ISIS - Approfondimento
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LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE di Rodolfo Bastianelli L a situazione creatasi in Iraq ed in Siria in seguito alla progressione compiuta dall’ISIL all’inizio della scorsa estate pone a rischio non solo l’esistenza stessa dello Stato iracheno, ma l’intero assetto politico e strategico della regione mediorientale coinvolgendo in questo complesso ed intricato quadro tutti i Paesi dell’area. Se gli obiettivi e l’ideologia dell’ISIL appaiono ormai evidenti, non è invece altrettanto chiara la strategia di contrasto messa in atto da Washington e dagli altri Stati della coalizione. Di seguito, si analizzeranno prima l’origine dell’ISIS unitamente alla sua struttura ed organizzazione, poi la provenienza dei finanziamenti del gruppo ed infine lo scenario strategico e militare che si presenta sul terreno. Le origini dell’ISIS ed i suoi obiettivi Fondato da Abu al–Zarqawi subito dopo l’invasione americana dell’Iraq nel 2003 con il nome di “Al - Qaeda in Iraq” (AQI), il gruppo si radicò sul territorio nei mesi successivi iniziando una serie di azioni di guerriglia che solo tra il 2006 ed il 2007, quando la Casa Bianca decise un rafforzamento del dispositivo militare presente nel Paese unito alla ricerca di una più stretta collaborazione con i capi tribali locali nelle operazioni di sicurezza, si ridussero sensibilmente. Con il ritiro del contingente statunitense attuato alla fine del 2011, le azioni del gruppo hanno però ripreso d’intensità, prendendo di mira principalmente obiettivi religiosi sciiti allo scopo di destabilizzare il governo del Premier alMaliki e riaccendere le rivalità tra i due gruppi religiosi islamici presenti in Iraq. In questo contesto, l’anno successivo, il gruppo prese la denominazione di “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (ISIS) intendendo con questo sottolineare come le sue ambizioni non si limitassero più soltanto all’Iraq ma includevano anche la Siria, dove dal 2011 il regime laico di Assad si trovava a fronteggiare un’insurrezione in cui le forze islamiche radicali stavano assumendo un ruolo sempre più preponderante1. E proprio dagli eventi siriani si deve partire per inquadrare quelli che hanno condotto alla formazione dell’ISIS. Nell’Aprile 2013 il leader dello “Stato Islamico dell’Iraq” (ISI) Abu Bakr al–Baghdadi propose a quello di “Jabhat al–Nusra” (JN) Abu Mohammed al–Jowlani, il gruppo qaedista fondato ed attivo in Siria all’inizio del 2012, di unire le due formazioni in un unico movimento denominato LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE appunto ISIL, sostenendo come JN dovesse considerarsi una semplice estensione dell’ISI avendo ricevuto da questo effettivi e finanziamenti. Fortemente criticata dal capo della struttura centrale di al-Qaeda Ayman al– Zawahiri, la fusione rappresentava invece per al-Baghdadi il segnale che l’ISI non si sentiva più vincolato dai limiti geografici esistenti nella regione, un’affermazione ribadita anche dal suo portavoce Abu Mohammed al-Adnani, per il quale il gruppo non avrebbe più accettato le divisioni territoriali fissate dall’accordo Sykes-Picot. Questa contrarietà a riunire insieme i due movimenti deriva soprattutto dalle profonde differenze esistenti principalmente sul piano organizzativo e strutturale a cominciare dalla stessa composizione degli effettivi, visto che mentre JN risulta formata nella stragrande maggioranza da siriani, al contrario l’ISI appare invece composta in massima parte da cittadini stranieri. Gli stessi rapporti con al-Qaeda costituiscono poi un ulteriore elemento di contrasto. Difatti se da una parte JN appare aver rafforzato i legami con al-Zawahiri dichiarando la sua fedeltà alla struttura di al-Qaeda, al contrario l’ISI, fin dalla sua proposta di riunire i due movimenti, è sembrato voler agire in più ampia autonomia rispetto all’organizzazione qaedista, tanto che, in diverse occasioni, tra i due gruppi si sarebbe arrivati addirittura allo scontro armato come accaduto nel novembre 2013 a Raqqa, in Siria. E’ evidente quindi come questa differenziazione rappresenti al momento la più profonda ed evidente spaccatura esistente all’interno dei movimenti radicali islamici, anche se, è opinione degli osservatori, questa non dovrebbe comunque portare ad un aperto conflitto tra i due gruppi jihadisti attivi in Iraq e Siria. Sul piano ideologico, se nel lungo termine l’obiettivo dell’ISIS è di arrivare alla formazione di un califfato pan-islamico che raggruppi, sotto l’autorità della “Sharia”, tutte le popolazioni musulmane, nel breve periodo lo scopo è invece la creazione di uno Stato islamico in Iraq e Siria che dovrebbe rappresentare la base per avviare una “jihad” su vasta scala. Parallelamente, al fine di attirare dalla sua parte la popolazione, l’ISIS ha avviato anche un’importante azione di propaganda ottenendo considerevoli risultati e dimostrando inoltre una buona conoscenza dei moderni sistemi d’informazione. Si tratta di un fatto assolutamente nuovo rispetto a quanto fatto finora dagli altri movimenti jihadisti, i quali, proprio per la loro incapacità a conquistarsi l’appoggio degli abitanti delle zone poste sotto il loro controllo, non sono riusciti a radicarsi in maniera efficace sul terreno, come dimostrato in proposito da quanto accaduto in Iraq al gruppo di al-Zarqawi, il quale nelle provincia di al-Anbar si rese responsabile di uccisioni e decapitazioni nei confronti della locale popolazione sunnita che decise così di appoggiare l’azione anti-terrorismo delle forze statunitensi e di formare una LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE propria milizia, la “Sahwa”, in chiave anti al-Qaeda. Accanto a questi nuovi strumenti, l’ISIS mantiene inoltre tutta una serie di più tradizionali attività di propaganda, tra le quali rivestono un posto di particolare importanza i meetings – indicati con il nome di “da’wah” – nel corso dei quali viene illustrata l’ideologia del movimento alla popolazione con particolare attenzione ai più giovani il cui appoggio è considerato di importanza fondamentale per assicurarsi la duratura presenza sul terreno. Non meno importanti in funzione propagandistica sono poi i servizi sociali e distribuzione di generi alimentari che l’ISIS riesce ad assicurare alla popolazione nelle zone poste sotto il suo controllo. Inoltre, contrariamente a quanto attuato in Afghanistan dai Talebani, l’ISIS non impedisce alle ragazze di frequentare le lezioni scolastiche, anche se comunque restano in vigore le disposizioni che impongono di indossare il tradizionale abbigliamento islamico e la suddivisione in classi separate2. Resta comunque il fatto che nelle zone poste sotto il suo controllo, l’ISIS si è distinto per la brutalità delle sue azioni principalmente ai danni delle popolazioni cristiane e delle altre minoranze non-musulmane ma anche nei confronti degli stessi sciiti. Secondo quanto riportato da diverse fonti documentali, l’ISIS ha istituito tribunali islamici che giudicano esclusivamente in base alla “Sharia”, ritenuta la sola fonte del diritto, sanzionando con punizioni corporali chiunque si renda colpevole di reati come il furto e la blasfemia, mentre ai cristiani, considerati come cittadini di rango inferiore, è stato imposto il pagamento della “dhimma”, una sorta di tassa che garantisce la protezione delle autorità ma il cui mancato pagamento implica forti rischi per le loro proprietà ed incolumità personale. A questo si devono poi aggiungere le profanazioni di alcune chiese armene in Siria nel 2013 unitamente alle decapitazioni dei due giornalisti americani James Foley e Steven Sotloff, tanto che in un documento del Congresso americano si parla apertamente di rischio di “genocidio” per le popolazioni cristiane e sciite presenti nelle aree sotto il controllo dell’ISIS3. Le risorse finanziarie dell’ISIS ed i suoi sostenitori Una delle questioni che più da vicino interessa gli Stati Uniti e gli altri Paesi impegnati nelle operazione di contrasto dell’ISIS è quella relativa alla provenienza dei finanziamenti per il movimento nonché al ruolo giocato in questo campo da alcuni Stati della regione. In base a quanto riportato dagli esperti, una parte considerevole delle entrate – stimate in diversi centinaia di milioni di Dollari – è rappresentata dalle donazioni LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE effettuate da privati cittadini sauditi, anche se negli ultimi mesi le autorità di Riyadh hanno assunto un atteggiamento molto più restrittivo attuando un più attento monitoraggio sui finanziatori del gruppo. Il principale timore del governo saudita è quello che i finanziamenti all’ISIS possano “di ritorno” essere utilizzati per la pianificazione e la realizzazione di attentati terroristici, uno scenario questo già presentatosi nei primi anni del Duemila, quando Riyadh dovette fronteggiare una serie di attacchi di matrice qaedista che misero a forte rischio la stabilità del Paese. Inoltre, come sottolineato dal Ministero degli Interni nel maggio scorso, il governo saudita ritiene che l’ISIS stia esercitando nei confronti dei propri connazionali che combattono in Siria a fianco del movimento un’azione di indottrinamento per convincerli ad organizzare, una volta rientrati, attentati nei confronti di personalità politiche e di sedi istituzionali, tanto che almeno cinquantanove sauditi e tre cittadini stranieri da allora sarebbero stati arrestati con l’accusa di aver pianificato attentati e di essere in contatto con il gruppo yemenita “Al-Qaeda nella Penisola Arabica” (AQAP) considerato da Riyadh come la più importante minaccia terroristica per l’Arabia Saudita4. Un altro Paese tenuto costantemente sotto attenzione dal Dipartimento di Stato americano è il Qatar dal quale arriverebbero rilevanti finanziamenti da parte di associazioni private che le autorità locali non contrasterebbero adeguatamente. Anche perché una più forte attività di repressione nei confronti dei gruppi terroristici contrasterebbe con la linea politica assunta da Doha. In questi ultimi anni il governo qatariota ha consentito che gruppi privati contribuissero al finanziamento di “Hamas” e degli stessi Talebani con l’obiettivo di rafforzare la sua posizione nella regione mediorientale e l’introduzione di misure di contrasto più stringenti è ritenuta dalle autorità locali contraria alla politica di sicurezza attuata finora dal Qatar 5. Tuttavia, anche se le donazioni ricevute da gruppi privati restano una fonte importante di entrata, secondo le valutazioni degli analisti la parte più consistente dei finanziamenti dell’ISIS deriverebbe però da contrabbando, estorsioni ed altre attività illecite che permetterebbero al movimento di disporre di almeno otto milioni di dollari al mese. Restano invece non pochi dubbi sul fatto se l’ISIS sia entrato in possesso delle riserve valutarie contenute nelle banche di Mosul al momento della conquista della città avvenuta nel giugno scorso. Se alcune fonti avevano riferito come l’ISIS avesse prelevato almeno 500 Miliardi di Dinari iracheni – pari a circa 430 Milioni di Dollari – dalle locali istituzioni finanziarie, diversi rappresentanti del governo iracheno, tra i quali il governatore della provincia di Ninive, Atheel al-Nujaifi, hanno seccamente smentito questa affermazione, LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE sottolineando come i rapporti trasmessi dai responsabili delle banche private e governative presenti nella città non abbiano indicato nessuna mancanza di liquidità dalle loro sedi6. Lo scenario strategico attuale e la sua possibile evoluzione Nonostante il rafforzamento delle posizioni attuato in questi ultimi mesi, l’ISIS, secondo le analisi di diversi osservatori, si troverebbe però in una situazione assai più debole di quello che apparirebbe. Come ha sottolineato recentemente uno studio preparato dal “Washington Institute for Near East Policy”, se da un lato è innegabile che il movimento disponga di tutta una serie di punti di forza, dall’altro tuttavia non si può negare come l’ISIS presenti una larga serie di elementi di debolezza che a lungo andare potrebbero incrinare la sua azione. Fino a questo momento, l’ISIS ha condotto una proficua campagna militare aiutata dal carismatico ruolo di cui dispone Abu Bakr alBaghdadi, da un’efficiente campagna propagandistica rivolta alle popolazioni sunnite presenti nella regione alle quali si prospetta la possibilità di combattere i nemici della “vera” fede islamica a cominciare proprio dagli sciiti unitamente ad un obiettivo, quello della rinascita del “califfato”, che agli occhi di molti risuona come un richiamo dei tempi in cui il mondo islamico disponeva di un potente ruolo nel mondo. A questo si deve aggiungere anche un sistema di comando centralizzato che consente alle varie unità di disporsi e ridispiegarsi sul terreno a seconda delle esigenze nonché una buona qualità nelle tattiche di combattimento resa possibile anche dalla conquista nel corso delle operazioni dei mezzi e dell’equipaggiamento militare delle Forze Armate irachene e siriane. Ma esistono comunque tutta una serie di criticità che rendono non facile l’azione del movimento. In Iraq, l’ISIS controlla una fascia di territorio che si estende lungo la parte settentrionale del Paese dove, per supplire alla carenza di effettivi ed ai conseguenti problemi di operatività, ha dovuto ingaggiare combattenti stranieri ed unità jihadiste siriane. E questa situazione potrebbe in prospettiva costituire un grave fattore di debolezza, in quanto, se la situazione sul terreno dovesse orientarsi in senso negativo per l’ISIS, non si può escludere che proprio i combattenti stranieri, molti dei quali si sono uniti al movimento spinti da ragioni di opportunismo più che di appartenenza ideologica, sarebbero i primi a defezionare dai ranghi rendendo così estremamente vulnerabile la capacità di combattimento del gruppo. Non va dimenticato inoltre come le aree controllate LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE dall’ISIS siano tutte situate nelle zone interne di Iraq e Siria, prive di accesso al mare e circondate da Paesi ostili, senza contare poi come la stessa ideologia fondamentalista ispirata ad una visione integralista dell’Islam perseguita dall’ISIS, potrebbe alienare al movimento non poche simpatie tra le popolazioni delle zone poste sotto il suo controllo. Infine, gli stessi costi economici rappresenterebbero un ostacolo non meno significativo per le ambizioni del gruppo. Attualmente l’ISIS, tra ricavi delle vendite petrolifere, le attività di contrabbando e le altre operazioni illegali, introiterebbe, secondo le stime, almeno 1-2 milioni di dollari al giorno, una cifra che lo rende il più dotato di risorse finanziarie tra i vari movimenti qaedisti tuttora attivi, ma che, pur se di notevole entità, appare del tutto insufficiente a gestire nel lungo periodo un territorio di medie dimensioni ed assicurare agli abitanti i servizi di una normale struttura statale7. Sul piano operativo, la strategia messa in atto da Washington e dagli altri Paesi della coalizione, esclusa ogni ipotesi di intervento militare diretto con reparti terrestri, si basa essenzialmente sull’uso della deterrenza aerea per indebolire la resistenza dell’ISIS e favorire la riconquista da parte delle forze regolari irachene delle aree precedentemente perse. Si tratta però di una strategia che fino a questo momento sembra non aver prodotto risultati soddisfacenti e che solo di recente ha fatto registrare alcuni successi8. E la ragione di questo va ricercata essenzialmente nelle contraddizioni politiche esistenti all’interno della coalizione stessa. Anche se convinta della necessità di rimuovere Assad, la Casa Bianca è tuttavia alquanta restia ad appoggiare apertamente le forze d’opposizione siriane, anche perché l’Amministrazione Obama nel tentativo di stabilizzare il governo iracheno – alla cui testa lo scorso settembre si è insediato Haider al–Abadi visto come una figura meno divisiva del precedente Premier Nouri al–Mailiki – e spingerlo ad assumere un atteggiamento più inclusivo verso le popolazioni sunnite sta ricercando una cooperazione con Teheran, il cui regime rimane uno dei principali alleati della Siria. Ma un rapporto più stretto tra l’Iran e gli Stati Uniti verrebbe però visto con sospetto dalle popolazioni sunnite irachene, le quali potrebbero assumere un atteggiamento molto meno conciliante verso il governo di Baghdad ed indebolire così la sicurezza stessa del Paese. Non meno complessi sono i rapporti con Ankara, resi più difficili per il ruolo assunto dai curdi nel contrastare l’azione dell’ISIS sia in Iraq che in Siria. In territorio siriano le forze del “People’s Protection Groups” (YPG), affiliate con il “Partito dell’Unione Democratica” (PYD), sono impegnate nel contrastare la spinta del movimento qaedista allo stesso modo di quanto stanno facendo in Iraq i “peshmerga”, la cui resistenza ha contribuito prima a LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE fermare e poi a respingere l’avanzata dell’ISIS in uno scontro che sta assumendo i tratti di un vero conflitto etnico tra popolazioni arabe e curde9. E se i rapporti tra il governo locale del Kurdistan iracheno e quello centrale di Baghdad dopo l’accordo dello scorso Novembre sulla ripartizione delle entrate petrolifere sembrano entrati in una fase di disgelo10, al contrario Ankara in questi ultimi mesi ha assunto invece un atteggiamento quantomai ambiguo, visto che se da un lato Recep Tayyip Erdogan ha ribadito la necessità di sconfiggere l’ISIS, dall’altro si è però ben guardato dall’offrire un appoggio militare diretto alle forze dell’YPG impegnate nella difesa di Kobane – la citta siriana prossima al confine con la Turchia – considerando tuttora i curdi come un “nemico” dello Stato turco11. L’impegno contro l’ISIS si presenta quindi difficile e di lunga durata, anche perché sul piano politico i complicati equilibri geopolitici regionali non facilitano la formazione di una stabile alleanza. Dal lato militare poi, diversi esperti ritengono che per indebolire la resistenza delle forze qaediste sia necessaria una presenza di “consiglieri” militari americani sul terreno, così da identificare i centri di comando e comunicazione, le vie di rifornimento e la dislocazione dei reparti dell’ISIS per consentire attacchi aerei più incisivi. Questi, uniti ad un’azione delle Forze Armate irachene e dei “peshmerga” curdi, potrebbero ribaltare a favore della coalizione gli equilibri esistenti e, di conseguenza, accorciare i tempi delle operazioni e dello stesso impegno di Washington. E’ chiaro che anche questo scenario presenta non pochi rischi, sia perché i Paesi della regione non guardano con particolare favore alla presenza militare americana sul territorio anche se limitata ad un ruolo di appoggio, ma anche per il fatto che permangono diversi dubbi sulle effettive capacità di combattimento dell’Esercito iracheno12. Note 1 Sull’origine dell’ISIS ed i movimenti qaedisti sorti in Iraq dopo il 2003 vedi Islamic State in Iraq and Syria, Council on Foreign Relations, 8 Agosto 2014 2 Sulla struttura e l’organizzazione dell’ISIS vedi lo studio di AYMENN JAWAD AL-TAMIMI, The Dawn of Islamic State of Iraq and ash-Sham, apparso su “Current Trends in Islamist Ideology”, Hudson Institute, Washington D.C., Vol. 16, Marzo 2014 3 Su questo vedi ISIS Genocide Against Christians & Minorities in Syria, Iraq Focus of Hearing, Congressional Documents and Publications, 10 Settembre 2014 4 Sul ruolo dell’Arabia Saudita vedi il rapporto Saudi Funding of ISIS, Policy Watch 2275, The Washington Institute for Near East Policy, 23 Giugno 2014 5 Sull’argomento vedi l’analisi Qatar and ISIS Funding: The U.S. Approach, Articles & Op-Eds, The Washington Institute of Near East Policy, Agosto 2014 LA STRATEGIA DELL’ISIS E L’AZIONE DI CONTRASTO DELLA COALIZIONE 6 Su quanto accaduto a Mosul vedi l’articolo Biggest bank robbery that ‘never happened’ – $400m Isis heist, pubblicato sul “Financial Times” il 17 Luglio 2014 7 Sulla situazione esistente in Iraq e Siria vedi lo studio di MICHAEL EISENSTADT Defeating ISIS. A Strategy for a Resilient Adversary and an Intractable Conflict, Policy Notes No. 20, The Washington Institute for Near East Policy, Novembre 2014 8 In Siria, i bombardamenti effettuati dalla coalizione hanno permesso di rompere l’assedio di Kobane ed indebolire la resistenza delle forze qaediste a Daech, mentre in Iraq l’Esercito iracheno, aiutato da milizie sciite e tribù sunnite, avrebbe ripreso il controllo della raffineria di Daiji che assicura quasi la metà delle forniture petrolifere della regione di Baghdad. Tuttavia, nonostante questi significativi successi, l’ISIS in Iraq controlla tuttora quasi l’80% della provincia di Anbar situata al confine tra Siria, Giordania ed Arabia Saudita. Su questo vedi l’articolo Premiers succès de la coalition contre l'État islamique, apparso su “Le Figaro” il 26 Novembre 2014 9 Sull’organizzazione dell’ISIS in Iraq e Siria e gli scontri con le popolazioni curde vedi The Islamic State of Iraq and al–Sham, Middle East Review of International Affairs, Vol. 17, No. 3, Autunno 2013 10 Il governo regionale del Kurdistan e quello centrale iracheno hanno raggiunto un accordo in base al quale mentre l’esecutivo di Erbil contribuirà al bilancio federale versando una cifra pari a quanto ricavato dalle esportazioni di 150.000 barili giornalieri di greggio, quello di Baghdad verserà alle autorità curde 50 Milioni Dollari in modo da permettere il pagamento dei salari dei dipendenti pubblici del governo regionale. Il contenzioso riguardante lo sfruttamento delle risorse petrolifere del Kurdistan iracheno è da anni al centro di una disputa tra i due governi. Il Kurdistan iracheno, che disporrebbe di riserve per almeno 45 miliardi di barili, avrebbe già siglato accordi con diverse compagnie petrolifere straniere dichiarandosi inoltre pronto a trasportare il greggio attraverso un oleodotto collegato direttamente alla Turchia così da evitare le installazioni poste sotto il controllo iracheno, un gesto ritenuto però illegale dal governo di Baghdad. L’intesa costituisce quindi un passo estremamente importante anche in chiave di una più stretta collaborazione nell’azione di contrasto all’ISIS. Vedi per un’analisi dettagliata della questione l’articolo Baghdad and Kurds reach budget deal, apparso sul “Financial Times” del 13 Novembre 2014 11 Sulla posizione espressa da Turchia, Iran e Iraq vedi The will and the way; Iraq, Syria and jihadism, apparsa su “The Economist” il 10 Novembre 2014 12 Sulle critiche all’azione degli Stati Uniti contro l’ISIS e le proposte avanzate dagli analisti vedi l’articolo How New Strategy to Defeat ISIS Can Work, apparso su “National Defense”, Ottobre 2014