva a fare distinzioni del genere?! Gli occhi verdissimi dell’altra si
accesero di una luce spettrale che le tolse il respiro. “Vuoi la verità?” sussurrò quasi senza fiato,
praticamente ipnotizzata dai gesti eleganti ma spietati della donna. Edward si strinse candidamente
nelle spalle. “Si, Edward, mi sembra un mostro.” Un grosso vampiro si scagliò verso Alexandra
pronto a conficcarle le zanne nella schiena ed Anita, sollevò immediatamente la canna della sua
Browning per fare fuoco. Le aveva salvato la vita e stava continuando a farlo, mostro o no, le
doveva almeno lo stesso trattamento. Puntò la schiena del necrofago, ma vista l’agitazione che le
fece tremare le mani mancò il colpo. Fu Edward a far partire quello giusto: sollevò il fucile con uno
scatto perfettamente calibrato e mandò a segno il colpo di grazia.
Victoria rimase a fissare la schiena del nemico, per la prima volta realmente indecisa sul da farsi.
Lo guardò sconvolta ed indietreggiò smarrita. Aveva salvato la vita di sua sorella proprio un istante
prima che la sua mano potesse chiudersi sul grilletto per decretare la fine della sua. Rimase
immobile, impietrita e nel lento apparire dei grandissimi occhi azzurri di lui, che come se avessero
sempre saputo della sua presenza si voltarono a guardarla, perse le forze per rimanere in piedi. Si
accasciò in ginocchio, con il fucile ancora in pugno, ma ormai puntato a mirare al suolo. Edward la
guardò intensamente, un lunghissimo sguardo in cui lei non lesse nulla di quello che avrebbe
pensato. Spara, dicevano i suoi occhi, fallo se serve per liberarti dall’odio che provi. Ma non poté
essere certa di nulla, perché ancora prima che potesse sincerarsi di non aver preso un abbaglio, il
brusco attacco di qualcosa la sottrasse a quell’assurda visione di resa. L’enorme lupo la ghermì con
entrambe le braccia e la scaraventò al suolo. Victoria gridò e cercò la fuga, ma sopra di loro, cadde
il corpo esanime di un altro necrofago. Edward guizzò in piedi contemporaneamente ad Anita e
puntarono le armi in direzione del licantropo. Questi non si mosse, ma le mani di Alexandra si
posarono rapidamente sulle due canne, per sollevarle e fargli perdere la mira. “No.” sibilò con
rabbia incenerendo entrambi con quello che parve essere puro disgusto. “Le ha salvato la vita!”
Salva per merito di un lupo mannaro e della mano ferma e vigile di sua sorella. Il peso del
licantropo gravò su di lei per un tempo che parve infinito ad entrambi e nell’incandescente ambrato
che vorticava nei suoi occhi, riconobbe qualcuno che non avrebbe mai creduto di poter incontrare
quella notte. “Come hai fatto a…”
Le fauci del licantropo si animarono di quello che su un uomo avrebbe potuto essere un sorriso
complice e dalla sua gola, un selvaggio gorgoglio simile ad un ringhio scivolò nell’aria
accarezzandole con delicatezza il viso. “Ho seguito Anita ed invece, a quanto pare, ho trovato te…”
il lupo emise un sospiro stanco che defluì languidamente nella notte di colpo tornata alla calma. Un
gesto lento che gli empì il poderoso costato e gli animò il pelo, facendolo brillare nella soffice luce
della luna, come un manto di fili d’oro. Fu in quel momento che qualcosa nel suo sguardo mutò
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repentinamente facendo gemere Victoria. Gli enormi occhi si dilatarono e la pupilla ingoiò
voracemente tutta l’iride. L’animale emise un rantolo raggelante e s’incurvò all’indietro sferrando
furiose zampate al vuoto. Victoria distolse lo sguardo in preda al panico, coprendosi il volto con le
mani e, mentre cercava in ogni modo di fare leva sul licantropo per toglierselo da sopra prima che
fosse troppo tardi, pregò con tutta sé stessa che quei terribili artigli non le lacerassero la pelle.
Di nuovo quel gesto secco che fece calare le canne delle armi dei due. Un gesto fluido ed
inaspettato al quale Alexandra reagì con lieve ritardo, per via dell’urlo della sorella. Si aggrappò
alle armi con tutta la forza che racimolò in corpo e, mentre le due pallottole d’argento venivano
scagliate attraverso il ferro, arroventandolo tanto da ustionarle le dita, tornò a strattonarle verso
l’alto. Il ruggito investì la notte ed i due colpi ormai sparati riecheggiarono come bombe, seguiti dal
tonfo sordo del corpo del lupo che ricadeva di lato sulla terra umida del cimitero. “Richard!” gridò
Victoria rotolando rapidamente su sé stessa per correre in suo aiuto.
“Richard?!?” La giovane levò lo sguardo nella sua direzione e nei suoi occhi tanto verdi da fare
male, la risvegliante lesse lo stesso disprezzo che aveva letto in quelli della sorella pochissimi
istanti prima. Non poteva essere Richard, quella belva non poteva essere la stessa splendida persona
con la quale aveva lottato spalla a spalla soltanto la sera prima… Anita fissò intensamente gli occhi
ritornati ad essere gialli come il sole e sentì il cuore andare in frantumi. Al di là dello sguardo
selvaggio che si muoveva in quegli enormi occhi animali, lesse un’accorata supplica di non essere
considerato un mostro. Indietreggiò inchiodandosi al petto di Edward che le chiuse subito una mano
sulla spalla. “Richard…” boccheggiò senza più l’aria necessaria per poter respirare. “Non… non
puoi essere tu!”
Richard si ripiegò su sé stesso emettendo un ululato lugubre e sofferto. La sua schiena s’incurvò
piegandolo in due per poi riscattare all’indietro in un rantolo raggelante. La notte si riempì delle sue
grida selvagge, del suo dolore, dei suoi gemiti convulsi e gli occhi di tutti si colmarono della sua
tremenda trasformazione. “Richard…” sussurrò Victoria posandogli la punta delle dita sulla
schiena. Levò lo sguardo alla sorella in una muta domanda e lei rispose di no con un lieve cenno del
capo. Esalò risollevata e tornò a guardarlo mentre tornava ad essere lo splendido uomo che aveva
guardato negli occhi quella mattina. Non era stato ferito, ma il dolore fisico sarebbe stato molto più
facile da dimenticare di quello che avrebbe provato ora, immergendosi nello sguardo sconvolto di
colei che aveva cercato di conquistare con un’umanità che ora non gli avrebbe più riconosciuto. Gli
occhi di Victoria si riempirono di lacrime, e mentre il gorgoglio della pelle di lui le riempiva le
orecchie e gli schiocchi delle ossa si facevano strada nell’aria per ricondurlo allo stato umano, si
adoperò per togliersi da dosso il lungo spolverino di pelle. Il muso del lupo refluì all’interno del suo
viso mentre gridava nascondendolo nelle mani che ribollivano come se fossero sul punto di
implodere. La bionda pelliccia scivolò all’indietro come un mare inghiottito da un gorgo, tornando a
languire sotto la pelle, e gli occhi, quei selvaggi occhi di giada che l’avevano salvata da un mostro
vero, si chiusero per riaprirsi poco dopo, come gli splendidi occhi dell’uomo che, senza esitazione,
aveva messo da parte la paura di perdere la stima della donna amata proprio per aiutarli. Richard si
accasciò pesantemente di lato e chiuse gli occhi ansimando come se avesse combattuto la peggiore
delle battaglie. “Anita…” sussurrò con appena un filo di voce, poi esalò e perse definitivamente i
sensi.
“Se lo aveste ferito, questa sera avrei messo da parte una volta per tutte, tutti i miei sani principi da
brava umana…” sibilò Victoria, stendendo delicatamente il suo spolverino sul corpo nudo del
giovane. “Quando imparerai, Anita Blake, che non sempre ciò che è diverso è animato dal male?!” i
suoi occhi si levarono implacabili sul viso dell’altra che, pallida come un cencio, fissava il bel viso
di Richard come se lo stesse vedendo per la prima volta.
Anita sentì la rabbia stritolarle la gola e nello stesso istante la vista le si appannò in un doloroso
scroscio di lacrime. Era facile parlare, facile dire cazzate a vanvera quando, con tutta probabilità, la
stronzetta in questione non aveva mai avuto a che fare con i suoi stessi orrori. Aveva pensato di
poter stare con Richard ed alla fine aveva scoperto di essere stata tradita, aveva pensato di potersi
innamorare un’altra volta, mentre ora se abbassava lo sguardo verso quel bellissimo viso
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addormentato, riusciva a vedere solo un altro di quei mostri con i quali combatteva ogni giorno. Il
suo mondo stava andando di nuovo in pezzi e l’unica persona che pareva capirci qualcosa, era
l’unico che non avrebbe mai creduto di poter avere così vicino. Come se i suoi pensieri gli fossero
stati chiari, Edward lasciò cadere il fucile e chiuse l’altra mano sulla sua vita, un gesto di conforto
che la fece tremare in preda al panico, ma dal quale non riuscì a sottrarsi. Tutto quello a cui si era
sempre aggrappata stava andando in pezzi e quella piccola bastarda perbenista si metteva a farle la
morale?! Cercò di sputarle in faccia il suo veleno ricacciando indietro le lacrime, ma tutto quello
che riuscì a dire fu un “Io…” appena sussurrato che la fece sentire una stupida. Avrebbe dovuto
semplicemente alzare quella dannata pistola, puntargliela fra gli occhi e fare fuoco per sentirsi in
pace, ma ovviamente non sarebbe stato il modo giusto di ripagarla per essere accorsa in suo aiuto
quando ce n’era stato bisogno. Eppure, a dispetto del fatto che aveva rischiato la vita per salvarla,
non riusciva a provare la benché minima gratitudine per lei. La detestava anche solo per come
guardava Richard e per come gli sistemava quel dannato cappottino di pelle addosso. Sembrava una
mammina con il suo cucciolo, ma dentro i suoi occhi, c’era tutto fuorché il trasporto materno che
avrebbe voluto dare a vedere.
Alex chiuse lentamente i palmi delle mani dolorosamente ustionati ed avanzò verso di lei.
“Finiscila, stavano solo cercando di proteggerti. Questa volta quella che legge il male in tutto sei
tu.” si curvò su Richard e gli passò una mano sul viso imperlato di sudore per scostargli i capelli
dalla fronte. Victoria non si mosse, non rispose, non respirò nemmeno, perché il cuore le pompò
nelle vene una rabbia talmente potente da strapparle la lucidità. Ma da che cazzo di parte stava?!
“Ricordati, che una volta eri proprio come loro…” le disse la sorella con aspra calma. “Mi farebbe
piacere che ogni tanto te lo ricordassi, sorellina… Non tutti hanno la fortuna di trovare qualcuno in
grado di fargli vedere come stanno davvero le cose, Viky, e sarebbe il caso che questa frase te la
tatuassi in fronte a caratteri cubitali…” i suoi occhi si conficcarono in quelli dell’altra senza
preavviso e da loro, piovve su di lei un muto ma terribile rimprovero. Alex sollevò delicatamente
Richard, lo coprì per bene e lo sorresse fra le braccia senza sforzo, ma gemette non appena la
schiena si chiuse su una lacerazione riportata durante lo scontro.
Victoria sgranò gli occhi sconvolta, notando per la prima volta il profondo squarcio che spiccava
dietro il lungo spolverino. “Sei ferita?!”
“Lo siamo un po’ tutti mi pare ed io guarisco alla svelta, lo sai…” Anita si voltò febbrilmente a
guardarla. Dietro quella frase, c’era tutto l’universo di segreti e verità che ancora non conosceva. La
reputava un mostro?! Mmm… Considerando che, se pur giunonica era solo una donna, e che aveva
tirato su due necrofagi ed ora un uomo senza nemmeno battere ciglio, si, però la reputava un mostro
ragionevole e questo faceva si che potesse ancora guardarla con infinita riconoscenza. Alexandra
aveva dimostrato che i mostri non sono proprio tutti da ammazzare. Rimaneva soltanto una cosa da
capire… Che razza di dannato mostro era?!
Prima che le sue labbra potessero articolare una qualsiasi frase sensata, un delicato battito di mani
raggelò la notte e tutti quelli che furono in grado di udirlo. Si voltò rapidamente nella direzione del
suono e, ad attenderla, trovò il volto sorridente della piccola, che era appena scesa dall’auto. Sgranò
gli occhi sconcertata. Perché qualcosa le diceva che non era affatto un bene che quella bambina
sorridesse così?!
“Alexandra O’Brian…” cinguettò la bambina, scuotendo la soffice massa di capelli biondi in un
lieve cenno di cortesia. “e Victoria O’Brian…” Anita sentì il cuore accelerare come un tamburo
suonato a pericolo. Il sangue le si fermò nelle vene e mentre fissava la povera piccola indifesa che
aveva cercato di confortare soltanto pochi minuti prima, questa fece quello che non avrebbe mai
voluto vederle fare. Il suo viso mutò lentamente come in uno di quei morphing del cinema che
lasciano senza fiato lo spettatore, i lunghi e soffici boccoli biondi refluirono verso il cuoio capelluto
divenendo corti ed ispidi come un manto di porcospino, le soffici labbra crebbero lentamente e con
loro il naso, che se pur un po’ aquilino, divenne uno dei più bei nasi che avesse mai visto in vita
sua. Poi toccò agli occhi, che divennero di un azzurro impossibile, tanto acceso da riuscire ad
illuminare la notte che parve scivolargli addosso come un manto vellutato. Il piccolo corpo si
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allungò e come se fosse stata la cosa più normale del mondo, il soffice vestitino tutto svolazzi,
s’incollò alla pelle tramutandosi in un’attillatissima tenuta di pelle bianca. Da bambina indifesa a
sex symbol, assurdo! Il corpo statuario di quello che non seppe definire in altro modo che un tipo da
copertina, si disegnò lentamente nella fioca luce della luna, assieme al suo miglior sorriso di
repertorio. Perché diavolo tutti quelli che si collegavano in qualche modo a quelle due, erano tipi da
sturbo?!
Alex adagiò lentamente il licantropo ai suoi piedi e, rimanendo in ginocchio, sollevò rapidamente il
mitra aggrappandovisi con entrambe le mani, al suo fianco Edward si staccò da Anita per recuperare
il fucile e fare altrettanto. Entrambi puntarono le armi sull’apparizione ed a loro si aggiunse anche
Victoria, stranamente messa in modo tale da coprire con il suo corpo proprio il licantropo
addormentato. “Chi diavolo sei tu?!” gracchiò Anita, puntando anche la sua Browning per non
essere da meno a nessuno dei tre supereroi. “Ed io che ti ho fatto da balia fino a due minuti fa!”
L’uomo chinò il capo in un elegante cenno d’assenso. “Infatti le sono infinitamente grato Mrs.
Blake, peccato però…” sorrise “Che non ne avessi poi così tanto bisogno.” Ma va?! Non se n’era
accorto nessuno! Moriremo?! Piagnucolarono i suoi ricordi. Figlio di una gran puttana! Chi cazzo
era quel tipo?! A parte, ovviamente, un fusto avvolto in una sottile stringa di pelle bianca, molto ben
dotato… L’uomo scoppiò in una sonora risata, che la fece avvampare di vergogna, fino
all’attaccatura dei capelli. “Grazie Mrs. Blake.” sospirò lui riprendendo fiato e facendole venire
voglia di spararsi in testa per togliersi di mezzo, eludendo così gli sguardi indagatori degli altri tre.
Poi i suoi occhi azzurro incandescente, si voltarono verso la Sterminatrice di New York… “Vedo
che Marcus ha fatto un buon lavoro su di te…” si strinse nelle spalle. “Beh, io scelgo sempre i
migliori…” esalò incrociando le braccia sul petto soddisfatto e, di colpo, come se dietro a
quell’oscura constatazione si celasse il peggiore degli incubi, Alex parve andare in frantumi. Il
mitra le tremò vistosamente fra le mani ed indietreggiò ad occhi sgranati, come se finalmente avesse
scoperto che quello non era un uomo normale. Anita la guardò dritta negli occhi, dove il panico si
dipinse nel verde come un’onda impetuosa che sentì muoversi anche dentro di sé, mentre lui
annuiva stirando un lugubre sorriso di scherno. “Già, sono proprio io…”
Merda, proprio io chi?! “Alex?!” la chiamò Anita di nuovo discretamente padrona della voce. “Chi
diavolo è questo stronzo?!”
Il mondo cominciò a vorticarle attorno e la diretta interessata sentì le gambe venire meno al compito
di sorreggerla. Barcollò pericolosamente e tutta la stanchezza accumulata durante quel lunghissimo
anno a rincorrere un mostro senza volto, parve crollarle addosso con tutto il suo peso. Iniziò ad
ansimare in maniera sempre più scomposta, con gli occhi piantati in quelli del suo peggior nemico.
Più di un anno a chiedersi come fosse il volto del male, ed ora, a dispetto di tutto, avrebbe soltanto
voluto poterlo non sapere. Victoria la fissò impaurita, ma Alex non vide il suo sguardo che cercava
in lei le risposte che già poteva darsi da sola. “Belial?” sussurrarono le sue labbra emettendo un
flebile nome distorto dal tremore che le ottenebrò la voce. Lui annuì portandosi le mani
delicatamente sui fianchi. Il male aveva la faccia di un angelo? Il male sorrideva in maniera
accattivante per carpire le anime alle sue vittime?
Lui si passò sensualmente la lingua sulle labbra e si mosse nella sua direzione. “Non ti avvicinare a
lei o ti sparo in mezzo agli occhi!” gridò Victoria, prendendo la mira proprio al centro dei due pozzi
azzurri che parevano in grado di ingoiare il mondo intero con un solo sguardo.
“Puoi spararmi, Viky,” disse lui con tono mellifluo. “ma io non morirò… Io non posso morire.” Lo
sparo improvviso, riecheggiò nella notte come un fulmine a ciel sereno ed il cranio dell’uomo fu
attraversato dall’enorme proiettile che gli massacrò il viso. Alex parve ridestarsi come svegliata di
soprassalto da un sogno, però, ancora prima di poter gridare o fare qualsiasi altra cosa, l’enorme
voragine si ricompose con una rapidità agghiacciante.
“Merda!” gridò Anita e quattro armi diverse, strette in quattro mani di colpo divenute incerte,
iniziarono a fare fuoco contemporaneamente. La pioggia d’argento lo investì facendolo scuotere
animato dalla violenza dell’attacco. Alexandra gridò la sua rabbia e con lei diede voce al suo dolore
anche la stessa Victoria. Erano di nuovo insieme… Edward avanzò di tre passi per colpire più da
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vicino e puntò sempre dritto alla testa. Il rombo dei colpi durò per un tempo che parve infinito, ma
quando cessò, la carcassa martoriata, tornò lentamente al suo stato di splendore ottimale. “Ma chi
cazzo sei!” gridò Anita afferrando dalla tasca un altro caricatore. Fosse stato per lei, se solo fosse
servito a cancellargli dalla faccia quel fottuto sorrisetto da figlio di puttana, avrebbe volentieri
continuato a fare fuoco fino al Natale successivo. Mmm… Trecentosessantacinque giorni di fuoco?
Ma si, non erano poi così tanti!
“Sono quello che tu chiami semplicemente il diavolo…” sibilò l’uomo carponi, sta volta però,
evidentemente affannato da risanamento. Bene un punto per loro… “Sono il secondogenito della
stirpe dei re infernali, il generale supremo di ottanta legioni di demoni, mia cara risvegliante.”
Anita lo fissò sgomenta e deglutì il panico per rispedirlo il più lontano possibile dalle sue labbra. “E
che cazzo ci fai qui?!” gridò staccando velocemente il caricatore vuoto per sostituirlo con quello
nuovo.
Lui sollevò la testa e nei suoi occhi, bruciò la furia eterna delle fiamme dell’inferno. Le sue labbra
vermiglie, leggermente pronunciate in avanti, s’incurvarono nel più feroce dei sorrisi. “Chiedilo alla
cara signorina O’Brian… Da quando ha ucciso Marcus, sono diventato anche roba sua…”
Si voltò terribilmente turbata verso Alexandra, che pareva non avere più aria nei polmoni. Il suo
volto era talmente pallido da sembrare quello di un cadavere ed aveva la fronte completamente
imperlata di sudore. Gli immensi occhi verdi, rimanevano piantati in quelli della bestia e le labbra,
le belle labbra sempre impeccabili, erano mollemente aperte come se non avesse più parole da dire.
Il fruscio del corpo di Victoria che si rimetteva in piedi per accorrere in soccorso della sorella, non
servì a farla distogliere dal suo viso. Una cosa orribile, la feroce e determinata sterminatrice vista
all’opera poco prima, ora non era altro che un fantoccio di cera, pronto per sciogliersi. Era
praticamente in trance e se quello che le empiva gli occhi non era panico, allora Anita non sapeva
proprio in che altro modo chiamarlo. “Alex…” la chiamò con calma, come se vi fosse il pericolo di
farla ridestare troppo di corsa. “Si può sapere che diavolo succede?!”
“Alex…” sussurrò la sorella. “Ti prego Alex, smettila di guardarlo…” le lacrime le riempirono gli
occhi e di fronte al suo viso smarrito e perso, la domanda che le aveva posto in macchina, trovò
finalmente la sua risposta. Se il chiudere i conti con questo orrore che ancora non ha un nome
dovesse lasciarti ancora con l’amaro in bocca, che farai?! Niente, si rispose in silenzio,
semplicemente niente. Alex non aveva il coraggio di muoversi e di fare tutto quello che era in suo
potere per farlo fuori, perché l’idea di mettere fine all’incubo una volta per tutte, le strappava il
fiato… La pace non sarebbe tornata ed avrebbe perso definitivamente la voglia di vivere. Dopo aver
perso Marcus e l’unica cosa che aveva animato i suoi passi e la sua tenacia fino a quel momento,
non sarebbe rimasto più niente. Victoria gridò furiosa e rigirò su sé stessa per fare fuoco un’altra
volta. Il cane sbatté a vuoto sull’innesco e sentì il bisogno di mettersi davvero a piangere. Cadde in
ginocchio mentre il demone avanzava sorridendo beato e tendeva una mano verso il viso della
sorella. Forse era la fine? La fine di tutto?
Come sotto ipnosi, Alexandra abbassò lo sguardo verso di lei, batté le palpebre più volte e si voltò
lentamente a guardare la persona che aveva fatto un’altra volta il suo nome, Edward, e nei suoi
occhi sgranati, lesse un ordine senza voce, che le imponeva di reagire, di farsi forza. Quale forza se
ora voleva soltanto chiudere gli occhi e morire? Marcus non c’era più, il mondo crollava e tutti
quelli che le erano intorno aspettavano che dicesse cosa fare per uscire da quella situazione. Persino
Anita la fissava come se aspettasse un segnale per agire. Il leader del niente… Scosse la testa,
espirò forte e con la stessa forza lasciò sfuggire la boccata d’aria. Non sapeva cosa fare, era questa
la verità… Di fronte al suo peggior nemico ed alla sua vera natura era completamente smarrita,
impotente. Marcus aveva svegliato il peggio del peggio… Marcus e la sua follia… Marcus e la sua
voglia di cambiare il mondo in qualsiasi modo ed a qualsiasi costo… Eppure continuava a sentire di
amarlo più di sé stessa ed a vedere in lui l’inizio e la fine di ogni cosa… Sentì il potere del demone
scivolarle dentro, un’onda rovente che la percorse sottopelle opprimendo ogni singola cellula del
suo corpo. Avvertì il formicolio di quella violenza che la penetrava senza pudore ma, mentre il
calore affluiva al cuore comprimendolo verso l’interno e la mano ardente di lui si posava
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delicatamente sul suo viso per farle una carezza senza amore, qualcosa cominciò a farla bruciare
ancora più forte di quanto avrebbe potuto fare lui e tutto il suo fottuto inferno. L’assurdo bacio
ricevuto quella notte, fu l’unica cosa in grado di ridestarla dal torpore. Lui, i suoi infiniti occhi di
velluto blu, il profumo dei suoi capelli di seta che le scivolavano sulla pelle, il delicato tocco delle
sue mani candide che la facevano fremere durante la loro lenta ma avida esplorazione… Fu proprio
la magica quanto inaspettata apparizione del bellissimo volto di Jean-Claude nei suoi occhi, a
cancellare di netto l’ipnotica immagine del demone ed a costringerla a ricordare una cosa molto
importante. La mano di Belial le si insinuò nei capelli e lei sorrise, ma non fu certo per lui, bensì per
quel sorriso divertito che accettava senza troppe repliche di farle una strampalata promessa. Una
promessa alla quale aveva risposto con un’altra promessa. Un’ora prima dell’alba… Aveva
promesso di raggiungerlo un’ora prima dell’alba per accompagnarlo a dormire… Ancora assurdo,
ma utile per reagire, perché lei manteneva le promesse, anche le più cretine! Con un gesto tanto
brusco quanto improvviso, lo scaraventò all’indietro guadagnando almeno un paio di metri da lui.
“Io e te non abbiamo niente da spartire…” ringhiò strappando dalle mani di Victoria il fucile, per
poi ricaricarlo con una velocità così assurda da farla apparire ancora più inumana. “Marcus ha
sbagliato ed ha pagato con la sua stessa vita,” sibilò a denti stretti mentre le lacrime le
arroventavano lo sguardo. “ora però, tocca a te.” il primo sparo, lo fece indietreggiare di tre passi,
terribilmente turbato dall’inaspettata resistenza. “Non morirai così?! Bene, troverò almeno altri
cento modi per rispedirti all’inferno!” il secondo, lo fece accasciare in ginocchio. “Mi hai costretta a
fare l’unica cosa che non avrei mai creduto di poter fare…” le lacrime le rigarono il viso e sentì un
potere immenso riempirle l’anima. Una sferzata di nuovo potere, che da lei fluì, s’insinuò in
Victoria che reagì scatenando il suo ed in Anita, che trattenne il fiato e si sentì trascinare in un
triangolo di magia. Magia era un termine che le faceva schifo, ma come si poteva definire una cosa
del genere?! La risvegliante non oppose resistenza e barcollando tornò ad alzare la Browning. Il
terzo colpo del fucile della Sterminatrice nordamericana, sparò contemporaneamente al suo. Colpito
in due punti diversi e nello stesso istante. Il quarto sparo si animò a tre voci, quando al fuoco si
aggiunse anche Edward. Victoria gridò, ma un secondo prima che potesse raggiungere il mitra della
sorella per fare fuoco con loro l’ennesima volta, Belial soffiò selvaggiamente la sua ferocia e svanì
in una sferzata di fiamme.
Alex gridò al cielo la sua rabbia ed il potere delle altre due negromanti fu proiettato in dietro con
una ferocia destabilizzate. Le due gridarono e si accasciarono al suolo. Due secondi dopo, lo fece
anche lei.
“Che diavolo succede?!” gridò Edward, gettandosi su Anita, per impedirle di cadere a faccia avanti.
Lei si limitò a sorridergli ed a scuotere la testa. “Non trovi patetico il fatto che uno che si dice il
capo dell’inferno, debba uscire di scena in una nuvola di fumo?!” Lui sgranò gli occhi e la fissò
sgomento.
“Patetico, incredibilmente patetico…” ansimò Victoria muovendosi carponi verso la sorella.
Alex ridacchiò. “Ognuno ha i suoi metodi per sfogare gli ormoni impazziti.”
La notte si riempì di risa e mentre Edward le fissava sconcertato, il mondo tornò a tingersi dei colori
della vita. L’incubo per ora era finito e sconfitti o vincitori quali potessero ritenersi, per quella notte
avevano finalmente finito di combattere.
Alex scese dall’auto felice di essere riuscita a mantenere la parola data, perché nonostante gli
estenuanti chiarimenti da dover dare a Dolph, con l’aiuto provvidenziale di Anita, erano riuscite a
lasciarlo solo ad occuparsi dei resti delle tre povere vittime. “Sei ferita…” borbottò Victoria
adocchiando il suo viso stanco ormai dall’altro lato del finestrino. “Dovresti riposarti e non fare da
balia al Master della città.”
Alexandra le sorrise, stanca ma sinceramente divertita dal suo atteggiamento. Nonostante tutto,
continuava a preoccuparsi per lei. Beh, volendo, come poteva darle torto? Solo pochi minuti prima
aveva dato seri cenni di cedimento… Si strinse nelle spalle perché comunque non avrebbe mancato
ad una promessa fatta, soprattutto ad una, fatta a qualcuno che senza saperlo forse le aveva salvato
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la vita. All’alba mancavano due ore e due ore in meno di sonno, non hanno mai ammazzato
nessuno. “Porta da noi Richard e non fare cose che io non farei…” ghignò indicando con aria
complice il giovane, avvolto dalla sola pelle dello spolverino, che giaceva profondamente
addormentato sul sedile di dietro. Victoria sgranò gli occhi, ma rispose al ghigno con un altro
ancora più cattivello del suo. “Anita ed Edward ti daranno una mano a farlo salire dalla scala di
servizio. Meglio evitare troppe domande…”
“Devi dormire, Alex… Il Master può aspettare per questa notte, no?!” tentò ancora, pur sapendo
quanto fossero inutili i tentativi di farla ragionare. Se c’era una cosa di sua sorella con la quale
aveva imparato a convivere, era proprio la sua spossante ostinazione a fare sempre quello che le
diceva la testa. Per carità, una cosa che effettivamente le aveva sempre portate avanti senza troppi
problemi, ma che alle volte, era tanto dura da digerire, da farle venire voglia di spaccarle il fucile
sul collo e metterla dormire per fare di testa sua.
L’altra, come da pronostici, scosse la testa. “Ho bisogno di parlargli e non voglio che dopo questa
notte, Belial cerchi proprio in lui un valido alleato…”
Victoria staccò le mani dal volante ed incrociò le braccia sul petto. “Non vedo come potresti
aiutarlo se dovesse mettersi in testa di prenderlo…” Alex rigirò gli occhi all’indietro esasperata e
Victoria sbuffò. “Ok!” alzò le mani rassegnata alla solita resa. “Fai come vuoi, ma stai attenta. Non
lo conosci bene e non sai come la pensa davvero…”
“Viky…” le sussurrò sporgendosi verso di lei, per scostarle amorevolmente una ciocca di capelli dal
viso. “Non dire a me, cose che mi ostino a metterti in testa io…” Victoria sorrise e riprese in mano
il volante. “Vai a dormire, all’alba tornerò anche io.” Le posò una mano sulla guancia in quella che
fu una carezza di commiato e camminò velocemente verso la macchina ferma dietro la loro.
“Almeno di che ti piace!”
Per ovvie ragioni finse accuratamente di non aver sentito, camuffando una risatina con un rapido
colpo di tosse, cosa che riscosse nell’altra l’ennesimo sbuffo d’esasperazione. Edward abbassò
velocemente il finestrino ed adagiò il gomito sullo sportello per poterla guardare negli occhi. “Per
favore, dalle una mano a portare in camera nostra Richard.” Adocchiò l’altra auto della strampalata
carovana e sorrise con un delicato cenno di diniego che le animò le lunghe onde corvine. “Poi porta
al letto Anita… Quello che le è successo sta sera, non è proprio una cosa all’ordine del giorno.”
Edward annuì, ma prima che lei potesse staccarsi dalla sua auto, le posò una mano sulla sua. Si
fissarono intensamente. “Dimmi perché non mi odi…”
Lei sogghignò. “Perché sei umano…”
“Solo per questo?” disse con una spiccata nota di rammarico nella voce.
Lei scosse leggermente la testa. “Perché sei umano, perché come tale puoi sbagliare, perché mi hai
salvato la vita e perché sono una stupida e pacifica signorina di New York” rise. “Edward, forse
sembro stupida, ma non lo sono. So che dietro a questa faccia da idiota con il fucile sempre
spianato, si nasconde qualcuno che sa più cose di quante voglia darne a vedere, ma che nonostante
tutto non esita a farsi in quattro quando c’è bisogno di lui.” Lui assottigliò un po’ lo sguardo
increspando le labbra in un sorriso divertito. “Allora diciamo, che sto provando a rivalutarti, ok?”
“O molto più semplicemente non sei il mostro che pensi di essere…” sussurrò lui, stringendo un po’
di più la mano sopra la sua.
Lei inspirò una grande boccata d’aria e si discostò dalla macchina. “Detto da te potrebbe essere
preso come una barzelletta…” rispose lievemente irrigidita dalla schiettezza dell’altro.
“Ti devo ancora la vita, o sbaglio?!”
“Per quanto mi riguarda hai pagato il tuo debito sta sera…”
Lui scosse la testa e lentamente tornò con entrambe le mani al volante ed a guardare davanti a sé.
“Per quanto mi riguarda no… Forse non sono così tanto mostro nemmeno io.”
Lei gli assestò una veloce pacca sulla spalla ed iniziò a camminare verso l’auto di Anita. “Questo
dipende da che punto la vedi, Ted.” Non si voltò indietro per guardare il suo viso, ma il peso del suo
sguardo sulla schiena, le bastò per capire che stava sorridendo. Anita fece per scendere dall’auto,
ma lei si appoggiò sullo sportello e fece riscattare la chiusura. “Ho chiesto ad Edward di dare una
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mano a mia sorella per portare Richard da noi.” Anita sollevò il sopracciglio turbata e si sporse con
il viso dall’auto per guardare Victoria che le guardava dal suo finestrino. “Con lei sarà molto più al
sicuro che a casa sua…” le spiegò con calma. “Oltretutto dormirà per almeno dodici ore filate,
quindi da solo sarebbe completamente indifeso.”
Gli occhi di Anita si levarono ai suoi con lenta determinazione. “Tu perché ti fermi qui?” Si fece di
lato per osservare la sanguinante insegna intermittente del Guilty Pleasures. “Non mi sembra il
posto adatto per curarti le ferite, Alex, qui l’odore del sangue può dare facilmente alla testa…”
L’altra rigirò gli occhi all’indietro e sospirò evidentemente esasperata. Sua sorella non era
abbastanza, ora ci si metteva anche Anita Blake! “Devo parlare con Jean-Claude prima che vada a
coricarsi…”
Anita la fissò con sguardo indagatore. “Di solito quando si fa il nome del Master della città, sono
guai non chiacchiere, Alex… Forse sarebbe il caso che io…”
“Che tu andassi a casa a curarti quello squarcio sul braccio…” la interruppe prontamente con fare
più che perentorio, indicando la ferita che aveva riportato nello scontro. “Io so cavarmela da sola,
mi pare di averti detto che una vera negromante…”
“Una vera negromante non ha niente da temere da un vampiro!” dissero assieme e si sciolsero
entrambe in un sorriso d’intesa. Anita esalò esasperata, poi un’inaspettata apparizione sulla porta
del locale, le cancellò il sorriso dal viso e le scurì lo sguardo. “Ti aspettava?” domandò sottovoce.
L’altra si guardò istintivamente dietro le spalle, sorrise, sollevò la mano in un cenno di saluto alla
splendida figura irradiata dall’intermittente luce vermiglia dell’insegna ed annuì. “Forse dovresti
dirmi un sacco di cose, Alexandra O’Brian…”
Alex si staccò dall’auto in un morbido guizzo di addominali ed annuì di buon grado. “Domani,
Anita, promesso, per ora è più importante che andiate tutti a dormire qualche ora.” Si voltò di spalle
ed iniziò a camminare verso il Master che, adagiato sul muro sotto lo strampalato cartello di divieto,
scalciava il terreno, come un perfetto umano in snervante attesa di essere preso in giusta
considerazione. “Domani risponderò a tutte le tue domande…” si voltò a guardarla. “ma ora, ti
prego… Accompagna mia sorella e vai a dormire.” Detto questo non si voltò più, se non per
soffiare un bacio in direzione della sorella, che ricambiò e fece partire l’auto senza altre esitazioni.
Il rombo delle tre macchine, una un po’ più in ritardo delle altre, la stessa che strappò dalle labbra di
Jean-Claude un bacio appena accennato, riempì la notte, fin quando non scemò del tutto.
“Sei in anticipo…” le sorrise lui.
Lei fece altrettanto. “Ma tu a quanto pare, sei già pronto per andare…”
Gli occhi del Master le scivolarono addosso, con la stessa intensità con cui l’avevano guardata
poche ore prima. Una carezza ispettiva, che le percorse il viso, le scorse sul corpo e che esitò sul
suo seno, proprio in concomitanza con la ferita alla schiena. “Sei ferita…” sussurrò rammaricato,
mentre tornava a guardarla negli occhi.
“Io guarisco in fretta, lo sai…” Rispose sorridendogli tranquilla.
Il Master annuì sospirando lievemente, poi tese languidamente la mano verso la sua e la prese con
dolcezza per portarsela al braccio. “Andiamo, chèrie, io adoro passeggiare sotto le stelle…”
Sussurrò alzando lo sguardo al cielo notturno, dove il blu infinito dei suoi occhi si fuse in un
connubio cromatico perfetto con l’infinito. Alex lo osservò per un attimo, poi distolse lo sguardo
per tornare a guardare l’asfalto scuro davanti ai suoi piedi. Il meraviglioso profilo del vampiro si
animò di un tenero sorriso ed iniziò lentamente a passeggiare con lei. “Specialmente quando sono in
buona compagnia…”
Victoria parcheggiò l’auto sul retro dell’hotel Sunshine e fece cenno agli altri due di attenderla lì.
Le sue mani indicarono sé stessa, poi la porta principale, poi la sua auto ed infine la scala
antincendio seguendola fino al terzo piano della palazzina dove di sicuro si trovava la sua stanza.
Edward annuì, Anita fece altrettanto ma nient’affatto convinta della cosa. Victoria uscì fuori del
vicolo e svanì ai loro occhi senza aggiungere altro. “Non capisco per quale motivo debba tenerlo
con lei…” borbottò adombrata, rivolgendosi più a sé stessa che ad Edward.
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Lui la guardò e mentre incrociava le mani sul petto, si adagiò alla balaustra di ferro che limitava la
scala dove avrebbero dovuto far salire Richard. “E’ inoffensivo, se è davvero questo che ti
preoccupa…” Anita trasalì e si voltò bruscamente a guardarlo. Gli occhi di lui le brillarono dentro e
si scoprì ad arrossire, cosa che non passò di certo inosservata all’altro, che inclinò la testa di lato
con aria scettica e forse un po’ infastidita. “Ma vista la tua faccia, non credo che il problema sia
realmente l’incolumità di Victoria.”
“Finiscila, Edward!” sibilò irritata. “Una ragazzina con un mannaro nudo in giro per casa! E’ questo
quello che mi preoccupa!” gli occhi dell’uomo si assottigliarono talmente tanto da far svanire il
rifulgente turchese che li rendeva magnifici, facendole quasi mancare il fiato per proseguire con le
scusanti. “Edward…” aggiunse con la voce arrochita dall’agitazione. “I licantropi affogano le lune
nel sesso…” si diede di nuovo tono e proseguì con più determinazione. “Non so se te ne sei accorto,
ma Richard è un licantropo…”
Lui non batté ciglio e non mosse nemmeno un muscolo. “Un licantropo addormentato che quando si
sveglierà sarà ancora pieno giorno, con una ragazzina, come la chiami tu, che tutt’è fuorché una
povera sprovveduta… Questa non è la favola di Cappuccetto Rosso, Anita.” si rimise in equilibrio
con un gesto fluido e deciso ed avanzò di qualche passo verso di lei, gli occhi ancora assottigliati
nella ricerca delle risposte che lei non gli avrebbe mai dato e le braccia incrociate sul petto, in un
gesto di chiusura che glielo rese un perfetto estraneo. Era dannatamente diverso dal solito e questo
rendeva lei l’unica vera sprovveduta della situazione. “Vuoi portarlo da te?” le domandò gelido, ma
infinitamente calmo.
Lei scosse febbrilmente la testa, ma prima che potesse dare voce a qualsiasi cosa, il lieve clangore
della porta del terzo piano, l’avvisò del ritorno, se pur da un punto diverso, della famosa
Cappuccetto Rosso in gita a St. Louis. Victoria, trotterellò in punta di piedi per le scale e si gettò
sull’auto senza degnarli di troppe attenzioni. Spalancò la portiera di dietro e reclinò la testa di lato,
contemplando teneramente il placido sonno del suo bellissimo protetto. Cosa che, animò
nuovamente Anita di un portentoso attacco di bile. “Victoria…” sussurrò avanzando velocemente
verso di lei. “Io non credo che sia il caso che tu rimanga da sola con lui.” L’altra trasalì come
colpita da una doccia gelata e si voltò a guardarla in modo ostile. “E’ inutile che mi guardi così…”
disse cercando di mantenersi ben salda al suo atteggiamento da capobranco e sollevando il dito a
puntare il naso di Richard. Evitò di voltarsi a guardarlo per non soccombere al rimorso di quello che
gli stava per fare, ovvero trattarlo come un mostro dei peggiori, e proseguì. “E’ un licantropo, non
un gattino raccolto per strada, ed il fatto che dormirà per dodici ore non mi tranquillizza affatto.”
Victoria incrociò le braccia sul petto e la studiò attentamente. Pura e detestabile gelosia, una cosa
assurda visto che non riusciva più nemmeno a guardarlo in faccia da quando lo aveva visto in veste
animale. “Forse ti dimentichi che queste sono le disposizioni di mia sorella.” Sibilò. “Ed io prendo
ordini soltanto da lei. Quindi o mi dai una mano, o faccio da sola.”
Anita squittì acida. “Vuoi portarlo su per sei rampe di scale?!” la risata sciocca che le defluì dalle
labbra, fece quasi esplodere l’altra, che seguì il suo dito durante l’ascesa fino al suo piano, come se
volesse azzannarglielo per staccarlo dalla mano. “A meno che tu non sia come tua sorella, non vedo
proprio come potresti fare per…” La voce le morì in gola, quando sconvolta si ritrovò a fare i conti
con la biondissima testa di Edward che si faceva strada fra loro, per entrare nell’auto ed estrarne il
dormiente.
Victoria abbassò lo sguardo su di lui, poi lo risollevò alla Sterminatrice e sorrise. “Fatti da parte…”
sussurrò compiaciuta, scostandola senza troppo riguardo per poi aprire lo sportello davanti e dare
una mano alla Morte e tirare fuori Richard. “In due ce la facciamo benissimo.”
Anita li fissò ad occhi sgranati mentre lo sostenevano con le spalle, senza nemmeno troppa fatica
visto che erano quasi alti uguale e lui si lasciava trasportare docilmente, e lentamente, un passo alla
volta, lo portavano su per la lunga scala di metallo. Li guardò senza più il coraggio di aggiungere
altro, osservò la casta cura della ragazza nel rimettergli addosso lo spolverino quando gli cadde da
sopra scoprendogli la nudità, e li seguì fin quando non li vide svanire dietro l’ultima svolta che
conduceva all’ingresso del piano. Rimase impietrita senza il coraggio di muoversi, a chiedersi se
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davvero l’unica cosa che l’avesse spinta a fare la stronza con Victoria, fosse stata la stupida gelosia
di sapere Richard con un’altra. Forse si, forse era stata soltanto pura e semplice gelosia. Un ignobile
sentimento che non le spettava più, visto che ora non sarebbe più riuscita a pronunciare il nome di
quell’uomo, senza provare un brivido di repulsione. Si appoggiò all’auto sfinita e con un gesto
meccanico richiuse prima l’una poi l’altra portiera. Il bel sogno d’intesa con il professor Zeeman era
sfumato nel tenue chiarore della luna, e purtroppo non contava niente che lui si fosse trasformato
per accorrere in loro aiuto. Sentì i passi dei due ritornare sulla scala, il bip dell’antifurto dell’auto
della ragazza che con la chiusura delle portiere dichiarava anche la fine dei giochi e si nascose il
viso nelle mani, per non voltarsi verso l’alto a guardarli.
“Grazie…” Sussurrò Victoria stringendo timidamente la mano di quello che fino ad un’ora prima
aveva visto come il suo più acerrimo nemico.
Edward annuì e le sorrise. “Grazie a te per non avermi ammazzato quando potevi farlo…”
Victoria scosse la testa e ritirò la mano per riporla al sicuro nelle tasche dei pantaloni. “Purtroppo,”
esalò esasperata “mia sorella ha sempre dannatamente ragione… Secondo me la dovrebbero fare
Guru di qualche cosa.” Ridacchiò fanciullescamente facendo un piccolo passo indietro per rientrare
nell’hotel.
“Però hai ragione anche tu a dire che sono un mostro, ragazzina.”
Victoria si strinse nelle spalle e roteò elegantemente sui tacchi alti gettandogli un ultimo sorriso di
gratitudine. “Infatti non è detto che prima o poi non decida di riprovare a farti fuori.”
Edward rise, una risata calda che empì la notte e che fece fremere ogni singola cellula del corpo
dell’ascoltatrice al pian terreno, che mestamente aveva ripreso a tornare alla sua auto. “Vorrà dire
che allora da oggi in poi ti terrò meglio d’occhio.”
Victoria chiuse la porta e lui, assaporando a pieni polmoni la frescura della brezza notturna che gli
accarezzava il viso, tornò giù. Si guardò attorno, scosse la testa poi, anche lui con le mani al sicuro
nelle tasche, proprio come aveva fatto la sua nemesi con i boccoli, tornò alla sua auto. Anita se
n’era già andata.
Victoria ripercorse in punta di piedi il lungo corridoio e stando attenta a non fare troppo rumore,
rientrò nella sua stanza chiudendosi la porta dietro le spalle, addossandocisi con la schiena per
osservare le morbide linee del corpo addormentato del licantropo. Le cosce ed i polpacci
splendidamente scolpiti dall’attività fisica e le lunghe passeggiate in montagna, sfuggivano dallo
spolverino troppo minuto per poter nascondere tutta la sua altezza ed i lunghi capelli castani, vi
serpeggiavano sopra, brillando nel fioco chiarore della abatjour. Rimase al lungo in silenzio, con gli
occhi incollati a lui come se non riuscisse a fare a meno di guardarlo, sperando incoscientemente
che si voltasse per fare altrettanto. Avrebbe dormito per un tempo non ben definito… E pensare che
adesso non chiedeva altro che parlare con lui. Con le mani di nuovo nelle tasche, dopo un po’, si
decise a fare il giro del letto di Alex per accucciarsi al suo fianco e guardarlo più da vicino. Si
appoggiò delicatamente sul limitare del materasso ed ancora una volta rimase in dolce
contemplazione della cosa più bella che avesse mai visto. Quell’uomo speciale, le aveva salvato la
vita, e poco contava che fosse successo di riflesso al reale tentativo di salvarne un’altra per lui
molto più importante della sua, o che lo avesse fatto dimostrando di essere una creatura selvaggia e
temibile. Anche in veste animale, Richard era stato in grado di farsi vedere al meglio della sua
personalità… Reclinò il viso di lato e soffermò lo sguardo su quel soffice sorriso beato che gli
increspava le labbra. Il sonno lo stava aiutando a dimenticare i terribili dolori provati durante
l’estenuante trasformazione, ma il ritorno alla veglia, lo avrebbe fatto nuovamente soffrire. Gli
scostò una ciocca ribelle dal viso e lui si mosse appena, come se le fosse stato grato di quel gesto.
“Riposati…” gli sussurrò, sporgendosi verso di lui, per posargli un bacio sulla fronte.
Richard si mosse ancora una volta e girò su sé stesso, volgendo il viso al soffitto. “Anita…”
sussurrarono incoscientemente le sue splendide labbra e Victoria si sentì morire.
Non badò allo spolverino che scivolava via dal suo corpo, regalandole la splendida immagine della
perfezione del suo fisico da atleta, né tanto meno alla mano che scivolava sulle lenzuola per cercare
la sua, credendo che fosse quella di un’altra. Chiuse gli occhi, si tirò di nuovo in piedi e lo coprì
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velocemente con le coperte che aveva tirato giù, prima che Edward potesse adagiarlo sul letto. Non
fu la gelosia che animò le lacrime che spietate iniziarono a rigarle il viso, bensì la dolorosa certezza
che Anita non sarebbe stata più in grado di scindere l’uomo dalla bestia. Tornò a guardarlo, ma
distolse quasi subito lo sguardo stringendosi nelle braccia e si voltò verso la finestra, per poter
uscire e prendere una boccata d’aria. Non uscì.
Gli uomini non sanno scindere la diversità dal male, lo sapeva, aveva finto di essersene fatta una
ragione, ma in quel momento fu più dura da mandare giù che un blocco di cemento armato. La notte
di fuori scivolava silenziosa verso un nuovo giorno e lei non aveva la stanchezza necessaria per
chiudere gli occhi e non pensare. C’era una cosa soprattutto che la faceva sentire persa e sconfitta,
ovvero il sapere che Alex aveva avuto ragione anche quando aveva dato voce a quella crudeltà.
Marcus aveva mollato, mentre loro ancora si ostinavano a combattere una battaglia che avrebbe
tutelato qualcosa che avrebbero soltanto dovuto combattere… Lui aveva gettato la spugna, quando
ancora loro stavano intraprendendo la strada che le avrebbe cambiate per sempre. Perché erano
cambiate anche grazie ai suoi errori, anche grazie a quella che sua sorella aveva dolorosamente
chiamato la sua stupidità. La tenda le scivolò dalle mani e la notte tornò a svanire dietro il candore
del suo tessuto.
Richard avrebbe sofferto per colpe che non aveva, nonostante si fosse fatto in quattro per dimostrare
alla Sterminatrice di essere degno del suo amore. Ma forse la verità era che Anita non l’aveva mai
amato realmente. Non si sfugge all’amore quando è vero ed appassionato e proprio la stessa Alex ne
era la dimostrazione… Continuava ad amare con tutta sé stessa qualcuno che l’aveva tradita senza
curarsi delle conseguenze e del dolore che si sarebbe lasciato dietro, nonostante sarebbe stato molto
più facile decidere di odiarlo. Chinò la testa e tornò a voltarsi… Quella sera avrebbe voluto
accoccolarsi fra le braccia di sua sorella proprio come quando erano due bambine spaventate dal
buio, ma lei aveva preferito continuare a combattere la sua guerra senza fine. Esalò tristemente e
ripercorse la distanza che la divideva dal suo letto, occupato però da qualcuno al quale avrebbe solo
voluto dare un briciolo di pace. Scivolò sopra le coperte e si distese al suo fianco, adagiando la testa
proprio in prossimità del suo cuore. Lo ascoltò battere, un suono ovattato, soffice, regolare, sereno,
che le fece chiudere gli occhi e che, piano, piano, la condusse dolcemente al sonno.
“Aiutami a trovare la forza d’inventare un volto che non sia il tuo… Un amore che io possa amare
più di quanto abbia amato te… Un amore dal quale poter attingere la forza che mi serve per
continuare a vivere…”
La notte li avvolse come una calda coperta in cui cullarsi e chiudere gli occhi per sognare. Un lento
sussurro del vento, che li spinse passo dopo passo, attraverso il grande parco cittadino e che li
condusse sottobraccio fino al grande tendone del Circo dei Dannati. Alexandra non proferì parola,
ed il Master, la splendida e statuaria creatura che dettava l’andatura ed il percorso dei suoi piedi, al
suo fianco fece altrettanto. Entrambi deliziati dalla sola compagnia dell’altro ed intenti ad
imprimersi nella memoria ogni singolo suono e fruscio del vento che spostava le foglie accanto al
loro cammino. Entrambi avvinti da quel lieve contatto che aveva fatto girare tutti coloro che erano
incappati nel loro passaggio. Alexandra aveva sorriso abbassando timidamente lo sguardo ad ogni
incontro, mentre Jean-Claude aveva semplicemente finto di non curarsi del mondo intero, perché,
per quanto sapesse anche lui che incappare in due come loro, abbigliati come loro per l’appunto,
teneramente stretti in una passeggiata che mimava la languida eleganza d’altri tempi ai quali era
appartenuto una volta, fosse una cosa inusuale ed un po’ ridicola per chiunque altro non fosse parte
di quello splendido momento, non voleva che niente e nessuno intaccasse quel po’ di pace che si era
concesso. Anita se n’era andata senza degnarlo di un saluto, ma quella notte, inaspettatamente e
contrariamente a tutte le altre in cui quel gesto arido e freddo avrebbe riscosso in lui dolore ed
amarezza, il suo modo di fare ed il fatto di essere stato completamente ignorato non erano stati
affatto rilevanti. In quel momento si era solo preoccupato di farla andare via al più presto possibile,
per concedersi, se pur solo in un sogno che forse non si sarebbe mai avverato, la semplice attesa di
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poter sfiorare ancora una volta quelle labbra vellutate sulle quali il sapore della leggenda, si era
colmato del gusto corposo della realtà. “Siamo arrivati, chèrie…” sussurrò sollevando con la punta
delle dita lo spesso paramento che delineava l’entrata secondaria del tendone del circo. Alexandra
sollevò lo sguardo, irrigidendosi come se si fosse accorta soltanto allora del tempo trascorso. Ed era
proprio così che stavano le cose, Jean-Claude lo sapeva perfettamente, Alex, proprio come lui,
aveva camminato senza badare più del dovuto a quello che le scorreva intorno, mossa soltanto dalla
morbidezza dei suoi passi, che l’avevano guidata senza mai accennare a fermarsi. Era stato la sua
guida e lei, la Sterminatrice dal cuore di ghiaccio, aveva accondisceso ad ogni suo desiderio senza
mai opporsi né a parole, né a gesti. Lui le guardò il profilo ed attese che lei dicesse qualcosa.
D’istinto la mano di lei, si chiuse sulla fresca seta nera che gli ammantava il braccio e la gola,
deglutì visibilmente l’indecisione. Poteva semplicemente guardarlo, sorridergli e dirgli ok ora sei a
casa e fuggire al sicuro nella sua stanza d’albergo, oppure continuare a seguirlo, per parlare per il
tempo rimanente e magari lasciarsi andare a confidenze e probabili dolorosissime lacrime. Si voltò
lentamente verso il suo viso che trovò già assorto in contemplazione del suo. Respirò appena,
quando i suoi occhi s’immersero nel blu sconfinato di quelli di lui, non sapendo, che in quello
stesso istante lui stava facendo altrettanto.
Il vampiro le chiuse dolcemente le dita sulle sue, fin quasi ad intrecciarle in un gesto intimo.
“Alex…” sussurrò con gli occhi che le percorrevano le lunghe ciglia nere, in una carezza mentale.
“Manca ancora un’ora e mezza all’alba…” lei annuì, un gesto lento, nel quale paura e smarrimento
vibrarono empiendole la gola di angoscia. “Io vorrei che tu venissi con me.” Lei non rispose. Volse
lo sguardo alle sue spalle e per un attimo, un uomo, un vampiro o qualsiasi cosa fosse divenuto in
quel momento, avvezzo all’autocontrollo ed al dominio assoluto sul prossimo, ebbe paura di sentirsi
franare via la terra da sotto i piedi con un rifiuto. L’unica cosa che chiedeva era poter sentire l’alba
sorgere sul mondo rimanendo al suo fianco… Assurdo… Ma perché chiedersene il motivo, quando
aveva scelto di essere una creatura completamente preda dell’istinto? Rimase impassibile, ma sentì
il cuore accelerargli talmente tanto da ottenebrargli i sensi. “Alex…” la chiamò, ma prima che
potesse dire qualcos’altro, la mano di lei si levò alla tenda e la sollevò per precederlo all’interno. La
seguì chiudendo gli occhi in un muto ringraziamento a chiunque fosse nella possibilità di afferrarlo.
Alexandra lo attese e senza guardarsi intorno, completamente fiduciosa della sua buona fede, lo
seguì lungo un corridoio di stoffa che conduceva ad una lunga scala a volta. Intraprese la discesa,
pensando a quante volte aveva disceso una scala molto simile a quella, per condurre al riposo
Marcus. In quel momento però, il ricordo di lui le apparve dolorosamente sbiadito e dovette
chiudere gli occhi per non lasciarsi andare alle lacrime. Guardava a lui e continuava a vedere il
sorriso rifulgente di un’altra magica creatura delle tenebre, ovvero la stessa che stava seguendo
senza esitazioni nelle viscere della terra di St. Louis. Perché lo stava facendo? Non aveva le risposte
da darsi, sentiva solo che doveva e che poteva farlo, perché al di là di quelle tenebre che ora
l’avevano inghiottita e nelle quali non si sentiva sola proprio grazie a lui ed al suo potere
sconvolgente, sapeva che avrebbe trovato un briciolo della pace che aveva inutilmente cercato per
tutto quel terribile anno. Un anno vola via come il vento, ma alle volte un anno può sembrare
gravoso come un’intera vita vissuta nel dolore. Sentì il corpo di Jean-Claude tendersi in avanti e
scorse poco più in là, la lastra metallica di una porta di ferro. Sentì lo scricchiolio della maniglia ed
a poco a poco, la luce delle candele la ricondusse alla vista. Era stata una cieca nelle mani della sua
oscura guida, mentre ora era soltanto Alexandra O’Brian, nelle mani dell’unico essere al mondo che
potesse capirla e magari spiegarle che cosa era diventata. Fece scivolare lentamente la mano dal suo
braccio, ma prima che potesse ritrarla, lui la prese nella sua e la portò alle labbra per sfiorarla con
un bacio galante. “Benvenuta nel mio regno, ma chère… Ti auguro che tu possa trovarvi ciò che
cerchi.”
“Jean-Claude…” sospirò facendo ingresso dietro di lui, nell’ampio salone di pietra bardato di drappi
di tulle neri, in mezzo al quale un enorme trono di legno intarsiato e velluto color cremisi la faceva
da padrone assoluto. “Io cerco qualcosa che, purtroppo, dubito tu possa darmi…”
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Lui la guidò fino all’immenso trono e vi si sedette sopra facendole segno di accomodarsi nel poco
spazio che c’era al suo fianco. Lì, nel momento preciso in cui le gambe di lui si flessero per mettersi
languidamente a sedere, quando si incrociarono distendendosi lentamente l’una sull’altra in un
sospiro di seta nera perfettamente modellata dai suoi longilinei muscoli scolpiti, nel momento in cui
le sue braccia si allargarono per abbracciare il velluto rosso della morbida imbottitura, la sua testa di
morbidi boccoli corvini si reclinò all’indietro per adagiarsi delicatamente sullo schienale ed i suoi
magici occhi di velluto blu si levarono a lei per guardarla comodamente a suo agio e sorriderle, si
ricordò che quando aveva fatto quell’assurda promessa, si era anche detta che se ne sarebbe
pentita… Alexandra levò lo sguardo al soffitto di pietra in un gesto implorante e scoppiò a ridere.
Beh, quello era proprio il momento giusto per cominciare a pentirsene!
Jean-Claude inclinò la testa di lato e la guardò piacevolmente divertito. “Cosa c’è di così divertente,
Alexandra?!” Mettete il vostro nome in bocca al più bello degli uomini mai visti e mai esistiti, per
di più francese, e proverete l’emozione di chi ha avuto la fortuna di ascoltare gli angeli cantare le
lodi del loro creatore.
Lei scosse animatamente la testa, si passò le mani nei capelli chiudendo gli occhi per resistere
all’impulso di saltargli addosso ed espirò un’enorme boccata d’aria. “Niente.” E si sedette al lato
del suo altisonante trono, proprio sull’ultimo scalino della piccola alzata su cui era stato posto.
“Carino qui…” aggiunse con cortese enfasi, fingendo di osservare le morbide tende di tulle nere che
nascondevano la roccia delle pareti con volute ondulate e di non aver visto la sua faccia sconcertata
mentre si sedeva praticamente per terra.
Jean-Claude si sporse in avanti, adagiandosi con i gomiti sulle ginocchia. “Alex, qui è molto più
comodo…”
Lei sorrise. “Anche qui… Bisogna ammettere che casa tua è dotata d’ogni tipo di confort…”
Lui sgranò gli occhi, aggrottando la fronte in una smorfia talmente graziosa da appannarle la vista.
Pentiti Alexandra, pentiti! “Ma chère…” insistette con garbo. “Mi faccio più in qua se vuoi, ma non
puoi stare per terra!” assestò una leggera pacca sul velluto della sua poltrona papale come per farle
notare la morbidezza dei cuscini, ma lei scosse la testa e si reclinò indietro con disinvoltura.
Purtroppo non appena la ferita tornò a muoversi, la disinvoltura andò a farsi friggere e si ritrovò a
contrarre animatamente la mascella emettendo un roco lamento addolorato.
Lui guizzò con lo sguardo in direzione della ferita e si sporse bruscamente verso la sua schiena per
guardare lo squarcio che rovinava la pelle del cappotto, più da vicino. Alex scattò in piedi gemendo
ancora una volta per il brusco movimento e gli puntò un dito praticamente sul naso. “Sia chiaro, non
faccio fare assaggiatine a chi non conosco e l’ultimo che ha assaggiato il mio sangue è morto.”
Inutile stargli a spiegare che non era morto per quello, ma per ben altro e che il fargli assaggiare il
suo sangue era uno di quei piccoli piaceri che a quel tempo si concedeva nella vita. Di nuovo la fitta
alla schiena, alla quale seguì un guizzo di tutti i muscoli di Jean-Claude, che senza nemmeno darle
il tempo di capacitarsene, le arrivò dietro la schiena e le sfilò velocemente di dosso lo spolverino.
“Fallo ancora e ti ammazzo!” gridò roteando su sé stessa, ma il vampiro, ancora una volta talmente
rapido da non permetterle di rendersene conto, era di nuovo dietro le sue spalle e la teneva ferma
con entrambe le mani, controllando attentamente e molto da vicino la lacerazione.
Jean-Claude esalò fingendosi estraneo all’atteggiamento poco carino di lei e le fece scorrere la
mano lungo la linea della scollatura. Alex sgranò gli occhi quando sentì il respiro scivolarle addosso
con la stessa intensità delle sue dita, ma non riuscì a muoversi, perché quel tocco le strappò ogni
ostilità di dosso. Si adesso odiava davvero St. Louis… O l’amava? NO! L’odiava! “Ma chère… Hai
una brutta ferita…” mormorò lui, posandole la mano sulla schiena, l’ennesimo tocco gelido che
parve ustionarla come un ferro arroventato.
“Gu… Guarisco in fretta…” Perché ridirlo se l’aveva già detto e se lui lo sapeva benissimo?!
Magari perché aveva la mente completamente ottenebrata dal tocco sensuale della sua mano sulla
pelle ed il cuore talmente sparato all’impazzata nel petto, da sentirsi sul punto di svenire? Osservò
lo spolverino accasciato al lato dei suoi piedi e desiderò ardentemente di afferrarlo e poterlo sentire
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nuovamente addosso con il suo peso caldo e rassicurante. Dire che si sentiva nuda, non dava i giusti
meriti al suo attuale stato d’animo…
Jean-Claude le fece pressione sulle spalle e la costrinse a voltarsi verso di lui. La fissò per un po’,
poi sospirò rassegnato e si portò le mani ai fianchi. “Se perdi troppo sangue, rischi di…” tacque
come se avesse paura di ferirla nel dirlo ed aggiunse un “Beh, lo sai…” sollevando i palmi delle
mani. Lei distolse lo sguardo, come se avesse paura di guardare quello che gli si muoveva negli
occhi. Oltre lui, solo Lucas, l’attuale Master di New York, sapeva cosa le fosse successo veramente.
Si nascondeva dietro ad un dito a quanto pareva, perché bastava che qualcuno dei più forti le
posasse gli occhi addosso che ecco arrivare il crollo di un’intera fortezza d’estenuanti sotterfugi.
Certo Lucas non aveva avuto bisogno di infilarle la lingua in bocca per accorgersene, ma forse
ognuno aveva i suoi metodi per indagare sui probabili nemici… Sentì le sue dita sotto il mento che
la spingevano a guardarlo e l’altra mano del vampiro farsi strada dietro la sua schiena per accostarla
un po’ a sé. “Alex…” sussurrò riempiendo l’aria di una dolcezza che aveva provato soltanto
sentendosi chiamare da qualcun altro che ora purtroppo non esisteva più e che non avrebbe mai più
potuto pronunciare il suo nome. “Tu pensi che io sia soltanto un mostro?” lei lo fissò sgomenta,
senza riuscire a capire cosa potesse nascondersi dietro a quella strana domanda. “Rispondimi,
Alex…” le disse con calma determinazione. “Tu quando mi guardi vedi soltanto un mostro?” I
lunghi boccoli di seta, scivolarono di lato assieme al delicato inclinarsi del suo viso in attesa di
ricevere una risposta.
Lei scosse la testa. “No, ma…”
“Allora perché hai paura che io veda in te quello che non potrai mai essere ai miei occhi?” Lei
sgranò gli occhi e scoppiò a piangere. Detestava piangere, soprattutto quando seguiva un caso, ma
in quel momento non fu in grado di fermarsi o di decidere di rispondere qualcosa di sensato. Il caso
non c’entrava più, adesso il problema era soltanto lei ed il suo disperato bisogno di sfogarsi. Sentì il
cuore scoppiarle nel petto e non oppose resistenza quando la mano di lui le si insinuò fra i capelli e
l’altra la tirò dolcemente al suo corpo. Obbedì alla sua lieve spinta che gli impose di piangere sul
suo petto e lo seguì quando la condusse fra le sue braccia, su quel trono che fino a quel momento
aveva così ostinatamente evitato di testare. Affondò nei cuscini e nel suo petto e lì, al sicuro in
quell’abbraccio che per la prima volta trovò in lei lo stesso trasporto, lasciò che il dolore si
disperdesse assieme ai singhiozzi ed al pianto. “Te l’ho detto Alex, tu per me sei pura magia, sei la
splendida dimostrazione che in me ed in quelli della mia specie c’è la reale possibilità di amare
qualcuno con tutti noi stessi.” Lei s’irrigidì di colpo colpita al cuore da quella strana constatazione e
la mano di lui le fece scivolare sul braccio una carezza, mentre le sue labbra le posavano fra i
capelli un bacio leggero e la rivelazione che aveva sempre cercato di poter avere. “E’ l’amore la tua
condanna, ma chère…” sussurrò. “Colui che ti ha marchiata, ti ha anche amata più di ogni altra cosa
al mondo. Un amore che ti ha svincolato quando invece avresti dovuto morire assieme a lui…”
Alex sollevò gli occhi per guardarlo mentre parlava e si trovò a pochissimi centimetri dalle sue
labbra. Queste s’incurvarono delicatamente a regalarle un sorriso. “La leggenda dice, che solo un
amore molto forte può far migrare l’anima del vampiro, nel corpo del suo servo umano…”
“Io non ero la sua serva umana,” balbettò. “io…”
“Tu eri la donna che amava più di sé stesso ed alla quale ha voluto dare la possibilità di vivere
nonostante lui se ne stesse andando…” Jean-Claude sospirò amaramente, provando invidia per
qualcosa che forse non sarebbe stato mai in grado di dare a nessuno. Un amore vero,
incondizionato, senza vincoli o stupide egoistiche costrizioni. “Te l’ho detto, ma chère… La tua
condanna sta proprio nell’amore che lui provava per te… Ti ha dato sé stesso e così tutte le armi per
divenire un vampiro senza limiti… Non sei mai morta e questo ci distingue e non puoi morire, se
non, proprio come me, per mano tua o di qualcuno più forte di te… Come può un angelo, se pur
dannato, apparire ai miei occhi come un mostro?” Le sue labbra si animarono ancora di più di quel
sorriso che nascondeva solitudine e tristezza. Guardarla negli occhi, era come spiare fra i segreti più
intimi di un altro, assaporare il suo profumo e sfiorare la sua pelle, era come voler rubare il tesoro
inestimabile di qualcuno che non aveva più le armi per difendere il suo bene più prezioso… Eppure,
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per quanto si sentisse un vile, non riusciva a non stringerla sperando di poterla tenere così per tutto
il resto dell’eternità. Le posò entrambe le mani sul viso e le scostò i capelli per guardare meglio la
dolce perfezione dei suoi lineamenti. Voleva rubare il sole ad un altro immortale che aveva fatto di
tutto pur di preservarla dal male… “E’ stato molto fortunato, lo sai?”
Alexandra cercò di distogliere lo sguardo da lui, ma le sue mani non glielo permisero. “Marcus…”
il nome le si articolò fra le labbra come il più pesante dei fardelli. “Marcus mi ha tradita e se questo
era il suo concetto di amore, beh, allora non so proprio che diavolo intendesse per amare qualcuno.”
Jean-Claude la fissò intensamente chiedendo senza farlo di essere più chiara. “Ha svegliato un
demone dall’oblio, per piegare i potenti al suo volere e far cambiare le leggi che non vi tutelano…”
singhiozzò, mentre gli occhi del Master si sgranavano inorriditi dall’assurdità che stava ascoltando.
“Parlava di cambiare il mondo con la pazienza ed invece mi ha lasciata a combattere da sola una
guerra che combattevo soltanto per lui.” Amore, vero e puro, e non quello di qualcuno che anche se
fosse stato senza volerlo aveva tradito, bensì quello di una donna verso l’uomo al quale aveva
regalato la sua umanità. Alexandra era quello che Anita non avrebbe mai accettato di essere per lui
e Dio solo sapeva quanto questa cosa lo facesse sentire un fallito. Jean-Claude sentì il cuore
scoppiargli nel petto dalla rabbia e dall’invidia. Ad un altro era stato dato il sole che lui non avrebbe
mai visto e ci aveva sputato sopra, correndo incontro a stupidi sogni di gloria. “Non mi bastano le
scuse, le mille giustificazioni che tutti abbiamo cercato di trovargli, non mi basta sapere che mi ha
dedicato anche il suo ultimo respiro!” Alex si aggrappò a Jean-Claude e con l’altra mano colpì con
violenza la testiera del trono. “Io c’ero! Io ci sono sempre stata! Ho fatto i miei sbagli, ma ho
cercato anche di essere sempre al suo fianco nonostante il mio vero compito fosse tutt’altro!” si
rifugiò sul petto del vampiro e gli si rannicchiò addosso, tremando e singhiozzando senza più
controllo, cosa che lo fece sentire smarrito e completamente impotente. Avrebbe dato qualsiasi cosa
per essere in grado di lenire quell’assurdo dolore che la stava distruggendo e che finalmente aveva
un nome, ma non era Marcus e purtroppo, non lo sarebbe stato mai. “Sono stanca, Jean-Claude…”
singhiozzò senza fiato avvolgendogli disperatamente la vita con le braccia. “Stanca di sentirmi sola
e di dover continuare a mentire con mia sorella, ovvero l’unica persona che non ha mai smesso
nemmeno per un istante di fidarsi di me!”
Il Master sentì la morsa delle lacrime asserragliargli gli occhi e la strinse fra le braccia,
nascondendo il viso fra i suoi capelli. “Non sei sola, ma petite… Se solo lo volessi… io…” sussurrò
e mentre il suo cuore chiedeva soltanto di avere per sé un amore così grande, sentì il corpo di lei
guizzargli fra le mani e le sue labbra morbide e vellutate incollarsi alle sue in un bacio appassionato.
Non aprì gli occhi per paura che quel sogno sfumasse lasciandolo ancora una volta in quella lugubre
bara a piangere maledicendo il giorno in cui aveva scelto d’intraprendere quell’infinita strada
solitaria. Per la prima volta da quattro secoli, si aggrappò a qualcuno, come un uomo e non come un
vampiro, attingendo da questo qualcuno speranza invece che il sangue con cui nutrirsi per sentirsi il
padrone del mondo. La lingua di lei gli invase la bocca e lui si sentì precipitare in un universo di
sentimenti e sensazioni ingestibili. Il mondo era finito… Ma la vita pareva che stesse cominciando
soltanto adesso.
Il lieve colpo che animò la lastra della porta, la fece voltare di scatto, con gli occhi ancora pieni di
lacrime e le mani infilate nei capelli. Rimase in silenzio, senza respirare per far in modo che nessun
altro singhiozzo le sfuggisse dalle labbra. Attese. Forse si era sbagliata, forse era stata semplice
immaginazione e non c’era nessuno al di là di quella porta che la teneva al sicuro dagli sguardi
indiscreti di quelli che voleva tagliare fuori dalla sua rabbia e dal suo dolore. A dispetto delle false
speranze però, la porta tornò a risuonare del delicato rumore di tre colpi. “Anita…” sussurrò la voce
di uomo che riconobbe da subito senza il bisogno di riflettere. “Anita fammi entrare…”
Fece scivolare le mani fra i capelli e si guardò attorno terrorizzata. Si, fino quel momento aveva
desiderato che tornasse a stringerla e farla sentire al sicuro come quando si era svegliata quel
pomeriggio, ma ora, di fronte alla realizzazione di quell’assurdo desiderio, si sentiva solo smarrita.
“Ho bisogno di dormire, Edward…” rispose, tirando delicatamente su con il naso per schiarirsi il
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più possibile la voce. “Ci vediamo più tardi…” Sentì un leggero fruscio provenire da fuori e sperò
con tutta sé stessa che avesse ceduto alla sua richiesta. Era già assurdo che non si fosse introdotto in
casa senza avvisare, ma pareva che fossero cambiate realmente un sacco di cose. La Morte aveva
usato il tatto… Se non fosse stata così giù, a quel punto se la sarebbe fatta sotto dalle risate.
Fuori dalla porta, Edward si passò le mani nei capelli indeciso sul da farsi. Aveva bisogno di
vederla e quando era arrivato davanti alla porta del suo appartamento l’aveva sentita piangere.
Sarebbe stato capace di lasciarla da sola in quel momento? Rifletté per un attimo, poi scosse la testa
amareggiato. Il problema era che non l’avrebbe fatto prima, figuriamoci ora che non riusciva a stare
due minuti senza di lei. Alle volte il cambiare rende più stupidi che altro. “Anita… Lasciami entrare
o sparo sulla porta…” disse con calma.
Anita sgranò gli occhi sconcertata e si gettò all’indietro verso la sua Browning, ignorando se pur a
fatica il dolore che le sconquassò la schiena. “Edward, tu fallo ed io ti ammazzo.” Rispose secca,
con l’arma già in pugno e spianata verso la lastra di legno laccato che ancora li divideva.
Edward sorrise. “Io voglio un caffé e tu mi spari… Bella riconoscenza dopo essermi affannato per
evitarti di diventare la cena di un branco di vampiri!” Anita sollevò lo sguardo al soffitto esasperata,
ma lui tornò a parlare prima che potesse dirgli la sua in merito. “Poi faremmo troppo baccano… Il
cane della vicina comincerebbe ad abbaiare, poi le sirene della polizia, le mille domande e ti
ritroveresti a dovermi pagare il funerale…”
Chi diavolo gli aveva dato tutta quell’estenuante loquacità?! Dio mio, era diventato peggio di
Irving! Fissò la porta con gli occhi sempre più fuori dalle orbite, ma sta volta sorrise. “Di solito per
entrare non chiedi permesso, come mai sta volta lo fai?!”
“Diciamo che mia nonna mi ha insegnato ad essere una persona educata…”
Lei rise asciugandosi gli occhi con la punta delle dita. Era magnifico, riusciva persino a rimetterla di
buonumore. “Te ne sei ricordato presto!” squittì posando sul divano la pistola e rimettendosi
indietro ormai rassegnata a non poter languire nella completa solitudine che forse non aveva mai
realmente voluto. “Solo un caffé, poi te ne vai e ce ne andiamo tutti e due a dormire per qualche
ora.” O magari avrebbero potuto dormire assieme… S’inchiodò con la mano sulla maniglia e
scoppiò a ridere. Si come no!
Quando la porta si aprì, il bel viso di Edward l’accolse con un sorriso a trentadue denti, che gli rese
lo sguardo un pozzo di acqua cristallina in cui attingere l’allegria. Anita scosse la testa e si fece da
parte, muovendo languidamente la mano verso l’interno per invitarlo ad entrare. Lui varcò la soglia
e lei richiuse la porta adagiandosi su di essa per poterlo guardare di spalle. Era tutto fottutamente
strano, perché Edward, ovvero il suo peggior amico/nemico, le stava dando le spalle come se niente
fosse! “Perché piangevi?” disse lui, camminando verso il divano per poi crollarvi sopra con
sicurezza.
Ecco giunto il momento di fare fuoco, peccato però, che avesse dimenticato la pistola proprio
accanto al punto dove adesso si era seduto lui. “Non piangevo affatto.” Rispose con freddezza, ma
lo sguardo allusivo che Edward dedicò al suo viso evidentemente ancora rigato dalle lacrime, la
obbligò a smettere di fare la dura. Del resto in quel momento si sentiva tutto fuorché una dura…
“Mi fa male la ferita…” Stupida idiota e cretina… Edward, nemmeno una settimana prima, le aveva
fatto una lunga seduta di purificazione con l’acqua santa e, visto che non l’aveva vista piangere
nemmeno in un momento come quello, ovviamente non le avrebbe mai creduto.
Edward sospirò rassegnato e tese la mano verso di lei per invitarla a raggiungerlo. “Fammi
vedere… Se ti fa singhiozzare, allora deve essere una cosa grave.”
Ma che, era solo un graffio! “Tranquillo, faccio il caffé e dopo vado a dormire. Per certe cose basta
solo qualche ora di sano riposo.” Questo se Bert non si fosse ricordato di doverla ammazzare per
aver dato buca a due rianimazioni… Anzi… Strano che non l’avesse ancora fatto…
L’uomo si rimise in piedi con la stessa agilità con la quale si era seduto e la raggiunse con due
ampie falcate. “Fammi vedere.” La staccò con foga dalla porta e mentre lei cercava di divincolarsi,
non con molta determinazione veramente, le sfilò lo spolverino di dosso. “Girati.” Le ordinò.
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“Edward, non…” per ovvie ragioni, visto che la girò praticamente di peso, si ritrovò faccia alla
porta e le mani di lui, intente ad aprire con delicatezza lo squarcio della stoffa, sotto il quale doveva
essere la famosa dolorosissima ferita. Trasalì con un gemito, quando il suo dito incappò nella
bruciante lacerazione. “Almeno fai piano!”
Lui sorrise. “Non vedo bene così…” Non attese che lei potesse rispondere qualcosa, l’afferrò per un
braccio e la condusse nel bagno.
“Che devi…?!”
“Levati la maglietta.” Anita squittì terrorizzata all’idea di farsi vedere in reggiseno da lui ed
indietreggiò fin quando non si ritrovò ancora una volta con le spalle al muro e senza vie di fuga.
Solo la settimana prima, non si era fatta assolutamente problemi a fare un gesto tanto naturale, ora,
invece, solo l’idea di sentire i suoi occhi su di lei, le faceva accapponare la pelle e le toglieva il
respiro. Lui si portò le mani ai fianchi ed arricciò le labbra in una graziosa smorfia seccata.
“Anita… Ti medico quella dannata ferita o con le buone o con le cattive e ti ricordo che in questo
momento l’unico fra noi ad essere armato sono proprio io…” con un gesto lento ma inequivocabile,
si aprì il giaccone facendole constatare la veridicità delle sue parole. Fu nello stesso istante in cui gli
occhi di lei si assottigliarono e le sue belle labbra si sporsero lievemente in avanti per sfoderare un
blando muso, che la ferita passò completamente in secondo piano. Edward, ovvero la Morte che
aveva sempre guardato al prossimo con cinico distacco, sentì il cuore accelerare e le gambe divenire
molli. Lei si sfilò lentamente l’attillatissima maglietta nera, e mentre i suoi lievi gemiti sofferenti,
animavano il pesantissimo silenzio che era piovuto fra di loro, si sporse in avanti per aiutarla.
Distolse lo sguardo dal suo piccolo corpo quando fu completamente spogliata dell’indumento e le
posò la mano sulla spalla per farla voltare. Tornò a guardarla soltanto quando fu certo di non vedere
nulla che gli avrebbe fatto perdere tutto l’autocontrollo di cui era sempre stato padrone e si dedicò
alla ferita. Le mani gli tremavano ed il cuore batteva a più non posso come non lo aveva mai sentito
battere prima di allora. “E’ soltanto un graffio più profondo del normale, Anita…” espirò forte e si
staccò da lei per raggiungere il mobiletto ed estrarne il disinfettante. Lei si irrigidì quando sentì il
batuffolo imbevuto di soluzione sfiorare la carne lacerata, ma lo fece ancora di più, quando le labbra
dell’uomo tornarono a parlare per formulare un’altra domanda alla quale non avrebbe potuto
rispondere se non decidendo di lasciarsi andare una volta per tutte. “Sei sicura che stessi piangendo
solo per questo?”
“No Edward…” sospirò inaspettatamente abbassando con la testa anche tutte le ultime difese e
nascondendosi il viso nelle mani. “Piangevo perché sono stanca e soprattutto perché non ci sto
capendo più niente.”
Richard riempì i polmoni schiacciati dal peso della stanchezza ed aprì lentamente gli occhi. Era
ancora sfinito e constatando la poca luce che filtrava dalle tende tirate, ovvero quella di un solitario
lampione, il motivo era perché forse non aveva dormito più di un ora. Deglutì dolorosamente
l’arsura e cercò di mettere a fuoco la stanza che lo aveva accolto. Non riusciva a muovere un
muscolo, non riusciva a parlare… Ma allora perché si era svegliato? Cercò di identificare il luogo
con una lenta ispezione dei dettagli che lo circondavano, ma non riuscì a capire assolutamente di
che posto potesse trattarsi. Cercò di muoversi per rimettersi seduto, ma prima che i suoi muscoli
potessero realmente obbedire all’impulso che gli aveva lanciato il suo cervello, avvertì un delicato
respiro sfiorargli il viso. Rimase perfettamente immobile e senza abbassare lo sguardo cercò di
riconoscere quel profumo che fino a quel momento non aveva notato. In quel momento apparvero
tutti i particolari… La soffice carezza serica di lunghe ciocche di capelli che gli scivolavano sul
collo, il dolce peso di un braccio che lo avvolgeva in modo protettivo e languido. Il respiro regolare
ed il battito leggero e perfettamente cadenzato di qualcuno che aveva cullato il suo sonno. Roteò
lentamente il collo e cercò di mettere a fuoco il profilo che vide delinearsi sulla stoffa che gli
copriva il petto. Fiori di camomilla, mescolati al dolce profumo della giovinezza. Una donna, ma
per quanto fino a quel momento avesse sperato che questa donna fosse Anita, scoprì che non si
trattava affatto di lei. Non lo stesso profumo, non le stesse linee perfette che la rendevano ai suoi
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occhi un miracolo di bellezza in cui annegare un amore senza limiti. Ma, sconvolto, si scoprì a
sfiorare con lo sguardo altri lineamenti venerei ed altre splendide labbra graziosamente sporte in
avanti nella rilassatezza del sonno. Si mosse per guardarla meglio, ma la mano di lei gli si strinse
sul fianco attraverso le lenzuola per chiedergli incoscientemente di non farlo, di non spezzare
l’incantesimo e di non farla scivolare in una realtà che ora era svanita proprio grazie a lui. Il cuore
iniziò a martellargli nel petto una strana sensazione di smarrimento, che si acquietò sotto suo
espresso comando, quando gli occhi di Victoria iniziarono a guizzare velocemente sotto le lunghe
ciglia abbassate. Lei sorrise, un sorriso sereno che lo spinse ancora una volta per sforzarsi a
muoversi. Lentamente, con fatica, ma senza mollare, sollevò la mano, la sfilò dalle coperte
cercando accuratamente di non disturbarla e la cinse sotto il suo braccio. Lei gli si rannicchiò più
saldamente addosso e lui si sentì in pace ed al sicuro. Forse con l’istinto aveva perduto per sempre
la cosa alla quale teneva di più al mondo, ma almeno aveva salvato un piccolo tesoro inestimabile,
che ora, si rifugiava in lui per riprendersi dalla battaglia. Tornò a chiudere gli occhi e reclinò la testa
di lato per adagiare il mento sul soffice manto di boccoli neri. Ci sono cose che non si possono
spiegare e lui, senza troppo rammarico, decise di non farsi domande e di non cercare spiegazioni. Si
sentiva in pace, e questo bastava. Esalò lievemente e la strinse ancora un po’ di più a sé, per
deliziarsi meglio del suo calore che intiepidiva la coperta che lo copriva e del suo profumo che lo
cullava come una carezza senza fine. Scivolò nel sonno e questa volta fu per molto tempo.
La mano di Alex scivolò sul petto del vampiro, fino ad arrivare a lambire il suo cuore. Lo sentì
battere, forte, come sul punto di esplodere e le lacrime tornarono ad affacciarsi prepotentemente ai
suoi occhi. Non era di un desiderio dovuto alla negromanzia che aveva bisogno, ma in quel
momento sarebbe stato inutile provare a fermarsi. Aveva bisogno di lui e del suo gelido supporto,
per sentirsi ancora una donna. La donna che aveva smesso di essere quando Marcus l’aveva
lasciata, la donna che aveva cercato di archiviare fino a quel momento ma che ora, però,
recalcitrava per venire allo scoperto. Fece scivolare la mano nella profonda scollatura della camicia
di seta di lui e gemette quando le sue dita tremanti entrarono in contatto con la purezza serica della
sua pelle di alabastro. Lo sentì fremere e mentre si staccava da lei per esalare un delirante gemito di
piacere, fece scivolare le labbra lungo il suo collo, fino ad arrivare a baciargli la perfezione che gli
dipingeva il torace. Sentì il cuore accelerare fino a raggiungere il ritmo impazzito del suo e lasciò
scorrere sensualmente la lingua sull’unica imperfezione che turbava la linea dei suoi splendidi
pettorali di marmo bianco, ovvero quella piccola cicatrice, che aveva sempre ammiccato verso di
lei, chiedendole silenziosamente di essere toccata. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché il piacere che
sentiva fuoriuscire da quella creatura, fosse dovuto al bisogno di averla e di tenerla con sé, ma a
dispetto delle speranze che le inondavano il cuore di assurdi sogni su un probabile loro, a dividerli
ci sarebbe sempre stata Anita e non voleva combattere una battaglia contro qualcuno che aveva
deciso di considerare un’amica. Per altro, una battaglia che, per ovvie ragioni, probabilmente
avrebbe perso già in partenza…
Mentre sentiva le sue labbra percorrere la linea dei suoi addominali, fino a lambire l’attaccatura dei
pantaloni, Jean-Claude si aggrappò alle sue spalle e reclinò la testa in avanti per potergliele baciare.
Il suo profumo lo inebriava tanto da stordirlo, la sua forza, la sua disperazione lo schiacciavano e gli
facevano perdere il controllo. Sentì le sue dita delicate armeggiare con il bottone che gli chiudeva i
pantaloni e non fu in grado di trattenere fra le labbra un soffice ringhio di piacere. Non era
ossessione, non era semplice voglia di appagare l’istinto e le frustrazioni su un corpo come un altro.
In quei gesti che gli animavano le mani, nel farle scorrere avidamente sulla sua pelle nuda e che lo
spingevano a sfiorarle i seni ormai turgidi dello stesso desiderio che sentiva bruciargli dentro, era
qualcosa di molto diverso. Aveva bisogno di Alexandra, per capire se sarebbe stato in grado di
divenire una creatura migliore di quella che era stato fino a quel momento. Aveva bisogno di lei per
sentirsi in pace con sé stesso… Di sapere se anche in lui fosse in grado provare quello che l’aveva
spinta a donarsi completamente a qualcuno, che però, purtroppo, non era stato capace, almeno non
fino all’ultimo, di capire quanto fosse stato importante quel gesto. Le fece scivolare le mani sui
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fianchi e con un gesto rapido ma delicato, le sfilò via il toppino di seta nera. Si sentì morire quando
le sue mani poterono scorrere sul pizzo candido del grazioso reggiseno che le copriva ancora le parti
più intime. “Sei splendida…” sussurrò ad occhi chiusi, mentre s’imprimeva nella memoria ogni
cellula, ogni più piccola cicatrice che rendeva il suo corpo unico al mondo. Alex fremette e la sua
pelle si animò d’ogni più piccolo brivido, cosa che fece gemere e rabbrividire anche lui.
La mano di lei, s’insinuò nei pantaloni ormai slacciati e si chiuse sul suo membro ormai gonfio di
desiderio. Cercava sé stessa ed in lui la blanda certezza di poter essere ancora una donna. Gli
avrebbe dato il mondo, se solo gliel’avesse chiesto, ma purtroppo, non era la donna in grado di
dargli quello che chiedeva e non sarebbe stata in grado di farlo nemmeno se lui lo avesse realmente
voluto. Era stata legata indissolubilmente ad un altro e questa era stata una scelta fatta senza dubbi,
anche sapendo che non avrebbero potuto esserci eventuali ripensamenti. Marcus aveva ricevuto da
lei tutto quello che aveva avuto da dargli e, ancora purtroppo, non avrebbe più potuto fare la stessa
cosa con qualcun altro nemmeno volendolo con tutta sé stessa. Scivolò giù dal trono e s’inginocchiò
davanti a lui, deliziandosi delle sue mani che le scorrevano nei capelli in una carezza intima e
disperatamente ottenebrata dal desiderio. Candido come la neve, una neve che sotto le sue mani si
stava sciogliendo e che sarebbe divenuta l’acqua bollente in cui poter annegare almeno per una
notte. Con la punta delle dita, scostò la seta dei pantaloni ed adagiò dolcemente le labbra su ciò che
di lui più la reclamava. Jean-Claude gemette e le si aggrappò disperatamente accasciandosi in avanti
sulla sua schiena. Un’onda di piacere, sulla quale il fruscio delle onde seriche dei capelli di lui ed i
suoi gemiti sempre più animati dettarono la musica, che per empatia investì anche lei e che, a poco
a poco, fece accelerare il ritmo della danza delle sue labbra.
Edward socchiuse gli occhi e lasciò che dalle labbra inaridite dallo stato d’agitazione in cui si
trovava in quel momento, potesse defluire liberamente un flebile sospiro stanco. Ritrasse lentamente
le mani dal braccio di Anita, ripose sul lavandino il batuffolo imbevuto di alcool e sangue, poi
sollevò lo sguardo al soffitto per decidere se fosse veramente il caso di andare avanti ancora per
molto con quella stupida farsa. Una tortura insopportabile, di cui la prima vera vittima, non era altro
che lui. Vide il piccolo corpo di donna seduto davanti a sé, scuotersi impercettibilmente in un
brivido che anticipava le lacrime e si fece coraggio. Con calma, senza fare scatti bruschi, si posò le
mani sulle ginocchia e si aiutò a rimettersi in piedi. Farlo si rivelò ancora più difficile di quanto
avesse creduto possibile e per trovare la forza di fare il resto, dovette respirare a fondo nel perfetto
silenzio che li aveva avvolti, e decidere velocemente se quella fosse realmente la cosa giusta da
fare. Si guardò dentro con timore, perché nonostante fosse abituato alle introspezioni, questa volta
si ritrovò ad avere una paura fottuta di quello che avrebbe trovato ad attenderlo comodamente
seduto nel suo cuore. Combatté con la paura, lottò contro l’impulso di voltarle le spalle e fuggire via
per fingere che niente fosse più importante di lui e serrò nervosamente i pugni, decretandosi
silenziosamente di aver finalmente capito ogni cosa. Forse non era veramente così, ma doveva
convincersene o non sarebbe mai riuscito ad andare avanti. Solo fino alla notte prima, le sarebbe
stato di conforto senza cadere vittima del suo pianto… Ma forse, solo la sera prima, in quel
momento lei non avrebbe pianto e si sarebbero fatti la guerra sferrandosi battute saccenti e poco
impegnative. Deglutì il nodo che gli stritolò la gola e s’impose di non parlare. Lei non si mosse
quando il delicato fruscio dei suoi passi le indicò che aveva ripreso a muoversi, e non lo fece
nemmeno quando lo sentì girarle attorno e sedersi ancora una volta sul bordo della vasca, ma non
più dietro alle sue spalle. Non alzò gli occhi per guardarlo e per questo, Edward, si ritrovò a
ringraziare Dio. Aveva bisogno di un altro po’ di tempo per racimolare il coraggio necessario a
decretare di aver gettato via anche l’ultimo drappo di gelida inumanità con cui si era difeso per tutti
quegli anni… In quel momento, aveva solo bisogno d’essere l’unico a dettare le tempistiche di quel
gioco che li vedeva in ugual modo in scacco.
Anita sollevò lo sguardo, soltanto quando il silenzio divenne troppo duro da sopportare ed il peso
dello sguardo Edward divenne un ossessionante tocco di pietra. Si staccò le mani dal viso con
timore e si sentì morire quando, a poco a poco, fra le dita, l’azzurro infinito dei suoi occhi prese
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forma disegnando un lago in cui avrebbe volentieri veleggiato per il resto dei suoi giorni. Si sentì
smarrita e le lacrime iniziarono la loro inesorabile discesa, senza che lei provasse ad opporvi la
benché minima esistenza. Edward era lì… L’Edward che aveva imparato a stimare, ma dal quale, in
un modo o nell’altro si era tenuta sempre a debita distanza… Si sentì persa, perché l’Edward in
grado di fare fuoco su un essere umano senza battere ciglio o provare pietà, in quel momento
sembrava essere molto più spaurito di lei…
Edward serrò le dita sulla stoffa dei suoi jeans logori, cercando da qualche parte un appiglio per non
crollare. Sentì il bisogno di stringerla farsi troppo pressante per essere controllabile e la voglia di
asciugarle quelle lacrime che le rigavano impietosamente il viso o magari di risistemarle i capelli
che le ricadevano sugli occhi in ciocche scomposte e disordinate, fargli formicolare le dita… Ma
più di tutto, sentì il disperato bisogno di stringerla a sé per farle sentire quanto stesse battendo forte
il suo cuore in quel momento. Le difese erano crollate e con loro anche la falsa facciata di gelido
distacco con cui aveva convissuto praticamente da sempre. Non era più il tempo di mettersi a fare il
cretino per strapparle un sorriso, né tanto meno il momento di fingere d’essere solo un buon amico.
Ma non era arrivato nemmeno il momento di regalarle qualcosa che si era ostinato a tenere
gelosamente custodito dentro di sé… La sua umanità, la sua fragilità di uomo, non erano ancora
pronte per venire fuori allo scoperto, rischiando così di non essere capite o magari rifiutate. Non
l’avrebbe sopportato, no, sarebbe stato peggio che morire in uno scontro a fuoco, perché purtroppo,
Anita ora era l’unica ad avere in mano le armi adatte per farlo fuori. Increspò le labbra nel sorriso
più falso che avesse mai ricordato di aver fatto e si passò la lingua sulle labbra aride, cercando di
trovare le parole giuste per porle quella domanda. Nella risposta, se lei gli avesse permesso di
udirla, probabilmente avrebbe visto accendersi o spegnersi tutta la sua vita. Purtroppo l’amore rende
impotenti e facili prede del dolore e lui era diventato proprio la preda indifesa della cruda realtà.
“Anita…” sussurrò appena, facendola trasalire come se di punto in bianco si fosse messo a gridare.
Il silenzio tornò a gravare su di loro ed entrambi distolsero gli occhi da quelli dell’altro per trovare
la forza ed il coraggio di affrontare quel momento. Le labbra di lui si mossero, ma la voce non
proferì nulla. Edward, la Morte cinica e spietata, il flagello implacabile di chiunque avesse avuto la
sfortuna di essere annoverato in un contratto appena sottoscritto, quella notte scoprì cosa fosse
davvero la paura… In un sacco d’occasioni, aveva provato quella sensazione che ti stringe lo
stomaco e ti rende avventato per non dire persino stupido. E quando solo la sera prima l’aveva vista
rigirare gli occhi gridando a squarciagola, aveva creduto di aver trovato il limite ultimo del suo
concetto di panico. Sbagliato… Scioccamente ottimistico… Anche la paura di morire o di vederla
morire erano niente di fronte a quella sensazione che ora gli empiva le vene facendole formicolare
fastidiosamente e che gli portava il cuore a battere tanto veloce da sembrare sul punto di esplodere.
Edward era terrorizzato all’idea di vedersi crollare davanti tutto un mondo di speranze che era
riuscito a crearsi nel breve lasso di ventiquattro ore. O forse di più? O forse quelle speranze c’erano
sempre state, ma si era soltanto limitato a fingere che non esistessero? Tornò timidamente a
guardarla con la coda dell’occhio e si riscoprì disperatamente bisognoso di sfiorarle il viso.
Sembrava così piccola ed indifesa adesso, tanto da poter credere che non fosse nemmeno la stessa
persona al fianco della quale aveva combattuto i peggiori scontri della sua vita. Il bisogno di sapere,
di chiedere e di provare ad esigere risposte, di colpo si fece talmente pressante da togliergli il fiato.
Vedersi andare in pezzi… Sentirsi come il solito un comodo accessorio utile solo a vincere una dura
battaglia… Eppure il bisogno lo spinse a schiarirsi la voce ed a porre quella terribile domanda di cui
aveva una paura fottuta. “Anita…” ripeté aggrappandosi con le unghie alla piega dei jeans. “Cos’è
che non riesci più a capire di te stessa?” Richard? Jean-Claude? Le due Sterminatrici del nord? Chi
era che la rendeva un cucciolo impaurito che cercava nelle lacrime un po’ di refrigerio? Anita tornò
lentamente a nascondersi il viso nelle mani e si scoprì a non avere il coraggio necessario per
rispondergli. C’erano troppe cose che le gravavano sui polmoni, troppe, ed una di quelle era troppo
assurda persino da pensare. Provò a scuotere la testa per eludere la domanda, ma quando avvertì il
peso della sua mano posarsi in un carezzevole gesto d’incitazione sulla spalla, tornò ad alzare gli
occhi per immergerli nel turchese acceso dei suoi. Lì, in quell’infinito spazio aperto che le ricordava
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così teneramente il cielo terso di una mattina d’inverno, si sentì volare. “Anita…” il solo sentirgli
pronunciare il suo nome fu musica. “Vorrei poterti aiutare, ma se non me ne dai la possibilità, io…”
Fu allora che la domanda più gravosa squarciò il silenzio come un fulmine. Anita lasciò cadere le
mani in grembo e con gli occhi intensamente immersi nei suoi, sussurrò un flebile “Chi sei?” che a
lui fece mancare il fiato dai polmoni. Anita deglutì dolorosamente il nodo di lacrime e proseguì.
“Tu non sei l’Edward che conosco… e questo nuovo Edward, è…” tacque come se non avesse le
parole giuste per esprimere l’inesprimibile e lui sgranò gli occhi ritraendo istintivamente la mano da
lei, che però, rimase immobile, levata a mezz’aria, come se fosse stata pietrificata da qualche oscura
magia. “Cos’è che ti ha cambiato?” le mani della Sterminatrice si strinsero nervosamente l’una
nell’altra cercando di darsi conforto. “Edward, perché di colpo guardandomi intorno, riesco a
vedere un solo mostro aggirarsi in questa città e quello non sono altri che io?” Lo fissò
intensamente, completamente svuotata di determinazione. Era al limite ed aveva bisogno di sapere
cosa avesse potuto rendere un gelido calcolatore come lui, l’umano agitato ed impietrito che ora le
stava seduto di fronte.
Edward ritrasse la mano con una lentezza insopportabile e si passò più volte la lingua sulle labbra
per guadagnare tempo. Aveva bisogno di tempo per recuperare la lucidità perduta e per trovare le
parole giuste per spiegarle almeno in parte la situazione, senza però dare libero sfogo agli assurdi
pensieri che gli offuscavano la mente. La verità? Bah, non si sentiva così tanto cambiato dopotutto,
aveva solo permesso a sé stesso di ammettere che le due sorelle O’Brian non fossero poi così
pericolose… e che avevano sempre avuto ragione a fargli la guerra. Lo pensava davvero?!?
Merda… Si… Oramai aveva cambiato vedute… Ma la verità che gli si muoveva nella testa, era
ancora più complessa e grave… Aveva capito che non si può disporre della vita di qualcuno
decidendo solo in base al sangue che gli scorre o non gli scorre dentro… Chi gliel’aveva fatto
capire? Alex, disperatamente aggrappata ad un’umanità perduta, proprio per colpa di gente come lui
ed Anita e Richard, scartato a priori e senza possibilità di repliche, soltanto per aver dimostrato a
pieno la sua diversità… Questo però aveva i suoi pregi ed i suoi difetti. Beh, a quanto pareva
almeno l’egoismo se l’era tenuto stretto! Comunque, per entrambi i due “mostri”, poco era contato
il fatto di essersi messi in gioco a costo della vita, per salvare la pelle a qualcuno che non li avrebbe
mai “capiti”. Ecco qual’era la verità… o almeno una delle tante… Adesso, alla luce di quello che
era successo negli ultimi due giorni, guardando la scena che si stava tenendo in quel bagno,
guardava a sé stesso ed a lei, come a due mostri senza pietà… “Perché forse è proprio così che
stanno le cose…” sussurrò con voce arrochita, distogliendo lo sguardo da lei per abbassarlo alle sue
mani. “Solo che dovresti guardare a me con gli stessi occhi… Io non sono né migliore né peggiore
di te… Noi siamo uguali, Anita.” Lei annuì con dolore, ma non disse niente per ribattere,
nonostante, però, in lui non riuscisse più a vedere nulla di mostruoso. Edward dimostrava di essere
cambiato, proprio grazie a quello che le stava dicendo adesso. Ma la verità era ancora più dura da
digerire, più complessa e disperata, più temibile… La verità, era che Edward, finalmente, dopo
secoli a fingere di non essere in grado di provare emozioni, dalla notte prima, aveva scoperto di
poter amare qualcuno. Sollevò lo sguardo al viso della sua compagna di battaglia, ed in lei non vide
nulla di quello che si era ostinato a vedere soltanto fino al giorno precedente. La paura di perderla
gli aveva aperto gli occhi ed ora, per stare bene avrebbe dovuto soltanto allungare la mano, tirarla a
sé e stringerla fra le braccia dando vita a quella frase che invece tenne ben salda fra i denti. Quando
la vide stringersi nelle braccia, però, la voglia divenne ingestibile. Si staccò dal suo appiglio di
stoffa e la prese per le spalle costringendola a guardarlo negli occhi. Non mollò nemmeno quando
lei girò il viso di lato per sfuggirgli, sollevò la mano e con tenera determinazione, la costrinse a
tornare a guardarlo. “Tu non sei un mostro.” Scandì con pacata decisione. “Hai i tuoi difetti, le tue
paure e le tue fottute convinzioni, ma non sei un mostro.” Anita tentò ancora una volta di girarsi, ma
quando scoprì di essere nell’impossibilità di farlo, chiuse gli occhi lasciando così che le lacrime
tornassero a pioverle sul viso. Lui le asciugò con il pollice e si mosse in avanti per farsi più vicino e
decidere se fosse il caso di lasciarsi andare. “Sei semplicemente umana, Anita… Semplicemente
umana.” Ebbe nuovamente paura, ma lei incrinò l’ultimo muro di distacco gettandosi sul suo petto,
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scossa da violenti singhiozzi. Edward rimase impietrito, con le mani nuovamente immobili a
mezz’aria, e la mente ottenebrata dal dolce profumo dei suoi capelli.
Anita si aggrappò alla sua giacca e stritolò la stoffa come se avesse paura che potesse sfuggirgli
dalle mani. “Cos’è che ti ha cambiato?” singhiozzò scuotendo la testa in maniera disperata. “Cosa?!
Fino a ieri mi avresti riso in faccia per aver solo pensato ad una cosa del genere, mentre ora mi dici
che ti senti tanto mostro quanto me!” scosse la testa sollevandola di scatto dal suo petto e
strattonandolo violentemente per obbligarlo a darle le risposte che chiedeva. “Ti prego…” lo
scongiurò sfinita, mentre il peso delle mani di lui cominciava a scivolarle sulla schiena per
tramutarsi lentamente in un abbraccio in cui sentirsi finalmente al sicuro e protetta. “Magari se sei
riuscito a farlo tu, posso riuscirci anche io…”
Edward la trasse dolcemente a sé e l’accoccolò sul suo petto, avanzando ancora un pochino verso di
lei per farla stare il più comoda possibile. Le passò le mani nei capelli e chiuse gli occhi mentre
rifugiava le labbra nel soffice manto di ciocche corvine. Dov’era l’Anita Blake di cui si era
segretamente innamorato? Tanto segretamente da non essersene accorto nemmeno lui… Sorrise e
scosse la testa, abbracciandola stretta come se non vi fosse nulla di più importante che tenerla così.
“Io non sono affatto cambiato, Anita, perché se domani mi pagassero bene, probabilmente farei
fuori anche mia madre…” lei tirò su con il naso, ma fu chiaro dal modo in cui lo fece, che stava
sorridendo e se c’era una cosa che aveva imparato ad amare di lei, erano proprio quei buffi sorrisi
che le illuminavano il viso anche nei momenti peggiori. “Ho solo deciso che posso ammazzare
uomini e mostri allo stesso modo…” lei sollevò il viso, ma lui non si voltò a guardarla,
nascondendo ancora di più il suo nei suoi capelli. La strinse ancora più forte e sentì il cuore
scoppiargli nel petto quando avvertì le mani di lei, muoversi sulla stoffa della sua giacca per fare
altrettanto.
Anita gli fece scivolare le mani dietro la schiena e senza farsi troppe domande rispose a
quell’abbraccio in cui aveva ritrovato la voglia di sorridere. “Edward…” gli chiese con un filo di
voce e lui annuì. “Perché il tuo cuore batte allo stesso ritmo del mio?”
Edward si strinse teneramente nelle spalle e l’allontanò con gentilezza da sé per poi posarle un
bacio sulla fronte. “Ieri sei morta…” lei già sconvolta da quell’attimo di tenerezza, gli rabbrividì fra
le mani, sgranando gli occhi terribilmente scioccata dalla rivelazione. Lui annuì esalando
rassegnato. “Già… Alejandro è morto e tu lo hai fatto con lui…”
“Non può ess…”
Le posò la mano sulle labbra e la obbligò a tacere. “Fammi parlare, Anita Blake, è già abbastanza
dura così…” Annuì ancora un po’ incerta e lui le sorrise con riconoscenza. Nel turchese dei suoi
occhi brillò qualcosa che forse non aveva mai creduto di potergli vedere. Il cuore le martellò nel
petto e l’idea di Richard con un’altra e di Jean-Claude impegnato in conversazione con l’altra
Sterminatrice, si cancellò dalla sua testa, come se non fosse mai nemmeno esistita. Avrebbe voluto
dire qualcosa, ma si obbligò a rimanere in silenzio. Stava per succedere qualcosa e quel qualcosa
aveva dell’incredibile. Forse, la sua vita stava per cambiare radicalmente. “Tu sei morta, Anita…”
si passò ancora la lingua sulle labbra e sentì i polmoni contrarsi quando l’orribile immagine di lei
che si accasciava al suolo esanime, gli riempì nuovamente gli occhi. Poteva davvero spiegarle
quello che aveva provato cercando di rianimarla? E soprattutto quello che aveva provato quando le
aveva sentito emettere il primo respiro in completa autonomia? Sentì la gola stringersi succube della
stessa emozione provata stando in ginocchio nella terra del circo e deglutì dolorosamente, cercando
di trovare le parole giuste per dirglielo. La guardò negli occhi e nel profondo nero che li rendeva
meravigliosi, sentì di poter dire almeno quello. “Tu sei morta ed io sono morto con te…” Anita
trattenne il fiato e sentì gli occhi riempirsi ancora una volta di lacrime. “Ieri notte…” tacque un
istante ancora indeciso su cosa dire, poi scosse la testa e lasciò che il resto venisse fuori da sé. Non
fu l’Edward calcolatore e cinico a parlare, bensì l’uomo che finalmente aveva deciso di riprendersi
l’umanità che si era ostinato a tenere lontana dal suo essere. “Ieri notte, di fronte a quello che ti è
successo ed alla paura che ho provato credendo di perderti, ho finalmente capito che sei un pezzo
della mia anima, Anita Blake…”
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“Ma Chère…” esalò Jean-Claude quasi senza fiato per il piacere, mentre si chinava su di lei ormai
privo di forze. “ti prego…” le sussurrò fra i capelli, mentre cercava in ogni modo di mantenere il
controllo sui suoi sensi ormai al limite. Le sue labbra erano petali di rosa cremisi, caldi e vellutati,
che lo sfioravano carezzevolmente, in un gioco di piccoli baci, dolci risucchi e lenti passaggi di
lingua. Sentì nuovamente le sue labbra chiudersi sul suo membro ormai portato allo stremo della
sopportazione e le avvolse le braccia attorno alla vita, implorandola di fermarsi. “Ti voglio… Ti
voglio più di ogni altra cosa al mondo…” un’implorazione lievemente ringhiata che le percorse la
schiena in un lungo brivido di desiderio.
Anche lei lo voleva, ed anche lei lo desiderava più di ogni altra cosa al mondo, forse non era giusto
o forse più propriamente era sbagliato, ma in quel momento Alex non chiedeva altro che sentirlo
muoversi dentro di sé per farla arrivare a toccare il cielo con un dito. Sollevò il viso per poter
incontrare i suoi occhi inscuriti dal piacere, ma si ritrovò sollevata con elegante naturalezza dalle
sue forti braccia di marmo bianco. Sentì il cuore di lui battere febbrilmente contro il suo, una
musica unisona nella quale desiderio, passione e forse qualcosa di più profondo si fusero in un
connubio perfetto. Jean-Claude la strinse fra le braccia e la portò al suo petto accoccolandola con la
cura che uno sposo avrebbe dedicato alla sua amata compagna. Alex chiuse gli occhi e posò
docilmente la testa sul suo petto e, mentre la carezza delle sue ciocche corvine donava a lui lo stesso
appagante senso di pace che i suoi capelli di seta nera stavano donando a lei, si lasciò trasportare
verso il lato dell’ampia sala illuminata ancora solo dalla soffusa e confortevole luce delle candele
appese sulle pareti. Sentì una delle mani del vampiro tendersi verso qualcosa e subito dopo ne seguì
il rumore di tessuto strappato con energia. Nonostante ora la sostenesse con un solo braccio,
continuava a farlo con la facilità di un padre con una bambina ed in quel gesto, in quella dolce forza
sovrannaturale che profumava d’antichità, ancora una volta, poté guardare al passato credendo che
quel vampiro non fosse sé stesso, ma Marcus. Una breve illusione, che però si spense non appena si
sentì adagiare sulla morbida consistenza di uno dei drappi sottratti alla bardatura delle pareti. Aprì
lentamente gli occhi, e contrariamente alle sue aspettative, quello che trovò ad attenderla non le
lasciò affatto l’amaro in bocca. Nello splendido e tempestoso blu notte che si mosse negli occhi del
Master di St. Louis, per la prima volta scoprì di poter mettere da parte il passato senza provare
dolore o disgusto per sé stessa. Sorrise dolcemente all’incantevole sorriso che le si delineò davanti e
completamente assoggettata alla bellezza del corpo che si stava scoprendo a poco a poco davanti a
lei ed al desiderio disperato di poterlo toccare e sentire ancora una volta contro il suo, distese le
braccia in sua direzione invitandolo a raggiungerla.
Jean-Claude si lasciò scivolare via la morbida camicia di seta nera e con grazia ed eleganza fece lo
stesso con i pantaloni. Un delicato fruscio di stoffe pregiate, al quale seguì quello del suo corpo
statuario ormai nudo che, per rispondere all’invito, si protraeva lentamente verso di lei. Sentì le sue
mani muoversi sul bottone dei pantaloni di pelle e, non appena avvertì la delicata trazione che
anticipava la dipartita dell’ultimo baluardo della sua ormai perduta professionalità, sollevò il bacino
per rendergli il compito più facile. Sorrise divertita non appena le sovvenne di aver detto a Viky che
avrebbero soltanto parlato… Beh, lo avevano fatto, e lo avevano fatto senza risparmiarsi… Beh, a
dirla tutta quella che fra i due non si era risparmiata era stata proprio lei.
Jean-Claude la osservò incantato. Ai suoi occhi, Alex era una statua di marmo candido come la
neve, che in sé racchiudeva l’incantevole perfezione di una delle più belle sculture modellate dalla
mano di Dio. Quella creatura era la cosa più bella che avesse mai visto e, per la prima volta da
quando le aveva posato gli occhi addosso decidendo di volerla per sé, si disse con ferma decisione
che Anita Blake, poteva ritenersi una splendida ma fredda acqua passata. Il calore di quel corpo che
attendeva di divenire suo, si propagava nell’aria inebriandolo e scaldandolo fin dentro. Non c’era
magia che si muovesse in quello sguardo verde smeraldo, nessun tentativo di controllo
negromantico sulla sua natura di non morto. Alexandra aveva abbassato tutte le difese, e
nell’incandescente fulgore dei suoi occhi appassionatamente immersi nei suoi, scoprì chiaramente
di averlo fatto anche lui. Reclinò la testa di lato e guardò con vorace interesse le sue belle labbra
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incurvate in quell’incantevole sorriso che gli aveva riempito la mente sin dalla prima sera in cui si
erano incontrati. Soltanto due notti ma davanti a lei il tempo pareva perdere completamente di
spessore. Due leggende racchiuse in uno splendido corpo di donna. La leggenda più antica della sua
gente e quella più bella appartenente al mondo, che nel suo spettro racchiudeva tutti senza fare
distinzione di specie. Quando due anime affini s’incontrano, le due parti complementari della
primordiale mela tagliata dalla mano del creatore, si guardano ed il tempo si ferma per sempre. Per
loro non vi è bisogno di conoscersi, di capirsi, perché la magia che è stata creata appositamente per
loro sta proprio nel dolce incanto del primo sguardo scambiatosi per mano del destino… “Cos’è che
ti fa sorridere così, ma petite chère?” le domandò dolcemente distendendosi accanto a lei per fare
entrare in contatto i loro corpi. Si fuse con il calore appassionato della sua pelle, e sentì il suo gelo
pungente intiepidirsi in uno scroscio violento di brividi comuni.
Alexandra lo avvolse fra le braccia e permise alle sue mani di districarla anche dall’ultima stoffa
che le impediva di sentirlo completamente. “Perché Viky mi crede una brava sorellina…” sussurrò
mentre una nuova ondata di piacere le si muoveva dentro, assieme alla sensuale carezza della mano
fredda di lui che cominciava a delineare ogni gioco di luce che illuminava il suo corpo.
Jean-Claude rise, una dolce risata di scherno che le ricordò il placido volo di un gabbiano. In lui
vide finalmente delinearsi la realizzazione del suo disperato bisogno di libertà dalle costrizioni che
si era imposta fino a quel momento ed a merito gli chiuse le labbra con un bacio. “Tu sei una brava
sorella…” le sussurrò mentre le faceva scorrere le dita sul profilo per poi posargliele dolcemente
sulla bocca. La baciò ancora ed in fine chiuse gli occhi, lasciando che la mano vagasse liberamente
nella vorace esplorazione di quel corpo che sentiva di desiderare più d’ogni altra cosa al mondo. Le
dita scivolarono sul collo, lente, sensuali, percorrendo con dolce accuratezza di dettaglio la soffice
insenatura dei seni invitanti. Alex tremò quando sfiorarono i capezzoli inturgiditi dal desiderio e
quando le due dita si tramutarono in una rete di cinque petali di rosa che le scorsero
carezzevolmente sull’addome. La mano scivolò sui fianchi snelli ed il vampiro esalò rapito quando
sentì la pelle della donna reagire increspandosi sotto il suo tocco.
Alexandra, ad occhi chiusi, seguì quella dolce discesa esplorativa delle sue mani di seta e gemette
flebilmente quando le solleticarono i fianchi. Un tocco che indugiò con sensuale interesse, sulla
lunga riga frastagliata della profonda cicatrice che dalla vita, le scorreva sino all’attaccatura della
coscia. Allentò l’abbraccio ed accarezzando la schiena di lui giocò anch’essa con i sottili segni delle
ferite che gli intaccavano la purezza della pelle d’alabastro.
Jean-Claude si sporse ancora una volta verso le sue labbra e nel bacio delicato che vi posò, sorrise.
“Il passato, ma chère… Qualcosa d’indelebile che segna sia fuori che dentro…” Lei annuì e
ricambiò il bacio gemendo più forte non appena sentì le sue dita penetrare fra le morbide pieghe
della sua femminilità ormai madida di disperato desiderio. Alexandra lo tirò a sé, ormai troppo
bisognosa di averlo completamente addosso e la lingua di lui le scivolò nella bocca, dolce, vellutata
come zucchero filato, con la stessa morbida lentezza con cui le sue dita scivolavano fuori da lei, per
far si che il suo corpo perfetto si facesse finalmente strada per possederla. Alex trattenne il respiro e
spalancò gli occhi quando il vampiro la violò con un colpo di reni dolce ma poderoso, abbattendo
anche l’ultima delle barriere che aveva tenuto ben salda fino a quel momento. Jean-Claude era
magia, la stessa che l’aveva indotta a seguire l’istinto per aprirgli il suo cuore. Il suo corpo statuario
le si mosse dentro come un’onda gelida dell’oceano, come il più tempestoso degli uragani e sentì le
lacrime salirle agli occhi. Non dolore, pura e semplice gioia che le animò il battito facendolo
arrivare ad un punto di non ritorno. Era giunto il momento di lasciarsi andare… Una cosa che non si
era più permessa da tanto, troppo tempo. Giusto o sbagliato che fosse ritrovarsi a fare degli errori
già commessi, in quel momento sentì di potersi fidare ciecamente di lui. Anita Blake e Marcus
apparvero lontani mille anni luce da quel posto ed in quello sguardo che le riempiva gli occhi del
colore della più bella delle notti mai scesa sul mondo, vide qualcosa dedicato solo a lei, che aveva
creduto di non poter vedere mai più negli occhi di nessuno.
Jean-Claude adagiò delicatamente i gomiti al lato del suo viso e cominciò a muoverle dentro, una
lenta e sensualissima danza che parlava, senza bisogno di usare parole, di una solitudine antica e di
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un amore che chiedeva soltanto di poter essere corrisposto. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché
quell’attimo non avesse fine, perché lei potesse essere sua per sempre. Si sporse con le labbra in
avanti e le sfiorò la fronte con un bacio, mentre intrecciava le dita nei suoi capelli che profumavano
così deliziosamente di vaniglia. Sentì il cuore accelerare in maniera convulsa sotto l’azione del
crescente piacere e, come se quell’incontro d’anime avesse permesso ai loro corpi di divenire uno
solo, sentì quello di lei fare lo stesso con uguale ritmo incalzante ed impetuoso. Una domanda gli si
articolò fra le labbra, ma s’impose dolorosamente di tacere, limitandosi ad aumentare la foga e la
velocità delle spinte che li stavano rendendo sempre più assoggettati l’uno all’altro.
Una risacca oceanica che le saturò l’anima, le lambì il cuore e che le ghermì i polmoni spingendola
a scioglierli in respiri sempre più affannosi e gementi. Sentì il suo corpo armonizzarsi ad ogni
movimento del Master e quando il piacere la pervase completamente chiudendo fuori qualsiasi cosa
non riguardasse direttamente loro due, si aggrappò alla sua schiena, avvolgendolo con passione con
entrambe le gambe. Il vampiro ringhiò accasciandosi con la testa sul suo collo e si trattenne a stento
dal conficcarle le zanne nella pelle candida che ammiccava in un invitante guizzo di muscoli e
tendini tesi dai sempre più frenetici e deliranti spasmi di piacere. Ansimò sul limite della
sopportazione, quando la splendida linea violacea della giugulare cominciò a pomparle verso il
cervello, tutta l’adrenalina che si stava accumulando all’approssimarsi dell’orgasmo e si ritrovò
senza volerlo, a dare libera voce ai suoi pensieri più intimi. “Alex…” sussurrò con il respiro
ottenebrato dal violento ed incontrastabile desiderio di farla sua fino in fondo all’anima. “Darei
qualsiasi cosa perché tu fossi mia… Non ti tradirei, non ti mentirei mai, non…”
La voce si tramutò in un gemito roco ed una violenta ondata di calore investì la Sterminatrice non
appena l’enorme potere vampiresco si sciolse in una tempestosa ventata all’interno del suo corpo.
Gridò riconoscendo la magia del primo marchio ma, invece che sottrarsi a quell’inaspettato attacco,
gli conficcò le unghie nella schiena inarcandosi in un disperato invito a penetrarla sempre più a
fondo. Morire così, quale dolce morte. In quel momento, al sicuro fra le sue braccia desiderose di
darle il mondo intero, tutto il resto perse completamente d’importanza. “Non posso darti quello che
non è più mio da troppo tempo, Jean-Claude. Mi dispiace…” Gli sussurrò tristemente, mentre la
vista le si offuscava di pianto. Aveva dato quello che ora avrebbe concesso volentieri ad un uomo
che nei suoi occhi conservava quella scintilla che aveva cercato per tutta la vita, a qualcuno che non
aveva capito a pieno quanta importanza vi fosse stata in quel gesto. Il suo amato Marcus, lo stesso
splendido vampiro che anche oggi continuava ad amare ed al quale non riusciva a serbare alcun tipo
di rancore, lo stesso che l’aveva resa una donna migliore in grado di guardare alla differenza con
rispetto e fiducia, le aveva dato e tolto tutto condannandola per sempre a rimanere sola… Chiuse gli
occhi e voltò il viso di lato mentre le lacrime iniziavano la loro inesorabile discesa sulle guance.
Volente o nolente, stava negando a Jean-Claude il dono più grande… Il bel sogno poteva ritenersi
finito. Purtroppo, anche i più meritevoli ed appassionati angeli di Dio possono sbagliare e
precipitano rovinosamente all’inferno.
Lui s’irrigidì di colpo e chinò il capo chiudendo gli occhi. “Ti prego,” sussurrò. “Lasciarmi almeno
il sogno di crederlo possibile…” Le lacrime empirono gli occhi di entrambi e nell’ultimo barlume di
lucidità rimastole, Alex annuì baciandolo con passione, per poi scivolare con lui nell’orgasmo più
travolgente della sua vita. Jean-Claude si aggrappò disperatamente a lei e spalancò gli occhi per
potersi immergere nel verde sconfinato dei suoi. Non decise il momento in cui mettere mano al
secondo marchio, come del resto non era stato in grado di decidere quando lo aveva fatto con il
primo. Il verde smeraldo degli occhi di Alexandra si empì senza timore della fiamma blu del suo
potere di vampiro ed il cuore iniziò a pompargli dentro uno violento scroscio di gioia ed al
contempo di disperazione. L’unica donna che avesse accondisceso a diventare sua in eterno, non
avrebbe mai potuto esserlo. L’avvolse fra le braccia e la cullò dolcemente cercando con il suo
amore, di placare i terribili singhiozzi che la scuotevano rendendola di nuovo il cucciolo piccolo ed
indifeso che quella notte gli aveva spalancato il cuore. Due sole notti ed avrebbe dato la vita per
vederla sorridere… Le nascose il viso nei capelli e stringendola ancora più forte scivolò nel pianto
assieme a lei. Fuori, al di là delle spesse mura di pietra che custodivano quel dolce segreto di due
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creature che chiedevano di appartenersi ma non avrebbero potuto farlo nel modo più giusto per due
come loro, il cielo iniziò a schiarirsi. Jean-Claude sentì il peso del giorno intorpidirgli i sensi, ma
nonostante tutto non si mosse da lì. Tese la mano al lembo del drappo che li aveva accolti per fare
l’amore e coprì delicatamente entrambi scivolando tristemente nel sonno. Il sole dell’alba, salì
lentamente sulla linea dell’orizzonte imporporando il cielo e nel buio che scese sul grande salone
bardato di nero, due anime si strinsero suggellando qualcosa di molto speciale, qualcosa però, che
nasceva già segnato dal peso di un passato che non sarebbe stato mai possibile mettere
completamente da parte.
Anita chiuse gli occhi esalando un sospiro sereno, mentre si accoccolava dolcemente sul petto di
Edward. Era assurdo mettersi a riflettere sull’accaduto o dirsi che probabilmente l’indomani il sole
avrebbe cambiato le cose, tramutando uno splendido uomo nella Morte della quale aveva sempre
avuto timore. In quel momento, Anita Blake, l’inespugnabile donna di ferro, lasciò che le carezze
dell’uomo che le aveva confessato di provare qualcosa di speciale per lei, lo stesso per il quale
aveva scoperto di provare qualcosa di molto importante, la guidassero lentamente al sonno. Edward
l’avvolse dolcemente fra le braccia ed intrecciò le gambe con le sue. Anche per lui fu inutile
pensare al domani ed a cosa sarebbe successo quando varcando di nuovo la soglia di
quell’appartamento si fosse ritrovato a fare rientro nel mondo reale. Inutile e senza senso, perché,
per quanto lo riguardava, il mondo iniziava e finiva lì, su quel letto dove l’aveva condotta per
tenerla stretta al cuore. Si addormentò anche lui, con le dita intrecciate fra le soffici onde di seta
nera, che incorniciavano il volto sorridente della donna che, anno dopo anno, battaglia dopo
battaglia, senza nemmeno saperlo o volerlo, era riuscita a rubargli il cuore.
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