Studio del Centro Galattico e Ricerca di Segnale da Annichilazione

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Studio del Centro Galattico e Ricerca di Segnale da Annichilazione
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA 2
Dipartimento di Fisica
Laurea In Fisica
Studio del Centro Galattico e Ricerca di
Segnale da Annichilazione di Materia
Oscura con il Telescopio Spaziale per
Raggi Gamma Fermi
Edoardo Striani
Relatore
Relatore
Prof. Piergiorgio Picozza
Dott. Aldo Morselli
Marzo 2009
Indice
1 Introduzione
3
2 Il cielo nei raggi gamma
2.1 L’osservazione del cielo nei raggi gamma
2.2 Nuclei Galattici Attivi . . . . . . . . . .
2.3 Pulsars . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.4 Gamma Ray Burst . . . . . . . . . . . .
2.5 Raggi Cosmici . . . . . . . . . . . . . . .
2.6 Sorgenti Egret non identificate . . . . .
2.7 Emissione Extragalattica Diffusa . . . .
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3 Dark Matter
3.1 La geometria dello spazio-tempo . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Evidenze della Dark Matter . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Candidati per la Dark Matter . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Ricerca di Dark Matter con il telescopio Fermi . . . . . .
3.4.1 L’osservazione del centro galattico dell’esperimento
EGRET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.2 Fondo Diffuso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.3 Segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4 Fermi Large Area Telescope
4.1 Fermi Large Area Telescope . . . . . . .
4.2 AntiCoincidence Detector . . . . . . . .
4.3 Tracker . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.3.1 Rivelatori a semiconduttore . . .
4.4 Calorimetro . . . . . . . . . . . . . . . .
4.5 Il Sistema di Acquisizione Dati . . . . .
4.6 Classificazione dei fotoni e rimozione del
4.7 La Funzione di Risposta del LAT . . . .
4.7.1 Area Efficace . . . . . . . . . . .
4.7.2 Point Spread Function . . . . . .
4.7.3 Risoluzione Energetica . . . . . .
1
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5 Programmi utilizzati e procedura di riduzione dati
39
5.1 I programmi di analisi scientifica della collaborazione Fermi
(Glast Science Tools) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
5.2 I dati del LAT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
6 Simulazioni
6.1 Simulazione del Fondo . . . . .
6.2 Simulazione della Dark Matter
6.3 Sorgenti nel Centro Galattico .
6.4 Analisi . . . . . . . . . . . . . .
6.5 Conclusioni . . . . . . . . . . .
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7 Analisi dati
7.1 Prima analisi dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.1.1 Acquisizione dati . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.1.2 Fit dei dati nel centro galattico . . . . . . . . .
7.2 Analisi dati luglio-novembre . . . . . . . . . . . . . . .
7.3 Analisi dei primi 5 mesi di dati . . . . . . . . . . . . .
7.3.1 Mappe di conteggi e mappe di significanza . . .
7.3.2 Analisi Spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.3.3 Analisi del profilo spaziale del Centro Galattico
7.3.4 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7.4 I risultati ottenuti dal telescopio Fermi . . . . . . . . .
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8 Conclusioni
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A Likelihood e Test Statistic
111
B Processi elettromagnetici
B.1 Radiazione Sincrotrone .
B.2 Bremsstrahlung . . . . .
B.3 Effetto Compton inverso
B.4 Assorbimento di fotoni .
B.5 Sciami elettromagnetici
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C Lista Acronimi
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2
Capitolo 1
Introduzione
L’11 Giugno 2008 è stato lanciato in orbita da Cape Canaveral il Telescopio Spaziale per Ragga Gamma Fermi, precedentemente chiamato GLAST
(Gamma-ray Large Area Space Telescope). Con i suoi 2 strumenti, il Large
Area Telescope (LAT) ed il GLAST Burst Monitor (GBM), il telescopio
Fermi sta osservando l’Universo ad energie comprese tra 10 KeV e 300 GeV,
ossia nella banda Gamma, la regione dello spettro elettromagnetico che va
da qualche decina di KeV a diverse centinaia di TeV. Gli obiettivi del telescopio Fermi sono dunque alcuni tra i fenomeni più energetici e violenti
dell’universo, che verranno studiati con una precisione ed una sensibilità
mai avuti prima. Il predecessore del telescopio Fermi, EGRET, con i suoi
9 anni di attività rivoluzionò l’astronomia nella banda gamma, ma lasciò
anche parecchi interrogativi aperti. Grazie ad una sensibilità aumentata,
rispetto ad EGRET, di un fattore 30, con il telescopio Fermi si cercherà
di capire i meccanismi di produzione ed accelerazione dei raggi cosmici, la
natura dei Gamma Ray Bursts, e sarà possibile studiare centinaia di AGN
e gamma-Pulsars. Tra gli obiettivi del telescopio Fermi c’è lo studio del
centro galattico, e la ricerca di segnale gamma dato dalla annichilazione di
Materia Oscura (Dark Matter, DM). Il centro galattico è una delle regioni
più qualificate per la ricerca della Dark Matter, poichè dai modelli teorici è
previsto in questa regione un incremento della sua densità. EGRET osservò
nel centro galattico, in una regione compresa entro un raggio di 1◦ , un forte
eccesso di fotoni ad energie > 1 GeV. Una delle possibili interpretazioni di
questo fenomeno è che tale eccesso possa essere dovuto a fotoni derivanti
dall’annichilazione di Dark Matter. L’oggetto di questa tesi è lo studio del
Centro Galattico e dell’eventuale interpretazione dell’eccesso GeV come annichilazione di Dark Matter. Nel primo capitolo della tesi verranno descritte
le principali sorgenti astrofisiche di raggi gamma, mentre nel secondo capitolo si parlerà in modo più dettagliato della Dark Matter. Il capitolo 3 è
dedicato alla descrizione del Large Area Telescope e la sua funzione di risposta. Per l’analisi dei dati è stato sviluppato dal Fermi/GLAST Collaboration
3
Group un pacchetto di programmi, i Glast Science Tools, che verrà descritto
nel capitolo 4. Il capitolo 5 è dedicato alle simulazioni del centro galattico
effettuate da me nel corso della fase iniziale della tesi, prima del lancio del
telescopio Fermi e dell’invio dei dati da parte del LAT. Tali simulazioni sono
state utilizzate per stimare la sensibilità del telescopio Fermi nel trovare una
sorgente di Dark Matter nel Centro Galattico. L’analisi dei dati inviati dal
LAT è effettuata nel capitolo 7. Con lo studio delle mappe di conteggi da
me create è stato possibile osservare il Centro Galattico con una risoluzione
mai avuta prima a queste energie. Ciò ha reso possibile l’identificazione di
almeno 3 nuove possibili sorgenti, una delle quali, la Pulsar Mouse, è stata
identificata in modo indipendente da me. E’ stata poi effettuata un’analisi
spettrale dei fotoni γ provenienti dal Centro Galattico, la quale ha rivelato
un eccesso di conteggi che, se dovuto alla Dark Matter, imporrebbe dei limiti precisi alla sua massa. Infine, è stato effettuato uno studio preliminare
del profilo spaziale della sorgente nel Centro Galattico, per cercare di capire
se le sue dimensioni siano quelle di una sorgente puntiforme, o se essa sia
spazialmente estesa.
4
Capitolo 2
Il cielo nei raggi gamma
2.1
L’osservazione del cielo nei raggi gamma
Per cercare di capire la natura dei più enigmatici oggetti astrofisici, gli astronomi hanno da sempre cercato nuove sorgenti di dati. A tale scopo, il
cielo è stato esplorato in quasi tutte le lunghezze d’onda, a partire dagli
anni ’30, in cui per la prima volta furono fatte osservazioni nella banda radio. Successivamente, grazie alla sempre maggiore sensibilità dei rivelatori,
ed alla possibilità di operare al di fuori dell’atmosfera, sono state esplorate
le regioni nella banda dell’X, dell’infrarosso e dell’ultravioletto. La regione
gamma è stata l’ultima ad essere esplorata, a causa di grandi difficoltà di
carattere tecnico che possono essere spiegate da tre fattori:
• il flusso nella banda gamma è molto basso e diminuisce molto velocemente con l’energia.
• i raggi gamma sono quasi totalmente assorbiti dall’atmosfera terrestre.
• per rivelatori in orbita nelle missioni spaziali, si presenta il problema
che i raggi cosmici (Cosmic Rays, CR), circa 104 volte più numerosi
dei fotoni γ, possono interagire con lo strumento e generare segnali che
possono essere interpretati come raggi gamma.
A causa dell’assorbimento dovuto all’atmosfera terrestre, l’astronomia
nei raggi gamma si è potuta sviluppare solo utilizzando palloni sonda o telescopi spaziali. Va comunque detto che nelle ultimi anni sono stati sviluppati
telescopi Cherenkov a terra (Atmospheric Cherenkov Telescopes, ACT), i
quali rivelano la radiazione Cherenkov prodotta dagli sciami elettromagnetici causati dall’interazione dei raggi gamma con l’atmosfera.
La prima missione spaziale realizzata per rivelare radiazione gamma nello
spazio fu OSO-3 (Third Orbiting Solar Observatory), lanciato nel 1967, il
quale lavorò per 16 mesi raccogliendo 621 eventi. Esso rivelò che la maggior
parte dei fotoni gamma provengono dalla nostra Galassia. Successivamente
5
fu lanciato, nel 1972, il telescopio SAS-2 (Second Small Astronomy Satellite),
il quale funzionò per circa sei mesi, ed osservò per la prima volta l’emissione
da sorgenti discrete come le pulsar Crab e Vela. Nel 1975 fu lanciato in orbita
COS-B, il quale individuò 25 sorgenti gamma ed effettuò la prima mappa
completa del disco della Via Lattea. A COS-B si deve l’individuazione della
prima sorgente extragalattica - il quasar 3C 273.
Una data storica nello sviluppo dell’astronomia gamma fu il 1991, quando la NASA lanciò in orbita il Compton Gamma Ray Observatory (CGRO),
il quale, con i suoi 9 anni di osservazioni, rivoluzionò l’astronomia gamma
con diverse scoperte. CGRO era dotato di quattro telescopi per la rivelazione
della radiazione gamma. Lo strumento per la rivelazione dei raggi gamma
di alte energie era l’Energetic Gamma Ray Telescope Experiment EGRET,
il cui range energetico andava dai 20 Mev ai 30 GeV. Rispetto ai precedenti
esperimenti, EGRET aveva una migliore risoluzione angolare ed energetica
ed una sensibilità un ordine di grandezza superiore. Tra i maggiori risultati
ottenuti da EGRET possono essere citati: la catalogazione di 271 sorgenti
con energie al di sopra dei 100 MeV, il cosiddetto terzo catalogo EGRET
(Third EGRET Catalog, 3EG); la produzione di una mappa e la misura
dello spettro del fondo galattico diffuso e lo spettro del fondo extragalattico
diffuso; la scoperta di una nuova classe di AGN (Active Galactic Nuclei)
che emettono nei raggi gamma, i Blazars, che compongono la più grande
frazione di sorgenti identificate da EGRET, con 66 identificazioni ad alta
confidenza e 27 a bassa confidenza [1]; l’osservazione di migliaia di Gamma
Ray Bursts (GRB), alcuni dei quali aventi emissioni della durata di più di
un’ora.
Figura 2.1: Il cielo gamma visto da EGRET per E > 100 MeV
6
Grandezza
EGRET
LAT
Miglioramento
Range Energetico
Risoluzione Energetica
Area Effettiva
Campo di vista
Sensitività
ai
punti sorgente
Localizzazione
Sorgenti
Tempo morto
Risoluzione angolare (100 MeV)
Risoluzione angolare (10 GeV)
20 MeV-30 GeV
10%
20 MeV-300 GeV
≤ 10%
10
≥1
1500 cm2
0.5 sr
10−7 γ cm−2 s−1
6
≥4
30
15’
10000 cm2
2 sr
6 ×10−9 γ cm−2
s−1
< 0.5’
100 ms
< 5.8◦
27 µs
3◦
4000
∼2
30
< 0.15◦
Tabella 2.1: Caratteristiche del LAT comparate con quelle di EGRET
Il telescopio spaziale Fermi può essere considerato il successore di EGRET.
Il satellite del Fermi è posto in un orbita approssimativamente circolare, con
periodo orbitale di circa 90 minuti, ad una altezza di 565 km da terra ed
una inclinazione dei piano orbitale di 28.5◦ . Due strumenti sono presenti a
bordo del Fermi: il Large Area Telescope (LAT) ed il GLAST Burst Monitor (GBM). Il GBM, sensibile ad energie comprese tra 30 KeV e 30 MeV, è
stato realizzato prevalentemente per lo studio di sorgenti transienti come i
GRB, e non verrà trattato in questa tesi. Il LAT è lo strumento principale a
bordo del telescopio Fermi, e verrà descritto approfonditamente nel prossimo capitolo. Rispetto ad EGRET, il LAT presenta notevoli miglioramenti,
schematizzati in tabella 2.1:
• Un campo di vista (Field of View, FOV) di 2 sr, circa 20% del cielo,
migliore di quello di EGRET di un fattore 4
• Una risoluzione angolare (Point Spread Function, PSF) migliorata di
un fattore 3 rispetto ad EGRET per energie maggiori di 1 GeV.
• Un’area effettiva di circa 10000 cm2 , migliore di un fattore 5 rispetto
a quella di EGRET
• Un tempo morto pari a 27 µs, 4000 volte migliore di EGRET
Questi aspetti hanno portato ad un miglioramento della sensibilità di un
fattore 30 per energie al di sotto dei 10 GeV e di un fattore 100 ad energie
più elevate.
7
Andiamo a vedere più in dettaglio le sorgenti astrofisiche della radiazione
gamma, e quali sono gli obiettivi che ci si aspetta possano essere raggiunti
con il telescopio Fermi.
2.2
Nuclei Galattici Attivi
Circa 60 anni fa Seyfert scoprı̀ una nuova classe di Galassie, particolarmente
luminose nel loro centro e con una larga banda di emissione. Questo nuovo
tipo di oggetto, chiamato Galassia Seyfert, fu poi associato ad una nuova
classe di oggetti, chiamati AGN (Active Galctic Nuclei). Altri esempi di
AGN sono i Quasar, le Radio Galassie, e i Blazars. Inizialmente questi
oggetti sembravano essere tutti diversi tra loro, ma negli anni novanta è
stata avanzata l’ipotesi che essi fossero lo stesso fenomeno visto da differenti
prospettive: un buco nero super massivo (Super Massive Black Hole, SMBH)
circondato da un disco di accrescimento e due jet di materia collimati e
perpendicolari al piano del disco (figura 2.2)
Figura 2.2: Il Modello Standard degli AGN
L’emissione degli AGN è estremamente variabile: essa cambia significativamente da tempi dell’ordine dei giorni o delle ore, fino a tempi dell’ordine
dei minuti. Un sistema di dimensioni l non può avere variazioni in tempi
minori di l/c. La variabilità pone perció dei vincoli sulle dimensioni della
regione di emissione: per variazioni dell’ordine di un giorno, la regione di
emissione deve avere un raggio delle dimensioni del sistema solare. L’energia emessa è invece più di 10 volte quella di una normale Galassia. Questo
scenario implica un meccanismo di conversione dell’energia estremamente
efficiente. Il meccanismo più efficiente conosciuto è quello del rilascio di en-
8
ergia gravitazionale in presenza di una profonda buca di potenziale. Da qui
nasce l’ipotesi della presenza di un SMBH nel centro.
Lo spettro è caratterizzato da una componente doppia, una piccata nell’X e l’altra con energie dell’ordine dei GeV, quindi nei raggi gamma. Per
spiegare questa emissione gamma sono stati proposti 2 modelli:
• modello leptonico in cui elettroni accelerati dai jets interagiscono con
fotoni di bassa energia via effetto compton inverso
• modello adronico, in cui protoni accelerati dai jets interagiscono con
fotoni o con altri protoni generando π 0 e quindi raggi γ dal loro
decadimento.
E’ previsto che il telescopio Fermi aumenterà il numero di AGN nei raggi
gamma da circa 100 a diverse migliaia, e permetterà per la prima volta la
discriminazione tra canale leptonico ed adronico. Effettuando una scansione
del cielo ogni 3 ore, migliorerà il tempo di scala minimo per il monitoraggio
della variabilità.
2.3
Pulsars
Le Pulsars sono stelle di neutroni dotate di un forte campo magnetico e rapidamente ruotanti. Sono state scoperte prevalentemente nella banda radio,
ma la loro osservazione è possibile a tutte le lunghezze d’onda. Le prime
gamma pulsar osservate furono Vela e Crab.
Dopo una esplosione di Supernova (SN), se la stella non è completamente distrutta, si ha la formazione di un oggetto estremamente compatto.
Se la pressione di degenerazione degli elettroni è sufficiente a contrastare
l’attrazione gravitazionale, si ha una Nana Bianca. In oggetti più massivi,
il cui nucleo ha una massa maggiore di 1.44 masse solari, la pressione di
degenerazione del gas di elettroni non è più sufficiente a bilanciare il peso
del core, e la stella comincia a collassare. All’aumentare della densità e pressione, elettroni e protoni si combinano in neutroni tramite decadimento β
inverso, fino a formare la configurazione stabile di un gas di Fermi di neutroni. Le stelle di neutroni hanno una densità maggiore di 1015 g/cm3 e un
raggio di circa 10 km; la conservazione del momento angolare porta ad un
aumento nella velocità angolare di un fattore 1010 mentre la conservazione
del flusso magnetico aumenta il tipico campo magnetico stellare (∼ 102 G)
a valori dell’ordine di ∼ 1012 G ed oltre. La stella, ruotante ed altamente
magnetizzata, produce un enorme quantità di radiazione elettromagnetica.
Sulla superficie della stella il campo elettrico indotto è molto più grande
di quello gravitazionale, e le particelle cariche sono espulse nella magnetosfera, rotante con la stella. Alla distanza r = c/ω dall’asse di rotazione, il
campo magnetico si trova a ruotare ad una velocità pari e quella della luce
9
e per effetti relativistici le linee del campo magnetico si aprono. Le particelle cariche, che si muovono lungo le linee di forza del campo magnetico,
emettono radiazione di Sincrotrone (vedi sezione B.1) e possono inteteragire con i fotoni prodotti, producendo fotoni di alta energia tramite effetto
Compton Inverso (sezione B.3). A causa di effetti relativistici, la radiazione
elettromagnetica non sarà prodotta in tutte le direzioni, ma entro un cono
di angolo θ ' 1/γ rad. Si avrà quindi una emissione pulsata con periodo
uguale a quello di rotazione della stella. Tra i modelli per spiegare l’accelerazione delle particelle e la generazione dei raggi gamma, quelli principali
sono il Polar Cap [2], per cui la radiazione ha origine vicino ai poli magnetici, e l’Outer Gap [3], che suppone una origine della radiazione lontano dalla
superficie della Pulsar. Si stima che il telescopio Fermi scoprirà circa 250 γray pulsars, e cercherà la periodicità nelle sorgenti EGRET non identificate,
molte delle quali potrebbero essere radioquiet Pulsars. Potranno inoltre essere studiati i meccanismi di accelerazione delle particelle, verificando quale
tra il Polar Gap e l’Outer Gap sia il modello migliore.
2.4
Gamma Ray Burst
I Gamma Ray Burst (GRB) sono flash di radiazione gamma estremamente
intensi, che avvengono quasi una volta al giorno in una direzione casuale
e non prevedibile nel cielo. I GRB sono le sorgenti gamma più potenti,
arrivando ad essere 104 volte più brillanti degli AGN. Il primo GRB fu osservato nel 1967 e da allora numerosi strumenti sono stati progettati per
la loro rivelazione. Tra il 1991 ed il 1998 CGRO misurò oltre 2000 GRB
con la precisione di 1◦ . Grazie alla misurazione della controparte ottica dei
GRB è stato possibile l’identificazione della Galassia ospitante, e questo,
come anche la misura del redshift, ha reso possibile stabilire la loro origine
extragalattica. I GRB hanno un profilo temporale estremamente variabile:
alcuni mostrano dei picchi della durata di 1 ms o meno, altri esibiscono strutture della durata di 1000 s. La durata temporale segue una distribuzione
bimodale: i Long Bursts, con t > 2 s, piccati a 20 s, e gli Short Bursts,
con t < 2 s, piccati a 200 ms. Un’altra importante caratteristica dei GRB è
l’afterglow : all’intenso burst nei raggi γ seguono altre emissioni di radiazione
elettromagnetica ad energie inferiori, che vanno dalla banda radio ai raggi X.
Tra i modelli per spiegare il comportamento dei GRB, il più accreditato è il
Fireball Model, nel quale diverse fireballs, formate da coppie e− e+ accelerate
a velocità relativistiche, sono prodotte in modo intermittente; l’interazione
tra una fireball più interna con quelle più esterne produce uno shock che
causa l’intenso burst. Quando poi le fireballs più esterne interagiscono con
il mezzo interstellare, generano emissioni a più bassa frequenza che possono
spiegare gli afterglows. Sono proposti due diversi meccanismi per l’accelerazione delle particelle che causa una cosı̀ violenta esplosione. I Long Burst
10
sono probabilmente correlati ad esplosioni di Supernovae particolarmente
intense. La connessione con le SN è particolarmente interessante poichè
significherebbe poter utilizzare i GRB come candele standard per la misurazione delle distanze. Gli Short Burst sono probabilmente il risultato un
differente meccanismo, come la fusione di due oggetti compatti, come due
nane bianche o due stelle di neutroni.
Il telescopio Fermi avrà la capacità di puntare direttamente verso la
sorgente del burst per il monitoraggio di una eventuale emissione ritardata.
Si stima che rivelerà circa 100 bursts per anno, e grazie al tempo morto
molto piccolo, darà la possibilità di confermare o no il Fireball model, il
quale prevede la presenza di multi-picchi ad alta frequenza dopo il burst
iniziale.
2.5
Raggi Cosmici
I raggi cosmici (Cosmic Rays, CR) sono particelle relativistiche che si propagano nel mezzo interstellare. Lo spettro di potenza dei CR è descritto
dalla legge
dN
= E −(γ+1)
dE
(
con γ =
1.7 per E < 106 GeV
2 per E > 106 GeV
Lo spettro si fa più ripido intorno ai 106 GeV, ma intorno ai 109 GeV mostra
un leggero appiattimento (figura 2.3). La maggior parte dei raggi cosmici ha
energie comprese tra i 100 MeV e i 10 GeV. L’energia più alta mai misurata
è superiore ai 1011 GeV.
La composizione dei CR comprende essenzialmente tutti gli elementi
della tavola periodica; circa l’89% è costituito da protoni, il 10% da nuclei di
elio e l’1% da elementi più pesanti. L’abbondanza degli elementi più pesanti
come carbonio ossigeno e silicio è la stessa che si trova nel nostro sistema
solare, mentre ci sono alcune importanti differenze, rispetto all’abbondanza
nel nostro sistema solare, come la sovrabbondanza di litio, berillio e boro. Si
pensa che essi siano prodotti da collisioni di CR più pesanti come carbonio
ed ossigeno con il mezzo interstellare. Ciò lascia pensare che i raggi cosmici
passino molto tempo confinati nella Galassia a causa dei campi magnetici
presenti nel mezzo interstellare.
Si pensa che i raggi cosmici vengano creati ed accelerati da esplosioni di
Supernova e dai resti di queste esplosioni, le Supernova Remnants (SNR). Si
può calcolare infatti che la potenza delle esplosioni di SN è tale da giustificare
l’accelerazione di tutti i CR contenuti in una Galassia. Tale ipotesi è rafforzata dal fatto che il modello di Fermi, che descrive l’accelerazione come
provocata da un forte shock, riproduce naturalmente la legge di potenza
tipica dei raggi cosmici. I CR interagiscono con il mezzo interstellare producendo pioni neutri π 0 , i quali decadono in 2 fotoni gamma. Lo spettro dei
11
Figura 2.3: Spettro differenziale dei raggi cosmici
gamma prodotti dal decadimento presenta un caratteristico bump a 68 MeV,
metà della massa del π 0 . Una importante prova dell’accelerazione dei CR da
parte di SNR sarebbe l’osservazione del bump del π 0 nelle shell delle SNR.
Questa verifica sarà possibile con il telescopio Fermi, che avrà la capacità
di risolvere spazialmente le SNR e misurare il loro spettro. Sarà possibile
inoltre misurare separatamente la distribuzione di protoni ed elettroni nei
CR e di verificare le teorie circa la loro produzione e diffusione.
2.6
Sorgenti Egret non identificate
Delle 271 sorgenti identificate da EGRET, 170 sono sorgenti non identificate
[1], poichè non è stato possibile associare sorgenti rivelate ad altre lunghezze
d’onda. Ciò implica che la loro luminosità nei raggi gamma è molto più
elevata di quella ad altre lunghezze d’onda. Si pensa che parte di queste
sorgenti siano AGN o Radio-quiet Pulsar, mentre per altre sorgenti non
si esclude l’origine galattica, poichè esse sono distribuite prevalentemente
lungo il piano galattico. Il telescopio Fermi sarà in grado di identificare tali
sorgenti grazie alla sua maggiore risoluzione angolare ed area effettiva.
2.7
Emissione Extragalattica Diffusa
Fu scoperta per la prima volta dal satellite SAS-2 una componente diffusa
del flusso dei raggi gamma, isotropica e di origine extragalattica. Si pensa
che essa sia dovuta alla somma dei contributi di migliaia di AGN non risolti
12
[4]. Lo spettro dell’emissione extragalattica è ben descritto da una legge
di potenza, di tipo E −Γ , con indice spettrale Γ= 2.07 ± 0.03. Tale indice
è consistente con l’indice spettrale medio trovato da Egret per i Blazars.
Ciò supporta l’ipotesi che l’emissione extragalattica diffusa sia dovuta ad
AGN non risolti [5]. Il telescopio Fermi, grazie alla sua migliore risoluzione
angolare ed energetica rispetto ai precedenti rivelatori gamma, sarà in grado
di identificare migliaia di AGN, migliorare la loro localizzazione, e verificare
questa ipotesi.
13
Capitolo 3
Dark Matter
3.1
La geometria dello spazio-tempo
La geometria dello spazio tempo è determinata del contenuto energetico
dell’universo. Vale l’equazione di Friedmann
2
ȧ
a
8
k
Λ
= H 2 = πGρ − 2 +
3
a
3
dove Λ è la costante cosmologica, associata all’energia di vuoto, a è un fattore di scala che determina la dimensione fisica dell’universo, e la costante k
caratterizza la sua curvatura spaziale. Per k = −1 si ha un universo aperto,
destinato ad espandersi infinitamente. Per k = 1 si ha un universo chiuso,
per cui all’attuale espansione derivante dall’esplosione del Big Bang seguirà
una contrazione e conseguente Big Crunch. Per k = 0 si ha un universo
piatto, destinato ad una espansione infinita ad un ritmo decrescente.
3h2
Definendo la densità critica come ρc = 8πG
, l’equazione di Friedmann diventa
k
Λ
Ω−1= 2 2 −
H a
3H 2
dove Ω = ρ/ρc , è il rapporto tra la densita’ dell’universo e la densita’ critica.
La curvatura spaziale dell’universo è data quindi, in assenza di costante
cosmologica, dal valore di Ω. Nel seguto verra’ indicato con Ωm il contributo
totale ad Ω dovuto alla materia, con Ωb quello dovuto alla materia barionica
e ΩDM quello dovuto alla DM. Si ha Ωm = Ωb + ΩDM .
3.2
Evidenze della Dark Matter
La prima evidenza che la quantità di materia presente nell’Universo fosse
maggiore di quella che emette radiazione elettromagnetica si ebbe nel 1933
grazie agli studi di Zwichy. Egli stimò la massa dell’ammasso di Galassie
Coma basandosi sulla velocità di rotazione delle Galassie al suo interno, e la
14
confrontò con la massa ricavata dalla luminosità dell’ammasso. Il potenziale
gravitazionale delle Galassie visibili era troppo piccolo per tenere insieme
le Galassie nell’ammasso, che avrebbe quindi dovuto disgregarsi. Zwicky
suppose che doveva esserci una forma di materia non visibile che avrebbe
dovuto fornire la massa necessaria per tenere insieme l’ammasso, e diede a
questo fenomeno il nome di problema della massa mancante.
Una delle più dirette evidenze di Dark Matter viene dall’osservazione della curva di rotazione delle Galassie a spirale: le stelle che le compongono si
muovono più velocemente di quanto ci si aspetterebbe se esse sentissero semplicemente l’attrazione gravitazionale degli altri oggetti visibili, come si può
vedere graficando le loro velocità rotazionali in funzione della distanza dal
centro galattico. La velocità di rotazione v di un oggetto in un’orbita
p stabile
kepleriana con raggio r intorno alla Galassia scala come v(r) ∝ M (r)/r,
dove M (r) è la massa all’interno dell’orbita. Se r si trova all’esterno della
parte visibile della Galassia, e se la luce traccia la massa, ci si aspetterebbe
√
v ∝ 1/ r. Invece si trova che v diventa approssimativamente costante al
crescere di r; ad esempio nella nostra Galassia v ' 220km/s alla distanza
del nostro sistema solare, con piccoli cambiamenti all’aumentare del raggio
(figura 3.1). Ciò ha suggerito l’esistenza di un alone oscuro, con densità
ρ ∝ 1/r2 , ossia M (r) ∝ r.
La stima della materia nella Galassia calcolata a partire dalla sua luminosità fornisce una Ωlum ≤ 0.01, mentre dall’analisi delle curve di rotazione
si ottiene ΩDM ≥ 0.1.
Figura 3.1: Curva di rotazione osservata della Galassia M33, imposta alla sua immagine nell’ottico. Tratteggiata è mostrata anche la velocità
aspettata dal disco luminoso
15
L’osservazione degli ammassi di Galassie fornisce invece ΩDM ' 0.2−0.3.
Un’altra suggestiva evidenza della presenza di Dark Matter nell’universo è
l’effetto di lensing gravitazionale: la luce di una Galassia può essere deflessa
dal campo gravitazionale di un ammasso di Galassie (figura 3.2). Dalla
misura della deflessione può essere ricavata la massa dell’ammasso. Studi
dell’effetto del lensing gravitazionale di numerosi clusters rivelano ancora la
presenza di una grande massa che non emette nè assorbe radiazione, e danno
una stima di ΩDM ' 0.2 − 0.3 [6].
Figura 3.2: Effetto di lente gravitazionale osservato intorno all’ammasso di
Galassie Abell-2218 dal Telescopio Spaziale Hubble. La luce delle Galassie
in background è distorta a formare archi intorno all’ammasso.
La più accurata determinazione della ΩDM viene da osservazioni su scala
cosmologica. La misura dell’anisotropia della radiazione cosmica di fondo
(Cosmic Microwave Background, CMB), effettuata da WMAP (Wilkinson
Microwave Anisotropy Probe) fornisce un stima della densità della materia
nell’universo pari a Ωm ' 0.27 [7] ed un valore di Ωb ' 0.04 per la densità
della materia barionica: circa l’85% della materia nell’Universo è costituito
da Dark Matter.
3.3
Candidati per la Dark Matter
Candidati Barionici
Il contributo della materia luminosa alla densità di materia è Ωlum = 0.002−
0.006, mentre Ωb = 0.04. Quindi la maggior parte della materia barionica è
oscura. Il miglior candidato per la dark matter barionica sono le nane brune,
16
stelle di piccola massa che non si sono mai accese. Anche buchi neri primordiali potrebbero essere buoni candidati, ma la maggiore obiezione contro la
loro esistenza è la mancanza di meccanismi plausibili per la loro formazione.
Candidati non barionici
La classificazione principale della DM non barionica è basata sulla sua temperatura al momento del disaccoppiamento dall’equilibrio termico. La Hot
Dark Matter (HDM) nel momento del disaccoppiamento era relativistica.
Le strutture formate dalla HDM non si formerebbero gerarchicamente, da
piccoli aggregati a strutture più grandi, ma da frammentazione di superammassi, che si formerebbero per primi per poi suddividersi in strutture più
piccole come le Galassie. Tale previsione è in disaccordo con le osservazioni
a larga scala dell’universo. I migliori candidati alla HDM sono i neutrini
massivi, ma c’è un limite al loro contributo alla massa totale, Ων ≤ 0.014,
che viene dall’analisi della radiazione cosmica di fondo. Quindi i neutrini
costituiscono solo una piccola componente della massa della Dark Matter.
La Cold Dark Matter (CDM) era non relativistica al tempo di disaccoppiamento. Quando iniziò nell’universo la formazione delle Galassie, la CDM
era lenta abbastanza per legarsi in strutture di scala galattica. La CDM
quindi produce naturalmente Galassie e le strutture a grande scala dell’universo.
I candidati per la DM non barionica devono soddisfare diverse condizioni:
devono essere stabili su scala cosmologica, devono interagire solo debolmente
e gravitazionalmente con la materia ordinaria, e devono fornire il valore di
ΩDM che ci si aspetta dalle considerazioni precedenti. Questi candidati
includono buchi neri primordiali, axioni, e particelle massive debolmente interagenti (Weakly Interacting Massive Particles, WIMPs).
Candidati Supersimmetrici - WIMPs
La Supersimmetria è stata introdotta per unificare le forze fondamentali
della natura. Essa richiede l’esistenza di una nuova particella per ogni particella del Modello Standard. I partner supersimmetrici differiscono dalle
particelle del Modello Standard per un fattore di spin pari ad 1/2. Quindi
i parner supersimmetrici dei bosoni sono fermioni e vice versa. Se la supersimmetria fosse una simmetria della natura, i superpartners avrebbero
la stessa massa delle particelle del Modello Standard. Per spiegare perchè
tali particelle non sono ancora state trovate, si assume quindi che la supersimmetria sia rotta, ed i superpartners possono quindi avere una massa
molto più grande delle loro controparti. L’estensione minimale del modello standard (Minimal Supersymmetric Standard Model, MSSM) assume la
conservazione della R-parità:
R ≡ (−1)3B+L+2s
17
dove B, L ed s sono il numero barionico, leptonico e di spin. Tutte le paricelle del Modello Standard hanno R-parità uguale ad 1 mentre le particelle
supersimmetriche hanno R-parità uguale a -1. Come conseguenza della conservazione della R-parità, la particella supersimmetrica più leggera (Lightest
Supersymmetric Particle, LSP ) è stabile e può essere distrutta solo mediante
annichilazione di coppia, essendo cosı̀ un ottimo candidato per la Dark Matter. La LSP non può avere carica elettrica o di colore, altrimenti potrebbe
interagire con la materia barionica dando isotopi pesanti, in conflitto con le
osservazioni. Per avere buon accordo con le osservazioni, una LSP deve avere
una massa compresa tra qualche GeV a qualche TeV, deve essere neutra e
può interagire con una sezione d’urto comparabile a quella delle interazioni
deboli, oltre all’interazione gravitazionale. Nell’MSSM il candidato LSP è il
Neutralino χ, ottenuto dalla combinazione dei superpartners dei bosoni di
gauge dell’interazione elettrodebole e dei bosoni di Higgs neutri
χ ≡ N11 B̃ + N12 W̃ 3 + N13 H̃10 + N14 H̃20
(3.1)
Le WIMPs erano in equilibrio termico con le particelle ordinarie nell’universo primordiale, ed erano non relativistiche al tempo del disaccoppiamento. La densità può essere calcolata come
Ωh2 =
ρ 2 3 · 10−27 cm3 s−1
h ≈
ρc
< σann v >
(3.2)
dove h è la costante di Hubble in unità di 100 km·s−1 ·M pc−1 , < σann > è la
sezione d’urto totale di annichilazione di una coppia di WIMPs in particelle
del modello standard, v è la velocità relativa tra le 2 WIMPs e < ... > denota
la media termica. Dai dati di WMAP si ha Ωh2 ∼ 0.1. E’ rimarchevole il
fatto che la sezione d’urto delle WIMPS ha esattamente il valore giusto
affinchè la 3.2 dia il corretto valore di Ω.
3.4
Ricerca di Dark Matter con il telescopio Fermi
Le strategie per la ricerca di Dark Matter possono essere raggruppati in 2
gruppi: metodi di ricerca diretti ed indiretti. Nei primi si sfrutta il fatto che
la Dark Matter può interagire con la materia ordinaria tramite scattering
elastico, e si studia l’energia trasferita mediante il processo di interazione con
gli atomi del rivelatore. Il rate di interazione è proporzionale alla velocità
relativa tra il rivelatore e la nube di Dark Matter nella quale si suppone sia
immersa la Terra. Ci si aspetta di poter rivelare 2 tipi di segnale: una asimmetria giornaliera nella direzione di rinculo dei nuclei del rivelatore, dovuta
alla rotazione della Terra, e una modulazione annuale nel rate di scattering
dovuto all’addizione o sottrazione della velocità della Terra a quella del Sole.
Tra gli esperimenti per la ricerca diretta di Dark Matter vanno menzionati
gli esperimenti DAMA/NaI e DAMA/LIBRA, effettuati presso i Laboratori
18
Nazionali del Gran Sasso dell’INFN ed ideati da ricercatori dell’Università di
Tor Vergata. I dati dei due esperimenti, presi insieme, hanno osservato una
modulazione annuale del segnale con la fase aspettata ed una significanza
statistica di 8.2σ [9]. Tuttavia gli esperimenti DAMA/NaI e DAMA/LIBRA
sono gli unici segnali positivi visti dagli esperimenti di ricerca diretta di Dark
Matter. Grandi difficoltà si incontrano nel cercare di riconciliare il segnale
visto da DAMA con i risultati negativi di altri esperimenti, anche se studi
recenti non escludono la compatibilità [10].
I metodi di ricerca indiretti sfruttano il fatto che le particelle di Dark Matter possono annichilarsi, e i prodotti di decadimento possono essere rivelati
come un contributo esotico al flusso astrofisico di raggi gamma, neutrini ed
antimateria (figura 3.3). Tra gli esperimenti per la ricerca di Dark Matter
basati sulla rivelazione di antimateria, va citato l’apparato PAMELA [11],
un rivelatore ottimizzato per lo studio di antiparticelle nella radiazione cosmica. PAMELA ha osservato [12] un significativo aumento nell’abbondanza
dei positroni nella radiazione cosmica per E > 10 GeV che non può essere
spiegato dai modelli standard che descrivono la produzione di positroni secondari tramite le interazioni tra i Raggi Cosmici e le particelle del mezzo
interstellare. I positroni in eccesso potrebbero essere prodotti dall’annichilazione di particelle di Dark Matter, o nella magnetosfera delle Pulsars.
L’eccesso di positroni osservato da PAMELA potrebbe costituire una evidenza indiretta dell’annichilazione di Dark Matter, o la prima osservazione
della produzione di positroni da Pulsars.
Figura 3.3: Produzione di raggi γ da annichilazione di WIMPs
L’oggetto di questa tesi è la ricerca di Dark Matter tramite la rivelazione
del segnale γ dato dall’annichilazione di coppie di WIMPs. La ricerca può
essere effettuata in diverse regioni del cielo, ognuna delle quali presenta dei
vantaggi e degli svantaggi, come schematizzato nella tabella 3.1. Il Centro
Galattico rappresenta una delle zone di maggiore interesse, poichè, come
verrà discusso nel paragrafo 3.4.3, i modelli teorici prevedono in questa regione un aumento della densità delle WIMPs, cui consegue un aumento del
19
Ricerca
Centro Galattico
Vantaggi
Elevatata statistica
Satelliti
Alone galattico
Basso segnale dal fondo diffuso, buona identificazione delle sorgenti
Elevata statistica
Extra Galattico
Elevata statistica
Linee Spettrali
Nessuna incertezza astrofisica, segnale inconfondibile
Svantaggi
Incertezza sul fondo diffuso
Incertezze astrofisiche
Incertezza sul fondo diffuso
Incertezze astrofisiche e
incertezze sul contributo
galattico diffuso
Bassa statistica
Tabella 3.1: Le regioni del cielo che il telescopio Fermi esplorerà alla ricerca
di WIMPs, ed i vantaggi e svantaggi di ogni regione
segnale γ dovuto alla loro annichilazione. In questo lavoro la ricerca di Dark
Matter è stata dunque effettuata nel Centro Galattico.
3.4.1
L’osservazione del centro galattico dell’esperimento
EGRET
Durante i suoi 9 anni di osservazione del cielo il telescopio spaziale EGRET
ha rilevato nel Centro Galattico, in una zona compresa entro un raggio di
1.5◦ , un flusso di fotoni che eccedeva in misura rilevante l’emissione diffusa.
Diversi scenari sono stati proposti per spiegare questo eccesso; tra questi:
1. una variazione nello spettro dei CR, al quale corrisponderebbe un
aumento nell’emissione diffusa.
2. emissione dovuta alla concentrazione di un gran numero di pulsar nel
Centro Galattico
3. l’accrescimento del buco nero super massiccio nel Centro Galattico
Alternativamente, l’eccesso GeV potrebbe essere spiegato dall’annichilazione di Dark Matter: i dati di EGRET mostrano infatti il tipo di distorsione dello spettro γ diffuso che ci si aspetterebbe dall’annichilazione di
WIMPs, assumendo che l’alone di Dark Matter abbia un picco nel CG [13].
In questa ipotesi, il flusso totale misurato da EGRET può essere scisso in
2 contributi: uno dovuto al fondo diffuso, in questo caso considerato come
background, l’altro dovuto all’annichilazione di WIMPs, che sarà il segnale.
Vediamo separatamente i due contributi
20
3.4.2
Fondo Diffuso
Ci sono tre meccanismi che danno luogo alla componente γ diffusa: il decadimento del π 0 , l’effetto Compton inverso ed il bremsstrahlung. Il decadimento
del π 0 è la componente dominante alle energie prese in considerazione (E > 1
GeV). La produzione del π 0 avviene tramite interazione dei raggi cosmici
con gli atomi del mezzo interstellare
p + X → · · · → π 0 → 2γ
He + X → · · · → π 0 → 2γ
dove X è un atomo del mezzo interstellare, principalmente H e He.
Il flusso può essere scisso in 2 fattori: un termine che definisce la forma
spettrale, ed una costante di normalizzazione Nb . Il termine che definisce
la forma spettrale è proporzionale all’emissività Em per atomo di idrogeno,
ossia il numero di fotoni secondari con energia compresa tra Eγ ed Eγ + dEγ
emessi nell’unità di tempo e per atomo di idrogeno, quando esso è colpito da
un protone o nucleo di elio. La costante di normalizzazione sarà invece legata
all’integrale lungo la linea di vista della densità dell’idrogeno del mezzo
interstellare. Per energie maggiori di 1 GeV la forma spettrale del fondo
diffuso può essere descritta da una power law, ossia una legge del tipo
φback ∝ Eγ−α
(3.3)
dove l’indice spettrale α, che determina la pendenza dello spettro, è uguale
a quello dei protoni nei raggi cosmici, ossia α = 2.72.
Per calcolare l’emissione γ diffusa si può assumere che lo spettro dei raggi
cosmici nella Galassia sia uguale a quello misurato localmente. Modelli di
questo tipo sono chiamati convenzionali.
Alternativamente, si può assumere che lo spettro locale dei raggi cosmici
non rappresenti quello medio della Galassia. Considerevoli aumenti nell’intensità del CR si possono avere ad esempio con esplosioni di SN. I modelli
che usano questa assunzione sono chiamati ottimizzati, e riescono a riprodurre l’eccesso GeV dei dati di EGRET senza dover introdurre produzioni
esotiche. Gli spettri risultanti da questi 2 modelli sono mostrati nelle figure 3.4 e 3.5 (fonte [14]), e confrontati con i dati ottenuti da EGRET e
COMPTEL, un altro telescopio a bordo di CGRO.
21
Figura 3.4: Spettro gamma della Galassia interna (300 < l < 30◦ , |b| < 5)
derivato dal modello convenzionale. In rosso il contributo dal decadimento
del π 0 , in verde il contributo dato dall’effetto Compton Inverso, in fucsia
il contributo dal bremsstrahlung. In nero il fondo diffuso extragalattico, in
blu il flusso totale. Sono mostrati i dati di EGRET, in rosso, e quelli di
COMPTEL, in verde.
Figura 3.5: Spettro gamma della Galassia interna (300 < l < 30◦ , |b| < 5)
derivato dal modello ottimizzato. In rosso il contributo dal decadimento
del π 0 , in verde il contributo dato dall’effetto Compton Inverso, in fucsia
il contributo dal bremsstrahlung. In nero il fondo diffuso extragalattico, in
blu il flusso totale. Sono mostrati i dati di EGRET, in rosso, e quelli di
COMPTEL, in verde.
22
3.4.3
Segnale
Ci sono differenti tipi di contributi che danno luogo a fotoni γ dall’annichilazione di WIMPs. La componente dominante dei raggi gamma è associata
alla produzione e decadimento di bb̄, tt̄, W + W − e Z 0 Z 0 , che hanno come
stadio finale la produzione del π 0 ed il suo decadimento in 2γ. Il contributo dovuto all’annichilazione in coppie di fermioni leggeri è soppresso di un
fattore m2f /Mχ2 , dove mf è la massa del fermione, se si considera che le velocità delle particelle è piccola rispetto alla massa, e l’annichilazione avviene
in onda S. Per concludere, le particelle di Dark Matter possono annichilare
direttamente in fotoni, mediante il processo χχ → γγ o χχ → Zγ, dando
luogo ad una linea di emissione ad energie pari alla massa della DM. Tuttavia il branching ratio per questo processo è ∼ 10−3 , poichè le WIMPs sono
elettricamente neutre, e quindi non si accoppiano direttamente in fotoni.
Supponendo l’alone di Dark Matter approssimativamente sferico, il flusso
gamma indotto dall’annichilazione di WIMPs lungo una direzione che forma
un angolo ψ con il centro galattico sarà dato da:
Z
σv X dNf
1 ρ(l)2
φχ (E, ψ) =
Bf
dl(ψ)
4π f dE
2 Mχ2
l.o.s
(3.4)
dN
dove Bf è il branching ratio dei vari stati finali di annichilazione, dEf è il
flusso differenziale relativo ad un determinato canale di annichilazione, σv è
il rate di annichilazione totale, Mχ è la massa della DM, e l’integrale della
densità ρ è effettutato lungo la linea di vista. La precedente equazione può
essere fattorizzata in una parte dipendente solo dalla fisica della particella
di DM presa in considerazione (definita da sezione d’urto, branching ratio
e massa) ed una parte dipendente dalla distribuzione della DM nell’alone.
Quindi
φχ (E, ψ) = 3.74 × 10−10
×
X dNf
f
dE
σv
−26
10 cm3 s−1
50GeV
Mχ2
Bf · J(ψ)cm−2 s−1 GeV −1 sr−1
!2
(3.5)
dove la costante adimensionale J contiene la dipendenza dalla densità
dell’alone ed è definita per convenzione come
1
J(ψ) =
8.5kpc
1
0.3GeV cm−3
Z
ρ2 (l)dl(ψ)
(3.6)
l.o.s
La parte sinistra dell’equazione 3.5 determina la forma spettrale del segnale, dipende solo dalla fisica della particella scelta e può essere calcolata con
una accuratezza elevata. La parte destra è invece soggetta ad una incertezza
23
di diversi ordini di grandezza, dovuta alla scarsa conoscenza della ρ(l) della
Dark Matter. Come per la componente diffusa, il segnale γ dovuto alla Dark
Matter può quindi essere diviso in un termine che definisce la forma spettrale del flusso, ed una costante di normalizzazione, Nχ , definita da J(ψ).
Il profilo della densità della DM può essere studiato mediante simulazioni
numeriche ad N-corpi della formazione di strutture per CDM. Tra i modelli
più usati ci sono il profilo Navarro-Frenk-White (NFW)
ρN F W =
ρ0
(r/r0 )(1 + r/r0 )2
(3.7)
e quello di Moore
ρM =
(r/r0
ρ0
+ (r/r0 )1.5 )
)1.5 (1
(3.8)
dove ρ0 è fissato imponendo che la densità della DM alla distanza del
sole dal CG (8.5 Kpc) sia uguale a 0.3 GeV/cm3 , e r0 ∼ 20 Kpc (figura 3.6).
Tuttavia questi due profili non esauriscono tutte le possibilità, e restano
grandi incertezze nella distribuzione della DM, soprattutto nel CG. In più,
il potenziale gravitazionale nelle regioni più interne della Galassia è dominato non dalla DM, ma dai barioni, il cui effetto non è incluso in queste
simulazioni. E’ difficile predirre nei dettagli l’impatto dei barioni nella distribuzionde della DM, ma ci si aspetta un aumento del rate di annichilazione
di DM dovuto alla compressione adiabatica [15].
I gamma derivanti dal fondo galattico diffuso e quelli dovuti all’annichilazione di WIMPS hanno forma spettrale diversa: il bakground, come detto,
segue un andamento di power law, mentre la DM ha un andamento più curvo, che diventa sempre più ripido quando Eγ si avvicina alla massa del
neutralino.
In [13] lo spettro del fondo diffuso è stato modellato con il codice GALPROP, un modello numerico per la propagazione dei CR nella Galassia, e
che fornisce l’emissione γ diffusa data dalla loro interazione con le particelle
del mezzo interstellare. Lo spettro dei CR nella Galassia è stato considerato uguale a quello misurato localmente. Gli spettri della Dark Matter
sono stati simulati con il codice DARKSUSY, un pacchetto FORTRAN per
calcoli sulla Dark Matter supersimmetrica [16]. E’ quindi stato fatto il fit
dei dati di EGRET nel Centro Galattico con il modello del fondo diffuso ed
alcuni modelli di Dark Matter, lasciando Nb ed Nχ come parametri liberi,
ed al variare di Mχ . L’accordo con i dati risulta nettamente migliore quando
all’emissione γ del fondo diffuso viene aggiunta la componente dovuta all’annichilazione di WIMPS, con un valore di χ2 ridotto, con 6 gradi di libertà.,
che passa da ≈ 150 nel caso di solo fondo diffuso a 5 con la componente di
DM aggiuntiva (figura 3.7)
24
Figura 3.6: Confronto tra i profili di densità della Dark Matter nella Via
Lattea, come funzione della distanza dal centro dell Galassia. Tutte le curve
sono normalizzate a ρ0 ≡ ρ(R ) = 0.3 GeV cm−3 (fonte [17])
Figura 3.7: Fit dei dati di EGRET nel Centro Galattico ottenuto da Morselli
et al. [13]
25
Capitolo 4
Fermi Large Area Telescope
4.1
Fermi Large Area Telescope
Il Large Area Telescope LAT, il principale strumento a bordo del telescopio
Fermi, è un telescopio a conversione di coppie, il cui intervallo di energia
di rivelazione è compreso tra 20 MeV e 300 GeV. Schematicamente, il LAT
è costituito da un dispositivo di anticoincidenza (Anticoincidence Detector,
ACD), che circonda l’intero strumento al fine di schermarlo dai raggi cosmici,
all’interno del quale si trovano 16 moduli indentici, chiamati torri o towers,
inseriti in una griglia 4 × 4. Le torri sono cosı̀ costituite:
• La parte superiore è costutuita dal Tracciatore o Tracker (TKR), nella quale avviene la conversione dei fotoni γ nelle coppie e+ e− e la
determinazione della loro traiettoria.
• La parte centrale è costituita dal Calorimetro (CAL), il quale ricostruisce l’energia dei raggi gamma primari.
• La parte inferiore è costituita dal Moduli di acquisizione Dati (DAQ)
Un evento gamma sarà caratterizzato nel LAT da:
• nessun segnale dall’ACD
• due tracce nel TKR, che devono partire dalla stessa posizione, identificando cosı̀ un vertice
• uno sciame elettromagnetico nel CAL
Vediamo ora le varie componenti del LAT più nel dettaglio
4.2
AntiCoincidence Detector
L’ACD ha il compito di rilevare le particelle cariche incidenti nel LAT, che
nell’orbita del telescopio Fermi sono 4 ordini di grandezza più abbondanti
26
Figura 4.1: Telescopio a conversione di coppie: un fotone entra nel LAT e
crea una coppia e+ e− che viene rivelata nel tracciatore
Figura 4.2: Rappresentazione schematica del LAT
27
dei raggi gamma.
I raggi gamma ad energia piu’ elevata, al di sopra dei 5 GeV, possono produrre il cosiddetto fenomeno di backsplash: i fotoni originati nel calorimetro
come prodotto degli sciami elettromagnetici possono subire uno scattering
all’indietro e produrre un segnale di self-veto nell’ACD tramite scattering
Compton. Il telescopio EGRET, nel quale l’ACD era costituito da un pezzo
unico, ha sofferto di una perdita di efficienza del 10% a 10 GeV rispetto
a quella ad 1 GeV a causa di tale effetto. Nel LAT, al fine di ridurre il
fenomeno del self-veto, l’ACD è segmentato: un evento e’ preso in considerazione solo se il segnale appare nel settore nel quale passa la traiettoria
dell’evento ricostruito. Con la segmentazione è possibile minimizzare il selfveto ad alte energie e migliorare la reiezione del background. L’ACD del lat
è segmentato in 89 mattonelle di scintillatore, 25 nella parte superiore del
LAT e 16 per ciascun lato.
4.3
Tracker
Il Tracker del LAT ha 2 compiti: convertire i fotoni incidenti in coppie
e+ e− , e rivelare le tracce degli elettroni e positroni. Si presentano quindi due esigenze: da una parte, per la conversione, è necessario un grande
spessore di materiale convertitore, poiche’ la probabilità di conversione e’
proporzionale al numero di lunghezze di radiazione χ0 del materiale convertitore. χ0 è definita come la distanza media per la quale un elettrone perde
(1-1/e) della sua energia per Bremsstrahlung (paragrafo B.2). Dall’altra,
per la rivelazione, e’ richiesto un piccolo spessore, poichè esso influisce sulla
risoluzione angolare a causa dello scattering multiplo della coppia elettrone
positrone con gli atomi del rivelatore (vedi paragrafo 4.7.2). La scelta dei
materiali e del loro spessore è quindi cruciale. Per la conversione, serve un
materiale con alto Z per ottenere una buone efficienza di conversione, ed è
stato scelto il Tungsteno anche per le sue caratteristiche termiche e meccaniche. Ogni modulo del TKR contenuto in ciascuna torre è composto da
trays contenenti il piano di tungsteno ed i piani di silicio. Ogni piano di
silicio è composto da 2 silicon strip detector (SSD), una al di sopra ed una
al di sotto, orientate nella stessa direzione. Il singolo sensore di silicio è
un quadrato di lato 8.95 cm. I sensori vengono posti in gruppi di 4 uno di
seguito all’altro, con le strip parallele, e saldati formando un ladder. Quattro ladder vengono affiancati tra loro su una struttura in fibra di carbonio
a formare il tray. I tray sono montati uno sopra all’altro a distanza di 2
mm per formare una torre. Ogni tray è posizionato con un angolo di 90◦
rispetto alla precedente, creando cosı̀ una struttura x-y ed ottenendo una
capacità di immagine a 2 dimensioni. Ogni torre del TKR contiene 19 piani: 12 piani con foglio di tungsteno con 0.03 χ0 , chiamata trays frontale, 4
trays con un foglio di tungsteno con 0.18 χ0 , chiamata trays posteriore, e 3
28
trays senza foglio convertitore, per una spessore totale di 1.08 χ0 . La scelta
dello spessore del foglio di tungsteno è cruciale per assicurare una buona
efficienza di conversione minimizzando l’impatto dello scattering multiplo,
che influisce sulla risoluzione. La sezione frontale è designata per massimizzare la risoluzione angolare, mentre la sezione posteriore per massimizzare
l’area effettiva, aumentando la sensibilità alle alte energie, ma a discapito
della risoluzione angolare. Il TKR è costituito da circa 10.000 SSD, per una
superficie di silicio totale pari a circa 80 m2 .
4.3.1
Rivelatori a semiconduttore
Il meccanismo di rivelazione di una SSD sfrutta le proprietà fisiche di una
giunzione p-n polarizzata inversamente. Una particella carica che attraversa
una zona svuotata da portatori di carica crea coppie elettrone-lacuna liberi.
Il numero di coppie è proporzionale all’energia trasmessa dalla particella
carica al semiconduttore. La radiazione è misurata per mezzo del numero
di portatori di carica liberi nel rivelatore, che è posto tra due elettrodi: gli
elettroni e le lacune vengono trasportati da un campo elettrico sugli elettrodi, sui quali generano un segnale pulsante che può essere misurato da un
circuito esterno. La lettura del segnale viene effettuata in AC, mentre la
componente continua viene tagliata. In questo modo il rumore, che varia
lentamente nel tempo, può essere in larga parte eliminato. La regione di
svuotamento creata dal campo elettrico intrinseco della giunzione p-n non
è molto larga. Ciò comporterebbe una bassa efficienza nella raccolta di
carica. Per migliorare le prestazioni viene applicato un potenziale inverso,
il potenziale di bias, che ha l’effetto di allargare la regione di svuotamento. Anche se teoricamente un diodo polarizzato inversamente non dovrebbe
condurre, nella pratica è comunque sempre presente la corrente di perdita,
dovuta principalmente al movimento dei portatori di carica di minoranza, e
alla formazione spontanea di coppie elettrone-lacuna all’interno della zona
di svuotamento. Tale corrente di perdita costituisce una sorgente di rumore
sull’output del rilevatore, e stabilisce quindi un limite per il più piccolo
segnale che possa essere rivelato. Le velocità degli elettroni e delle lacune
all’interno del silicio sono proporzionali al campo elettrico, e determinano
il tempo di risposta dello strumento. Per i rivelatori del telescopio Fermi
questo tempo è dell’ordine di alcuni nanosecondi. Lo svantaggio principale
dei rivelatori a strip è la quantità di elettronica richiesta per leggere il segnale, in quanto ad ogni strip corrisponde un differente elettrodo. Il grande
vantaggio è l’alta risoluzione spaziale, paragonabile al passo degli elettrodi.
4.4
Calorimetro
Il Calorimetro del LAT ha lo scopo di misurare l’energia dell’elettrone e del
positrone incidenti, e dare informazioni sui fotoni ad alta energia che non
29
Figura 4.3: Struttura di un wafer di silicio usato per il tracciatore
sono stati convertiti nel TKR. Esso è composto da scintillatori a cristalli di
Ioduro di Cesio drogato al Tallio, CsI(Tl), letti da fotodiodi. Il passaggio
degli elettroni e dei positroni attraverso il calorimetro causa una reazione
di scintillazione nei cristalli di ioduro di cesio. Il flash di luce risultante è
convertito tramite il fotodiodo in una corrente elettrica, poi digitalizzata e
registrata. Cosı̀ come il resto del LAT, il calorimetro è costituito da 4 ×
4 moduli. Ogni modulo è formato da 8 strati di scintillatori, ognuno dei
quali è costituito da 12 barre di cristallo di CsI(Tl) delle dimensioni di
2 × 2.8 × 35.2 cm3 , avvolti in fogli riflettenti, per una lunghezza di radiazione
totale pare a 8.5 χ0 . All’estremità di ciascuna barra è collocato un diodo
PIN, utilizzato per la lettura. La precisione sulla posizione di rivelazione
varia da qualche mm a basse energie (intorno ai 10 MeV), fino a frazioni
di mm per energie maggiori di 1 GeV. Cosı̀ come le SSD del TKR, ogni
strato è ruotato di 90◦ rispetto al precedente per ottenere una capacità di
immagine a 2 dimensioni. Questa capacità di immagine può anche essere
usata per misurare la direzione di fotoni di alta energia che non hanno subito
conversione nel TKR.
4.5
Il Sistema di Acquisizione Dati
Il Sistema di Acquisizione Dati (Data Acquisition System, DAQ) del LAT ha
principalmente 3 funzioni: far partire il trigger del rivelatore per registrare
gli eventi, leggere e collocare gli eventi in una memoria temporanea, ed
elaborarli per prepararli alla trasmissione a Terra. Il DAQ è costituito da 18
moduli, ognuno con una propria CPU: 16 Tower Electronic Module, collocati
30
Figura 4.4: Schema del calorimetro del LAT
al di sotto di ogni torre, un modulo per il dispositivo di anticoincidenza (ACD
Electronic Module, AED), e lo Spacecraft Interface Unit. Il Trigger del LAT
è un sistema a 3 livelli:
• Il trigger di primo livello L1T ha lo scopo di far iniziare la lettura
degli eventi. Ogni torre ha un proprio trigger. L’inizio di un trigger di
torre può essere causato da un segnale proveniente dal tracciatore o da
uno proveniente dal calorimetro. Per quanto riguarda il tracciatore, la
richiesta è che ci siano 3 piani consecutivi colpiti simultaneamente.
• Il trigger di livello 2, L2T, ha lo scopo di implementare nell’L1T le informazioni provenienti dall’ACD. Ricostruendo la traccia tramite un
algoritmo, rende possibile l’identificazione del pannello ACD attraversato da quella traccia. Se quel pannello ha dato segnale, l’evento viene
eliminato, in quanto dovuto ad un raggio cosmico.
• Il trigger di livello 3, L3T esegue una ricostruzione completa dell’evento, utilizzando le informazioni di tutti i sottoinsiemi. E’ usato anche
per eliminare il rumore dei fotoni di albedo provenienti dalla terra,
confrontando la direzione di provenienza del fotone con la posizione
dell’orizzonte terrestre.
La frequenze degli eventi che superano i 3 livelli sono rispettivamente
di 5 kHz, 1 kHz e 15 Hz. La mole di dati dal primo all’ultimo livello è
notevolmente ridotta, ed i dati sono pronti per essere trasferiti a terra.
31
4.6
Classificazione dei fotoni e rimozione del background
Al fine di discriminare se una dato evento è effettivamente un fotone astrofisico, o se esso è un evento di background, è fondamentale la ricostruzione
dell’interazione degli eventi con le varie parti del telescopio, ACD, TKR e
CAL. La maggior parte dei trigger dello strumento infatti sono eventi di
background causati dall’interazione dei raggi cosmici con lo strumento, e
raggi gamma di albedo provenienti dalla terra. La classificazione degli eventi è effettuata tramite algoritmi che dividono i dati in sottoinsiemi seguendo
il valore assunto da alcune variabili scelte per la discriminazione degli eventi,
come ad esempio la presenza di un vertice alla sommità delle 2 tracce nel
tracker. In questo modo si formano i cosiddetti Classification Tree, CT. Gli
eventi vengono separati dagli algoritmi di classificazione in 3 classi di eventi
o event classes. Queste classi si differenziano da una richiesta via via più
restrittiva che l’evento in esame si comporti nel tracker e nel calorimetro
come farebbe un raggio gamma. Le 3 tre classi di eventi sono:
• La diffuse class, che ha la più piccola PSF e la più piccola area effettiva. Essa include la più piccola frazione di conteggi del background,
ed è usata per lo studio di emissioni diffuse.
• La source class, la quale ha una area effettiva maggiore, ma anche
una più alta frazione di conteggi di background e fotoni con PSF più
grande. Il compromesso tra area effettiva e PSF rende questa classe
favorevole per lo studio di sorgenti puntiformi.
• La transient class, che ha dei tagli di selezione ancora minori. L’area
effettiva è aumentata al costo di una grande PSF e eventi di background addizionali. Tale classe è ideale per lo studio di transienti
dalle dimensioni temporali di un’ora, come gamma ray bursts, poichè
quasi tutti gli eventi vengono dalla sorgente.
La tabella 4.1 riassume le proprietà delle 3 classi di analisi, mentre le
figura 4.5 mostra il background residuo per le 3 classi.
4.7
La Funzione di Risposta del LAT
La Instrument Response Function o IRF descrive le prestazioni del LAT in
termini di probabilità di trasformazione da una grandezza fisica vera, come
ad esempio l’energia e la direzione dei fotoni, alla corrispondente quantità
misurata. Può quindi essere vista come una mappa tra il flusso di fotoni
incidenti sul LAT e gli eventi registrati.
La performance del rilevatore sono espresse nei termini dell’efficienza di
rivelazione (area efficace, Aef f ), della risoluzione angolare (Point Spread
32
Classe
Transient
Source
Diffuse
Caratteristica
Massimizza l’area effettiva, particolarlmente a basse energie,
alle spese di un alto background residuo. Appropriato allo
studio di transienti
Tasso residuo del background comparabile e quello del diffuso extragalattico stimato da EGRET. Appropriato per lo
studio di sorgenti localizzate
Tasso residuo del background comparabile al limite massimo possibile. Tagli alla PSF alle alte energie minimizzati.
Consigliabile per lo studio delle sorgenti diffuse più deboli
Tabella 4.1: Classi di Analisi del LAT
Function, PSF), e della ricostruzione dell’energia (dispersione energetica,
∆E). Ogni classe di eventi, diffuse, point source e transient, ha una diversa
IRF. Il rate di conteggi osservati è la convoluzione tra il flusso reale di fotoni
e la IRF.
Consideriamo il flusso differenziale incidente F (E, θ), espresso come numero di fotoni per unità di area, energia e tempo, dove E e θ sono l’energia
e la direzione veri. In particolare nel LAT θ è definto come l’angolo tra
la normale al LAT e la posizione vera della sorgente. Il numero di fotoni
osservati nell’unità di tempo, provenienti da una sorgente di flusso F (E, θ)
sarà dato da:
dN 0 0
(E , θ ) =
dt
Z Z
R(E 0 , θ0 |E, θ)F (E, θ)dEdθ
(4.1)
dove R(E 0 , θ0 |E, θ) è la IRF del rivelatore. R può anche essere interpretata
come la probabilità di misurare E 0 e θ0 quando l’energia vera è E e la direzione vera è θ, e può essere espressa nei termini di un’area efficace per la
probabilità che un fotone con un dato insieme di parametri sia rilevato come
un evento con un dato insieme di osservabili. Per il LAT, i parametri del fotone sono l’energia E e l’angolo di inclinazione θ, e l’evento è caratterizzato
0
dall’energia apparente E 0 e dalla posizione apparente θ .
Quindi per una data classe di eventi la IRF potrà essere scritta come
0
0
R(E , θ ; E, θ) = Aef f (E, θ)P SF (θ0 ; E, θ)E(E 0 ; E)
(4.2)
ed è quindi il prodotto dell’area effettiva, della PSF e della funzione di ridistribuzione dell’energia. La IRF è determinata da simulazioni Monte Carlo
della risposta del LAT ad un fotone di energia E ed inclinazione θ. Il confronto tra le proprietà dell’evento calcolate e quelle del fotone incidente simulato fornisce la IRF. E’ importante notare che la IRF non dipende soltanto
dallo strumento, ma anche dagli algoritmi di ricostruzione, di reiezione del
background, e dalla selezione degli eventi. Per esempio, si può scegliere di
33
Figura 4.5: Rapporto tra il background residuo e il background
extragalattico diffuso trovato da EGRET.
studiare separatamente la risposta dello strumento selezionando solo quegli
eventi che hanno subito la conversione nella parte frontale del tracker, dove
i fogli di tungsteno sono sottili, o viceversa quelli provenienti dalla parte
bassa del tracker, con fogli di conversione più spessi. Gli algoritmi di selezione degli eventi usati per la rimozione del background influiscono anche
sull’efficienza di rivelazione, data dall’Area Efficace Aef f . In generale, la
massimizzazione dell’efficienza di rivelazione, ottenuta considerando anche
eventi che non sono stati ben ricostruiti, influisce sulla risoluzione angolare del rivelatore. Al contrario, considerare solo eventi la cui direzione è
stata ben ricostruita implica la reiezione di molti eventi, con conseguente
diminuizione dell’efficienza di rivelazione. Per questo le 3 classi di eventi,
diffuse, point source e transient, hanno ognuna una propria IRF.
4.7.1
Area Efficace
L’Area Efficace del LAT è una funzione dell’energia E del fotone incidente,
dell’angolo di inclinazione θ, e della categoria dell’evento. Essa è data dal
prodotto dell’area del rivelatore per l’efficienza di rivelazione. Da un punto
di vista strettamente geometrico, l’area efficace sarà data da:
Aef f (θ) = Apeak · cos(θ)
dove θ è l’angolo tra il fotone incidente e la normale al piano del rivelatore,
ed Apeak l’area efficace massima, che si ha per fotoni incidenti perpendicolar34
mente sulla superficie del rivelatore. Nelle figure 4.6, 4.7 e 4.8 sono mostrati
i plot dell’area efficace a vari angoli di inclinazione.
Figura 4.6: Area Efficace per θ = 0
Figura 4.7: Area Efficace per θ = 30
Figura 4.8: Area Efficace per θ = 60
35
4.7.2
Point Spread Function
La PSF è la risposta dello strumento ad una sorgente puntiforme, ossia l’immagine di un punto sorgente dopo la ricostruzione da parte del rivelatore.
L’allargamento dell’immagine dovuto alla PSF porta ad un impoverimento
della risoluzione angolare dello strumento. Nei telescopi gamma con rivelatori allo stato solido, la maggiore causa dell’allargamento della PSF è
dovuto allo scattering multiplo della coppia elettrone positrone con gli atomi del rivelatore. Lo scattering multiplo è ben descritto dalla teoria di
Molière: per piccoli angoli di deflessione la distribuzione angolare può essere ben approssimata da una gaussiana, mentre per grandi angoli essa si
comporta come un singolo scattering alla Rutherford, dando come risultato
una coda più allargata rispetto alla distribuzione gaussiana. All’aumentare
dell’energia della particella incidente, l’angolo di deflessione diminuisce. Ciò
porta ad un miglioramento della PSF ad alte energie, fino al raggiungimento
di un plateau, determinato dalla risoluzione intrinseca del TKR.
4.7.3
Risoluzione Energetica
E’ misurata dal rapporto tra l’energia ricostruita dal rivelatore e quella vera.
Dato un fotone di energia vera E ed energia apparente E 0 , la risoluzione
energetica può essere parametrizzata dalla formula
dN
A(1 + x) · p1
=
dx
1 + exp( px2 )
dove x = (E 0 − E)/E ed A è un fattore di normalizzazione.
Di seguito sono riportati i grafici dei plots della PSF e dell’Area Efficace
per la versione della IRF P ass4 v1
36
Figura 4.9: Area Efficace vs energia
Figura 4.10: Area Efficace vs angolo di inclinazione
37
Figura 4.11: PSF vs energia
Figura 4.12: PSF vs angolo di inclinazione
38
Capitolo 5
Programmi utilizzati e
procedura di riduzione dati
5.1
I programmi di analisi scientifica della collaborazione Fermi (Glast Science Tools)
I dati del LAT, immagazzinati in file FITS (Flexible Image Transport System), il formato standard per i dati astronomici, sono divisi in 2 categorie:
gli event files, o FT1, che contengono tutte le informazioni sugli eventi osservati, come l’energia, le coordinate in Ascensione Retta e Declinazione, o
in longitudine e latitudine galattica, il tempo di arrivo, la classe di eventi
di appartenenza, e cosı̀ via; e gli spacecraft files, o FT2, i quali contengono
le informazioni sulla posizione del satellite ad un determinato tempo di osservazione e sulla direzione di puntamento del LAT. I tempi di osservazione
sono definiti in MET, Mission Elapsed Time, misurati in secondi a partire
dal 1◦ Gennaio 2001. L’analisi dei dati provenienti dal telescopio Fermi è
effettuata con gli Science Tools, un pacchetto di programmi sviluppato dal
Fermi/GLAST Science Support Center. Essi sono stati ampiamenti usati nel
corso di questa tesi. Nel seguito verra’ data una descrizione dei programmi
e del loro utilizzo.
Gtobssim
Questo programma e’ usato per la simulazione di sorgenti gamma: esso genera fotoni da sorgenti astrofisiche e li processa seguendo la IRF specificata.
Può generare sia sorgenti puntiformi, o point sources, che sorgenti diffuse.
I modelli delle sorgenti da simulare sono definiti in un file xml, i cui parametri
fondamentali sono lo spettro, ossia la distribuzione dei fotoni in funzione dell’energia, e la distribuzione spaziale. Per le sorgenti puntiformi è possibile
modellare lo spettro con andamenti di power law, broken power law o tramite
39
un file ASCII. Uno spettro di tipo power law ha una forma del tipo E −γ ,
dove l’indice spettrale gamma definisce la pendenza dello spettro: spettri
piu’ ripidi vengono definiti hard, mentre spettri con una valore di gamma
piu’ piccolo vengono definiti soft. Uno spettro di tipo broken power law
ha invece una pendenza variabile: è definito da 2 indici spettrali, γ1 e γ2 e
da Ebreak , ossia l’energia in corrispondenza della quale si ha la variazione
di pendenza. Nel file ASCII vengono definiti l’energia ed il corrispondente
valore dello spettro differenziale dN/dE in due colonne di dati. Per l’andamento di power law occorre specificare nel modello il valore del flusso
integrato, gli estremi di integrazione ed il valore dell’indice spettrale. La
broken power law richiede la definizione di due indici spettrali ed il valore
dell’energia di break, oltre al flusso integrato e gli estremi di integrazione.
Se lo spettro è definito tramite file ASCII, occorre semplicemente inserire
il percorso del file. In tutti i modelli occorre infine definire la posizione in
coordinate celesti o galattiche.
Per le sorgenti diffuse sono possibili diverse opzioni, sia per modellare la
parte spaziale che per modellare lo spettro: una gaussiana bidimensionale
con spettro power law; una sorgente isotropica che copre l’intero cielo con
spettro di power law; il modello MapSource, per cui la distribuzione spaziale
dei fotoni è data in un file FITS e lo spettro nella mappa è di tipo power
law; il modello MapCube, per cui i fotoni incidenti sono generati da un file
FITS 3-d, i cui parametri sono le coordinate del cielo e l’energia. Infine,
con il modello FileSpectrumMap, è possibile usare una mappa 2-d per la
distribuzione spaziale data da un file FITS come nel modello MapSource,
ed un file ASCII con 2 colonne per lo spettro. Di seguito è riportato a titolo esemplificativo un template per la simulazione di una point source con
andamento di power law.
<source_library title="example">
<source name="_3C279" flux="3.48e-4">
<spectrum escale="MeV">
<particle name="gamma">
<power_law emin="20.0" emax="200000." gamma="1.96"/>
</particle>
<celestial_dir ra="193.98" dec="-5.82"/>
</spectrum>
</source>
</source_library>
Oltre a quello per le definizione delle sorgenti, il programma richiede in
input altri 2 files: un file che deve contenere la lista dei nomi delle sorgenti da
simulare, ed il file FT2 contenente le informazioni sulla direzione di punta40
mento del telescopio. Sono inoltre richiesti in input il tempo di simulazione,
le dimensioni della regione di cielo da simulare, e la IRF.
Gtselect
Questo programma permette di effettuare delle selezioni nei parametri dei
fotoni del file di eventi immesso in input. E’ possibile selezionare l’energia dei fotoni, il tempo di integrazione, le dimensioni della regione di cielo
che si vuole studiare, ed effettuare tagli sull’angolo di zenith. E’ inoltre
possibile tramite gtselect effettuare il mergering di più file di eventi, ossia
creare un unico file di eventi FT1 dato dalla somma degli eventi di più file
temporalmente consecutivi.
GtMktime
Questo programma permette di selezionare Good Time Intervals, GTI, nel
file FT2. Un GTI e’ un range temporale entro il quale i dati possono essere condiderati validi. Tramite Gtmktime i dati vengono filtrati in accordo
ai GTI definiti dall’utente, mentre quelli al di fuori dei GTI sono rimossi
dal file di eventi. Ad esempio possono essere scartati gli eventi corrispondenti agli intervalli di tempo in cui il telescopio stava passando nell’anomalia subatlantica (Southern Atlantic Anomaly, SAA), ossia la zona dove, a
causa della conformazione del campo magnetico terrestre, si ha la più alta
concentrazione di CR.
GtBin
Questo programma permette di raggruppare gli eventi del LAT in bin temporali, spaziali e di energia, per creare curve di luce, spettri e mappe di
conteggi. Nel corso di questa tesi esso è stato ampiamente usato per creare
le mappe del cielo γ con i dati inviati dal LAT. Con Gtbin è possibile definire
le dimensioni della regione di interesse e la risoluzione della mappa.
Gtltcube
Le IRF del LAT sono funzione dell’angolo tra la direzione della sorgente
e l’asse z dello strumento. Il numero di conteggi rivelati da una sorgente
dipende quindi da quanto tempo quella sorgente passa alle varie inclinazioni
nel corso di una osservazione, ed anche dal livetime, ossia il tempo in cui il
LAT sta effettivamente acquisendo dati. Gtltcube calcola i livetime come
funzione dell’inclinazione e della posizione nel cielo in un determinato interavallo di osservazione. Poichè i livetime non possono essere dati da una fun-
41
zione continua dell’angolo di inclinazione e della posizione, essi sono definiti
in bin di angolo di inclinazione e in una griglia HEALPIX. HEALPIX, acronimo per Hierarchical Equal Area isoLatitude Pixelization, produce una divisione in pixel di una superficie sferica in cui ogni pixel possiede la stessa
area.
GtExpmap
Calcola la mappa delle esposizioni che serve per la unbinned likelihood, definita più avanti. La mappa delle esposizioni calcolata da gtexpmap è definita
come l’integrale della risposta totale (Aef f × ∆E × P SF ) su tutta la regione
di interesse. La mappa delle esposizioni è necesaria per calcolare il numero di
eventi aspettati da una data sorgente o una data regione di interesse. Sono
richiesti in input il file di eventi FT1, lo spacecraft file FT2, e i livetimes
forniti da gtltcube.
Gtdiffrsp
Per effettuare un calcolo della maximum likelihood con i dati del LAT, occorre calcolare la distribuzione di fotoni aspettata per le sorgenti modellate
(vedi paragrafo successivo). La distribuzione dei fotoni è data dall’integrale
di convoluzione del modello della sorgente con la IRF. Per sorgenti puntiformi la componente spaziale è una delta, e tale integrale è relativamente facile
da calcolare. Per componenti diffuse, come il fondo Galattico, il calcolo
dell’integrale richiede molto tempo e deve essere calcolata separatamente.
Gtdiffrsp calcola questo integrale per ogni componente diffusa e lo inserisce
come informazione aggiuntiva nel file FT1.
GtLike
Questo programma permette di eseguire i fit dei dati utilizzando la Maximum Likelihood (paragrafo A per una introduzione alla Likelihood). I fit
forniscono la migliore stima dei parametri spettrali delle sorgenti presenti
nella regione di cielo considerata, il cui modello e’ fornito in input a Gtlike
tramite un file xml.
Per modellare la regione di cielo che si vuole studiare, possono essere definiti
due tipi di sorgenti, Point Source e Diffuse Source, ognuno dei quali è costituito da una componente spaziale ed una spettrale. I parametri del modello
possono essere impostati come fissi, o liberi di variare nel fit. Nel caso in
cui un parametro è lasciato libero, si può definire il range di valori entro il
quale il parametro può variare.
Per modellare lo spettro di una sorgente sono disponibili diverse funzioni
spettrali; tra queste menzioniamo
42
• PowerLaw, della forma
dN
E
= N0
dE
E0
γ
e con parametri Prefactor N0 , Index γ, Scale E0
• BrokenPowerLaw,
dN
= N0 ·
dE
(
(E/Eb )γ1
(E/Eb )γ2
E < Eb
E > Eb
con parametri N0 , γ1 , γ2 e Eb
• Exponential Cutoff, usato per descrivere le Pulsar
E
dN
= N0
dE
E0
γ1
e−
E
Ec
γ 2
definita da un parametro di normalizzazione N0 , 2 indici, γ1 e γ2 , e
l’energia di cut-off EC
• FileFunction, in cui lo spettro è definito in un file ASCII con 2 colonne,
una per l’energia e l’altra per il flusso differenziale.
Per quanto riguarda la parte spaziale, sono definibili 4 modelli: SkyDirFunction, usata solo per sorgenti puntiformi, per cui è possibile definire
una posizione nello spazio in ascensione retta e declinazione; ConstantValue,
che fornisce un valore costante, usata per modellare la componente isotropica diffusa; SpatialMap, in cui la distribuzione dei fotoni è determinata in
un file FITS bidimensionale; ed infine MapCubeFunction, che permette di
descrivere le sorgenti diffuse con un file FITS tridimensionale contenente
le coordinate spaziali e l’energia. A titolo esemplificativo è riportato un
template per una sorgente puntiforme con spettro di tipo power law.
<source name="PowerLaw_source" type="PointSource">
<!-- point source units are cm^-2 s^-1 MeV^-1 -->
<spectrum type="PowerLaw">
<parameter free="1" max="1000.0" min="0.001"
name="Prefactor" scale="1e-09" value="1"/>
<parameter free="1" max="-1.0" min="-5."
name="Index" scale="1.0" value="-2.1"/>
<parameter free="0" max="2000.0" min="30.0"
name="Scale" scale="1.0" value="100.0"/>
</spectrum>
<spatialModel type="SkyDirFunction">
<parameter free="0" max="360." min="-360."
name="RA" scale="1.0" value="83.45"/>
<parameter free="0" max="90." min="-90."
name="DEC" scale="1.0" value="21.72"/>
</spatialModel>
</source>
43
In un fit con Gtlike vengono trovati i valori dei parametri impostati
come liberi che massimizzano la Likelihood tra modello e dati osservativi.
La Likelihood è calcolata usando la probabilità Poissoniana (sezione A), data la bassa statistica dei fotoni provenienti dalle sorgenti, soprattutto quelle
più deboli. Il massimo è trovato iterativamente calcolando la funzione per
differenti valori dei parametri di prova. Stimando la derivata della funzione
rispetto a questi parametri, l’algoritmo sceglie nuovi parametri di prova
che sono progressivamente più vicini a quelli che massimizzano la funzione.
L’iterazione continua finchè la differenza tra i valori della funzione tra due
diverse iterazioni non è sufficientemente piccolo. Sono disponibili differenti
algoritmi di iterazione, che variano nella rapidità di convergenza e nell’accuratezza. I parametri richiesti in input da GtLike sono il file di eventi FT1,
il file contenente posizione e direzione di puntamento del telescopio FT2,
la mappa delle esposizioni, calcolata con Gtexpmap, i livetime calcolati in
Gtltcube, il file xml contente il modello delle sorgenti nella regione di cielo in
esame, la IRF, e l’optimizer, ossia l’algoritmo per la massimizzazione della
Likelihood. Il programma fornisce in output, per ogni sorgente nel modello, la stima migliore dei parametri liberi, come ad esempio flusso ed indice
spettrale, ed il valore di TS. E’ inoltre possibile con Gtlike fare i plot dei fit,
nei quali sono graficati gli spettri delle sorgenti nel modello con i parametri
trovati dal fit, lo spettro totale dato dalla somma delle singole sorgenti, ed i
dati. L’errore statistico sui dati è fornito dalla radice quadrata del numero
di eventi. Infine è fornito il grafico dei residui, ossia la differenza tra i conteggi del modello e quelli osservati, normalizzati con i conteggi nel modello.
Tutti i plot presenti in questo lavoro sono stati fatti con Gtlike.
GtTsmap
GtTsmap calcola una mappa di significanza basata sul valore assunto dalla
variabile TS (vedi appendice A). Con Gttsmap, la regione di cielo di interesse viene suddivisa in una griglia rettangolare, e una volta definito il
modello di tutte le sorgenti in tale regione, viene calcolato il valore di TS
ottenuto aggiungendo una sorgente addizionale e calcolando la likelihood in
ogni punto della griglia. La mappa risultante puo’ essere usata per localizzare nuove sorgenti piu’ deboli, tramite i massimi locali nella mappa di
TS.
Gtfindsrc
Questo tool ottimizza la localizzazione di una sorgente usando una unbinned
likelihood analisi. Gtfindsrc richiede che una stima approssimativa della
posizione delle sorgenti in esame sia già conosciuta, ed una migliore localizzazione è ottenuta cercando il più alto valore di TS per diverse posizioni
44
intorno alla posizione iniziale. L’output di questo programma è un file ASCII
nel quale vengono forniti i valori della posizione, di TS ed del raggio di errore
ottenuti dopo il best fit.
DMFIT
DMFIT è uno strumento, da poco incluso negli Science Tools, che permette di effettuare i fit dell’emissione gamma dovuta all’annichilazione di una
generica WIMP, e di estrarre informazioni sulla massa, la costante di normalizzazione e il branching ratio tra 2 possibili canali di annichilazione, scelti
dall’utente tra gli 8 disponibili: coppie quark-antiquark bb̄, cc̄, tt̄, coppie di
leptoni carichi µ+ µ− , τ + τ − , coppie di bosoni di Gauge, W + W − , Z 0 Z 0 , e
coppie di gluoni, gg. E’ possibile effettuare i fit con DMFIT spedificandolo,
con l’opportuna sintassi, nel file xml dato in input a Gtlike.
PGwave
PGwave è un programma per la rivelazione di sorgenti sviluppato dall’INFN
di Perugia. Il metodo di rivelazione sorgenti adottato da PGwave è chiamato
a priori poichè non ha bisogno di informazioni sul modello della sorgente, al
contrario ad esempio della Likelihood, per la quale un modello della sorgente
deve essere definito. PGwave usa una Trasformata Wavelet (Wavelet Transform, WT) per la rivelazione di sorgenti. Una WT è una trasformata che
fornisce una rappresentazione dei dati dalla quale è possibile estrarre informazioni sulla posizione e la forma. Tramite le WT il segnale è decomposto
in versioni traslate e scalate di una funzione di origine (la wavelet madre).
La wavelet madre utilizzata da PGwave è la Mexican Hat WT, la quale ha
una forma simile alla PSF del rivelatore.
Figura 5.1: La Mexican Hat Wavelet
45
L’input da fornire a PGwave è la mappa di conteggi della regione di interesse, ed è possibile definire la significanza minima del segnale da rivelare
e la distanza minima, in pixels, tra 2 differenti sorgenti. PGwave fornisce in
output la WT map della regione di interesse, e, in un file di testo, le informazioni sulle sorgenti trovate, quali la posizione, l’errore sulla posizione, ed
il numero di conteggi stimati per ogni sorgente.
Nel corso della tesi è stato ampiamente utilizzato anche ROOT, un pacchetto di programmi orientato agli oggetti per l’analisi dati, usato per realizzare
istogrammi, grafici, e fit. ROOT è stato implementato come libreria esterna
negli Science Tools: tutti i grafici dei fit presenti in questa tesi sono realizzati
con questo pacchetto di programmi. Ampiamente utilizzati nel corso della
tesi sono anche FV e DS9, per la visualizzazione e la stampa delle mappe
di conteggi, ed fselect, usato per selezionare dai dati la classe di eventi, che
fa parte degli FTOOL, un pacchetto di programmi per la manipolazione dei
FITS files.
5.2
I dati del LAT
Ci sono diversi modi per ottenere i dati del LAT
Fermi Science Support Center (FSSC): fornisce all-sky files settimanali,
per i quali è possibile definire la classe di eventi. I files necessitano del
taglio dell’angolo di zenith con gtselect per la rimozione dei fotoni di
albedo provenienti dalla terra.
Fermi Data Portal Catalog: da qui sono scaricabili tutti i files dei dati
FT1 ed FT2 del LAT. In tali files non è stata selezionata la classe
di eventi, e necessitano dunque di fselect per selezionare la classe di
eventi che si desidera studiare.
Fermi Data Portal AstroServer: da qui si possono scaricare i dati relativi ad una definita regione di cielo, specificata dalla posizione in
ascensione retta e declinazione e dal raggio. E’ possibile selezionare il
range energetico degli eventi e la classe di eventi desiderata.
Una volta scaricati i dati, ci sono una serie di passaggi da effettuare
prima della loro analisi. Per prima cosa occorre selezionare la classe di
eventi tramite fselect, che permette di definire il valore del parametro CTBCLASSLEVEL, che distingue le 3 classi: CTBCLASSLEVEL>0 per la classe
transient, CTBCLASSLEVEL>1 per la classe source, e CTBCLASSLEVEL>2 per la classe diffuse. E’ necessario inoltre rimuovere i fotoni di albedo
provenienti dalla terra, che vengono tagliati via dai dati con un taglio nell’angolo di zenith. Allo scopo, si usa gtselect, il quale permette di specificare
46
il massimo angolo di zenith di provenienza dei fotoni, e seleziona solo gli
eventi il cui angolo di zenith è inferiore a quello definito. Con gtselect si seleziona anche la regione di cielo da studiare e il range energetico e tempotale
che si vuole considerare. Infine con Gtmktime si escludono dal file FT1 gli
eventi in cui il LAT è passato attraverso l’anomalia sub-atlantica.
47
Capitolo 6
Simulazioni
In questa parte sono state effettuate varie simulazioni del centro galattico e
del segnale γ dovuto all’annichilazione di Dark Matter. Le sorgenti simulate
sono il fondo galattico diffuso, la sorgente point source rivelata da EGRET
nel centro galattico, denominata 3EGj1746-2851 nel 3EG, ed alcuni modelli
di Dark Matter. I dati simulati sono stati utilizzati per studiare, al variare
della massa della DM, i flussi minimi del segnale della DM rivelabili nel
centro galattico dal LAT, con una soglia di rivelabilità pari a 3σ.
6.1
Simulazione del Fondo
Il programma usato per effettuare le simulazioni è GtObssim. L’emissione
diffusa è stata modellata usando alcuni files Mapcube generati dal Fermi/GLAST Science Group tramite GALPROP, un modello numerico per
la propagazione dei raggi cosmici e della loro interazione con il mezzo interstellare (paragrafo 3.4.2). Sono stati prodotti files MapCube per modelli
del fondo diffuso di tipo conventional, e modelli di tipo optimal : tali files
prendono il nome rispettivamente di GP conventional e GP optimal.
In figura 6.8 è riportata la mappa di conteggi della simulazione del diffuso
galattico, fatta con il file GP conventional su un tempo di integrazione di 3
mesi, in una regione di 5 gradi di raggio intorno al cento galattico (l=b=0).
La risoluzione è di 0.1◦ /pixel.
6.2
Simulazione della Dark Matter
Come già detto nel paragrafo 3.4.3, il maggiore meccanismo di produzione
di raggi gamma da annichilazione di neutralino è il decadimento del π 0 . Per
questo motivo, nelle simulazioni è stato considerato solamente questo canale.
Inizialmente, nel corso della tesi, le prime simulazioni sono state effettuate
adottando la parametrizzazione ottenuta in [17] tramite simulazioni Monte
48
Figura 6.1: Simulazione del fondo galattico diffuso
Carlo con il pacchetto PYTHIA [18]. Lo spettro differenziale dei fotoni γ
derivanti da annichilazione di DM può essere parametrizzato da
dN i
2
3
= ηxa eb+cx+dx +ex
(6.1)
dx
dove x = Eγ /mχ , essendo mχ la massa del neutralino, ed i identifica i
diversi canali di annichilazione: quarks, τ , W , Z e gluoni. Il valore di η è
2 per W, Z ed il quark top, 1 altrimenti. In [17] possono essere trovati i
valori dei parametri (a, b, c, d, e) per i diversi canali di annichilazione e per
masse di 500Gev e 1 Tev. In figura 6.2 sono mostrati gli spettri originati
da annichilazione di neutralino in bb̄, W + W − e τ + τ − , per una massa del
neutralino di 500 GeV. Gli altri quark hanno un andamento analogo a quello
di bb̄, e Z 0 Z 0 un andamento analogo a W + W − . Si vede che a basse energie
il contributo dominante è dato da raggi γ derivanti dall’adronizzazione dei
quark. Lo spettro derivato dai bosoni di Gauge ha un andamento più hard,
con una ripida discesa quando l’energia si avvicina ad mχ , mentre il leptone
τ presenta, tra tutti, lo spettro più hard.
Nel corso della tesi, tuttavia, per descrivere lo spettro della Dark Matter
non è stata usata questa parametrizzazione, ma il pacchetto DarkSUSY, un
pacchetto FORTRAN per calcoli sulla Dark Matter supersimmetrica [16].
Tramite DarkSUSY gli spettri della Dark Matter sono stati definiti in un file
ASCII di due colonne, contenti l’energia ed il flusso differenziale all’energia
49
Figura 6.2: Spettri derivanti dall’annichilazione di neutralino in bb̄, W + W −
e τ + τ − , ottenuti tramite la parametrizzazione della formula 6.1
corrispondente. Files di questo tipo sono stati usati per definire lo spettro
ed effettuare le simulazioni di diversi modelli di Dark Matter: come valore
di σv è stato scelto il valore che che sostituito nella 3.2 dà il corretto valore
della densità, ossia σv = 3 × 10−26 cm−3 s−1 ; le masse sono state fatte variare
tra 50 GeV ed 500 GeV, come canali di annichilazione sono stati considerati
bb̄ e τ + τ − , e come profilo di densità il modello NFW, definito separatamente
usando un file FITS 2d.
Nelle figure che seguono sono mostrate alcune simulazioni di DM effettuate
su tempi di integrazione di 3 mesi. In figura 6.3 è mostrato il caso di approssimazione puntiforme, in cui l’estensione spaziale della sorgente è conseguenza
del semplice allargamento dovuto alla PSF. Nella figura 6.4 è mostrata la
simulazione di una sorgente con stesso spettro, ma profilo spaziale NFW.
Il confronto delle dimensioni angolari delle due sorgenti è mostrato in figura 6.5, dove sono graficati il numero di conteggi in funzione dell’ascensione
retta.
In figura 6.6 è mostrato lo spettro dei fotoni generati dall’ annichilazione
di bb̄ per una massa del neutralino di 50 GeV. Si può osservare la caratteristica forma curva dello spettro della Dark Matter, che ben si discosta dalla
legge di potenza del fondo galattico e potrebbe essere d’aiuto nell discriminazione del segnale proveniente dall’annichilazione di WIMPs. In figura 6.7
sono confrontati tre diversi spettri per la Dark Matter, tutti ottenuti con lo
stesso flusso pari a 1 · 10−3 m−2 s−1 : bb̄ con massa di 50 GeV, bb̄ con massa
50
Figura 6.3: Simulazione con Gtobssim di fotoni da annichilzione di Dark
Matter con canale di annichilazione bb̄, massa Mχ = 50 GeV e tempo di
integrazione 3 mesi, in approssimazione point source
Figura 6.4: Simulazione con Gtobssim di fotoni da annichilzione di Dark
Matter con canale di annichilazione bb̄, massa Mχ = 50GeV e tempo di
integrazione 3 mesi, con profilo spaziale NFW.
51
Figura 6.5: Proiezione dei conteggi delle due sorgenti di figura 6.3 e 6.4
lungo l’ascensione retta RA.
di di 500 GeV, e τ + τ − . Lo spettro dei fotoni si estende fino ad energie pari
alla massa della Dark Matter, è questo spiega la diversa forma degli spettri
ottenuto per masse di 50 GeV e di 500 GeV. In figura si può anche osservare
la forma peculiare dello spettro di τ + τ − .
6.3
Sorgenti nel Centro Galattico
EGRET ha osservato nel centro galattico una sorgente non identificata, denominata nel terzo catalogo come 3EGj1746-2851. Dal best fit la sorgente
risulta situata in l= 0.19 e b = - 0.08, con un flusso per E> 100 MeV pari
a (217 ± 15) × 10−8 ph/(cm2 · s) [20]. Lo spettro dei fotoni può essere ben
rappresentato da una broken power law con una break energy pari a 1.9 GeV.
Il best fit dei dati di EGRET con la broken power law è:
dN
2.2 × 10−10
=
dE
cm2 · s · M eV
E
1900M eV
−γ
(6.2)
con γ = 1.3 per E < 1.9 GeV e γ = 3.1 per E > 1.9 GeV.
Recentemente diversi telescopi IACT (Array of Imaging Atmospheric
Cherenkov Telescope), hanno rivelato una sorgente gamma ad altissime energie nella direzione del CG. Tale sorgente è state denominata nel catalogo
di H.E.S.S. (High Energy Stereoscopic System), uno IACT con range tra
52
Figura 6.6: Spettro derivante da annichilazione di bb̄
Figura 6.7: Confronto degli spettri di bb̄ con Mχ = 50 GeV (verde), bb̄ con
Mχ = 500 GeV (rosso), e τ + τ − (blu)
53
100 GeV e 100 TeV, come HESS1745-290. Principalmente si pensa che
la natura di questa emissione sia dovuta all’accelerazione di particelle in
prossimità del buco nero supermassivo Sgr A* nel centro della nostra Galassia. L’interpretazione di questa sorgente come possibile emissione gamma da
annichilazione di DM è stata scartata. Lo spettro energetico può infatti essere caratterizzato lungo l’intero range 160 GeV - 30 T eV da una power law
E −γ con γ = 2.25 ± 0.04 [21]. La forma spettrale con andamento di power
law è inconsistente con il tipico andamento curvo dello spettro della DM. In
più l’emissione fino ad energie cosı̀ elevate richiede masse per il neutralino
dell’ordine delle decine di TeV, valori che sono possibili al limite dei modelli
supersimmetrici. Il flusso trovato per HESS1745-290 per E > 0.1 GeV è
pari a 4.2 × 10−9 ph/(cm2 · s). Tale flusso è 3 ordini di grandezza inferiore a
quello di 3EGj1746-2851, è non è stata quindi inserita nel modello.
6.4
Analisi
E’ stato simulato il cielo nel centro galattico in una ROI di 5◦ di raggio. Le
sorgenti gamma inserite nel modello sono
fondo galattico diffuso simulato usando il file MapCube GP conventional.fits,
il quale ha uno spettro di tipo power law, con indice spettrale pari a
-2.7 e flusso integrato su tutto il cielo e tutte le energie pari a 20.56
m−2 s−1 .
3EGj1746-2851 modellata con uno spettro di tipo broken power law, cosı̀
come descritto nel paragrafo precedente, e posta in (l,b)= (0.19,-0.08),
o (RA,DEC)=( 266.595,-28.815)
Dark Matter modellata usando come canale di annichilazione bb̄ con diversi flussi integrati, tra 1 · 10−3 m−2 s−1 e 1 · 10−5 m−2 s−1 , masse
comprese tra 50 MeV e 500 MeV, e situata nel centro galattico, in
(l,b)=(0.0,0.0) o (RA,DEC)=(266.405,-28.936).
Nelle figure 6.8, 6.9 sono riportate le simulazioni del fondo galattico e della
sorgente EGRET, ed in 6.10 una delle sorgenti di Dark Matter simulate.
Gli spettri del fondo diffuso e della sorgente EGRET sono riportati in figura
6.11 e figura 6.12.
Prima di effettuare l’analisi spettrale con la Likelihood, si è voluto determinare la regione di interesse ottimale per massimizzare il rapporto tra
il segnale, determinato dalla DM, ed il rumore, dato dal fondo diffuso e la
sorgente EGRET. Nel grafico in figura 6.13 è mostrato l’andamento del numero di conteggi all’interno di un determinato raggio in funzione del raggio
stesso. I conteggi della DM aumentano velocemente fino ad un raggio pari a
circa 1◦ , per poi raggiungere un plateau, mentre i conteggi del fondo galattico diffuso sono sempre crescenti. Si è scelto quindi di effettuare l’analisi in
una regione di raggio 1◦ intorno al Centro Galattico.
54
Figura 6.8: Simulazione del fondo galattico diffuso in una regione di 5◦ di
raggio e tempo di integrazione di 3 mesi. Il numero di conteggi è pari a
177886
Figura 6.9: Simulazione della sorgente 3EGj1746-2851 in una regione di 5◦
di raggio e tempo di integrazione di 3 mesi. Il numero di conteggi è pari a
16205
55
Figura 6.10: Simulazione della DM con canale di annichilazione bb̄, massa
50 GeV e flusso pari a 1 10−3 m−2 s−1 . Sono stati simulati 629 conteggi in
una regione di 5◦ .
Figura 6.11: Lo spettro del fondo galattico diffuso simulato
56
Figura 6.12: Lo spettro della sorgente 3EGj1746-2851 simulata
Figura 6.13: Numero di conteggi all’interno di una determinata regione di
interesse in funzione del raggio
57
Successivamente è stato creato il modello della regione di cielo simulata,
definendo in un file xml i parametri delle sorgenti. Il codice del modello è
riportato di seguito:
<source_library title="GalCen">
<source name="GalProp Diffuse" type="DiffuseSource">
<spectrum type="ConstantValue">
<parameter free="0" max="10" min="0" name="Value" scale="1"
value="1.245068689" />
</spectrum>
<spatialModel file="GP_gamma.fits" type="MapCubeFunction">
<parameter free="0" max="1000" min="0" name="Normalization"
scale="1" value="1.237078018" />
</spatialModel>
</source>
<source name="3EGj1746" type="PointSource">
<spectrum type="BrokenPowerLaw">
<parameter free="0" max="1000" min="0.001" name="Prefactor"
scale="1e-010" value="2.281734417" />
<parameter free="0" max="-1" min="-5" name="Index1"
scale="1" value="-1.484489114" />
<parameter free="0" max="-1" min="-5" name="Index2"
scale="1" value="-3.067103659" />
<parameter free="0" max="10000" min="30" name="BreakValue"
scale="1" value="1984.62659" />
</spectrum>
<spatialModel type="SkyDirFunction">
<parameter free="0" max="360" min="-360" name="RA"
scale="1" value="266.59" />
<parameter free="0" max="90" min="-90" name="DEC"
scale="1" value="-28.81" />
</spatialModel>
</source>
<source name="bbbar50_NFW" type="PointSource">
<spectrum file="bbbar50NFW.txt" type="FileFunction">
<parameter free="1" max="1.3" min="1e-005" name="Normalization"
scale="1" value="0.2205823212" />
</spectrum>
<spatialModel type="SkyDirFunction">
<parameter free="0" max="360" min="-360" name="RA"
scale="1" value="266.41" />
<parameter free="0" max="90" min="-90" name="DEC"
scale="1" value="-29.006" />
</spatialModel>
</source>
</source_library>
58
Sono stati poi calcolati i livetimes con gtltcube, l’esposizione con gtexpmap
e i conteggi per le sorgenti diffuse modellate, con gtdiffrsp. Le mappe di
conteggi ed il modello sono poi dati in input a Gtlike, il quale, oltre ai
migliori parametri del fit, fornisce la significanza delle sorgenti in esame.
Sono eseguiti diversi fit, al variare del flusso della DM, della massa e del
canale di annichilazione. I risultati ottenuti nei fit sono riportati nella tabella
6.1.
Tipo DM
bb̄50
bb̄50
bb̄50
bb̄50
bb̄50
bb̄50
bb̄50
bb̄50
bb̄500
τ + τ − 50
Flusso
(m−2 s−1)
1 · 10−3
1 · 10−3
1 · 10−3
1 · 10−3
1 · 10−4
5 · 10−5
1 · 10−5
1 · 10−5
1 · 10−4
1 · 10−4
Tempo
(settimane)
3
12
27
54
12
12
12
54
12
12
Conteggi
TS
σ
226
866
1965
3494
81
53
9
34
77
96
61
242
538
992
16
13.7
2.81
8.6
38
167
7.8
15
23.2
31.5
4
3.5
1.7
2.9
6.5
13
Tabella 6.1: Fit DM. Nella colonna tipo DM, i numeri definiscono la massa
della DM espressa in GeV.
Nelle figure 6.14 e 6.15 sono riportati, a titolo esemplificativo, 2 dei
grafici di fit, output di Gtlike. In blu la DM, in rosso la sorgente EGRET
non identificata, ed in verde il fondo galattico diffuso.
Dai dati risulta che una sorgente γ data da annichilazione di DM, posta
nel centro galattico, con canale di annichilazione bb̄ e con flusso uguale o maggiore 5·10−5 m−2 s−1 è rivelabile dal LAT su un periodo di integrazione di 3
mesi con una significanza ≥ 3σ. Una sorgente con flusso pari a 1·10−3 m−2 s−1
viene rivelata con una significanza ∼ 8σ già dopo sole 3 settimane. Nel caso
di una sorgente più debole, con flusso pari a 1·10−5 m−2 s−1 , la significanza
passa da ∼ 1.5σ per un periodo di integrazione di 3 mesi a ∼ 3σ per un periodo di integrazione di 12 mesi: all’aumentare della durata di osservazione,
la significanza di rivelazione aumenta. Per piccoli tempi di esposizione ci si
aspetta che la significanza cresca linearmente con il tempo di esposizione,
mentre per esposizioni più grandi la significanza cresce con la radice quadrata
del tempo
√ di esposizione [23]. Si è voluto verificare questo andamento graficando T S in funzione del tempo di esposizione: il risultato è mostrato in
figura 6.16 ed è in accordo con le previsioni. Variazioni nella significanza si
hanno anche cambiando la massa della WIMP, o il canale di annichilazione.
A parità di flusso, 1·10−4 m−2 s−1 , considerando il canale di annichilazione
bb̄, la significanza passa da 4σ per una massa di 50 GeV a 6.5σ per una
59
Figura 6.14: Grafico del fit del centro galattico simulato, per Mχ = 50GeV ,
canale di annichilazione bb̄ e flusso 1 · 10−3 m−2 · s−1
Figura 6.15: Grafico del fit del centro galattico simulato, per Mχ = 500GeV ,
canale di annichilazione bb̄ e flusso 1 · 10−4 m−2 · s−1
60
massa di 500 GeV. Mentre variando il canale di annichilazione, con massa
fissa a 50 GeV, la significanza passa da 4σ per bb̄ a 13σ per τ + τ − . Questo
può essere spiegato considerando che, come mostrato in figura 6.7, sia bb̄
con la massa di 500 GeV che τ + τ − hanno, rispetto a bb̄ con massa di 50
Gev, una statistica più elevata ad energie più alte, dove la statistica del
fondo diffuso è bassa. Questo è dovuto nel primo caso al fatto che, essendo
la massa della WIMP maggiore, lo spettro di estende ad energie più elevate.
Nel secondo caso è dovuto alla forma peculiare dello spettro, più tondo nel
caso di bb̄, piatto con una ripida discesa nel caso di τ + τ − . Le figure 6.17 e
6.18 mostrano, infine, l’andamento della significanza al variare del flusso e
della massa della Dark Matter.
√
Figura 6.16: Grafico della significanza in funzione di texp , con dove texp
è il tempo di esposizione. texp varia da 3 a 54 settimane. E’ verificata la
√
relazione σ ∝ texp
La distorsione dello spettro del fondo galattico diffuso da parte dei fotoni
derivanti da annichilazione di Dark Matter nel centro galattico è mostrata
in figura 6.19. E’ stata simulata una regione di 1◦ grado intorno al centro
galattico, dove sono state considerate come sorgenti il fondo galattico diffuso
e la DM. E’ stato poi fatto un fit con un modello costituito dal solo fondo
galattico diffuso: è evidente, soprattutto nei residui, un eccesso di conteggi
tra 1 e 10 GeV che non può essere modellato dal solo fondo diffuso, dovuto alla Dark Matter: questo è il segnale che ci si aspetta di trovare dalle
osservazioni del Centro Galattico.
61
Figura 6.17: Andamento della significanza in funzione del flusso. E’ stata
considerata una DM con canale di annichilazione bb̄ e massa di 50 GeV. La
linea rossa delimita la soglia di significanza a 5σ. Si trova che il minimo
flusso per una significanza pari a 5σ è 3.5 10−4 m−2 s−1
Figura 6.18: Andamento della significanza in funzione del flusso, effettuato
per diverse masse. Il flusso minimo per una soglia di rivelabilità a 5σ scende
da 3.5 10−4 m−2 s−1 per Mχ = 50 GeV a 1.3 10−5 m−2 s−1 per Mχ = 500 GeV
62
Figura 6.19: Fit del centro galattico con il solo modello diffuso, ma in
cui sono stati simulati il fondo diffuso e la Dark Matter con canale di
annichilazione bb̄, massa di 50 GeV, e flusso pari a 3 · 10−3 m−2 s−1
63
6.5
Conclusioni
Il centro della Galassia è una regione il cui flusso di fotoni è fortemente
dominato dal fondo galattico diffuso e dalla sorgente non identificata rivelata
da EGRET. La rivelazione della Dark Matter in questa regione è legata al
rapporto tra il flusso dei fotoni derivanti dalla sua annichilazione, e quello
del fondo diffuso. Simulando il fondo con i parametri noti da precedenti
missioni, è stato visto che un segnale derivante da annichilazione di bb̄, con
Mχ = 50 GeV e flusso pari a 5 · 10−5 è rivelato con una significanza > 3σ
in 3 mesi di osservazione. Masse maggiori danno una significanza maggiore,
a parità di flusso. Flussi più deboli potranno essere rivelati con tempi di
esposizione t maggiori, essendo la significanza proporzionale a t1/2 . Una
distorsione dello spettro del fondo diffuso è il segnale che ci si aspetta di
trovare dall’annichilazione della Dark Matter nel Centro Galattico.
64
Capitolo 7
Analisi dati
In questa parte è effettuata l’analisi dei dati inviati dal LAT. Il capitolo è
suddiviso in 3 parti: la prima è l’analisi dei dati acquisiti tra il 1◦ Luglio ed il
22 Ottobre. Sono state effettuate le prime mappe di conteggi del cielo visto
dal LAT, che hanno permesso di osservare l’eccesso di conteggi proveniente
dal centro della Galassia, ed una prima analisi spettrale. La seconda parte
riguarda l’analisi dei dati compresi tra il 1◦ luglio ed il 7 novembre. E’ stata
effettuata una analisi spettrale più accurata della precedente, dalla quale è
stato possibile osservare un bump per E > 1 GeV, in accordo con le osservazioni fatte dagli altri ricercatori del Dark Matter Group. La terza parte
è la più ampia e completa. Lo studio del centro galattico è stato effettuato
tramite le mappe di conteggi, tramite le mappe di significanza, o mappe
di TS, e con l’analisi spettrale. Sono state trovate nuove possibili sorgenti,
ed è stata fatta l’associazione con sorgenti già conosciute. Infine, è stato
effettuato uno studio preliminare del profilo spaziale del centro galattico.
7.1
7.1.1
Prima analisi dati
Acquisizione dati
Dal Fermi Data Portal Catalog sono stati scaricati il file di eventi, o FT1, ed
il file relativo all’orbita del telescopio, o FT2, relativi al periodo compreso
tra il 1◦ luglio e il 22 ottobre 2008. Tramite GtSelect è stato formato un
unico file di eventi, dai circa 1800 scaricati, uno per ogni orbita del satellite,
ed il taglio ZA < 105◦ necessario per eliminare i fotoni di albedo. Sono
quindi state effettuate le prime mappe di conteggi ottenute con i dati del
Fermi. La risoluzione e’ di 0.1◦ /pixel. Nelle figure seguenti sono mostrate
le mappe del piano galattico, per E > 30 MeV, per −50 < l < 50 (fig 7.1),
−20 < l < 20 (fig 7.2) e −10 < l < 10 (fig 7.3). Per −10 < l < 10 sono poi
mostrate le mappe di conteggi ottenute per E > 300 MeV ed E > 1 Gev
(fig 7.4 e fig 7.5). Successivamente sono mostrate le immagini del Centro
65
Galattico in una regione di interesse di 2◦ , per E > 300 MeV (fig. 7.6),
E > 1 Gev (fig 7.7).
Figura 7.1: Prime mappe di conteggi del cielo γ effettuata con i dati del
LAT: la risoluzione è di 0.1◦ /pixel, E > 30 MeV ed −50 < l < 50
7.1.2
Fit dei dati nel centro galattico
Le classi di eventi definite nel paragrafo 4.6 si contraddistinguono per il grado di rimozione degli eventi di background dovuti all’interazione del LAT
con i raggi cosmici. Tale selezione degli eventi ha effetto anche sull’Area Efficace, diminuendo i conteggi provenienti da fotoni astrofisici. Considerando
l’alta statistica di fotoni proveniente dal Centro Galattico, può essere scelta
per selezionare gli eventi la classe diffuse, la quale effettua la selezione piu’
restrittiva nella classificazione degli eventi come fotoni. Tuttavia in questa
prima analisi dei dati del LAT la classe di eventi diffuse non è stata selezionata. I primi risultati ottenuti dai fit risentono quindi di questa scelta
erronea, ma vengono comunque riportati perche’ hanno rappresentato una
parte del lavoro svolto. La classe diffuse è stata utilizzata nelle analisi effettuate successivamente.
Un fit dei dati provenienti dal Centro Galattico in una regione di interesse di 2◦ e per E > 300 MeV è stato effettuato usando come modello
il solo fondo galattico diffuso (figura 7.8). Per modellare il diffuso è stato
utilizzato il file post-launch mapcube 54 59Xvarh7S, prodotto dal Gruppo
di Collaborazione del Fermi che si occupa di studiare l’emissione diffusa,
e calibrato sulle osservazioni del LAT. La costante di normalizzazione del
diffuso è stata lasciata come parametro libero. Si vede nella figura un forte
66
Figura 7.2: Prime mappe di conteggi del cielo γ effettuata con i dati del
LAT: la risoluzione è di 0.1◦ /pixel, E > 30 MeV ed −20 < l < 20
Figura 7.3: Prime mappe di conteggi del cielo γ effettuata con i dati del
LAT: la risoluzione è di 0.1◦ /pixel, E > 30 MeV ed −10 < l < 10
67
Figura 7.4: Il Centro Galattico visto dal LAT: −10 < l < 10, E > 300 MeV
eccesso di conteggi per energie al di sopra del GeV, e che raggiunge il picco
ad E ∼100GeV, visibile chiaramente nei residui.
Sono stati effettuati alcuni tentativi di fit dei dati includendo nel modello,
oltre al fondo diffuso, anche una sorgente γ derivante da annichilazione di
Dark Matter, posta in (l, b)= (0.0, -0.2): sono stati considerati i canali di
annichilazione bb̄ e τ + τ − , e masse di 50 GeV, 500 GeV e 1 TeV. I risultati dei
fit dei dati, ed i rispettivi residui, sono riportati nelle immagini di seguito.
Il canale di annichilazione bb̄ e massa 1 GeV (figura 7.12) è quello che
minimizza maggiormente la discrepanza con i dati osservativi.
L’eccesso di conteggi nei fit trovato in questa parte di analisi è in realtà
dovuto ad eventi di background, non astrofisici, dovuti all’interazione del
LAT con i raggi cosmici, e causato dalla mancata selezione della classe di
eventi. Benchè i risultati trovati non devono essere presi in considerazione,
tale analisi ha permesso di capire l’importanza della selezione degli eventi
in un telescopio γ in orbita intorno alla terra.
68
Figura 7.5: Il Centro Galattico visto dal LAT: −10 < l < 10, E > 1 GeV
Figura 7.6: Il Centro Galattico visto dal LAT: 2◦ di raggio intorno al Centro
Galattico per E > 300 GeV
69
Figura 7.7: Il Centro Galattico visto dal LAT: 2◦ di raggio intorno al Centro
Galattico per E > 1 GeV
Figura 7.8: Fit dei dati con il fondo galattico diffuso
70
Figura 7.9: Fit dei dati del LAT con fondo galattico diffuso e DM da
annichilazione di τ + τ − e massa di 50 GeV
Figura 7.10: Fit dei dati del LAT con fondo galattico diffuso e DM da
annichilazione di τ + τ − e massa di 500 GeV
71
Figura 7.11: Fit dei dati del LAT con fondo galattico diffuso e DM da
annichilazione di bb̄ e massa di 50 GeV
Figura 7.12: Fit dei dati del LAT con fondo galattico diffuso e DM da
annichilazione di bb̄ e massa di 999 GeV
72
Figura 7.13: Mappa di conteggi per 335◦ < l < 25◦ , −15◦ < b < 15◦ ed
E > 300 MeV.
7.2
Analisi dati luglio-novembre
In questa seconda analisi sono stati scaricati dall’Astroserver i dati con intervallo temporale compreso tra tmin = 236511640 MET (1 luglio 2008) e
tmax = 24773311 MET (7 novembre 2008) con E > 0.1 GeV. E’ stato effettuato con Gtselect il taglio dell’angolo di Zenith z per eliminare i fotoni di
albedo selezionando zmax < 105◦ , ed è stata selezionata la classe di eventi
diffuse con ftselect, applicando il taglio CT BCLASSLEV EL > 2. E’ stata
utilizzata la IRF Pass6 diffuse e, per modellare il fondo diffuso, il file postlaunch mapcube 54 59Xvarh7S.
Sono mostrate in figura 7.13 e figura 7.14 le mappe di conteggi del cielo per
335◦ < l < 25◦ e −15◦ < b < 15◦ , per E > 300 MeV ed E > 1 GeV. Nelle
figure 7.15 e 7.16 sono mostrate le mappe in una regione di raggio 1◦ intorno
al Centro Galattico, per E > 300 MeV ed E > 1 GeV rispettivamente.
Le sorgenti individuate nei primi 3 mesi di attività del LAT sono state catalogate dal Fermi Collaboration Group nel 3 Months Catalogue, denominato
ASO. Per ogni sorgente sono definiti il flusso, la forma spettrale, la significanza e la possibile associazione con sorgenti individuate da altri esperimenti. Tra le sorgenti del catalogo ASO, quella designata col nome di ASO386
è stata associata alla sorgente rivelata da EGRET nel centro galattico, la
3EGj1746-2851. Nel catalogo e’ stata classificata come una sorgente di tipo
pointsource, situata in (RA, DEC)=(-29.005, 266.506) con indice spettrale
pari a -2.26 e flusso integrato pari a 1.5 · 10−6 cm−2 · s−1 per E > 100
MeV. Tale sorgente è stata quindi utilizzata nell’analisi spettrale del centro
galattico.
I fit dei dati del Centro Galattico con la Maximum Likelihood Analysis
sono stati eseguiti con 3 diversi modelli:
73
Figura 7.14: Mappa di conteggi per 335◦ < l < 25◦ , −15◦ < b < 15◦ ed
E > 1 GeV.
1. fondo diffuso più la sorgente ASO386
2. fondo diffuso più Dark Matter nella posizione di ASO386.
3. fondo diffuso più sorgente ASO386 più Dark Matter nel centro galattico
In tutti i casi la DM è in approssimazione point source, e sono state considerate masse di 50 GeV ed 80 GeV. Lo scopo è quello di determinare quale
tipo di spettro, la legge di potenza della sorgente ASO386 o lo spettro dato
dall’annichilazione di Dark Matter, fornisce il miglior fit dei dati del centro
galattico. O se, assumendo che una sorgente con legge di potenza sia effettivamente nel Centro Galattico, si ha un miglioramento dei fit introducendo
una sorgente γ dovuta all’annichilazione di Dark Matter.
Nello scegliere le dimensioni della regione di interesse si deve cercare di comprendere il maggior numero di fotoni dalla sorgente nel Centro Galattico,
limitando il contributo dei fotoni dal fondo diffuso. Il grafico di figura 7.17
mostra l’andamento dei conteggi all’interno di un determinato raggio in funzione del raggio stesso. Si vede che oltre un raggio di 1.5◦ i conteggi della
DM raggiungono un plateau. Nei fit che seguono e’ stata quindi considerata
una regione di interesse centrata nel Centro Galattico e con un raggio di
1.5◦ . In figura 7.18 e figura 7.19 sono mostrati i fit dei dati con il solo fondo
galattico. Si può notare, soprattutto nel grafico dei residui, un eccesso di
conteggi tra 1 e 10 GeV. Nel seguito sono riportati i risultati dell’analisi
spettrale con i 3 modelli presi in considerazione.
74
Figura 7.15: ROI raggio 1◦ intorno al CG, E > 300 Mev
Figura 7.16: ROI raggio 1◦ intorno al CG, E > 1 Gev
75
Figura 7.17: Conteggi all’interno di una determinata ROI in funzione della
ROI. In nero i conteggi provenienti dai dati, in rosso e in verde quelli provenienti da annichilazione di bb̄ con massa di 50 GeV e profilo rispettivamente
point source e NFW
76
Figura 7.18: Fit dei dati con il fondo galattico diffuso
Figura 7.19: Residui del fit dei dati con il fondo galattico diffuso
77
Modello1 In figura 7.20 e figura 7.21 sono mostrati, rispettivamente,
il fit dei dati con il modello diffuso più ASO386 e i relativi residui. Per
ASO386 si è trovato un valore di TS pari a 486. L’eccesso di conteggi tra
1 e 10 GeV è ridotto rispetto al caso in cui il fit dei dati è fatto con il solo
modello diffuso.
Figura 7.20: Fit dei dati con il fondo galattico diffuso e la point source
ASO386
Figura 7.21: Residui del fit dei dati con il fondo galattico diffuso e la point
source ASO386
78
Modello2 Nelle figure 7.22, 7.23, 7.24 e 7.25 sono riportati i risultati del
fit dei dati con fondo diffuso più la Dark Matter con canale di annichilazione
bb̄ e con massa del neutralino di 50 GeV e 80 GeV rispettavamente, e i
relativi residui. I valori di significanza trovati per le due sorgenti inserite
sono TS=519 per una massa di 50 GeV e TS=494 per una massa di 80 GeV
Figura 7.22: Fit dei dati con il fondo galattico diffuso e DM da annichilazione
di bb̄ e massa di 50 GeV
Figura 7.23: Residui del fit dei dati con il fondo galattico diffuso e DM da
annichilazione di bb̄ e massa di 50 GeV
79
Figura 7.24: Fit dei dati con il fondo galattico diffuso e DM da annichilazione
di bb̄ e massa di 80 GeV
Figura 7.25: Residui del fit dei dati con il fondo galattico diffuso e DM da
annichilazione di bb̄ e massa di 80 GeV
80
Modello3 Il fit dei dati con fondo diffuso più ASO386 e Dark Matter
con canale di annichilazione bb̄ e massa di 50 GeV ha dato un valore di
T SDM = 91 e T SASO = 86. I grafici del fit e dei rispettivi residui sono
mostrati in figura 7.26 e figura 7.27. Il caso con DM di massa 80 GeV ha
dato T SDM = 60 e T SASO = 116. In figura 7.28 e figura 7.29 sono mostrati
il grafico del fit ed i residui.
Figura 7.26: Fit dei dati con il fondo galattico diffuso, ASO386 e bb̄ con
massa di 50 GeV
Figura 7.27: Residui del fit dei dati con il fondo galattico diffuso, ASO386
e bb̄ con massa di 50 GeV
81
Figura 7.28: Fit dei dati con il fondo galattico diffuso, ASO386 e bb̄ con
massa di 80 GeV
Figura 7.29: Rsesidui del fit dei dati con il fondo galattico diffuso, ASO386
e bb̄ con massa di 80 GeV
82
Dalle mappe di conteggi del Centro Galattico si osserva un eccesso in una
regione di 0.5◦ intorno al punto (l=0, b=0). I fit dei dati del Centro Galattico con il solo modello diffuso rivelano un eccesso di conteggi per energie
comprese tra 1 e 10 GeV. Lo spettro della sorgente nel Centro Galattico è
stato modellato nel catalogo ASO con una legge di potenza, ma una possibile interpretazione come Dark Matter non può essere esclusa. I fit dei dati
forniscono per la Dark Matter valori della significanza maggiori rispetto al
caso in cui la sorgente nel Centro Galattico è modellata con uno spettro che
segue una legge di potenza.
83
7.3
Analisi dei primi 5 mesi di dati
In questa ultima sezione di analisi sono stati usati dati con un intervallo temporale compreso tra tmin = 240162217 MET (11 Agosto) e tmax =
254852311 MET (17 gennaio), E > 200 MeV e una regione di interesse di
50◦ intorno al centro galattico.
Tramite fselect è stata selezionata la classe di eventi diffuse, e tramite gtselect è stato selezionato l’angolo di zenith di provenienza dei fotoni, con
il taglio zmax = 105◦ . Con Gtmktime sono stati tagliati gli eventi in cui il
telescopio passava attraverso l’anomalia sub-atlantica, facendo una selezione
sui GTI.
L’analisi effettuata è suddivisa in 2 parti: una analisi delle mappe di conteggi
e delle mappe di TS, e un’analisi spettrale.
7.3.1
Mappe di conteggi e mappe di significanza
Con Gtbin sono state create alcune mappe di conteggi per diverse regioni di
interesse e diverse energie, con risoluzione pari a 0.1◦ /pixel.
Le sorgenti ASO, catalogate nel 3 Months Catalogue, presenti entro una
regione di 11◦ intorno al centro galattico sono mostrate in figura 7.30 e
figura 7.31, rispettivamente per E > 200 MeV e E > 1 GeV. In figura 7.32 e
figura 7.33 è mostrato lo zoom in una regione con −7◦ < l < 7◦ , sempre per
E > 200 MeV ed E > 1 GeV. Le figure 7.34 e 7.35 mostrano infine le sorgenti
ASO all’interno di una regione di 2.5 gradi intorno al centro galattico, per
E > 200 MeV ed E > 1 GeV rispettivamente.
Osservando la mappe di conteggi di figura 7.34 e figura 7.35 si notano, in una
regione di 2.5◦ , alcuni eccessi di conteggi che potrebbero essere attribuiti a
possibili sorgenti non presenti nel catalogo ASO. Per verificare la presenza di
nuove possibili sorgenti nel Centro Galattico è stato usato il tool PGwave2d
in una mappa di conteggi del centro galattico con raggio di 2.5 gradi ed
E > 1 GeV. Quattro possibili sorgenti sono state trovate in questa regione.
La tabella 7.1 riporta le coordinate delle 4 sorgenti trovate in latitudine e
longitudine galattica e l’errore sulla posizione. La figura 7.36 mostra tali
sorgenti in una mappa di conteggi per E > 1 GeV.
Sorgente
1
2
3
4
l
-0.75
-0.05
-0.05
0.05
b
359.15
0.55
359.95
357.95
errore
0.5
0.47
48
0.42
Tabella 7.1: Posizione delle 4 sorgenti trovate da PGwave2d in latitudine e
longitudine galattica, e relativo errore.
84
Figura 7.30: Mappa del Centro Galattico, −11◦ < l < 11◦ , −6◦ < b < 6◦ ,
per E > 200 MeV. Sono indicate le 10 sorgenti gamma ASO catalogate in
questa regione nel 3 months catalogue
Figura 7.31: Mappa del Centro Galattico, −11◦ < l < 11◦ , −6◦ < b < 6◦ ,
per E > 1 GeV (scala SquareRoot). Sono indicate le 10 sorgenti gamma
ASO catalogate in questa regione nel 3 months catalogue
85
Figura 7.32: Mappa del Centro Galattico, −7◦ < l < 7◦ , −4◦ < b < 4◦ , per
E > 200 MeV. Sono indicate le sorgenti gamma ASO catalogate in questa
regione nel 3 months catalogue
Figura 7.33: Mappa del Centro Galattico, −7◦ < l < 7◦ , −4◦ < b < 4◦ ,
per E > 1 GeV (scala SquareRoot). Sono indicate le sorgenti gamma ASO
catalogate in questa regione nel 3 months catalogue
86
Figura 7.34: Mappa del Centro Galattico, −2.5◦ < l < 2.5◦ , −1.5◦ < b <
1.5◦ , per E > 200 MeV. Sono indicate le sorgenti gamma ASO catalogate
in questa regione nel 3 months catalogue
Figura 7.35: Mappa del Centro Galattico, −2.5◦ < l < 2.5◦ , −1.5◦ < b <
1.5◦ , per E > 1 GeV. Sono indicate le sorgenti gamma ASO catalogate in
questa regione nel 3 months catalogue
87
Figura 7.36: Le 4 sorgenti trovate da PGwave2d nel Centro Galattico in una
regione con −2.5◦ < l < 2.5◦ , −1.5◦ < b < 1.5◦ , per E > 1.
La sorgente denominata PGwave src3 si trova nel centro galattico in
prossimità di ASO386, già catalogata ed associata alla sorgente 3EGj17462851. Quindi 3 possibili nuove sorgenti sono state trovate in una regione di
2.5◦ intorno al centro galattico. Una possibile associazione di tali sorgenti è
mostrata in figura 7.37. L’associazione delle sorgenti è stata effettuata cercando nel database astronomico SIMBAD tutte le potenziali sorgenti γ - pulsars, SNR, sorgenti X e cosı̀ via - presenti entro un raggio di 0.5◦ intorno alle
3 sorgenti trovate. Entro un raggio di 0.2◦ dalla sorgente PGwave src1 è stata trovata la Pulsar PSR J1747-2958, di coordinate l=359.3042 e b=0.8430,
periodo di rotazione di 98 ms ed una età di 2.5·104 anni. Ho avuto l’opportunità di presentare la rivelazione di tale sorgente e la sua associazione con la
PSR J1747-2958 nel corso di un meeting online con il gruppo che si occupa
di studiare la Dark Matter ed il centro galattico. Tale Pulsar era in realtà
già stata individuata ma non ancora stata catalogata. L’dentificazione di
questa sorgente nel corso del lavoro di tesi può quindi essere considerata
come una scoperta indipendente.
Una SuperNova Remnant e circa un centinaio di sorgenti X sono state trovate
entro un raggio di 0.2 gradi dalla sorgente denominata PGwave src2. Una
sorgente X, la 1RXS J174000.0-303845 è stata trovata vicino alla sorgente denominata PGwave src4, entro 0.1 gradi, vicina anche alla sorgente ASO380
entro un raggio di 0.2◦ . In prossimità della sorgente PGwave src1 sembra
essercene un’altra, più debole e non rivelata da PGwave2d, in una regione
intorno al punto di coordinate l=359.00, b=-0.5. Due sorgenti X ed una
SNR, indicate nella mappa di figura 7.37 si trovano in questa regione. Un
maggiore tempo di esposizione darà la possibilità di stabilire l’effettiva es-
88
Figura 7.37: Mappa del centro galattico in una regione con −2.5◦ < l < 2.5◦ ,
−1.5◦ < b < 1.5◦ , per E > 1, in cui sono indicate le 4 possili sorgenti trovate
da PGwave2d ed una possibile associazione con sorgenti gia’ note.
istenza o meno di questa sorgente.
Come ulteriore strumento di analisi del Centro Galattco, e come verifica dei
risultati ottenuti con PGwave2d, sono state create con Gttsmap delle mappe
di significanza di una regione di interesse di 2.5◦ intorno al Centro Galattico, per E > 1 GeV ed E > 5 GeV. Si ricorda che le mappe di significanza
vengono utilizzate per la rivelazione di sorgenti non modellate, calcolando in
ogni punto della mappa la Maximum Likelihood ottenuta aggiungendo una
nuova sorgente. I dati osservativi sono stati confrontati con il fondo galattico diffuso, il quale è stato modellato usando il file mapcube 54 59Xvarh7S.
Le immagini di figura 7.38 e 7.39 mostrano le mappe di TS in una regione di
2.5 gradi intorno al centro galattico, con una risoluzione di 0.1 gradi/pixel,
per E > 1 GeV ed E > 5 GeV rispettivamente.
Tutte e 4 le sorgenti trovate da PGwave2d presentano picchi nei valori
della significanza nelle mappe di TS. Ciò vuol dire che i risultati trovati da
PGwave2d trovano conferma nelle mappe di TS. Nella mappa di significanza
effettuate per E > 1 GeV si trova TS = 193 per la sorgente PGwave src1, TS
= 145 per la sorgente PGwave src2, TS = 856 per la sorgente PGwave src3
e TS = 61 per la sorgente PGwave src4. Nella mappa di significanza per
E > 5 GeV, TS = 35 per la sorgente PGwave src1, TS = 22 per la sorgente PGwave src2, TS = 194 per la sorgente PGwave src3 e TS = 20 per
la sorgente PGwave src4. Un ulteriore spot è inoltre visibile nella mappa
effettuata per E >5 GeV, in una regione molto vicina al Centro Galattico
intorno al punto di coordinate l=0.1, b=-0.6, con TS = 22. Due sorgenti X
sono state trovate in questa regione, entro un raggio di 0.2 gradi. E’ ancora
89
Figura 7.38: Ts map per E > 1 GeV in una regione di 2.5 gradi intorno al
centro galattico. Sono indicate le 4 possibili sorgenti trovate da PGwave2d.
La coordinata sull’asse x è invertita rispetto alle mappe di conteggi.
Figura 7.39: Ts map per E > 5 GeV in una regione di 2.5 gradi intorno al
centro galattico. Sono indicate le 4 possibili sorgenti trovate da PGwave2d.
La coordinata sull’asse x è invertita rispetto alle mappe di conteggi.
90
Figura 7.40: Mappa di conteggi del centro galattico, −2.5◦ < l < 2.5◦ ,
−1.5◦ < b < 1.5◦ , per E > 5 GeV
da stabilire la natura di questo spot, che non ha per ora corrispondente nelle
mappe di conteggi alla stessa energia (figura 7.40).
91
7.3.2
Analisi Spettrale
In questa analisi spettrale del centro galattico sono state prese in considerazione le 4 sorgenti trovate da PGwave2d. Lo studio è stato fatto su una
regione di 2.5 gradi intorno ad (l, b)=(0, 0) ed E > 200 MeV. Sono stati
studiati diversi modelli, che si differenziano tra loro dallo spettro usato per
descrivere la sorgente nel Centro Galattico, la src 3. Le altre 3 sorgenti
presenti in questa regione sono sempre modellate con una power law
1. le 4 sorgenti nel Centro Galattico sono modellate con una power law.
2. la sorgente nel Centro Galattico e’ modellata con uno spettro di tipo
Dark Matter, con profilo puntiforme, canale di annichilazione bb̄ e
masse di 80 GeV e 50 GeV.
3. il fit della sorgente nel Centro Galattico è effettuato usando DMFIT,
con canali di annichilazione bb̄, µ+ µ− , τ + τ − . La massa è lasciata come
parametro libero.
4. la sorgente nel Centro Galattico è modellata con una broken power
law
5. la sorgente nel Centro Galattico è modellata con una Pulsar, il cui
spettro è descritto da un Exponential cut-off del tipo
dN
E
= N0
dE
E0
γ1
e−
E
Ec
γ 2
dove EC è l’energia di cut-off
La componente del fondo galattico diffuso e’ stata modellata, in tutti i casi,
con il file 54 59Xvarh7S. Di seguito sono riportati i risultati dell’analisi
Modello 1
SRC
SRC
SRC
SRC
1:
2:
3:
4:
Indice
Indice
Indice
Indice
Spettrale=
Spettrale=
Spettrale=
Spettrale=
-2.13,
-1.97,
-2.05,
-2.10,
TS=
TS=
TS=
TS=
364, σ = 19
94, σ = 9.7
1253, σ = 35.4
171 σ = 13.1
Modello 2
DM50 GeV
SRC 1: Indice Spettrale= -2.21, TS= 376, σ = 19.4
SRC 2: Indice Spettrale= -2.01, TS= 83, σ = 9.1
bb̄50: TS= 1447, σ = 38
SRC 4: Indice Spettrale= -2.12, TS= 166, σ = 12.9
92
DM80 GeV
SRC 1: Indice Spettrale= -2.28, TS= 394, σ = 19.5
SRC 2: Indice Spettrale= -2.07, TS= 98 σ = 10
bb̄80: TS= 1340, σ =36.6
SRC 4: Indice Spettrale= -2.11, TS= 158, σ = 12.6
Modello 3
Canale: bb̄
Massa= 44.3
Src 1: Indice
Src 2: Indice
Src 4: Indice
GeV, TS= 1470, σ = 38.3
Spettrale= -2.21, TS= 370, σ = 19.2
Spettrale= -2.10, TS= 78, σ = 8.9
Spettrale= -2.13, TS= 166, σ = 12.9
Canale: µ+ µ−
Massa= 35.9 GeV, TS= 639, σ = 25.3
Src 1: Indice Spettrale= -2.16, TS= 420, σ = 20.5
Src 2: Indice Spettrale= -2.06, TS= 235, σ = 15.3
Src 4: Indice Spettrale= -2.04, TS= 131, σ = 11.4
Canale: τ + τ −
Massa= 8.6 GeV, TS= 1327, σ = 36.4
Src 1: Indice Spettrale= -2.28, TS= 364, σ = 19
Src 2: Indice Spettrale= -2.27, TS= 74, σ = 8.6
Src 4: Indice Spettrale= -2.13, TS= 143, σ = 12
Modello 4
SRC 1: Indice Spettrale= -2.2, TS= 385, σ = 19
SRC 2: Indice Spettrale= -2.0, TS= 92, σ = 9.6
SRC 3: Indice Spettrale 1= -1.0, Indice Spettrale 2= -3.3
Break Value= 2500, TS= 1483, σ = 38.5
SRC 4: Indice Spettrale= -2.11, TS= 174 σ = 13.2
Modello 5
SRC 1: Indice Spettrale= -2.16, TS= 359, σ = 19
SRC 2: Indice Spettrale= -1.9, TS= 85, σ = 9.2
SRC 3: Indice Spettrale 1= -1.4, Indice spettrale 2= 0.77
Cutoff= 3034, TS= 1529, σ = 39
SRC 4: Indice Spettrale= -2.15, TS= 190 σ = 13.8
93
Figura 7.41: Modello 1: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al
Centro Galattico, per E > 200 MeV. Le quattro possibili sorgenti trovate in
questa regione sono modellate con una power law. In rosso il fondo galattico
diffuso
Figura 7.42: Modello 1: Residui del fit dei dati in una regione di 2.5 gradi
intorno al Centro Galattico, per E > 200 MeV. Le quattro possibili sorgenti
trovate in questa regione sono modellate con una power law
94
Figura 7.43: Modello 2: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno
al Centro Galattico, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico
e’ modellata con un profilo spettrale di tipo Dark Matter con canale di
annichilazione bb̄, massa 50 GeV e profilo spaziale point source.
Figura 7.44: Modello 2: Residui del fit dei dati in una regione di 2.5 gradi
intorno al Centro Galattico, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro
galattico e’ modellata con un profilo spettrale di tipo Dark Matter con canale
di annichilazione bb̄, massa 50 GeV e profilo spaziale point source
95
Figura 7.45: Modello 2: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno
al Centro Galattico, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico
e’ modellata con un profilo spettrale di tipo Dark Matter con canale di
annichilazione bb̄, massa 80 GeV e profilo spaziale point source
Figura 7.46: Modello 2: Residui del dei dati in una regione di 2.5 gradi
intorno al Centro Galattico, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro
galattico e’ modellata con un profilo spettrale di tipo Dark Matter con canale
di annichilazione bb̄, massa 80 GeV e profilo spaziale point source
96
Figura 7.47: Modello 3: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno
al Centro Galattico, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico
e’ modellata con DMFIT, con canale di annichilazione bb̄ e profilo spaziale
point source lasciando la massa come parametro libero. Dal fit si trova
M χ = 44.3 GeV
Figura 7.48: Modello 3: Residui del dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata
con DMFIT, con canale di annichilazione bb̄ e profilo spaziale point source
97
Figura 7.49: Modello 3: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al
CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata con
DMFIT, con canale di annichilazione µ+ µ− e profilo spaziale point source
lasciando la massa come parametro libero. Dal fit si trova M χ = 35.9 GeV
Figura 7.50: Modello 3: Residui del dei dati in una regione di 2.5 gradi
intorno al CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata con DMFIT, con canale di annichilazione µ+ µ− e profilo spaziale point
source
98
Figura 7.51: Modello 3: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al
CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata con
DMFIT, con canale di annichilazione τ + τ − e profilo spaziale point source
lasciando la massa come parametro libero. Dal fit si trova M χ = 8.6 GeV
Figura 7.52: Modello 3: Residui del dei dati in una regione di 2.5 gradi
intorno al CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata con DMFIT, con canale di annichilazione µ+ µ− e profilo spaziale point
source
99
Figura 7.53: Modello 4: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al
CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata con
una broken power law
Figura 7.54: Modello 4: Residui del dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata
con una broken power law
100
Figura 7.55: Modello 5: Fit dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al
CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata con
una Pulsar
Figura 7.56: Modello 5: Residui del dei dati in una regione di 2.5 gradi intorno al CG, per E > 200 MeV. La sorgente nel centro galattico e’ modellata
con una Pulsar
101
7.3.3
Analisi del profilo spaziale del Centro Galattico
Si è voluto in questa parte studiare il profilo spaziale della parte più interna
del centro galattico, in una regione di interesse di 2◦ di raggio, per cercare di
discriminare se esso è più vicino ad un profilo puntiforme o ad una sorgente
spazialmente estesa. Allo scopo, sono state simulate due sorgenti γ date
dall’annichilazione di Dark Matter: una con profilo spaziale puntiforme, ed
un altra con profilo spaziale di tipo NFW. Le normalizzazioni delle sorgenti
sono scelte in modo tale che il valore di picco dei conteggi corrispondesse a
quello trovato nelle mappe di conteggi dei dati del Fermi nella stessa regione.
Dopo aver simulato le sorgenti sono state create delle mappe di conteggi per
E > 1 GeV e risoluzione spaziale di 0.1◦ /pixel. I conteggi contenuti entro
un rettangolo dato da −1◦ < l < 1◦ e −0.5 < b < 0.3 sono stati proiettati
lungo l’asse b, e ne è stato calcolato il valore medio. Questa operazione è
stata effettuata per la mappa di conteggi dei dati del LAT, effettuata per
E > 1 GeV, e per le mappe di conteggi delle sorgenti simulate. E’ stata
inoltre effettuata una simulazione del fondo diffuso galattico nella stessa
regione di interesse e nello stesso intervallo temporale dei dati utilizzati,
e ne è stata effettuata una mappa di conteggi per E > 1 GeV. Infine, è
stato calcolato il valore medio dei fotoni del fondo diffuso entro la regione
definita da −1◦ < l < 1◦ e −0.5 < b < 0.3, e questo valore è stato sottratto
dal valore medio dei conteggi dei dati lungo l’asse b. Le 3 proiezioni, dei
dati meno il fondo diffuso, della simulazione della Dark Matter puntiforme,
e della simulazione della Dark Matter con profilo NFW, sono infine state
confrontate. Il risultato è mostrato in figura 7.57
7.3.4
Conclusioni
Le mappe di conteggi hanno evidenziato un eccesso di conteggi nel Centro
Galattico, dovuto a nuove potenziali sorgenti non catalogate. Lo studio di
questa regione con PGwave e le mappe di significanza ha reso possibilie l’individuazione di 3 nuove possibili sorgenti con una significanza ≥ 8σ intorno
alla sorgente nel Centro Galattico. Tra queste, è stata individuata la Pulsar
PSR J1747-2958, con significanza σ ' 14 che è fino ad ora la Pulsar γ più
vicina al Centro Galattico.
L’eccesso di conteggi individuato nell’analisi spettrale effettuata nella parte
seconda è presente anche in questa terza analisi, con una statistica migliore:
da tutti i fit e’ evidente una carenza di eventi tra 1 GeV e 10 Gev. Tale
eccesso di conteggi potrebbe essere modellato con uno spettro di tipo Dark
Matter con massa dell’ordine di qualche decina di GeV. I fit in cui la sorgente
nel centro galattico e’ modellata con una point source con spettro di tipo
Dark Matter forniscono dei residui inferiori ed una significanza maggiore
rispetto al modello 2, nel quale tale sorgente e’ modellata con una point
source con spettro di power law. I fit effettuati con DMFIT con canale
102
Figura 7.57: Proiezione, lungo l’asse b, dei conteggi contenute entro la regione definita da −1◦ < l < 1◦ e −0.5 < b < 0.3 per un modello di Dark
Matter puntiforme (nero), Dark Matter con profilo spaziale di tipo NFW
(blu), ed i dati ottenuti dal LAT dopo la sottrazione del fondo galattico
simulato (rosso)
103
di annichilazione bb̄ forniscono come miglior valore della massa Mbb̄ = 44.3
GeV. I canali di annichilazione τ + τ − e µ+ µ− non sembrano fornire dei fit
altrettanto buoni. Il modello in cui la sorgente nel Centro Galattico ha uno
spettro di tipo exponential cutoff, usato per descrivere le Pulsar, fornisce il
miglior valore della significanza (σ = 39). Tuttavia non è stato osservato fino
ad ora alcun segnale pulsato proveniente dal Centro Galattico. Tale spettro
è comunque molto simile a quello derivante dall’annichilazione di neutralino, ed entrambe descrivono la sorgente nel Centro Galattico meglio di una
legge di pontenza. L’estensione spaziale della sorgente nel Centro Galattico
sembra essere compresa tra una NFW ed una sorgente puntiforme.
104
Figura 7.58: Le 205 sorgenti con significanza > di 10σ rivelate dal LAT
7.4
I risultati ottenuti dal telescopio Fermi
Dopo il suo lancio nel Giugno 2008, il telescopio Fermi ha cominciato lo
studio del cielo nei raggi γ ad Agosto. Il LAT ha prodotto in 3 mesi di
osservazione una mappa del cielo γ migliore di qualsiasi altra precedente
missione spaziale. E’ di recente pubblicazione [24] un articolo del Fermi
LAT Collaboration Group nel quale vengono presentate le 205 sorgenti con
una significanza maggiore di 10σ rivelate dal LAT per E > 100 MeV. Come
termine di confronto, va menzionato che EGRET trovò poco più di 30 sorgenti con una significanza maggiore di 10σ durante tutta la sua missione.
Tra le 205 sorgenti rivelate dal Fermi, 32 sono state identificate come Pulsar, tra le quali 12 nuove Pulsar e 13 Pulsar precedentemente note solo nella
banda Radio. Tra le nuove Pulsar scoperte, va citata la prima γ-Pulsar che
emette solo nei raggi gamma, situata all’interno della Supernova Remnant
CTA1 [25]. La Pulsar CTA1 ha un periodo di rotazione di 316.86 ms, ed
una età di 104 anni. Si pensa che la maggior parte delle sorgenti gamma
Galattiche non identificate associate con regioni di formazione stellare possano essere Pulsar di cosı̀ giovane età. Tra le sorgenti ad alta significanza
rivelate dal telescopio Fermi per |b| >10, 106 hanno un’alta confidenza di
associazione con AGN conosciuti, la cui lista è presentata in un’altra pubblicazione da parte del Fermi LAT Collaboration Group [26]. Tra questi AGN,
2 sono stati classificati come radio Galassie, e 104 come Blazar. Sulla base
delle rivelazioni del LAT, sono stati scoperti 4 nuovi AGN.
Un altro degli oggetti di studio in questi primi mesi della missione Fermi, è l’eccesso GeV osservato da EGRET su tutto il cielo. Nelle figure 7.60
e 7.61 sono mostrati, rispettivamente, lo spettro dei dati di EGRET per
0.5 < l < 60.5 e 300.5 < l < 359.5, e −10.5 < |b| < −0.5, e 0.5 < l < 179.5
105
Figura 7.59: Le Pulsars rivelate nei primi mesi della missione Fermi
e 180.5 < l < 359.5, e − 20.5 < |b| < −10.5 confrontati con un modello del
fondo galattico diffuso basato sullo spettro locale dei CR. Si osserva, per
E > 1 GeV, un eccesso di conteggi pari al 100% rispetto al modello teorico.
Con il LAT è stata cercata la conferma dell’eccesso GeV nella regione con
10◦ < |b| < 20◦ ed 0◦ < l < 360◦ . La figura 7.62 mostra lo spettro ottenuto
dai dati del LAT in questa regione, confrontati con un modello che include
decadimento del π 0 , effetto compton inverso, bremsstrahlung, ed una componente isotropica data dal fondo Extra Galattico diffuso e strumentale. Le
sorgenti non sono rimosse, ma sono una componente minore, pari a circa il
5%. In rosso sono indicati i dati ricavati da EGRET ed in blu quelli del LAT.
Gli errori del LAT sono solamente sistematici, pari a circa 10% in una stima
preliminare. I dati di EGRET sono afflitti da un errore sistematico pari al
15%. Lo spettro mostra che al di fuori del piano galattico l’eccesso trovato
da EGRET non è stato riscontrato dal LAT. Lo spettro gamma a latitudini
intermedie puo’ quindi essere spiegato dalla propagazione dei raggi cosmici
basata sugli spettri locali di nuclei ed elettroni. L’eccesso GeV di EGRET
potrebbe essere dovuto ad una erronea stima della sua Area Efficace, che ha
portato ad una sovrastima dei conteggi. E’ di recente pubblicazione [27] il
paper sull’osservazione della Pulsar Vela da parte del LAT. In esso è mostrato lo spettro di Vela cosı̀ come visto da EGRET e dal LAT (figura 7.63):
anche nel caso della Pulsar Vela, è osservabile una sovrastima dei conteggi
da parte di EGRET per E > 2 GeV.
106
Figura 7.60: Spettro del cielo osservato da EGRET, 0.5 < l < 60.5 e 300.5 <
l < 359.5, e −10.5 < |b| < −0.5, confrontato con il modello dell’emissione
diffusa: in rosso la componente all’emissione diffusa data dal decadimento
del π 0 , in verde quella dovuta all’effetto compton inverso, in turchese la
componente data dal bremsstrahlung, ed in nero una componente isotropica
data dal fondo Extra Galattico.
Figura 7.61: Spettro del cielo osservato da EGRET 0.5 < l < 179.5 e
180.5 < l < 359.5, e − 20.5 < |b| < −10.5. confrontato con il modello
dell’emissione diffusa: in rosso la componente all’emissione diffusa data dal
decadimento del π 0 , in verde quella dovuta all’effetto compton inverso, in
turchese la componente data dal bremsstrahlung, ed in nero una componente
isotropica data dal fondo Extra Galattico.
107
Figura 7.62: Spettro del cielo ottenuto con i dati del LAT per 0◦ ≤ l ≤ 360◦
e 10◦ ≤ |b| ≤ 20◦ , confrontati con un modello che include decadimento del
π 0 , effetto compton inverso, bremsstrahlung, ed una componente isotropica
data dal fondo Extra Galattico e strumentale. In rosso i dati di EGRET, in
blu quelli del LAT
Figura 7.63: Confronto dello spettro della pulsar Vela osservato da EGRET
e dal LAT
108
Capitolo 8
Conclusioni
Il Large Area Telescope LAT a bordo del Telescopio Spaziale Fermi ha già
ottenuto importanti risultati scientifici in poco più di 6 mesi di attività,
confermando di poter essere, come ci si aspettava prima del suo lancio, un
punto di riferimento nei prossimi anni per l’osservazione del cielo nei raggi
gamma di alta energia. Il Centro della Galassia è una delle più complesse
regioni da studiare, a causa della difficoltà nel modellare correttamente l’emissione diffusa dovuta all’interazione dei raggi cosmici con il complesso
delle nubi molecolari in questa regione, ed a numerose possibili sorgenti immerse nell’enorme flusso di fotoni proveniente da questa zona. Ma è anche
una delle regioni più interessanti per la ricerca di Dark Matter, poichè da
questa regione è aspettato il più grande flusso di raggi γ dovuto alla sua annichilazione, a causa dell’incremento della densità di Dark Matter previsto
in questa zona dai modelli teorici.
Figura 8.1: Il Centro Galattico visto da EGRET dopo la sottrazione
dell’emissione diffusa prevista dal modello, per E >1 GeV
Il Centro Galattico osservato da EGRET era costituito da un’unica sorgente entro una regione di diversi gradi. Grazie alla sua maggiore risoluzione
109
e maggiore sensibilità rispetto ad EGRET, in soli 6 mesi di attività il LAT
ha fornito una nuova visione del Centro della Galassia, il quale risulta arrichito di 3 nuove possibili sorgenti ad alta significanza entro una regione
di 2.5◦ , tutte visibili nelle mappe di conteggi e nelle mappe di significanza
realizzate dall’analisi dei dati svolta nel corso della tesi. Una di queste sorgenti, associata alla Pulsar Mouse e situata ad una distanza inferiore di 1◦
dal Centro Galattico, è stata scoperta indipendentemente da me nel corso
della tesi.
La deviazione dello spettro del fondo diffuso dovuto all’annichilazione di
WIMPs nel Centro Galattico si presenta come uno dei possibili metodi per
la rivelazione di Dark Matter. Le simulazioni mostrano la sostanziale differenza tra la legge di potenza dello spettro del fondo galattico diffuso, e la
forma curva tipica dello spettro dovuto all’annichilazione di WIMPs. L’annichilazione di Dark Matter fornisce quindi un contributo allo spettro totale
la cui forma differisce sostanzialmente da quella di altre sorgenti astrofisiche.
La Likelihood Analysis si presenta come un valido mezzo per la rivelazione
di sorgenti deboli e per sorgenti spazialmente estese. Le simulazioni hanno
mostrato la possibilità di rivelazione di sorgenti entro un ampio range di
flussi.
Una nuova caratteristica, mai osservata prima, è stata evidenziata nel
Centro Galattico dall’analisi spettrale dei dati forniti dal LAT: un eccesso
di fotoni tra 1 e 10 GeV, con picco corrispondente circa a 3 GeV, trovato
nelle mie analisi dei dati e in accordo con le analisi degli altri ricercatori che
si occupano di rivelazione di Dark Matter nel Centro Galattico. Nel caso in
cui si interpreti tale bump come dovuto all’annichilazione di Dark Matter,
questo imporrebbe dei limiti superiori alla sua massa: i migliori fit si hanno
con masse di circa 50 GeV. I fit non sembrano dare un buon accordo con i
dati quando si prova a modellare la sorgente nel Centro Galattico con uno
spettro di tipo power law, mentre l’accordo migliora quando la sorgente è
modellata con spettri di tipo Dark Matter o con una Pulsar. In questi primi
sei mesi di dati non è stato possibile discriminare quale tra i 2 spettri si presti
a descrivere meglio la sorgente. Si spera con i prossimi dati di riuscire ad
escludere una delle due ipotesi, ad esempio con l’osservazione di un segnale
pulsato dal Centro Galattico, oppure da una analisi dell’estensione spaziale
della sorgente.
110
Appendice A
Likelihood e Test Statistic
Dato un insieme di dati osservativi ed un modello, la Likelihood del modello
è la probabilità di ottenere quell’insieme di dati nell’ipotesi che il modello
sia vero.
Consideriamo una variabile x distribuita in accordo ad una funzione di
densità di probabilità f (x). Supponiamo che una misura della variabile
x sia ripetuta n volte e fornisca i valori x1 , x2 , ..., xn . La probabilità di ottenere il valore x1 nella prima misura è f (x1 ). Supponendo che le misure
siano indipendenti, la probabilità di ottenere prima x1 e poi x2 è data da
f (x1 )×f (x2 ). Quindi la Likelihood, ossia la probabilità di ottenere l’insieme
di misure x1 , x2 , ..., xn , nell’ipotesi che esse si distribuiscano secondo la f (x),
è:
n
L=
Y
f (xi )
(A.1)
i=1
Supponiamo che il modello sia descritto da una funzione di densità di probabilità f (x, a), dipendente dal parametro a da determinare. La Likelihood
darà la probabilità che il set di misure x1 , x2 , ..., xn sia prodotto a partire
dal particolare valore di a. Se il parametro a è vicino al valore vero, ci
si aspetta un alto valore di L, viceversa un valore lontano da quello vero
fornirà una bassa probabilità di ottenere i dati misurati. La Likelihood può
quindi essere usata per stimare il parametro a che caratterizza la f (x, a),
calcolando il massimo di L rispetto ad a.
Data la bassa statistica dei fotoni γ, è stata usata per calcolare la Maximum
Likelihood la probabilità poissoniana
n
pij =
θijij · e−θij
nij !
(A.2)
che dà la probabilità di osservare nij conteggi nel pixel ij quando il numero
di conteggi predetti dal modello è θij .
La Likelihood puo’ essere usata anche per il test delle ipotesi, mediante il
111
Likelihood Ratio Test, dato semplicemente dal rapporto tra le maximum likelihood calcolate nelle due ipotesi da testare, chiamate ipotesi nulla e ipotesi
alternativa.
Nel corso di questa tesi il Likelihood Ratio Test e’ stato usato per la rivelazione di sorgenti. Come ipotesi nulla e’ stato considerato il caso in cui
nella mappa di conteggi non ci fosse una sorgente addizionale non rivelata, e gli eventuali eccessi di conteggi nella mappa fossero dovuti alla sola
fluttuazione statistica dei fotoni dalle sorgenti conosciute. Come ipotesi alternativa e’ stato considerato il caso in cui nei dati ci fosse effettivamente
una sorgente addizionale non conosciuta.
Si definisce la variabile T S (Test Statistic), come
Lmax,0
T S = −2 ln
Lmax,1
!
(A.3)
dove Lmax,0 e’ il valore della maximum likelihood per un modello senza una
sorgente addizionale e Lmax,1 e’ il valore della maximum likelihood per un
modello con una sorgente addizionale ad una determinata posizione. TS e’
una funzione monotonicamente crescente di Lmax,1 , quindi massimizzare TS
e’ equivalente a massimizzare la likelihood.
Il teorema di Wilkes stabilisce che la TS per l’ipotesi nulla e’ asintoticamente
distribuita come χ2k , dove k e’ il numero di parametri che caratterizzano
la sorgente addizionale. χ2k per l’ipotesi nulla e’ una misura dell’accordo
tra i dati osservati e quelli attesi nel caso in cui non ci sia una sorgente
addizionale: quanto più piccolo sarà χ2k , tanto migliore sarà l’accordo. Ottenere, dunque, alti valori di TS implica che l’ipotesi nulla non e’ corretta,
ossia una sorgente e’ realmente presente. La significanza sarà data dalla
probabilità di ottenere un χ2k maggiore o uguale di quello osservato χ2k (o):
S=
P (χ2k
≥
Z ∞
1 2
=
χk (ξ)dξ
χ2k (o))
Ts
2
(A.4)
Nel caso in cui la sorgente addizionale sia descritta da un solo parametro
√
aggiuntivo, il numero di conteggi, k = 1. Con la sostituzione η = ξ, si ha
S=
P (χ2k
≥
χ2k (o))
=
2
Z ∞
1 eη /2
√
Ts
2
√
2π
dη
che è esattamente
√ l’integrale di una gaussiana centrata in x0 = 0 e con
σ = 1. Quindi Ts fornisce il numero di σ di significanza per cui l’ipotesi
nulla può essere scartata.
√ Ossia la significanza della presenza di una sorgente
puó essere espressa da Ts σ.
112
Appendice B
Processi elettromagnetici
B.1
Radiazione Sincrotrone
La radiazione di sincrotrone è prodotta da particelle cariche relativistiche
che si muovono di moto accelerato all’interno di un campo magnetico. Essa è
importante nel caso di elettroni e positroni, che essendo leggeri sono deviati
più facilmente. Un elettrone relativistico di carica e ed energia E = m0 c2 β,
che si muove a velocità v = βc all’interno di un campo magnetico costante B,
a causa della forza di Lorentz percorrerà una traiettoria circolare di raggio
r = Eβ
Be e frequenza
eB
νrot =
2πγme c
con γ = mE0 c2 . Gli elettroni accelerati emetteranno radiazione elettromagnetica la quale, a causa degli effetti relativistici, non verrà emessa su tutto
l’angolo solido, ma all’interno di un cono di apertura θ = 1/γ, dove θ è
l’angolo tra la direzione del moto e le linee di forza del campo magnetico.
La frequenza dei fotoni emessi ha un picco a
3
ν = γ 2 νrot sin(θ)
2
Lo spettro della radiazione di sincrotrone ha un massimo per ν ∼ 0.3νrot
(figura B.1). Elettroni energetici, o campi magnetici estremamente elevati
possono spostare questo picco fino ai raggi gamma. Candidati per questo
fenomeno sono quindi elettroni che si muovono vicino alla superficie delle
stelle di neutroni, dove B può raggiungere valori pari a 1010 Gauss.
B.2
Bremsstrahlung
La radiazione di bremsstrahlung è prodotta dalla decelerazione di una particella carica quando essa è deflessa da un’altra particella carica. Generalmente si chiama bremsstrahlung la radiazione emessa da una particella carica accelerata dal campo di un nucleo atomico. Poichè la sezione d’urto va
113
Figura B.1: Spettro della radiazione di sincrotrone
come l’inverso del quadrato della massa della particella, tale emissione è estremamente efficiente per particelle leggere, come gli elettroni. L’emissione
di bremsstrahlung ha uno spettro caratteristico, piatto fino ad una energia
pari all’energia cinetica dell’elettrone, per poi scendere rapidamente a zero, essendo tutta l’energia cinetica dell’elettrone trasferita al fotone (figura
B.2). Ad alte energie, come nel caso della radiazione sincrotrone, a causa di
effetti relativistici l’angolo medio di emissione è dato da θgamma = mc2 /E,
ossia la maggior parte dell’energia dell’elettrone è distribuita in uno stretto
cono intorno alla direzione del moto.
Figura B.2: Spettro prodotto dal Bremsstrahlung. Lo spettro è piatto fino
alla frequenza di cutoff ωcut e scende esponenzialmente ad alte frequenze
114
B.3
Effetto Compton inverso
Nell’effetto Compton inverso un fotone di energia Ef = hν interagisce con
un elettrone relativistico di energia cinetica E = me c2 (γ − 1) > Ef , con
trasferimento di energia dall’elettrone al fotone. Detta Ef 1 del fotone prima
dell’interazione ed Ef 2 l’energia dopo l’interazione, si ha Ef 2 ∼ γ 2 Ef 1 , quindi fotoni con energia nella banda radio, collidendo con elettroni relativistici,
per cui γ è dell’ordine di 103 -104 , possono avere in incremento nell’energia
fino alla regione dei raggi X o dei raggi γ.
B.4
Assorbimento di fotoni
Sono 3 i processi per cui si ha assorbimento di energia nell’interazione della
radiazione con la materia: l’Effetto Fotoelettrico, l’Effetto Compton e la
Produzione di coppie
L’effetto fotoelettrico corrisponde alla cattura di un fotone da parte di un
atomo, con conseguente emissione di un elettrone con energia cinetica Ee =
hν − W , dove W è l’energia di legame dell’elettrone. La sezione d’urto
dell’effetto fotoelettrico va come
σef ∝
Z5
ν
Tale processo è rilevante per fotoni di energia inferiore a circa 1 MeV.
Nell’Effetto Compton si ha un processo di scattering tra un fotone incidente
ed un elettrone in quiete. L’interazione può essere assimilata ad un urto
classico dopo il quale la quantità di moto e l’energia del sistema si conservano. L’energia del fotone prima dell’urto, hν1 è legata all’energia del fotone
dopo l’urto, hν2 dalla
hν2 =
1+
hν1
hν1
(1 −
me c2
cosθ)
dove θ è l’angolo formato dalla direzione del fotone dopo l’urto rispetto a
quella iniziale. La distribuzione angolare dei fotoni emessi è I ∝ (1 + cos2 θ)
a basse energie, mentre ad alte energie i fotoni sono più collimati. La sezione
d’urto ad alte energie va come
σComp ∝
Z
ν
L’effetto Compton è rilevante per fotoni di energia compresa tra 0.1 e 10
MeV.
Nel processo di Produzione di Coppie si ha la conversione di un fotone in una
coppia elettrone-positrone nel campo elettrico di un atomo, necessario per la
conservazione del momento. L’energia di soglia per questo processo è 2me c2 ,
115
ed essendo la massa dell’elettrone pari a 511 KeV, tale processo è rilevante
per fotoni di energia maggiore del MeV. L’angolo medio di produzione di un
elettrone o positrone di energia E è θ ∼ mc2 /E. La sezione d’urto satura ad
energie maggiori di qualche decina di MeV, dove la produzione di coppie è il
principale processo di interazione dei fotoni con la materia. In questo regime
la sezione d’urto è approssimativamente proporzionale a Z 2 ed indipendente
dalla frequenza.
Figura B.3: La sezione d’urto dei fotoni nel Rame
B.5
Sciami elettromagnetici
Quando elettrone o un positrone di alta energia entrano in un mezzo molto
spesso, inizia un processo di moltiplicazione di particelle: gli e+ ed e− producono un fotone di alta energia tramite Bremsstrahlung, il quale produrrà a
sua volta una coppia elettrone-positrone, che produrranno altri fotoni, e cosı̀
via. Il processo si arresta quando l’energia delle particelle cariche raggiunge
l’energia critica Ec , ossia l’energia alla quale la perdita di energia dovuta a Bremsstrahlung è uguale a quella persa per ionizzazione o eccitazione
degli elettroni del mezzo. A questo punto la ionizzazione e l’eccitazione
assorbiranno energia senza creare altre particelle.
116
Figura B.4: Schema di uno sciame elettromagnetico
117
Appendice C
Lista Acronimi
3EG: Third EGRET Catalog
ACD: Anti Coincidence Detector
ACT: Atmospheric Cherenkov Telescopes
AGN: Active Galactic Nuclei
CAL: Calorimetro
CDM: Cold Dark Matter
CR: Cosmic Rays
DAQ: Data Aquisition
DM: Dark Matter
GBM: GLAST Burst Monitor
GRB: Gamma Ray Burst
GTI: Good Time Interval
HDM: Hot Dark Matter
IRF: Instrument Response Function
LAT: Large Area Telescope
LSP: Lightest Supersymmetric Particle
MET: Mission Elapsed Time
MSSM Minimal Supersymmetric Standard Model
NFW: Navarro Frenk White
PSF: Point Spread Function
SN: SuperNova
SNR: SuperNova Remnant
TS: Test Statistic
WIMP: Weakly Interacting Massive Particle
118
Bibliografia
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare i miei relatori, il Prof. Piergiorgio Picozza ed il Dott.
Aldo Morselli, per avermi dato la possibilità di svolgere questo interessantissimo lavoro di tesi su un cosı̀ importante esperimento. Ringrazio in particolar modo Aldo, per l’aiuto fornitomi e la sua disponibilità.
Un ringraziamento speciale a Sabina Sabatini, per i suoi consigli ed il suo
supporto durante questo lavoro di tesi.
Desidero inoltre ringraziare tutti gli amici che mi sono stati vicini in questo
anno, regalandomi un sorriso e momenti di serenità.
Un ringraziamento particolare, il più grande, dal cuore, alla mia famiglia.
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