Fame di fame - Fondazione Nigrizia

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Fame di fame - Fondazione Nigrizia
RIALE
l’EDITO
Fame di fame
sciamo subito dall’equivoco. Nel Corno d’Africa la situazione è stata lasciata marcire – dai singoli stati (in Somalia addirittura lo stato non c’è,
ma c’è guerra da vent’anni), dall’Unione africana e dalla comunità internazionale – ed è diventata
un’emergenza. Oggi l’Unicef ci dice anche che siamo di
fronte alla peggior siccità dal 1950. Anche Nigrizia vuole
dare un contributo per aiutare i 12 milioni di persone che
rischiano di morire di fame in Somalia, Etiopia, Gibuti e
nord del Kenya. Per questo, da fine luglio, abbiamo mobilitato i lettori del sito www.nigrizia.it (che hanno risposto).
Con questo numero del mensile rilanciamo l’iniziativa.
Ovvio che va fatto tutto il possibile. Ma un conto è agire
nell’emergenza, un altro è chiudere gli occhi, non analizzare le cause dell’emergenza stessa e dimenticare tutto dopo
poche settimane. Chi segue, mese dopo mese, la nostra rivista, sa che la Somalia è alla deriva, in mano a gruppi armati, nonostante i tentativi di darsi un governo, e che due
vaste aree del paese, Somaliland e Puntland, si autogovernano. E sa anche che né il Kenya né l’Etiopia sono in grado
di garantire il necessario all’intera loro popolazione. La situazione peggiora, se ci si mette anche la siccità.
Dunque, quando le agenzie umanitarie, usando più le
immagini di bambini morenti che analisi-paese, premono
sull’acceleratore della richiesta di aiuti, bisogna non accontentarsi di quanto ci dicono e ci fanno vedere, ma cercare altre informazioni. E magari chiedersi: ma la cooperazione europea allo sviluppo che cosa sta facendo? E
quella italiana? (Qui la risposta è più semplice: la nostra
cooperazione governativa quasi non esiste). Perché la politica occidentale si muove solo quando le immagini di
gente che muore di fame arrivano sugli schermi o sulle
prime pagine dei giornali?
Non va sottovalutato quanto scrive la giornalista olandese Linda Polman, secondo la quale c’è una «sacrilega
alleanza» tra giornalisti e agenzie di aiuto: un’alleanza che
impedisce la stesura di rapporti imparziali su una data situazione. Gli uni e le altre sono sempre pronti a saltare sul
“carrozzone della crisi” (è il titolo di un libro della Polman). Così, l’Africa è quasi sempre raccontata come affamata, moribonda, in crisi, in guerra, corrotta...
Anche i responsabili delle agenzie umanitarie non sono interessati a scoprire le cause di una carestia. Dicono
U
mezze verità. In Somalia raccontano di scontri di clan e
di atti terroristici per mano di Al-Shabaab. Ma si dimenticano di dire che l’ultimo raccolto è stato più che buono
in gran parte del paese e che, molto probabilmente, a soffrire la fame sono soltanto gruppi di sfollati da limitate
zone colpite dalla siccità. Le agenzie operanti nel nord
del Kenya, soprattutto nei campi che accolgono profughi
somali, si guardano bene dal dire che il governo di Nairobi ha venduto a paesi confinanti le riserve nazionali di
granaglie.
Una crisi alimentare come quella che si registra nel
Corno d’Africa è un’ottima occasione per fare affari sugli
affamati. Secondo la Polman, disastri come quello nel
Corno d’Africa attirano una media di 1.000 organizzazioni umanitarie nazionali e internazionali. Nel solo Kenya ci
sono più di 6.000 organismi non governativi registrati, in
grado di contribuire con oltre 1 miliardo di dollari all’economia kenyana. Ogni parlamentare ha creato una sua
onlus per gestire eventuali aiuti dall’estero. Tutti allineati
dietro la fame.
Negli appelli lanciati da Onu, Unicef, Ochoa and Co.,
non si menziona mai il fatto che una consistente parte degli aiuti inviati serve a coprire i costi amministrativi e logistici delle agenzie umanitarie stesse (compresi gli stipendi degli operatori) e un’altra a pagare il “pedaggio
d’entrata” alle milizie e ai “signori della guerra”. In Somalia, questo pedaggio può arrivare all’80% degli aiuti. Se
non ci sono milizie, ci pensano i politici a chiedere la parcella. Entro meno di un anno, i parlamentari del Kenya
dovranno finanziarsi la campagna elettorale, e gli aiuti sono sempre un ottimo mezzo per avere i fondi necessari.
Gli aiuti possono servire ad affrontare un’emergenza,
ma non aiutano un paese a progredire e rendono i governi
meno responsabili nei confronti dei loro cittadini. Inoltre,
gli aiuti sono il mezzo più efficace con cui gli stati donatori controllano le nazioni africane, senza correre il rischio
di essere definiti colonizzatori.
Torniamo a noi. Diamo un’occhiata alla foto di pagina
25. Di certo quel bambino va aiutato. Ma con più efficacia
aiutiamo lui e quelli che verranno, se ci assumiamo la responsabilità di agire (anche informandoci meglio) per far
sì che il business della fame e della povertà sia archiviato
al più presto.
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