Processo penale - Associazione Nazionale Magistrati
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Processo penale - Associazione Nazionale Magistrati
Esame incrociato e linee guida Processo penale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati *Giudice del Tribunale di Siracusa Michele Consiglio* Nel luglio dell’anno 2008, poco prima di un’udienza collegiale presso il Tribunale penale di Siracusa che si annunciava funestata dal caldo estivo, mi sono trovato a conversare con l’Avv. Ettore Randazzo. La discussione, dopo reciproci sfoghi sulla insopportabile canicola ed il cronico malfunzionamento dell’impianto di aria condizionata, ha assunto, non ricordo bene come, natura decisamente diversa. Ad un certo punto infatti l’Avv. Randazzo, senza troppi fronzoli introduttivi, ha iniziato ad invitarmi a considerare l’opportunità di approfondire alcuni aspetti problematici della crossexamination, quali l’inopportunità di consentire la riformulazione delle domande suggestive, la necessità di specificazione delle liste testi e di valorizzare il disposto del comma 1 dell’art. 506 c.p.p. ed altro. Man mano che l’Avvocato parlava, pur se le mie risposte erano cortesi, la mia mente produceva pensieri del tipo “ecco il solito panegirico del processo nella esclusiva disponibilità delle parti”, oppure “eccessi di formalismo a costo della verità” ed altre cose di questo tipo. Ad un certo punto della discussione, che a me sino a quel momento m’era parso riguardare solo i difensori ed il P.M., non ricordo come ed in che modo, 112 l’Avv. Randazzo mi ha detto che neanche il Giudice, secondo lui, poteva fare domande suggestive, che non doveva interrompere l’esame ed il controesame, che prima di parlare doveva interloquire con le parti e che bisognava eliminare tutte queste prassi distorte che violavano i principi di legalità del nostro codice. A questo punto i miei pensieri sono divenuti qualcosa del tipo: ma come? Io giudice terzo, io che non ho mai alcun interesse nella vicenda che tratto se non quello di sapere come è andata realmente, io che non amo null’altro se non la verità, non posso fare domande? non devo interrompere? devo aspettare che le parti finiscono? Ma dove è scritto avvocato? Ma chi l’ha detto? ma il fine del processo è quello della ricerca della verità o quello di assegnare i punti al più bravo della partita...? Da quel giorno di luglio molto è accaduto. L’istituzione, presso l’I.S.I.S.C. (il prestigioso Istituto Internazionale Superiore di Scienze Criminali), del Laboratorio Permanente per l’esame ed il Controesame (LA.P.E.C.), innumerevoli incontri, laboratori, corsi specialistici per magistrati e avvocati, tre convegni nazionali (Siracusa, Alghero, Venezia) ed il quarto ormai imminente (Ravello) ed un deca- logo di linee guida predisposto in occasione del convegno di Venezia con il contributo di giuristi di indiscutibile autorevolezza . Linee guida per l’esame incrociato nel giusto processo 1) La lista testimoniale deve contenere l’indicazione specifica delle circostanze oggetto dell’esame. 2) La domanda vietata e non ammessa non può essere riproposta dalla parte che l’ha formulata, anche se correttamente riformulata. 3) Nel caso in cui sia reiterata la formulazione di domande vietate, benché espressamente censurate, ovvero siano proposte opposizioni che suggeriscono la risposta alla persona esaminata, il giudice ammonisce la parte dandone atto a verbale. 4) Ai periti e ai consulenti tecnici non è rivolto l’invito alla dichiarazione di impegno a dire la verità in merito alle valutazioni di loro competenza, se non limitatamente ai fatti direttamente appresi durante la loro attività. 5) I periti e i consulenti tecnici possono partecipare ad ogni udienza del processo, sia prima che dopo il loro esame. 6) Il giudice non può intervenire durante l’esame condotto dalle parti, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. 7) Il giudice non può formulare domande che tendono a suggerire la risposta alla persona esaminata. 8) Prima di procedere all’esame diretto dei testimoni, dei periti e dei consulenti tecnici, il giudice deve indicare alle parti temi di prova che ritiene rilevanti e utili per la completezza dell’esame, anche per le iniziative che esse riterranno opportuno adottare. Prima di esaminare in concreto questo semplice decalogo di regole condivise una breve premessa si impone. Il giudice è soggetto che, quanto a dialettica processuale, spesso ha difficoltà ad operare un opportuno autocontrollo in quanto è convinto che la potenza di fuoco (in termini di domande) di cui egli liberamente dispone è sempre funzionale alla ricerca della verità e si comporta come un innamorato che ingenuamente pensa di non potere mai nuocere all’amata (la verità) per il solo fatto di amarla. L’esperienza di tutti noi in realtà insegna che per amore si può anche fare molto male. 113 Processo penale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Processo penale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati A proposito di verità, senza troppi giri di parole, ritengo doveroso affermare che nella mente di ogni giudice dovrebbe, senza deroghe, albergare fermamente il convincimento per cui i giudici sono effettivamente chiamati dal sistema a ricercarla (come insegnano Corte Costituzionale e Suprema Corte di Cassazione), ma ciò devono e possono fare solo attraverso sentieri chiaramente tracciati, costituiti dalle regole sostanziali e processuali. Il rigoroso rispetto di tali regole (e tra queste quella fondamentale del contraddittorio nella formazione della prova) fonda e, nello stesso tempo, contiene il potere del giudice nei limiti che il sistema ha voluto concedergli, impedendogli pericolose derive personalistiche. Qualunque sistema processuale moderno e democratico, piaccia o non piaccia, è antimachiavellico; il fine non giustifica mai i mezzi utilizzati per raggiungerlo anzi, al contrario, il fine coincide con quel grado di verità ove si è potuto giungere con i mezzi, e solo con quei mezzi, ritenuti utilizzabili dal sistema. Ciò premesso andiamo al protocollo. Purtroppo nella prassi giudiziaria l’esame incrociato viene svolto troppo spesso in maniera del tutto atecnica; larghissimo è 114 il ricorso a domande suggestive, talvolta nocive, numerosissime sono le inutili divagazioni che le parti tentano quasi sempre di giustificare con la necessità di sondare l’attendibilità del teste. Tutto ciò determina non solo un inutile dispendio di tempo ed energie, ma soprattutto concreta il rischio che la prova, destinata a sorreggere la statuizione giudiziale, si formi male. La suggestività in particolare è patologia largamente diffusa dalla quale occorre mettersi al riparo. L’art. 499 c.p.p. fa espresso divieto all’esaminatore di formulare domande suggestive e tuttavia, secondo la prevalente giurisprudenza, la norma non introduce, per la violazione di detta regola, alcuna sanzione processuale. Secondo una discutibile (ed infatti discussa) prassi, molti giudici, una volta rilevata la suggestività di una domanda, spontaneamente o su sollecitazione di parte, ne consentono la riformulazione, con evidente frustrazione della ratio della norma che tende ad evitare suggerimenti al testimone introdotto dalla parte che lo esamina. Personalmente, in linea con l’opinione del LA.P.E.C., sono giunto alla conclusione che consentire tout court la riformulazione di una domanda posta in termini suggestivi costituisca un Esame incrociato e linee guida errore non di poco momento, con conseguenze idonee ad inquinare la genuinità della fonte di prova e grossi rischi per la correttezza della decisione. Potrebbe obiettarsi che, in tal modo, si rischia di lasciare in ombra circostanze determinanti per il processo sol perché una parte difetta della necessaria competenza nel porgere le domande e che ciò contrasti con la finalità principale del processo penale, la ricerca della verità. A tale seria obiezione può tuttavia ribattersi che, come già osservato, la ricerca della verità non può prescindere dal rispetto delle regole ed inoltre che, qualora la circostanza che si intende provare sia di centrale importanza nella ricostruzione dei fatti, il giudice potrà, in maniera neutra, tornare sul tema di prova porgendo personalmente la domanda al testimone. Ho specificato in maniera neutra perché sono convinto che nemmeno il giudice sia sollevato dalla necessità di evitare suggestioni, sia pure per motivazioni diverse da quelle che hanno ispirato il legislatore in sede di redazione dell’art. 499 c.p.p.. Invero, salvo il caso di soggetti particolarmente sicuri o abituati a deporre in giudizio, nella stragrande maggioranza dei casi i testimoni avvertono sempre un certo metus nei confronti di chi in aula amministra giustizia. Tale timore reverenziale può portare il testimone, anche in assoluta buona fede, ad accontentare un giudice che lo esamina in modo suggestivo, fornendo risposte che, al di là del vero, sono in linea con quanto si crede che l’esaminatore voglia sentirsi dire. Anche in questo caso la finalità del processo viene frustrata e la decisione rischia di scontare vizi che attengono alla formazione del materiale che la deve sorreggere. Come indicato ai punti 2 e 7 delle linee guida, il giudice non può dunque formulare domande suggestive e la domanda vietata e non ammessa non può essere riproposta nemmeno in termini corretti. Il giudice che ritenesse necessario tornare sulla circostanza, potrà chiedere, ex art. 506, comma 2, c.p.p., i chiarimenti del caso. La norma di cui all’art. 506, comma 1, è in effetti caduta nell’oblio e tuttavia la previsione secondo cui il presidente … può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi si traduce in un importante strumento di conciliazione tra le esigenze di completezza e chiarezza istruttoria tanto care al giudice ricercatore della verità processuale e la natura tendenzialmente accusatoria del nostro processo penale. 115 Processo penale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Processo penale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Quando vengano reiterate domande vietate nonostante siano state espressamente censurate, nonché quando vengano proposte opposizioni suggestive (ossia, tendenti a soccorrere la persona esaminata, suggerendole la risposta), il giudice ammonisce le parti dandone atto a verbale (punto 3 delle linee guida). L’originaria formulazione della bozza di protocollo prevedeva che il giudice – previo ammonimento – avrebbe dovuto trasmettere anche d’ufficio il relativo verbale agli organi disciplinari competenti affinché questi valutassero la conformità della condotta alle regole deontologiche. Dietro questa indicazione dell’originario schema delle linee guida si scorgeva la frustrazione dei redattori delle stesse che si sono domandati: ma in un sistema in cui non esiste una sanzione processuale come può contenersi e sanzionare una pervicace condotta esaminatrice suggestiva e/o nociva? Quando il giudice abbia richiamato l’esaminatore e questi insista, una due tre volte e più, violando ripetutamente il precetto dell’art. 499 c.p.p. che rimedio ha la controparte? L’unico possibile ci era parso quello della via disciplinare non potendosi dubitare che il rispetto delle regole processuali, anche quelle per avventura prive di sanzione, 116 costituisca un dovere deontologico delle parti, la violazione del quale legittima il ricorso ai rispettivi organi disciplinari di controllo. Dopo la rivisitazione del protocollo originario operata da un collegio di saggi giuristi (Dott. Gianni Canzio, Avv. Carmela Parziale e Dott. Bruno Cherchi), è stata modificata l’originaria previsione in accoglimento di alcune perplessità da alcuni manifestate in occasione del convegno di Venezia in ordine all’inopportunità di investire organi aventi competenze disciplinari di questioni aventi rilievo eminentemente tecnico. Le linee guida prevedono altresì (punto 1) che la lista testimoniale debba contenere l’indicazione specifica delle circostanze oggetto dell’esame. Non è sufficiente il riferimento ai fatti di causa, alle dichiarazioni già rese, o ad altra formula parimenti generica. Sappiamo bene che il giudice con il suo scarno fascicoletto sa poco della vicenda che tratta e tuttavia è continuamente chiamato a dirimere questioni che attengono alla pertinenza delle domande poste ai testi. Sappiamo bene quanto sia difficile talvolta, non conoscendo gli atti, valutare un’opposizione di irrilevanza o di non pertinenza di una domanda e quanto Esame incrociato e linee guida giustamente restie siano le parti a spiegarne platealmente la valenza per non inficiare la propria strategia processuale. Il risultato è che un giudice non frettoloso che non intenda frustrare le strategie di parte tenderà ad ammettere domande anche quando queste siano poco o per nulla pertinenti con inevitabile inutile dilatazione dei tempi processuali. Ebbene, con l’anticipata discovery che una lista testi sufficientemente specifica impone, tale rischio viene evitato. Il Giudice avrà finalmente un criterio indicatore della pertinenza che, se seguito con accortezza ed intelligenza, consentirà una fruttuosa concentrazione del dibattimento sugli aspetti realmente focali delle questioni e grande vantaggio per tutti. E ciò a prescindere dal dato normativo, la cui lettura solo faticosamente lascia spazi ad interpretazioni diverse. Prevedono altresì le linee guida (punto 4) che ai consulenti tecnici non deve chiedersi il giuramento in merito alle valutazioni di loro competenza; essi devono giurare limitatamente ai fatti direttamente appresi durante la loro attività. Ci si domanda infatti che senso ha far giurare soggetti chiamati a riferire su tematiche che per la loro natura valutativa non potranno mai costituire oggetto di falsa testimonianza in senso tecnico. La verità è che nella prassi viene quasi sempre operata un’errata assimilazione del consulente tecnico di parte al teste con tutta una serie di storture che vanno dalla lettura della formula di impegno al divieto di presenziare in udienza durante le altrui deposizioni, divieto quest’ultimo quanto mai irragionevole, tenuto conto che il consulente può offrire un valido aiuto al difensore per interpretare il contenuto di deposizioni altrui che involgono in qualche modo le sue competenze tecniche. Per questa ragione si è ritenuto di dover protocollare la regola per cui i periti ed i consulenti tecnici possono partecipare alle udienze sia prima che dopo il loro esame (punto 5). Si afferma ai punti 6 e 8 delle linee guida che il giudice non può intervenire durante l’esame condotto dalle parti, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge e che prima di procedere direttamente ad interrogare la persona esaminata deve indicare alle parti temi che ritiene rilevanti. Questi precetti nascono dall’esigenza di tenere insieme principi solo apparentemente antinomici. Da un lato lo schema del processo accusatorio vuole che siano le parti, innanzitutto, a confrontarsi con il teste, senza scontare indebite intromissioni del giudice che rischiano di infi117 Processo penale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati Processo penale La Magistratura Organo della Associazione Nazionale Magistrati ciare le rispettive strategie processuali e, dall’altro non può tuttavia precludersi al giudice, chiamato a decidere, la possibilità di acquisire elementi conoscitivi che egli reputa rilevanti. In base alle indicazioni di protocollo in esame un giudice che avverta la necessità di percorrere ulteriori sentieri istruttori dapprima, nel rispetto dello schema del processo di parti, stimolerà queste ultime ad approfondire il tema da lui suggerito e solo dopo, qualora restassero in ombra aspetti che egli riterrà essenziali, interverrà direttamente porgendo domande al teste nella maniera più neutra possibile. Nella stessa ottica conciliativa di esigenze di approfondimento probatorio ex officio e attività di parte doveva leggersi l’ultimo precetto dell’originario schema di protocollo in base al quale: In caso di ammissione di ulteriori prove ex art. 507 c.p.p., le parti possono chiedere l’ammissione di nuove prove connesse al disposto accertamento istruttorio. In tutti quei casi in cui il Giudice riapra i giochi, dando corso a prove ex officio, anzi, più correttamente, a mezzi di prova ex officio, le parti processuali, che sono e rimangono titolari del diritto alla prova ed alla controprova, possono chiedere l’ammissione di prove nei limiti in 118 cui queste siano connesse al disposto accertamento istruttorio. La previsione è stata tuttavia espunta dalle linee guida a seguito di un recente intervento della Corte Costituzionale che, ci piace pensare, in contatto telepatico con il LA.P.E.C. ha fatto sostanzialmente propria questa regola. Con l’auspicio che le linee guida del LA.P.E.C. possano in futuro trovare diffusa applicazione ci si può sin d’ora rallegrare del metodo che ha condotto alla loro elaborazione, un metodo fatto di una franca e feconda collaborazione tra giudici, avvocati e rappresentanti del mondo accademico scevra da qualsivoglia genere di pregiudizio.