Scarica - Cronache di un disadattato

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Gli Esperetoj
Francesco Stefanacci
Era stato un anno molto duro, ma questo il piccolo Winston non poteva
saperlo. Anche se lo avesse saputo, comunque, ormai non aveva più importanza: era Natale. Natale era arrivato, finalmente, ed era arrivato per tutti, poveri
e ricchi.
Da mesi, Winston fantasticava di ricevere in dono il suo giocattolo preferito, che agognava ogni giorno davanti alla pubblicità in televisione, di cui i suoi
amichetti più benestanti gli parlavano alla scuola pubblica: il pupazzo Espereto.
L’attesa, adesso, era finita. La sera precedente sotto l’albero di Natale
non c’era ancora un pacchetto, ma durante la notte Winston aveva sentito
Babbo Natale scendere dal camino. L’aveva sentito urtare le palle di vetro appese all’albero, frugare tra i suoi rami. Aveva sentito distintamente il rumore di
carta regalo sfrigolare contro il vestito in feltro rosso dalle rifiniture in lana
bianca, aveva sentito i lunghi nastri colorati accartocciarsi.
Era stata dura lottare contro la smania di alzarsi e correre nella sala urlando di gioia, per abbracciare e baciare Babbo Natale, ringraziarlo e poi buttarsi sull’ambito pacchetto, ma c’era riuscito. Era riuscito persino a riaddormentarsi, a notte fonda, e dormire qualche ora, ma adesso poteva sfogarsi. La
mattina era finalmente arrivata.
Senza riguardi, lanciò il piumino ai piedi del letto, ne scese con un salto e
cominciò a correre verso la sala. Il pacchetto era lì, dove lo aveva immaginato.
Era della forma e delle dimensioni giuste, non c’era margine di errore: lì dentro
c’era il suo pupazzo.
Fece l’ultimo metro lanciandosi per terra, afferrando il pacchetto con entrambe le mani. In una furia incontrollata, strappò il nastro rosso e fece brandelli della carta regalo. La confezione dell’Espereto era come quella vista in televisione.
“Impara la lingua del futuro con un nuovo amico!” recitava la scritta gialla a caratteri cubitali.
Abbandonata la smania, ora Winston teneva sotto controllo l’eccitazione
con la meraviglia e la felicità più pura. Con calma, lentamente, come per non
ferire il cartone, sfilò il pupazzo dalla scatola, e poi dal suo supporto.
Prese il manuale di istruzioni e lo mise da parte: non aveva bisogno di
leggerlo, sapeva già tutto sul funzionamento del pupazzo, grazie alle numerose
conversazioni ricche di dettagli che aveva avuto con i suoi compagni di scuola.
Lui era l’ultimo della sua classe ad aver ricevuto il pupazzo; l’ultimo della sua
scuola e probabilmente uno degli ultimi bambini del mondo intero. I pupazzi
Esperetoj erano stati distribuiti in ogni casa del globo provvista di almeno un
bambino… Probabilmente alcuni anche in case sprovviste.
Era una vera e propria mania, guidata però non dalle mode ma dalla genuina approvazione di tutti i bambini della Terra. Winston aveva aspettato e
sofferto a lungo per avere il suo Espereto. Desiderò che quel momento di gloria
non finisse mai.
Guardando fisso le palpebre di plastica rosa ancora chiuse, portò la mano
sulla schiena del giocattolo, infilò l’indice sotto un pezzo di pelliccia mobile, e
premette l’interruttore.
Come il dottor Frankenstein prima di lui, Winston donò la vita a ciò che
prima non l’aveva. Le palpebre si alzarono, rivelando due occhi azzurri e vivaci.
Il beccuccio della creatura artificiale si aprì, ed emise uno strano gorgoglìo, che
fece ridere Winston. Dopo qualche secondo di silenzio, la creatura parlò.
<Ĝis! Mia nomo esti Espereto! 1>
Lentamente, con incertezza, cercando di scandire bene le parole, Winston
rispose:
<Ĝis! Mia nomo esti Winston!>
Il pupazzo non rispose subito. Mosse gli occhi a destra e a sinistra rapidamente, poi cominciò a sgambettare. Winston sapeva che voleva dire di metterlo a terra. Lo posò delicatamente con entrambe le mani sul pavimento, poi
rimase a guardarlo, estasiato, con il mento per terra.
<Mi ami vi! 2> disse il pupazzo, con un tono allegro. Winston era pieno di
gioia. Quasi stava per piangere. Sentì i suoi genitori arrivare alle sue spalle.
<Allora, Winston, sei contento? E’ quello che desideravi?> chiese suo padre. Winston rispose, la voce rotta dall’emozione, senza togliere gli occhi dall’Espereto.
<Si, papà… Mamma… Grazie, è proprio quello che volevo, grazie!>.
<Mi ami vi!> ripetè il pupazzo.
* * *
La targa era sempre lì, affisso al muro dei distributori di caffè, come ogni
mattina. Riportava i colori del Partito: bordo rosso, scritta nera a caratteri cubitali chiari e ben leggibili, su sfondo bianco. “Il lavoro nobilita l’uomo” decretava.
Come ogni mattina, i colleghi di Winston prendevano il loro caffè, e prima
di sorseggiarlo brindavano alla targa, ripetendo il motto con tono orgoglioso.
Winston, come capo reparto, si sentiva costretto ad unirsi, pur senza
condividere l’entusiasmo. In verità, Winston non capiva perfettamente la gente
comune. Erano tutti troppo pronti ad esaltare qualsiasi azione del Partito. Parlavano sempre molto, rischiando così di dire troppo, di palesare cose che dovevano rimanere latenti e nascoste. Secondo Winston il Partito consegnava un disegno al Basso Popolo, un disegno della vita che avrebbe dovuto condurre. Il
giusto modo di porsi davanti a tale disegno, sempre secondo lui, era quello di
seguire i suoi contorni, cercando il meno possibile di metterci del proprio. Invece la maggior parte delle persone spesso, nella volontà morbosa di fare tutto
quello che il Partito diceva, si metteva a ripassare i contorni del Disegno con la
propria matita del pensiero, ottenendo di fatto un disegno diverso, che il Partito non avrebbe mai potuto approvare.
1
Letteralmente: “Ciao! Mio nome essere Speranzino!”. Per il linguaggio dei pupazzi, si è usato
una forma rozza di Esperanto, con verbi coniugati all’infinito per ricordare dei pupazzi realmente esistenti dal funzionamento simile a quello descritto in questo racconto.
2
Letteralmente: “Io amare te”. “Vi” è il pronome personale che indica sia “tu” che “voi”, come
l’inglese “you”. Anche in questo caso si è usata la forma non declinata.
Certo, erano discorsi di ampio respiro, meglio applicabili magari a questioni più importanti che a prendere il caffè la mattina, questioni che Winston
senza ombra di dubbio non poteva nemmeno immaginare ne soprattutto capire. Tuttavia ogni mattina nasceva dentro di lui questa macchietta di angoscia
nell’anima, questa sensazione di essere osservato e non essere approvato, e
rimaneva sempre con il dubbio che anche le piccole cose come queste potevano attirare attenzioni non desiderate.
<Winston, puoi venire? Abbiamo un problema con l’avvitatore…>
<Di nuovo gli AK47?>
<Si, non so che diavolo ha quella macchina, gli ho cambiato le cinghie
giusto ieri.>
Winston diede una pacca sulla spalla dell’operaio, cominciando a seguirlo.
<Allora, Montag, come ti va?> gli chiese.
<Al solito… Cosa fai stasera?> Montag era un omino alto e magro, dai
baffetti biondi e i capelli sottili come fili d’argento, corti e ritti sulla testa ovale.
Per Winston era un sovversivo, uno di quelli che rischiano di sparire da un giorno all’altro dal mondo, senza una spiegazione, senza una traccia. Winston lo
conosceva fin dall’infanzia, e questo era l’unico motivo per cui poteva rischiare
di farsi vedere spesso insieme a lui, almeno sul posto di lavoro. Il motivo della
pericolosità di Montag risiedeva nella sua passione. Era un collezionista di giochi di società. Ovviamente, l’hobby di Montag era un segreto tra lui, Winston e
pochi altri fidati, tra cui la moglie.
<Esattamente dove andrai anche tu, al dibattito quotidiano serale.> rispose minaccioso Winston.
<No, io non verrò.> parlava sottovoce, Montag, nella speranza di non
farsi sentire dagli altri operai. All’interno della fabbrica, con Winston accanto, si
sentiva tanto tranquillo da parlare di cose di cui non avrebbe dovuto parlare in
pubblico.
<Oh si, tu verrai eccome, sarà… Quanto? La terza assenza che fai questo
mese!>
<La quarta.> corresse Montag.
<Sei pazzo, Montag. Presto cominceranno a controllarti. Ti ritroverai i segugi in casa quando sarà troppo tardi.>
<Ma per favore, quanto la fai lunga! I miei giochi sono nascosti nella…>
<Non lo voglio sapere, Montag. E non dire quella parola ad alta voce.>
<Winston, oggi è il vostro anniversario, non vorrai portare Julia al dibattito! Che serata romantica!> disse, con un sorrisetto ironico stampato sulla
faccia.
<Sarà una serata legale, almeno.>
<Solo per stasera, che diamine! Prenota un’assenza e vieni a casa mia.
Cucina Claudia, ha detto che preparerà un buonissimo dolce antico chiamato
Tiramisù…>
<Montag, BASTA!> urlò sottovoce Winston, cercando di non attirare l’attenzione degli altri operai.
<Un dolce! Siete fuori di testa, dove avete trovato gli ingredienti?!>
<Beh siamo andati…>
<No fermo, non voglio sapere nemmeno questo. Tu appena torni a casa
prendi gli ingredienti e li getti nella caldaia del condominio, poi ti prepari e ti
presenti al dibattito.>
Montag, per tutta risposta, gli sorrise dolcemente. Poi cambiò il tono e
alzò il volume della voce.
<Ecco, vedi?> erano arrivati al macchinario difettoso. Era un anonimo
blocco di metallo grigio, pieno di rotelle e ingranaggi. Al momento era fermo, e
sul tappeto mobile una fila di fucili mitragliatori neri luccicanti faceva bella mostra di se. Montag ne prese uno, afferrò la copertura superiore e la scosse su e
giù diverse volte.
<Completamente allentati. Abbiamo fermato la macchina appena ce ne
siamo accorti. Che facciamo, Winston?> Gli altri operai aspettavano, braccia ai
fianchi e occhi instupiditi, il responso del capo reparto.
<Cazzo.> disse Winston, atono. Si grattò la testa, pensando.
<Non possiamo rimandare ancora l’ordine. Dobbiamo finire entro due
giorni. Fate ripartire la macchina e avvitate le coperture a mano. Vi mando altri
due per dare una mano.> Ci fu un silenzioso moto di protesta. Era vietato dissentire dagli ordini dei superiori, sul posto di lavoro, ma Winston, dopo anni di
esperienza, riusciva ormai a capire quando prendeva decisioni che non piacevano ai suoi sottoposti. Tuttavia, non poteva fare altrimenti. La produzione di
armi era la prima fonte economica dell’Europa, e la Nobel Guns Inc., la ditta in
cui lavorava Winston, era la prima industria di produzione di armi dell’Europa.
Non aveva mai mancato un ordine da quando era capo reparto, e non aveva
intenzione di cominciare.
Gli operai della macchina tornarono ai loro posti. Una volta assicuratosi
che nessuno di loro potesse vederlo, sussurrò a Montag, mentre si girava per
tornare indietro:
<Ci vediamo stasera, Montag> il tono era a metà tra il consiglio amichevole e la minaccia. Montag però non lo colse. Sempre sorridendo, con lo sguardo serio puntato sulle spalle di Winston, rispose solo:
<Lo spero, Winston>.
Ma quella sera, Montag e Winston non si videro. Winston spostava spesso lo sguardo sui posti riservati a Montag e sua moglie Claudia, posti che continuavano a rimanere vuoti. Era preoccupato ma non poteva darlo a vedere. Doveva recitare la sua parte. Girarsi ogni tanto verso le altre persone ed annuire
con forza, sorridendo; abbracciare di tanto in tanto la moglie, per evidenziare il
gesto simbolico del maschio che protegge la femmina, e che le fornisce il miglior sistema di protezione possibile mettendola nelle mani del Partito. A volte
era costretto persino ad alzarsi, nel climax di esaltazione massimo, urlando e
agitando le braccia nel saluto del Partito a ricordare che è l’uomo, e la mano
aperta il suo simbolo, l’interesse principale del Governo. Doveva esultare e rispondere ad alta voce alle domande retoriche dei motti nazionalisti e patriottici
che ricadevano puntuali nel discorso del Primo Oratore. Come una canzone.
Una canzone, si, ecco quello che era. Strofa, ritornello, strofa. Melodia,
tensione, crescendo, picco, e poi di nuovo da capo. I dibattiti quotidiani serali
erano come le canzonette tutte uguali che il Partito faceva uscire dagli altoparlanti dei supermercati, talvolta negli uffici: piatte, scialbe, povere… Passionali
eppure senza significato. Le ascoltavi, ti trastullavano per il tempo della loro
durata, e poi passavano, senza lasciarti dentro niente. E così i discorsi del Primo Oratore, riguardanti l’indiscutibile superiorità militare dell’Europa, la necessità di fidarsi ciecamente del proprio Governo, la grandezza del Partito, la fierezza del popolo europeo e la potenza dell’esercito che costituiva. Erano discorsi che sentiva da anni, sempre diversi eppure sempre uguali, come un’incessante litanìa che finisce per assuefarti. Ipnotizzato dalla voce del Primo Oratore, non potevi fare altro che aggregarti alla massa, per non dare nell’occhio, e
prendere per vero tutto quello che il Partito diceva.
Quando arrivò a casa la tensione e la stanchezza della giornata l’assalirono di colpo. Il giorno dopo sarebbe stato ancor più faticoso: era domenica, il
sacro giorno del Lavoro. La produzione quasi raddoppiava, di domenica.
Spense la luce e chiuse gli occhi, chiedendosi se avrebbe più rivisto il
vecchio Montag.
* * *
Il chiacchiericcio era leggero; sottovoce, ma regolare, per cui Winston si
ritrovò sveglio. Non era stanco, però… Doveva essere domenica, se non lo avevano svegliato per andare a scuola. Accese la luce e guardò la sveglia. Si, era
domenica. Si concentrò sulle voci dei suoi genitori, che stavano parlando in salotto.
<… Consegnarglielo. E’ più sicuro.>
<Non posso crederci! Intendi piegarti? Abbassare la testa davanti al bastone? Se stiamo al loro gioco presto tutto il paese sarà in mano loro, lo capisci
o no?!>
<Edward, è diverso. Abbiamo un figlio, adesso, non possiamo più permetterci di fare i reazionari. Cosa farebbe Winston se ci succedesse qualcosa?
E’ solo uno stupido pupazzo, se lo vogliono, che se lo prendano, per Dio!>
<Ma non capisci che il pupazzo è solo un simbolo, un pretesto? Cosa esigeranno poi? Vorrano altre cose? Lo ius primae noctis? Eleonor, pensa se gli
venisse in mente che i bambini vanno educati come dicono loro, entrassero in
casa e ci portassero via Winston!>
<Non dire assurdità.>
<Assurdità? Basta accettare un compromesso, Eleonor, uno solo, e sarà
tutto perduto! Saremo obbligati ad accettare anche quelli successivi! Pensa se
un giorno smettessero di accontentarsi dei beni materiali. Pensa se cominciassero a fare il lavaggio del cervello alla gente. Non vedi che è già cominciato?
Cazzo Eleonor, basta accendere la televisione! E’ tutto vuoto, senza
significato… Si vedono solo spettacoletti stupidi che ti intrattengono per mezz’ora, giusto il tempo di non farti pensare a cosa succede nel mondo! Chi si
prova a dire qualcosa di nuovo, chi prova ad uscire dal coro… Zac! Censurato.
E chissà quanti altri nemmeno vengono mandati in onda.>
<Quanto la fai tragica. Siamo la generazione di Internet. Nel futuro di
Winston le notizie e le informazioni si cercheranno solo lì, non in televisione.>
<Certo, ammesso che la gente sia interessata a cercarsele da sola, le informazioni. Internet prevede una parte attiva nell’informazione. Pensi che ci sia
tanta genta disposta a rinunciare ai gossip pre-confezionati e ben impacchettati? E comunque, se pensi che internet sia immune dalla censura, sei un’ingenua. E’ solo questione di tempo, prenderanno il controllo anche lì, se glie lo
permetteremo.>
Winston non capiva bene quello che il papà e la mamma stavano dicendo. Sapeva solo che stavano litigando, e la cosa lo rendeva triste. Si rigirò nel
letto, dando le spalle alla porta, ritrovandosi faccia a faccia con l’Espereto. Lo
accese, per trovare conforto nella sua voce amica.
<Ĝis! Voli ludi? 1> fece il pupazzo, allegro come sempre.
<Ne, Espereto> rispose singhiozzando Winston. I circuiti della creatura
sfrigolarono: i chip interni stavano elaborando la risposta del bambino, e il tono
con cui l’aveva data.
<Ne esti malgaja! Mi ami vi!2> I genitori di Winston smisero di parlare.
<Si è svegliato?>
<Per forza, hai gridato!>
<Non ho gridato affatto.>
<Hai alzato la voce.>
Winston sentì i passi di suo padre avvicinarsi alla sua stanza. Poi bussarono alla porta d’ingresso. Bussarono forte.
<Vai tu, ho da fare.> sentì dire a sua madre. I passi si fermarono e tornarono indietro.
<Chi è?> chiese suo padre. Winston decise di alzarsi. Tenendo la zampa
dell’Espereto nella mano, aprì la porta della cameretta e si ritrovò in salotto.
Vide suo padre sporgersi sullo spioncino della porta.
<CulPol3, signore. Vorremmo dare un’occhiata all’appartamento.>
<Non potete. Avete un mandato?>
<Signore, apra la porta, per favore.>
<Vi ho già detto di no, arrivederci.>
<Signore, apra la porta o saremo costretti a sfondarla.>
<Fatemi il piacere, andatevene o chiamo io la polizia, quella vera.>
<Signore, è l’ultimo avvertimento, apra la porta o si faccia da parte.>
<Andate al diavolo.>
Successe tutto molto velocemente. Nella memoria di Winston erano rimasti solo frammenti di quella scena, per cui il sogno risultò intermittente.
La porta che si sfonda in avanti, colpendo e buttando a terra suo padre.
Sua mamma che arriva correndo, le mani sulla bocca spalancata e gli occhi
sgranati. Gli uomini vestiti di nero, muniti di caschetti con visiera, giubbotti antiproiettili e manganelli. Uno di loro che si ferma a prendere a calci suo padre,
un altro che blocca la fuga a sua madre. Uno che viene verso di lui, gli strappa
l’Espereto di mano, lo butta a terra e lo distrugge con il suo grande anfibio
nero. La grande mano guantata sulla sua faccia. Il buio.
* * *
1
2
3
Letteralmente: “Ciao! Volere giocare?”
Letteralmente: “Non essere triste! Me amare te!”
Cultural Police, polizia culturale.
<Winston in ufficio! Winston in ufficio!> ripetè l’altoparlante. Winston lasciò la macchina a cui stava lavorando e si diresse verso il suo ufficio. Aprì la
porta e rimase di stucco. Davanti a lui, seduto su una scomoda sedia scassata,
recuperata da chissà quale sgabuzzino dalla segretaria, si trovava Brian Abendsen, uno dei membri del Consiglio della catena di industrie Nobel Guns Inc.
Sorpreso e impreparato, Winston non sapeva che dire, per cui cominciò a farfugliare qualcosa.
<Signor Abendsen! Susan, perché non mi hai avvertito?!> disse alla segretaria
<sono desolato, Signore, di non aver potuto riceverla come si deve… Io,
mi scusi, le mie mani sono sporche, non…> non sapendo che altro fare per salutare degnamente una persona tanto importante, Winston assunse una rigida
postura eretta e fece il saluto del Partito. Il signor Abendsen rise di gusto, senza ricambiare il saluto. Abendsen era la messa in atto del detto “l’abito non fa il
monaco”. Era paffuto e sorridente, dai folti baffi bianchi, e pressochè calvo. I
suoi modi non erano pomposi, anzi sembrava piuttosto alla mano. Dava ad intendere che ogni cosa che otteneva e che aveva ottenuto in passato, se l’era
guadagnata lavorando duramente ed onestamente. Nessuno avrebbe mai sospettato che potesse essere un Consigliere, senza saperlo prima. Fece cenno a
Winston di calmarsi.
<Tranquillo, giovanotto!> disse sorridendo.
<la sua segretaria non c’entra. Non sono qui in via ufficiale, per questo
non ho avvertito. Tuttavia, sono lieto di congratularmi con lei, signor Smith! Il
Consiglio di Amministrazione della Nobel Guns Inc. l’ha recentemente designato come Coordinatore di questa filiale!>
<Che cosa?> Winston aveva capito benissimo. Gli sembrò di sprofondare
nel pavimento. Che cosa stava pensando, proprio il giorno precedente, riguardo ai colleghi che danno nell’occhio e si fanno notare dal Partito? Che sciocco
che era… Era proprio lui che si era fatto notare dal partito! E proprio non facendo quello che tutti gli altri facevano… Non eccedendo, non mettendo del suo
nel Disegno del Partito… Proprio in quel modo il Partito l’aveva scovato. Winston sapeva benissimo che quella promozione era ben altro che un semplice
premio lavorativo. Nel mondo del lavoro, più aumentavano le tue responsabilità, più il Partito ti teneva sotto controllo. Era facile per il Governo spostare le
masse popolari… Quelli che loro, nelle loro riunioni private, chiamavano –Winston ne era certo- “pecoroni”. La massa non ha un’identità, non ha una volontà. Agisce d’istinto, imitando i gesti di quelli che la circondano. Erano anni ormai che il Governo Unico, per mezzo del Partito Unico, manovrava le menti e i
corpi del Basso Popolo, come veniva definito. Bastava qualche infiltrato… Qualcuno che muovesse il primo passo, che pronunciasse la prima battuta, che scagliasse la prima pietra, e tutti gli altri -gli altri milioni- seguivano a ruota.
Ma la classe dirigente era una cosa a parte. Il potere era piramidale…
Mentre molte persone che non hanno alcun potere sono ben gestibili, se per
caso ad una persona che si trovasse a metà della piramide o ancora più in alto
venissero in menti pensieri sconvenienti, per il Partito e per il Governo… Beh,
quello era un problema.
Per questo chiunque ricoprisse ruoli di responsabilità, da Coordinatore in
su, nella piramide, era messo sotto stretta osservazione dal Partito stesso. Non
era niente di ufficiale, nessuno lo sapeva... O meglio: nessuno dava a intendere di saperlo. Non c’erano leggi, contratti, comunicazioni scritte. Nessuna prova. Nella testa della gente, semplicemente, quest’idea conviveva con l’ineccepibilità della totale mancanza di riservatezza. Credeva al tempo stesso di essere
osservata e anche di non esserlo affatto. Una verità nascosta, spinta ben sotto
la coscienza recondita dalle minacce velate del Primo Oratore, e dalla messa in
pratica di quelli che venivano ipocritamente chiamati “Regolamenti”, veri e propri rapimenti di persone che, da un giorno all’altro, sparivano.
Cessavano di esistere. Sia da quel momento in poi, sia da prima fino a
quel momento. Quando una persona veniva regolata, significava che non era
mai esistita. Il suo passato veniva cancellato allo stesso modo del suo futuro.
Winston non avrebbe mai visto telecamere, gente nascosta dietro giornali
con buchi circolari da cui spiare, cimici malamente attaccate sotto la sua scrivania. No, non funzionava così. Da quel momento, semplicemente, la sua vita
privata non sarebbe più esistita. Avrebbe continuato a lavorare e coordinare,
per il resto della sua vita, godendo dei privilegi della sua posizione maggiormente elevata nella scala sociale, ma al primo errore, al primo sgarro… La prima firma messa su un foglio su cui non doveva essere messa, al primo “si” alla
domanda a cui avrebbe dovuto rispondere “no”, anche al solo primo pensiero
che non avrebbe dovuto pensare… Sarebbe sparito. Puf! Da un giorno all’altro,
niente più Winston Smith. La gente non si sarebbe nemmeno chiesta che fine
avesse fatto. I suoi colleghi non si sarebbero domandati vicendevolmente come
mai lui non fosse più venuto a lavoro. “Se devi chiederti che fine ha fatto una
persona”, recitava un detto-non-detto del Basso Popolo, “non devi chiedertelo
e basta.”.
<Ha capito benissimo!> disse sempre sornione il Consigliere.
<lei è il nuovo coordinatore di questa filiale! Avrebbe dovuto venirne a
conoscenza solo domani, tramite raccomandata, ma passavo di qua e ne ho
approfittato per farle i complimenti di persona. Mi hanno parlato molto bene di
lei, sa?>
<Grazie, Direttore, troppo buono. Sono onorato di…>
<Calma, calma, ragazzo! Non devi fare alcun discorso! Anzi, devi proprio
scusarmi, ma adesso devo andarmene. Sai com’è… “Il lavoro nobilita l’uomo”…
E io temo di essere un po’ troppo nobile! Ah ah ah!> la risata del vecchio grassoccio suonava falsa come il dibattito quotidiano serale, tuttavia Winston si unì
rumorosamente ad essa.
Una domanda ronzava nella testa di Winston, adesso. Una domanda che
non avrebbe mai avuto risposta, se non lì, se non in quel momento. Farla, poteva decretare la sua fine come uomo. “Al diavolo”, si disse, “se devo essere
regolato, che sia subito, prima di cominciare a vivere in una farsa!”.
<Che fine ha fatto il vecchio coordinatore?> chiese, asciutto. Ci furono
dei secondi di silenzio, in cui Abendsen, già avviatosi verso l’uscita, si fermò.
Non si girò subito verso Winston. Prima prese una grossa boccata d’aria. Quando si girò, tuttavia, il suo volto era sorridente e imperturbabile, come sempre.
<Ma è stato promosso a sua volta, ovviamente!>
<Il signor Ampleforth? Promosso Consigliere?> ma cosa stava facendo?!
Dubitava della parola di un membro del Consiglio?! Non ne poteva fare a
meno, constatò Winston. Aveva sete di verità. Era un processo cominciato
chissà dove, chissà quando dentro di sé, e adesso stava prendendo sempre più
piede. Era un desiderio istintivo, che non riusciva a dominare appieno.
<Si, promosso Consigliere, esatto. Adesso devo andare. Ancora congratulazioni, signor Smith. Non ci deluda.> Il tono di Abendsen era cambiato. Solo
leggermente, a livello quasi subliminale, ma era cambiato. L’ultima frase suonava quasi come una minaccia, nella testa di Winston. Era fregato. Non solo gli
era stata tolta la poca libertà che aveva con la semplice assegnazione della
promozione, ma si era anche scoperto con le sue stesse mani niente meno che
davanti a un Consigliere della Nobel Guns Inc., uno dei più rispettabili e venerati membri del Partito!
Winston guardò Susan, la segretaria, che non ricambiò lo sguardo, già
tornata al suo lavoro. Guardò il suo ufficio, ispezionando ogni angolo, ogni anfratto nascosto dall’ombra. Non c’erano telecamere. Non ce n’erano.
Allora perché Winston aveva quella intensa sensazione di essere osservato?
Nelle dodici ore lavorative obbligatorie previste dal Contratto Europeo del
Lavoro, gli obblighi di un coordinatore coprivano si e no un quarto del tempo. Il
coordinatore era un lavoro di rappresentanza. Winston doveva ricevere persone nel suo lussuoso e comodo ufficio, sostenere una breve chiacchierata e firmare qualche foglio. A volte non era previsto nemmeno il contatto diretto, bastava il telefono o la videoconferenza. Non era chiaro a Winston cosa stesse facendo di preciso; tutte le transizioni riguardavano filiali estere della Nobel Guns
Inc. e a volte anche ditte esterne al gruppo. Ad ogni incontro, Winston si ritrovava a parlare con l’interprete di turno, mandato dalla compagnia, che cambiava ogni volta. Persino al telefono le trattative si svolgevano in teleconferenza
con l’interprete. Le conversazioni erano brevi e monotone. Tutto quello che
Winston riusciva a capire era che le armi prodotte dalla sua filiale sarebbero
state mandate alla ditta con cui stava contrattando per ragioni che cambiavano
di volta in volta. A volte dicevano che le armi sarebbero passate attraverso un
ulteriore controllo prima di essere portate sul fronte, e che una ditta diversa da
quella che le aveva fabbricate avrebbe assicurato un lavoro più obiettivo; altre
volte parlavano di inghippi legali delle tassazioni sul trasporto di armi tra stati
diversi, quindi far passare la merce tra due ditte della stessa compagnia avrebbe abbreviato tempi di consegna e costi di trasporto; altre volte ancora non veniva data spiegazione alcuna.
Era la guerra. La guerra infinita, il cui inizio si perdeva nell’oblìo e la cui
fine sembrava improbabile ogni anno di più. La guerra che aveva cambiato la
faccia del mondo. Nei giorni di Winston, tutto aveva a che fare con la guerra.
Non c’erano problemi di disoccupazione: la guerra chiedeva grandi sforzi a tutta la popolazione. Chi non era arruolato nell’esercito, lavorava nelle fabbriche
di armi e munizioni, come Winston, che essendo orfano non rientrava nel profilo psicologico del soldato ideale. Il livello culturale era notevolmente calato, da
quando il Partito aveva abbassato l’obbligo scolastico dalle scuole medie superiori a quelle inferiori. I figli del Basso Popolo erano quindi obbligati a comincia-
re a lavorare a tredici, quattordici anni, abbandonando ogni speranza di studio.
Tuttavia la società in cui crescevano plasmava le loro menti a tal punto che
loro stessi, e prima ancora i loro genitori, non potevano desiderare di meglio
che lavorare in una buona fabbrica di armi.
Winston lavorava nella migliore da quando aveva quattordici anni. La Nobel Guns Inc. produceva il cinquantanove virgola sette percento delle armi usate in guerra dall’Europa. C’erano interi plotoni, interi reggimenti che facevano
affidamento sulla ditta di Winston. Praticamente, era la Nobel che permetteva
il prosieguo della guerra. Se avesse smesso di produrre armi, i soldati sarebbero andati in guerra con le clase e l’Europa sarebbe stata invasa nel giro di poche settimane.
Per cui Winston si affidava a questo ragionamento, ogni volta che il dubbio si insinuava dentro di lui, ogni volta che le cose non quadravano, che i motivi delle trattative delle armi prodotte dalla sua ditta suonavano come scuse e
bugie; ogni volta che passava quell’ombra, sulla sua coscienza, che a stento
riusciva a scacciare.
Il suo modo di vedere le cose cambiò radicalmente il giorno in cui l’interprete di turno non tradusse come Winston si aspettava.
<Scusi? Può ripetere?> chiese incredulo Winston all’interprete, una donna alta, mora, i capelli legati dietro, dall’impressionante stacco di gambe.
L’interprete non rispose subito. Tornò prima a rivolgersi al rappresentante straniero.
<Herr Smith sagt, dass die Lieferung der Ware wird zwei Wochen Verspätung habe1> Winston non capiva cosa stava succedendo. Era una sensazione terribile. Qualcosa non andava, era evidente, ma non capiva una parola di
quello che l’interprete e il rappresentante stavano dicendosi. Percepì solamente
la variazione di tono del cliente, che sembrò piuttosto alterato, mentre rispondeva alla donna. Era di nuovo il suo turno per cercare di comprendere.
<Non posso dedicarle molto tempo, signor Smith, cerchi di capire al volo
quello che dico. Si faccia trovare al bar Libria, stasera, subito dopo il dibattito
quotidiano serale. E si tolga quell’espressione dalla faccia. Ora dica qualcosa,
qualsiasi cosa.> Era tutto vero? Stava succedendo davvero? Chi era realmente
quella donna, che cosa voleva da lui? Questo incontro… Un trappola? Una tentazione organizzata dal Partito per constatare la sua reazione? Come doveva
reagire? Forse non doveva fare assolutamente niente. Accettò il consiglio dell’interprete… O della finta interprete, chiunque fosse. Si tolse dal volto l’espressione di smarrimento. Disse qualcosa.
<Che cosa significa? E’ un test del Partito per misurare la mia fedeltà?
Chi è lei?>
Ancora una volta, l’interprete ebbe uno scambio di battute con il rappresentante. Stava traducendo le cose realmente, pensò Winston, o si stava inventando tutto per mascherare la conversazione?
<Il Partito non c’entra> tornò a spiegare la donna.
<le verrà spiegato tutto stasera. Posso solo dirle che in questo momento
non siamo osservati. Adesso sorrida a questo vecchio maiale, si alzi e le stringa
la mano. La trattativa è terminata.>
1
Tedesco: “Il signor Smith dice che la consegna della merce avrà un ritardo di due settimane.”
Ancora incapace di giudicare gli eventi con freddo distacco, Winston fu
obbligato a seguire le istruzioni di quella strana interprete.
<Danke für seine Mitarbeitung, Herr Smith1> disse il cliente, tutto sorridente. Qualunque cosa gli avesse detto la donna, doveva averlo soddisfatto.
<Bar Libria, dal lato del vicolo cieco. Non manchi, è importante, signor
Smith.> tradusse l’interprete. Winston li guardò uscire entrambi dall’ufficio, poi
rimase in piedi per alcuni interminabili secondi, come inebetito. Si guardò intorno. “In questo momento non siamo osservati”, aveva detto quella donna.
Un brivido gli percorse la schiena. Forse c’era qualcuno che lottava contro il totalitarismo del Partito. Forse c’era qualcuno che si ribellava, e che aveva i mezzi per farlo. Il cuore cominciò a battergli forte, come non gli batteva da tantissimi anni. Sentì scorrere l’adrenalina nelle vene, forse per la prima volta in vita
sua. Sarebbe andato all’appuntamento, decise improvvisamente.
Durante il dibattito quotidiano serale, Winston si ritrovò seduto accanto
ad un problema che non aveva considerato, nell’improvvisa esaltazione in cui si
era ritrovato durante quel bizzarro pomeriggio: sua moglie.
I bar chiudevano subito dopo il dibattito. Anche i baristi dovevano assistere al dibattito, però subito dopo tornavano al lavoro, per far fare un ultimo
giro di bevute ai clienti abituali. Tuttavia, non era consuetudine per Winston e
Julia fermarsi al bar dopo il dibattito. Che scusa avrebbe potuto usare? Una
qualsiasi, tanto avrebbe destato sospetti in ogni caso. Julia era sua moglie, si,
ma non poteva fidarsi di lei. Lei era semplicemente la moglie che il Partito esigeva avesse. Non era un rapporto nato dall’Amore, ma dalla necessità di essere sposati. La complicità, certo, si era costruita nel tempo, l’intimità conquistata con l’abitudine, ma tutto questo era ben lungi dal poter essere chiamato fiducia.
Per tutta la sera Winston si sforzò, invano, di trovare una soluzione,
mentre cantava gli inni, ripeteva i motti, scimmiottava i gesti del dibattito. Si
ritrovò ancora una volta, a fine serata, in balìa degli eventi: poteva solo stare a
guardare cosa sarebbe successo.
<Julia, io dovrei… Ti spiace tornare a casa in taxi, stasera? Oppure prendi
tu la macchina e prenderò io un taxi, devo… Fare una cosa…> Era fatto. Fregato, ancora una volta. Non avrebbe retto neppure una scusa plausibile, figurarsi
questo.
<Fare che cosa, Winston? Con chi?> sua moglie era incuriosita e stupita.
Ovvio che volesse approfondire. Che cosa si era aspettato, stupido, stupido
Winston?
La salvezza arrivò inattesa. Qualcuno gli prese il braccio da dietro.
<Oh, Julia, non te l’ha detto? Stasera Winston festeggia la sua promozione a coordinatore! Ci facciamo un bicchierino tutti insieme, noi della Nobel. Sai,
è una cosa da uomini, non so se mi spiego.> Montag ammiccò sorridendo a Julia. Lei storse il naso, farfugliò qualcosa a Winston, poi si mise a cercare un
taxi. Montag condusse l’ammutolito Winston in una passeggiata.
<Montag! Sei ancora vivo!> esclamò Winston, cercando di tenere la voce
bassa per non dare nell’occhio. Montag sembrò cadere dalle nuvole.
<Cosa? Porca miseria, perché non dovrei? Non mi hai visto al dibattito?>
1
“Grazie della collaborazione, signor Smith!”
<No, scusami. Io… ero soprappensiero.>
<Uhm… Capisco.> Montag sembrava aver capito davvero. Più di quanto
Winston immaginasse.
<Montag… Promozione? Festa? Quando l’avete deciso? Dovevate avvertirmi, io non…>
<Winston, scusa, era una festa a sorpresa, ma dovevo pur dire qualcosa
a tua moglie per togliertela dai piedi, no? Ah ah ah!> C’era qualcosa di strano
in Montag. Non si comportava in maniera normale. Stava praticamente urlando, tanto che Winston si voltò indietro verso Julia per vedere se avesse sentito.
Il suo tono nascondeva qualcosa.
La passeggiata continuò in silenzio, con Montag che ogni tanto alzava lo
sguardo verso Winston e sorrideva. Poi disse:
<Siamo arrivati, Winston.> Winston guardò l’insegna del bar davanti al
quale si erano fermati: era il Libria.
<Sai, Winston… Io non mi sento molto bene. In effetti è da tutta la sera
che mi sento lo stomaco sottosopra. Credo che non prenderò parte alla festa,
scusami. Ci vediamo domani a lavoro, ciao!> Montag si dileguò. Winston si affacciò alla vetrata del bar: era moderatamente pieno, ma nessuna faccia era a
lui conosciuta. Non c’era alcuna festa per la sua promozione. Montag l’aveva liberato di sua moglie per lui e l’aveva portato sul luogo dell’appuntamento. Era
una spia, quindi? Un… Come chiamarlo? Un ribelle, un sovversivo. Incredibile,
si disse Winston, come si può vivere una vita accanto ad una persona pur conoscendo solo la sua facciata superficiale. Aveva portato una maschera per tutti quegli anni, il vecchio Montag? In quel caso, doveva essere molto più furbo e
prudente di quanto desse ad intendere.
Winston esplorò la zona con lo sguardo. Ad una ventina di metri dal bar,
lungo la strada deserta e male illuminata, una stradina secondaria entrava nelle tenebre più pure. Era il suo vicolo. Vi si avvicinò piano, cercando di sembrare naturale. Arrivato all’incrocio, si affacciò piano, titubante. Nessuno.
Certo. Che imbecille. Chi doveva esserci? James Bond, con un bel vestito
nero e il sorrisetto furbo? William Wallace, nascosto nell’ombra, con i segni
bianchi e blu sulla faccia? O magari Guy Fawkes, con il suo carretto di polvere
da sparo!
L’avevano preso in giro. Era tutto uno scherzo. Montag… E l’interprete,
quella stron…
Una mano guantata sulla bocca, un’altra che lo stringe per il braccio e lo
tira dentro il buio. Una voce bassa e leggera, che gli sibila nell’orecchio.
<Sei venuto. Non eravamo tutti convinti, sai. Fortuna che non ho scommesso, eh eh eh. Io sono l’agente vi-vi, molto piacere. Ora ti tolgo la mano
dalla bocca. Sono un amico, ok? Vedi di stare tranquillo.> l’agente vi-vi tolse la
mano dalla sua bocca.
Winston potè finalmente vedere bene con chi aveva a che fare. Sembrava un barbone. Vi-vi era alto, più alto di Winston, e meglio piazzato. Aveva un
ampio torace che riempiva pienamente il logoro maglione a strisce verdi e marroni. “Logoro”, insieme a “sporco” erano gli aggettivi che si potevano utilizzare
per descrivere non solo tutto il suo abbigliamento, costituito oltre al maglione
da una lunga mantellina scura e viscida al tatto, dei jeans dagli orli strappati,
scarpe da ginnastica spaiate, guanti neri in pelle e un cappellino di lana rosso,
ma anche la sua fisionomia. Vi-vi aveva una faccia squadrata, riempita quasi a
caso di una corta barba ispida, incassata nei lunghi capelli dal colore indefinito.
Puzzava come una capra.
<Chi sei?> chiese subito Winston, per nulla tranquillo.
<Eh no, allora non ci capiamo. Ti ho detto di stare calmo. E ti ho anche
detto che sono l’agente vi-vi. Non credo tu possa sapere molto di più.>
<Quella donna, l’interprete…>
<L’agente ci. Gran bella gnocca, vero?> Il fiato di quel tizio era fetido.
Gli parlava direttamente sulla faccia, come a voler indirizzare le onde sonore su
di lui, e lui soltanto.
<Ha detto che non eravamo osservati. Era vero?>
<Noi diciamo solo la Verità, doppiavi-doppiavi.>
<Ma come… Le telecamere, i microfoni… Non esistono?>
<Oh, esistono eccome, amico mio, ma quelli davvero pericolosi hanno la
forma che non ti aspetteresti. Gli occhi e le orecchie del Partito sono quelli dei
tuoi stessi amici e colleghi. Sono quelli di tua moglie. Potrebbero essere anche
quelli del tuo stesso fottuto cane, per quanto ne sappiamo. Per quelli meccanici
o elettronici invece la soluzione è facile. EMP, impulsi elettromagnetici. Un diffusore piccolo quanto una penna, camuffato per sembrare una penna, usato
dalla bella interprete come una penna, e… Puf! Breve blackout per tutti i microfoni e le telecamerine del tuo ufficino bellino bellino, contento, doppiavi-doppiavi?>
<E non se ne accorgono?>
<Quanto sei pignolo, per non dire rompicoglioni! Il diffusore emette un
segnale ad una frequenza precisa per cui i microfoni vanno in tilt nello stesso
modo in cui andrebbero in tilt se ci fosse un sovraccarico elettrico. Può succedere normalmente questo, sai? Mentre tu vai a sentire il Primo Cazzone parlare
alla Farsa Quotidiana Serale, arriva un bellissimo tecnico ariano del Partito che
lo sostituisce con uno nuovo, e la storia ricomincia da capo, all’infinito come
nel romanzo di Ende, capisci?>
<Ende?>
<Un libro censurato. Stimolava la fantasia. Non farci caso. Hai altre belle
domandine inutili come questa da farmi o vuoi sapere qualcosa delle cose che
contano, finalmente?> Winston sentì qualcosa muoversi nel suo stomaco: una
sensazione che aveva conosciuto solo da poco, dal giorno in cui chiese al Consigliere Abendsen che fine avesse fatto il Coordinatore Ampleforth. Voleva sapere, decise. Voleva sapere tutto quello che questo zotico dall’alito puzzolente
poteva dirgli. E lo voleva sapere senza riserve.
<Il Partito. Voi combattete il Partito.>
<Ah, cazzo, ma allora sei davvero sveglio! Cosa ti mangi la mattina,
pane e volpe? Si, bello, combattiamo il Partito.>
<E come fate?>
<Prima usavamo degli ossi di animali, ma adesso abbiamo scoperto il
fuoco!> Agitò in aria le braccia, lasciando penzolare le mani. Sembrava completamente scemo… Winston si chiese se non stesse solamento perdendo tem-
po. Decise comunque di lasciarsi prendere in giro, non gli importava. Le domande giuste da fare sarebbero affiorate da sole dentro di lui, poco alla volta.
<Ehi, vaffanculo! Fino a poco tempo fa io ero un fedele proletario del
Basso Popolo. Non so nulla della vostra organizzazione, dovrai spiegarmi un
sacco di cose se volete che mi unisca a voi.>
<Oh, ti sai anche scaldare allora, mammoletta! E io che pensavo fossi
solo una checca isterica! Basso Popolo, dici? Ma no, l’hai già dimenticato? Ti
hanno promosso Coordinatore, caro doppiavi-doppiavi.>
<E allora? Cambia ben poco.> l’agente vi-vi emettè una risata isterica.
<Cambia ben poco, dice lui! Hai idea a quanti dati, a quanti nomi hai accesso dalla tua posizione di Coordinatore, bello?>
<Io… No, veramente non lo so. Faccio solo quello che mi dicono di fare,
io…>
<E certo, bravo il mio onesto membro del Partito! Ma fai bene, eh, fai
bene, che se sgarri ti ritrovi regolato quando meno te l’aspetti, eh! Ma ora forse puoi fare qualcosa per cambiare. Per cambiare davvero, per tornare ad una
cosa chiamata Democrazia!>
<Che cos’è?>
<Ah ah ah, ironico come persino il significato della parola si sia perso nel
tempo. Merito dei lavaggi del cervello del Partito! Proprio bravi, quelli là. Che
cos’è la Democrazia, vuoi sapere? Come te lo spiego? Un tizio in passato l’ha
definita “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme
che si sono sperimentate finora”. Certo non ha mai vissuto ai tempi nostri, quel
tizio, eh? Eh eh eh. In tre parole banali, la democrazia è il governo del popolo.
Noi che decidiamo, capisci? NOI!>
Winston non capiva. Non era un concetto che ritrovava dentro la sua testa. Non aveva le nozioni necessari per carpire il significato di quell’idea. Era
vissuto sempre nell’egemonia del Partito. Tutte le decisioni, in qualunque campo, erano prese dal Partito. L’agente vi-vi sembrò accorgersene.
<Vabbè, lasciamo stare. Parlami della tua vita. Cosa fai oltre il lavoro,
eh? Eh?>
<Oltre il lavoro? C’è il dibattito quotidiano, i comizi televisi… Mi tengo aggiornato sulle novità del fronte…> l’agente vi-vi rise di nuovo, sguaiatamente.
<Il fronte! Si informa sul fronte, lui! Ah ah ah! TU NON HAI UNA VITA,
mister doppiavi-doppiavi.! La tua vita è stata presa dal Partito, la tua e quella
di tutti gli altri! Vi è stato tolto tutto! Tutto quanto! La cultura, la conoscenza,
la passione… Vi hanno tolto tutte quante le emozioni e non avete mosso un
dito per evitarlo!> Debolmente, Winston cercò di ribattere.
<Ma cosa? No, non…>
<Gnu gnu gnu, cosa mugugni?> lo schernì l’agente vi-vi.
<Pensaci un attimo, pane e volpe! Divertimento? Bandito! Svago? Bandito! Hobbies, sport, luoghi di ritrovo sociale, banditi! Porca troia, doppiavi-doppiavi., hanno bandito persino l’arte! La musica, la pittura, la scultura, tutto
quello che esce dal Partito è solamente merda ideata dai loro psicologici, progettata dai loro ingegneri, costruita dalle loro catene di montaggio robotiche!
Sono cose morte, prive di emozioni, senza cuore ne anima, e tutto quello che
fanno è privare VOI delle vostre emozioni, del vostro cuore e della vostra anima, ogni giorno di più!> Era vero. Cazzo, era tutto vero. La testa di Winston
cominciava a girare. Ripensò alla canzone del supermercato, alla nenia quotidiana del Primo Oratore, alla scultura senza forma e senza significato che teneva in casa.
<Sono tempi oscuri, questi. Siete uomini spezzati, voi. Il Basso Popolo, vi
chiamano? Siete milioni, MILIONI! Perché non aprite gli occhi e vi ergete nella
vostra altezza e nella vostra forza, e fate vedere al Partito quanto siete
“bassi”?! Potreste riprendervi la vostra vita e la vostra libertà oggi stesso! Ma
non lo fate, perché? Te lo dico io, doppiavi-doppiavi. Perché siete assuefatti.
Un giorno il Governo vi ha chiesto qualcosa. Un’inezia, una cazzata, una cosa
da nulla, come un vecchio giocattolo o un’ora della vostra vita. Ma voi glie l’avete data. Glie l’avete data di vostra mano, senza chiedere perché. Avete chinato la testa davanti al bastone, e avete accettato il primo compromesso.>
“Papà?” pensò Winston. Erano le parole che ripeteva sempre suo padre
quelle, tale e quali. Erano gli echi di idee antiche, eppure risuonavano in quel
momento così chiare e forti, nelle orecchie di Winston. Le comprendeva ora
come non le aveva mai comprese prima.
<Il primo compromesso, come il peccato originale!> continuò sempre più
eccitato l’agente vi-vi.
<Avete mangiato la mela e siete stati cacciati dall’Eden della Libertà. Ma
il vostro Dio non era buono. Il vostro Dio non E’ buono, e il suo nome è Partito!
Non ha nemmeno un nome suo, perché lo identificherebbe. Potreste isolarlo
dal contesto, e indicarlo con il dito. Invece ha un nome collettivo, che fa capo
all’immaginario collettivo, cosicchè non possiate nemmeno pensare che esista
un altro partito oltre quello! Tarpa le ali della vostra immaginazione, togliendovi gli stimoli per la vostra creatività. Vi tiene freddi, neutrali, completamente
condizionabili. Potrebbe costringervi domani a dichiarare che due più due fa
cinque e voi lo fareste senza battere ciglio, pur di obbedire, pur di non pensare, pur di non prendere una decisione!> Winston si accorse di stare tremando.
Gli facevano male gli occhi, forse perché li stava aprendo solo ora, per la prima
volta in vita sua.
<Ma non ti vedo ancora convinto, pane e volpe. Leggo ancora nei tuoi
occhi una lontana incertezza. Ti stai chiedendo se questo in fondo non sia tutto
un grande scherzone. Del Partito, di tua moglie, del tuo amico con il pallino dei
giochi di società…>
Winston ripensò a quello che Montag aveva fatto quella sera. Ecco una
domanda che non aveva ancora posto.
<Anche lui è un rivoluzionario? Anche Mon…>
<L’agente emme> lo interruppe vi-vi.
<vedo che non riesco ancora a farti perdere il brutto vizio di usare i
nomi, eh, bellino? Si, l’agente emme è stato uno dei primi della tua generazione ad unirsi a noi. In effetti dovrei chiamarlo “Capo” o qualcosa del genere. Se
vivessi in una dittatura come fai tu, però!> rise ancora, in quel modo animalesco e irruento. Poi continuò a parlare, visto che Winston era ancora chiuso nel
suo silenzio riflessivo. Abbassò il volume della voce a quasi un sussurro, soffiato direttamente nell’orecchio di Winston.
<Nemmeno la novità sul tuo caro vecchio amico ti convince, pane e volpe? Senti questa allora: come reagiresti se ti dicessi che non esiste alcuna
guerra?>
Era troppo. Winston guardò gli occhi dell’agente doppia-v con sguardo
perso. Desiderò di trovarsi in un incubo, e che finisse al più presto. Il puzzolente rivoluzionario sembrò interpretare la sua reazione.
<Eh già, caro doppiavi-doppiavi Niente guerra. Ne qui, ne nel resto del
mondo. E’ tutta una grande farsa mondiale, costruita ad hoc per comandarvi
meglio, branco di pecore che non siete altro.> Sputò per terra.
<Pensaci un attimo, pacioccosa testa di cazzo. Hai mai visto immagini
dal fronte, ai telegiornali? Hai mai sentito di battaglie particolari? Nomi di persone, luoghi, avvenimenti precisi… E’ tutto sfuocato, non è vero? Vi dicono che
dovete lavorare per la guerra, che dovete vivere per la guerra, ma allo stesso
tempo non vi dicono niente al riguardo. Non c’è mai una svolta, mai un cambiamento, mai nemmeno una battaglia persa, ti pare possibile? Solo qualche
notiziucola approssimativa… “Abbiamo vinto qua, abbiamo spaccato i culi di là,
bla bla bla”!>
“A-ah!” pensò Winston. “ti ho smascherato!”
<Se la guerra è tutta una farsa come spieghi le lettere che i militari spediscono alle proprie famiglie e agli amici? Mi volevate fregare, eh? Tu, Julia,
Montag o chi altro, ma io non…>
<Sta zitto, imbecille!> disse iracondo vi-vi
<Non ne hai mai letta una di quelle lettere, vero? Stupida pecora, senza
il bastone del tuo pastore ormai non sai nemmeno più come si fa a respirare,
non è così? Sono lettere standard, inviate con cadenza regolare dal Partito
stesso. Se ne avessi letta anche una sola sapresti che sono fredde e impersonali. Manca solo che vengano firmate con “distinti saluti, tuo figlio” per sembrare delle lettere commerciali.>
<Cazzate.> lo disse, ma non lo pensava. Winston si sentiva sempre più
debole, e sempre più convinto di quello che vi-vi gli stava dicendo.
<Cazzate? Ti lascio scoprirlo da solo. Comincio a pensare di stare perdendo del tempo qui.>
<E… E le armi? Hai idea di quante armi produce la Nobel e le altre fabbriche ogni giorno? Come fanno a farle sparire? Non è fisicamente possibile!>
<Eh, ma qui manchiamo di studi, vedo! Beh, come biasimarti, sei ignorante come tutti, del resto… Provvedo io!> Diede un colpo di tosse, modulando
la voce in una tonalità bassa e regolare. Alzò il dito indice e lo mosse in alto e
in basso, a mò di maestrina.
<Prima legge della termodinamica: nulla si crea, nulla si distrugge, ma
tutto si trasforma!> Winston non capì. Vi-vi interpretò l’espressione, sospirò e
cercò di spiegarsi con altre parole.
<Le armi della ditta denominata “A”, adibita alla loro costruzione vengono mandate alla ditta denominata “B”, adibita alla loro distruzione. Semplice e
geniale, no?> V. sorrise a Winston.
<E chi manderebbe mai le armi a una ditta che le smantella?> vi-vi proruppe in un’altra risata delle sue.
<Chi? Ma tu caro pane e volpe! Voi coordinatori lo fate! Ogni transizione
che compi con un altro coordinatore altro non è che la messa in pratica della
grande farsa del Partito! Alcune ditte creano armi, altre ditte distruggono armi!
Con un motivo qualsiasi, la solita scusa… “Non hanno passato il test taldeitali,
non rispondono ai requisiti di sicurezza antanisblinda” e cazzate simili. Alcune
ditte lo fanno addirittura di nascosto, tramite attività paravento.> Winston era
spiazzato e basito. Non aveva altro materiale con cui dibattere. Le spiegazioni
di vi-vi erano dannatamente convincenti.
<Che… Che fine fanno quelli che partono per la guerra?> il sorriso svanì
dalla faccia di vi-vi Sputò per terra.
<Tsè. I più fortunati vengono mandati in fabbriche come la tua, negli angoli più nascosti del mondo, con una scusa qualunque. Chi non crede alle scuse, chi fa troppe domande e altri a caso che hanno solo la colpa di avere la faccia da schiaffi vengono regolati.>
<Come lo sapete?>
<Lo scoprirai.> La voce di vi-vi ora era calma. Aveva capito di aver colto
nel segno. Sapeva di aver fatto il suo lavoro.
<Che possiamo fare?> disse Winston, la voce spezzata.
<Sarò sincero. Non potete fare molto. Non avete la volontà di ribellarvi.
Non avete la coscienza di ribellarvi. Non sapete nemmeno a cosa dovreste ribellarvi, perché a voi sembra tutto normale.>
<No. A me no. A me non è mai sembrato tutto normale.> proclamò Winston. Le parole gli erano sgorgate naturalmente dalla bocca. Si rese conto che
quelli erano i suoi pensieri più puri ed istintivi, non viziati da ragionamenti etici
o sociologici. La sensazione gli piacque. Si lasciò andare, abbandonandovisi
completamente.
<Io voglio esserci, voglio combattere. Dimmi che cosa posso fare.> Per
la prima volta dall’inizio della conversazione, l’agente vi-vi sorrise sinceramente. Ora guardava Winston con sguardo complice, fiducioso.
<La Resistenza non ha modo di organizzarsi in maniera decente. Quando
un membro individua qualcuno adatto al reclutamento, trova un sistema per
farlo sapere ai membri operativi come me. Solitamente viene usato il passaparola, che è il metodo più sicuro, soprattutto se fatto tramite una decina di
membri diversi. La cosa più complicata è informare i membri di rango più alto,
come te, Signor Coordinatore. Per questo motivo dovrai agire quasi sempre da
solo. Una cosa come quella di stasera è costata molto tempo e denaro, credimi.>
<Perché non riuscite a organizzare un nucleo operativo da qualche parte?
>
<Non sono la persona più adatta a spiegarti come funzionano le cose. Io
sono un membro operativo. Agisco piuttosto che pensare.>
<Tu non sei… Un normale cittadino, vero?>
<Ufficialmente sono stato regolato sei anni fa. E’ il metodo più comune
per arruolare i membri che non devono infiltrarsi nella società. Abbiamo alcuni
Consiglieri che si occupano di queste cose. Uno dovresti conoscerlo. > Winston
ripensò alla strana visita “non ufficiale” del Consigliere Abendsen e collegò i
fatti.
<Aben… L’agente a?>
<Vedo che hai imparato a chiamare gli agenti con il loro nome. Tuttavia
il nostro Consigliere non è il primo del suo nome: è l’agente a-a.>
<Gli chiesi che fine avesse fatto il mio predecessore. Lui mi disse che era
stato eletto Consigliere, ma a me sembra molto strano. Che fine ha fatto, vivi? Tu lo sai?>
<Temo che il destino del signor Ampleforth sia stato un po’ meno
roseo.> rispose vi-vi, atono.
<E’ stato… Regolato?> Vi-vi annuì lentamente. Rimase in silenzio un altro secondo, poi riprese a parlare della Resistenza.
<L’altro motivo per cui non riusciamo a coordinarci appieno riguarda la
comunicazione. Non abbiamo modo di nascondere niente di quello che facciamo. Organizzare un incontro come questo è una rarità che si può fare solo poche volte all’anno, o anche meno.>
<Mi avete contattato tramite un’interprete, non potreste…>
<Tutti gli interpreti sono figli di membri fidati del Partito, o comunque
persone direttamente legate ai grandi capi. Sono pochissimi in tutto il mondo,
e per questo controllatissimi. Capirai da te la difficoltà che abbiamo avuto ad
arruolarne anche uno solo.>
<E lei…>
<L’agente ci>
<L’agente ci non potrebbe elaborare un codice? Insegnarvi una lingua
straniera, magari…>
<Non credo che tu capisca bene il problema. Il Partito ha eliminato tutti i
mezzi di comunicazione internazionale. Non vuole che la gente di paesi diversi
abbia modo di capirsi. Capisci bene che la loro farsa verrebbe smascherata in
quattro e quattr’otto, con un circuito comunicativo mondiale. Detto questo, forse puoi immaginare quanto sia controllati gli interpreti e i linguisti. Come potrebbe mai fare ci, da sola, ad elaborare di nascosto un codice? Quanto a insegnarci la lingua… Insegnare a chi? Ti ho già detto che non abbiamo un nucleo,
una base, un luogo dove incontrarci. Dovrebbe passare da ognuno di noi ad insegnarci una lingua? Non avrebbe il modo e il tempo nemmeno se potessimo
riunirci una volta alla settimana in un luogo nascosto al Partito.
No, credimi, l’unico codice segreto che potremmo usare dovrebbe esserci
già stato insegnato, chessò, a scuola, e dovrebbe comunque essere una lingua
diversa da tutte quelle parlate nel mondo. E allo stesso tempo, dovrebbe essere conosciuta a livello internazionale. Direi che è il desiderio perfetto per essere
espresso quando si vede una stella cadente o quando si vince un concorso di
bellezza, ti pare?> vi-vi sbuffò, poi sorrise tristemente. Guardò per terra, poi
risollevò lo sguardo su Winston. Lo vide pensieroso, così gli tirò un’amichevole
pacca sulla spalla.
<Ehi, non avvilirti adesso! Non è un problema tuo, qualcuno troverà una
soluzione, prima o poi. Tu devi pensare ai tuoi compiti e basta.> “Già”, pensò
Winston, “sono un agente adesso”.
<E questi compiti, quali sarebbero?> chiese. L’agente vi-vi lasciò scorrere un secondo di silenzio, per dare platealità alla frase che seguì.
<Portare altri Coordinatori alla nostra causa.>
<Tutto qui?> chiese ingenuamente Winston. Non aveva ancora realizzato
cosa il compito comportasse.
<Mmmh, vediamo… Riuscire a trovare un modo per parlare di piani anti
governativi ad un perfetto sconosciuto, con il rischio di essere denunciato al
Partito ed essere regolato, mentre si è sul posto di lavoro, in barba a telecamere e microfoni nascosti ovunque e sotto l’occhio di un interprete, che in altre
parole è una spia del Partito stesso. Si, effettivamente, agente doppiavi-dop-
piavi, credo che sia “tutto qui”.> evidenziò con una nota di sarcasmo le ultime
parole.
<spiacente di deluderla.> concluse. Se Winston era rimasto impressionato, non diede a vederlo. Rispose subito, con tono sicuro.
<Non dico che sia una passeggiata, però ascolta: l’interprete è un’interprete, non una balia. Non starà appiccicata al tizio del caso tutto il tempo. Ci
saranno dei momenti in cui sarà solo, e abbordabile. Ad esempio prima di mettere piede nella ditta o quando ne esce. Potrei trovare una scusa per andargli
incontro quando arriva, o quando se ne va. Sapete se ci sono microfoni o telecamere anche sulla strada?>
L’agente vi-vi era colpito. Il suo sguardo tradiva ammirazione e spiazzamento, mentre seguiva il discorso di Winston. Non rispose subito, doveva riprendersi dalla sorpresa.
<Uh… Ecco, beh si, è probabile, ma non ne sono sicuro. Troverò un modo
di farti avere questa informazione.>
<Ottimo. E quanto al rischio di essere denunciato… Beh, sono stufo di accettare compromessi.> Winston sorrise a vi-vi Era uno strano sorriso, attraverso cui trasparivano volontà di rivalsa e di ricerca della verità. Valori avvolti da
un alone di naftalina, tanto erano stati chiusi dentro gli armadi del passato. Insieme ad essi - e l’agente vi-vi se ne accorse subito - un’altra emozione: paura. Paura allo stato puro, ferale. E la coscienza di provarla.
*
*
*
L’orfanotrofio era un edificio grigio ed anonimo. Si trattava di un prefabbricato, ovviamente. Gli istituti sociali erano stati riempiti quasi subito, per cui
il governo aveva dovuto trovare una soluzione rapida, e possibilmente poco costosa, al problema dei bambini senza genitori.
Winston si trovava lì da una settimana. Una settimana di solitudine assoluta, durante la quale Winston si era chiuso nel mutismo e nell’asocialità.
Nella stanza in cui si era risvegliato dopo l’assalto della CulPol a casa sua,
c’erano dieci letti a castello, dieci comodini, una sola piccola finestra e venti
bambini. Alcuni erano più piccoli di lui, ma la maggior parte erano più grandi.
Syme, il più grande di tutti, prossimo alla maggiore età, stava parlando agli altri, seduto sul pavimento al centro della stanza. Da quello che Winston era riuscito a capire, carpendo stralci di conversazione durante quella lunga settimana, Syme era il figlio di un industriale. In particolare, l’industriale che aveva distribuito gli Esperetoj -il giocattolo preferito da Winston e praticamente tutti i
bambini del mondo- nel suo paese.
<Gli Esperetoj erano un progetto delle Nazioni Unite, o qualcosa del genere.> proclamò Syme. Gli orfani più piccoli aveva espressioni ebeti stampate
in faccia. Uno dei più curiosi chiese delucidazioni sulle Nazioni Unite.
<Sono tipo una riunione dei capi di tutto il mondo, o quasi. Prendono le
decisioni più importanti che riguardano tutto il mondo.> spiegò Syme. Alcune
facce smisero di contrarsi nel sforzo della comprensione.
<Insomma, quei pupazzi erano per insegnare a tutti i bambini del mondo, in modo semplice quella che sarebbe dovuta diventare la lingua parlata in
tutto il mondo, nel futuro.>
Uno dei ragazzi più grandi, che aveva seguito brillantemente il discorso,
chiese come mai non avessero iniziato a insegnare quella lingua nelle scuole,
piuttosto che attraverso un giocattolo.
<Non lo so di preciso> rispose Syme
<ma mio padre diceva spesso che quello era solo il primo passo. “Questo
è il primo passo verso il futuro!”, ecco come mi diceva sempre. Diceva anche
che si sentiva davvero importante per la prima volta in vita sua. Non ho mai
capito bene cosa volesse dire. Comunque penso che se i giocattoli avessero
venduto bene, poi dopo avrebbero insegnato la lingua nelle scuole.>
Nessun altro bambino aveva più domande da fare. Qualcuno si rigirò nel
letto, qualcuno si mise a giocare con delle carte logore. Lorenz, il ragazzino che
aveva fatto la domanda sulla scuola, notò che Winston si era voltato verso di
loro per la prima volta in una settimana.
<Ehi, guardate, il frignone si è svegliato!> Winston percepì il punto di
fuga dell’interesse di tutti i bambini posizionato proprio al centro della sua faccia.
La maggior parte dei bambini si alzò e venne e verso di lui, strillando e
ballando, prendendolo in giro. “Frignone, frignone!” gridavano. Syme cercò di
farli smettere, invano.
<Che c’è, vuoi la mamma frignone? O il papà? Non ci sono! Non li vedrai
più, lo sai?> continuò Lorenz. Winston sentiva il pianto nascergli nella gola.
Deglutì.
<Si che li vedrò, verranno a prendermi presto.> rispose, cercando di
sembrare più calmo possibile.
<Uh, il frignone ancora non ha capito! Il frignone non lo sa!> urlò Lorenz, incitando gli altri bambini, che cominciarono a cantilenare in coro “Il frignone non lo sa! Il frignone non lo sa!”
<I tuoi genitori sono morti!> strillò ancora Lorenz, indicando Winston con
il dito.
<No, non è vero!> rispose Winston, cercando di convincere più se stesso
che Lorenz e gli altri bambini.
<Ah no?> disse sarcastico Lorenz.
<Allora perché ti trovi in un orfanotrofio?>
*
*
*
Era tutto pronto.
Winston stringeva un foglietto di carta velina su cui era disegnata, in
modo molto stilizzato, la strada su cui si trovava la Nobel Guns Inc.
Winston aveva perso un paio di minuti, prima di riuscire a interpretare
correttamente il disegno, ma ora gli sembrava chiaro. In basso c’era una linea
orizzontale, che rappresentava l’edificio della Nobel. Centrati in questa linea,
due trattini indicavano l’ingresso principale. Proprio al centro dell’ingresso,
dove si trovava l’insegna della ditta, era disegnato un puntino, da cui partivano
delle linee curve concentriche che arrivavano fino ad una seconda linea orizzontale, posta più in alto, che indicava il marciapiede. Quello era un microfono
e le onde rappresentavano il suo raggio.
Poco più in basso del centro del foglietto, tra le linee orizzontali dei due
marciapiedi, un cerchio, ben marcato. Questo cerchio era disegnato nell’intersecazione vuota di quattro linee oblique, che portavano ad altrettanti pallini disegnati sull’edificio della Nobel e su quelli sull’altro lato della strada. Telecamere e il loro raggio visivo.
Il cerchio rappresentava l’unico punto della strada dove nessuno poteva
essere ripreso, ne sentito. Un punto cieco per telecamere e microfoni. Si trattava di un pezzo di asfalto di circa un metro quadro, posto tra il centro della
strada e il marciapiede del lato della Nobel.
Un altro minuto era servito a Winston per capire come far sparire quel foglietto. Poi capì perché era stato disegnato su carta velina. Lo inghiottì.
Aveva pianificato anche il modo in cui avrebbe potuto andare incontro al
coordinatore senza destare troppi sospetti. Aveva spostato Montag - il vecchio
amico e nuovo complice Montag – dal reparto macchinari al reparto commerciale. Era riuscito a giustificare la cosa al Consiglio facendogli recapitare un
brillante elaborato, costruito ad hoc da Winston stesso, che esplicava chiaramente come fossero indispensabili nuovi addetti alla contabilità e alla segreteria. Il Consiglio non aveva fatto molte storie. Anzi, non ne aveva fatte alcune.
Probabilmente nemmeno aveva letto l’elaborato di Winston, aveva semplicemente fatto dare un’occhiata da qualche segretaria, giusto per sapere se si
trattasse di qualcosa che potesse nuocere al Partito, e aveva fatto dare l’ok.
Tutto questo, perché gli uffici commerciali costituivano il perimetro esterno della ditta, e le finestre degli uffici della facciata principale davano sull’ingresso. Con una scusa qualsiasi, in ogni momento, Winston avrebbe potuto
trovarsi nell’ufficio di Montag, che guarda caso era quello con la visuale migliore della strada, a discutere di conti che non tornavano, fatture sbagliate, e altre cose che richiedevano tempo. Molto tempo. Il tempo necessario, ad esempio, per aspettare l’arrivo del coordinatore di turno.
Quando il coordinatore di turno arrivò, per l’appunto, Winston si trovava
proprio nell’ufficio di Montag.
<Ne parliamo dopo, Montag, vedo che è arrivato il nostro ospite. Rivedi
intanto tutte quelle fatture.> disse, nel modo più autoritario che gli riuscì.
<Certo, signore, mi scusi ancora.> rispose Montag, nel modo più servile
che gli riuscì. Tra i due ci fu uno scambio di sguardi, complice e speranzoso. “O
la va o la spacca”, stavano entrambi pensando.
Winston uscì nel corridoio, affrettando il passo verso l’ingresso. Doveva
correre senza dare l’impressione di correre. Doveva placcare il coordinatore per
strada, fuori dalla ditta, o sarebbe stato tutto inutile. Inoltre, l’autista del coordinatore aveva parcheggiato vicino al marciapiede, a circa cinque metri dal
punto cieco delle telecamere e dei microfoni. Winston avrebbe dovuto trovare
un modo di raggiungere quel punto assieme al coordinatore.
Infine, piccolissimo particolare, Winston non aveva la più pallida idea di
cosa dire e soprattutto come dirlo. Per quel problema, tutto quello che poteva
fare era affidarsi all’istinto e all’improvvisazione.
Mentre pensava a tutto questo, i suoi piedi l’avevano già portato fuori
dalla ditta. Il coordinatore era appena sceso dalla macchina.
Era giovane. Perlomeno quanto Winston. Aveva i capelli corti e ben curati. Portava degli occhiali dall’elegante montatura, vestiva impeccabilmente una
camicia bianca con giacca e pantaloni neri di ottima fattura, probabilmente firmati, come le scarpe marroni. Eppure, Winston notò subito nei suoi modi di
fare quel tipo di impaccio tipico delle situazioni di disagio, in cui non ci si vorrebbe trovare. Il coordinatore in visita era un pesce fuor d’acqua, era palese.
Fu solo un lampo, uno di quei pensieri che ti sfrecciano nella testa, ti accendono una lampadina e poi scompaiono nel nulla da dove sono venuti, ma
Winston notò in quel momento che quasi tutti i coordinatori con cui era venuto
in contatto e che conosceva, eccetto alcuni vecchi che erano riusciti a mantenere la posizione per tanti anni, avevano la sua stessa età, più o meno. Non
solo: dai movimenti e dal comportamento del coordinatore, mentre usciva dalla
macchina impacciato, mentre diceva qualcosa all’autista, mentre si aggiustava
il nodo della cravatta -quell’indumento che mai avrebbe portato se non fosse
stato obbligato dall’etichetta- capì che loro due, e probabilmente la maggior
parte dei coordinatori del mondo, erano molto simili. Chissà quante cose dovevano avere in comune.
Winston corse incontro al suo coetaneo sorridendo e con la mano alzata
nel simbolo del Partito. Il coordinatore sembrava spiazzato. Probabilmente nessun altro collega del mondo gli era venuto incontro prima ancora che mettesse
piede nella sua ditta.
Winston era ora a distanza di un braccio dal suo bersaglio. Era il momento, la prova del fuoco. Nel modo più naturale che gli fu possibile, gli strinse la
mano. Era un saluto vecchio, ormai in disuso. Solo le persone più anziane lo
usavano ancora, e quasi sempre solo tra di loro. Ma per Winston era l’unico
modo di agganciare il coordinatore e spostarlo verso il punto cieco. Per questo
non lasciò la sua mano, neanche quando il coordinatore cercò di ritrarla. Winston continuò ad agitarla, su e giù, formulando frasi di saluto e benvenuto,
mentre i suoi piedi si muovevano lentamente all’indietro. Camminò e camminò
ancora, cercando contemporaneamente di continuare a dire cose plausibili al
coordinatore e ricordarsi il punto esatto senza poter vedere la strada. Cercò
con uno sguardo fugace l’ufficio di Montag, nella speranza che potesse dargli
qualche indizio più preciso sulla sua posizione, ma tutto quello che riuscì a vedere fu il riflesso del sole sui vetri a specchio della Nobel.
Un metro quadro. Solo un maledettissimo, piccolissimo metro quadro. Se
avesse sbagliato di qualche centimetro in meno, la loro conversazione sarebbe
stata registrata dai microfoni. Qualche centimentro in più, invece, avrebbe mostrato alle telecamere qualcosa di losco che il signor Winston Smith stava facendo.
Winston cercò di guardarsi attorno con la coda dell’occhio. Si trovava ora
all’altezza dell’ingresso della ditta: la coordinata orizzontale doveva essere corretta. Quella verticale doveva coincidere più o meno con la fine del marciapiede, forse un passo più avanti. Si portò lì, con il coordinatore a fianco, sperando
disperatamente di non aver commesso errori. Poi agì.
Strinse a sé il coordinatore. “Un metro quadrato è più piccolo di quanto
pensassi” pensò Winston. Lui era teso, il coordinatore imbarazzato e sopreso.
Ovviamente, si ribellò, dando degli strattoni. Winston se l’aspettava, per cui
strinse la presa, cercando di non dondolare fuori dal confine immaginario che
solo lui poteva vedere. Si chiese se Montag stesse assistendo alla scenetta, se
la trovasse comica oppure tragica.
<Que diable faitez vous?! Laissez moi!1> protestò il coordinatore.
<Zitto! Si calmi e mi ascolti.> disse Winston, cercando di sembrare accomodante. Chiaramente, il collega francese non capì.
Winston mimò i gesti di silenzio, mettendosi un dito davanti alle labbra, e
attesa, muovendo lentamente la mani aperte su e giù. Paradossalmente, riuscì
a farsi capire: il coordinatore smise di agitarsi. Ora stava semplicemente fissando torvo Winston, in attesa di spiegazioni.
“Ottimo” pensò Winston, “sono qui. Ce l’ho fatta. Ho portato il tizio nel
punto cieco, e ora non so assolutamente cosa dirgli.” Eppure, doveva per forza
dire qualcosa. Il rischio della denuncia al Partito era calcolato, e la sua origine
derivava direttamente da quello che Winston avrebbe detto al coordinatore…
Ma non dire niente, dopo un atteggiamento del genere, lo avrebbe sicuramente
scosso. Sarebbe tornato nella sua ditta, in patria, e avrebbe fatto rapporto al
suo Consiglio, facendo notare il comportamento insolito di Winston. Poi, una
sola telefonata, dal Consiglio del coordinatore francese a quello di Winston, e la
poca fiducia che il Partito gli dava gli sarebbe stata tolta in un attimo. Non
avrebbe più potuto essere l’agente doppiavi-doppiavi. Non avrebbe più potuto
lavorare per la Resistenza. “Questo” pensò Winston, con sua stessa sorpresa
“sarebbe peggio della morte.”.
Guardò il coordinatore, disperato, più a lungo di quanto potesse permettersi. Non poteva rimanere nel punto cieco a lungo, avrebbe destato sospetti.
Cosa poteva fare? Come poteva comunicare a gesti, con uno straniero, le cose
sconvolgenti di cui era venuto a conoscenza? Serviva una lingua, maledizione!
Un codice, un sistema di comunicazione verbale! Comprese improvvisamente
la genialità del Partito. Eliminare l’insegnamento delle lingue straniera era stata
una mossa fondamentale nell’insediamento al potere. Senza comunicazione, le
persone sono solo una massa informe. Le idee dei singoli muoiono, abbandonate nella solitudine dell’incomprensione. I valori sbiadiscono come vecchie
foto in un album abbandonato in soffitta.
Un secondo lampo attraversò la mente di Winston. Sbloccò una nuova informazione latente, un ricordo seppellito: il giorno del suo risveglio in orfanotrofio, il discorso di Syme. La sua mente partì in quarta, elaborando informazioni, idee e ricordi. Mise tutto in ordine, unì gli anelli mentali fino a formare
una catena.
Per Dio, era così facile! Così a portata di mano! Solo ora ci era arrivato?
Solo lui, in tutto il mondo, ci aveva pensato? Com’era possibile? Così a fondo il
Partito era riuscito a reprimere le loro coscienze?
L’idea delle Nazioni Unite, la lingua universale, il primo compromesso.
Sua madre, suo padre, la CulPol, gli Esperetoj. Gli Esperetoj. I giocattoli della
Speranza. La Speranza di un mondo unito, solidale, con una lingua parlata e
compresa da tutti, trasparente, senza storia e per questo senza interpretazioni
razziste, sessiste o patriottiche. La neutralità della comunicazione, la sua vitale
necessità perché il rispetto della vita di ognuno valga quanto quello del prossi-
1
Francese: “Ma cosa diavolo sta facendo? Mi lasci!”.
mo. Era naturale che il Partito, tra le prime cose decise dal suo insediamento,
avesse ordinato la distruzione di quei giocattoli!
Winston ricercò dentro di sé quelle parole, così semplici, così facili da ricordare, spontanee, cristalline come l’acqua pura di montagna. Le pronunciò,
rinfrancato.
<Mi ami vi!> disse, guardando fiducioso il coordinatore. Doveva capire.
Doveva capire. Tutto dipendeva da quello. Dietro quelle parole c’era più significato di quanto sembrasse. I soprusi subìti, l’infanzia strappata. C’era la storia
degli ultimi trent’anni del mondo intero, la Verità prorompente e innegabile,
che nasce nel profondo del cuore e schizza rapida nel cervello, sgorgando inarrestabile dalla bocca.
<Mi ami vi!> ripetè ancora Winston, davanti al suo coetaneo, il suo amico universale, che ora lo guardava, stupito e con la bocca spalancata, mentre
ritrovava dentro di se quei valori che il Partito gli aveva fatto credere di aver
perduto.
<Mi… Mi ami vi!> rispose il francese.
<Mia nomo esti Jacques.> continuò. Winston sorrise di gioia. Gli tornarono alla mente le parole dell’agente vi-vi sul prototipo della lingua in codice… Il
linguaggio degli Esperetoj era stato insegnato a tutti quelli che ora avevano la
sua età, anche se non a scuola; era una lingua diversa da tutte quelle mondiali, eppure conosciuta da tutti i suoi coetanei nel mondo… Winston aveva trovato il codice perfetto per la Resistenza! I pochi che non la conoscevano l’avrebbero imparata velocemente, tanto era facile e flessibile.
Pieno di nuova speranza, Winston tornò a rivolgersi al suo nuovo amico
francese.
<Mia nomo esti Winston. Milito esti eltrovo de…1> Come dire “Partito”?
Winston rimase un secondo in silenzio, poi fece il saluto del Partito con la destra, e lo indicò con la sinistra. Il Coordinatore ripetè lentamente le parole. Le
tradusse e le comprese.
<Mi ne kompreni… Eltrovo?2> “Ma certo” si disse Winston “come puoi capire, adesso?”. Ma non era quello lo scopo di Winston. Ci sarebbero state altre
occasioni, con Jacques, per parlare e spiegare. Ora doveva solo dargli qualcosa: un assaggio della Verità. Insinuare il dubbio dentro di lui. E se era riuscito
con Jacques, avrebbe potuto rifarlo con tutti gli altri coordinatori. “Il Basso popolo è forte” gli aveva detto l’agente V. “ma manca di coscienza”. I coordinatori sarebbero diventati quella coscienza. Avrebbero risvegliato gli animi di tutti,
mostrato loro quello che il Partito aveva fatto. Sarebbero stati la Volontà della
gente, la volontà di cambiare, di reagire, di poter dire che due più due faceva
sempre quattro, anche se al Partito non andava bene… La volontà di vivere, finalmente, da uomini liberi.
I giovani coordinatori come Winston avrebbero dovuto farsi carico della
responsabilità di plasmare un nuovo mondo, con le idee della Resistenza, la
forza del Basso Popolo, la loro coscienza, e la lingua degli Esperetoj. Un mondo
unito nella speranza, finalmente, che lottasse contro le bugie del Partito e del
Governo Unico, contro la falsa guerra, contro i soprusi e le violenze.
1
2
Letteralmente: “Guerra essere invenzione di…”.
Letteralmente: “Io non capire… Invenzione?”.
Tutto questo avrebbe richiesto un sacco di tempo, un sacco di sudore e
con buona probabilità un sacco di sangue.
Winston però si sforzò di pensare al presente. Si sentiva forte e sicuro,
adesso. Gli sembrava di stare vivendo in un mondo virtuale. Poteva quasi sentire il ronzìo delle telecamere intorno a lui, vedere il loro raggio, carpire nell’etere le onde ricettive dei microfoni. Il Partito era nudo davanti ai suoi occhi.
Era debole e ridicolo e non aveva più segreti per lui, perché sapeva per quale
motivo continuava a respirare.
Sorrise amichevolmente a Jacques.
<Ni iri1> gli disse
<Ni havi multe aĵoj de paroli.2> Jacques annuì. Insieme si avviarono all’interno della Nobel Guns Inc.
Finalmente, Winston potè tirare un sospiro, l’ultima pausa prima del lavoro, del lavoro vero, quello duro e difficile, che richiede impegno e costanza.
Aveva ancora molto da fare, ma per fortuna non era solo.
L’autore ringrazia Serena Bardazzi per le traduzioni in tedesco e francese.
Licenza Creative Commons BY-NC-ND 3.0 unported, 2007.
Altri racconti su Cronache di un disadattato – www.obifrankenobi.it
1
2
Letteralmente: “Noi andiamo”.
Letteralmente: “Noi avere molte cose da parlare”.