il grande maestro della nostra ristorazione
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il grande maestro della nostra ristorazione
5 GAZZETTA DI PARMA MARTEDI' 15 NOVEMBRE 2016 CANTARELLI il grande maestro della nostra ristorazione Amarcord di un grande locale in alto (da sinistra) Cantarelli in bottega; il sorriso accogliente di Mirella e Peppino; Harvey Keitel a Robert De Niro giovanissimi. Nella foto grande Peppino, intabarrato, davanti al ristorante di Samboseto. Unico locale parmigiano a ricevere le «due Stelle», resta ancora un modello ERRICA TAMANI L a Bassa parmense, terra di miti gastronomici. Come non pensare ai pregiati culatelli e all’impalpabile abbraccio delle nebbie che da sempre si racconta sia il segreto che nobilita questi gioielli dell’arte norcina locale? Ma la Bassa, con la sua campagna piatta e lenta, con il grande fiume, il Po che ha dato (e tolto) tanto alle genti che vi hanno abitato e che ancora qui si prendono cura dei campi, rimane la cornice di uno straordinario episodio, lungo 30 anni, della cucina italiana, ancora oggi mai replicato né a Parma né in provincia. Di quella cucina italiana raccontata attraverso i suoi protagonisti più significativi nel volume “Regine & Re di Cuochi” (Giunti Editore), nel quale è giustamente riservato un capitolo intero a Mirella e Peppino Cantarelli che in quel di Samboseto, in una trattoria cui faceva da prologo una bottega delle meraviglie di specialità alimentari con rivendita di tabacchi, dal 1953 al 1983, riuscirono a portare personalità nazionali e internazionali, gour------------------------ Mirella e Peppino portarono ospitalità e arte culinaria ------------------------ met di tutto il mondo e anche giovani amanti della tavola, dell’ospitalità e dell’arte culinaria che negli anni a venire sarebbero diventati chef o patron di ristoranti stellati (da Harvey Keitel a Robert De Niro, da Burt Lancaster a Gérard Depardieu, da Mario Soldati a Federico Umberto d’Amato, da Antonio e Nadia Santini del tristellato ristorante “Dal Pescatore” a Canneto sull’Oglio a Massimo Bottura della tristellata Osteria Francescana di Modena passando per Valentino Mercattilii e Gianluigi Morini rispettivamente chef e patron del bistellato San Domenico di Imola). La chiave del successo? Un sapiente mix di ricerca maniacale di materie prime di qualità di Peppino, straordinariamente intuitivo anche per quanto riguarda la proposta enoica (incredibile pensare che grandi vini francesi, Champagne, Bordeaux, Borgogna si potessero sorseggiare in bicchieri di cristallo Baccarat, lì in quel paesino di campagna) e di squisite doti culinarie di Mirella che nel tempo riuscì a creare piatti eccellenti tuttora considerati dei cult: dal savarin di riso con lingua salmistrata alla faraona alla creta, alla fesa di vitello con crema ai funghi. E non va dimenticato che Peppino era maestro inappuntabile nell’accoglienza, regista impeccabile della sala capace di esser naturalmente elegante e raffinato e di metter a proprio agio chiunque. Ecco, la Bassa fu teatro dell’epopea della Trattoria Cantarelli che dal 1963 al 1969 ottennero una stella Michelin per poi conquistarne una seconda nel 1970, che conservarono sino al giorno della chiusura nel 1983. Da allora appunto non c’è stato locale della provincia parmense, trattoria o ristorante che fosse, ad aver guadagnato le due stelle dei Cantarelli. Ancora oggi, il mito. n © RIPRODUZIONE RISERVATA La testimonianza Nadia e Antonio Santini (ristorante «Dal Pescatore» a Canneto sull'Oglio) ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- «C'era sempre qualcosa da imparare» N on è stato un mito sterile però quello dei Cantarelli, soprattutto in terre affini come la Bassa mantovana. Così, tra riflessioni e ricordi, ebbe modo di raccontare Antonio Santini, patron di ineguagliabile savoir-faire del tre stelle Michelin “Dal Pescatore” a Canneto sull’Oglio, quando raccolsi il suo contributo per il libro “I Cantarelli. Storia e mito della cucina italiana” promosso nel 2013 dalle delegazioni della provincia di Parma dell’Accademia Italiana della Cucina (edito da Gazzetta di Parma): «Da Cantarelli ci andavo con mio padre sin da quando avevo quindici anni. E da allora tutte dNy3IA5sHbirQ1Qjv5RPIwexWjxzNE4spmKYVJ6ugso= le volte che ci tornavo, con amici di scuola, o con Nadia moglie e cuoca del te stelle della famiglia Santini-, c’era sempre qualcosa di nuovo da imparare. Il modo di porgere un piatto, di raccontarlo, la grande naturalezza con cui Peppino si muoveva in sala, si proponeva agli ospiti, era un qualcosa di unico». Attenti ai particolari Certo non era solo una questione di ospitalità. «Ovviamente il cibo cucinato da Mirella era straordinario, non per niente era un due stelle; ma portato in tavola da Peppino acquistava un che in più». Le giornate di lavoro dei Can- tarelli procedevano con la massima attenzione sia in cucina sia in sala, senza mai scendere di livello, ma cercando sempre di fare meglio. La consapevolezza dei grandi «Peppino anticipava i tempi e le mode. Era sempre avanti. La sua passione e la sua competenza facevano sì che ancor prima dell’ascesa dei vini friulani, ad esempio, lui già li proponesse nel suo locale e ovviamente aveva selezionato i produttori migliori. Grazie a questa sensibilità nel cogliere il senso dei tempi, la grandezza dei Cantarelli si è trasformata poi in leggenda». Grandi ristoratori Nadia e Antonio Santini citano sempre i coniugi Cantarelli. È proprio dei grandi comprendere il momento opportuno in cui ritirarsi. «Appena hanno avvertito i primi cenni di stanchezza, hanno saputo smettere. Di fatto, quando erano ancora all’apice della carriera. In questo modo hanno consacrato all’eternità il ricordo del piacere che davano agli ospiti. Perché se dopo trent’anni dalla chiusura del locale,e trent’anni sono tanti, ancora oggi li si ricorda, il motivo è che anno fatto felici molte persone». Sono parole, quelle di Antonio Santini, che suonano quanto mai vere, ancor più ricche di significato se pensiamo che Massimo Bottura, sempre in occasione dell’uscita del succitato libro così parlò di lui: «In sala (del Pescatore) Antonio sa raccontare, non solo i piatti, ma storie vere, mi pare avere il DNA di Peppino». n E.T. © RIPRODUZIONE RISERVATA