Ho insegnato ai miei figli il modo migliore di zappare un giardino

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Ho insegnato ai miei figli il modo migliore di zappare un giardino
Ho insegnato ai miei figli il modo migliore di zappare un giardino.
Fare un metro quadrato
all’angolo di nord-est,
un metro quadrato all’angolo di nord-ovest
poi a sud-est e sud-ovest.
Quando avete zappato un metro quadrato in ciascun angolo,
zappate un metro quadrato al centro.
Poi zappate una linea dal centro a un angolo.
Ora fate un progetto del giardino.
È un modo molto stimolante di fare un lavoro faticoso. Ci si
interessa talmente al disegno che diventa un piacere.
Lavorando a un problema difficile cercate di fare un disegno
interessante per affrontarlo.
In quel modo si ottiene una risposta al problema difficile.
Si diventa interessati al disegno e non ci si accorge della fatica
del lavoro.
Milton H. Erickson
Hypnotic Realities
1– Arianne
(Mi dispiace ma questo è l’unico modo)
Non so se è giusto farlo oppure no.
Se non ho più corde né ami affettivi attaccati a Paul,
perché mi sento obbligata ad aiutarlo?
Non so se questo significhi che sono ancora impastata
con Paul o se sono stata semplicemente troppo malleabile sotto il rullo del mio Maestro e capo.
Non mi va di sentirmi addosso la colla di un uomo. Per
questo ho evitato di sfornare bambini. Questo ha bruciato il mio primo e unico matrimonio.
Ora io sono una Psicologa Clinica di trent’anni, ho fatto
il pupazzetto della mia torta nuziale per sedici mesi poi
ho chiuso tutto.
Sto ammuffendo? Sono una fragola ammuffita?
Ho ancora il mio lavoro e il mio Maestro: El Aziz – il
cieco.
È strano farsi guidare da un cieco?
Ho accettato di venire qui e fare luce su ciò che succede a Paul solo perché me lo ha chiesto il mio supervisore e capo Aziz. Solo chiarezza. Nessun altro obiettivo.
Meglio allontanare ogni nebbia di dubbio.
Allungo il collo in corridoio: nessuno in giro.
Rientro e sono da sola, nella stanzetta dell’archivio.
In questo ospedale psichiatrico ex-monastero conservano ancora le cartelle tradizionali oltre al file clinico
scarno all’osso che ho già consultato.
Per dare un’occhiata alle cartelle ho atteso con pazienza per tre settimane, convinta che prima o poi vengano
commessi degli errori, così nel frattempo ho visto iniettare un farmaco al posto di un altro, ho visto confondere un esordio di demenza di Alzheimer con la schizofrenia paranoide e ho notato errori secondari, semplici
e innocue disattenzioni, come mettere un foglio nel raccoglitore sbagliato, trascrivere un numero di telefono
con un sei che sembra un otto: miniature di lapsus che
non hanno grosse conseguenze, finché è arrivato l’erro7
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re utile.
Nelle mie vesti di ausiliaria volontaria, la mia “copertura”, è assolutamente vietato consultare l’archivio per il
segreto professionale e la privacy. È consentito esclusivamente allo psichiatra consacrato a quel caso.
In realtà si tratta di un’esclusiva piuttosto fittizia: i vecchi infermieri, grazie a qualche altra disattenzione
veniale, si sono fatti da tempo una copia della chiave
di quell’armadio e la usano per prendere visione delle
schede personali dei pazienti, senza autorizzazione.
Passano le notti di guardia più noiose leggendo delle
disgrazie e delle dannazioni familiari dei pazienti ricoverati qui.
Ma loro dicono che lo fanno per proteggersi, per vedere
veramente quanto è diabolico un certo soggetto: se ha
aggredito qualcuno in passato, se nella sua diagnosi
sono previsti episodi aggressivi.
Dicono che non si fidano di quello che la Tremil (la
Dottoressa Tremil) dice in riunione e che saperne di più
è il modo migliore per non rischiare di finire come
Charles, un loro collega strangolato anni fa da un giovane paziente, alto come un campanile e massiccio
come l’armadio di una sacrestia, che quando andava in
crisi si dipingeva la faccia di crema, si radeva la zona
sopraccigliare come Mr. Pink in “The wall” e diceva di
essere il male salito dall’inferno. La Tremil, che
seguiva il caso, sembra avesse detto che non ci sarebbero stati problemi, tacendo il piccolo dettaglio che il
paziente, mesi prima, era quasi riuscito a far fuori il
proprio fratello maggiore con un forchettone da arrosti.
Per questo dicono che non si fidano, ma non è questa
la sola ragione per la quale si divertono a leggere le cartelle di tutti, anche di soggetti palesemente pacifici.
In realtà penso che amino i romanzi.
Si tratta certo di storie scadenti, da telenovela strappalacrime fatte di madri assurde e sadiche e di padri
assenti o violenti, ma c’è un certo godimento a gustarsi con il caffè o con il brie spalmato sulla baguette
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
anche una buona dose di disgrazie altrui, raccontate
con tutto il sapore del pettegolezzo, aggiungendoci sale,
pepe o erbe provenzali e soffermandosi nell’aroma dei
particolari scabrosi o dei fatti di sangue più succulenti.
È anche un modo per mantenere certe distanze. A
bassa voce (a voce alta quando non ci sono psichiatri
in giro), qualche infermiere anziano li chiama “le scimmie”. Come dire che quelli, i ricoverati, sono scimmie e
noi siamo gli esseri umani normali: noi non abbiamo
niente a che fare con “loro”. Sì, è vero che – come le
scimmie – sono lontanamente imparentati con noi (per
questo le loro espressioni cosi “umane” ci possono
anche toccare) ma la carne di scimmia si può mangiare: non è cannibalismo. Pertanto le scimmie non
hanno diritto alla privacy, a tornare quando vogliono
nella propria casa, al possesso del proprio corpo, del
proprio tempo, ad essere ascoltati e creduti.
Così parecchi operatori del reparto psichiatrico si illudono di tirarsi fuori, di mettere un muro tra la loro
anima e le forme di sofferenza estrema che masticano
ogni giorno. Viene chiamato burn-out il disturbo che
rende indigesti i pazienti a un infermiere; è considerato un disturbo inevitabile: naturale che saltino i nervi e
ti si blocchi lo stomaco lavorando per anni in questo
posto. Ma per me un paziente è sacro come una vacca
indiana e rifiuto con orgoglio di divorare per sopravvivere le storie che non vorrebbe raccontarmi. Forse sto
cominciando a sentire come “scimmie” alcuni infermieri.
Certo che anch’io avrei bisogno di storie, che è da
tempo che non ne ho.
Chissà per quanti sono una scimmia io.
Dunque questa sera un infermiere anziano ha dimenticato la sua chiave nella serratura dell’armadio delle
cartelle personali.
Nella stanza dell’archivio, in piedi, accanto al cestino
dei rifiuti sto fissando con la faccia tesa di una spia
quel parallelepipedo di lamiera grigia che mi è stato per
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così tanto tempo interdetto.
Il mio viso si distende sottilmente e unisco le labbra. Lo
apro.
Trovo subito la cartella del paziente a causa del quale
sto facendo questa mascherata della “volontaria”: Paul
Damant. Il dottor Paul Damant, psicologo impazzito e
mio ex amante.
Dentro non c’è il tesoro, pochi fogli, non il romanzo
completo che mi aspettavo: le note del ricovero e la
diagnosi iniziale, di “schizofrenia ebefrenica”.
In una tasca del cartoncino c’è però un mini-disco di
colore dorato, etichettato “Test psicologici. Paul
Damant. Fonte: Archivio Elettronico Dati Clinici – scaricati dalla rete. Autorizzazione: dottor Adamus
Sandor.” I test sono sul dischetto; lo metto in tasca e
richiudo il tutto.
Esco nel corridoio, inondato dalla luce arancione del
tramonto. Ancora nessuno in vista: pazienti ed infermieri sono impegnati nella cena.
Salgo le scale a scatti veloci. Altro corridoio deserto.
La mia camera sta dietro una vecchia porta di legno
verniciato di bianco.
La apro, entro, richiudo.
Tana raggiunta. Vado verso il mio letto ancora sfatto e
prendo una valigetta nascosta sotto, mi siedo sull’altro
letto che ha soltanto il materasso e appoggio la valigia
sull’unico sgabello tarlato; non è stabile e rimetto un
pezzo di cartone piegato tra il piede più corto e il linoleum grigio del pavimento.
Il vento muove le tende di cotone bianco. Allungandomi
socchiudo la finestra.
Tiro fuori da sotto il letto il computer, lo accendo, inserisco il mini-disco e lo accendo per connetterlo alla rete.
Indosso un visore senza cavi e i miei occhi si tuffano
istantaneamente nello space desktop: lo sfondo tridimensionale, che cancella l’immagine della stanza inondandola con la sua luce azzurra intensa.
Nuoto con lo sguardo tra le icone fluttuanti: boe di
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
segnalazione per i dati ancorati nel disco.
Riportano ad alcuni test fatti anni fa, eppure mi sento
invasa da una tensione acuta, come sfiorare, carezzare una mina: la storia di Paul, caricata dei sentimenti di affetto e ammirazione che sto ancora provando per lui, anche dopo tutti gli anni in cui l’ho perso di
vista, anche dopo che il suo male è esploso ed è affondato in questo ospedale psichiatrico.
Nell’elenco dei test psicologici di Paul ci sono alcuni clinici classici: un referto Rorschach (dimmi cosa vedi in
questa macchia e ti dirò chi sei), un 16PF (eccoti i sedici ingredienti del tuo cocktail personale), un TAT
(vignette ambigue per le tue ambiguità). Di questi test
ne avrò somministrati ed interpretati a migliaia, nella
mia carriera non lunghissima ma intensa.
Ma c’è anche il piccolo ragno verde a forma di fragola:
l’icona del più importante test di personalità derivato
dagli studi di Topografia Archetipica: il MADS.
Fu il gruppo di ricerca al completo ad inventare il
ragno-fragola come simbolo del MADS perché secondo
i miei colleghi era il mio ritratto: cioè assomigliavo a un
ragno acerbo oppure a una fragola velenosa.
Comunque fu una specie di riconoscimento per avere
portato avanti la gestazione e validazione (svezzamento) del test. El Aziz dirige il gruppo: l’Istituto di
Topografia Archetipica della Sorbona, un gruppo al
quale un tempo era affiliato anche Paul.
MADS è una sigla che mette insieme il nome di una
teoria psicologica di nascita recente (la Topografia
Archetipica) e il nome di uno strumento di misurazione: il Differenziale Semantico.
La sigla MADS significa :
Mappa
Archetipica
Differenziale
Semantico
È un test potentissimo, fornisce una fotografia completa ed approfondita della personalità ed effettua una dia11
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gnosi della struttura profonda. Voglio bene al MADS semplicemente perché le mamme amano le loro creature.
Dalla data risulta che questo test fu somministrato a
Paul circa un anno fa.
È triste e sarcastico che la macchietta da cabaret dello
psicologo impazzito, beffa del destino stile “Dottor
Catrame e Professor Piume”, si sia realizzata così, un
mese fa, quando il dottor Paul Damant, psicologo, ex
ricercatore nell’équipe dell’Istituto di Topografia
Archetipica, è andato in crisi psicotica con chiari sintomi schizofrenici e c’è rimasto.
Ma io so distinguere i romanzi dalla realtà e per me è soltanto un fatto assurdo, che non ha alcuna spiegazione.
Quando tento di aprire il file mi viene immediatamente
richiesto il mio nome e il codice di autorizzazione che
sarà verificato via rete.
Si tratta di una misura di cautela della mia équipe di
ricerca per evitare che persone non adeguatamente formate nel campo della TA (Topografia Archetipica) possano interpretare un materiale così complesso e delicato come quello fornito dal MADS.
Alla richiesta del calcolatore mi affretto a dire al microfono:
– Arianne de Selin, Psicologa Clinica. Codice
D68XEV36AZIZ.
Il calcolatore mi mette in attesa perché la rete è
sovraccarica.
Chiudo gli occhi e lascio andare i pensieri.
Qualcuno sta bussando alla mia porta.
Spengo il computer, interrompo senza estrarre il
dischetto e tolgo il visore.
– Arianne, sei in camera?
È la voce di Sonia, una “volontaria internazionale”
arrivata dal sud-America, anche lei si trova qui da
poche settimane.
– Sì, aspetta che ti apro.
Apro al suo volto piacevole e al suo sguardo profondo,
è stranamente imbarazzata...
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
– Fai bene a chiuderti; mi è successa una cosa...
Cosa sarà successo? Tendo i muscoli del collo e del
viso. Lei continua abbassando la voce:
– Nella mia camera è entrata Carol, quando preparavo
la cena. Non so come mai ma ho dimenticato di chiuderla. Ha trovato il mio accendino. Ha bruciato dei
giornali sul mio materasso e ci ha urinato sopra. Se per
questa notte dormo da te, che so che hai un letto in
più, non ti dispiace?
Le distendo in faccia un sorriso e le faccio cenno di
entrare come se la stessi invitando a ballare un valzer.
– Ho lenzuola pulite nell’armadio, le coperte non servono.
Lo hai scoperto adesso?
– Sono salita un momento perché avevo già mangiucchiato qualcosa in cucina e non mi andava di cenare.
Sono salita in camera adesso. Vuoi una sigaretta? – Il
suo profumo di gelsomino si diffonde nella stanza.
Estrae cartine e tabacco, si siede ed inizia a distribuirne
un pizzico su una cartina e comincia ad arrotolare. Apro
la finestra e ci mettiamo sedute sul davanzale. – Come
mai sei finita in questo posto? – Mi chiede, porgendomi
la prima sigaretta ed iniziando a preparare la seconda.
È seduta a cavalcioni sulla finestra e ha appoggiato la
cartina sul davanzale, sollevando la gonna. Ha delle
belle gambe e indossa un paio di mutandine bianche, aderenti e molto sgambate, ha tre catenine
d’argento alla caviglia.
Le rispondo dopo un attimo di distrazione: – Ho passato
un... periodo difficile e ho deciso di cambiare aria.
Ultimamente non legavo con nessuno e vivevo tra casa e
lavoro... – (questo è abbastanza vero: una vita da ricercatrice, grigia e ritirata, spesso acidula e insipida. acerba.
Non avrei avuto l’impulso di imbarcarmi questa “missione” senza il convincente interessamento di El Aziz).
– Uomini... non avevi qualcuno?
Accendo la sigaretta: – Mmm... No, ultimamente proprio nessuno. È stato un periodo... Proprio pesante. –
(anche questo è purtroppo vero.).
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PAUL DAMANT
Lei mi guarda e usa un tono confidenziale: – Io non
sopporterò di stare ancora molto in questo posto.
L’associazione di solidarietà internazionale che mi ha
inviata qui vuole ancora un anno... vuole che faccia un
anno intero nell’ospedale. Sono settimane che non vivo.
Sarà un mese che non faccio sesso. Mi capisci, vero?
La capisco, anche se per me quel periodo è tristemente
più lungo.
– Non c’è nessuno qui che valga la pena... – Concludo.
– Ma va’ Arianne, non ti piace neanche quello psichiatra giovane, il dottor Adamus Sandor? Guarda che ho
visto come lo guardavi ieri, in “farmacia”.
Un tenuissimo brivido sfuma sul mio seno.
– È vero, mi piacciono le sue mani. Anche come le
muove. Mi piacerebbe fargli... carezzare le fragoline. Ma
è troppo timido, un puro: non capisce altro che il suo
lavoro.
Guardiamo fuori, rapite da un tramonto perfetto.
Le prime stelle e le sagome basse degli ulivi, una brezza
leggera.
– Il posto è molto bello: ti ubriaca... – Dico socchiudendo
gli occhi.
Mi sento in sintonia con Sonia, credo che i nostri respiri vadano allo stesso ritmo e, mentre parliamo di cose
banali ma con un tono speciale, sento il desiderio di
confidarmi con lei, di lasciarmi andare, anche se non
intendo rivelarle nulla riguardo a Paul.
Il buio arriva senza che me ne sia accorta e quando me
ne rendo conto guardo Sonia con aria interrogativa. Lei
se ne accorge: – Hai gli occhi stanchi, Arianne. Prima di
dormire ti faccio un massaggio e ti racconto una storia
per bambini, del Perù, ti va?
– Lo sai Sonia che non mi sono accorta del tempo
che è passato?
Rientrando dal davanzale mi sembra di vedere per un
attimo una sagoma nera scendere dietro gli ulivi, oscurando per un istante alcune stelle basse sull’orizzonte.
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
– Cosa c’è?
– Niente, un’altra cosa strana.
– Cosa?
– Niente... Un’ombra...
Devo avere gli occhi stanchi, meglio chiuderli un po’. Mi
stendo sul letto e la mia amica peruviana si siede
accanto ed inizia a massaggiarmi con energia e dolcezza la base del collo, con un ritmo lento. La sua voce è
tranquilla: – Ti racconto la storia di un fiore che vive
sulla montagna d’oro... È pronto a sbocciare ma non sa
se le farfalle sentiranno il suo profumo e verranno a
fecondarlo. Si sente solo solo, anche se è il più bel fiore
di tutto il mondo. – Mi passa le mani tra i capelli. – Hai
dei bellissimi capelli, sono poche le bionde naturali che
hanno un colore così puro. Prova a rilassarti, segui il
ritmo del tuo respiro, sento ancora muscoli tirati qui
sulle spalle e sulla schiena... Il fiore incontra allora la
farfalla dei sogni che gli racconta che lui non può
decidere quando sbocciare, che deve lasciarsi andare
nei suoi sogni e che in questo modo, quando tutti i
colori dei sogni passeranno tra i suoi petali, allora succederà qualcosa di straordinario... Allora il fiore inizia
ad aprirsi e a sognare. Sogna di farfalle delicate che si
avvicinano e lo sfiorano: la farfalla blu, quella rossa,
quella bianca... Ognuna lascia un po’ del suo colore sui
suoi petali... Così sarà completamente aperto e addormentato quando arriverà la farfalla più bella, quella
che lo inonderà di polline, la farfalla che ha il colore
della notte stellata...
Mi cullano gli echi dolci della sua voce, avvolgono la
mia mente in un sonno morbido e profumato.
*
*
*
Cosa succede quando nel pieno sole del mattino ti
ritrovi immerso nel segreto di questo immenso budino... Il budino senza limiti, senza confini, che esce da
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PAUL DAMANT
tutte le finestre, dilaga, si arrampica sul muro, si gonfia e colora, sommerge il grande nocciolo in giardino, lo
tagli e si apre sempre di più, diventando il tutto... complicato, irrisolto rompicapo... Un gigantesco ed informe
ostacolo separa dalla soluzione. Nel centro della questione una nocciola dal guscio molto sottile, caduta in
testa ad un uomo dall’ombrello invisibile: un camminatore di pianura che sperava di non incontrare ulteriori grattacapi nel suo passaggio verso una nuova era.
L’uomo, barbuto, cammina verso il suo luogo di lavoro:
un manicomio, nella Francia meridionale, dove esercita l’onorata professione di psichiatra.
Il suo rompicapo si chiama Paul Damant, un certo
paziente dall’anamnesi lacunosa (come dire che ha un
passato oscuro) volontariamente costretto a un regime
di psicofarmaci piuttosto pesanti che gli procurano una
notevole difficoltà di movimento.
Lo psichiatra gli si avvicina, gli orbita attorno come un
sasso lanciato dalla luna poi cerca il suo sguardo,
nascosto dietro all’albero.
– Saaaaalve – Paul sorride togliendo le mani dalle
tasche e allargando le braccia.
– Buon giorno Paul... Cammini meglio, oggi?
– Dottor Adamus... chiede?... Cammino ... – Esce da
dietro l’albero, abbassando la testa.
– Tutto bene?
– Sai come cadono... Tali foglie sbattono le ali... Le senti
nell’aria?
Lo psichiatra, il dottor Adamus Sandor, cerca di afferrare il senso:
– Le cicale?
Paul lo guarda con disprezzo ed arretra:
– Tu cammini nell’asfalto. Hai la giacca di piombo...
Niente musica e... ho dentro il veleno. Nella bocca tutti mi
hanno tradito... Nella bocca... – Paul si sputa sulla mano.
– Stanno qui. Ma non li faccio entrare nella bocca, per
rubare quello che mangio.
Paul voleva parlare di farfalle, di un rumore silenzioso
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
che Adamus Sandor non può sentire, nascosto nell’interminabile frastuono delle cicale.
Verso finalmente il budino nelle tazze, osservando la
scena. Poi un’infermiera chiude la finestra e perdo
alcune battute del loro dialogo.
Porto due vassoi nella sala da pranzo e metto in tavola
la colazione.
Diciannove piattini di marmellata, il burro, i panini, le
tazze di budino...
Il dottor Adamus affaccia per un momento alla porta il
suo volto barbuto e saluta Sonia che lo ricambia con
un saluto peruviano, poi lui si rigira di scatto, sbattendo maldestramente contro una paziente alle sue spalle.
Adamus sembra la pallina di un flipper.
Sonia trattiene delicatamente la paziente che, muovendosi come un robot arrugginito, cerca di entrare prima
delle nove precise; poi sorride, lascia il suo braccio, la
accompagna a sedere. La pelle di Sonia di un bel colore scuro, risalta nel camice azzurro delle volontarie, il
suo sorriso è come questo sole vivace di inizio luglio.
Mi avvicino.
– Hai mangiato qualcosa? In cucina c’è ancora la torta
di Denise.
– Grazie, Arianne. Prendo qualcosa poi. – Sonia inizia a
preparare un panino per la paziente: burro e marmellata.
– Poi usciamo?
Dopo mezz’ora usciamo in giardino, con un bicchiere di
carta in mano e una bottiglia di sidro dolce. Mi lascio
carezzare dall’aria calda, dentro la quale il Mistral
mescola come un abile barman decine di diversi aromi,
crea ricordi senza immagini, profezie.
Ci sediamo sul gradino del mausoleo Romano, tra gli
alberi.
Sonia si aggiusta il camice, ma è un peccato coprire le
sue belle gambe; mi passa il bicchiere.
– Hai sentito Paul Damant... il flauto?
L’avevo sentito suonare, più che un flauto sembrava un
urlo di disperazione frenetico: dalle tre e mezzo alle
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PAUL DAMANT
quattro del mattino, sino a quando l’avevano fatto
smettere. Quel flauto trasmetteva la sua angoscia.
– Suona molto bene – Rispondo togliendo gli occhiali
per pulirli con un tovagliolino, cerco di assumere un’espressione assente.
Sonia si avvicina: – Già... e parla bene, anche... quando vuole... – mi sta guardando negli occhi, come a cercare di penetrare il mio schermo di indifferenza. Ha
uno sguardo intenso, quasi da maga woodoo, e temo
per un momento che sia a conoscenza di qualcosa...
– Ieri mi ha chiesto di comperargli... un CD, al villaggio: mi ha detto il titolo esatto, l’autore... Mi ha dato
anche i soldi (chissà dove li trova). Che tipo è questo
Paul, secondo te?
Io non rispondo, sorrido e alzo le spalle (posso permettermi un certo distacco: in fondo lavoro qui solo da tre
settimane). Rimetto gli occhiali. Il sidro fresco mi toglie
da un istante che si sta riscaldando troppo.
Un paio di macchine di turisti si fermano nel parcheggio degli scavi archeologici, allontanando il mio sguardo, ritornato nitido con gli occhiali puliti, dall’ingresso
della Clinica Psichiatrica.
– Arianne, secondo me Paul non è affatto quello che
sembra, c’è qualcosa sotto, non trovi?
– Non lo so, non mi sono fatta un’opinione. – Sento una
vaga tensione ai muscoli delle gambe, come se volessi
fuggire da un silenzio che diventa difficile da gestire,
poiché sono troppo coinvolta.
Mi alzo, osservo il bassorilievo alla base del mausoleo.
Rappresenta dei militari romani a cavallo, intenti ad
uccidere un’animale, apparentemente un cinghiale: se
questi bassorilievi avessero un valore simbolico, oltre
che celebrativo, potrebbero smentire la leggenda della
tolleranza religiosa dei conquistatori romani: il cinghiale
era simbolo della religione druidica dei Galli, animale
sacro perché a contatto con la madre terra e con le radici degli alberi... I Romani che uccidono la religione dei
Galli perché troppo vicina all’inconscio... un esempio del
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
conflitto nevrotico tra l’Io e l’Es, e poi questi cavalli,
emblemi di potenza, di dominio insigne... La mia mente
si perde nel mio bosco, nella mia foresta di simboli e
deduzioni teoriche, nel luogo che mi è più congeniale.
Sonia pondera il mio distacco e, sembra malvolentieri,
torna ad essere meno confidenziale:
– Che si dice in riunione? Non vengo da una settimana...
Lei considera le riunioni qualcosa di inutile e formale,
perdite di tempo senza reale contatto. In effetti la
riunione delle tredici consiste in un sonnolento e digestivo passaggio di consegne tra gli infermieri del turno
del mattino e quelli del pomeriggio.
*
*
*
Anche oggi, alla riunione, ci sono quasi tutti: una ventina di facce inespressive. C’è la dottoressa Tremil: la
psichiatra che da qualche mese è passata a dirigere il
reparto, appoggia il quaderno del rapporto in grembo al
suo vestito verde-mela impeccabile.
Sul rapporto le note del turno di notte: è indicato l’episodio di Paul e del flauto (sottolineato in rosso) e la composizione della flebo-cocktail utilizzata per chiudere il
sipario.
Sedato pesantemente e già in piedi alle otto del mattino...
Ecco un nuovo record di Paul.
Anche oggi gli infermieri “storici”: le “colonne” della clinica, (due uomini e una donna sulla cinquantina, grossi come palombari) lasciano immediatamente affondare il loro peso nelle poltrone della sala riunioni, sino ad
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PAUL DAMANT
entrare in un sonno di piombo, debolmente ondeggiante nel ritmo sommesso e regolare della discussione.
Appoggiano semplicemente la testa nel cuscinetto del
loro enorme doppio mento, distribuiti su tre lati della
sala abbassano le palpebre verso le guance arrossate
dai soliti bicchieri di troppo, si mettono a rantolare
sommessamente, strumenti perfettamente accordati in
questo tipo di orchestra. A tratti uno di loro sottolinea
il buon esito della riunione aprendo all’improvviso gli
occhi come un gigantesco bambolotto meccanico per
ruttare in modo non del tutto soffocato.
Prende la parola Denise, una delle infermiere psichiatriche più giovani, la sua bellezza quasi acerba si giova
del suo tono irritato:
– Ieri, al mattino presto, Suor Angelique ha fatto scrivere dei pensieri a quattro o cinque ricoverati, si sono
impegnati molto, li ho visti molto presi dal compito... –
Affiora una chiazza rossa sul suo collo, contratto per la
tensione. – ...però la suora ha lasciato i fogli scritti da
loro sul tavolino, all’ingresso della sala TV e non li ha
nemmeno letti. Credo che si sarebbero sentiti un po’
gratificati per il loro impegno se qualcuno...
– Grazie, glielo diremo per la prossima volta – interrompe annoiata la Tremil.
– Qualche altra situazione?
Sonia chiede la parola:
– Carol è entrata nella mia stanza ieri pomeriggio, ha
dato fuoco a dei giornali sul mio letto e li ha spenti
come fa di solito... ci ha urinato sopra.
– Così imparerai a tenere la porta chiusa. Ultimamente
si commettono troppi errori di distrazione, sentite il
caldo come gli psicotici? Qualcos’altro?
Il dottor Adamus Sandor fa un cenno...
– Io, scusatemi, vi annoierò, ma voglio ritornare sulla
diagnosi che abbiamo... di schizofrenia, per il caso di
Paul Damant. Il soggetto presenta un eloquio di tipo
psicotico, arriva all’insalata di parole tipica della forma
ebefrenica della schizofrenia... Eppure il comportamen20
IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
to durante questo mese di osservazione non ha presentato le tipiche bizzarrie. Sappiamo anche che ha un passato di psicologo clinico e di ricercatore universitario,
che non ha mai sofferto in adolescenza di scompensi
psicotici, che il suo scompenso è avvenuto solo un mese
e mezzo fa, durante una visita ad Arles, presso la casa
di una sua collega, la dottoressa... – Cerca nel fascicolo
rischiando di rovesciare tutto a terra... – ...Victoria
Louzac, che ha fatto intervenire un’ambulanza (anzi,
credo che sia intervenuta anche la polizia, avvisata dai
vicini... per gli schiamazzi del soggetto) e in seguito al
ricovero in reparto psichiatrico è stato trasferito qui.
L’ho osservato e ho parlato con lui ogni giorno e in diversi momenti mi è apparso non solo lucido, ma anche molto
empatico, capace di un reale contatto relazionale
affettivo, in totale contrasto con la diagnosi iniziale di
schizofrenia: mi sembra più uno scompenso psicotico di
origine traumatica, anche se francamente... Volevo portarvi anche i risultati di alcuni test che ho scaricato dalla
rete ma... non riesco più a trovarli. Comunque gli elementi del suo delirio sono inquietanti e fanno pensare a...
La voce spigolosa e dissonante di Adamus Sandor infastidisce la tranquilla platea. Arriva a chiedere ancora
altri colloqui, la ripetizione dei test, un altro periodo di
osservazione per il “caso dubbio” Paul Damant prima di
fissare definitivamente la diagnosi. Accenna a una
“logica profonda di alcuni deliri”, a una sconosciuta
“sistematicità”, a una “integrazione”. Come dire che
durante i colloqui con Paul, in quel budino di parole, è
riuscito a ripescare il nocciolo del problema: una nocciola dal guscio sottile che non riesce a rompere (né a
farsi aiutare nel suo tentativo da nessun membro dell’équipe). Parla muovendo le mani, nervosamente, ha
mani delicate e dita lunghe e perfette. Mi piace gustarmi la sua dissertazione elegante, il suo gesticolare
ansioso ma non aggressivo, carico di una strana elettricità, le sue labbra morbide e appassionate.
Qualcuno urla in corridoio, la porta viene chiusa e ven21
PAUL DAMANT
gono spalancate due finestre. L’odore di fumo e di
urina viene spazzato via, in un attimo, e il dottor
Adamus viene interrotto dalla voce secca della Tremil:
– Sono naturalmente episodi di miglioramento e modalità legate al tipo di terapia farmacologica...
Finalmente, è passato un tempo sufficiente, è... regolare che i farmaci stiano facendo il loro effetto...
Tappata così la bocca alla voce dissonante di Adamus
vengono assegnati alcuni compiti ed aumentata per
Paul la dose di ansiolitici e neurolettici.
– ...Possiamo aggiornarci a domani. Ah, un attimo, vi
devo ancora segnalare l’arrivo di una nuova paziente,
da Avignone, la signorina Françoise Guidermas, di
diciotto anni, che si trova al suo primo episodio psicotico acuto. Probabilmente la incontrerete. In ogni caso
ne parleremo successivamente.
Trascrivo alcune cose dette dal dottor Sandor che mi
aiutano a capire meglio la situazione, altre non ho problemi a ricordarle: ha rivelato il nome della persona che
era con Paul al momento della crisi che ha prodotto lo
scompenso, la dottoressa Victoria Louzac, un nome
che per me riemerge da un passato sgradevole: come
diavolo ho fatto a non vedere il nome di quella stronza,
ieri sera, mentre mettevo il naso nella cartella di Paul?
La riunione è finita.
Si sfila veloci e silenziosi lungo il corridoio.
La Tremil e due infermieri “storici” spariscono dietro la
porta della “farmacia”; Sonia entra nella stanza di Carol,
che sta ridendo in modo inarrestabile, piegata sul letto;
un inserviente, bestemmiandole contro si avvia a prendere straccio e secchio, per ripulire un angolo bagnato;
il dottor Adamus sale verso il suo studio; altri escono
verso l’ala sud. Più avanti, in fondo al corridoio, c’è il
vecchio Michel, in piedi, pietrificato, le pupille dilatate, i
capelli bianchi lunghi e scompigliati, l’accappatoio scuro
aperto sul davanti. Aiuto Denise a farlo rientrare in
camera, è gelato e sta tremando, è in panico.
22
IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
Arriva anche Sonia che gli prende una mano, la accarezza
brevemente, poi lo fa sedere, si siede accanto, lo pettina
con gesti lenti e mantenendo il contatto fisico.
Lui continua a bisbigliare, ma sempre più sommessamente, oscillando avanti e indietro la testa e il tronco:
–Maledetti morti!... Maledetti morti... – Denise è in piedi,
i capelli rossi raccolti in una piccola coda, mette silenziosamente i vestiti nel sacco per la lavanderia.
Io vado avanti: il corridoio curva ad angolo retto, arrivo
in fondo, apro la porta...
Paul Damant è seduto al centro della sala TV, lo vedo
di spalle, silenzioso, fissa il video spento.
È da solo.
Mi avvicino.
– Sento il tuo passo, vattene.
Si volta lentamente, con un movimento quasi meccanico.
Urta una bottiglietta d’acqua ai suoi piedi.
Provo un mitigato senso di orrore guardando ancora
nei suoi occhi alterati dai farmaci e dalla psicosi: non li
mette a fuoco, sembra che guardi lontano, alle mie
spalle, anche se sono ad un metro da lui.
– Questo è calore di tagliola – tossisce – ...è riservato
e... Non ci sono più dettagli per voi aruspici, nemmeno
un dito ventrale!
– Come stai, Paul? Ti ho portato un vasetto di miele.
Tiro fuori il vasetto dalla tasca del camice e glielo
porgo, poi lo appoggio sulla sedia vuota accanto a lui.
Mi guarda e la sua agitazione aumenta:
– Naturalmente, naturalmente: cosa credevi? A volte
come sintagmi nominali a ripercorrere le tue davaresi...
– Vuoi che venga a trovarti anche stasera, Paul?
– Quaranta gocce di piombo... Aloperidolo secco secco
e naturalmente non parlano più con le ali e senza i
colori... Senza colori...
– Le tue farfalle? I pensieri? Senti l’effetto del farmaco, eh?
Sono impotente: senza farmaco ritornerebbero le allucinazioni ed io passerei un’altra notte a straziare il ricor23
PAUL DAMANT
do di te, che stimavo e amavo, guardando i tuoi occhi
spiare negli angoli, scrutare con sospetto le gambe dei
tavolini, contare oggetti volanti che vedi soltanto tu.
Mi siedo davanti a lui, lo guardo serrare il pugno vuoto
e iniziare a battere i piedi ritmicamente nella pozza
d’acqua della bottiglietta rovesciata.
Si è alzato in piedi, aggiusta la larga camicia bianca, di
quelle fatte indossare ai ricoverati, infilandola nei jeans
neri, aderenti. Il suo corpo poco più che trentenne e
piuttosto atletico, trema debolmente per l’effetto dei
farmaci. Si accorge del poco controllo del movimento e
l’espressione del volto si fa più triste.
Ha quasi le lacrime agli occhi. Ma forse è solo una
proiezione delle mie.
– Arrivederci, alle dieci e mezzo. – Lo saluto passando
la mano sulle sue spalle.
Esco dalla sala mentre sta entrando Michel, rivestito e
più calmo.
Denise, dietro di lui, sta raccogliendo una decina di
fogli scritti da un tavolino; su alcuni di essi mi sembra
di riconoscere la scrittura di Paul.
Sono il risultato dei buoni intenti ma della poca capacità di Suor Angelique, la missionaria in terra di pazzia
che la Tremil ha fatto arrivare dopo aver partecipato
mesi fa ad un convegno di psicoterapia rogersiana organizzato da un’associazione religiosa. Dicono che dal suo
rientro la Tremil si senta investita di non so quale missione superiore e che l’ingresso di alcune suore in clinica è in relazione con le sue frequentissime visite al vicino monastero. Inspiegabile, vista la sua personalità glaciale, a meno che la Tremil non abbia instaurato una
relazione sado-maso con qualche suora.
Comunque la cara sorella Angelique sorride, sorride, sorride. Accetta chiunque, secondo le convenzioni rogersiane,
poi si dimentica di dare un’occhiata a quello che i ricoverati hanno scritto espressamente per lei, sembra per lei
cosa consueta accogliere “incondizionatamente” qualcuno senza provare a capirlo a livello profondo.
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
Mi offro per portare i fogli in archivio e Denise me li
consegna senza farci caso.
Salgo al piano superiore e vado in fondo, oltre la seconda porta a vetri, verso le stanze delle tre infermiere residenti e delle volontarie. È strano come così rapidamente questo posto mi sia diventato familiare.
La mia stanza è l’ultima a destra.
Chiudo a chiave la porta, mi siedo, chiudo le imposte
che avevo spalancato al mattino e accendo la lampada
della piccola scrivania disponendo i fogli in modo ordinato. Ci sono gli scritti firmati di quattro pazienti:
Roland, l’esibizionista che confida a tutti in gran segreto di collaborare con i servizi segreti e con l’aeronautica
(però suo padre è veramente un generale in pensione).
Carol, la donna psicotica di circa quarant’anni che si
divertiva ad incendiare cassonetti delle immondizie e
qualche rivendita di giornali e tabacchi e che non ha per
nulla perso il vizio, compreso quello di urinare ovunque.
Maddy, una ex-giornalista che durante il suo progressivo scompenso schizofrenico aveva dato scandalo
conducendo alcune interviste ad atlete olimpiche che
l’avevano in seguito denunciata per molestie sessuali.
Infine ci sono quattro pagine scritte da Paul.
Riesamino tutto con calma:
Lo scritto di Roland, l’esibizionista, è una preghiera alla
madonna della neve, patrona dello sciatore, del
patriota e dell’agente dei servizi segreti, che veglia sull’inaccessibilità delle cime più inviolate come la sua
santa verginità e sui segreti che un buon agente non
rivelerà neanche sotto tortura, arrivando al martirio
per la patria e ad essere seppellito (chissà perché poi)
sotto un bianco mantello di neve.
Molto interessante, considerando la simbologia del
mostrare-coprire presente nella sua patologia farebbe
pensare a una qualche idealizzazione e sessualizzazione della figura materna.
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PAUL DAMANT
Lo scritto di Carol l’incendiaria è una specie di lettera:
“Carissima Suor Angelique
Collegio Beata Vergine
Sono lieta quando si reca in luoghi a me sconosciuti,
come la ricerca di gesta d’amore e di sollievo e libertà fisica e morale perché lei ha sempre un alone irradiante
dovuto alla sua personalità.
Io soffro d’inedia, ma non nel senso comune diritto:
provvedere agli altri e illuminata dallo spirito santo.
Spero per l’ultimo che DIO abbia un progetto per me.
Io da parte mia tra i credenti sia cristiani che carismatici, evangelici, luterani, movimento gentile, Chiesa di
Cristo, mormoni e anglicani ho tra loro considerazione.
Steiner e Goethe li seguo ardentemente anche con la
fantasia.”
Questi Spiriti Santi che illuminano e aloni irradianti,
che abbiano qualcosa a che fare con la passione di
Carol per il fuoco ?
Anche le parole di Maddy restano legate al suo tema
dell’aggressività maschile, un tema che lei ricalca in
modo inquietante in tutto ciò che esprime...
“Sorella mia. Coesistere è un termine illogico se non
instauri delle innovazioni cognitive, per cui devi adattarti.
IO conoscendo le facoltà individuali e anche fuori contesto le inquadro semplice: ci sono cose e persone evidenti che nulla conoscono della vita banalità.
Ognuno ha il suo pungiglione.
AFFIDABILE NELLO SGUARDO E NELLE PAROLE
GESTI DISINVOLTI MAI GROSSOLANI.
E LE FEMMINE SE NON SI MOSTRANO DONNE È
PERCHÉ SANNO E DA DONNE CONSIDERANO GLI
UOMINI COME DEGLI UNCINI...
IO HO SCELTO LA MIA PATRIA? MAI UN PARTITO.
POSSO INTERFERIRE E MUTARE IL MIO SENSO DELL’ARBITRIO.
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
TUTTE LE DIFFRAZIONI DIMOSTRANO CHE IO MI
ATTENGO.”
Ho lasciato per ultimo lo scritto di Paul, sul quale
voglio lavorare con calma.
Le quattro pagine sono senza correzioni anche se il titolo sembra scritto con una penna diversa e la scrittura
è leggermente tremante:
“Grandi nomi pulsavano tra foreste di scatole incollate, erano le lettere aperte dal suo antico vizio di elaborare ciò che nascondeva senza svelarlo affermativamente.
Capire le scritture segrete di San Goffredo e ritrovare
nelle lettere di Majakovskij il senso del suo vagare ignoto, generando infiniti penetranti e spigolosi fortini, difese avanzate nella terra difficile verso la quale si era
mosso un’altra volta in un ultimo quotidiano rito: la
notte che scende, le vecchie barche da pesca con le lampare accese, all’orizzonte, e mille altre amenità che
scorrendo trascinavano tutto verso qualche azione
misteriosa che – sentiva – doveva essere compiuta:
sentenza di creazione.
La sua rituale cerchia era negativa, poteva sottrarre
delle gocce di rame alle labbra di una sgualdrina oppure travalicare verso momenti che lo lasciavano esausto:
un tipo di esistenza non equa, vergognosa e piuttosto
calibrata tra fughe e ritorni.
Perché mi hai lasciato andare via?
Lei lo chiamò attraverso una lente opaca e lui vide che
non erano giorni per loro. Segnò una X sul portacenere e
tornò ad avvampare tra le sue antiche battaglie navali.
Colpito e affondato.
Ma così in fondo che non erano stati capaci di consegnargli neanche una ragione, un senso.
Così continuava a derivare e volava in basso, verso le
cime delle montagne, verso nuvole passeggere e grandi
isolati cittadini.
27
PAUL DAMANT
Guidava sicuro tra palazzi senza nome che si riparavano coprendosi a turno le spalle. Vero che non
c’erano più parchi né clandestini e che tutto era
risolvibile spostando numeri da una casella a un
lampo azzurro.
La troia era vestita di bianco, poteva avere quindici
anni ma ne dimostrava come un bersaglio di frecce usurato. Chiamò per nome il valore e si sedette prendendo
confidenza con quanto era necessario.
La velocità era fondamentale.
Senza quella sarebbe occorso pensare e sarebbe stata la fine.
Come ti comporti bene stasera, sei brava e potresti vincere un premio per quello che ne so.
La miglior puttana della settimana.
Poi mandala al diavolo, accelera per incontrare lucertole
avvizzite e predatori in blu. Carnevali spagnoli senza un
po’ di mostarda e con la solita birra che guasta la nostra
memoria: migliorare l’estro e dimenticare il disastro.
Lascia la macchina e cammina lungo il molo.
L’aria è fredda e come abbandoni le tue storie così salgono, a galla, d’argento, con la crescente voglia di
andare al nostro mondo desiderato.
Andare all’altro mondo.
Una volta ripreso guardò il mare senza un tempo qualificante: come se le rose disperse, il vestito buttato a
terra, la cornice spezzata e il vetro a pezzi e la foto...
Come se tutto non fosse stato digerito e ritornasse a
lacerargli il ventre coriaceo.
Ferite da corrida.
Potevano passare sessanta tori attraverso la sua piazza
polverosa e nessuno avrebbe calpestato la sua insegna:
era rispettato da ciò che fa scaturire i tuoni.
Mostrava il passo lento verso qualche passante non distratto e poteva vincere senza segnare punteggi.
Calmo rientrò e si distese accanto a lei.
Sognò di verdi assemblee di allibratori; “Argento” correva in seconda corsia e “Revolver” era un cavallo favorito. Poi “Mustafà” che sembrava un vagone nero con i
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IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
vetri abbrunati, “Jehovah” che aveva l’anello di Dio
all’ombelico e si incendiava senza bruciarsi.
Come sarebbe bello se andando a caccia di confini si
arrivasse alla libertà!
Verdi corsie sudate, frustate, bestemmiate, come gli
Argentini al ritorno.
Il loro coro lo liquidava come codardo e i cavalli lo mettevano in fuga lungo i binari della stazione: salivano
dappertutto e il fuoco dei loro occhi rendeva di sale gli
emigranti al ritorno, risparmiando solo lei, quella dai
capelli neri, che lo guardò con occhi tristi e non seppe
neppure risponderle: “Dove sei finito?”.
Si svegliò col ricordo di quell’altra sconfitta e accese il
suo negoziatore.
“Ecco dove sono finito: nel posto in cui nemmeno un emigrante vorrebbe ritornare.
Questo posto si chiama storia
E il mio mercato ha nome “INIZIO” ”.
Sono confusa.
Capisco pochissimo di ciò che queste pagine esprimono.
I miei buoni propositi di analizzarle attentamente sfumano nella deprimente sensazione di essermi persa in
un caotico concerto di sogni, un luogo staccato e
inaccessibile alla mia esperienza. Parla di alcune relazioni, riconosco degli episodi dei quali la protagonista
potrei forse essere stata io, ma è tutto così frammentato, il filo della logica è spezzato e ingarbugliato in più
punti, sostituito a tratti dal filo che lega due parole solo
per assonanza o analogia.
Paul, in quale stato mentale ti trovi?
Che “sentenza” il destino ha eseguito su di te?
Appoggio i fogli nel cassetto e noto con grande sorpresa che il retro dell’ultima pagina è completamente scritto, ma a matita, in modo appena visibile. La scrittura è
sempre quella di Paul:
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PAUL DAMANT
“...è molto pericoloso e potente, non è solo il simbolo di un’aggressività maschile, espansiva e
intrusiva: Ogni parte del corpo del drago ha legame
funzionale con le altre: un dotto, un’arteria, prosegue nei
diversi segmenti unendosi con le interfacce presenti in
ciascuna parte, eppure ogni parte può essere sezionata,
staccata dalle altre, senza uccidere l’intero organismo.
È un organismo-mosaico, fatto per andare in pezzi e
ricomporsi, fatto per sostituire pezzi usurati con altri
nuovi.
È un mosaico frattale: la struttura di base è facilmente
riproducibile, arcaica, la possibilità di ricomposizione è
estesa anche alle più piccole componenti, le quali ripetono la struttura complessiva.
La composizione, la decomposizione e la possibilità di
considerarsi un tutto unico fanno parte del drago...”
IL MANUALE PER GIOCARE NEL BUIO
quaderno a quadretti sul quale è possibile che si
trovino anche altri appunti, è probabile che le righe
a matita, semi-cancellate che riguardavano il drago
siano state scritte in precedenza e strappate per
errore credendo che i fogli fossero tutti bianchi.
È possibile che su quel quaderno ci sia del materiale
non totalmente degenerato: un materiale preziosissimo per capire con quale progressione la sua malattia lo
abbia colpito.
Stasera cercherò quel quaderno nella sua stanza.
Riconosco immediatamente il contenuto: Paul fa riferimento al simbolo del drago, forse fa parte del lavoro di
approfondimento che stava portando avanti alcuni
anni fa, poco prima che io perdessi i contatti con lui.
Aveva raccolto materiale riguardante il drago da tutte
le mitologie, intervistato pazienti psichiatrici, collezionato sogni, disegni e reperti di tutti i generi, esplorando zone mentali ancestrali con particolari tecniche
ipnotiche (a volte con l’uso di sostanze allucinogene).
I risultati delle sue ricerche erano mappe, simili a quelle di Neumann, che collegavano tra loro i diversi simboli archetipici. Era il suo modo di procedere sul nostro
terreno di ricerca comune, nel campo sottile e profondo della Topografia Archetipica, il suo obiettivo era
creare una mappa completa degli strati più profondi
dell’inconscio collettivo.
Questi fogli appaiono vecchi, dai bordi rovinati,
diversi da quelli usati dagli altri pazienti (che erano
normali fogli A4 messi a disposizione da Suor
Angelique): da come sono stati strappati sembra che
Paul abbia preso i fogli da un suo quaderno, un
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