Tutto è comunicazione

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Tutto è comunicazione
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in questo numero
Tutto è comunicazione
Comunicazione, troppi esperti
App, fenomeno o fenomenali?
Social Business: che confusione!
© by fotolia
Passa il favore!
numero 0 - Anno I / febbraio 2012
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2
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numero 0 febbraio 2012
Editoriale
Comunicazione? Parliamone.
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Quella che stiamo vivendo è la più grande rivoluzione di tutti
i tempi. Non solo macchine. Non solo persone. Sono i rapporti,
i momenti e le opportunità che mutano, che si moltiplicano.
Capire ciò che sta accadendo nel mondo della comunicazione
e delle tecnologie ad essa connesse è il primo passo per farne
parte. Capire come le persone vivono questo cambiamento e lo
trasformano in nuove esigenze significa vivere la rivoluzione e
trasformarla in business.
Oggi più che mai, osservare la realtà con occhio critico, è indispensabile per farne parte senza permetterle di esserne conformati in maniera inerme e per divenire parte attiva del rapporto
con le new technologies, per plasmarle secondo le nostre esigenze, mai viceversa.
Semplificare le cose è molto più difficile di quanto non lo sia
complicarle. Ed è così che cerchiamo di parlare di comunicazione, standole col fiato sul collo, comprendendola nel profondo
per potervela svelare. Ascoltare, decifrare e raccontare: questo
è Menthalia magazine. Una raccolta di spunti e riflessioni per
essere sempre aggiornati, incuriositi, appassionati.
Seguire le tendenze, le ultime novità, commentarle con gli
esperti del settore in maniera simpatica, coinvolgente e veloce
proponendo al lettore utili approfondimenti sui temi che gravitano attorno al pianeta comunicazione.
E allora ecco il mio emozionato in bocca al lupo al gruppo
Menthalia per questa nuova avventura, con l’augurio di ritrovarci sempre qui, con lo stesso spirito, curiosità e passione,
sempre con lo stesso entusiasmo per raccontarci e raccontarvi
di comunicazione. Per finire, come diceva Stephen Covey:
MENTHALIA Magazine
Testata in corso di registrazione presso
il Tribunale di Napoli.
Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione
Direttore Editoriale: Stefania Buonavolontà
Art Director: Marco Iazzetta
Grafica & Impaginazione: Menthalia Design
Hanno collaborato in questo numero:
Stefania Stefanelli, Beppe Draetta, Martina Dragotti
Massimo Petrucci, Maurizio Imparato
Menthalia srl direzione / amministrazione
80125 Napoli - 49, Piazzale V. Tecchio
Ph. +39 081 621911 • Fax. +39 081 622445
sede legale: 80121 Napoli - 30, Piazza dei Martiri
sedi di rappresentanza:
20097 S. Donato M.se (MI) - 22, Via A. Moro
50129 Firenze - 78, Via XX Settembre
“
Cerca prima di capire e solo dopo
di essere compreso dagli altri
”
Marco Iazzetta
General Manager
MENTHALIA
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Tutto è comunicazione
di Stefania Stefanelli, Autrice e Sceneggiatrice Televisiva
“
La comunicazione
non è solo questo. È molto di più:
è tutto il resto.
”
Sono i segnali di fumo, quelli stradali, il
modo in cui è disposta la merce al supermercato, i colori scelti per le pareti di un
ufficio pubblico o di un negozio, il layout di
un sito internet, l’arredamento di una casa,
gli accordi di una chitarra, le parole, i silenzi, il design di un’auto, la formazione di
una squadra di calcio, gli abiti delle nuove
collezioni, i rifiuti nei sacchetti, il colore dei
confetti, i fiori sulle lapidi.
Anche? Certamente.
Perché una rosa rossa lasciata su una tomba
al posto di un crisantemo rivela che qualcuno ancora ricorda l’amore, la passione,
che chi non c’è più gli ha donato in vita.
Così come il colore blu di una parete o di
un abito trasmette tranquillità e distende lo
sguardo, mentre il rosso cattura l’attenzione
e centrifuga il cervello, mettendolo in moto
ogni volta che prova ad entrare in stand-by,
senza dargli tregua.
E le informazioni che leggiamo in primo
piano in una pagina web o cartacea sono
quelle su cui ci viene implicitamente chiesto di concentrare l’attenzione, mentre ciò
che è ai margini, lo dice proprio il termine,
è un contorno del quale in primo momento
si può fare a meno.
Tutto è comunicazione.
Nel senso che rende partecipi di informazioni, sottotesti; che significa molto altro
rispetto a quello che si legge in superficie.
E anche noi lo siamo.
Lo è quello che diciamo, ovviamente.
Ma anche il tono che usiamo nell’esprimerci, gli occhi che fissano l’interlocutore o che
teniamo bassi per nasconderli e nasconderci, le mani che tormentiamo per l’ansia o
che usiamo per gesticolare e dare forza al
pensiero che stiamo esternando, le gambe
liberamente accavallate o di contro in buon
ordine una accanto all’altra, il volume della
nostra voce, le gote che si colorano di rosso
contro la nostra volontà.
Sì, anche il nostro corpo comunica. A volte
da solo, per istintive reazioni che tradiscono le nostre emozioni, altre volte col nostro
aiuto, quando lo usiamo per affermare la
nostra personalità.
Perché un nuovo taglio di capelli dice che
abbiamo voglia di aria nuova. E se il taglio
è drastico o stravagante, che quella vecchia
proprio non la tolleriamo più.
Provate a farci caso, a guardare le cose diversamente, a chiedervi se c’è una scelta
precisa o semplicemente dell’altro dietro
ad ogni singola cosa su cui posate gli occhi
nelle vostre giornate. Fosse anche un sasso
che ha spaccato una vetrina.
Chiedetevi cosa significa veramente ciò che
avete davanti.
E vi scoprirete vostro malgrado novelli
Sherlock Holmes, capaci di interpretare
tutto, di cogliere i segnali di ogni cosa, di
vedere oltre, semplicemente guardando a
fondo il mondo.
Salvo poi capire, probabilmente, che questa innata e profonda capacità non volete
godervela né usarla,
arla, perché in grado di
sopraffarvi, rubando
ndo magia all’apparente
mistero dell’universo.
rso.
Molto meglio lasciarsi
sciarsi sorprendere, certe volte.
olte.
E rinunciare a capire.
pire.
Ma questo, che lo
o vogliate o no, svelerebbe di voi
anche la pigrizia che preferireste nascondere.
© by fotolia
C
rediamo che il mondo della comunicazione sia quello della carta
stampata, della tv, del cinema, della
pubblicità, della rete, dei social network,
del marketing aziendale, delle case editrici
e delle radio.
Ma non è mica tutto qui.
Questi sono solo settori specifici. Nonché
rami in cui gli studiosi hanno voluto suddividere la materia per farne un corso di
laurea, l’ennesimo.
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Comunicazione, troppi esperti
di Beppe Draetta, Giornalista Medico Scientifico
© by menthalia
L
a nostra società moderna è piena di
esperti di comunicazione. Basta una
veloce sbirciata sui curriculum di social networking professionale per restare sbigottiti davanti alle migliaia di persone che,
appunto, dichiarano di occuparsi di comunicazione. Bene. La comunicazione è importante, e l’esistenza di tanti esperti è rassicurante. Tanto più nell’ambito scientifico, dove
la trasmissione di informazioni può generare
tendenze, illusioni, pressioni, nonché errori
ed errate percezioni in un ambito peculiare come quello della salute. Non per niente
il settore dell’informazione farmaceutica è
regolamentato con modalità così restrittive
che per ogni autore di un testo si contano
almeno dieci censori (tra revisori, supervisori, addetti normativi e approvatori privati e
pubblici). Eppure, oggi, scrivere di salute, di
terapie e in generale di medicina è un’impresa piena di insidie. E non sempre gli esperti
sono realmente tali.
I copywriter creano, non copiano – Cominciamo dai redattori delle agenzie di pubblicità. Si chiamano copywriter, dalla colta
etimologia anglosassone che considera col
termine copy un lavoro redazionale creativo
finalizzato alla pubblicità, dotato di regole,
raccomandazioni, zeitgeist e antichi segreti,
come quello secondo cui David Ogilvy imponeva ai suoi collaboratori di “non scrivere
mai un annuncio che non vorresti che fosse
letto dalla tua famiglia. Non racconteresti
bugie a tua moglie. Non raccontarle alla mia”.
Oggi nel gergo comune questi redattori vengono definiti semplicemente copy, con una
detrazione terminologica che sembra avvicinare questi creativi della parola più a degli
scopiazzatori che ideatori.
In realtà il copywriter oggi è diventato un
acrobata della parola. La sua inventiva è pesantemente demarcata da vincoli e normative, ma anche da consuetudini e da perniciose manie imposte dalla lunga schiera dei
revisori e censori non ufficiali.
Ecco alcune delle censure – diventate abituali
– più comuni.
La quotazione obbligatoria – La ragionevole raccomandazione di attribuire alla letteratura le affermazioni di rilevanza scientifica ha indotto ossessioni assolutiste. Si sono
pretesi riferimenti bibliografici a espressioni
come “il diabete è una malattia metabolica” e
“quando si ha sete bisogna bere”. Ormai ogni
redattore sa benissimo che l’impegno maggiore è quello della ricerca bibliografica, in
particolare negli argomenti più banali.
L’articolo croato – Il nome chimico di un
farmaco tale risponde alle usuali regole
grammaticali, fra cui quella dell’articolo determinativo. Si dice quindi “la penicillina”,
“il clopidogrel” e “l’azatioprina” così come
si dice il tavolo, la strada, lo squalo. Ma per
molti di coloro che ci lavorano e ci vivono,
il farmaco assume connotati personalizzati, indegni dell’articolo. Così si impongono
frasi come “clopidogrel è efficace” e “risultati migliori con azatioprina”. Fa ricordare
un po’ quella abitudine degli stranieri di
origine slava, dotati di brillante intelligenza linguistica (imparano l’italiano in pochi
mesi) ma curiosamente ostili all’articolo e
alle particelle pronominali, come nello storico esempio in cui il famoso allenatore serbo sentenziò che “rigore è quando arbitro
fischia” pronunciando una sacrosanta verità
ma priva di articoli.
Maiuscole e nobiltà – I testi dei copywriter sono immancabilmente corretti nell’uso
delle maiuscole, che vengono di solito moltiplicate, nell’illusione che l’iniziale grande
nobiliti la parola. Il medico, lo specialista e
la divisione di neurologia sono nomi comuni come il fabbro, il penalista e il laboratorio
di vetreria. Ma nel dubbio di offendere gli
interessati è immancabile la correzione in
Medico, Specialista e Divisione.
Le regole fantasma – Alcuni revisori ostinati ignorano esattezze scientifiche e di consecutio, ma annotano immancabilmente manchevolezze ritenute gravissime: ritengono
inammissibile la virgola prima della e, pretendono rigorosamente la d eufonica (ad, ed
od), escludono il sacrificio dell’elisione (una
azione al posto di un’azione). A sostegno di
tali interventi rivendicano l’esistenza di regole grammaticali, che però non esistono e non
sono mai esistite, anche se c’è qualche sciagurato untore che ogni tanto le promuove.
Virgolette, punti e puntini – Virgolette,
punti esclamativi, puntini di sospensione riempiono i testi di coloro che cercano
emozioni stilistiche, in particolare nei titoli.
I copywriter tengano duro: no a queste interpunzioni provinciali, l’emozione si crea con
le parole, non con i punti.
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App, fenomeno o fenomenali?
di Martina Dragotti, Advertising & Communication
cerca, per spiegarli anche al grande pubblico, con uno sguardo sedotto dai social
media, dall’editoria digitale, dalle startup e
dal mondo dell’opensource.
Una piacevole mezz’ora in compagnia di
appassionati del settore che ci raccontano
le ultime nuove dall’high-tech con un approccio friendly, ironico e pop… alla portata di tutti!
La trasmissione permette di interagire attraverso il web: sito e social network per
restare in tema, naturalmente. A completare l’appello, ecco anche un esercito di
blogger che attraverso una webcam raccontano il loro punto di vista.
Utile e divertente, per gli addetti ai lavori e
per i profani, per essere informati e per capire il mondo della tecnologia, rendendola
pratica e piacevole.
In fondo mio nonno lo diceva sempre… che
nella vita c’è bisogno di app…licazione!
© by fordesigners
S
e mio nonno avesse sentito parlare di “Apps”, se avesse sentito dire in
giro che ormai sono dappertutto e
che sono incredibilmente contagiose, che
tutti ne parlano e che tutti ne hanno almeno dieci... sarebbe sicuramente corso
a barricarsi in casa, temendo un’invasione
di insetti esotici pronti alla conquista del
mondo.
Ma in fondo la verità non è poi così lontana: è vero, sono dappertutto, sono incredibilmente contagiose, tutti ne parlano, tutti
ne vogliono una in più e sono sicuramente
pronte alla conquista del mondo.
Le “App” l’ultima diavoleria della tecnologia. Mini software in grado di trasformare
all’occorrenza un cellulare in un navigatore satellitare, in un ricettario, in un videogioco, in una stazione meteorologica
tascabile, in un conta calorie... c’è da dire
che la creatività si è davvero sbizzarrita a
riguardo!
Delle vere e proprie espansioni di potenzialità dei nostri congegni mobili.
Ecco allora i giganti del web con le loro
immancabili e richiestissime app: Big G,
Facebook e Twitter inseriti nella classifica
delle 10 app più scaricate del 2011 secondo
la società specializzata Distimo. Ma nulla è
più scaricato del caro, vecchio e semplice
giochino passatempo: è proprio la Rovio
Mobile con Angry Birds ad occupare la
vetta delle app più scaricate, pronta a difendersi da folle di animalisti indispettiti a
tutela dei poveri uccellini.
Basta digitare la parola “app” su Google e
vedere apparire circa 2.640.000.000 risultati per capire che il fenomeno ha davvero
dell’incredibile.
Solo un trend? Assolutamente no. C’è chi
parla di app-economy, c’è chi è pronto ad
investire milioni di dollari e c’è chi ne parla
in tv.
Ecco allora Smart&App, il Technology
Show in onda su La3 canale 143 di Sky,
condotto da Silvia Vianello, docente SDA
Bocconi ed esperta di settore.
Smart&App è il salotto della tv specchio
dei tempi che cambiano, dove si discute
degli ultimi gadget tecnologici, delle applicazioni per smartphone più utili, accattivanti o curiose, dei trend più interessanti
nel panorama dell’innovazione e della ri-
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Social Business: che confusione!
di Massimo Petrucci, SEO Expert, Social Business Developer
S
ono nel prestigioso ufficio di una grande
azienda, l’amministratore delegato mi
chiede come utilizzare i social media per
il business; mi dice anche che l’azienda ha una
pagina su Facebook che però si è dimostrata
solo una perdita di tempo. Poi mi guarda e
aspetta una risposta.
Prima di raccontare come va a finire, preciso qual è il rapporto tra azienda e web:
alcune società hanno intravisto un’opportunità, ma hanno ancora l’idea dello smanettone che mette su Facebook e diventa
milionario! Altre, destinate all’estinzione,
sul web non ci sono perché hanno cose più
serie da fare. Tra le due situazioni ci sono
quelle che hanno messo su un sito web che
però sta lì, non produce niente, ma non
perde nemmeno e allora siamo pari.
“
© by menthalia
La mia idea #oversocial:
per fare business nei social media
devi essere nel social media
”
È necessario che le aziende smettano di
vedere il web come qualcosa di sperimentale, e inizino a pensare a come cambiare
per rendere possibile un uso continuativo
di Internet, prima come mezzo di comunicazione e dopo di marketing e vendite.
Finché il web marketing verrà
considerato con un approccio
sperimentale e misurato con occhio
e strumenti tradizionali, le aziende
non
riterranno
necessaria la formazione interna
del proprio management all’uso
dei nuovi media,
non stabiliranno
budget adeguati
per il web/social marketing, e
adotteranno iniziative one-shot
che ritorneranno solo risultati
insufficienti, tali
da portarle ad af-
fermare: “Ecco, è stata solo una perdita di
tempo!”.
Torniamo all’amministratore delegato. Gli
chiedo quanto investono mensilmente in
marketing tradizionale e mi risponde con una
cifra vicina ai 50.000 euro. Mi metto comodo,
lo guardo e gli chiedo: “Quanto ha intenzione
d’investire in azioni di web marketing?”. Mi
guarda e fa: “Vorremo sperimentare per tre
mesi, il budget stimato è di 3000 euro.”
“Al mese?” gli chiedo.
“No, per tutto il periodo. Ci aspettiamo risultati concreti prima d’investire di più.”
Ecco un esempio di approccio one-shot, investimento minimo, aspettative sovrastimate.
Ciò che le aziende devono comprendere è
che, per utilizzare i nuovi media per fare
business, è necessario adottare l’uso del
web come un processo continuativo di comunicazione e vendita, vuol dire investire
risorse e soldi in formazione, attenzione,
innovazione e conoscenza.
Il marketing 2.0 necessita di un ripensamento di buona parte della filosofia aziendale; richiede prodotti innovativi e pensati
non per l’utente medio, ma per se stessa;
non bisogna cercare clienti per i propri
prodotti, ma prodotti per i propri clienti.
Non è solo un fatto di scelta: vado o non
vado sul web? Uso o non uso il web marketing? Lo facciamo o no un blog aziendale? Mentre siete intenti a decidere se usare
o meno Internet, sappiate che là fuori c’è
gente affamata di nuovi media e pronta a
rubarvi il mercato. Statistiche dimostrano
che la fedeltà del consumatore si sta abbassando sempre di più, il vostro concorrente
si trova alla breve distanza di un click! Fai
click e immediatamente cambi marca, cambi fornitore, e voi siete fuori.
Se l’approccio sul web è fallimentare, non
accusate il web ma ripensate a ciò che state facendo. Il più delle volte le aziende si
buttano in Internet senza alcuna preparazione, improvvisando, ma non riescono a generare il passaparola, il rumor e, di
conseguenza, le vendite. Il fatto è che hai
meno di 10 secondi per convincermi, non
raccontarmi che sei il più bello e il più bravo, dimmi piuttosto cosa puoi fare per me,
poiché per fare business nel social devi essere social.
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7
Passa il favore!
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”
Passare il favore, come recita nel film “Un
sogno per domani” il protagonista Trevor,
diventa la “semplice” ricetta per ottenere i
risultati.
Cosa regge il gioco? Il principio di reciprocità.
Robert B. Cialdini, docente di Psicologia
Sociale presso l’Arizona State University,
nel suo libro “Le armi della persuasione”
presenta e analizza le categorie alla base dei
meccanismi psicologici di acquisto.
Queste categorie sono definite da Cialdini
come coerenza, reciprocità, condanna sociale, autorità, simpatia e bellezza, scarsità
e principio del contrasto.
Estraiamo dalle categorie questo principio
ed esploriamolo attentamente.
Il principio di reciprocità consiste in quella
“strana sensazione” che si genera nel nostro corpo quando qualcuno ci invita al bar
e paga il conto, ci sentiamo “in debito” e
vogliamo restituire il favore alla prima oc-
Buone vendite 3.0!
links
application
“
World of mouth e
Social Business sono le due parole
chiave della vendita 3.0
casione... Oppure, in maniera più manipolativa, i venditori nei centri commerciali
tendono a “donarci” qualcosa nell’attesa
che poi noi ricambiamo con qualche acquisto. Tecnica molto potente.
Nel web applichiamo il principio di reciprocità nel momento in cui vogliamo
condividere con la cerchia dei nostri
amici qualunque scoperta “di valore” si
faccia, no?
“Content is king” raccontano gli inglesi, riferendosi alle relazioni web.
Bene, la ricetta giusta per le vendite 3.0 è
quindi: attivare il principio di reciprocità
nei lettori, offrendogli quanti più contenuti
personalizzati e di valore. La statistica farà
il resto per voi!
twitter
“P
assa il favore” sintetizza molto
bene la chiave per aprire il forziere del web.
Siamo passati dall’era della vendita 1.0,
dove il marchio era sinonimo di certezza,
sicurezza e affidabilità, all’era della vendita 2.0, dove il marchio ha mostrato il cuore “ecologico” per riavvicinarsi al cliente.
Oggi siamo sbarcati nell’era della vendita
3.0, dove il marchio “non comunica” di per
sé, anzi.
Nella vendita 3.0 le persone hanno deciso
di fare affari solo con le persone, non più
con le aziende!
Tecniche “ipnotiche” quali la tecnica Caratteristiche, Vantaggi e Benefici, tanto cara
alla Programmazione Neuro Linguistica,
necessitano di aggiustamenti in corsa per
“riacciuffare” il cliente.
Il “world of mouth” ovvero il vecchio
“passaparola” è tornato a essere il canale
sul quale fare grandi investimenti per aumentare i volumi di crescita.
twitter
di Maurizio Imparato, Training & Coaching
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editoria ADV web ADV e
ria ADV web ADV editoria
g ed
web editoria marketing
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DV
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