Storia di una devozione Nella sua monumentale Historia

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Storia di una devozione Nella sua monumentale Historia
Storia di una devozione
Nella sua monumentale Historia longobardorum, Paolo Diacono narra come nel 568 d.C. Felice, vescovo di
Treviso, nel tentativo di scongiurare la devastazione della città e della diocesi, sia andato incontro al re longobardo
Alboino mentre stava per attraversare il fiume Piave in perfetto assetto di guerra. Il successo dell'ambasciata di Felice
non fa parte della storia che stiamo scrivendo, ma giova ricordare che Paolo Diacono, nel parlarci di Felice, trova il
pretesto per regalare al lettore una commovente nota autobiografica: la sua visita nel 785 circa, alla tomba di Venanzio
Onorio Clemenziano Fortunato, santo e letterato.
Venanzio Fortunato (535-603) fu in gioventù compagno di studi di Felice. Originario di Valdobbiadene, studiò
dapprima nelle scuole di retorica locali, quindi ad Aquileia. Nel 560 si trova a Ravenna assieme a Felice per
perfezionare gli studi di grammatica, retorica e diritto, ma entrambi risultano drammaticamente affetti da una grave
malattia agli occhi che li porta in breve alla quasi totale cecità. Sperando di trovare nella devozione la guarigione,
Venanzio e Felice compiono una visita alla Chiesa dei SS. Paolo e Giovanni (esiste ancora a Ravenna), e da una nicchia
ricavata su un muro toccano l'olio consacrato di un'ampolla e, bagnandosi gli occhi, ricevono inaspettatamente una
fuiminea guarigione.
La nicchia e l'ampolla erano collocati sull'altare di San Martino confessore, vescovo di Tours.
La storia tace sulle ulteriori vicende di Felice. Su Venanzio, al contrario, sappiamo molto: decise di recarsi in
pellegrinaggio sulla tomba di San Martino, a Tours e non rivide più l'Italia ne la sua amata Valdobbiadene. In Gallia,
dopo un viaggio durato due anni, fu ordinato sacerdote e nominato vescovo di Poitiers (592 ca), e, soprattutto, pote
dedicarsi alle lettere, scrivendo un monumentale corpus di poemi, storie e carmi (tra gli altri il Vexilla regis prodeunt ed
il Pange lingua), e componendo, "secondo a nessun poeta", l'ultimo grande poema della latinità De vita Sancti Martini,
ovvero una biografia in verso eroico del nostro santo.
Un santo sconosciuto, eppure importante
GeneraImeQteSan Martino è conosciuto per la nota vicenda del mantello, secondo la quale, imbattendosi alle porte di
Amiens in un povero che mendicava sotto il cielo grigio d'un rigido inverno, prese il mantello e "sparti ad entrambi a un
tempo e il freddo e il caldo"; della sua biografia, i più sanno ricordare che fu vescovo di Tours, e che operò soprattutto
in Francia. Oltre a questo, poco altro. Ma se consideriamo che il santo visse oltre ottant'anni (ca 315-397), e che
l'episodio del mantello è da farsi risalire ad un'epoca in cui Martino non era ancora ventenne, può risultare forse utile
spendere due parole per illustrare colui che fu, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi santi che la sequela di Cristo
ci abbia donato: visse in un periodo in cui nell'Impero Romano, in lento declino, andava affermandosi il culto cristiano,
fu soldato, fu commensale di aristocratici e imperatori, diede vita al monachesimo occidentale, fu attivissimo nella
conversione delle campagne e nella creazione delle prime parrocchie rurali, fondò i primi monasteri, operò, ancora in
vita, numerosi miracoli e liberazioni dal demonio.
I primi quarant'anni di Martino
Martino nacque nel 315 circa nell'attuale città ungherese di Szombathely (Sabaria). Crebbe in ogni caso a Pavia, dove il
padre, tribuno militare, si trasferl presto con la famiglia. Verso i dieci anni entra in contatto con il cristianesimo, e
diventa catecumeno. Nonostante il ripetuto disprezzo per la vita da soldato, Martino, sulla base di un editto imperiale
che imponeva la leva ai figli dei veterani, fu costretto dal padre a prestare giuramento militare. Ha quindici anni, e
rimarrà in servizio per oltre vent'anni. A questo tempo risale l'episodio del mantello, defmitiva conferma della sua fede
in Cristo. La notte seguente l'atto di generosità, infatti, il nostro santo sognò una moltitudine di angeli splendenti, ed in
mezzo a questi il Cristo che diceva: "Martino, ancora catecumeno, mi ha ricoperto con quest'abito". Tale conferma
divina alla bontà della sua fede, lo spinse a farsi battezzare immediatamente. L 'abbandono della lunga carriera militare
avvenne sotto gli auspici di un fatto memorabile. Mentre i barbari premevano lungo i confmi delle Gallie, Martino, che
aveva intenzione di chiedere il congedo, rifiutò i donativi che l'imperatore Giuliano l' Apostata, com'era abitudine in
quelle circostanze, stava offrendo ai soldati impegnati nella campagna militare. L 'imperatore, adiratosi, promise che
l'avrebbe mandato in battaglia per primo, davanti all'esercito schierato. Martino, dal canto suo, rispose che sarebbe
andato incontro al nemico disarmato e nel nome del Signore Gesù. L 'indomani, prima dell'inizio della battaglia, i
nemici inviarono dei legati per trattare la pace, e l'insperata vittoria venne letta da tutti come segno della misericordia
divina a protezione della vita di un soldato nella fede.
Martino missionario e monaco. Il primo miracolo
Lasciato l'esercito, Martino, visse un primo periodo di perfezione spirituale a Poitiers, presso Sant'llario vescovo. La
sua permanenza presso il maestro fu breve: sollecitato da un sogno, parti per la Pannonia (l'attuale Ungheria) allo scopo
di convertire i genitori. Sarà a Poitiers molto più tardi, dopo aver convertito la madre, combattuto, con alterne fortune
l'eresia ariana (negatrice della natura divina di Gesù) in Illiria e a Milano, e trascorso un periodo di eremitaggio
nell'isola di Gallinara, sulla costa ligure. Ritornato da Sant'llario, si stabili a Ligugè, poco lontano da Poitiers, per
vivere da eremita, in preghiera. Di giorno in giorno, comunque, sempre più catecumeni desideravano affiancarsi a
Martino in auella scelta di vita orientata tutta aDio.