La foto di quell`uomo di poco più di trent`anni, dimensione tessera
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La foto di quell`uomo di poco più di trent`anni, dimensione tessera
La foto di quell’uomo di poco più di trent’anni, dimensione tessera. Un timbro. Nome e cognome battuti a macchina, Andrea Riva, nessun altro dato anagrafico – e poi un grado, forse militare, e un numero di identificazione. In alto l’acronimo dell’OVRA, la polizia politica fascista, un suono che poteva incutere un sincero terrore. OVRA. Duro e secco come una frustata.. A sormontare tutto il simbolo di Casa Savoia e il Fascio Littorio. Non ci si poteva sbagliare e l’archeologo dottor Narva non sbagliò: il giovane che gli si era presentato mostrandogli il tesserino era un membro dell’RS-30, il gabinetto scientifico guidato da Guglielmo Marconi e costituito nel 1930 da Mussolini in persona per investigare, con discrezione e con i mezzi della scienza, sui fenomeni misteriosi, seguendo una nascente moda di infatuazione per l'occulto e l'ufologia che destava persino preoccupazione nei governi occidentali, che cominciavano a paventare la possibilità di subire una "invasione marziana". Due anni e mezzo dopo la loro nascita, quelli dell’RS-30, nonostante la segretezza, erano già famosi in certi ambienti, compresi quelli accademici, e i loro tesserini cominciavano ad essere riconosciuti al volo, con malcelato disappunto misto a paura: saranno anche stati singolari studiosi del paranormale, ma gli agenti in camicia nera erano pur sempre membri della polizia politica, e finire nel loro mirino all'epoca poteva significare confino - nella migliore delle ipotesi. “Avete fatto presto ad arrivare” “Cerveteri non è lontana da Roma”. Non era quello che il professor Narva intendeva – piuttosto era “ormai appena succede qualcosa spuntate fuori voi” -, ma quell’uomo lo sapeva benissimo cosa voleva dire l'archeologo, pur non avendo risposto a tono; doveva essere uno che ci godeva, all’idea del potere che gli conferiva il suo tesserino. Il professor Narva lo studiò: a prima vista sembrava il classico prototipo del fascista. Alto, moro, con gli occhi verdi e lo sguardo spavaldo, camicia nera d’ordinanza e fisico atletico, pareva incarnare l’ideale che il regime voleva propugnare nelle masse. “Uno così lo manderanno in giro per propaganda”, pensò l’archeologo. “Portatemi dall’uomo” disse l’agente Riva tagliando corto, e Narva, dopo un attimo di esitazione, gli fece strada sotto il sole cocente in un accampamento sorto ai margini della necropoli di Cerveteri. Attorno a loro solo silenzio e sguardi di uomini terrorizzati. Riva si domandò se quel terrore strisciante che si percepiva fosse a causa sua: sapeva benissimo che RS-30, nonostante l’aura scientifica, per tutti rappresentava solo una sezione della temutissima OVRA. Sì, l'atmosfera terrorizzata che percepiva intorno a sé doveva dipendere da lui e dal suo tesserino, concluse. In fondo, cos’altro avrebbe potuto spaventare dei seri studiosi? “Credevo che voialtri delle Ricerche Speciali vi occupaste solo di aeronavi del pianeta Marte e armi mirabolanti… curioso vedervi qui, in un antico scavo etrusco” “Il passato è importante come il futuro della Patria, e del resto le nostre radici affondano nel passato glorioso di Roma. Noi investighiamo su tutto, professore. E quando ci hanno segnalato… l’incidente…” L'incidente, già. Qualcuno glielo aveva segnalato. Narva si chiese chi mai avesse potuto informare il governo di fatti tanto singolari. Ma forse era l’OVRA ad avere occhi dappertutto. “Il passato della Patria, certo... comunque questa è una necropoli etrusca, agente Riva… Roma non…” “Non sono io l’esperto di archeologia di RS-30 ma a questo c’ero arrivato da solo. Comunque grazie per la puntuale collaborazione, professore”. Narva deglutì. Il sole continuava a bruciare l'aria di luglio di quell'estate romana. Il professore sudava copiosamente e si detergeva per quanto possibile con un fazzoletto mentre l'agente Riva non dava segni di particolare disagio, ma il nero della stoffa della sua camicia doveva rendere la pelle rovente. L'archeologo si chiese che razza di individuo dovevano avergli mandato, e cominciò a pensare che la sua impressione iniziale sul "classico fascista" baldanzoso e spavaldo magari era anche giusta, ma avrebbe dovuto essere integrata da sfumature particolari che solo in quel momento gli sembrava di cogliere nei gesti e negli sguardi dell'altro. Forse in quell'Andrea Riva in camicia nera con tesserino dell'OVRA, sezione RS 30, in quel quasi incongruo giovane fascista cacciatore di marziani, di fantasmi e misteri, c'era qualcosa in più di quanto potessero suggerire gli stereotipi. Attraversato l'accampamento arrivarono in una tenda in ombra, al cui interno due uomini sembravano prendersi cura di un terzo, robusto, stempiato, con una benda sugli occhi, seduto sofferente su una sedia di legno. La temperatura dentro la tenda era migliore o comunque tollerabile, sferzata da una lieve brezza creata da un'apertura opposta all'ingresso che generava una corrente d'aria. Narva fece segno ai due uomini che sembravano accudire il terzo, quello bendato e sofferente, di uscire insieme a lui e lasciare l'agente Riva con l'uomo, poi un attimo prima di uscire lo indicò beffardo con un ampio gesto, quasi smanioso di prendersi una rivincita nei confronti del nuovo arrivato:“Ecco l’uomo che cercate, camerata, vi lasciamo soli. Il mio collega professor Viani… o quello che ne resta dopo... l’incidente. Non avrete difficoltà a farvi raccontare la storia, agente Riva, non fa che ripeterla da ieri senza sosta. Ricavarne qualcosa di sensato, però… beh… affari vostri. Saluti al Duce. A noi!”. L’agente di Marconi si sedette davanti all’uomo che quasi sobbalzò. “Chi siete? Il dottor Narva vi ha chiamato agente Riva” “OVRA, sezione RS-30. Sono stato inviato qui per…” L’altro non lo fece nemmeno finire, e cominciò a raccontare come se gli si fossero rotti gli argini, esplodendo in un fiume di parole che aspettava solo di essere liberato. Riva ebbe davvero l’impressione che quell’uomo lo stesse facendo ininterrottamente da ore senza mai fermarsi. “Erano tutti andati a pranzo durante la pausa degli scavi, così ne ho approfittato. Sì, non ho detto a nessuno del cunicolo che avevo scoperto il giorno prima, durante una perlustrazione che stavo effettuando da solo. Dio… mi capite? Il tempio, qui nella necropoli! L’avevo trovato io! Io! Volevo essere il primo… il primo! E sentivo quella voce nella mia testa… quella voce che dal tempio mi diceva di entrare! Perché mi chiamava… mi chiamava, capite, signore?” “Agente Riva, non signore. Chiamatemi agente Riva. E continuate, Viani. Dunque, siete entrato…” “Era l’una del pomeriggio, faceva un caldo boia e sono penetrato nel cunicolo. Sapevo che conduceva nel tempio sotterraneo. Lo sapevo! Non so come potessi conoscere in un anfratto della mia mente ogni metro di quel cunicolo, ma io lo sapevo, lo sapevo dove conduceva! Qui tutto intorno è il regno della morte, lo vedete? La morte di millenni e millenni che abita qui dove i morti dormono. E più scendevo nel cunicolo più il caldo feroce del pomeriggio di luglio è diventato gelo. Ricordo i brividi, ad un certo punto… come una carezza di ghiaccio. Ma continuavo a scendere e la voce mi chiamava… continuavo… continuavo… io…”. Riva sospirò: Viani rischiava di divagare e perdersi nella follia che lo aveva ghermito. Perché Marconi aveva inviato proprio lui per quella missione? In fondo l’archeologo di RS-30 era Biasìn. L’agente ripensò alle enigmatiche parole dello scienziato, capo della sezione di Ricerche Speciali:”tocca a te, Andrea. Questa è una missione importante, qui a due passi da Roma, e non mi serve un archeologo, laggiù… se è vero quello che temo mi servirà uno come te per appurarlo… e scongiurarlo. Uno come te”. Uno come me. Un pensiero fisso. Uno come me. “Il tempio… lì sotto… buon Dio!” proruppe Viani, riportando Riva alla realtà. “Una camera vasta, catacombale… resti umani lungo le pareti, fino al soffitto, per decine di metri… ossa e polvere, puzza di morte… Dio! Resti umani ovunque! Resti di sacrifici umani! Di sacrifici orrendi, mostruosi! E l’altare… quel… quell’abominio di pietra!” Viani prese a singhiozzare, ma Riva lo scosse bruscamente. “È una missione per conto del Duce. Continuate a raccontare, è un ordine”. Proprio mentre parlava il giovane si rese conto che nessun nome altisonante, nemmeno quello di Sua Eccellenza, avrebbe più fatto paura a Viani: ben altri terrori sembrava aver conosciuto quell’uomo. Tuttavia riprese il suo resoconto. “Sull’altare sono incisi un nome ed un simbolo… sentivo ancora la voce dentro la testa che mi chiamava. Una voce… non so descriverla… ma non una voce d’uomo! Ha preso a bisbigliarmi parole… parole in etrusco. Tremando le ho ripetute, non so perché. Conoscevo il loro significato e la cosa mi raggelava dal terrore, ma le ho ripetute, schiavo di quell’orrore… come soggiogato… e poi…”. Riva sembrò indovinare uno sguardo febbrile sotto la benda sugli occhi. “Pronunciavo quelle parole oscene ed i morti intorno a me sembravano… ballare! Quelli che prima erano resti logorati dai millenni… polvere e pochi brandelli d’ossa… in quel gelo spettrale si sono fatti vita! La polvere tornava ad essere scheletro… e ballavano, Dio, Dio!”, Viani prese ad urlare, “Tremavo e credevo di impazzire mentre tutto intorno a me era diventato un’orgia demoniaca, e quella voce continuava a urlarmi in etrusco nella testa!” “Vi hanno forse…” “Non mi hanno nemmeno sfiorato” sibilò Viani abbassando il tono, “erano… erano fatti di inganno… erano incubi. È accaduto davvero? Tutto questo, in realtà, non sono nemmeno sicuro di non essermelo solo immaginato”, disse chinando il mento sul petto. “Ma allora…” “So che quello che è successo dopo è tutto vero!” riprese ad urlare alzandosi di scatto, “so di chi è quel nome inciso sull’altare… so a quale Dio dimenticato è consacrato il tempio! E cosa ci sarebbe di strano? Non è forse questa una necropoli? Chi altri ha titolo per regnare sulla morte, se non Lui?” “Viani, calmatevi e sedete, non…” “Altrimenti cosa, agente Riva? Di cosa credi dovrei aver paura? Di te? Di Mussolini? Io ho visto la morte, uomo! La morte! Attende là sotto, attende tutti! Attende senza sonno! E mi chiama, mi chiama ancora! Di cosa dovrei aver paura, degli uomini? Io so cos’è il vero terrore!” I due uomini che si occupavano di Viani, richiamati dalle urla, entrarono di corsa nella tenda, lo afferrarono e lo rimisero a sedere, poi si girarono verso Riva che li guardò laconico. “Lasciate che continui il suo racconto”. I due si guardarono negli occhi, fecero per dire qualcosa, poi mollarono la presa ed uscirono di nuovo. L’altro sembrava essersi calmato e aveva abbassato la testa sul mento. “Professor Viani…” L’archeologo, singhiozzando sommessamente, biascicò piano:”L’ho evocato… io l’ho evocato. So che è vero quello che ho visto… non sono pazzo… so che…” “Cosa avete visto? Cosa?” Viani si strappò la benda con un gesto teatrale. Al posto degli occhi due orbite vuote ancora sanguinanti. “Mio Dio… quella… quella cosa vi… vi ha cavato gli occhi?” “IO ME LI SONO CAVATI, RIVA!!! CON LE MIE STESSE MANI!!! MA ERA TROPPO TARDI… TROPPO TARDI!!! L’HO VISTO! L’HO VISTO!” Sudando sotto il sole spietato di luglio, la camicia nera attaccata alla pelle, l’agente Riva si avviava verso l’uscita dell’accampamento, meditando sul rapporto che avrebbe dovuto stendere per Marconi e per il Duce. Narva lo raggiunse sornione e parve volerlo schernire. “Allora, agente Riva, avete sentito che storia? E dire che era una gran bella mente Viani… impazzire così… ma voi, camerata? Avete trovato quello che cercate? Quale arma fantasmagorica avete procurato a Mussolini per la guerra di domani, eh? Nientemeno che il Dio della Morte degli etruschi, pronto a condurre il Regio Esercito alla conquista dell’Impero! Adesso immagino che da domani qui pullulerà di camicie nere e avremo finito di scavare in pace, vero?” Riva lo guardò negli occhi, poi ripensò alle parole di Marconi quando lo aveva inviato lì (“il prisma magnetico ha segnalato un’intensa attività sulla mappa, proprio nel punto degli scavi di Cerveteri da dove ci è stato segnalato l’incidente. C’è qualcosa lì, Andrea. So che tu puoi sentirlo. Tu, con i tuoi poteri. Usa le tue facoltà medianiche… trovalo… accertati di cosa sia… e quanto sia maligno. Per percepire questa forza sovrannaturale, ammesso che ci sia, occorre uno come te. Uno che può sentire”). “Professore, vi informo che il vostro collega Viani sarà internato, non può stare qui, ha bisogno di cure specialistiche, per il corpo e… per la mente. E peraltro voi non mi avete ancora detto nulla degli operai che sono spariti stanotte. Tre persone, ho saputo. Sì, sappiamo anche questo, a Roma. Tre persone che lavoravano qui agli scavi e sono scomparse. Svanite nel nulla” “…Cosa…? Gli… gli operai? Ma che c’entra…? Agente, non crederete…? Abbiamo semplicemente perso le tracce… momentaneamente… di tre… di tre ubriaconi, che saranno caduti in qualche fosso qui intorno, gonfi di vino, e ora staranno dormendo a smaltire la sbornia… torneranno prima di sera e staranno benissimo. Io non credo che tutta questa ridicola follia possa davvero creare problemi ai nostri scavi, che…” “Professor Narva, qui nessuno scaverà più” “C… cosa… come…?” “Questi scavi non esistono. Non sono mai esistiti. Mi sono spiegato?” “Ma è assurdo… noi…” “Avete ragione, qui domani pullulerà di camicie nere. Spianeranno tutto. Chiuderanno tutti i cunicoli. Qui in pochi giorni sarà solo deserto. Voi ed i vostri uomini dimenticherete questo posto e riprenderete a scavare altrove” “Non crederete alle parole di un pazzo? Lo sapete anche voi, avete appena detto che lo farete internare! Sono favole del terrore per spaventare i bambini, superstizioni ridicole! Non penserete che davvero abbiamo ridestato…” “Non avete ridestato niente, visto che non siete mai stati qui. Addio”. So che tu puoi sentirlo, gli aveva detto Guglielmo Marconi. Lasciando l’archeologo inebetito, Andrea Riva si allontanò in direzione della FIAT 508 nera che lo aveva condotto lì, dove lo attendeva un autista che al vederlo scattò in un saluto romano. Era tempo di tornare in città e dare immediate e urgentissime disposizioni: quella necropoli doveva sparire. Non aveva esagerato con Narva: cemento e furia umana avrebbero cancellato ogni traccia di quel luogo, dei suoi cunicoli e dei templi sotterranei a cui conducevano. Si domandò se prima valesse la pena portare lì il cappellano e far dire una preghiera per l’anima di tre operai probabilmente ghermiti da un Male senza tempo. So che tu puoi sentirlo. Con l’afa che ancora gli si appiccicava alla pelle sotto la camicia nera Andrea Riva si voltò per un solo attimo verso il campo, gli scavi, le rovine della necropoli - e poco oltre un cunicolo più distante degli altri, un abisso aperto su un Ade sconosciuto e antichissimo da dove ancora la voce spaventosa di Tuchulcha, Dio della Morte, lo stava chiamando.