C`era una volta la casa popolare - Master in Giornalismo

Transcript

C`era una volta la casa popolare - Master in Giornalismo
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PAGINE 20-21
La nuova mania
per la cucina:
se gli chef
diventano star
P
PAGINE 18-19
Il declino
dell’atletica.
Cova: “Investire
sui giovani”
S 3
W 2-2
E AG. 2
PAGINE 16-17
La riscoperta del
musical in Italia:
a Milano il centro
delle produzioni
N
Società
LM
Sport
IU
Spettacoli
Aprile 2013
Anno X
Numero II
labiulm.
campusmultimedia.net
C’era
una volta
la casa
popolare
Periodico del master in giornalismo dell’Università Iulm - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità
PAGINE 4-11
Senza Domus
l’uomo perde
le sue radici
Giovanni Puglisi
Cambi di gestione, conti confusi,
arresti, sgomberi e proteste.
Ma anche nuovi progetti.
L’edilizia sociale milanese oggi:
un tema che riguarda un decimo
dei residenti in città
Come sempre ci soccorre
l’etimologia: in latino “casa”
si dice domus, collegata con
dominus, che vuol dire signore; in greco l’espressione
corrispondente è όικος ed è
all’origine etimologica dell’espressione, di gran moda
ai nostri giorni, ecologia, che
mette l’accento proprio sulla
centralità dell'incontro tra il
luogo in cui si vive e il vissuto
quotidiano delle persone.
Fuor di metafora il tema
della casa è da sempre, e oggi
più che mai, al centro della
nostra vita, o meglio della
vita di quanti si possono dire
degni di essere definiti esseri
umani.
continua a pag. 24
Il caos del sistema trasporti: quando la politica resta indietro
PAGINE 12-15
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Pagina 24
IUlM News
lAB Iulm
L’emergenza abitativa è una priorità assoluta. Dimenticarla è un delitto
Casa, diritto elementare dell’uomo
segue dalla prima
Attraversando la storia dell’umanità, senza confini geografici, senza epoche storiche
e senza differenze di culture,
scopriamo subito che la casa,
il luogo dell’abitare, la domus
latina, la όικος greca, la maison francese, la house inglese
e così via da Oriente a Occidente, dalla capanne primitive
ai grattaceli newyorkesi, è il
cuore della vita sociale. Meglio ancora, dove non c’è casa,
non c’è nucleo familiare, sociale, culturale.
la casa non è solo una struttura fisica, essa è, innanzi
tutto, il luogo dell'identità:
anche nei documenti, dopo il
nome e il cognome, si trova la
"residenza", ovvero il luogo fisico che ci permette di essere
rintracciati. I "senza abituale
dimora" talora anche gli "apolidi" sono persone particolari,
cariche di problemi e spesso
anche perseguitate: hanno comunque perduto le proprie radici.
Proprio in questa direzione
va un'altra caratteristica della
"casa": è, infatti, il luogo pri-
vilegiato per l'ancoraggio delle
proprie radici familiari e sociali. Un luogo comune, ricorrente nella pubblicistica e nella
letteratura è la "casa paterna",
icona e sede morale del proprio radicamento sociale e ambientale: in qualche modo essa
è una galleria della memoria,
dove financo gli oggetti sono
pietre angolari della storia morale individuale e familiare.
Un individuo, ma anche una
famiglia, senza una casa sono
paurosamente privi del senso e
del calore della solidarietà: la
casa è, infatti, anche l'icona del
nucleo familiare, ovvero di un
luogo dove l'insieme dell'ambiente, degli oggetti e della
memoria ne fa l'occasione
della coesistenza sociale positiva e aderente ad un modello
di partecipazione civile responsabile e attiva.
la mancanza della casa non
esprime solo mancanza di
identità, perdita delle radici,
dispersione degli affetti, ma
anche inasprimento, spesso
esasperazione dei sentimenti e
delle relazioni interpersonali.
Il calore del desco familiare è
il segno di un modo di rappor-
tarsi con gli altri più responsabile e meno aggressivo: i senza
tetto, gli sbandati, gli abitanti
delle periferie urbane e suburbane, ancor peggio gli abitanti
delle gallerie della metropolitana, delle stazioni ferroviarie,
dei sottovia fluviali sono persone inaridite dalla solitudine
esistenziale e irrecuperabilmente votate all'emarginazione
e talora anche alla delinquenza.
la casa è dunque l'icona più
semplice della sicurezza individuale e sociale: soprattutto
con riferimento ai bambini e
agli anziani. Quale potrebbe
essere una vita senza casa per
un bambino, un adolescente o
un anziano? Abbiamo sempre
davanti agli occhi quanti
hanno perduto la casa per un
disastro naturale (alluvioni,
terremoti, si pensi per tutti al
terremoto de l'Aquila, ancora
nei nostri cuori e purtroppo davanti ai nostri occhi a causa
dell'insipienza di coloro che
dovrebbero provvedere alla ricostruzione), abbiamo visto e
sentito il grido di dolore di coloro che hanno dovuto lasciare
le loro case, le loro città, i loro
Paesi scacciati dalla guerra e
dall'inusitata violenza di altri
uomini, abbiamo visto gli
occhi pieni di lacrime di coloro
che fuggiti dalle loro case le
raccontano come un amore
perduto. Resta ancora memorabile la messa in scena del
grande Totò nel film del 1949,
nella stagione dell’immediato
dopoguerra, Totò cerca casa,
che con il linguaggio della
farsa e dell’ironia, mette in
scena una tragedia che in quegli anni toccava il cuore di milioni di italiani, forse come
oggi milioni di italiani e non
vengono colpiti dalla tragedia
della mancanza di un tetto per
se stessi e la propria famiglia,
a Milano, come in tante altre
parti del nostro Paese e del
mondo.
Per costoro la casa è insieme un sogno e una méta, è il
sogno della loro vita e la méta
del loro lavoro, un sogno e una
méta, che tutti noi abbiamo il
dovere morale e materiale di
aiutare a realizzare e raggiungere, senza se e senza ma.
In una città come Milano,
capitale morale dell'Italia come amava definirsi fino a
qualche decennio fa, quando
il lavoro, onesto e laborioso,
dignitoso e umano, era la sua
cifra - non si può restare insensibili, a nessun livello, pubblico e privato. Occorre fare
ogni cosa del regno del possibile - ovvero ogni azione politica legittima - per dare
contenuto a questo voto, con
impegno e priorità. le priorità
si individuano e si seguono,
non si declamano. la casa è
una priorità perché è un diritto
elementare della persona. Dimenticarlo è un delitto, né più
né meno che l'infanticidio o la
diaspora dei più deboli.
se l'etimologia latina, con la
quale ho iniziato questa riflessione, vuol dire davvero qualcosa, restare senza casa, senza
domus, vuol dire perdere lo
status di domini, di persone
umane, di persone perbene, di
“signori” come dicevano
nell’antica Roma. Ribellarsi a
queste ignominie è un imperativo categorico per ogni uomo
di buoni costumi.
Giovanni Puglisi
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Pagina 2
SOMMARIO
l giornale che avete in
mano è un prodotto molto
particolare. E’, insieme, la
palestra degli allievi del Master di Giornalismo Iulm –
Campus Multimedia, e il biglietto da visita di una Università
dove
si
studia
Comunicazione (la prima ad
averlo proposto in Italia) e
che sceglie di comunicare at-
I
Una scommessa e una vetrina
traverso il lavoro formativo
dei suoi studenti. Non era mai
accaduto prima che la testata
di una scuola di giornalismo
prendesse il mare aperto e venisse distribuita insieme a un
giornale “adulto” e prestigioso
come Prima comunicazione.
Diretto da Ivan Berni e
Giovanni Puglisi (responsabile)
In redazione:
Alessandro Bartolini, Valentina Casciaroli, Silvia Egiziano, Adele
Grossi, Luca La Mantia, Livio Lazzari, Enrico Leo,
Marcello Longo, Giorgio Meroni, Claudia Osmetti,
Silvia Pagliuca, Roberto Procaccini, Andrea Rossi Tonon,
Stefano Taglione, Chiara Trombetta, Eliana Biancucci, Carlotta Bizzarri, Benedetta Bragadini, Matteo Colombo,
Andrea Cumbo, Micaela Farrocco, Enrico Lampitella,
Adriano Lo Monaco, Lorenzo Matucci, Giulio Oliani,
Maurizio Perriello Nicolò Petrali, Jacopo Rossi,
Antonio Toretti, Claudia Vanni.
Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002
via Carlo Bo, 1
20143 - Milano
02/891412771 - [email protected]
Stampa: Graficart snc - Biassono (Milano)
Master in Giornalismo Campus Multimedia In-Formazione
Direttore: Giovanni Puglisi
Responsabile didattico: Angelo Agostini
Caporedattore: Ivan Berni
Responsabile laboratorio redazione digitale: Paolo Liguori
Tutor: Silvia Gazzola
Docenti:
Angelo Agostini (Storia del giornalismo, Editing e
Deontologia)
Camilla Baresani (Scrittura creativa)
Maurizio Bono (Giornalismo Culturale)
Marco Capovilla (Fotogiornalismo)
Toni Capuozzo (Videoreportage)
Maria Piera Ceci (Giornalismo radiofonico)
Luca De Biase (Giornalismo web)
Marco Boscolo (Data Journalism)
Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale-TV)
Giuseppe Di Piazza (Progettazione editoriale e Giornalismo
Periodico)
Dario Di Vico (Giornalismo economico e finanziario)
Guido Formigoni (Storia contemporanea)
Giulio Frigieri (Infodesign e mapping)
Milena Gabanelli (Videogiornalismo)
Sabrina Giannini (Videogiornalismo)
Marco Giovannelli (Digital local news)
Enrico Maria Greco (Gestione dell’impresa editoriale)
Bruno Luverà (Giornalismo e società)
Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo)
Matteo Marani (Giornalismo sportivo)
Marco Marturano (Giornalismo e politica)
Massimo Nava (Giornalismo internazionale)
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Massimo Picozzi (Criminologia e Giornalismo)
Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza)
Alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico)
Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano)
Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia)
Vito Tartamella (Giornalismo scientifico)
Fabio Ventura (Trattamento grafico dell’informazione)
Marco Subert - Marco Castelnuovo – Francesco Del Vigo (Social
Media Curation)
Per i trenta ragazzi del Master
è un impegno forte, che li proietta immediatamente a contatto
di
un
pubblico
specializzato e attento, quale
quello di Prima. Ma questa occasione senza precedenti è
anche la prima vetrina in cui
mettersi in mostra, da giornalisti, misurandosi con l’attualità, l’inchiesta, il costume, la
cultura, i cambiamenti sociali
e le trasformazioni di Milano,
la città dove i ragazzi del master studiano e imparano il
mestiere del giornalista. Per
LAB Iulm
l’Università Iulm è una scommessa che confidiamo sarà
ben riposta. E non è rituale il
ringraziamento a Prima Comunicazione per un’ospitalità
che, a sua volta, è un beneaugurante attestato di fiducia a
chi comincia ad affacciarsi a
una professione complessa e
difficile. Ma anche entusiasmante.
(I.B.)
QUESTO NUMERO
Dossier case popolari
Se gli affitti in città sono sempre più salati e il lavoro in tempi di
crisi scarseggia, avere un tetto sopra la testa rischia di apparire
un miraggio. Ed è allora che entrano in gioco le case popolari.
Almeno in teoria. Perchè la storia delle case popolari di Milano
è una storia tutta italiana, nel bene e nel male. Una storia lunga
un secolo fatta di malagestione, problemi irrisolti, conflitti radicati e ingiustizie diffuse. Ma anche di persone straordinarie, speranze e progetti per il futuro. Una storia che ha come protagonisti
il Comune e Aler, proprietario e gestore, da sempre in lotta. Ma,
soprattutto, le oltre 100 mila persone che, chi da un mese e chi
da decenni, chi in regola e chi abusivamente, vivono in queste
case. Senza dimenticare le 22 mila in lista d’attesa che sognano
di abitarle un giorno.
DOSSIER CASE POPOLARI
Milano e i quartieri popolari: una storia italiana
4
Emergenza continua tra sfitto e sfratto
6
7
5
Il monito del Comune: “Siamo delusi da Aler”
Case occupate, storia infinita tra racket e bisogno di un tetto
8
Vite di periferia
Insegnare il futuro, la sfida dei volontari della Bovisasca
Aler: “Faremo sempre meglio di un privato”
Non solo gestori di alloggi ma anche “custodi sociali”
TRASPORTI
9
10
11
Vietato perdere il treno della modernità
12
Il Metrò senza Plafond
14
13
I mille guai di Trenord
“La chiave di volta sta nella concorrenza”
15
SPETTACOLI
Febbre da musical
“Noi, bravi come a New York”
16
L’ultimo scatto
“E’ lo sport che deve costruire nuovi talenti”
18
19
Star Chef
Pornofood, il piatto si fa sexy e conquista il web
20
21
“Cari giovani, pretendete la qualità”
22
17
SPORT
SOCIETÀ
IULM NEWS
Presidente: Giovanni Puglisi
Vice Presidente: Gina Nieri
Amministratore Delegato: Paolo Liguori
Direttore generale: Marco Fanti
Consiglieri: Gian Battista Canova, Mauro Crippa, Vincenzo Prochilo,
Paolo Proietti
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Fascia zero per studenti a basso reddito
LabIulm
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LAB Iulm
EDITORIALI
Il lato brutto del mestiere
*
Ivan Berni
Conosco una apprezzata e seguita testata televisiva che, dovendo assumere un operatore
video per riprese esterne chiedeva come requisito un’altezza
preferibilmente superiore al
metro e ottanta. Al colloquio,
poi, sarebbero seguite a voce
domande sulla resistenza del
candidato a situazioni di calca,
stress, attese prolungate, intemperie, insulti e aggressioni fisiche da parte di sconosciuti.
Non so se si sia arrivati al punto
di considerare secondaria la capacità professionale di utilizzare al meglio una telecamera,
sta di fatto, però, che le domande dell’ufficio personale di
quella televisione parevano indirizzate più alla ricerca di un
robusto bodygard che di un cameraman. Non c’è da stupirsi,
in fondo. Basta guardare, ogni
sera sui Tg nazionali, cosa ac-
cade all’uscita dei palazzi della
politica: una torma famelica di
giornalisti e operatori di ripresa
in perenne assedio, pronta a
sbranarsi per un brandello di dichiarazione, una battuta, uno
sbuffo, un ammiccamento da
parte del deputato o senatore di
passaggio. E va da sé che nel
branco, per cavarsela senza
danni, occorrano muscoli e
modi spicci.
Con lo sbarco a Roma dei Cinquestelle, poi, questa sindrome
si è fatta patologia. Durante la
prima visita di Beppe Grillo a
Roma un cronista si è rotto un
dito per aver infilato la mano
fra il vetro e la portiera dell’auto del comico-guru. Ora la
caccia è al “cittadino” eletto
nelle liste dei grillini per strappargli qualsiasi cosa somigli a
un pensiero o una considerazione imprevista rispetto al
“non statuto” del MoVimento. I
Cinquestelle e il loro capo supremo, com’è noto, non lesinano disprezzo verso i
giornalisti, considerati tutti –
salvo rarissime eccezioni – pennivendoli e manipolatori al
soldo della Casta. Tuttavia,
guardando lo sconcio quotidiano di quelle immagini serali
dei Tg, si fa obiettivamente fatica a dargli torto. Chi subisce
quell’assedio, umanamente,
non può che suscitare solidarietà e vicinanza. E alimentare
disapprovazione, se non disgusto, verso i giornalisti.
Purtroppo quella del branco in
agguato davanti i palazzi della
politica non è, ahinoi, l’unica
deplorevole manifestazione
della deriva della professione.
Nel capitolo delle cose inguardabili o insostenibili entrano, di
prepotenza anche gli inseguimenti da marciapiede al grido
l’istruzione alla sagra locale
degli gnocchi (foto dell’assessore in cronaca compresa), dai
fondi destinati agli enti lirici o
teatrali agli insegnanti di sostegno, dai mille rivoli della spesa
fuori controllo che premia iniziative particolari con valore di
scambio o di favore, al finanziamento dell’acculturazione di
base attraverso il sistema educativo.
Aver confuso, o almeno aver lasciato che si confondessero,
voci così diverse del sostegno
pubblico alla cultura è certo una
responsabilità che gli “operatori
culturali” hanno condiviso con
il sistema del finanziamento politico così a lungo da pagarne
oggi il prezzo.
Ma più insidioso ancora, in
tempi di “piazza pulita” - almeno invocati - dagli sprechi è
il criterio che con troppa facilità
si chiama identificazione, nel
campo della spesa culturale,
dell'investimento utile, o remunerativo.
Il modello a cui la definizione
si ispira è aziendale: sono per
definizione “comprimibili” i
costi che non hanno speranza di
produrre utili registrabili nell’anno fiscale o alla peggio nel
bilancio preventivo successivo.
“onorevole, perché non risponde?”, certe cosiddette “interviste” senza una domanda
una degna di questo nome o, all’opposto, “faccia a faccia”
dove quel che conta non è quel
che si chiede ma la violenza
verbale con cui viene chiesto.
Oppure, ultima incredibile
moda, organizzare scherzi telefonici ai danni di personaggi
che hanno responsabilità pubbliche – come recentemente capitato all’ex presidente della
Corte Costituzionale Valerio
Onida da parte del programma
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radiofonico La Zanzara – carpendo privatissimi giudizi e
mandandoli in onda come pubbliche opinioni.
C’è modo di invertire la rotta?
Certamente sì, come dimostra
la banale presa d’atto che nel
resto ‘Europa, e certamente
negli Usa, scene come quelle
che siamo costretti a sorbici
non esistano o, meglio, siano
esplicitamente considerate “non
professionali” e perciò bandite
come comportamento scorretto
nell’intera categoria.
In Italia occorrerebbero testate
e direttori che impongono il rispetto almeno dell’Abc della
deontologia professionale, politici che conoscono e rispettano il diritto-dovere di
informare e, perché no, lettori,
telespettatori, radioascoltatori e
web user che sanno far sentire
la loro voce per ottenere un’informazione tempestiva, completa e documentata da parte di
giornalisti che fanno i giornalisti, e non le soubrette o i buttafuori. In Italia per ogni notizia
servirebbe
un’avvertenza:
“Non scuotere: maneggiare con
cura”.
L’alto costo dei tagli alla cultura
Maurizio Bono*
una realtà talmente ovvia
che a furia di sentirla e
vederla in azione corre il
rischio di sembrare “normale”:
da un taglio di bilancio a una
spending review, da una stretta
sui conti pubblici a un taglio
agli sprechi, dal più verticistico
ed autorevole richiamo di
un’agenzia di rating al più diffuso e populistico appello alla
sobrietà, la voce più facile e
immediata da stornare, ormai
da anni, è la “promozione culturale”, nelle sue centinaia di
varianti che vanno dal finanziamento della ricerca e del-
È
Sono “irrilevanti”, quindi voci
che possono essere sottratte al
taglio, gli investimenti che potendo far ricorso a risorse aggiuntive che altrimenti non
sarebbero disponibili, non gravano sui bilanci .
Sono “investimenti veri” solo
quelli che fruttano subito, siano
l'anticipo per un bestseller
scontato e sicuro anche se poco
alla lunga ne resterà, o una mostra d'arte “di cassetta”, o nel
caso migliore una ricerca applicata con prospettive di utili a
breve, foss'anche la più futile
delle trovate startup.
Ben venga, sia chiaro, il successo culturale, come del resto
il successo economico in ogni
campo quando crea ricchezza e
segue le regole. E però l'investimento in cultura non può
avere quell'unico metro, a meno
di non essere disposti a rinunciare al successo che verrà per
aspirare voracemente ogni briciola del presente.
Success makes success? Non
nel campo delle idee: tutta la
storia delle avanguardie, per
esempio, racconta l'itinerario
opposto, dall'insuccesso all'affermazione faticata e imprevista. All'opposto, finisce per
sembrare - ed essere - più irritante dell'avanguardia con pretesa di riconoscimento “pronto
cassa” a cui spinge l'ideale della
“cultura che paga”.
Ma senza un'avanguardia che si
sappia, almeno per un po', ritenere tale e dunque controcorrente, senza una ricerca che
abbia la pazienza minima di ricercare, cioè tentare, prima di
sfornare prodotti, senza un sistema educativo che dia il
tempo di conoscere prima di
fare, senza formazione e informazione autentica, insomma
senza prendersi cura dell'ingegno, è difficile immaginare il
progresso.
Chi paga? Certo, sembra non
paghi più nessuno, a guardare i
programmi della politica e le ristrettezze dei privati, dopo anni
non lontani in cui gli uni e gli
altri hanno pagato anche
troppo, e a volte di straforo.
Ma così finiamo per pagare
caro e pagare tutti, sul mercato
delle competenze e delle innovazioni come in quello della
creatività.
*Caporedattore D La Repubblica delle Donne.
Docente del Master in Giornalismo
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Pagina 4
DOSSIER CASE POPOLARI
LAB Iulm
Milano e i quartieri
popolari: una storia italiana
I
Andrea Cumbo
l racconto della gestione
delle case popolari milanesi riflette la storia, più
o meno recente, di Milano e
dell’Italia tutta. È una storia
fatta di conflitti: di classi sociali, di cifre, di amministrazioni, di occupanti, di
generazioni.
Attualmente, l’edilizia popolare milanese conta circa
70.000 alloggi. Se poco più di
28.000 case sono di proprietà
del Comune, la maggioranza
degli immobili è dell’Azienda
Lombarda per l’Edilizia Residenziale, al secolo Aler, che
gestisce l’intero patrimonio
immobiliare della città. Il rapporto tra i due enti è stato costellato, negli anni, da un
Nel ‘96 la giunta
Moratti firmava una
nuova
concessione con Aler,
definendo
“ disastrosa”
l’esperienza
privata
altalenarsi di fiducia e diffidenza che è sfociato negli attriti degli ultimi giorni.
Dopo un report sui conti dell’Azienda
commissionato
all’Università Bocconi, che ha
messo in luce un disavanzo di
un milione di euro tra il preventivo 2011 dell’Azienda e la
cifra effettivamente utilizzata,
Palazzo Marino ha deciso di
prolungare il contratto con Aler
di un solo semestre, a causa di
una “confusione contabile” che
tradisce una situazione quanto-
meno ingarbugliata. L’arresto, evitare le occupazioni. Una pe- vice-sindaco Riccardo De Coa gennaio, della responsabile sante burocrazia impedisce rato: “Dopo 50 anni di geaziendale dei servizi generali l’assegnazione di questi immo- stione Aler, il timone passa a
di direzione, Monica Goi, in bili agli oltre 22.000 richie- imprese private che eleveuna vicenda di presunte gare denti in lista d’attesa, mentre ranno la qualità e gli standard
d’appalto truccate, e quello l’azienda perde degli introiti del patrimonio pubblico”.
dell’assessore regionale alla significativi. Nonostante que- Dopo sei anni, lo stesso De
casa Domenico Zambetti, ac- sto paradosso, la gestione a un Corato ammetteva il fallicusato di voto di scambio, ri- ente pubblico economico come mento della concessione e la
specchiano un sistema che ha Aler si è rivelata la più effi- giunta Moratti, definendo “dibisogno di una rifondazione ciente. Nel 2003, la giunta Al- sastrosa” quella collaboraalla base. La svolta politica al bertini assegnava il sistema zione, firmava una nuova
Pirellone, tanto agognata dal- edilizio popolare a un consor- convenzione con l’azienda
l’amministrazione comunale e zio di tre società (Romeo Ge- pubblica. Così, il rapporto rida Sunia e Sicet, i sindacati di stioni, Gefi ed Edilnord, nel prende nel 2009 e si rinnova
settore, non c’è stata. Invece, i frattempo confluita in Pirelli annualmente, fino al dossier
rapporti tra la dirigenza gui- Re), così celebrato dall’allora Bocconi, principale causa
data da Loris
Zaffra, ex craMilano, via Farini. Una delle 70.000
xiano in forza al
case bombardate durante la seconda guerra mondiale.
Pdl, e il sindaco
Pisapia
sono
tesi sin dall’insediamento,
nella primavera
di due anni fa,
della
nuova
giunta comunale, che ha
visto nel frattempo, a capo
dell’assessorato
alla casa, l’avvicendarsi
tra
Lucia Castellano e Daniela
Benelli.Da
tempo, la questione delle case
popolari sfitte è
gestita da Aler
in modo particolare. Ai continui
sfratti
dovuti all’insediamento abusivo o alla
morosità degli
inquilini, segue
la prassi di murare gli appartamenti
per
della scadenza prevista per il
prossimo giugno. Dopo, è
plausibile una nuova proroga,
Dopo il dossier
Bocconi, il
rinnovo del
contratto è stato
di soli sei mesi:
scadrà a giugno
all’interno di una collaborazione che, a parte la parentesi
privata degli anni
2000, va avanti
da oltre un secolo. In principio
fu lo Iacp, Istituti
Autonomi per le
Case Popolari,
ente morale pubblico, alieno da
ogni scopo di
lucro ma con la
possibilità di effettuare operazioni di credito.
Un regio decreto
lo trasforma così
nell’Istituto per le
Case
Popolari
Economiche, ma
mantiene il precedente acronimo.
Siamo nel 1908:
l’ondata migratoria dei decenni
precedenti
e
l’emergenza abitativa nei quartieri
storici
meneghini creavano la necessità
di un intervento
pubblico nell’edilizia. Milano divenne così un
interessante feno-
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LAB Iulm
DOSSIER CASE POPOLARI
Pagina 5
Il monito del Comune:
“Siamo delusi da Aler”
L’INTERVISTA
L’ASSESSORE ALL’URBANISTICA DE CESARIS
Stanziati 20 milioni l’anno contro la crisi abitativa
«L
Carlotta Bizzarri
a
meno di sperimentazione e,
malgrado le difficoltà gestionali conseguenti la Grande
Guerra, si riuscì nella realizzazione di nuovi complessi residenziali in numerosi quartieri
cittadini, ispirati al modello
della città-giardino inglese e
caratterizzati da abitazioni con
cemento armato e mattoni forati. Fino alla prima metà degli
anni ‘20 la gestione vide anche
le prime convenzioni con privati, tra cui Pirelli e Breda, e il
deposito di sovvenzione restituibile in 20/30 anni come prescelto regime di locazione. A
Roma però si era insediato il
fascismo, che vietò allo Iacp di
produrre cemento e qualsiasi
materiale edile, con l’intento di
Nonostante le
politiche antiurbanesimo del
Fascismo, lo Iacp
costruì trenta
quartieri
favorire gli imprenditori vicini
a Mussolini. L’istituto continuò
tuttavia a costruire: l’edificazione di trenta nuovi quartieri
dal ’25 al ’31, malgrado le politiche fasciste contro l’urbanesimo, rispondeva al vertiginoso
aumento della popolazione di
Milano, che sfiorava ormai il
milione di abitanti. Vennero seguiti criteri estetici di tipo razionalista
e
semplicista,
poiché, per cause economiche,
ogni sovrastruttura decorativa
era esclusa a priori. Il quartiere
Fabio Filzi, ad esempio, era
formato da trentadue corpiscala uguali nella pianta, che
ruotavano attorno a un corpo
centrale, destinato all’uso di
toilette comuni. Nacquero così
i quartieri a misura d’uomo: lo
spazio non era più suddiviso in
base ai metri quadrati disponibili, ma a seconda del numero
di abitanti. La Seconda Guerra
mondiale causò la mancata realizzazione di dieci rioni, già
progettati e approvati, e i bombardamenti resero inagibili ben
70.000 alloggi. Il piano Fanfani
del ’49 concesse ingenti aiuti
economici da parte dello Stato,
con cui lo Iacp collaborò in
modo più stretto negli anni ’50
e ’60, in condizioni di emergenza a causa dei continui
flussi migratori dal Sud Italia.
Lo sviluppo periferico della
città corrisponde al momento di
maggiore espansione di Milano: alla costruzione dei quartieri si accompagnava la
realizzazione, quasi ex-novo,
della rete stradale. Gli anni ’60
furono caratterizzati da difficoltà ed errori gestionali. Rioni
residenziali eccessivamente
isolati rispetto al flusso cittadino, aumento dei canoni d’affitto per ovviare ai deficit di
bilancio e il deterioramento dei
vecchi stabili riversarono le
conseguenze nei decenni successivi, quando le morosità e
gli sfratti causarono le più
grosse tensioni politiche e sociali. Furono anni in cui l’attività edilizia si limitò alla
manutenzione e alla realizzazione di torri-tipo (edifici fra i
30 e i 50 metri d’altezza) in
quartieri già esistenti. Dagli
anni ’90, in cui si fece largo la
costruzione diretta da parte di
alcune cooperative, a causa
delle continue perdite, lo Iacp
vendette oltre metà delle
140.000 unità del suo patrimonio. Si sentì dunque un bisogno
di trasformazione, per cui nel
1996 nacque Aler. Dopo 13
anni, il bisogno permane.
a situazione è
drammatica. C’è
una fame impressionante di alloggi in un contesto in cui molte abitazioni
restano sfitte e invendute. Vuol
dire che c`è qualcosa che non
va». La vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada
Lucia De Cesaris non nasconde l'entità
del problema
delle case popolari e punta
il dito sull'attuale gestore,
Aler «Quella
di Aler è stata
una cattiva
gestione. Su
questo siamo
tutti
d'accordo, non ho
alcun dubbio
nel dirlo».
tratto previsto per giugno
non è scontato?
«Un contratto è un dareavere, ora stiamo valutando se
abbiamo ricevuto abbastanza e
nelle modalità che erano previste. Il problema, sia chiaro, non
è Aler in sé ma la gestione di
questi anni».
Sennò creiamo dei mostri».
E poi?
«Poi stiamo cercando di far
cambiare approccio agli operatori privati. Per fare questo abbiamo introdotto dei principi di
obbligatorietà, soprattutto nei
grandi interventi di realizzazione di edilizia».
In che percentuale?
«Ad esempio,
in tutte le aree al
di sopra dei
10mila
metri
quadri, la realizzazione di Ers
(Edilizia residenziale sociale) è
obbligatoria,
mentre è incentivata tra 5mila e
10mila m2. Tenendo conto comunque che Ers
non significa solo
case popolari ma
anche
vendita
agevolata e conQuali
Lucia De Cesaris, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano venzionata, afsono le
fitto con patto di
maggiori carenze di Aler?
Oltre 22 mila persone sono riscatto e affitto moderato.
«Senz'altro carente è la ge- in lista d'attesa per una casa. Inoltre abbiamo introdotto un
stione dal punto di vista ammi- Il paradosso è che ci sono mi- meccanismo: la monetizzanistrativo. Ma la cosa più grave gliaia di abitazioni (patrimo- zione. I privati che non voè che non capiscono che chi nio del Comune e di Aler) gliono costruire edilizia
abita nelle case popolari de- sfitte, vuote, perfino murate. residenziale pubblica dovranno
v'essere il loro unico oggetto di Come risolvere la cosa?
monetizzare al Comune la
cura e di attenzione».
«Anche questo è compito mancata realizzazione. Questo
del gestore. Aler è una mac- permette all’operatore di trachina enorme, possibile che sformare la percentuale che
non riesca a presidiare come si dovrebbe fare in sociale in
tutto il territorio? Poi vendita agevolata, e a noi di reQualcosa deve
certo, dobbiamo tutti renderci cuperare risorse che mettiamo
non va conto che il problema è più in un fondo per le case popose ci sono ampio. Il nostro compito è fare lari».
modo che l’offerta risponda
22000 persone in
alla domanda».
Quanto investe il Comune
in lista d’attesa
ogni anno in case popolari?
Come?
«Abbiamo firmato un ac«Attivando incentivi fiscali cordo con le parti sociali e i
e premi volumetrici per tutto sindacati per cui ci siamo imciò che viene riconvertito in re- pegnati a investire almeno 20
Al momento non è così?
sidenza sociale. Il problema è milioni di euro ogni anno in
«No. Perché non fanno ma- che il Comune non ha potere manutenzione e nuovi pronutenzione, perché c’è una si- legislativo. Sta al futuro go- getti».
tuazione
di
assoluto verno occuparsi seriamente
abbandono nei confronti del- della questione. Cosa che di
Quelli del 2012 li avete inl’utenza e di assoluto distacco certo non ha fatto la precedente vestiti tutti?
rispetto ai bisogni. Aler deve amministrazione regionale».
«Si. Serviranno per la ricocapire che il suo mestiere non è
struzione ad uso completaquello dell’immobiliarista. È
Cosa può fare, e cos’ha mente sociale delle tre torri di
giusto che cerchi di recuperare fatto, il Comune?
via Tofano, nel quartiere Bagrisorse ma queste devono poi
«Come prima cosa abbiamo gio (zona 7), che dovrebbe esessere destinate interamente al- rifatto il Piano di Governo del sere completata intorno al
l’ottimizzazione del servizio, Territorio. Un piano che non si 2015».
al benessere di chi vive nelle limita a dettare le regole per
case popolari. Insomma, Aler chi vuole costruire ma che riPensa che la nuova giunta
negli ultimi anni ha fatto altro, sponde alle reali esigenze del- avrebbe potuto fare di più?
questo è chiaro. E non lo dico l’abitare. Perché non si può
«Non me lo faccia dire...in
io, lo dicono anche le indagini guardare solo alla capacità di un anno e mezzo abbiamo fatto
della procura».
edificazione, la si deve decli- molto...poi certo, è normale, si
nare tenendo conto delle reali può sempre fare di più».
Quindi il rinnovo del con- esigenze dei cittadini.
“
”
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Pagina 6
DOSSIER CASE POPOLARI
LAB Iulm
Nel 2012 sono
stati assegnati
1.000 alloggi
a fronte di
22.000 richieste.
L’edilizia
popolare è
ferma, quella
privata continua
a riempire la
città di case
troppo costose
per i cittadini
in lista d’attesa
Emergenza continua
tra sfitto e sfratto
Micaela Farrocco
a città di Milano ha
sempre più fame di
case a basso costo.
Non si costruisce più, o meglio
nei piani urbanistici trova spazio quasi solo l’edilizia privata. “La città è piena di case
vuote perché con un affitto
troppo alto. Sono state costruite senza tener conto della
concreta disponibilità economica della popolazione che è
alla ricerca di un tetto”, con
queste parole Veronica Pujia,
referente del Sicet per la sede
di via del Giambellino, ha descritto la situazione dell’edilizia milanese. Se si scorre la
graduatoria del 2012 infatti ci
si imbatte in un dato che non
lascia spazio a dubbi: a fronte
di 1000 alloggi popolari assegnati, ci sono 22.000 persone
in lista di attesa per ottenere
una sistemazione.
Oltre al surplus di case
“troppo care”, a corrodere
pezzi di patrimonio pubblico,
già carente, è stata la legge regionale 61 del 1990 che di
fatto ha consentito ad Aler di
vendere, o meglio “svendere”(le case sono state vendute a prezzi molto più bassi
rispetto a quelli di mercato),
un bel pezzo di edilizia popolare. Perché? “Non c’erano finanziamenti pubblici per la
manutenzione”- dice l’ingegner Gatta funzionario della
Direzione Centrale Casa del
comune di Milano – “ quindi si
è deciso, a partire dagli anni
’90 di vendere patrimonio per
ricavare soldi e poter svolgere
le attività di manutenzione”.
L
“Fesserie venute in testa a
qualcuno”- continua- “E’ stato
più un modo per fare cassa che
per manutenere gli spazi, ritrovandosi in una situazione peggiore di quella di prima”. Aler
infatti, non riuscendo a vendere in blocco i condomini di
sua proprietà, ha creato i cosiddetti “condomini misti”, in
cui cioè convivono ex inquilini
divenuti proprietari (in molti
casi sono la maggioranza) e inquilini dell’azienda lombarda.
La vendita “ a mani basse “è
Poche case, troppe
richieste. Aumenta
l’offerta di edilizia
privata e si riduce
quella pubblica
stata “ un grosso autogol”, secondo Gatta. La presenza di
appartamenti molto spesso in
zone distanti tra loro ha generato ha infatti generato una
schizofrenia nel controllo e
nella gestione. Oggi Aler amministra l’intero patrimonio
pubblico (28.197 alloggi del
Comune e 41.873 di sua proprietà), con un arretrato negli
investimenti in manutenzione
e ristrutturazione di circa 12
milioni di euro.
Oltre alla vendita frazionata
di porzioni consistenti di patrimonio pubblico, c’è un dato
nel complesso universo dell’edilizia popolare che lascia a
bocca aperta e con molti punti
di domanda. Sono 6.882 gli alloggi sfitti, di cui 2264 di proprietà del comune e 4218 di
Aler.
Se infatti si visitano quartieri
popolari come Quarto Oggiaro, Niguarda, Solari (solo
per citarne alcuni), oltre all’aria di ghettizzazione che si
respira (sono zone abitate principalmente da anziani, invalidi
e famiglie indigenti) ci si trova
di fronte all’inaccessibilità fisica di molti appartamenti.
Porte e finestre sono state murate o come dicono gli addetti
ai lavori “lastrate”. Una pratica
diffusissima, che serve ad evitare le occupazioni abusive.
“Le case sfitte”- come ci
spiega l’ingegner Angelo Pascale, direttore del Dipartimento Centrale Casa del
comune - “possono essere suddivise in tre categorie: quelle
che sono già a norma (immediatamente assegnabili); quelle
che necessitano di lavori mi-
nimi (riparazione dei sanitari,
porte rotte ecc); altre non assegnabili perché prive di certificazioni
e
in
pessime
condizioni”.
Il problema risiede in questo caso nel tempo che si impiega ad assegnare un alloggio.
Si è passati, per le case che su
carta sarebbero immediatamente disponibili, da 20 giorni
a 70 giorni. Per le altre tipologie si può andare anche da sei
mesi ad un anno. Un tempo infinito per chi è fermo in lista
d’attesa. Basterebbe un “censimento degli sfitti”, in altre parolela comunicazione da parte
di Aler dello stato manutentivo
degli alloggi , per riuscire ad
intervenire in maniera più tempestiva nella loro assegnazione.
CASE POPOLARI SFITTE
2264
Comune
4218
ALER
Fonte Dati: Comune di Milano
Nell’ultimo anno pare però
che qualcosa si sia mosso. Palazzo Marino si è impegnato
nel recupero di 700 alloggi
sfitti. Un piano che coinvolge
tutti i quartieri. Più di diciassette milioni stanziati per riordinare case oggi disabitate,
oltre 26.000 euro l’investimento medio per ciascun appartamento: il tutto distribuito
su tre operazioni. Sono già stati
aggiudicati lavori per 5,7 milioni di euro per il recupero di
100 alloggi a Quarto Oggiaro.
Nella stessa tranche c’è anche
una serie di lavori in via Solari.
Il secondo passo per recuperare altre case in stato di abbandono è stato affidato ad
Aler: il comune ha già fatto
partire un ordine di lavori da
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LAB Iulm
DOSSIER CASE POPOLARI
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I tanti problemi di gestione dei 3.380 alloggi in mano agli abusivi
Case occupate, storia infinita
tra racket e bisogno di un tetto
Giulio Oliani
iciotto anni in
quella casa con
la mia famiglia,
poi una mattina ci siamo trovati sulla strada senza preavviso”: gira nervosamente il
cucchiaino nel caffè Riccardo,
mentre racconta la sua storia
da occupante abusivo. A 50
anni trascorre le sue giornate
al bar, perché oltre alla casa ha
perso anche il lavoro: “Ora
fortunatamente sono ospite
nella casa di un’amica, ma arrivare a fine mese senza lavoro con moglie e due figli da
mantenere è dura”. Poi ritorna
con la mente a quando decise
di occupare abusivamente un
appartamento sfitto a Quarto
Oggiaro, in uno dei tanti palazzoni popolari del quartiere:
“Ero operaio: prendevo 1.200
euro al mese e ne pagavo 800
per l’affitto. Mio fratello mi
ha consigliato di entrare nella
casa vicino alla sua che era
sfitta, così potevo anche occuparmi di lui visto che ne aveva
bisogno”.
“D
“
”
Ho vissuto da abusivo
per 18 anni con la mia
famiglia, poi siamo finiti
sulla strada. Chi
occupa, ha esigenza
6,4 milioni per un totale di 316
appartamenti. Qui la parte del
leone la fanno una cinquantina
di unità abitative in via Savoia,
una trentina in zona Famagosta, e poi un pacchetto consistente di altri cinquanta nel
quartiere di Sant’Ambrogio.
La terza fase riguarderà infine il recupero di altri 250 alloggi. E con questo lotto il
comune ha un preciso scopo:
ogni vano sgomberato da abusivi non va abbandonato a se
stesso ma immediatamente risistemato per essere riassegnato.
Un automatismo trascurato
per molti anni ma che, se
messo in atto, riuscirebbe ad
arginare il fenomeno dell’emergenza abitativa.
Un po’ imbarazzato, tenta
di giustificarsi: “Chi occupa
ha esigenza. Dopo due settimane dal mio ingresso è arrivato l’ispettore della ditta che
allora gestiva l’edilizia popolare. Mi hanno detto: “Paga
qualcosa e poi ti mettiamo a
posto”. Per 18 anni sono arrivate bollette di luce e gas intestate a me, poi due anni fa
improvvisamente ci hanno
sgomberato”.
Dell’appartamento in cui ha
vissuto Riccardo, ora vuoto,
restano due lastre di metallo
alle finestre e una a murare
l’entrata. Aler e Comune
usano da molto tempo questo
metodo per impedire a nuovi
abusivi di rompere la porta
d’ingresso e occupare, come
accade nella maggior parte dei
casi. Ma questo non basta,
perché il fenomeno può nascere in diversi modi.
Ad esempio con la complicità dell’inquilino legittimo
che lascia l’alloggio senza avvisare l’ente e lo cede a un
amico o a un parente oppure
lo subaffitta ad altri. Peggio
1174
2206
Comune
ALER
Fonte Dati: Comune di Milano
ancora, dietro l’abusivismo
può nascondersi un vero e proprio racket delle case popolari
gestito da personaggi legati
alla malavita o intere famiglie
che spadroneggiano nel quartiere e a cui i residenti non
hanno il coraggio di ribellarsi.
Vere e proprie associazioni a
delinquere che si fanno pagare
dagli 800 ai 2.500 euro per
spaccare le porte e mettere a
disposizione dei loro clienti gli
alloggi sfitti.
L’associazione SOS Racket
e Usura è riuscita a sfondare il
muro dell’omertà e, collaborando con gli inquirenti, ha denunciato tali situazioni.
Come nel caso di Via Padre
Luigi Monti, zona Niguarda,
dove è stato sgominato il clan
guidato da Giovanna Pesco,
nota come “Signora Gabetti”
per l’attività che conduceva
con la figlia e il genero. A
Quarto Oggiaro, invece, il racket era gestito da una banda di
cui faceva parte un ex ispettore
della Gefi, società che gestiva
l’edilizia popolare prima di
Aler: chiedeva prestazioni sessuali in cambio della cancellazione delle pratiche di
sgombero. Non solo inquilini
abusivi: accade anche che gli
appartamenti popolari vengano
usati come magazzini della
droga e che gli operai deputati
da ALER a lavori di recupero
trovino pacchetti nascosti nelle
intercapedini, una volta addirittura nel soffitto.
Secondo le ultime rilevazioni di gennaio, a Milano le
occupazioni senza titolo accertate sono circa 3.380: 1.174 di
case di proprietà comunale e
2.206 di Aler. Dentro quelle
mura vivono illegalmente famiglie in reale stato di necessità e collettivi di giovani che
usano l’alloggio da centro sociale. Ma anche delinquenti e
persone che, pur non essendo
povere, approfittano della generosità dell’amico o del parente per pagare un affitto più
basso.
In questa pluralità di situazioni e problemi è difficile trovare una soluzione. Concedere
una nuova sanatoria (l’ultima
risale al 1989) significherebbe
fare un torto alle 22.000 domande in lista d’attesa.
L’alternativa è la politica
degli sgomberi, oggetto di polemiche perché, secondo alcuni, colpisce solamente i più
deboli e indifesi. Vengono fatti
con le forze dell’ordine, talvolta in modo plateale con
tanto di chiusura della strada e
volanti a sirene spianate. In alcuni casi sfociano in manifestazioni pubbliche contro
Comune e Aler; addirittura in
scontri fisici tra polizia e abusivi, come in via Preneste, a
San Siro, lo scorso ottobre,
dove rimasero feriti in quattro.
Ma i tentativi d’occupazione
continuano: se ne calcolano da
otto a dodici in media ogni settimana. “ L’ o c c u p a z i o n e
senza titolo è un problema non
solo politico, ma anche sociale
e psicologico. Non può avere
un’unica soluzione: ogni situazione è una storia a sé” ha spiegato Angelo Pascale, direttore
Centrale Casa del Comune di
Milano, riassumendo la linea
seguita dall’ex assessore alla
Casa Lucia Castellano. In un
protocollo d’intesa firmato lo
scorso novembre con i sindacati, è stato approntata la procedura per gli occupanti senza
casa accertati al 1 settembre
2012.
Un’apposita commissione
formata da esperti, membri
della Prefettura, dirigenti comunali e di Aler, valuterà ogni
situazione e le classificherà in
tre categorie. La prima riguarda gli abusivi per irregolarità amministrative: questi
potranno sanare la loro situazione dovuta solamente a problematiche burocratiche. La
seconda include gli occupanti
in stato di necessità: una commissione verificherà ogni situazione
per
accertare
l’effettiva esigenza dell’avvio
di un processo di regolarizzazione. Gli assegnatari che
hanno commesso reati, terza
categoria, potrebbero perdere
il diritto alla casa popolare
dopo un ulteriore esame del
loro caso. Gli sgomberi continueranno per le occupazioni
successive al protocollo d’intesa, nei casi di mancanza di
requisiti e per motivi d’urgenza o di ordine pubblico.
A continuare il lavoro della
Castellano è Daniela Benelli,
assessore al Decentramento e,
da poche settimane, anche alla
Casa. La sua nuova strategia
anti-abusivismo in accordo con
Aler? Porte blindate al posto
delle lastre di metallo e assegnazioni più veloci, già in atto
a Largo Boccioni e Quarto Oggiaro, per cercare di porre fine
ad un fenomeno che difficilmente si riuscirà a placare.
Scontri tra occupanti e polizia durante uno sgombero
V
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G
DOSSIER CASE POPOLARI
Le critiche e le speranze
nei racconti delle
persone che vivono
a Quarto Oggiaro
e Bovisasca: quartieri
simbolo dell’ edilizia
popolare milanese
ite di
periferia
Matteo Colombo
Giulio Oliani
li abitanti dei palazzi
popolari di via Ceva,
zona Bovisasca, godono del panorama più bello di
Milano. “Nelle giornate limpide, riesco a vedere il Duomo
dalla stanza da letto” racconta
Stella, che vive dal ’78 al sesto
piano di uno di questi condomini, “quando il vento di Fohn
spazza via le nubi, mi sembra
che il Resegone e le altre montagne siano di fronte alla finestra della mia cucina”.
È un piccolo segreto ben custodito dagli inquilini di questi
palazzoni rossi, un gruppo di
case popolari che racconta la
storia dell’immigrazione a Milano.
“All’inizio eravamo tutti
meridionali” spiega Stella
“quando andavo in Sicilia portavo i cannoli alla mia vicina
napoletana e lei contraccambiava con le sfogliatelle.
“
”
Il Comune
ha permesso a noi
esodati di salire
nellle graduatorie.
Ora è cambiato tutto e vicino a me vive una famiglia
egiziana”. È difficile fare una
stima degli stranieri che vivono in queste case, ma gli inquilini dicono che almeno un
abitante su tre non è italiano.
La crescente presenza di
extracomunitari ha cambiato le
relazioni tra condomini, sempre più separati da differenze
linguistiche e diffidenze reci-
LAB Iulm
proche.
“Dopo che è morto l’inquilino del quinto piano, ero sicura che sarebbero arrivati
degli stranieri in quell’appartamento” aggiunge Stella, “d’altronde le case popolari
vengono sempre assegnate a
loro”. Un’osservazione che è
anche una lamentela. Molti
abitanti di via Ceva conoscono
un
italiano
che
aspetta di vedersi assegnato un alloggio
da diversi anni, senza
riuscire ad ottenerlo.
Anche Rosy, una
signora cinquantenne
che vive a Quarto
Oggiaro, si lamenta
degli stranieri. “In
questo bilocale, dove
c’era il gabbiotto
della portineria, vivono tre o quattro famiglie di indiani”
racconta “non potrebbero farlo, visto che il
contratto stabilisce
che questo appartamento può essere abitato da un solo nucleo
familiare”.
Non sembrano preoccuparsi troppo di
queste critiche gli
stranieri che vivono
nelle case popolari.
Molti raccontano di
non avere problemi con gli italiani e di essere soddisfatti
della loro condizione.
Non solo stranieri, tra i
nuovi arrivati c’è anche chi poteva permettersi un affitto negli
anni precedenti, ma ora non
più perché ha perso il lavoro.
Tra questi c’è Ermanno, un ex
autista di cinquantaquattro
anni che guadagnava quasi
duemila euro. “Sono uno degli
esodati” racconta “Il comune
ha permesso ai disoccupati che
non possono richiedere una
pensione di salire in cima alle
graduatorie per gli alloggi.”
Ermanno paga 201 euro di af-
fitto per una casa a Quarto Oggiaro, ma ha chiesto di avere
una ulteriore riduzione perché
sopravvive soltanto grazie alla
pensione d’invalidità della moglie.
Nonostante il numero di appartamenti sia insufficiente,
esistono ancora circa 6400
case sfitte che non possono essere assegnate perché non sono
“La casa che avevo occupato è stata sgomberata mentre
ero in carcere” spiega Karim,
ex pugile che aveva gareggiato
per la nazionale italiana, “nell’appartamento vivevano mia
moglie e mia figlia”. Ora che è
uscito di prigione ed ha trovato
una casa in affitto a Comasina,
Karim vuole trovare un posto
in cui insegnare il pugilato ai
ragazzi di Quarto Oggiaro per tenerli lontani dalle brutte
compagnie e dalla
vita criminale.“Il problema è che qui mancano le strutture”
spiega “ forse dovrò
andare in un altro
quartiere per portare
avanti il mio progetto”.
Una novità degli
ultimi anni è stata
l’introduzione delle
portinerie in alcuni
condomini. I custodi
sociali
informano
Aler sulla situazione
degli alloggi abusivi
e sul degrado dei palazzi e ciò ha reso più
sicuri i diversi abitanti che vivono nelle
case popolari.
Sono piccoli camAppartamenti di Via Lopez
biamenti che alcuni
abitanti di Quarto
state ancora ristrutturate.
Oggiaro apprezzano.
Uno dei problemi è che le
Tra loro ci sono gli inquilini
case sono state spesso costruite dei palazzi popolari di via Simolti anni fa e nel frattempo moni, quattro grossi condosono cambiate le esigenze. Al- mini costruiti vicini alla
cuni appartamenti sono stati ferrovia nel 1971, che sono
pensati per le famiglie di di- stati riverniciati di giallo pochi
versi anni fa, ma non sono mesi fa. “Era da 40 anni che
adatti a quelle di oggi. Spesso nessuno metteva mano alla
si tratta di case piccole, a volte manutenzione” mi spiega Eusprovviste del bagno, che de- genio, un pensionato milanese
vono essere ristrutturate per che fa parte del comitato inpoter essere fruibili.
quilini, “questo è un intervento
Il problema è che questo la- straordinario, finanziata con i
voro è spesso molto caro e Aler soldi dell’Unione Europea. Bifatica a rientrare dai costi sol- sogna ammettere che hanno
tanto grazie all’affitto. Così c’è fatto un buon lavoro”.
qualcuno che le occupa.
Quello che ancora manca in
questi palazzi è la manutenzione ordinaria. ”Lo scorso inverno abbiamo sofferto il
freddo perché non funzionava
il riscaldamento” spiega Eugenio” hanno risolto il problema dopo diversi mesi” .
C’è poi il problema delle
cantine. Alcune di queste, specialmente in via Lopez, sono
state chiuse a causa della sporcizia. “Hanno trovato topi,
scarafaggi e altri animali
morti” spiega Riccardo “erano
talmente sporche che gli addetti alla pulizia non sono riusciti a completare il lavoro”.
Ad altre la polizia ha messo i
sigilli perché erano diventate
magazzini per lo spaccio di
droga.
“
”
Hanno sgomberato
la casa mentre ero in
carcere, lasciando la
famiglia sulla strada
Questa necessità di fare richiesta ad Aler per ottenere
anche il più piccolo intervento
di manutenzione ha esasperato
alcuni inquilini che hanno deciso di risolvere i problemi da
soli. “Vedi quei fogli degli avvisi appesi alle porte delle
altre scale?- indica il pensionato Eugenio- ho chiesto ad
Aler di mettere delle piccole
bacheche per far un po’ di ordine, ma non abbiamo mai ottenuto nulla. Così ho deciso di
prendere un pezzo di legno e
ci ho pensato io. Ora siamo gli
unici ad avere una bacheca e i
nostri spazi comuni sono sempre i più puliti”. Poi, pieno di
soddisfazione, aggiunge:
“La mia è davvero una scala
modello”.
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DOSSIER CASE POPOLARI
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Insegnare il futuro, la sfida
dei volontari della Bovisasca
IL REPORTAGE
I VOLONTARI DI CASCINA DEI PRATI
Massimo Rizzo: aiutiamo i ragazzi a scoprire il loro talento
Il futuro dell’housing sociale
Case popolari di Quarto Oggiaro
A
Carlotta Bizzarri
ndare oltre i quartieri-ghetto.
Creare un variegato e funzionale mix abitativo. Sarà questo il futuro
dell’housing sociale a Milano?
L’idea è quella di superare l’impostazione che
vuole le case popolari separate dal resto del mondo,
chiuse, strette, nella loro
bolla tutt’altro che dorata.
Perché creare casermoni
isolati interamente di edilizia sociale, come è stato
fatto fino ad ora, significa
mettere una toppa. Non è la
soluzione del problema. E,
anzi, porta a fenomeni di
ghettizzazione, degrado, abbandono.
Oltre a notevoli difficoltà
di natura economico-gestionale, come abbiamo visto.
Cambiare tale impostazione
sarà un processo lento e delicato, date le scarsissime risorse economiche e una
lista d’attesa che mette
paura. Ma è una scommessa
per il futuro. La nuova strategia del Comune è riquali-
Progetto Cenni di Cambiamento
ficare gli stabili di edilizia residenziale pubblica esistenti (e
crearne di nuovi) puntando su
infrastrutture moderne che vedano la compresenza di locazioni a canone sociale,
convenzionato e vendita a
prezzi calmierati. Quindi Erp
(edilizia residenziale pubblica), ma, qui sta la differenza, non solo. Utopia? In
realtà qualcosa del genere è già
in atto.
Un esempio è il progetto
“Cenni di cambiamento”, in
via Cenni, nella periferia Ovest
di Milano. L’intervento, che
dovrebbe essere concluso entro
luglio 2013, prevede la realizzazione di 124 alloggi, tra
quelli destinati all’affitto a canone convenzionato e moderato (per il ceto intermedio),
quelli a canone sociale (case
popolari), fino a quelli con
patto di futuro acquisto.
L’obiettivo è creare un nuovo
quartiere integrato di edilizia
sociale in un contesto vivace e
innovativo. A completamento
degli edifici residenziali si inseriscono servizi collettivi, ricreativi e culturali.
Sulla stessa linea sta procedendo il cantiere in zona Barona. Entro il 2014 nei
"Giardini di via Voltri", saranno pronti 319 appartamenti di cui 193 in vendita
convenzionata e i restanti in
affitto a canone moderato o
sociale. Un quartiere pensato soprattutto per le giovani famiglie, munito di aree
gioco per i bambini, un
campo da bocce, una pista
da ballo e perfino un’area
concerti.
Ma anche Aler si sta muovendo nella stessa direzione.
Nel comune di Pieve Emanuele, a sud di Milano, sorgerà un nuovo insediamento
destinato ad accogliere circa
2.000 persone. In un’area di
195.000 mq saranno realizzate residenze a canone sociale,
a
canone
convenzionato e alloggi destinati alla vendita. Il tutto
circondato da aree verdi,
spazi commerciali e parcheggi. Sono previsti anche
un asilo e una scuola materna.
Questi tre esempi testimoniano l’avvio di una nuova e
più attenta politica abitativa.
Resteranno solo casi isolati?
Di certo sono il primo segno
che qualcosa (forse) sta
cambiando.
C
Massimo, un volontario della scuola popolare
Matteo Colombo
ascina dei Prati è un
complesso di condomini popolari che
ospita trecentocinquanta famiglie, situato nella zona Nord di
Milano, quartiere Bovisasca.
Qui c’è una piccola associazione che vuole aiutare i ragazzi a completare gli studi.
“Da queste parti la situazione è
difficile” spiega Massimo, uno
dei promotori di questa associazione, “molti ragazzi a sedici anni sono già stati in
carcere e diverse adolescenti,
quando ancora sono minorenni, rimangono incinte”.
Il progetto vuole dare loro
un aiuto gratuito per lo studio.
L’idea è nata nel 2000 da un
gruppo di quattro amici che
hanno deciso di impegnare
parte del loro tempo e denaro
per aiutare gli studenti. “All’inizio abbiamo affittato
un’aula della scuola della Bovisasca” spiega Massimo “ ma
volevamo avere uno spazio indipendente. Perciò, dopo due
anni, ci siamo trasferiti in questi palazzi popolari”. Oggi i
volontari aiutano decine di
bambini che vivono in questi
condomini e sono diventati un
punto di riferimento per molte
famiglie di Cascina dei Prati.
Il loro progetto non è solo
assistere i bambini nello studio, ma anche educarli ad
avere fiducia in se stessi, seguendo l’insegnamento di Don
Milani. “Noi facciamo un lavoro psicologico, anche con il
teatro” spiega Emanuela, una
volontaria del centro “Cerchiamo di educare i bambini a
farsi delle domande, ad essere
curiosi”. Un impegno che
vuole essere anche sociale:
rendere i bambini protagonisti
di un cambiamento nel quartiere. Dietro il progetto c’è una
componente di denuncia di una
scuola che, secondo i volontari, non riesce a creare uguaglianza di opportunità per tutti.
Le differenze tra i bambini
nati nelle case popolari e quelli
provenienti da famiglie più abbienti, secondo Massimo, sono
presenti fin dall’inizio. Come
succede a molti altri bambini,
anche i ragazzi di Cascina dei
Prati si demoralizzano quando
non sono in grado di svolgere
un compito ma, a differenza
degli altri studenti, non hanno
gli stessi mezzi per superare le
loro difficoltà. Ad esempio,
molti ragazzi che vivono in
questi condomini sono nati in
famiglie di immigrati. A differenza dei loro coetanei che
hanno entrambi i genitori del
nostro Paese, spesso le famiglie straniere non possono aiutarli a fare i compiti, perché
non conoscono bene la lingua.
“
”
Educhiamo i bambini
ad essere orgogliosi,
convincendoli che
hanno qualità speciali
Questo problema di diseguaglianza esiste anche tra le famiglie italiane che vivono in
queste case, spesso povere e
poco istruite. “Qui abbiamo un
solo laureato e forse due o tre
persone con il diploma” racconta Massimo “la maggior
parte degli inquilini ha la licenza media, qualcuno è analfabeta”.
Bisogna
poi
aggiungere che molte di queste
famiglie non possono permettersi di pagare le lezioni private e questo rende lo studio
del bambino ancora più difficile.
Per queste ragioni, prosegue
Massimo, è necessario “educarli ad essere orgogliosi,convincerli che sono unici e hanno
dei talenti speciali che devono
mettere a frutto”.
La scuola popolare ha già
provocato un cambiamento tra
le decine di studenti che hanno
partecipato a questo progetto.
Alcuni di loro stanno ottenendo buoni risultati scolastici
e hanno deciso di aiutare i
bambini più piccoli. Tra loro
c’è Sana, una ragazza di origine marocchina che ha iniziato a frequentare la scuola
popolare quando era bambina.
‘È la nostra soddisfazione più
grande”-racconta Emanuela- “
tra pochi mesi sarà forse il nostro primo studente con il diploma e non si vuole fermare.
Ha già deciso che il prossimo
settembre, si iscriverà alla facoltà di medicina”.
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DOSSIER CASE POPOLARI
LAB Iulm
Gestisce un patrimonio totale di
circa 73.000 appartamenti.
È un ente pubblico nato per
dare alloggio a chi non lo ha
Aler: “Faremo
sempre meglio
di un privato”
Claudia Vanni
“S
e mi affidi un
patrimonio vecchio, dandomi
fondi solo per la manutenzione
ordinaria, ma i problemi per
quel quartiere sono di manutenzione straordinaria, non
puoi spararmi addosso poi! Se
mi dai un’automobile col motore rotto e pretendi che la risistemi con 100 euro cambiando
una ruota, sei un folle!”. E’ un
gioco di rimpalli quello tra
Aler, l’azienda lombarda che
gestisce l’edilizia residenziale
pubblica milanese e Palazzo
Marino. Da sindaco e giunta
piovono gli attacchi, anche se
la passata esperienza di affido
gestionale ai privati è stata al
centro di critiche e inefficienze
altrettanto pesanti.
Dal canto suo, Aler, che possiede a Milano più di 40.000
alloggi popolari e ne gestisce
altri 28.197 per conto dell’amministrazione comunale, para i
colpi e contrattacca: “Per come
Meriti e demeriti:
c’è quasi sempre
stata solo Aler,
nella storia delle
case popolari di
Milano
stanno le cose, chiunque fosse
nella nostra posizione non riuscirebbe a tenere su la baracca
– tuona Giuseppe Scoppettone,
responsabile area tecnica Aler
- Le società che ci hanno preceduto hanno fatto molto meno
di noi!”.
Di fatto, nella storia delle
case popolari di Milano, c’è
quasi sempre stata solo Aler: a
lei meriti e demeriti. Negli ultimi dieci anni, sono state riqualificate molte zone della
città: migliaia di alloggi tra i
quartieri Molise Calvairate,
Ponte Lambro, Mazzini, Gratosoglio (solo qui circa 4000
appartamenti) e San Siro, per
un investimento di 220milioni
di euro. La formula adottata è
stata quella dei Contratti di
Quartiere: un progetto basato
su fondi ministeriali, sottoscritto da Ministero, Regione
Lombardia, Aler e Comune di
Milano, che ha tenuto conto
anche delle richieste dei cittadini. Gli interventi stanno
giungendo a compimento ma
c’è chi, tra sindacati ed amministrazione comunale, chiede
provocatoriamente dove siano
finiti i soldi.
“E’ il Comune che controlla
ogni spesa – afferma risentito
Scoppettone - Noi inviamo
tutta la rendicontazione e carichiamo le fatture su una piattaforma elettronica regionale. Il
Comune approva e avalla la
spesa, trasmettendola alla Regione che eroga i fondi”. Di
fronte alle velate insinuazioni
degli interlocutori istituzionali
e non, il tecnico Aler, sbotta: “I
finanziamenti vengono erogati
su rimborso semestrale in base
alle fatture presentate. E’ tutto
documentato. Solo la prima
tranche annuale viene erogata
in anticipazione, facendo una
previsione sulla base delle precedenti spese, ma anche questa
poi viene riscontrata al momento della fatturazione”.
Un attimo di silenzio, per
pensare a quanto si è convinti
di aver fatto ma che non viene
riconosciuto, e poi Scoppettone riprende: “Il Contratto di
Quartiere a Gratosoglio per
esempio, un investimento da
50 milioni di euro, riguardava
metà area. Grazie ai ribassi
d’asta che abbiamo ottenuto
sui lavori, siamo riusciti a risparmiare 7 milioni, che ora
reinvestiremo sulla metà ancora da ristrutturare. Questo
non era richiesto ma riusciremo a farlo!”. E poi sottolinea
la breve memoria degli accusatori: “Gli stessi politici che ci
accusano, sono venuti alle no-
stre inaugurazioni e si sono
anche vantati dei nostri lavori.
Un esempio? In via Saponaro
a Milano, due anni e mezzo fa
è stato inaugurato il Ronchettino, un centro anziani da
500m quadri, messo a posto in
estrema urgenza, con fondi
Aler, in comodato d’uso gratuito. Gli ospiti
sono ancora denTASSE CHE DOVRA’ PAGARE L’AZIENDA
tro gratuitamente”.
IMU
A que17.000.000 €
(imposta su unità immobiiari)
sti interventi a
IRES
onor di
13.200.000 €
(imposta su reddito società)
cronaca,
si aggiung o n o
IRAP+IVA+IMPOSTE
13.595.000 €
anche la
riqualificazione del quartiere Stadera e
Spaventa (quest’ultimo con
MANUTENZIONI ALLOGGI MILANO
un’operazione da
14milioni di euro, fi12.157
nanziati dal MiniN° CHIAMATE INTERVENTO
stero),
la
ristrutturazione di
3.913
otto fabbricati in
INTERVENTI INESEGUIBILI
zona Mazzini (fondi
ministeriali speri8.244
mentali) e il recuINTERVENTI EFFETTUATI
pero di sottotetti
(riservati a studenti,
lavoratori fuori sede
COSTI TOTALI 2012
13.256.964 €
e coppie di nuova
formazione) per un
investimento di oltre 22milioni, in gran parte fondi Aler. quotidiana che si riscontrano le visoriamente le falle qua è là,
maggiori criticità; ne è una ri- ma non si pensa ad una risoluprova la previsione incerta del- zione d’insieme”. E sulle prol’intervallo di tempo che prietà comunali, come Quarto
Fondi interni: intercorre tra la segnalazione Oggiaro, “Siamo autorizzati a
il Comune approva del guasto e la sua risoluzione. intervenire solo come manule spese, Aler assicura: “Interveniamo tenzione ordinaria – puntuatrasmettendole tempestivamente”, e sul ‘tem- lizza Giuseppe Scoppettone alla Regione che pestivamente’ ognuno è libero In alcuni edifici, di cui non aberoga le risorse di interpretare. Quello su cui biamo il possesso, sarebbero
l’azienda delle case popolari necessari interventi straordiribatte è che la richiesta di in- nari: è per questo che si moltiSolo nel 2012 sono risistemati terventi ordinari aumenta, per- plicano anche tanti guasti
e resi disponibili per la riasse- ché mancano sempre più ordinari”.
progetti strutturali: “Così, non
Ultimamente però anche la
gnazione 1186 alloggi.
Ma è nella manutenzione si fa altro che tamponare prov- manutenzione straordinaria
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LAB Iulm
DOSSIER CASE POPOLARI
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Non solo gestori di alloggi
ma anche “custodi sociali”
ASSISTENZA AGLI ANZIANI E SPORTELLI DI ASCOLTO
Compie dieci anni il servizio di accompagnamento
rello, custode sociale nel quartiere di San Siro. “Si innesca
un meccanismo di confidenza
con le persone che assistiamo.
Quando li si va a trovare, non ti
lascerebbero più andare via, ti
terrebbero con loro tutto il
giorno!”. Teresa, che attualmente si occupa di 213 persone
anche se il dato è in aumento,
svolge diverse mansioni,
“dagli accompagnamenti sanitari ai disbrighi pratiche, dalla
spesa e dagli acquisti farmaci
alla passeggiata, dalla socialità
ad attività ricreative come la
danza terapia”. Nei tanti anni
vissuti sul territorio, a contatto
con la gente, Teresa ne ha viste
molte e qualche caso lo ram-
menta con particolare soddisfazione: “Ricordo una signora
analfabeta che aveva sempre
vissuto in orfanotrofi e non sapeva muoversi nella vita reale.
le bucce di frutta da terra; poi
sono venuta a sapere che viveva senza luce né gas e anche
i pochi soldi accumulati gli
ler non è un
erano stati sottratti con l’insemplice paganno da
drone di casa
un comma anche il referente di centopagno.
mila esigenze quotidiane nella
N o n
vita delle persone”: è in rispoaveva
sta a questi bisogni che dieci
n e m anni fa è nata la figura del cumeno un
stode sociale, come spiega
letto – ci
Marcello Badano, responsarivela la
bile del settore socialità Aler,
custode l’azienda lombarda di edilizia
Io l’ho
residenziale.
aiutata a
Teresa Fiorello, custode sociale e Marcello Badano, dirigente Aler
“E’ un lavoro che richiede
risolvere
sensibilità. Entri in simbiosi
L’avevo notata ripetutamente tutte le situazioni debitorie che
con le persone che supporti”
al mercato mentre raccoglieva aveva e ad ottenere i servizi esspiega emozionata Teresa Fiosenziali. Adesso ha riacquisito
dignità”.
FOCUS
La custode sociale si ferma
un attimo a pensare e riprende
a raccontare: “Vado fiera anche
del recupero di una coppia che
viveva in situazioni igieniche
disastrose. La moglie soffriva
ono tutti genitori separati rimasti senza casa, anni. Non è proprio dello stesso parere Anna, figlia
di Alzheimer; il marito non si
gli assegnatari dei 40 nuovi bilocali a Grato- maggiorenne di un inquilino, che mentre sta uscendo
rendeva conto della gravità
soglio (Mi), messi a disposizione da Aler, da un appartamento, dopo aver aiutato il padre a fare
della situazione. All’inizio non
l’azienda lombarda che gestisce l’edilizia residen- qualche pulizia, si lamenta della muffa: “Nonostante
mi facevano entrare, poi mi
ziale pubblica. Costretti a lasciare l’abitazione alle gli appartamenti siano nuovi, c’è umidità È un pechanno dato fiducia: lo stato
mogli o compagne, si sono ritrovati in mezzo ad una cato perché i bilocali sono belli”.
dell’appartamento era indestrada: “per il 60-70% sono uoSi potrebbe ipotizzare che sia un
cente. Escrementi per terra,
mini – ci spiega Giuseppe, porproblema del quartiere, della zona
ovunque! Ora la donna è ricotiere del nuovo stabile di via
ma la ragazza smentisce: “La mia
verata in un centro di cure e il
Saponaro 1 - Nel fine settimana
responsabile del lavoro abita qua di
marito è assistito da una bala struttura però si popola: arrifronte ma non ha questi problemi”.
dante. La casa è stata messa a
vano i bambini, che solitamente
Anna indica anche un’altra pecca:
nuovo, imbiancata e ripulita:
sono affidati ai papà nel weela lavatrice comune. “Non possiamo
anche questo è uno dei casi a
kend!”. E c’è addirittura un’area
averne una personale in casa, perlieto fine”.
specifica dell’edificio dedicata ai
ché la potenza supera il voltaggio
La Custodia Sociale è nata
più
piccoli,
sostenibile. Ma il lavaggio costa
dieci anni fa come “sperimenuna stanza gio1,50 euro a volta: lava oggi, lava
tazione in alcune portinerie di
chi enorme al
domani, sono soldi!” E la questione
quartiere – racconta il dirigente
Sala
secondo piano:
economica sembrerebbe non essere l’unico proBadano - I nostri portinai, per
Giochi,
“I giochi li
blema: “Molti si dimenticano di raccogliere i vestiti
spirito volontaristico, aiutaedificio
ho raccolti un
dal cestello. Capita che rimangano lì per giorni e puzvano in alcuni servizi gli inper
po’ io in giro,
zano. A me
quilini più svantaggiati,
papà
da mia sorella
fa schifo! ”.
andando per loro a pagare le
single
– specifica orAlla fine
bollette o a fare la spesa. Decigoglioso
il
Anna
si
demmo allora di riconoscere a
portiere, che
congeda
tutti gli effetti queste mansioni,
controlla gli
con
una
formando professionalmente
ingressi, “pernota posigli addetti”. Il progetto inizialché di giorno –
tiva “Comente avviato nelle portinerie
spiega - non
munque gli
di San Siro, Spaventa e Ponale,
c’è quasi nessuno e la zona non è il massimo”. E sullo a p p a r t a che
Aler
si è poi allargato a 16 zone,
stato degli appartamenti rivela che “qualcosa ancora menti sono
avrebbe fatoccandone alla fine ben 21.
Alloggi
per
genitori
separati
è da fare” ma gli inquilini, a detta di Giuseppe, sono buoni”.
coltà di attiNel frattempo Palazzo Marino
contenti, anche se l’assegnazione durerà massimo tre
C.V.
vare
sugli
ha mutuato il servizio, inserenalloggi
di
dolo nella pianificazione delle
proprietà ha
politiche sociali e firmando
Ex Istituto Autonomo Case nostro background - afferma
subito una battuta d’arresto; i difficilmente viene sfrattato
una convenzione con l’azienda
fondi europei scarseggiano, per morosità. I servizi essen- Popolari, l’azienda nasce nel Scoppettone - Aler nasce per
lombarda, per appoggiarsi alquelli ministeriali ancora peg- ziali intanto continuano ad es- 1997 come ente pubblico con far questo. Qualsiasi altra
l’assistenza di 19 custodi sogio. A questo, si aggiungono sere garantiti, ma così autonomia economica e un immobiliare ha la necessità
ciali Aler. Attualmente sono
poi le limitate entrate dei ca- l’azienda va in affanno. La unico scopo sociale: dare un di ritorni economici: per cui,
attivi in città 152 operatori cononi: già ridotti all’osso, (136 vera mannaia sulla testa sono alloggio a chi non può permet- meno fanno, più guadamunali, di cui fanno parte
gnano. Aler invece è un ente
euro al mese di media) ora tar- poi le tasse, IMU in primis: terselo a prezzi di mercato.
anche la ventina di assistenti
A giugno il mandato Aler pubblico, non ha bisogno di
dano proprio ad arrivare per- solo per l’imposta municipale
Aler, che gestisce anche 326
ché la gente non riesce a la Aler deve pagare 17 milioni terminerà e non è scontato il fare dell’utile da spartire fra
portinerie e 41 sportelli di sorinnovo: “Una cosa è certa: il i proprietari. E’ chiaro che
pagare. E anche chi non paga, all’anno.
cialità.
Claudia Vanni
“A
Quaranta alloggi per i genitori separati
S
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Vietato perdere
il treno
della modernità
Pagina 12
TRASPORTI
LAB Iulm
La crisi economica può costituire
un’oppor tunità per un ripensamento
globale del sistema. Liber alizzare favorendo la concor r enza e il mercato potr eb be essere la soluzione per una
ma g gior e ef ficienza
Nicolo’ Petrali
a crisi economica che
stiamo vivendo ormai
da qualche anno ha
senza dubbio riportato al centro dell’attenzione la delicatissima e spinosa questione del
trasporto pubblico. Gli italiani,
infatti, in parte per il caro benzina e in parte per un cambiamento culturale che nel giro di
qualche anno li vedrà più simili ai cittadini del nord Europa,probabilmente
sceglieranno di affidarsi in misura sempre maggiore ai servizi pubblici per i loro
spostamenti. Questo fenomeno si sta già in parte verificando, soprattutto a livello
urbano e su distanze ridotte,
mentre a livello regionale o nazionale sta incontrando qualche difficoltà in più, anche se
si prevede che il trend si estenderà anche a questi livelli. Ammesso e non concesso che il
L
I passeggeri
aumenteranno
ma la qualità del
servizio offerto
potrebbe
peggiorare
servizio diventi più efficiente.
Ci sono tuttavia delle criticità di fondo: un aumento della
richiesta di servizi pubblici da
parte dei cittadini, paradossalmente, non è detto che corrisponda a maggiori profitti per
chi li gestisce e quindi a un
costo minore per gli utenti.
Anzi, se si prende come esempio la città di Milano, la realtà
più efficiente e con il maggior
numero di passeggeri del nostro paese, ci si accorge di
come nell’ultimo periodo il
costo dei biglietti sia aumentato e delle sempre maggiori
difficoltà di gestione degli
orari nelle ore di punta. In alcuni momenti della giornata,
infatti, per riuscire a far fronte
all’esigenza dei passeggeri,
l’intervallo tra i treni della metropolitana è sceso addirittura
al di sotto dei due minuti. E’
evidente che in questo modo
non si potrà andare avanti ancora a lungo e che andranno
studiate nuove formule per un
ripensamento globale dell’intero sistema dei trasporti. Il rischio, infatti, è quello di
ritrovarsi con una richiesta potenziale molto alta a cui non si
riesce a far fronte a causa di
deficit strutturali e organizzativi. Per il nostro paese, quindi,
diventa fondamentale vincere
la sfida del trasporto pubblico.
Perdere il treno, in questo
senso, significherebbe rimanere ancorati al passato e non
entrare in una fase nuova nella
quale i maggiori paesi europei
sono già avviati.
Parlare di trasporto pubblico
significa andare a toccare molti
aspetti tra cui fornitori e gestori
del servizio, efficienza del sistema, costi, infrastrutture, rapporti tra aziende pubbliche e
mondo politico e molto altro
ancora.
E qui si scontrano in maniera piuttosto netta due approcci differenti. Il primo è
quella di coloro i quali si professano a favore del mercato e
della concorrenza e quindi non
vedono di buon occhio il ruolo
del monopolista rappresentato
da Ferrovie dello Stato e la
mancanza di trasparenza e di
gare per l’appalto dei servizi a
livello regionale e locale, mentre dall’altra parte della barricata troviamo chi difende lo
status quo sostenendo l’importanza dei contributi statali per
finanziare quelle tratte, magari
in perdita, ma di cui comunque
è necessario in qualche modo
garantire il servizio (pensiamo
alle tratte di secondo piano e di
minor utilizzo). Anche se, tra
gli esperti in materia, il primo
orientamento è sicuramente
quello che va per la maggiore.
In un’ottica liberista la causa
principale dell’inefficienza del
trasporto pubblico è la mancata
liberalizzazione del mercato.
Secondo l’Istituto Bruno
Leoni, uno dei più autorevoli
think tank liberali del nostro
paese, quello dei trasporti è il
penultimo settore in Italia per
quanto riguarda le liberalizzazioni. E nella classifica dei
peggiori l’Italia sarebbe seconda soltanto alla Grecia e al
Portogallo. Ecco alcuni dati
che permettono di inquadrare
meglio la realtà italiana:
1) Monaco di Baviera, che ha
la stessa capacità ferroviaria di
Milano, trasporta circa un terzo
in più dei passeggeri del capoluogo
lombardo.
2) Negli ultimi anni il finanziamento statale al trasporto
pubblico è sempre aumentato,
ma a tale aumento non è corrisposto un eguale miglioramento del servizio offerto.
3) Gli aumenti tariffari delle
linee ferroviarie sono cresciuti
molto di più dell’adeguamento
all’inflazione.
Per tutte queste ragioni i sostenitori del mercato ritengono
che il nostro paese dovrebbe
prendere spunto dalle due realtà dove i trasporti funzionano
meglio che altrove: Svezia e
Gran Bretagna. Questi due
paesi negli anni ’80 e ’90 nelle
loro riforme, seppur diverse,
hanno adottato quattro identiche scelte fondamentali: hanno
affidato il compito di regolare
il mercato a organismi pubblici
indipendenti, hanno adottato il
grado massimo di separazione,
anche dal punto di vista proprietario, tra gestore dell’infra-
struttura di rete e operatori del
trasporto ferroviario, hanno attuato una disgregazione estesa
delle differenti attività di trasporto svolte dal precedente
monopolista pubblico e creato
una pluralità di aziende sia di
trasporto che fornitrici di servizi, e infine hanno adottato la
concorrenza “per il mercato”,
che consiste nello svolgimento
obbligatorio di gare per l’assegnazione di tutti i servizi di trasporto che necessitano di
sovvenzioni pubbliche. Grazie
a queste quattro scelte fondamentali (e che l’Italia fin qui
ha accantonato), i due paesi
hanno conseguito risultati positivi e molto simili tra di loro.
L’incremento della domanda
passeggeri che ha interessato il
paese della regina e quello
scandinavo è stato più del
100% nel primo (dal 1994 al
2011) e quasi l’80% nel secondo (dal 1994 sino al 2011).
Anche il trasporto merci si è
notevolmente
accresciuto:
dalla riforma all’inizio del periodo recessivo (1994-2007)
l’incremento in Gran Bretagna
è stato del 70% mentre in Svezia, nonostante i preesistenti
altissimi livelli di traffico su
rotaia, il trasporto merci è cresciuto di un ulteriore 25%.
Tendenze invece del tutto opposte si sono verificate in Italia, in Grecia e in Portogallo.
Le riforme ferroviarie non
hanno fatto perdere occupazione nei due paesi. Anzi, si è
stabilizzata, interrompendo
anche in questo caso un declino pluridecennale. In Svezia
i dati proverebbero anzi un
moderato incremento per il settore ferroviario nel suo complesso,
mentre in Gran
Bretagna è dimostrabile un incremento degli addetti nelle
imprese del trasporto passeggeri. I dati smentiscono anche
la credenza diffusa di elevati
incrementi tariffari e di un deterioramento della qualità e
della sicurezza in Gran Bretagna a seguito della riforma. Infine, il notevole incremento del
traffico passeggeri ha permesso in Gran Bretagna un abbattimento dei costi operativi
degli operatori del trasporto
ferroviario, che si è tradotto
nella sostanziale scomparsa
della sovvenzione netta agli
operatori. Il trasporto passeggeri è quindi finanziariamente
autosufficiente. Esiste però
anche una differenza sostanziale tra le due riforme: la Gran
L’Italia dovrebbe
prendere spunto
dai paesi
che hanno
riformato: Svezia
e Gran Bretagna
Bretagna , solo inizialmente,
ha scelto di privatizzare l’intero settore salvo poi rinazionalizzarne una parte per
problemi legati alla sicurezza.
La Svezia invece ha scelto fin
da subito di conservare la proprietà pubblica della rete. Da
ciò si può desumere che il problema non sia tanto quello di
privatizzare quanto di liberalizzare, favorire cioè una concorrenza reale che nel nostro
paese ancora non esiste. E
anche la famosa Authority dei
trasporti che avrebbe dovuto
essere istituita già parecchi
anni fa (con il governo Prodi
del ‘96) e che avrebbe dovuto
spingere il sistema verso
un’apertura al mercato e alla
concorrenza, non riesce tutt’ora a vedere la luce.
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LAB Iulm
TRASPORTI
Pagina 13
I mille guai di Trenord
Dal crash informatico e allo stop dei Lombardia Express, fino all’arresto di Biesuz
Il trasporto lombardo tra class action e scioperi
Lorenzo Matucci
stione di Trenord.
“Se sopravvivete a Trenord,
sopravviverete a tutte le disgrazie del mondo”, “Varese è
a 30 chilometri da Milano, ma
per Trenord è a 3000”, sono
stati alcuni degli slogan gridati
contro la società di piazza Cadorna. E a poco sono valse le
affrontare un altro scoglio, che
ha a che fare con le sue “risorse umane”. Il sindacato dell’
Or.S.A, che è la sigla che conta
il maggior numero di iscritti tra
i lavoratori delle ferrovie regionali (1750), ha avviato una
serie di agitazioni (otto, finora), per chiedere il referen-
scuse e i provvedimenti adottati dalla controllata della Regione, che ha garantito a chi
era in possesso di un abbonamento mensile un bonus del
25%, più viaggi gratis nel weekend per due mesi. Queste misure, infatti, sono state
percepite come “un’inaccettabile elemosina a fronte dei
gravi e straordinari disagi causati ai pendolari”, si legge sul
sito di Altroconsumo; che, lo
scorso febbraio, ha depositato
una class action al Tribunale di
Milano con più di 15000 preadesioni. Ma a compromettere
il normale svolgimento delle
tratte dei treni regionali, non
c’è stato solo il “caso software”. Dallo scorso luglio, infatti, Trenord si trova ad
dum sul nuovo contratto di
lavoro nazionale. L’accordo è
stato votato da Cgil, Cisl, Uil,
Ugl, Fast e Faisa, non trovando
il consenso del sindacato autonomo, perché ritenuto “penalizzante sul fronte dei diritti e
svantaggioso su quello economico”; dato che le buste paga
dei dipendenti Trenord, rispetto ai parigrado di Trenitalia, sono inferiori di circa 200€
e i turni previsti arrivano anche
a 12 ore consecutive. Intanto,
ogni tentativo di dialogo è franato, con il conseguente lancio
di reciproche accuse. Da una
parte Trenord che ha proposto
l’apertura di un tavolo tecnico
di confronto, dall’altra il sindacato che, all’ultimo momento, ha disertato, ponendo
come condizione indispensabile al dialogo, il referendum.
Sul quale, però, è atteso il giudizio di legittimità o meno del
giudice del lavoro di Milano,
che non si pronuncerà prima
del prossimo 17 maggio. Fino
ad allora, la tensione rischia di
rimanere alta, con la minaccia
del sindacato di indire nuovi
scioperi e persino il blocco
degli straordinari. Che, tradotto, significa (data la scarsità
di personale di circa il 20%)
provocare un’altra “Caporetto
dei trasporti su ferro”, con migliaia di corse soppresse. Un
danno incalcolabile, certamente, in termini economici e
di immagine per Trenord. Ma
i problemi della controllata
della Regione Lombardia, non
finiscono qui. Sempre nel nefasto mese di dicembre 2012
(proprio nei giorni del caos,
generato dal nuovo software),
ancora un’altra tegola si abbatte sulla società. L’amministratore delegato Giuseppe
Biesuz, nominato dal presidente Roberto Formigoni nel
2008, viene raggiunto da
un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari.
L’accusa è di bancarotta della
società Urban Screen e di false
fatturazioni. E così il cda si
trova, in tutta fretta, a cercare
un sostituto. Viene nominato
Luigi Legnani, che tra i primi
provvedimenti intrapresi, sopprime il servizio Lombardia
Express, che collega Milano a
Bergamo e Varese. E’ il segno
che qualcosa va ripensato nel
sistema di trasporto lombardo.
Il servizio era attivo da 4 mesi,
ma i treni viaggiavano con un
numero di passeggeri talmente
basso da non riuscire a coprire
i costi di gestione.
Una scommessa che è costata cara.
Trenord è una società pubblica a responsabilità limitata, nata il 3 maggio 2011
dalla fusione di Trenitalia e
Gruppo Fnm (LeNord), che
detengono entrambe il 50%
della proprietà. Effettua 2200
corse giornaliere su 1920 km
di binari, con un’utenza
media di 670.000 passeggeri
al giorno. Gestisce 42 linee
regionali e 10 suburbane, più
il servizio Malpensa Express,
che collega Milano all’aeroporto internazionale di Varese. L’attuale A.D. è Luigi
Legnani, ingegnere meccanico, che è subentrato Giuseppe Biesuz, dimessosi a
dicembre, dopo essere stato
raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare.
enti dire “ferrovie” e
subito (lo sanno i tantissimi pendolari che
ne fanno uso) si generano associazioni di pensieri che rimandano ai “disservizi”.
Ritardi, scioperi, carrozze vecchie e sporche, dove, talvolta,
capita pure che si guasti l’aria
condizionata. In Lombardia,
questo spauracchio ha un
nome ben preciso per chi, per
spirito ecologista o necessità,
sceglie di spostarsi in treno. E’
Trenord, la società pubblica
nata nel maggio 2011 dall’unione di Trenitalia (Divisione regionale Lombardia) e
di FNM (Ferrovie Nord Milano), controllata dalla Regione. Gestisce 42 linee
regionali e 10 suburbane, oltre
al servizio Malpensa Express,
che collega le stazioni di Milano Cadorna e Milano Centrale
con
l’aeroporto
internazionale. Sono circa 670
mila i passeggeri, al giorno,
che utilizzano il suo servizio e
mai, come negli ultimi mesi,
hanno subito le inefficienze del
sistema dei trasporti su ferro. A
cominciare dal disastro dello
scorso 9 dicembre, ribattezzato
da Dario Balotta di Legambiente come “la Caporetto dei
trasporti”; quando, in una sola
settimana, furono soppressi
1347 treni, a causa dell’inserimento errato dei turni di lavoro
nel nuovo software entrato in
uso, il “Goal Rail”. Software
che è abitualmente impiegato
nelle ferrovie di Spagna, Francia, Marocco e Arabia Saudita
e dove non si ricordano disfunzioni di questa portata. Il 18 dicembre,
fu
proprio
Legambiente a promuovere un
blitz alla stazione di Cadorna,
per puntare il dito contro la ge-
L’ANALISI
DARIO BALOTTA, RE SPONS ABILE T RAS PORTI LE GAMBIENTE LOMBARDA
S
LA SCHEDA
“Se il sistema è a pezzi, è tutta colpa della politica”
Lorenzo Matucci
a dove nascono le
inefficienze
delle
Ferrovie? Per Dario
Balotta, responsabile trasporti
di Legambiente, sono due i
nodi storici da risolvere. Il
primo riguarda “l’approccio
alla gestione del sistema ferroviario”. Lo spiega raffrontando
la realtà milanese a quella di
Monaco di Baviera, due città
che hanno la stessa capacità
ferroviaria e un numero di abitanti che si assomiglia molto.
Mentre Monaco fa quasi novecentomila passeggeri al giorno,
Milano gira intorno ai cinquecentosettantamila: “Segno che
D
la circolazione dei treni è più
efficiente e ottimizzata”.
E questa, altro non sarebbe,
se non la diretta conseguenza
di uno sviluppo disordinato:
“Di fatto – continua Balotta non abbiamo creato una rete.
Dove ci sono i capannoni industriali, ad esempio, troviamo
solo gli autoporti.
Abbiamo scelto, perciò, di
affidarci alla gomma più che
alla rotaia, sia che si tratti del
trasporto passeggeri che di
quello merci”. Nonostante il
numero di passeggeri dei
mezzi pubblici sia aumentato
dal 2001 ad oggi di circa il
35%, infatti, avverte Balotta, il
loro numero è sempre relativa-
mente basso. “La stragrande
maggioranza dei
pendolari,
circa il 70%,
usa la macchina, e il
rimanente
si sposta
con
i
m e z z i
pubblici.
Se, poi,
guardiamo al
t r a sporto
merci, la
proporzione è
90% tra-
sporto su gomma e 10% trasporto su ferro”. Il secondo nodo è quello
più difficile da
sciogliere, perché politico, o
meglio, creato
dalla mala politica.
“Le aziende
pubbliche sono
state
utilizzate
come serbatoio
di voti. Di
conseguenza,
il trasporto è
sempre stato
pensato a partire dalle esiDario Balotta
genze
del
gestore, mai da quelle del cittadino”, denuncia l’esponente
di Legambiente.
La soluzione, è chiara:
“Evitare che la gestione la faccia chi pianifica, come nel caso
di Trenord e Atm.
In sostanza: liberalizzare il
servizio. La ricetta “di mercato” piace anche agli ambientalisti. Perché, altrimenti, non
si fa altro che alimentare una
logica perversa, secondo cui
“l’azienda pubblica, gestita
dalla politica, favorisce le
aziende private “amiche”, che
sono abituate a fornire materiali e sistemi tecnologici di
scarsa qualità a costi esorbitanti”.
PAGINA 14-15 TRASPORTI_Layout 1 07/04/2013 17:46 Pagina 2
ATM
Pagina 14
TRASPORTI
LAB Iulm
Il Metro’
senza
Plafond
Aumentano i passeggeri e il
servizio, ma senza sussidi il
bilancio della controllata del
Comune di Milano è in rosso
Enrico Lampitella
trasporti pubblici locali
sono da sempre una zavorra per i Comuni. Gli
stessi Comuni, talvolta incuranti, talvolta approfittando del
patto di stabilità che lega la
spesa corrente al tetto del disavanzo pregresso, non hanno alcuna remora a fare esercizio di
“finanza creativa” che li porta
nel migliore dei casi a indebi-
I
Un passivo di 1,5
milioni al giorno
per mantenere
le tariffe basse
tarsi a causa delle municipalizzate di cui si fanno carico.
Fortunatamente dal 2009
alla “finanza creativa” degli
enti locali e in primis dei Comuni è stato posto un argine,
ma lo stesso non può dirsi per
la gestione dei servizi per i cittadini. A volte infatti, capita
anche che il Comune debba
sbarazzarsi di alcuni pezzi
delle stesse municipalizzate
per ripianare i debiti di società
di importanza strategica, come
nella fattispecie quelli dell'Azienda Trasporti Milanesi. Il
Comune di Milano che ha
messo in vendita quote di Sea
per comprare i nuovi treni per
la società dei trasporti di sua
proprietà al 100%. Per onestà,
va detto che i bilanci annuali di
Atm formalmente risultano
quasi ogni anno in positivo, addirittura con piccoli margini di
guadagno. Ciò accade perché
quando Atm annualmente presenta i suoi conti, lo fa sempre
a valle dei sussidi che riceve
dal Comune, dalla Provincia,
dalla Regione e dallo Stato e si
tiene ben lontana dal pubblicizzare ai cittadini milanesi
l'ammontare di tali sussidi.
Una cifra vicina a 500 milioni di euro l'anno, senza tener
conto anche delle altre voci di
costi. Parliamo di 1,5 milioni
al giorno di passivo, per mantenere un servizio con le tariffe
più basse d'Europa e che dall'introduzione dell' “Area C” è
in costante aumento di passeggeri. È questo il paradosso di
Atm. Più aumentano gli utenti,
più la gestione si fa critica. Per
avere un'idea delle cifre di cui
stiamo parlando, si può fare
l'esempio di Amtrak, la più
grande linea ferroviaria pubblica americana che ogni anno
suscita negli States aspre polemiche perché sussidiata dallo
stato per 700 milioni di dollari.
Gli americani con un deficit di
700 milioni di dollari coprono
l’intero suolo americano, il Comune di Milano con 500 milioni di euro di passivo copre la
sola città. Secondo problema
di Atm, quello per cui il Comune colloca in borsa le quote
di Sea, è quello relativo alla
gestione degli accantonamenti,
dei famosi ammortamenti essenziali per qualsiasi azienda
che deve sostituire i macchinari che si consumano. In questo caso 30 dei 180 treni in
servizio dal 1964 sulla linea
rossa M1, la più vecchia, e 10
treni sulla linea verde M2. In
più per Atm, che dal 2011 si
avvale del nuovo software
“M1” per la decongestione del
traffico sulla linea rossa, sostituire quei treni è fondamentale
per la funzionalità del sistema
stesso anche in vista dell’Expo
2015.
Ma le aziende di trasporto
pubblico questi accantonamenti non li fanno. Tanto
sanno che alla fine quando dovranno comprare i nuovi mezzi
qualcuno pagherà. Probabilmente fino a quando Atm non
sarà messa in gioco attraverso
una gara seria, a cui fino a oggi
il Comune si è sempre dichiarato ostile, il problema non
verrà risolto e Atm rimarrà
“M1” è il software
per il controllo
del traffico
sulla linea rossa
fuori dai meccanismi competitivi. Le gare fino ad ora sono
state fatte con un solo concorrente e il giudice corrispondeva al proprietario di Atm
stessa. Bando a lotto unico ritagliato su misura per Atm.
Naturalmente nessuno ha
avuto il coraggio di presentarsi
con un lotto unico in una gara
contro un concorrente posseduto dal giudice. Essendo la
proprietà di Atm del Comune
di Milano, è come se il Comune facesse un patto con se
stesso. In generale la proprietà
pubblica di aziende monopolistiche determina un vistoso
conflitto di interessi. Perché
prevalgono obiettivi diversi,
spesso voto di scambio, rispetto alla fornitura di buoni
servizi ai minimi costi ai cittadini. Una situazione ideale
nella gestione dei trasporti locali, potrebbe essere quella del
soggetto pubblico non più monopolista ma pianificatore e organizzatore con prerogative di
qualità e fantasia del settore
dei servizi, gestiti però in un
regime di mercato da aziende
terze in concorrenza fra loro.
In realtà Atm in un regime di
mercato interagisce già da
tempo, ma in altri paesi e peraltro con ottimi risultati. Dal
1° gennaio 2008 il Gruppo, tramite la controllata “Metro Service”, gestisce la metropolitana
di Copenhagen, 21 km di linea
automatizzata, tra le più avanzate al mondo, premiata con il
“World’s best Metro 2008” e
con il “World’s best driverless
Metro” nel 2009 e nel 2010.
Altro servizio di eccellenza
gestito all’estero da Atm, è la
manutenzione del Sistema di
Trasporto Automatico del
campus universitario femminile della “Princess Noura University” nella città di Riyadh.
Un impianto simile alla
nuova linea lilla di Milano, la
linea senza conducente “M5”.
In realtà questa situazione è
frutto di una chiara scelta politica di fronte a due scenari possibili. Il primo, prevede
l’adeguamento in stile anglosassone alla cultura del “Il
prezzo finale copre il costo finale”, con inevitabile aumento
dei prezzi. Format adottato per
la gestione dei metrò delle
principali capitali europee
come Parigi e Londra. L’altro
scenario invece, oneroso ma
Gare con un solo
soggetto
e per giudice
Palazzo Marino
scelto dal Comune di Milano,
riflette la volontà di detenere la
gestione esclusiva di alcuni
servizi base come il trasporto
pubblico, garantiti e offerti dal
Comune a prezzi bassi ma con
i relativi buchi di bilancio annuali da ripianare. In generale
non è un male sussidiare i trasporti pubblici, ma bisogna essere consapevoli che si sta
scegliendo di mettere i soldi lì
piuttosto che in parchi, in
scuole o pensioni.
La soluzione potrebbe essere l’esempio della Germania.
Lì le Regioni avevano lo stesso
problema di deficit eccessivo e
hanno fatto le gare. Hanno
avuto risparmi medi del 20% e
molte gare sono state vinte
dalle stesse ferrovie statali, che
per vincerle hanno dovuto abbassare drasticamente i costi,
con benefici per tutti.
PAGINA 14-15 TRASPORTI_Layout 1 07/04/2013 17:46 Pagina 3
LAB Iulm
TRASPORTI
“La chiave di volta
sta nella concorrenza”
L’INTERVISTA
Lorenzo Matucci
ersonaggio scomodo,
controcorrente da una
vita. Marco Ponti, 72
anni, è professore di economia
al Politecnico di Milano e collaboratore della Commissione
europea per il settore trasporti.
E’ stato definito da un assistente del ministro Lunardi «un
pericoloso comunista-liberista». Le sue idee, infatti, sono
provocatorie e non mancano
mai di suscitare dibattiti.
P
Professor Ponti, a cosa è
dovuta l’inadeguatezza delle
ferrovie italiane?
«Alla mancanza di concorrenza. Più si crea una contrapposizione tra operatori diversi
e più si può ambire all’efficienza».
I NUMERI DI ATM
L’AZIENDA
9379, sono i dipendenti del
Gruppo Atm, formato da 16
società.
La capogruppo è Atm S.p.a.
Le attività afferiscono alla
mobilità collettiva, trasporto pubblico locale, parcheggi, car sharin.
IL SERVIZIO
22.735 le corse effettuate al
giorno in superficie. 1819
le corse effettuate in metropolitana.
I PASSEGGERI
703 km 2 di territorio servito e 51 i comuni serviti.
682.014.824 passeggeri
trasportati nel 2011.
LA RETE
4 linee di rete metropolitana, 19 linee di rete
tranviaria, 3 linne di rete filoviaria e 97 linee di rete
automobilistica per un
parco veicoli di 2.975
mezzi tra motrici e carrozze.
Pagina 15
Quindi, liberalizzare sia le
reti ferroviarie che la gestione del servizio?
«No, non credo che i privati
siano meglio del pubblico.
Non sono per una liberalizzazione alla radice, ma per quella
del servizio. In questo modo lo
Stato può ergersi, per davvero,
a tutela degli interessi pubblici,
mentre il privato può sperare di
aggiudicarsi una gara solo se
ha un buon servizio da offrire.
La chiave di volta sta nella
concorrenza».
Ma in Italia siamo ancora
lontani…
«Il problema è stabilire se
c’è o meno la volontà politica
di costruire un contesto competitivo. Io Pubblico faccio un
lotto di gara. Dico: voglio questi servizi, con queste tariffe,
con queste frequenze. Chi
chiede meno soldi, vince. Il
soggetto viola il contratto?
Negli accordi sono previste
MARCO PONTI, DOCENTE DI ECONOMIA AL POLITECNICO
sanzioni pecuniarie e perde
soldi “privati”. Continuano i disservizi?
Lo butto fuori e
senza abbandonare il servizio,
faccio subentrare
il concorrente.
Chi può opporsi
a questo modello? Nessuno, se
non l’ipocrisia».
Manca un
dibattito
pubblico su queste questioni.
«Assolutamente. Negli Stati
Uniti, la principale compagnia
ferroviaria, che è il doppio
della nostra per km coperti, riceve 700 milioni di euro l’anno
in sussidi statali. E gli americani strillano come aquile, l’attenzione dei media è alta. In
Italia non succede niente di
tutto questo, nonostante i nostri
finanziamenti siano dieci volte
tanto».
E perché da noi non è possibile fare lo stesso dibattito?
«Perché c’è un vizio di non
trasparenza politica. Ci sono
meccanismi di “cattura”; voto
di scambio, innanzitutto, e interessi costituiti. Non dimentichiamo che una parte
consistente dei soldi dati ai
treni va a comprare merci prodotte dall’industria italiana».
strarli bene; mentre se sono locali, le lobby sono costrette a muoversi
diversamente, perché
ci sono comitati di cittadini e associazioni
che vegliano su
come quei soldi vengono spesi».
Veniamo a Mi
lano e la Lomb a r d i a .
Tenuto
conto
Marco Ponti che la domanda
di collegamenti
ferroviari crescerà, complice la crisi e un
nascente spirito ecologista,
cosa si aspetta in merito alla
pianificazione territoriale?
«La questione è semplice: lo
Stato non ha soldi; perciò
dovrà scegliere se fare delle
strade o investire nelle ferrovie. La scelta più logica, è la
prima. Le strade costano poco
e se le pagano gli utenti. Inoltre, bisogna tener conto che il
mercato del lavoro non è più di
impianto tayloristico. E’ tutto
terziario. E un tipo di terziario
sofisticato, che non si spedisce
in treno. Poi, c’è anche il mercato della casa da tenere in
considerazione. Una casa in
una zona meno servita dai
mezzi pubblici, costa meno. Si
vende e si compra».
Lei è un sostenitore di
forme di finanziamento locali?
«Trovare dei meccanismi di
fianziamento, con una buona
componente locale, è uno dei
modi per combattere il sistema
che si è consolidato. Se i soldi
vengono da Roma, infatti, a
nessuno interessa ammini-
Però è anche vero che il
consumo di suolo è eccessivo
e che la Lombardia è tra le
regioni più inquinate d’Europa.
«Il consumo di suolo è poco
rispetto a quello agricolo. Bisognerebbe fare due conti:
l’agricoltura inquina molto,
consuma acqua, ha un impatto
occupazionale bassissimo (del
3%) e vive solo di sussidi pubblici. Potremmo decidere di in-
5 Lisbona Kiev” (in seguito accorciato e rinominato “progetto
prioritario 6 Lione-Budapest”),
ma per l’Europa tali corridoi
non devono essere necessariamente ferrovie, tanto meno ferrovie ad alta velocità. Bruxelles
si limita a sottolineare l’importante esigenza di ammodernare
o realizzare infrastrutture di trasporto che permettano un transito fluido e privo di
impedimenti tecnici per merci e
passeggeri , ma lascia ai diversi
stati la possibilità di scegliere le
modalità con cui raggiungere
questo scopo. Data l’inconsistenza della domanda di tra-
sporto (passeggeri e merci)
sulla tratta, non v’è alcun soggetto privato disposto ad investire risorse proprie nel progetto
che sarebbe quindi interamente
finanziato a carico dei “tax payers” con il modesto contributo
dei fondi europei. I più ottimisti
parlano di una spesa complessiva che si aggirerebbe intorno
agli 8 miliardi di euro (l’importo degli ultimi tagli all’istruzione e alla cultura), mentre gli
scettici (e in genere contrari alla
realizzazione dell’opera) fanno
lievitare la cifra fino a 18-20
miliardi (l’importo che sarebbe
necessario a dotare tutta Italia
vestire unicamente su agricoltura di qualità e di importare
dai paesi africani, non c’è
niente di scandaloso. I poveri
del III mondo starebbero meglio, noi costruiremmo altre
strade e, per il resto, sarebbe
tutto boschi e prati».
Cosa pensa del servizio effettuato da Trenord?
«Il problema è il palese conflitto di interessi: la Regione
sussidia la sua partecipata, organizza e gestisce il traffico.
Sono state fatte delle scelte a
dir poco infelici, come il Lombardia Express, che, siccome
viaggiava vuoto, è stato soppresso. E il Malpensa Express
non va certo meglio. I passeggeri di Malpensa sono calati,
di conseguenza anche quelli
dei treni e, cosa incomprensibile, sono aumentate le corse
giornaliere (circa 30 al
giorno). Quello di Malpensa
ha tutte le caratteristiche di un
servizio commerciale che dovrebbe essere messo a gara».
E a proposito delle tariffe?
«Combattono l’aumento dei
costi di gestione con l’innalzamento del costo del biglietto;
quando , però, dal 2001 al
2010 i contributi pubblici alle
ferrovie regionali sono aumentati del 61%, da duecentotrentatre
milioni
a
trecentosettantacinque milioni
all’anno, e l’offerta di treni è
cresciuta solo del 30%. Ciò dimostra gravi inefficienze e alti
costi di produzione, che non
possono essere colmati solo
dall’aumento stellare delle tariffe, ma che, invece, necessitano di una gestione più
competitiva del servizio; impedita però dall’assetto monopolistico di Trenord».
La Tav è così indispensabile?
Nicolò Petrali
n un momento di forte
crisi come quello che
stiamo vivendo, la Tav in
Val di Susa è proprio indispensabile?
Innanzitutto occorre premettere che, contrariamente a
quanto si possa pensare, la realizzazione fra Torino e Lione di
una nuova linea ferroviaria ad
alta velocità/capacità è una
scelta politica dell’Italia (e della
Francia) e non, al contrario, una
richiesta dell’Unione Europea.
L’asse Torino-Lione fa sì
parte del cosiddetto “corridoio
I
di una connessione internet a
100 Mega di velocità). Facendo una media tra le due ipotesi, ponendo cioè che la spesa
per la tratta italiana sia pari a 13
miliardi, “equivarrebbe
–
come riporta uno studio dell’Istituto Bruno Leoni – ad una
una-tantum dell’ordine di
1.000 euro per una famiglia di
4 persone”. Perché il vero problema da porsi in questi casi
non è tanto se le infrastrutture
abbiano un’utilità o meno, ma
se l’investimento in strade o
ferrovie costituisca l’uso migliore delle limitate risorse a disposizione di uno Stato.
PAGINE 16-17.qxp_Spettcoli MUSICAL LABIULM 08/04/13 17.29 Pagina 2
Pagina 16
SPETTACOLI
LAB Iulm
Lo dicono i
dati: nei teatri
italiani è
rilancio della
commedia
musicale.
E Milano ne è
la capitale
Benedetta Bragadini
Maurizio Perriello
C
’era una volta il musical. Quello all’americana. Spettacolare.
Imponente. C’era una volta e
c’è ancora, più in spolvero che
mai. Spopola in Francia, ne
vanno pazzi i russi. Ma quello di
cui parliamo è un musical tutto
italiano. Negli ultimi cinque
anni si è assistito a un forte ritorno in voga del musical, e la
città di Milano ne è stato il centro propulsore. Qui infatti c’è la
maggiore concentrazione di
strutture, compagnie e anche di
scuole dedicate al genere. Un
successo sul quale in pochi
avrebbero scommesso, ma
anche un riscatto – almeno parziale – per il sistema teatro e i
numeri della sua crisi.
Secondo i dati SIAE, l’arte del
recitar cantando ha fatto registrare il tutto esaurito in molte
sale italiane. Nel 2007, anno
che ha dato il via alla febbre del
musical made in Italy, gli spettatori sono stati oltre 1 milione
e 300.000, per registrare un
boom nel 2009-2010 con oltre 1
milione e 850.000 ingressi, e attestarsi nella scorsa stagione sul
milione e 558.000 circa. In cinque anni gli spettacoli prodotti
sono aumentati del 43%, in panorama di produzioni teatrali
che invece sono diminuite
dell’11% (15.707 in meno). Da
Grease a Sweet Charity a Jesus
Christ Super Star, i grandi spettacoli stile Broadway sbarcano
nei grandi come nei piccoli teatri. Un successo merito anche
dei testi ben tradotti e riadattati,
capaci di incoronare tanti attori
emergenti e anche di rilanciare
volti noti in parcheggio negli
scaffali dello show business.
A questo si aggiungono spettacoli originali e italianissimi: Pinocchio firmato Pooh, Tosca di
Lucio Dalla e Pia de’ Tolomei
scritto da Gianna Nannini.
Senza contare quello che ormai
è divenuto un genere a sé:
quello dell’opera popolare di
Cocciante, da Notre Dame de
Febbre da
MUSICAL
Giampiero Ingrassia e Fabrizio Corucci in una scena di Frankenstein Junior
Paris a Giulietta e Romeo.
Ma partiamo dalle origini.
Stati Uniti. 1866. Due produttori
e un direttore teatrale mettono
Nella stagione
2009-2010 il boom,
con oltre 1 milione
e 850.000 ingressi
insieme le forze per creare
quello che sarebbe diventato il
primo musical della storia: The
Black Crook. Il genere acquista
un seguito di pubblico sempre
maggiore, tanto da invadere
anche le scene di Hollywood.
L’Italia (e l’Europa in generale)
arriverà tardi ad apprezzare questa novità, soprattutto per la sua
lunga tradizione operistica e lirica. Grazie poi alla mediazione
popolare di generi ibridi come
l’operetta, nel nostro Paese si è
cominciato a pensare il teatro
musicale anche fuori dai binari
esclusivi del melodramma.
Solo negli ultimi trent’anni il
pubblico ha risposto positivamente ai lavori di piccole compagnie nazionali che hanno
iniziato a dar vita a veri e propri
musical in italiano.
LE SCUOLE IN ITALIA
C’era una volta la rivista, potremmo dire, in Italia. E c’era la
commedia musicale della premiata ditta Garinei e Giovannini
che, nella Roma ancora occu-
Stati Uniti, 1866:
The Black Crook è
il primo musical
della storia
pata dagli Americani, ben presto
si convertì al nuovo portando
una ventata di freschezza con
argomenti vicini al quotidiano e
talenti di cui ancora oggi si sente
parlare. Da Delia Scala a Wanda
In Italia sono nate negli anni diverse Scuole di Musical,
meta fin dalla loro nascita di centinaia di aspiranti operatori dello spettacolo e ormai diventate vere e proprie
istituzioni. Centri importanti per la formazione si sono
sviluppati a Roma, Bologna, Torino e Parma, ma è Milano ad essere protagonista, con la SdM (Scuola del Musical) e la MTS (Musical The School). Molto note sono
anche le romane MTA e Fonderia delle Arti, oltre alla
bolognese Bernstein (la prima a vedere la luce nel 1996).
Tutte hanno adottato il modello anglosassone della formazione: il Triple Threat Performer, l’interprete completo, che sa essere ballerino, cantante, attore. E, soprattutto, hanno creato legami
con le grandi produzioni, come dimostrano i dati raccolti: su Milano sono circa il 40% i diplomati
che entrano nel “giro”, mentre su Roma e Bologna si oscilla tra 30 e 35%. (mp)
Osiris, da Walter Chiari a Marcello Mastroianni, passando per
Manfredi, Modugno e Dorelli: il
meglio degli attori degli anni
’50 e ’60 passa per musical
come Tobia la candida spia
(1954), Rugantino (1962) e Aggiungi un posto a tavola (1974).
Gli anni ’80 sono il periodo più
buio della storia del musical italiano. Poi lentamente la rinascita
grazie alla Compagnia della
Rancia che, sotto la guida di Saverio Marconi, comincia a proporre al pubblico allestimenti
dei più famosi musical americani tradotti nella nostra lingua.
L’idea è quella dei long running show americani, che attraverso messe in scena della
massima trasportabilità, consente una diffusione capillare
nei teatri di tutta la nazione, con
permanenza anche mensile
nello stesso luogo e poi, nel giro
di due giorni, spostamento e
prima serata in un’altra città
anche molto distante. Con
Grease nel 1997 la compagnia
sarà la responsabile del riavvicinamento prima del pubblico
giovane al teatro musicale e poi
degli italiani al genere.
Inoltre la danza, le coreografie e
la bravura dei ballerini acqui-
PAGINE 16-17.qxp_Spettcoli MUSICAL LABIULM 08/04/13 17.29 Pagina 3
LAB Iulm
SPETTACOLI
Da sinistra: La febbre del sabato sera; Gypsy; Priscilla, la Regina
del deserto; Full Monty; Sugar - A qualcuno piace caldo; Shrek.
stano un’importanza fondamentale per stupire il pubblico.
Il pubblico, appunto. Grazie
ad un progetto introdotto dalla
Stage Entertainment, l’Italia ha
potuto fare esperienza del cosiddetto “spettacolo totale”, che
coinvolge lo spettatore fin dall’entrata nel foyer. Una moda
“alla Rocky Horror”, come la
definisce
Giampiero Ingrassia (intervista a fianco),
paragonando
l’operazione
italiana
a
quella del celeberrimo
spettacolo britannico
del
1973 diretto da
Jim Sharman,
riadattato per il
cinema due
anni dopo. “Il
pubblico sa a
memoria le
battute, le anticipa e poi ride di
gusto”, dice Saverio Marconi,
regista del più recente e forse
riuscito spettacolo di questo
tipo, Frankenstein Jr ., tratto
dall’omonimo film di Mel Brooks. Un cult della storia del cinema come molti altri prestato
al teatro: Full Monty, Priscilla
la regina del deserto, A qualcuno piace caldo, e chi più ne
ha più ne metta.
Il comune denominatore è
sempre quello: il cinema. Proporre spettacoli tratti da famosi
film americani consente di operare su un immaginario comune,
su battute, lazzi, trame e perso-
naggi ben presenti anche alle
giovani generazioni. Il pubblico
anticipa le gag più famose, si
veste come i protagonisti e intona le canzoni come fosse parte
del coro. E il merito è in gran
parte del cinema che negli ultimi anni ha sfornato musical di
successo, da Nine a Mamma
Mia, da High School Musical a
Moulin Rouge, fino ad arrivare
al recentissimo Les Miserables,
osannato da Oscar e botteghino.
Ma al di là di questo, un contributo decisivo al ritorno di
fiamma del musical l’hanno
dato i talent show, nati e proliferati – manco a dirlo – negli
USA ma giunti all’alba dei Duemila anche in Italia, per la formazione dei nuovi “attori
totali”, in grado di spaziare con
competenza dal canto alla recitazione, al ballo.
Che si tratti di piccole o grandi
produzioni il musical occupa
nuovamente un posto d’onore
nella cultura teatrale popolare
italiana. Insomma finchè c’è
musical, c’è speranza.
Pagina 17
IL PERSONAGGIO
GIAMPIERO INGRASSIA
“Noi, bravi come a New York”
Benedetta Bragadini
Jacopo Rossi
stati fatti moltissimi spettacoli,
alcuni belli, con il cuore, e altri
meno belli, commerciali».
stato il Danny Zuko,
alias il belloccio di
Grease, dei teatri italiani
per 15 anni. Ma forse solo gli
appassionati del genere ricordano che ha iniziato con La
Piccola Bottega degli Orrori
nel 1989. E oggi, capelli rossicci e baffetti, si è trasformato
nel Frankenstein Junior di Mel
Brooks. Giampiero Ingrassia,
figlio d’arte dell’indimenticato
Ciccio, è uno dei simboli del
musical nel nostro Paese.
E gli interpreti?
«Sono cambiati perché sono
nate tante scuole. Un attore
deve saper fare tutto: Proietti
ad esempio faceva molta attenzione al canto. Ci sono ragazzi
bravissimi, che spesso sono
meglio dei grandi nomi e che
per questo vanno aiutati. Sono
loro il futuro».
È
Perché ultimamente vengono prodotti così tanti musical tratti da film?
«Gioca la voglia di rispolverare la pellicola dopo anni
dalla sua uscita per riportarla
all’attenzione del pubblico.
Nel caso di Frankenstein Junior può sembrare semplice: in
realtà è stato un rischio enorme
perché molti fan del film erano
perplessi. Ma siamo riusciti a
convincere anche questo zoccolo duro».
Come?
«Se l’adattamento è fatto con
coscienza non solo funziona
ma ha anche grande successo.
E con la regia di Saverio Marconi, che è il padre dei musical
in Italia, non poteva essere diversamente».
Cos’è più importante? La
costruzione di un personaggio vicino al pubblico o la fedeltà allo spirito del film?
«È essenziale la fedeltà al
testo. Se è scritto bene e con i
tempi giusti basta attenersi a
questo. Con Frankenstein Junior giochiamo in casa perché
l’adattamento è dello stesso
Mel Brooks».
È cambiato il musical in
questi anni?
«Quando facevo La Piccola
Bottega degli Orrori la gente
credeva si trattasse di un varietà. C’erano le commedie
alla Garinei e Giovannini ma il
musical vero e proprio è arrivato con l’importazione dagli
USA e da Londra. Oggi c’è
una seconda rinascita dopo
quella di fine anni ’80. Grease
è stato lo spartiacque: c’è un
prima e un dopo. E dopo sono
Basta unire canto e recitazione o è uno stile diverso?
«La parola performer mi sta un
po’ sulle scatole. Per fare un
musical devi saper cantare. Ma
è fondamentale essere un attore per interpretare il brano,
sennò diventa Sanremo. Implica uno studio maggiore.
Molti giovani mettono la recitazione in secondo piano: è un
errore contro il quale mi batterò sempre. Ho aperto una
scuola per questo».
Il ballo merita un discorso
a parte?
«Quando ho fatto Grease mi
dicevano: “Lei balla”. No, io
non ballo: sono un attore, faccio finta di fare le cose, quindi
fingo di ballare. L’importante è
che voi spettatori mi crediate.
Bisogna impegnarsi tanto: ho
lavorato due mesi sul tip tap
per Frankenstein Junior. Ma è
il mio mestiere».
Il pubblico è diverso?
«Il pubblico è cresciuto: è
stato sommerso da tantissimi titoli e ha imparato a
scegliere. Ecco perché
serve sempre più responsabilità da parte di chi fa
questo mestiere. Poi
ovviamente ci sono i fanatici del genere».
Quanto Internet e i nuovi
media possono
aiutare il mondo del musical?
«C’è più consapevolezza nel
pubblico anche grazie alla rete.
Se voglio vedere un pezzo di
spettacolo vado su YouTube e
poi magari decido di comprare
il biglietto. Ma non si può ricreare con l’iPhone la magia
che si respira ogni sera a teatro».
Conviene investire nel musical oggi in Italia?
«Dipende come investi. E’ un
lavoro vero e proprio che va
fatto sinceramente e con intelligenza. Ci dovrebbe essere
una coscienza, anche nei produttori: abbiamo la responsabilità di fare spettacoli belli.
Ogni volta che un musical è
brutto fa male agli altri».
La riscoperta di questo genere è una moda temporanea
o ci sono le basi per trasformarlo in un fenomeno a
lungo termine?
«Il nostro Paese è pronto per il
musical. Non siamo Londra o
New York ma abbiamo i mezzi
per uno sviluppo continuativo
e di qualità. Punterei però di
più su spettacoli originali
scritti in Italia. Salvatore Giuliano ad esempio, basato molto
sul testo e non su canzoni ruffiane e troppo show, non ha
avuto la fortuna che meritava».
Abbiamo delle strutture
adatte?
«Le strutture esistono, non
sono state costruite appositamente
per il musical, ma
ci sono.
Bisogna
riempirle
con roba
buona».
PAGINE 18-19 SPORT_Layout 1 07/04/2013 17:48 Pagina 2
Pagina 18
SPORT
LAB Iulm
Gli iscritti
aumentano
ma gli atleti
professionisti
diminuiscono.
Strutture
inadatte,
allenamenti
faticosi e poca
pubblicità: ecco
i motivi per cui
l’Atletica
a Milano,
nonostante
i numeri, vive
un momento non
particolarmente
felice
L’ultimo scatto
Pietro Mennea durante la “Pasqua dell’atleta” del 1983 all’Arena civica vince la gara dei 300 metri sfiorando il suo record
Adriano Lo Monaco
he un bambino milanese sogni di poter
emulare, da grande, le
gesta dell'olimpionico Pietro
Mennea è già impensabile per
il poco appeal che l'atletica riveste nei confronti dei giovanissimi, ma lo è ancor di più se
consideriamo che l'attuale si-
C
Nell’ultimo anno
è stata cancellata
la “Notturna
di Milano”,
il meeting
internazionale che
si teneva all’Arena
tuazione degli impianti milanesi (e non solo) versa in
condizioni critiche e, in qualche caso, tragiche.
L'Arena Civica, dal 2002 intitolata al giornalista sportivo
Gianni Brera e patria della società Riccardi, è il tempio dell'atletica milanese, ma si sta
trasformando sempre più in un
impianto in cui è possibile fare
di tutto, tranne che gareggiare
ad alti livelli. In questi ultimi
anni, tra cantieri aperti e pedane inagibili, sono stati organizzati concerti, tornei di
calcio e manifestazioni che
nulla avevano a che fare con
l’atletica. Nell’ultimo anno,
per il mancato appoggio economico di Comune e Provincia, è stata cancellata la
‘Notturna di Milano’, un meeting internazionale che dal
1998 riempiva l’Arena di nomi
prestigiosi come il tre volte
campione europeo (due volte
sui 100 metri e una sui 200)
Christophe Lemaitre e Caster
Semenya, la tanto discussa
atleta sudafricana che nel 2009
ha conquistato l’oro sugli 800
metri ai mondiali di Berlino.
Milano privata della sua vetrina più bella, in controtendenza con quello che succede
nelle altre città europee come
Berlino o Parigi, dove i meeting crescono più vigorosi che
mai e attirano migliaia di appassionati.
Altra zona, altro impianto e
stessa situazione. Ai piedi del
Montestella ha sede il XXV
I NUMERI
Aprile, lo storico campo che ha
visto nascere, crescere e trionfare una trentina di atleti a livello internazionale, tornato
agibile e riaperto al pubblico e
alle società sportive solamente
da qualche mese. Nel 2011, infatti, è stato rifatto il manto
della pista, ma i test negativi
del Politecnico non hanno permesso di dare il via libera all'attività agonistica perché la
superficie sintetica non è stata
ritenuta idonea. Si potrebbe
continuare ad oltranza. Il centro sportivo Saini, nei pressi
del Parco Forlanini, custodisce
gelosissimo la sua pista di atletica, ormai praticamente inutilizzabile, dal lontano '63,
mentre lo stadio Carraro, situato al termine della lunghissima via dei Missaglia, ha una
pista non omologata e malamente mantenuta.
Oggi, inoltre, a Milano e in
tutta la Lombardia non esiste
una pista indoor di atletica. Un
quadro che non sorprende più
di tanto se rapportato al fatto
che l'unica struttura al coperto
in Italia è il centro tecnico di
Ancona, utilizzato dalla federazione anche per le gare nazionali, ma che diventa
improponibile in base al numero dei tesserati della regione
lombarda, tra i più significativi
d'Italia. 39082 atleti (secondo
l'ultima statistica del 31 di-
Quasi quarantamila praticanti in regione nel 2012
19722
21803
23784
25084
28265
29861
32182
34516
36322
39082
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
Il numero degli iscritti alla Federazione Italiana di Atletica Leggera lombarda dal 2003 al 2012
cembre 2012) costretti ad inseguire il sogno di un mondiale
o di un'olimpiade con poche
certezze e mezzi assai remoti.
Ma nonostante gli annosi problemi dell'atletica a Milano,
non mancano le eccellenze.
È il caso della sessantasettenne società sportiva Riccardi,
presieduta da Renato Tammaro
e diretta dal figlio Sergio, che
Oggi in Lombardia
non esiste
una pista indoor
di atletica.
L’unica struttura
in Italia
è ad Ancona
per il secondo anno consecutivo e per la terza volta nelle
ultime quattro stagioni è diventata campione d'Italia, continuando a fornire la nazionale
di giovani promesse.
Il declino dell'atletica milanese, dunque, non è dato dalla
carenza di atleti che di questo
sport, insieme ai tecnici, sono
gli alfieri fondamentali in uno
scacchiere con poche luci e
tante ombre quanto, piuttosto,
dalla mancanza di motivazioni,
di progetti e dalla scarsa lungimiranza che si respira nei piani
alti della federazione, rea di
quell'involuzione che non ha
saputo proiettare il mondo dell'atletica verso il futuro, relegandolo a un presente che sta
sempre più azzerando la possibilità di vedere impianti moderni e al passo coi tempi.
PAGINE 18-19 SPORT_Layout 1 07/04/2013 17:48 Pagina 3
LAB Iulm
SPORT
I NUMERI
Pagina 19
LA SOCIETA’ CHE HA SAPUTO RINNOVARSI RESISTE ALLA CRISI
Da riserve a campioni d’Italia: l’Atletica Riccardi
Tre campionati italiani negli ultimi quattro anni per la squadra fondata 67 anni fa da Renato Tammaro
Antonio Torretti
ppure c’è un posto a Milano in
cui l’atletica respira ancora. E a
pieni polmoni. Basta entrare dentro l’Arena civica e ci si imbatte in un
folto numero di persone che corrono. Ma
non si tratta dei milanesi indaffarati che
si incontrano nel resto della città. Sono
atleti, di tutte le età: dai bambini che vogliono solo giocare fino agli anziani, che
nell’atletica vedono un elisir di lunga vita.
Una cosa accomuna tutti: la canotta
verde. Già, perché il verde è il colore
della squadra campione d’Italia, la Riccardi. La sede è proprio in uno stanzone
all’interno dell’Arena in cui le innumerevoli coppe, che non trovano più posto
negli scaffali della stanza (alcune hanno
subito una metamorfosi che le ha portate
a divenire inconsueti portapenne) attestano i straordinari risultati conseguiti.
Del resto essere per 3 volte in 4 anni i
campioni d’Italia è un risultato davvero
speciale.
Dopo Caorle 2009 e Sulmona 2011 infatti la società milanese si è aggiudicata
lo scorso settembre le finali per il titolo
nazionale disputate a Modena. Il segreto
del successo? L’organizzazione e la programmazione. In un periodo in cui i fondi
e le strutture scarseggiano, la Riccardi ha
saputo rinnovarsi e muoversi per trovare
giovani campioni. L’idea è lungimirante:
andare nelle scuole e diffondere la pratica
di questo sport. Sul coinvolgimento parlano i dati: a marzo si è arrivati alla
XXXVa edizione de “Il ragazzo e la ra-
E
gazza più veloci di Milano”, la manifestazione che premia i nuovi giovani talenti e che permette ogni anno alla società
di avere un numero rilevante di iscritti gestiti anche in collaborazione con le società
satellite: lo scorso anno tra Riccardi e
Riccardi-Camelot Young i tesserati erano
710.
Ma il non lasciare nulla al caso è una
caratteristica che contraddistingue questa
società già dagli albori: la sezione atletica
della Riccardi nasce nel marzo del 1946
per volere del presidente Renato Tammaro che dopo essersi innamorato quasi
per caso dell’atletica (fu invitato dal fratello ad assistere alla sfida Italia Germania nel 1939 e fu stregato dalla sfida negli
800 tra Harbig e Lanzi), decise di ampliare la polisportiva del conte Riccardi
con il ramo dell’atletica. In un periodo in
cui nel calcio si giocava in undici, le riserve erano quelle meno contente perché
di fatto non facevano che allenarsi. Perché non cambiare sport e sceglierne uno
in cui tutti fanno qualcosa? Nacque di
fatto così la sezione atletica della Polisportiva Riccardi e, nel giro di una decina
d’anni, arrivarono già i primi risultati. La
storia di oggi è una storia diversa perché
l’atletica è cambiata come è cambiata la
società italiana: per tirare avanti occorre
creare una rete forte.
La Riccardi sotto questo punto di vista
può vantare il supporto, non indifferente,
della Cariplo e sta lavorando per creare
rapporti di tutela sanitaria con alcuni poliambulatori lombardi. I problemi però ci
sono e non si tratta solo dell’indifferenza
delle istituzioni: l’assenza di strutture
adeguate e, soprattutto, quello che potremmo definire il “ratto dei campioni”.
Un caso su tutti, quello di Andrea Chiari,
il giovanissimo campione italiano nel
salto triplo categoria under 23 al quale
solo un infortunio piuttosto serio ha negato la possibilità delle olimpiadi di Londra, che ha appena lasciato la Riccardi per
trasferirsi alle Fiamme Gialle dove le risorse sono notevolmente diverse. Ma da
noi funziona così: raggiunta una certa età,
non si può far altro che vestire le casacche
delle forze armate per diventare dei veri
professionisti. Per la Riccardi non è certo
un problema insormontabile. La dimostrazione è arrivata pochi giorni fa con un
nuovo titolo da mettere in bacheca: il titolo italiano di Cross conquistato a Rocca
di Papa. Siamo sicuri che l’atletica sia
proprio in crisi?
“E’ lo sport che deve costruire nuovi talenti”
L’INTERVISTA
ALBERTO COVA
L’ex campione olimpico indica il problema dell’atletica lombarda: “Manca il salto al professionismo”
Eliana Biancucci
atleta italiano che
insieme a Panetta
ha segnato negli
anni ’80 la stagione d’oro della
Pro Patria, trionfando nel mezzofondo, e realizzando il tris
Europei, Mondiali e Olimpiadi.
Abbiamo intervistato Alberto Cova, vincitore dei Giochi Olimpici di Los Angeles
del 1984, per capire perché,
dopo di lui, la grande tradizione dell’atletica lombarda
non ha più regalato all’Italia
trionfi di simile livello.
L’
L’atletica è diventata uno
sport meno praticato in
Lombardia rispetto al passato?
«No, il numero di iscritti
alle società di atletica non è diminuito, anzi in alcuni casi è
aumentato. E’ cambiata però la
fascia d’età in cui questo sport
viene praticato. Io ho cominciato a 14 anni, oggi invece i
ragazzi entrano nelle società
già a 8 anni. Il problema dei
mancati successi è che poi arrivati a 18 anni, quando è ora
di fare una scelta di vita, ri-
nunciano a fare il salto di qualità verso l’agonismo».
Quindi una volta cresciuti
diventa un’attività meno attraente?
«Sì. Perché richiede molto
sacrificio. A 18 anni, ai ragazzi
che hanno dimostrato più talento, se vogliono diventare
professionisti viene chiesto di
dimenticare gli sforzi fatti fino
ad allora e pensare che da quel
momento in poi si riparte da
capo, con un impegno costante
che richiede due allenamenti al
giorno».
Eppure l’atletica era faticosa anche 30 anni fa. I ragazzi di oggi non conoscono
più lo spirito di sacrificio?
«La differenza essenziale
credo sia nelle possibilità che
la società offre. Negli anni ’70,
Alberto Cova
quando ho cominciato io, si
andava su un campo sportivo
per fare qualcosa di diverso e
divertente.
L’attività fisica era sinonimo
di non solo di sacrificio ma
anche di novità e di spensieratezza».
E oggi non è più così?
«Adesso molti ragazzi che
hanno la possibilità scelgono
di studiare. L’atletica poi non è
certamente uno sport che fa arricchire e chi resta nelle società
può permettersi, il più delle
volte, di farla solo a tempo
perso mentre chi è talentuoso e
viene preso in considerazione
dai gruppi militari si sistema
economicamente.
Le strade che si possono
percorrere sono ormai tante, e
quella dell’atletica, che richiede tempo e pazienza per
arrivare, diventa inevitabilmente meno attraente».
I genitori di solito spingono i figli a praticare il calcio. Secondo lei l’atletica è
sfavorita anche da questo?
«Non penso che siano gli
altri sport a rovinare la nostra
atletica, è il modo in cui è
strutturato in Italia lo sport che
la rovina.
Tra le diverse attività c’è
concorrenza invece che esserci
cooperazione. A partire dalle
scuole, dove l’educazione fisica si fa praticare poco e
l’atletica non viene fatta conoscere. E se ad un giovane
l’atletica non gliela facciamo
conoscere e non gliela facciamo sperimentare, non potrà
mai scoprire se ha un talento».
Quindi le colpe sono in
larga parte da attribuire al
sistema sportivo stesso?
«Si, è questa la ragione che
spiega il calo improvviso di
tesserati dai 18 anni in su rispetto a quelli dei settori giovanili. Per far sì che nascano
talenti come quelli che hanno
regalato grandi soddisfazioni
alla Lombardia bisogna lavorare sulla quantità e non insistere soltanto su alcuni ragazzi
che in partenza sembrano più
dotati.
Oggi i giovani vanno accompagnati per fargli fare
delle scelte e aiutarli a gestire il
loro patrimonio. Lo sport deve
smettere di attendere solo che
sboccino nuovi talenti, deve
iniziare invece a cercarli e costruirli».
PAGINE 20-21 SOCIETA'_Layout 1 07/04/2013 17:55 Pagina 2
Star Chef
Pagina 20
SOCIETA’
LAB Iulm
Show seguitissimi e
ricettari best-seller.
Ma anche strapagate
consulenze e ospitate
mondane, reality e
pubblicità. È finita l’era
dei grandi cuochi che
lavoravano solo ai
fornelli? Gli chef sono
le nuove stelle della tv
e non solo
Carlotta Bizzarri
na volta i cuochi lavoravano chiusi nelle
loro cucine, tra il
caldo dei forni e le lacrime
delle cipolle. Oggi gli chef
spadellano in set brillanti sotto
gli abbaglianti riflettori della
tv e tra gli applausi scroscianti
del pubblico. Sono loro i
nuovi divi, protagonisti di programmi tv seguitissimi, di spot
e ospitate pagate a peso d’oro,
autori di best seller, alcuni perfino sex symbol.
Sarà la crisi che obbliga le
famiglie a rinunciare al ristorante. Sarà il piacere di mettersi alla prova o la
sempre maggiore attenzione ad un’alimentazione sana e di
qualità. O sarà, come
sostiene Chiara Maci,
food blogger e giudice del programma
tv Cuochi e Fiamme,
che i grandi chef stellati “hanno finalmente capito che
rendere accessibili a
tutti i loro piatti e le
loro ricette è la mossa
vincente”. Fatto sta
che i programmi di
cucina si sono moltiplicati negli ultimi
anni. Sono più popolari che mai e non c'è canale
che non abbia il suo chef di fiducia.
Dallo storico La prova del
cuoco di Antonella Clerici al
più recente I menu di Benedetta della Parodi, i programmi di ricette erano fino a
ieri per lo più indirizzati alle
casalinghe o comunque ad un
U
Nella foto grande:
Bruno Barbieri, Carlo Cracco,
Joe Bastianich, giudici spietati
del programma televisivo
Masterchef Italia.
Nella foto centrale:
i concorrenti della prima
stagione del reality.
Nella foto a destra:
Chiara Maci, foodblogger e
giudice di Cuochi e Fiamme.
Nella foto in basso a destra:
lo chef stellato Enrico Cerea
pubblico prettamente femminile. Oggi invece gli show culinari hanno conquistato tutti,
giovani e meno giovani, uomini come donne. Merito soprattutto
dell’incredibile
successo del reality Masterchef
Italia e dei suoi tre severissimi
(ed ora famosissimi) giudici:
Carlo Cracco, Joe Bastianich,
Bruno Barbieri. Al casting per
partecipare al programma erano in 8
mila e in oltre 1 milione hanno guardato
la finale: tanto per
farsi un’idea dell’ossessione culinaria scatenata dal format.
Tutti li vogliono,
tutti li cercano. Richiestissimi, vezzeggiati, invidiati i cuochi
sono gli “animali televisivi” dell’anno. E
fatturano come una
media impresa. Per uno "show
cooking", la preparazione di un
piatto davanti a un pubblico,
chiedono fino ad 8 mila euro.
Alessandro Borghese, padrone
di casa del programma In cucina con Ale, guadagna 1 milione di euro all’anno. Simone
Rugiati, reso famoso soprattutto dalla partecipazione a
vari reality, prende 7 mila euro
per una comparsata. Cifre da
capogiro? In realtà briciole ri-
Richiestissimi,
adulati, invidiati, gli
chef sono più
popolari che mai.
E guadagnano
cifre da capogiro
spetto al numero uno delle cucine televisive americane, il
britannico Gordon Ramsey,
che, secondo Forbes, ha fatturato ben 38 milioni di dollari
nel 2012.
Da “chef dei vip”, i cuochi
stellati sono diventati loro
stessi delle vere e proprie star.
“Vip io? Sono solo un bravo
cuoco” si schermisce con
(finta?)
modestia
Carlo
Cracco. Sarà. La realtà è che
oggi nel suo ristorante a Milano c’è chi viene solo per farsi
fare un autografo. È salito sul
palco di Sanremo, il suo libro
Se vuoi fare il figo usa lo scalogno è alla quattordicesima ristampa. Ed ha decine di
migliaia di fans che non hanno
mai assaggiato un suo piatto.
Ma la cucina&chef-mania
sarà solo una moda passeggera? Per Gianfranco Vissani,
chef 2 stelle michelin, esperto
di tv fin dal famoso risotto cucinato per Massimo D’Alema
nello studio di Porta a porta nel
1997, queste “entrate collaterali” (trasmissioni televisive,
libri, collaborazioni pubblicitarie ecc.) sono una necessità per
mantenere gli “standard costosissimi richiesti dall’alta cucina”. Quindi un tutt’uno con
la professione dietro ai fornelli.
Ma allora, quale sarà il futuro
degli chef? Se Vissani ha ragione saranno sempre più
“condannati” alla trasferta perpetua tra trasmissioni, consulenze, forum gastronomici...
PAGINE 20-21 SOCIETA'_Layout 1 07/04/2013 17:55 Pagina 3
Pornofood, il piatto si fa
sexy e conquista il web
LAB Iulm
SOCIETA’
Claudia Vanni
educe,
appassiona,
coinvolge: lo chiamano Porno-food, ma
non ha niente a che vedere con
l’osceno. È piuttosto l’attrazione irresistibile di un piatto
ben cucinato, l’emozione
esplosiva del ragù che cola
sulle tagliatelle o del soufflè al
cioccolato, con il cuore fondente e ancora fumante.
In Italia gli appassionati
della buona cucina, i foodies
(così si chiamano), sono ben 5
milioni e mezzo e aumentano
al ritmo di circa 250 mila al-
S
l’anno: non si tratta solo di chi
ama gustare o cucinare piatti
sfiziosi ma anche di chi ama
confrontarsi e condividere ricette. E nell’epoca del web 2.0
queste esigenze trovano libero
sfogo su siti e blog, dove imperversano le immagini culinarie, dall’effetto eccitante,
porno appunto.
Nel weekend pre-pasquale,
al Museo della
scienza e della
tecnologia di Milano, Simona Tedesco, direttore
di Leiweb e tre
famose
foodbloggers, Chiara
Maci, Roberta
Deiana e Laurel
Evans hanno provato a decifrare il
fenomeno. “Per
me Porno food è
l’imperfezione di
un piatto pronto
per essere gustato” ha dichiarato Chiara, volto noto della tv
ai fornelli, esperta del marketing aziendale che ha mollato
tutto per dedicarsi alla cucina.
“La foto genuina - ha proseguito - con i suoi difetti trasmette passione, veracità,
emoziona”. “Il pornofood è
quell’immagine che ti incita ad
allungare la mano” ha spiegato
Pagina 21
la food stylist Roberta
Deiana. Ma secondo la
curatrice, la provocazione dell’immagine
gastronomica passa
anche attraverso la ricerca attenta dei particolari e la cura del
piatto: “il cibo infatti è
una miniera di colori,
forme, consistenze, da
combinare e assemblare” ha
aggiunto Roberta. Tra tweet e
post, la fama dei consigli culinari di bloggers, scrittori autodidatti
o
semplici
sperimentatori esplode: i “foodies” infatti oltre a cercare i
prodotti migliori dagli artigiani
del gusto, partecipare ad eventi
gastronomici e saggiare (oltre
che assaggiare) i piatti nelle
cene tra amici, amano spulciare su internet in cerca
della nuova sfida, possibilmente accessibile, a colpi
di farina e pomodoro: “La
gente ha bisogno di semplicità – commenta Chiara
Maci – il piatto del grande
chef spaventa”. E poi sul
web si impara insieme come
spiega Laurel Evans: la
blogger che, dal Texas ha
esportato la cucina americana
nel Belpaese, rivela di mettere
a punto le ricette anche grazie
alle sperimentazioni e i consigli degli utenti.
Che tu sia italiano o americano infatti, in cucina conta
poco. “Il cibo unisce tutti” afferma sorridendo Chiara. E se
poi si tratta di porno-food!
Colortaste, quando il cibo diventa arte
Claudia Vanni
l piatto si fa tela, il pennello forchetta, i cuochi
pittori e i colori sapori
per un viaggio nel gusto che
celebra insieme cibo, fotografia e arte. Sembrano acquerelli
ma la materia prima è il cibo.
Foglie di prezzemolo, salse,
pane e pesce sono stati disposti
dalla mano sapiente di quattordici chef stellati Michelin, per
realizzare le immagini di Colortaste- La cucina si fa arte,
che hanno animato il cortile di
Palazzo Isimbardi a Milano,
fino al 18 marzo.
Il fotografo Alfonso Catalano ha realizzato gli scatti
chiedendo ai cuochi di disporre
le composizioni, come fosse la
tela di un quadro, su una lastra
bianca traslucida retro-illuminata, capace di creare trasparenze e di fare risaltare i colori
degli ingredienti. Lo scopo?
Creare un “ghiotto” incontro
tra cucina e fotografia, in cui il
senso estetico rimanda continuamente a profumi e sapori.
Manipolando e studiando la disposizione degli ingredienti, il
cuoco diventa un artista anche
I
pittorico. Ma il connubio tra
arte e cibo non sarebbe una novità: il primo che trasformò
frutta, ortaggi, pesce e carne in
volti e opere fantastiche fu
Giuseppe Arcimboldi a metà
del 1500.
In tempi moderni invece, il
reporter svizzero Catalano ha
rivisto il legame, viaggiando
da Roma alla Costiera Amalfitana, da Pistoia a Bolzano, da
Senigallia a Milano. Agli scatti
culinari, sono state aggiunte
poi diverse foto di backstage e
i ritratti di alcuni celebri cuochi. Curiosa la scelta degli “artisti”, effettuata sulla base del
passaparola degli stessi: forse
per allontanare ogni dubbio di
“dissapore ” e competizione tra
chef di fama internazionale, a
ogni cuoco è stato chiesto di
segnalare un collega.
Il ricavato della vendita
delle opere in mostra sarà devoluto interamente alla onlus
Pane Quotidiano, che a Milano, da oltre un secolo, si occupa di aiutare i meno abbienti.
“L'idea è nata quasi per
caso, ma volevo che fosse
coinvolta un'associazione seria
come questa, che da 115 anni
distribuisce quotidianamente
tremila pasti a chi è in difficoltà”, ha raccontato il fotografo.
copertina ecc_Layout 1 08/04/13 17.18 Pagina 4
Pagina 22
IULM nEwS
La relazione del rettore
Giovanni Puglisi per
l’apertura dell’anno
accademico 2012-2013
dell’Università Iulm. Fra
gli ospiti il Presidente
della Conferenza dei
Rettori Marco Mancini e
la Presidente del
Tribunale di Milano
Livia Pomodoro.
Dura denuncia dei tagli
alla Cultura e all’alta
formazione. “Da circa
cinquant’anni la vita
dei nostri atenei è
una storia quasi
estranea alla vita
politica del paese,
che la vive talora con
distrazione, talora
addirittura con
fastidio”.
LAB Iulm
“Cari giovani,
pretendete la qualità
Giovanni Puglisi
uest’anno io vorrei raccontarvi una storia, la
storia di un accademico
che alle soglie del quarantacinquesimo anno di vita universitaria
si
ritrova
disorientato e solo in una giungla, più simile alla monade
leibniziana, senza porte e
senza finestre, che a un nomade, disperso dantescamente
in una “selva oscura selvaggia
e aspra e forte, che nel pensier
rinnova la paura”. L’immagine
è scelta accuratamente: la
selva dantesca – come tutta la
Commedia – è popolata di mostri e di angeli, di diavoli e di
santi, di malfattori e di ignavi,
di peccatori e di asceti, teologicamente divisi per gironi e
cieli, ma tutti organizzati in
funzione della Luce assente o
presente, vicina o lontana.
Il passaggio dalla prima accezione della selva a quella della
monade racchiude la storia
dell’Università italiana dell’ultimo mezzo secolo che abbiamo alle nostre spalle, di
quei quarantacinque anni, in
buona sostanza, che segnano
anche la mia storia accademica. Ho difficoltà a rimpiangere il famoso ’68, che ebbi
pure a frequentare, da studente
contestatore prima e da giovane docente inesorabilmente
contestato dopo, ma ho maggiore difficoltà a ritrovarmi in
questa Università italiana del
Terzo Millennio dove la cifra
prevalente è l’atomismo più
Q
esasperato, del tutto privo di
quella geniale virtù del clinamen epicureo, che permetteva
agli atomi, deviando
“impercettibilmente la loro
traiettoria” – come scrive
Lucrezio nella sua splendida
opera De rerum natura – insieme alla formazione della
materia, la conoscenza.
Ciò che mi preme evidenziare
è la singolare e strana convergenza, però, per converso, che
lega l’itinerario politico civile
della nascita gloriosa delle
Università italiane dei secoli
scorsi, a quello di questo ultimo scorcio di secolo. Ecco la
variante: alle origini la vita di
ciascuna universitas era al
centro delle attenzioni politiche e civiche dei diversi poteri
temporali o ecclesiastici che se
ne facevano carico [si pensi,
per tutte, all’esenzione data
agli scolari di fare il “servizio
militare” – si direbbe oggi così
– nel corso dei loro studi, in
epoche nelle quali le genti
combattevano spesso per la
loro sopravvivenza;
da circa cinquant’anni la vita
delle nostre Università è, invece, una storia quasi estranea
alla vita politica del Paese, che
la vive talora con distrazione,
talora addirittura con fastidio.
Oggi –cosa ancor più grave, a
mio avviso – con assoluta indifferenza: l’Università italiana, statale e non statale in
particolare, non sembra più
appartenere a questo Paese,
preoccupato principalmente di
controllarne i conti, piuttosto
che di misurarne la capacità e
le performances scientifiche e
formative.
nella formazione di giovani
eccellenti, a favore, spesso, di
altri Paesi, pronti a raccogliere
il meglio dei nostri giovani,
accrescendo così le loro performances e le loro fortune,
UNIVERSITÀ PUNITA
anche nelle graduatorie dei
Alla singolare distrazione con
rankings internazionali, a
la quale il sistema politico itadanno dei nostri Atenei, che
liano ha permesso, specie
invece risultano sempre penanegli ultimi trent’anni, la mollizzanti.
tiplicazione irrazionale e irraIl Presidente della Conferenza
gionevole delle Università, dei
dei Rettori, l’amico Marco
suoi Corsi di studio, delle sue
Mancini – che ringrazio di
sedi, centrali e periferiche,
cuore sia per avere accettato
pronto clientelarmente a ricoquesto invito, ma soprattutto
noscerle subito dopo come
per la fiducia e il sostegno che
“centrali” a loro volta, ha fatto
mi ha sempre dato nella Conséguito una altrettanto irragioferenza e fuori, anche come
nevole e meramente punitiva
suo Vice Presidente – che inazione di strangolamento delle
terverrà subito dopo di me,
capacità e delle intelligenze disaprà trattare sicuramente con
sponibili negli Atenei al servimaggiore precisione e con mizio della ricerca, dissipando
gliore equilibrio, questo tema.
risorse accumulate negli anni
Io desidero solo riportare questa nota istituzionale
al mio vissuto personale: l’Università che
ho conosciuto e vissuto in questi quarantacinque anni oggi
non la riconosco più.
Ho avuto la fortuna di
essere chiamato, dalla
fiducia e dalla stima
dei miei Colleghi, ad
assolvere compiti di
Governo accademico
molto giovane e molti
anni fa: in quegli anni
ho vissuto e conosciuto l’Università dei
Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale
Maestri
e
delle
di Milano
Scuole, quella in cui il merito
– qualunque cosa si voglia,
con piglio iconoclasta, dire
oggi – alla fine era sempre sovrano. I Maestri sapevano scegliere,
con
assoluta
discrezionalità, ma con
altrettanta sicurezza scientifica: le abilitazioni, le idoneità
erano sempre propedeutiche a
valutazioni vere e proprie e gli
ope legis, anche camuffati,
erano una bestemmia. L’entropia del sistema, nel quale idoneità, ope legis più o meno
mascherati e adesso abilitazioni di massa sono di casa e
di norma, ha generato mostri,
moltissimi mostri. Per carità,
anche un secolo fa esistevano i
mostri accademici, ma erano
un’esigua minoranza, oggi
forse le proporzioni sono capovolte!
L’Università è figlia e specchio del proprio tempo, ieri
come oggi, nel Medioevo
come ai nostri giorni, e questo
è un tempo in cui la cultura,
l’istruzione, la ricerca hanno
perduto il gusto della verità,
che equivale a dire che hanno
perduto il diritto di cittadinanza attiva: la verità dovrebbe essere quella di
affermare se stessa, per affermare – senza se e senza ma,
come si ama dire adesso – il
diritto alla propria sopravvivenza e alla propria libertà e,
quindi, alla loro libera espressione.
Il fascismo privò l’Università
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LAB Iulm
IULM nEwS
Pagina 23
L’INIZIATIVA
Fascia zero per studenti a basso reddito
A partire dall’Anno Accademico 2013/14 l’Università Iulm introdurrà due nuovi strumenti per
premiare il merito e sostenere il diritto allo studio: la Fascia Zero, per facilitare l’immatricolazione
degli studenti con un reddito annuo inferiore ai 15.000 €, e una riduzione delle rette rivolta ai laureati IULM che desiderano proseguire gli studi dopo il conseguimento della Laurea Triennale. La
nuova fascia di reddito, nata con l'obiettivo di premiare il merito, è rivolta ai giovani appartenenti
a famiglie con un reddito annuo non superiore a 15.000 €: per loro la retta annua di iscrizione sarà
di 1.800 € per i Corsi di Laurea Triennale e di 2.500 € per i Corsi di Laurea Magistrale. Oltre ai
requisiti economici, per rientrare nella nuova Fascia Zero, è richiesto inoltre un voto di almeno
75/100 all'esame di Maturità per iscriversi a un Corso di I livello e un voto di Laurea non inferiore a 100/110 per un Corso di Laurea di II livello. Gli studenti IULM che hanno già concluso
uno dei percorsi formativi di primo livello all'interno dell'Ateneo, potranno inoltre iscriversi a un
Corso di Laurea Magistrale beneficiando, per il primo anno, di una riduzione del 20% sul costo
complessivo dell’iscrizione. Ulteriori informazioni sul sito www.iulm.it.
ità”
della sua libertà d’insegnamento, mettendo il bavaglio a
centinaia di studiosi e di docenti (solo 13 docenti su più di
un migliaio rifiutarono di
giurare fedeltà al regime fascista, scrivendo una pagina di
orgoglio per un verso e di
ignominia per l’altro, della
nostra storia accademica), il
post-fascismo dei nostri giorni
sta privando l’Università, la
scuola, la ricerca, in una parola
la cultura, del diritto di sopravvivenza, affidandola ad una
eutanasia guidata – come saggiamente ha denunciato la
Conferenza dei Rettori – tragicamente irreversibile. Privare
l’Università del suo diritto di
esistere vuol dire innanzi tutto
privare la società della più autentica e più nobile scuola di
diritto e di libertà: una società
immorale e illiberale sarà – o
forse è già? – la conseguenza
più naturale e irreversibile. Il
piacere dell’etica e il gusto
delle regole sono il sale di una
società civile degna di questo
nome, dove il rispetto della
persona, come quello della natura, degli animali, di ogni
forma di esistenza sia garantita. L’identità si rispetta attraverso il culto della diversità,
anzi delle diversità: lo ha sancito l’Unesco, lo ha ratificato il
nostro Parlamento. È ora di
fare diventare tutto ciò davvero
“patrimonio dell’Umanità”,
ovvero di tutti noi, anche in
Italia.
L’ALBERO
DELL’EDUCAZIONE
L’università in questa stagione
ha responsabilità enormi, ma
anche ancora potenzialità
enormi. Le prime sono sotto
gli occhi di tutti: le difficoltà di
dialogo civile e politico del sistema universitario con il sistema-Paese sono la ragione
principale della crisi del sistema dell’alta formazione. Io
non so se il tempo che abbiamo davanti ci permetterà di
recuperare questa relazione in
modo virtuoso, risalire la china
di questa deriva reale e mediatica sarà molto difficile per
tutti, universitari, politici, industriali, imprenditori, giornalisti, opinion makers. È però
l’unica forma di recupero di
quella centralità dell’educazione, intesa in senso anglosassone, che sta alla base di
ogni società civile degna di
questo nome. L’educazione è
una pianta, che dopo il suo impianto germoglia e cresce in
ragione della sua aspettativa di
vita, ma anche in ragione dell’ambiente nel quale vive. Dall’Università, come da ogni
missione esistenziale, non si
esce più, la sua vocazione culturale è anche la sua identità
esistenziale, proprio come
l’identità biologica di un albero. L’Università può essere
uccisa per suicidio o per eutanasia. Il primo è contro natura,
la seconda è quella che il sistema politico italiano sta pra-
ticando alla nostra povera Università. Ribelliamoci con l’orgoglio della nostra storia, con
la forza delle nostre idee e con
la dignità della nostra moralità.
Basta espellere le mele marce
e tenere alta la soglia della moralità, fino all’asticella del suo
piacere ontologico.
È possibile, ve lo assicuro, bastano coraggio e fiducia. Così,
e solo così, forse riusciremo a
diventare di nuovo magistra
vitae, in un tempo e in una società che ha abbassato tutte le
asticelle fino a perderne anche
la traccia simbolica. Le recenti
consultazioni elettorali hanno
dato la rappresentazione di una
democrazia sofferente, la quale
ha perduto il legame essenziale
tra rappresentanza e rappresentatività. La metà degli Italiani
ha, in modo articolato, mandato un segnale inequivocabile
all’altra metà: non siete più
rappresentativi del Paese reale.
Cogliere il messaggio è più importante che baloccarsi sulle
formule di Governo. E cogliere
il messaggio vuol dire partire
dalla scuola, dall’Università e
dalla cultura: innanzi tutto con
gli esempi e le azioni, le parole
non bastano più, le promesse
non servono più, soprattutto all’Italia. Faccio appello in particolare ai giovani, tanti, donne
e uomini, che stanno per entrare nel nuovo Parlamento
della Repubblica: abbiano un
sussulto di dignità, pensino e
guardino ai loro coetanei, a coloro che in gran parte sono fra
i principali contributori del
tasso di disoccupazione o di
inoccupazione intellettuale e
materiale e impongano ad un
sistema politico ormai decotto
e impresentabile in gran parte,
oltre gli schieramenti, una politica della formazione di qualità, che ancorata a monte alla
scuola e all’Università, e a
valle ad un sistema produttivo
sano e moralmente sostenuto,
possa invertire il flusso della
disperazione.
Guardo con orrore all’Italia dei
prossimi trenta o quaranta
anni, un’Italia nella quale ad
invecchiare saranno i giovani
di oggi, quelli inoccupati o disoccupati, che attendono un lavoro per versare i loro
contributi assicurativi per la
pensione, i quali diventeranno
anziani in un Paese paurosamente povero, privo di mezzi
per vivere e farli sopravvivere.
IL FUTURO DELLA IULM
Potrei, a questo punto, riprendere il filo logico di una Relazione tradizionale Voglio solo
darvi una testimonianza di impegno personale, a tutto campo
e senza risparmio, di tutti, dico
di tutti coloro che, insieme a
me, condividono la guida e la
gestione strategica e quotidiana di questo Ateneo: abbiamo fatto passi avanti
enormi nell’impegno e nei risultati didattici, scientifici,
amministrativi e strutturali.
Essi sono sotto i vostri occhi,
a partire dal nuovo complesso
edilizio a fianco di questo, che
è finalmente una realtà, bella e
funzionale, alla crescita dell’Università IULM, nel quale
Vi do solennemente appuntamento per l’inaugurazione dell’anno accademico prossimo, il
45° dalla nostra Fondazione.
Contemporaneamente però vi
annuncio che a breve inizieranno i lavori per il restauro
della Cascina Moncucco, una
storica cascina milanese, a noi
assegnata dal Comune di Milano, la quale – grazie al
MIUR e alla Regione Lombardia, in cofinanziamento con
questa Università – si trasformerà in Residence per studenti
italiani e stranieri, ampliando
così l’offerta di spazi residenziali per i nostri studenti.
Mi sono avventurato a chiedere ai miei Colleghi degli Organi di Governo di
fare un passetto avanti
nella direzione della
solidarietà sociale,
aprendo, per il prossimo anno accademico, le porte di
questo
splendido
Campus e le aule della
nostra eccellente attività formativa ai giovani più capaci e
meritevoli
delle
scuole secondarie superiori, che per censo
o per le avversità della
sorte di questi anni
Marco Mancini, Presidente della
difficili dell’econoConferenza dei Rettori
mia del Paese non hanno la
possibilità di accedere alla nostra Università. Abbiamo istituito, infatti, per l’accesso ai
servizi della nostra Università,
una “fascia zero” aggiuntiva
alle nostre consolidate quattro
fasce di reddito, che rimangono intatte, che apre la IULM
a quanti non superano il reddito annuo di 15.000,00 euro
ad un prezzo “politico”, a condizione che abbiano superato
gli esami di maturità con un
voto non inferiore a 75/100 per
l’accesso alle Lauree Triennali
e si siano laureati al primo livello con un voto non inferiore
a 100/110 per l’accesso alle
Lauree Magistrali. Abbiamo
voluto definire questa fascia la
“fascia di responsabilità”, una
responsabilità morale e civile,
che non toglie, né aggiunge
nulla agli altri studenti attuali e
futuri – per i quali abbiamo addirittura pensato ad alcune
forme di “facilitazione” per
passare dalla Triennale alla
Magistrale –, ma non esclude
dalla nostra attività formativa i
meno avvantaggiati dalla vita,
dalla sorte e dalla società.
Debbo confessare, in chiusura
di questa mia Relazione, che
essa avrebbe voluto essere – a
conclusione dell’annuncio che
avevo fatto all’inizio – il canto
del cigno della mia storia accademica: una storia che, in
modo veramente singolare, si
sviluppa nello stesso, identico
periodo di vita di questa Università. Se per un Ateneo quarantaquattro anni sono pochi,
forse anche pochissimi, ma
sufficienti per cominciare a
crederci seriamente, per un
professore universitario quarantaquattro anni di vita accademica sono molti, anzi
moltissimi. Ho riflettuto a
lungo, dunque, e ritenuto che
in questo momento il mio dovere principale è quello di continuare a lavorare con Voi e per
Voi, il tempo ancora necessario, per dare solidità e sicurezza alle porte del Tempio…
al fine di consegnare a tutti
Voi, soprattutto ai Colleghi più
giovani, ai giovani studiosi che
si sono avvicinati in questi
anni, in questa Università all’amore per la scienza, la ricerca e la verità scientifica,
un’Università non solo bella
nell’aspetto, ma soprattutto
ricca nelle intelligenze e attraversata dal quel piacere dell’etica, che a me sta tanto a
cuore.