C`era una volta la casa popolare - Master in Giornalismo
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C`era una volta la casa popolare - Master in Giornalismo
copertina ecc_Layout 1 08/04/13 17.12 Pagina 1 PAGINE 20-21 La nuova mania per la cucina: se gli chef diventano star P PAGINE 18-19 Il declino dell’atletica. Cova: “Investire sui giovani” S 3 W 2-2 E AG. 2 PAGINE 16-17 La riscoperta del musical in Italia: a Milano il centro delle produzioni N Società LM Sport IU Spettacoli Aprile 2013 Anno X Numero II labiulm. campusmultimedia.net C’era una volta la casa popolare Periodico del master in giornalismo dell’Università Iulm - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità PAGINE 4-11 Senza Domus l’uomo perde le sue radici Giovanni Puglisi Cambi di gestione, conti confusi, arresti, sgomberi e proteste. Ma anche nuovi progetti. L’edilizia sociale milanese oggi: un tema che riguarda un decimo dei residenti in città Come sempre ci soccorre l’etimologia: in latino “casa” si dice domus, collegata con dominus, che vuol dire signore; in greco l’espressione corrispondente è όικος ed è all’origine etimologica dell’espressione, di gran moda ai nostri giorni, ecologia, che mette l’accento proprio sulla centralità dell'incontro tra il luogo in cui si vive e il vissuto quotidiano delle persone. Fuor di metafora il tema della casa è da sempre, e oggi più che mai, al centro della nostra vita, o meglio della vita di quanti si possono dire degni di essere definiti esseri umani. continua a pag. 24 Il caos del sistema trasporti: quando la politica resta indietro PAGINE 12-15 copertina ecc_Layout 1 08/04/13 17.12 Pagina 6 Pagina 24 IUlM News lAB Iulm L’emergenza abitativa è una priorità assoluta. Dimenticarla è un delitto Casa, diritto elementare dell’uomo segue dalla prima Attraversando la storia dell’umanità, senza confini geografici, senza epoche storiche e senza differenze di culture, scopriamo subito che la casa, il luogo dell’abitare, la domus latina, la όικος greca, la maison francese, la house inglese e così via da Oriente a Occidente, dalla capanne primitive ai grattaceli newyorkesi, è il cuore della vita sociale. Meglio ancora, dove non c’è casa, non c’è nucleo familiare, sociale, culturale. la casa non è solo una struttura fisica, essa è, innanzi tutto, il luogo dell'identità: anche nei documenti, dopo il nome e il cognome, si trova la "residenza", ovvero il luogo fisico che ci permette di essere rintracciati. I "senza abituale dimora" talora anche gli "apolidi" sono persone particolari, cariche di problemi e spesso anche perseguitate: hanno comunque perduto le proprie radici. Proprio in questa direzione va un'altra caratteristica della "casa": è, infatti, il luogo pri- vilegiato per l'ancoraggio delle proprie radici familiari e sociali. Un luogo comune, ricorrente nella pubblicistica e nella letteratura è la "casa paterna", icona e sede morale del proprio radicamento sociale e ambientale: in qualche modo essa è una galleria della memoria, dove financo gli oggetti sono pietre angolari della storia morale individuale e familiare. Un individuo, ma anche una famiglia, senza una casa sono paurosamente privi del senso e del calore della solidarietà: la casa è, infatti, anche l'icona del nucleo familiare, ovvero di un luogo dove l'insieme dell'ambiente, degli oggetti e della memoria ne fa l'occasione della coesistenza sociale positiva e aderente ad un modello di partecipazione civile responsabile e attiva. la mancanza della casa non esprime solo mancanza di identità, perdita delle radici, dispersione degli affetti, ma anche inasprimento, spesso esasperazione dei sentimenti e delle relazioni interpersonali. Il calore del desco familiare è il segno di un modo di rappor- tarsi con gli altri più responsabile e meno aggressivo: i senza tetto, gli sbandati, gli abitanti delle periferie urbane e suburbane, ancor peggio gli abitanti delle gallerie della metropolitana, delle stazioni ferroviarie, dei sottovia fluviali sono persone inaridite dalla solitudine esistenziale e irrecuperabilmente votate all'emarginazione e talora anche alla delinquenza. la casa è dunque l'icona più semplice della sicurezza individuale e sociale: soprattutto con riferimento ai bambini e agli anziani. Quale potrebbe essere una vita senza casa per un bambino, un adolescente o un anziano? Abbiamo sempre davanti agli occhi quanti hanno perduto la casa per un disastro naturale (alluvioni, terremoti, si pensi per tutti al terremoto de l'Aquila, ancora nei nostri cuori e purtroppo davanti ai nostri occhi a causa dell'insipienza di coloro che dovrebbero provvedere alla ricostruzione), abbiamo visto e sentito il grido di dolore di coloro che hanno dovuto lasciare le loro case, le loro città, i loro Paesi scacciati dalla guerra e dall'inusitata violenza di altri uomini, abbiamo visto gli occhi pieni di lacrime di coloro che fuggiti dalle loro case le raccontano come un amore perduto. Resta ancora memorabile la messa in scena del grande Totò nel film del 1949, nella stagione dell’immediato dopoguerra, Totò cerca casa, che con il linguaggio della farsa e dell’ironia, mette in scena una tragedia che in quegli anni toccava il cuore di milioni di italiani, forse come oggi milioni di italiani e non vengono colpiti dalla tragedia della mancanza di un tetto per se stessi e la propria famiglia, a Milano, come in tante altre parti del nostro Paese e del mondo. Per costoro la casa è insieme un sogno e una méta, è il sogno della loro vita e la méta del loro lavoro, un sogno e una méta, che tutti noi abbiamo il dovere morale e materiale di aiutare a realizzare e raggiungere, senza se e senza ma. In una città come Milano, capitale morale dell'Italia come amava definirsi fino a qualche decennio fa, quando il lavoro, onesto e laborioso, dignitoso e umano, era la sua cifra - non si può restare insensibili, a nessun livello, pubblico e privato. Occorre fare ogni cosa del regno del possibile - ovvero ogni azione politica legittima - per dare contenuto a questo voto, con impegno e priorità. le priorità si individuano e si seguono, non si declamano. la casa è una priorità perché è un diritto elementare della persona. Dimenticarlo è un delitto, né più né meno che l'infanticidio o la diaspora dei più deboli. se l'etimologia latina, con la quale ho iniziato questa riflessione, vuol dire davvero qualcosa, restare senza casa, senza domus, vuol dire perdere lo status di domini, di persone umane, di persone perbene, di “signori” come dicevano nell’antica Roma. Ribellarsi a queste ignominie è un imperativo categorico per ogni uomo di buoni costumi. Giovanni Puglisi copertina ecc_Layout 1 08/04/13 17.16 Pagina 2 Pagina 2 SOMMARIO l giornale che avete in mano è un prodotto molto particolare. E’, insieme, la palestra degli allievi del Master di Giornalismo Iulm – Campus Multimedia, e il biglietto da visita di una Università dove si studia Comunicazione (la prima ad averlo proposto in Italia) e che sceglie di comunicare at- I Una scommessa e una vetrina traverso il lavoro formativo dei suoi studenti. Non era mai accaduto prima che la testata di una scuola di giornalismo prendesse il mare aperto e venisse distribuita insieme a un giornale “adulto” e prestigioso come Prima comunicazione. Diretto da Ivan Berni e Giovanni Puglisi (responsabile) In redazione: Alessandro Bartolini, Valentina Casciaroli, Silvia Egiziano, Adele Grossi, Luca La Mantia, Livio Lazzari, Enrico Leo, Marcello Longo, Giorgio Meroni, Claudia Osmetti, Silvia Pagliuca, Roberto Procaccini, Andrea Rossi Tonon, Stefano Taglione, Chiara Trombetta, Eliana Biancucci, Carlotta Bizzarri, Benedetta Bragadini, Matteo Colombo, Andrea Cumbo, Micaela Farrocco, Enrico Lampitella, Adriano Lo Monaco, Lorenzo Matucci, Giulio Oliani, Maurizio Perriello Nicolò Petrali, Jacopo Rossi, Antonio Toretti, Claudia Vanni. Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002 via Carlo Bo, 1 20143 - Milano 02/891412771 - [email protected] Stampa: Graficart snc - Biassono (Milano) Master in Giornalismo Campus Multimedia In-Formazione Direttore: Giovanni Puglisi Responsabile didattico: Angelo Agostini Caporedattore: Ivan Berni Responsabile laboratorio redazione digitale: Paolo Liguori Tutor: Silvia Gazzola Docenti: Angelo Agostini (Storia del giornalismo, Editing e Deontologia) Camilla Baresani (Scrittura creativa) Maurizio Bono (Giornalismo Culturale) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Toni Capuozzo (Videoreportage) Maria Piera Ceci (Giornalismo radiofonico) Luca De Biase (Giornalismo web) Marco Boscolo (Data Journalism) Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale-TV) Giuseppe Di Piazza (Progettazione editoriale e Giornalismo Periodico) Dario Di Vico (Giornalismo economico e finanziario) Guido Formigoni (Storia contemporanea) Giulio Frigieri (Infodesign e mapping) Milena Gabanelli (Videogiornalismo) Sabrina Giannini (Videogiornalismo) Marco Giovannelli (Digital local news) Enrico Maria Greco (Gestione dell’impresa editoriale) Bruno Luverà (Giornalismo e società) Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo) Matteo Marani (Giornalismo sportivo) Marco Marturano (Giornalismo e politica) Massimo Nava (Giornalismo internazionale) Sandro Petrone (Giornalismo televisivo) Massimo Picozzi (Criminologia e Giornalismo) Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza) Alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Vito Tartamella (Giornalismo scientifico) Fabio Ventura (Trattamento grafico dell’informazione) Marco Subert - Marco Castelnuovo – Francesco Del Vigo (Social Media Curation) Per i trenta ragazzi del Master è un impegno forte, che li proietta immediatamente a contatto di un pubblico specializzato e attento, quale quello di Prima. Ma questa occasione senza precedenti è anche la prima vetrina in cui mettersi in mostra, da giornalisti, misurandosi con l’attualità, l’inchiesta, il costume, la cultura, i cambiamenti sociali e le trasformazioni di Milano, la città dove i ragazzi del master studiano e imparano il mestiere del giornalista. Per LAB Iulm l’Università Iulm è una scommessa che confidiamo sarà ben riposta. E non è rituale il ringraziamento a Prima Comunicazione per un’ospitalità che, a sua volta, è un beneaugurante attestato di fiducia a chi comincia ad affacciarsi a una professione complessa e difficile. Ma anche entusiasmante. (I.B.) QUESTO NUMERO Dossier case popolari Se gli affitti in città sono sempre più salati e il lavoro in tempi di crisi scarseggia, avere un tetto sopra la testa rischia di apparire un miraggio. Ed è allora che entrano in gioco le case popolari. Almeno in teoria. Perchè la storia delle case popolari di Milano è una storia tutta italiana, nel bene e nel male. Una storia lunga un secolo fatta di malagestione, problemi irrisolti, conflitti radicati e ingiustizie diffuse. Ma anche di persone straordinarie, speranze e progetti per il futuro. Una storia che ha come protagonisti il Comune e Aler, proprietario e gestore, da sempre in lotta. Ma, soprattutto, le oltre 100 mila persone che, chi da un mese e chi da decenni, chi in regola e chi abusivamente, vivono in queste case. Senza dimenticare le 22 mila in lista d’attesa che sognano di abitarle un giorno. DOSSIER CASE POPOLARI Milano e i quartieri popolari: una storia italiana 4 Emergenza continua tra sfitto e sfratto 6 7 5 Il monito del Comune: “Siamo delusi da Aler” Case occupate, storia infinita tra racket e bisogno di un tetto 8 Vite di periferia Insegnare il futuro, la sfida dei volontari della Bovisasca Aler: “Faremo sempre meglio di un privato” Non solo gestori di alloggi ma anche “custodi sociali” TRASPORTI 9 10 11 Vietato perdere il treno della modernità 12 Il Metrò senza Plafond 14 13 I mille guai di Trenord “La chiave di volta sta nella concorrenza” 15 SPETTACOLI Febbre da musical “Noi, bravi come a New York” 16 L’ultimo scatto “E’ lo sport che deve costruire nuovi talenti” 18 19 Star Chef Pornofood, il piatto si fa sexy e conquista il web 20 21 “Cari giovani, pretendete la qualità” 22 17 SPORT SOCIETÀ IULM NEWS Presidente: Giovanni Puglisi Vice Presidente: Gina Nieri Amministratore Delegato: Paolo Liguori Direttore generale: Marco Fanti Consiglieri: Gian Battista Canova, Mauro Crippa, Vincenzo Prochilo, Paolo Proietti labiulm.campusmultimedia.net youtube.com/clipreporter Fascia zero per studenti a basso reddito LabIulm twitter.com/labiulm 23 www.iulm.it www.campusmultimedia.net copertina ecc_Layout 1 08/04/13 17.16 Pagina 3 LAB Iulm EDITORIALI Il lato brutto del mestiere * Ivan Berni Conosco una apprezzata e seguita testata televisiva che, dovendo assumere un operatore video per riprese esterne chiedeva come requisito un’altezza preferibilmente superiore al metro e ottanta. Al colloquio, poi, sarebbero seguite a voce domande sulla resistenza del candidato a situazioni di calca, stress, attese prolungate, intemperie, insulti e aggressioni fisiche da parte di sconosciuti. Non so se si sia arrivati al punto di considerare secondaria la capacità professionale di utilizzare al meglio una telecamera, sta di fatto, però, che le domande dell’ufficio personale di quella televisione parevano indirizzate più alla ricerca di un robusto bodygard che di un cameraman. Non c’è da stupirsi, in fondo. Basta guardare, ogni sera sui Tg nazionali, cosa ac- cade all’uscita dei palazzi della politica: una torma famelica di giornalisti e operatori di ripresa in perenne assedio, pronta a sbranarsi per un brandello di dichiarazione, una battuta, uno sbuffo, un ammiccamento da parte del deputato o senatore di passaggio. E va da sé che nel branco, per cavarsela senza danni, occorrano muscoli e modi spicci. Con lo sbarco a Roma dei Cinquestelle, poi, questa sindrome si è fatta patologia. Durante la prima visita di Beppe Grillo a Roma un cronista si è rotto un dito per aver infilato la mano fra il vetro e la portiera dell’auto del comico-guru. Ora la caccia è al “cittadino” eletto nelle liste dei grillini per strappargli qualsiasi cosa somigli a un pensiero o una considerazione imprevista rispetto al “non statuto” del MoVimento. I Cinquestelle e il loro capo supremo, com’è noto, non lesinano disprezzo verso i giornalisti, considerati tutti – salvo rarissime eccezioni – pennivendoli e manipolatori al soldo della Casta. Tuttavia, guardando lo sconcio quotidiano di quelle immagini serali dei Tg, si fa obiettivamente fatica a dargli torto. Chi subisce quell’assedio, umanamente, non può che suscitare solidarietà e vicinanza. E alimentare disapprovazione, se non disgusto, verso i giornalisti. Purtroppo quella del branco in agguato davanti i palazzi della politica non è, ahinoi, l’unica deplorevole manifestazione della deriva della professione. Nel capitolo delle cose inguardabili o insostenibili entrano, di prepotenza anche gli inseguimenti da marciapiede al grido l’istruzione alla sagra locale degli gnocchi (foto dell’assessore in cronaca compresa), dai fondi destinati agli enti lirici o teatrali agli insegnanti di sostegno, dai mille rivoli della spesa fuori controllo che premia iniziative particolari con valore di scambio o di favore, al finanziamento dell’acculturazione di base attraverso il sistema educativo. Aver confuso, o almeno aver lasciato che si confondessero, voci così diverse del sostegno pubblico alla cultura è certo una responsabilità che gli “operatori culturali” hanno condiviso con il sistema del finanziamento politico così a lungo da pagarne oggi il prezzo. Ma più insidioso ancora, in tempi di “piazza pulita” - almeno invocati - dagli sprechi è il criterio che con troppa facilità si chiama identificazione, nel campo della spesa culturale, dell'investimento utile, o remunerativo. Il modello a cui la definizione si ispira è aziendale: sono per definizione “comprimibili” i costi che non hanno speranza di produrre utili registrabili nell’anno fiscale o alla peggio nel bilancio preventivo successivo. “onorevole, perché non risponde?”, certe cosiddette “interviste” senza una domanda una degna di questo nome o, all’opposto, “faccia a faccia” dove quel che conta non è quel che si chiede ma la violenza verbale con cui viene chiesto. Oppure, ultima incredibile moda, organizzare scherzi telefonici ai danni di personaggi che hanno responsabilità pubbliche – come recentemente capitato all’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida da parte del programma Pagina 3 radiofonico La Zanzara – carpendo privatissimi giudizi e mandandoli in onda come pubbliche opinioni. C’è modo di invertire la rotta? Certamente sì, come dimostra la banale presa d’atto che nel resto ‘Europa, e certamente negli Usa, scene come quelle che siamo costretti a sorbici non esistano o, meglio, siano esplicitamente considerate “non professionali” e perciò bandite come comportamento scorretto nell’intera categoria. In Italia occorrerebbero testate e direttori che impongono il rispetto almeno dell’Abc della deontologia professionale, politici che conoscono e rispettano il diritto-dovere di informare e, perché no, lettori, telespettatori, radioascoltatori e web user che sanno far sentire la loro voce per ottenere un’informazione tempestiva, completa e documentata da parte di giornalisti che fanno i giornalisti, e non le soubrette o i buttafuori. In Italia per ogni notizia servirebbe un’avvertenza: “Non scuotere: maneggiare con cura”. L’alto costo dei tagli alla cultura Maurizio Bono* una realtà talmente ovvia che a furia di sentirla e vederla in azione corre il rischio di sembrare “normale”: da un taglio di bilancio a una spending review, da una stretta sui conti pubblici a un taglio agli sprechi, dal più verticistico ed autorevole richiamo di un’agenzia di rating al più diffuso e populistico appello alla sobrietà, la voce più facile e immediata da stornare, ormai da anni, è la “promozione culturale”, nelle sue centinaia di varianti che vanno dal finanziamento della ricerca e del- È Sono “irrilevanti”, quindi voci che possono essere sottratte al taglio, gli investimenti che potendo far ricorso a risorse aggiuntive che altrimenti non sarebbero disponibili, non gravano sui bilanci . Sono “investimenti veri” solo quelli che fruttano subito, siano l'anticipo per un bestseller scontato e sicuro anche se poco alla lunga ne resterà, o una mostra d'arte “di cassetta”, o nel caso migliore una ricerca applicata con prospettive di utili a breve, foss'anche la più futile delle trovate startup. Ben venga, sia chiaro, il successo culturale, come del resto il successo economico in ogni campo quando crea ricchezza e segue le regole. E però l'investimento in cultura non può avere quell'unico metro, a meno di non essere disposti a rinunciare al successo che verrà per aspirare voracemente ogni briciola del presente. Success makes success? Non nel campo delle idee: tutta la storia delle avanguardie, per esempio, racconta l'itinerario opposto, dall'insuccesso all'affermazione faticata e imprevista. All'opposto, finisce per sembrare - ed essere - più irritante dell'avanguardia con pretesa di riconoscimento “pronto cassa” a cui spinge l'ideale della “cultura che paga”. Ma senza un'avanguardia che si sappia, almeno per un po', ritenere tale e dunque controcorrente, senza una ricerca che abbia la pazienza minima di ricercare, cioè tentare, prima di sfornare prodotti, senza un sistema educativo che dia il tempo di conoscere prima di fare, senza formazione e informazione autentica, insomma senza prendersi cura dell'ingegno, è difficile immaginare il progresso. Chi paga? Certo, sembra non paghi più nessuno, a guardare i programmi della politica e le ristrettezze dei privati, dopo anni non lontani in cui gli uni e gli altri hanno pagato anche troppo, e a volte di straforo. Ma così finiamo per pagare caro e pagare tutti, sul mercato delle competenze e delle innovazioni come in quello della creatività. *Caporedattore D La Repubblica delle Donne. Docente del Master in Giornalismo PAGINE 4-5 ALER_Layout 1 07/04/2013 17:42 Pagina 2 Pagina 4 DOSSIER CASE POPOLARI LAB Iulm Milano e i quartieri popolari: una storia italiana I Andrea Cumbo l racconto della gestione delle case popolari milanesi riflette la storia, più o meno recente, di Milano e dell’Italia tutta. È una storia fatta di conflitti: di classi sociali, di cifre, di amministrazioni, di occupanti, di generazioni. Attualmente, l’edilizia popolare milanese conta circa 70.000 alloggi. Se poco più di 28.000 case sono di proprietà del Comune, la maggioranza degli immobili è dell’Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale, al secolo Aler, che gestisce l’intero patrimonio immobiliare della città. Il rapporto tra i due enti è stato costellato, negli anni, da un Nel ‘96 la giunta Moratti firmava una nuova concessione con Aler, definendo “ disastrosa” l’esperienza privata altalenarsi di fiducia e diffidenza che è sfociato negli attriti degli ultimi giorni. Dopo un report sui conti dell’Azienda commissionato all’Università Bocconi, che ha messo in luce un disavanzo di un milione di euro tra il preventivo 2011 dell’Azienda e la cifra effettivamente utilizzata, Palazzo Marino ha deciso di prolungare il contratto con Aler di un solo semestre, a causa di una “confusione contabile” che tradisce una situazione quanto- meno ingarbugliata. L’arresto, evitare le occupazioni. Una pe- vice-sindaco Riccardo De Coa gennaio, della responsabile sante burocrazia impedisce rato: “Dopo 50 anni di geaziendale dei servizi generali l’assegnazione di questi immo- stione Aler, il timone passa a di direzione, Monica Goi, in bili agli oltre 22.000 richie- imprese private che eleveuna vicenda di presunte gare denti in lista d’attesa, mentre ranno la qualità e gli standard d’appalto truccate, e quello l’azienda perde degli introiti del patrimonio pubblico”. dell’assessore regionale alla significativi. Nonostante que- Dopo sei anni, lo stesso De casa Domenico Zambetti, ac- sto paradosso, la gestione a un Corato ammetteva il fallicusato di voto di scambio, ri- ente pubblico economico come mento della concessione e la specchiano un sistema che ha Aler si è rivelata la più effi- giunta Moratti, definendo “dibisogno di una rifondazione ciente. Nel 2003, la giunta Al- sastrosa” quella collaboraalla base. La svolta politica al bertini assegnava il sistema zione, firmava una nuova Pirellone, tanto agognata dal- edilizio popolare a un consor- convenzione con l’azienda l’amministrazione comunale e zio di tre società (Romeo Ge- pubblica. Così, il rapporto rida Sunia e Sicet, i sindacati di stioni, Gefi ed Edilnord, nel prende nel 2009 e si rinnova settore, non c’è stata. Invece, i frattempo confluita in Pirelli annualmente, fino al dossier rapporti tra la dirigenza gui- Re), così celebrato dall’allora Bocconi, principale causa data da Loris Zaffra, ex craMilano, via Farini. Una delle 70.000 xiano in forza al case bombardate durante la seconda guerra mondiale. Pdl, e il sindaco Pisapia sono tesi sin dall’insediamento, nella primavera di due anni fa, della nuova giunta comunale, che ha visto nel frattempo, a capo dell’assessorato alla casa, l’avvicendarsi tra Lucia Castellano e Daniela Benelli.Da tempo, la questione delle case popolari sfitte è gestita da Aler in modo particolare. Ai continui sfratti dovuti all’insediamento abusivo o alla morosità degli inquilini, segue la prassi di murare gli appartamenti per della scadenza prevista per il prossimo giugno. Dopo, è plausibile una nuova proroga, Dopo il dossier Bocconi, il rinnovo del contratto è stato di soli sei mesi: scadrà a giugno all’interno di una collaborazione che, a parte la parentesi privata degli anni 2000, va avanti da oltre un secolo. In principio fu lo Iacp, Istituti Autonomi per le Case Popolari, ente morale pubblico, alieno da ogni scopo di lucro ma con la possibilità di effettuare operazioni di credito. Un regio decreto lo trasforma così nell’Istituto per le Case Popolari Economiche, ma mantiene il precedente acronimo. Siamo nel 1908: l’ondata migratoria dei decenni precedenti e l’emergenza abitativa nei quartieri storici meneghini creavano la necessità di un intervento pubblico nell’edilizia. Milano divenne così un interessante feno- PAGINE 4-5 ALER_Layout 1 07/04/2013 17:42 Pagina 3 LAB Iulm DOSSIER CASE POPOLARI Pagina 5 Il monito del Comune: “Siamo delusi da Aler” L’INTERVISTA L’ASSESSORE ALL’URBANISTICA DE CESARIS Stanziati 20 milioni l’anno contro la crisi abitativa «L Carlotta Bizzarri a meno di sperimentazione e, malgrado le difficoltà gestionali conseguenti la Grande Guerra, si riuscì nella realizzazione di nuovi complessi residenziali in numerosi quartieri cittadini, ispirati al modello della città-giardino inglese e caratterizzati da abitazioni con cemento armato e mattoni forati. Fino alla prima metà degli anni ‘20 la gestione vide anche le prime convenzioni con privati, tra cui Pirelli e Breda, e il deposito di sovvenzione restituibile in 20/30 anni come prescelto regime di locazione. A Roma però si era insediato il fascismo, che vietò allo Iacp di produrre cemento e qualsiasi materiale edile, con l’intento di Nonostante le politiche antiurbanesimo del Fascismo, lo Iacp costruì trenta quartieri favorire gli imprenditori vicini a Mussolini. L’istituto continuò tuttavia a costruire: l’edificazione di trenta nuovi quartieri dal ’25 al ’31, malgrado le politiche fasciste contro l’urbanesimo, rispondeva al vertiginoso aumento della popolazione di Milano, che sfiorava ormai il milione di abitanti. Vennero seguiti criteri estetici di tipo razionalista e semplicista, poiché, per cause economiche, ogni sovrastruttura decorativa era esclusa a priori. Il quartiere Fabio Filzi, ad esempio, era formato da trentadue corpiscala uguali nella pianta, che ruotavano attorno a un corpo centrale, destinato all’uso di toilette comuni. Nacquero così i quartieri a misura d’uomo: lo spazio non era più suddiviso in base ai metri quadrati disponibili, ma a seconda del numero di abitanti. La Seconda Guerra mondiale causò la mancata realizzazione di dieci rioni, già progettati e approvati, e i bombardamenti resero inagibili ben 70.000 alloggi. Il piano Fanfani del ’49 concesse ingenti aiuti economici da parte dello Stato, con cui lo Iacp collaborò in modo più stretto negli anni ’50 e ’60, in condizioni di emergenza a causa dei continui flussi migratori dal Sud Italia. Lo sviluppo periferico della città corrisponde al momento di maggiore espansione di Milano: alla costruzione dei quartieri si accompagnava la realizzazione, quasi ex-novo, della rete stradale. Gli anni ’60 furono caratterizzati da difficoltà ed errori gestionali. Rioni residenziali eccessivamente isolati rispetto al flusso cittadino, aumento dei canoni d’affitto per ovviare ai deficit di bilancio e il deterioramento dei vecchi stabili riversarono le conseguenze nei decenni successivi, quando le morosità e gli sfratti causarono le più grosse tensioni politiche e sociali. Furono anni in cui l’attività edilizia si limitò alla manutenzione e alla realizzazione di torri-tipo (edifici fra i 30 e i 50 metri d’altezza) in quartieri già esistenti. Dagli anni ’90, in cui si fece largo la costruzione diretta da parte di alcune cooperative, a causa delle continue perdite, lo Iacp vendette oltre metà delle 140.000 unità del suo patrimonio. Si sentì dunque un bisogno di trasformazione, per cui nel 1996 nacque Aler. Dopo 13 anni, il bisogno permane. a situazione è drammatica. C’è una fame impressionante di alloggi in un contesto in cui molte abitazioni restano sfitte e invendute. Vuol dire che c`è qualcosa che non va». La vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada Lucia De Cesaris non nasconde l'entità del problema delle case popolari e punta il dito sull'attuale gestore, Aler «Quella di Aler è stata una cattiva gestione. Su questo siamo tutti d'accordo, non ho alcun dubbio nel dirlo». tratto previsto per giugno non è scontato? «Un contratto è un dareavere, ora stiamo valutando se abbiamo ricevuto abbastanza e nelle modalità che erano previste. Il problema, sia chiaro, non è Aler in sé ma la gestione di questi anni». Sennò creiamo dei mostri». E poi? «Poi stiamo cercando di far cambiare approccio agli operatori privati. Per fare questo abbiamo introdotto dei principi di obbligatorietà, soprattutto nei grandi interventi di realizzazione di edilizia». In che percentuale? «Ad esempio, in tutte le aree al di sopra dei 10mila metri quadri, la realizzazione di Ers (Edilizia residenziale sociale) è obbligatoria, mentre è incentivata tra 5mila e 10mila m2. Tenendo conto comunque che Ers non significa solo case popolari ma anche vendita agevolata e conQuali Lucia De Cesaris, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano venzionata, afsono le fitto con patto di maggiori carenze di Aler? Oltre 22 mila persone sono riscatto e affitto moderato. «Senz'altro carente è la ge- in lista d'attesa per una casa. Inoltre abbiamo introdotto un stione dal punto di vista ammi- Il paradosso è che ci sono mi- meccanismo: la monetizzanistrativo. Ma la cosa più grave gliaia di abitazioni (patrimo- zione. I privati che non voè che non capiscono che chi nio del Comune e di Aler) gliono costruire edilizia abita nelle case popolari de- sfitte, vuote, perfino murate. residenziale pubblica dovranno v'essere il loro unico oggetto di Come risolvere la cosa? monetizzare al Comune la cura e di attenzione». «Anche questo è compito mancata realizzazione. Questo del gestore. Aler è una mac- permette all’operatore di trachina enorme, possibile che sformare la percentuale che non riesca a presidiare come si dovrebbe fare in sociale in tutto il territorio? Poi vendita agevolata, e a noi di reQualcosa deve certo, dobbiamo tutti renderci cuperare risorse che mettiamo non va conto che il problema è più in un fondo per le case popose ci sono ampio. Il nostro compito è fare lari». modo che l’offerta risponda 22000 persone in alla domanda». Quanto investe il Comune in lista d’attesa ogni anno in case popolari? Come? «Abbiamo firmato un ac«Attivando incentivi fiscali cordo con le parti sociali e i e premi volumetrici per tutto sindacati per cui ci siamo imciò che viene riconvertito in re- pegnati a investire almeno 20 Al momento non è così? sidenza sociale. Il problema è milioni di euro ogni anno in «No. Perché non fanno ma- che il Comune non ha potere manutenzione e nuovi pronutenzione, perché c’è una si- legislativo. Sta al futuro go- getti». tuazione di assoluto verno occuparsi seriamente abbandono nei confronti del- della questione. Cosa che di Quelli del 2012 li avete inl’utenza e di assoluto distacco certo non ha fatto la precedente vestiti tutti? rispetto ai bisogni. Aler deve amministrazione regionale». «Si. Serviranno per la ricocapire che il suo mestiere non è struzione ad uso completaquello dell’immobiliarista. È Cosa può fare, e cos’ha mente sociale delle tre torri di giusto che cerchi di recuperare fatto, il Comune? via Tofano, nel quartiere Bagrisorse ma queste devono poi «Come prima cosa abbiamo gio (zona 7), che dovrebbe esessere destinate interamente al- rifatto il Piano di Governo del sere completata intorno al l’ottimizzazione del servizio, Territorio. Un piano che non si 2015». al benessere di chi vive nelle limita a dettare le regole per case popolari. Insomma, Aler chi vuole costruire ma che riPensa che la nuova giunta negli ultimi anni ha fatto altro, sponde alle reali esigenze del- avrebbe potuto fare di più? questo è chiaro. E non lo dico l’abitare. Perché non si può «Non me lo faccia dire...in io, lo dicono anche le indagini guardare solo alla capacità di un anno e mezzo abbiamo fatto della procura». edificazione, la si deve decli- molto...poi certo, è normale, si nare tenendo conto delle reali può sempre fare di più». Quindi il rinnovo del con- esigenze dei cittadini. “ ” PAGINA 6-7 ALER_Layout 1 07/04/2013 17:31 Pagina 2 Pagina 6 DOSSIER CASE POPOLARI LAB Iulm Nel 2012 sono stati assegnati 1.000 alloggi a fronte di 22.000 richieste. L’edilizia popolare è ferma, quella privata continua a riempire la città di case troppo costose per i cittadini in lista d’attesa Emergenza continua tra sfitto e sfratto Micaela Farrocco a città di Milano ha sempre più fame di case a basso costo. Non si costruisce più, o meglio nei piani urbanistici trova spazio quasi solo l’edilizia privata. “La città è piena di case vuote perché con un affitto troppo alto. Sono state costruite senza tener conto della concreta disponibilità economica della popolazione che è alla ricerca di un tetto”, con queste parole Veronica Pujia, referente del Sicet per la sede di via del Giambellino, ha descritto la situazione dell’edilizia milanese. Se si scorre la graduatoria del 2012 infatti ci si imbatte in un dato che non lascia spazio a dubbi: a fronte di 1000 alloggi popolari assegnati, ci sono 22.000 persone in lista di attesa per ottenere una sistemazione. Oltre al surplus di case “troppo care”, a corrodere pezzi di patrimonio pubblico, già carente, è stata la legge regionale 61 del 1990 che di fatto ha consentito ad Aler di vendere, o meglio “svendere”(le case sono state vendute a prezzi molto più bassi rispetto a quelli di mercato), un bel pezzo di edilizia popolare. Perché? “Non c’erano finanziamenti pubblici per la manutenzione”- dice l’ingegner Gatta funzionario della Direzione Centrale Casa del comune di Milano – “ quindi si è deciso, a partire dagli anni ’90 di vendere patrimonio per ricavare soldi e poter svolgere le attività di manutenzione”. L “Fesserie venute in testa a qualcuno”- continua- “E’ stato più un modo per fare cassa che per manutenere gli spazi, ritrovandosi in una situazione peggiore di quella di prima”. Aler infatti, non riuscendo a vendere in blocco i condomini di sua proprietà, ha creato i cosiddetti “condomini misti”, in cui cioè convivono ex inquilini divenuti proprietari (in molti casi sono la maggioranza) e inquilini dell’azienda lombarda. La vendita “ a mani basse “è Poche case, troppe richieste. Aumenta l’offerta di edilizia privata e si riduce quella pubblica stata “ un grosso autogol”, secondo Gatta. La presenza di appartamenti molto spesso in zone distanti tra loro ha generato ha infatti generato una schizofrenia nel controllo e nella gestione. Oggi Aler amministra l’intero patrimonio pubblico (28.197 alloggi del Comune e 41.873 di sua proprietà), con un arretrato negli investimenti in manutenzione e ristrutturazione di circa 12 milioni di euro. Oltre alla vendita frazionata di porzioni consistenti di patrimonio pubblico, c’è un dato nel complesso universo dell’edilizia popolare che lascia a bocca aperta e con molti punti di domanda. Sono 6.882 gli alloggi sfitti, di cui 2264 di proprietà del comune e 4218 di Aler. Se infatti si visitano quartieri popolari come Quarto Oggiaro, Niguarda, Solari (solo per citarne alcuni), oltre all’aria di ghettizzazione che si respira (sono zone abitate principalmente da anziani, invalidi e famiglie indigenti) ci si trova di fronte all’inaccessibilità fisica di molti appartamenti. Porte e finestre sono state murate o come dicono gli addetti ai lavori “lastrate”. Una pratica diffusissima, che serve ad evitare le occupazioni abusive. “Le case sfitte”- come ci spiega l’ingegner Angelo Pascale, direttore del Dipartimento Centrale Casa del comune - “possono essere suddivise in tre categorie: quelle che sono già a norma (immediatamente assegnabili); quelle che necessitano di lavori mi- nimi (riparazione dei sanitari, porte rotte ecc); altre non assegnabili perché prive di certificazioni e in pessime condizioni”. Il problema risiede in questo caso nel tempo che si impiega ad assegnare un alloggio. Si è passati, per le case che su carta sarebbero immediatamente disponibili, da 20 giorni a 70 giorni. Per le altre tipologie si può andare anche da sei mesi ad un anno. Un tempo infinito per chi è fermo in lista d’attesa. Basterebbe un “censimento degli sfitti”, in altre parolela comunicazione da parte di Aler dello stato manutentivo degli alloggi , per riuscire ad intervenire in maniera più tempestiva nella loro assegnazione. CASE POPOLARI SFITTE 2264 Comune 4218 ALER Fonte Dati: Comune di Milano Nell’ultimo anno pare però che qualcosa si sia mosso. Palazzo Marino si è impegnato nel recupero di 700 alloggi sfitti. Un piano che coinvolge tutti i quartieri. Più di diciassette milioni stanziati per riordinare case oggi disabitate, oltre 26.000 euro l’investimento medio per ciascun appartamento: il tutto distribuito su tre operazioni. Sono già stati aggiudicati lavori per 5,7 milioni di euro per il recupero di 100 alloggi a Quarto Oggiaro. Nella stessa tranche c’è anche una serie di lavori in via Solari. Il secondo passo per recuperare altre case in stato di abbandono è stato affidato ad Aler: il comune ha già fatto partire un ordine di lavori da PAGINA 6-7 ALER_Layout 1 07/04/2013 17:31 Pagina 3 LAB Iulm DOSSIER CASE POPOLARI Pagina 7 I tanti problemi di gestione dei 3.380 alloggi in mano agli abusivi Case occupate, storia infinita tra racket e bisogno di un tetto Giulio Oliani iciotto anni in quella casa con la mia famiglia, poi una mattina ci siamo trovati sulla strada senza preavviso”: gira nervosamente il cucchiaino nel caffè Riccardo, mentre racconta la sua storia da occupante abusivo. A 50 anni trascorre le sue giornate al bar, perché oltre alla casa ha perso anche il lavoro: “Ora fortunatamente sono ospite nella casa di un’amica, ma arrivare a fine mese senza lavoro con moglie e due figli da mantenere è dura”. Poi ritorna con la mente a quando decise di occupare abusivamente un appartamento sfitto a Quarto Oggiaro, in uno dei tanti palazzoni popolari del quartiere: “Ero operaio: prendevo 1.200 euro al mese e ne pagavo 800 per l’affitto. Mio fratello mi ha consigliato di entrare nella casa vicino alla sua che era sfitta, così potevo anche occuparmi di lui visto che ne aveva bisogno”. “D “ ” Ho vissuto da abusivo per 18 anni con la mia famiglia, poi siamo finiti sulla strada. Chi occupa, ha esigenza 6,4 milioni per un totale di 316 appartamenti. Qui la parte del leone la fanno una cinquantina di unità abitative in via Savoia, una trentina in zona Famagosta, e poi un pacchetto consistente di altri cinquanta nel quartiere di Sant’Ambrogio. La terza fase riguarderà infine il recupero di altri 250 alloggi. E con questo lotto il comune ha un preciso scopo: ogni vano sgomberato da abusivi non va abbandonato a se stesso ma immediatamente risistemato per essere riassegnato. Un automatismo trascurato per molti anni ma che, se messo in atto, riuscirebbe ad arginare il fenomeno dell’emergenza abitativa. Un po’ imbarazzato, tenta di giustificarsi: “Chi occupa ha esigenza. Dopo due settimane dal mio ingresso è arrivato l’ispettore della ditta che allora gestiva l’edilizia popolare. Mi hanno detto: “Paga qualcosa e poi ti mettiamo a posto”. Per 18 anni sono arrivate bollette di luce e gas intestate a me, poi due anni fa improvvisamente ci hanno sgomberato”. Dell’appartamento in cui ha vissuto Riccardo, ora vuoto, restano due lastre di metallo alle finestre e una a murare l’entrata. Aler e Comune usano da molto tempo questo metodo per impedire a nuovi abusivi di rompere la porta d’ingresso e occupare, come accade nella maggior parte dei casi. Ma questo non basta, perché il fenomeno può nascere in diversi modi. Ad esempio con la complicità dell’inquilino legittimo che lascia l’alloggio senza avvisare l’ente e lo cede a un amico o a un parente oppure lo subaffitta ad altri. Peggio 1174 2206 Comune ALER Fonte Dati: Comune di Milano ancora, dietro l’abusivismo può nascondersi un vero e proprio racket delle case popolari gestito da personaggi legati alla malavita o intere famiglie che spadroneggiano nel quartiere e a cui i residenti non hanno il coraggio di ribellarsi. Vere e proprie associazioni a delinquere che si fanno pagare dagli 800 ai 2.500 euro per spaccare le porte e mettere a disposizione dei loro clienti gli alloggi sfitti. L’associazione SOS Racket e Usura è riuscita a sfondare il muro dell’omertà e, collaborando con gli inquirenti, ha denunciato tali situazioni. Come nel caso di Via Padre Luigi Monti, zona Niguarda, dove è stato sgominato il clan guidato da Giovanna Pesco, nota come “Signora Gabetti” per l’attività che conduceva con la figlia e il genero. A Quarto Oggiaro, invece, il racket era gestito da una banda di cui faceva parte un ex ispettore della Gefi, società che gestiva l’edilizia popolare prima di Aler: chiedeva prestazioni sessuali in cambio della cancellazione delle pratiche di sgombero. Non solo inquilini abusivi: accade anche che gli appartamenti popolari vengano usati come magazzini della droga e che gli operai deputati da ALER a lavori di recupero trovino pacchetti nascosti nelle intercapedini, una volta addirittura nel soffitto. Secondo le ultime rilevazioni di gennaio, a Milano le occupazioni senza titolo accertate sono circa 3.380: 1.174 di case di proprietà comunale e 2.206 di Aler. Dentro quelle mura vivono illegalmente famiglie in reale stato di necessità e collettivi di giovani che usano l’alloggio da centro sociale. Ma anche delinquenti e persone che, pur non essendo povere, approfittano della generosità dell’amico o del parente per pagare un affitto più basso. In questa pluralità di situazioni e problemi è difficile trovare una soluzione. Concedere una nuova sanatoria (l’ultima risale al 1989) significherebbe fare un torto alle 22.000 domande in lista d’attesa. L’alternativa è la politica degli sgomberi, oggetto di polemiche perché, secondo alcuni, colpisce solamente i più deboli e indifesi. Vengono fatti con le forze dell’ordine, talvolta in modo plateale con tanto di chiusura della strada e volanti a sirene spianate. In alcuni casi sfociano in manifestazioni pubbliche contro Comune e Aler; addirittura in scontri fisici tra polizia e abusivi, come in via Preneste, a San Siro, lo scorso ottobre, dove rimasero feriti in quattro. Ma i tentativi d’occupazione continuano: se ne calcolano da otto a dodici in media ogni settimana. “ L’ o c c u p a z i o n e senza titolo è un problema non solo politico, ma anche sociale e psicologico. Non può avere un’unica soluzione: ogni situazione è una storia a sé” ha spiegato Angelo Pascale, direttore Centrale Casa del Comune di Milano, riassumendo la linea seguita dall’ex assessore alla Casa Lucia Castellano. In un protocollo d’intesa firmato lo scorso novembre con i sindacati, è stato approntata la procedura per gli occupanti senza casa accertati al 1 settembre 2012. Un’apposita commissione formata da esperti, membri della Prefettura, dirigenti comunali e di Aler, valuterà ogni situazione e le classificherà in tre categorie. La prima riguarda gli abusivi per irregolarità amministrative: questi potranno sanare la loro situazione dovuta solamente a problematiche burocratiche. La seconda include gli occupanti in stato di necessità: una commissione verificherà ogni situazione per accertare l’effettiva esigenza dell’avvio di un processo di regolarizzazione. Gli assegnatari che hanno commesso reati, terza categoria, potrebbero perdere il diritto alla casa popolare dopo un ulteriore esame del loro caso. Gli sgomberi continueranno per le occupazioni successive al protocollo d’intesa, nei casi di mancanza di requisiti e per motivi d’urgenza o di ordine pubblico. A continuare il lavoro della Castellano è Daniela Benelli, assessore al Decentramento e, da poche settimane, anche alla Casa. La sua nuova strategia anti-abusivismo in accordo con Aler? Porte blindate al posto delle lastre di metallo e assegnazioni più veloci, già in atto a Largo Boccioni e Quarto Oggiaro, per cercare di porre fine ad un fenomeno che difficilmente si riuscirà a placare. Scontri tra occupanti e polizia durante uno sgombero V PAGINA 8 - 9_Layout 1 07/04/2013 18:21 Pagina 2 Pagina 8 G DOSSIER CASE POPOLARI Le critiche e le speranze nei racconti delle persone che vivono a Quarto Oggiaro e Bovisasca: quartieri simbolo dell’ edilizia popolare milanese ite di periferia Matteo Colombo Giulio Oliani li abitanti dei palazzi popolari di via Ceva, zona Bovisasca, godono del panorama più bello di Milano. “Nelle giornate limpide, riesco a vedere il Duomo dalla stanza da letto” racconta Stella, che vive dal ’78 al sesto piano di uno di questi condomini, “quando il vento di Fohn spazza via le nubi, mi sembra che il Resegone e le altre montagne siano di fronte alla finestra della mia cucina”. È un piccolo segreto ben custodito dagli inquilini di questi palazzoni rossi, un gruppo di case popolari che racconta la storia dell’immigrazione a Milano. “All’inizio eravamo tutti meridionali” spiega Stella “quando andavo in Sicilia portavo i cannoli alla mia vicina napoletana e lei contraccambiava con le sfogliatelle. “ ” Il Comune ha permesso a noi esodati di salire nellle graduatorie. Ora è cambiato tutto e vicino a me vive una famiglia egiziana”. È difficile fare una stima degli stranieri che vivono in queste case, ma gli inquilini dicono che almeno un abitante su tre non è italiano. La crescente presenza di extracomunitari ha cambiato le relazioni tra condomini, sempre più separati da differenze linguistiche e diffidenze reci- LAB Iulm proche. “Dopo che è morto l’inquilino del quinto piano, ero sicura che sarebbero arrivati degli stranieri in quell’appartamento” aggiunge Stella, “d’altronde le case popolari vengono sempre assegnate a loro”. Un’osservazione che è anche una lamentela. Molti abitanti di via Ceva conoscono un italiano che aspetta di vedersi assegnato un alloggio da diversi anni, senza riuscire ad ottenerlo. Anche Rosy, una signora cinquantenne che vive a Quarto Oggiaro, si lamenta degli stranieri. “In questo bilocale, dove c’era il gabbiotto della portineria, vivono tre o quattro famiglie di indiani” racconta “non potrebbero farlo, visto che il contratto stabilisce che questo appartamento può essere abitato da un solo nucleo familiare”. Non sembrano preoccuparsi troppo di queste critiche gli stranieri che vivono nelle case popolari. Molti raccontano di non avere problemi con gli italiani e di essere soddisfatti della loro condizione. Non solo stranieri, tra i nuovi arrivati c’è anche chi poteva permettersi un affitto negli anni precedenti, ma ora non più perché ha perso il lavoro. Tra questi c’è Ermanno, un ex autista di cinquantaquattro anni che guadagnava quasi duemila euro. “Sono uno degli esodati” racconta “Il comune ha permesso ai disoccupati che non possono richiedere una pensione di salire in cima alle graduatorie per gli alloggi.” Ermanno paga 201 euro di af- fitto per una casa a Quarto Oggiaro, ma ha chiesto di avere una ulteriore riduzione perché sopravvive soltanto grazie alla pensione d’invalidità della moglie. Nonostante il numero di appartamenti sia insufficiente, esistono ancora circa 6400 case sfitte che non possono essere assegnate perché non sono “La casa che avevo occupato è stata sgomberata mentre ero in carcere” spiega Karim, ex pugile che aveva gareggiato per la nazionale italiana, “nell’appartamento vivevano mia moglie e mia figlia”. Ora che è uscito di prigione ed ha trovato una casa in affitto a Comasina, Karim vuole trovare un posto in cui insegnare il pugilato ai ragazzi di Quarto Oggiaro per tenerli lontani dalle brutte compagnie e dalla vita criminale.“Il problema è che qui mancano le strutture” spiega “ forse dovrò andare in un altro quartiere per portare avanti il mio progetto”. Una novità degli ultimi anni è stata l’introduzione delle portinerie in alcuni condomini. I custodi sociali informano Aler sulla situazione degli alloggi abusivi e sul degrado dei palazzi e ciò ha reso più sicuri i diversi abitanti che vivono nelle case popolari. Sono piccoli camAppartamenti di Via Lopez biamenti che alcuni abitanti di Quarto state ancora ristrutturate. Oggiaro apprezzano. Uno dei problemi è che le Tra loro ci sono gli inquilini case sono state spesso costruite dei palazzi popolari di via Simolti anni fa e nel frattempo moni, quattro grossi condosono cambiate le esigenze. Al- mini costruiti vicini alla cuni appartamenti sono stati ferrovia nel 1971, che sono pensati per le famiglie di di- stati riverniciati di giallo pochi versi anni fa, ma non sono mesi fa. “Era da 40 anni che adatti a quelle di oggi. Spesso nessuno metteva mano alla si tratta di case piccole, a volte manutenzione” mi spiega Eusprovviste del bagno, che de- genio, un pensionato milanese vono essere ristrutturate per che fa parte del comitato inpoter essere fruibili. quilini, “questo è un intervento Il problema è che questo la- straordinario, finanziata con i voro è spesso molto caro e Aler soldi dell’Unione Europea. Bifatica a rientrare dai costi sol- sogna ammettere che hanno tanto grazie all’affitto. Così c’è fatto un buon lavoro”. qualcuno che le occupa. Quello che ancora manca in questi palazzi è la manutenzione ordinaria. ”Lo scorso inverno abbiamo sofferto il freddo perché non funzionava il riscaldamento” spiega Eugenio” hanno risolto il problema dopo diversi mesi” . C’è poi il problema delle cantine. Alcune di queste, specialmente in via Lopez, sono state chiuse a causa della sporcizia. “Hanno trovato topi, scarafaggi e altri animali morti” spiega Riccardo “erano talmente sporche che gli addetti alla pulizia non sono riusciti a completare il lavoro”. Ad altre la polizia ha messo i sigilli perché erano diventate magazzini per lo spaccio di droga. “ ” Hanno sgomberato la casa mentre ero in carcere, lasciando la famiglia sulla strada Questa necessità di fare richiesta ad Aler per ottenere anche il più piccolo intervento di manutenzione ha esasperato alcuni inquilini che hanno deciso di risolvere i problemi da soli. “Vedi quei fogli degli avvisi appesi alle porte delle altre scale?- indica il pensionato Eugenio- ho chiesto ad Aler di mettere delle piccole bacheche per far un po’ di ordine, ma non abbiamo mai ottenuto nulla. Così ho deciso di prendere un pezzo di legno e ci ho pensato io. Ora siamo gli unici ad avere una bacheca e i nostri spazi comuni sono sempre i più puliti”. Poi, pieno di soddisfazione, aggiunge: “La mia è davvero una scala modello”. PAGINA 8 - 9_Layout 1 07/04/2013 18:21 Pagina 3 LAB Iulm DOSSIER CASE POPOLARI Pagina 9 Insegnare il futuro, la sfida dei volontari della Bovisasca IL REPORTAGE I VOLONTARI DI CASCINA DEI PRATI Massimo Rizzo: aiutiamo i ragazzi a scoprire il loro talento Il futuro dell’housing sociale Case popolari di Quarto Oggiaro A Carlotta Bizzarri ndare oltre i quartieri-ghetto. Creare un variegato e funzionale mix abitativo. Sarà questo il futuro dell’housing sociale a Milano? L’idea è quella di superare l’impostazione che vuole le case popolari separate dal resto del mondo, chiuse, strette, nella loro bolla tutt’altro che dorata. Perché creare casermoni isolati interamente di edilizia sociale, come è stato fatto fino ad ora, significa mettere una toppa. Non è la soluzione del problema. E, anzi, porta a fenomeni di ghettizzazione, degrado, abbandono. Oltre a notevoli difficoltà di natura economico-gestionale, come abbiamo visto. Cambiare tale impostazione sarà un processo lento e delicato, date le scarsissime risorse economiche e una lista d’attesa che mette paura. Ma è una scommessa per il futuro. La nuova strategia del Comune è riquali- Progetto Cenni di Cambiamento ficare gli stabili di edilizia residenziale pubblica esistenti (e crearne di nuovi) puntando su infrastrutture moderne che vedano la compresenza di locazioni a canone sociale, convenzionato e vendita a prezzi calmierati. Quindi Erp (edilizia residenziale pubblica), ma, qui sta la differenza, non solo. Utopia? In realtà qualcosa del genere è già in atto. Un esempio è il progetto “Cenni di cambiamento”, in via Cenni, nella periferia Ovest di Milano. L’intervento, che dovrebbe essere concluso entro luglio 2013, prevede la realizzazione di 124 alloggi, tra quelli destinati all’affitto a canone convenzionato e moderato (per il ceto intermedio), quelli a canone sociale (case popolari), fino a quelli con patto di futuro acquisto. L’obiettivo è creare un nuovo quartiere integrato di edilizia sociale in un contesto vivace e innovativo. A completamento degli edifici residenziali si inseriscono servizi collettivi, ricreativi e culturali. Sulla stessa linea sta procedendo il cantiere in zona Barona. Entro il 2014 nei "Giardini di via Voltri", saranno pronti 319 appartamenti di cui 193 in vendita convenzionata e i restanti in affitto a canone moderato o sociale. Un quartiere pensato soprattutto per le giovani famiglie, munito di aree gioco per i bambini, un campo da bocce, una pista da ballo e perfino un’area concerti. Ma anche Aler si sta muovendo nella stessa direzione. Nel comune di Pieve Emanuele, a sud di Milano, sorgerà un nuovo insediamento destinato ad accogliere circa 2.000 persone. In un’area di 195.000 mq saranno realizzate residenze a canone sociale, a canone convenzionato e alloggi destinati alla vendita. Il tutto circondato da aree verdi, spazi commerciali e parcheggi. Sono previsti anche un asilo e una scuola materna. Questi tre esempi testimoniano l’avvio di una nuova e più attenta politica abitativa. Resteranno solo casi isolati? Di certo sono il primo segno che qualcosa (forse) sta cambiando. C Massimo, un volontario della scuola popolare Matteo Colombo ascina dei Prati è un complesso di condomini popolari che ospita trecentocinquanta famiglie, situato nella zona Nord di Milano, quartiere Bovisasca. Qui c’è una piccola associazione che vuole aiutare i ragazzi a completare gli studi. “Da queste parti la situazione è difficile” spiega Massimo, uno dei promotori di questa associazione, “molti ragazzi a sedici anni sono già stati in carcere e diverse adolescenti, quando ancora sono minorenni, rimangono incinte”. Il progetto vuole dare loro un aiuto gratuito per lo studio. L’idea è nata nel 2000 da un gruppo di quattro amici che hanno deciso di impegnare parte del loro tempo e denaro per aiutare gli studenti. “All’inizio abbiamo affittato un’aula della scuola della Bovisasca” spiega Massimo “ ma volevamo avere uno spazio indipendente. Perciò, dopo due anni, ci siamo trasferiti in questi palazzi popolari”. Oggi i volontari aiutano decine di bambini che vivono in questi condomini e sono diventati un punto di riferimento per molte famiglie di Cascina dei Prati. Il loro progetto non è solo assistere i bambini nello studio, ma anche educarli ad avere fiducia in se stessi, seguendo l’insegnamento di Don Milani. “Noi facciamo un lavoro psicologico, anche con il teatro” spiega Emanuela, una volontaria del centro “Cerchiamo di educare i bambini a farsi delle domande, ad essere curiosi”. Un impegno che vuole essere anche sociale: rendere i bambini protagonisti di un cambiamento nel quartiere. Dietro il progetto c’è una componente di denuncia di una scuola che, secondo i volontari, non riesce a creare uguaglianza di opportunità per tutti. Le differenze tra i bambini nati nelle case popolari e quelli provenienti da famiglie più abbienti, secondo Massimo, sono presenti fin dall’inizio. Come succede a molti altri bambini, anche i ragazzi di Cascina dei Prati si demoralizzano quando non sono in grado di svolgere un compito ma, a differenza degli altri studenti, non hanno gli stessi mezzi per superare le loro difficoltà. Ad esempio, molti ragazzi che vivono in questi condomini sono nati in famiglie di immigrati. A differenza dei loro coetanei che hanno entrambi i genitori del nostro Paese, spesso le famiglie straniere non possono aiutarli a fare i compiti, perché non conoscono bene la lingua. “ ” Educhiamo i bambini ad essere orgogliosi, convincendoli che hanno qualità speciali Questo problema di diseguaglianza esiste anche tra le famiglie italiane che vivono in queste case, spesso povere e poco istruite. “Qui abbiamo un solo laureato e forse due o tre persone con il diploma” racconta Massimo “la maggior parte degli inquilini ha la licenza media, qualcuno è analfabeta”. Bisogna poi aggiungere che molte di queste famiglie non possono permettersi di pagare le lezioni private e questo rende lo studio del bambino ancora più difficile. Per queste ragioni, prosegue Massimo, è necessario “educarli ad essere orgogliosi,convincerli che sono unici e hanno dei talenti speciali che devono mettere a frutto”. La scuola popolare ha già provocato un cambiamento tra le decine di studenti che hanno partecipato a questo progetto. Alcuni di loro stanno ottenendo buoni risultati scolastici e hanno deciso di aiutare i bambini più piccoli. Tra loro c’è Sana, una ragazza di origine marocchina che ha iniziato a frequentare la scuola popolare quando era bambina. ‘È la nostra soddisfazione più grande”-racconta Emanuela- “ tra pochi mesi sarà forse il nostro primo studente con il diploma e non si vuole fermare. Ha già deciso che il prossimo settembre, si iscriverà alla facoltà di medicina”. PAGINA 10-11 ALER_Layout 1 07/04/2013 17:44 Pagina 2 Pagina 10 DOSSIER CASE POPOLARI LAB Iulm Gestisce un patrimonio totale di circa 73.000 appartamenti. È un ente pubblico nato per dare alloggio a chi non lo ha Aler: “Faremo sempre meglio di un privato” Claudia Vanni “S e mi affidi un patrimonio vecchio, dandomi fondi solo per la manutenzione ordinaria, ma i problemi per quel quartiere sono di manutenzione straordinaria, non puoi spararmi addosso poi! Se mi dai un’automobile col motore rotto e pretendi che la risistemi con 100 euro cambiando una ruota, sei un folle!”. E’ un gioco di rimpalli quello tra Aler, l’azienda lombarda che gestisce l’edilizia residenziale pubblica milanese e Palazzo Marino. Da sindaco e giunta piovono gli attacchi, anche se la passata esperienza di affido gestionale ai privati è stata al centro di critiche e inefficienze altrettanto pesanti. Dal canto suo, Aler, che possiede a Milano più di 40.000 alloggi popolari e ne gestisce altri 28.197 per conto dell’amministrazione comunale, para i colpi e contrattacca: “Per come Meriti e demeriti: c’è quasi sempre stata solo Aler, nella storia delle case popolari di Milano stanno le cose, chiunque fosse nella nostra posizione non riuscirebbe a tenere su la baracca – tuona Giuseppe Scoppettone, responsabile area tecnica Aler - Le società che ci hanno preceduto hanno fatto molto meno di noi!”. Di fatto, nella storia delle case popolari di Milano, c’è quasi sempre stata solo Aler: a lei meriti e demeriti. Negli ultimi dieci anni, sono state riqualificate molte zone della città: migliaia di alloggi tra i quartieri Molise Calvairate, Ponte Lambro, Mazzini, Gratosoglio (solo qui circa 4000 appartamenti) e San Siro, per un investimento di 220milioni di euro. La formula adottata è stata quella dei Contratti di Quartiere: un progetto basato su fondi ministeriali, sottoscritto da Ministero, Regione Lombardia, Aler e Comune di Milano, che ha tenuto conto anche delle richieste dei cittadini. Gli interventi stanno giungendo a compimento ma c’è chi, tra sindacati ed amministrazione comunale, chiede provocatoriamente dove siano finiti i soldi. “E’ il Comune che controlla ogni spesa – afferma risentito Scoppettone - Noi inviamo tutta la rendicontazione e carichiamo le fatture su una piattaforma elettronica regionale. Il Comune approva e avalla la spesa, trasmettendola alla Regione che eroga i fondi”. Di fronte alle velate insinuazioni degli interlocutori istituzionali e non, il tecnico Aler, sbotta: “I finanziamenti vengono erogati su rimborso semestrale in base alle fatture presentate. E’ tutto documentato. Solo la prima tranche annuale viene erogata in anticipazione, facendo una previsione sulla base delle precedenti spese, ma anche questa poi viene riscontrata al momento della fatturazione”. Un attimo di silenzio, per pensare a quanto si è convinti di aver fatto ma che non viene riconosciuto, e poi Scoppettone riprende: “Il Contratto di Quartiere a Gratosoglio per esempio, un investimento da 50 milioni di euro, riguardava metà area. Grazie ai ribassi d’asta che abbiamo ottenuto sui lavori, siamo riusciti a risparmiare 7 milioni, che ora reinvestiremo sulla metà ancora da ristrutturare. Questo non era richiesto ma riusciremo a farlo!”. E poi sottolinea la breve memoria degli accusatori: “Gli stessi politici che ci accusano, sono venuti alle no- stre inaugurazioni e si sono anche vantati dei nostri lavori. Un esempio? In via Saponaro a Milano, due anni e mezzo fa è stato inaugurato il Ronchettino, un centro anziani da 500m quadri, messo a posto in estrema urgenza, con fondi Aler, in comodato d’uso gratuito. Gli ospiti sono ancora denTASSE CHE DOVRA’ PAGARE L’AZIENDA tro gratuitamente”. IMU A que17.000.000 € (imposta su unità immobiiari) sti interventi a IRES onor di 13.200.000 € (imposta su reddito società) cronaca, si aggiung o n o IRAP+IVA+IMPOSTE 13.595.000 € anche la riqualificazione del quartiere Stadera e Spaventa (quest’ultimo con MANUTENZIONI ALLOGGI MILANO un’operazione da 14milioni di euro, fi12.157 nanziati dal MiniN° CHIAMATE INTERVENTO stero), la ristrutturazione di 3.913 otto fabbricati in INTERVENTI INESEGUIBILI zona Mazzini (fondi ministeriali speri8.244 mentali) e il recuINTERVENTI EFFETTUATI pero di sottotetti (riservati a studenti, lavoratori fuori sede COSTI TOTALI 2012 13.256.964 € e coppie di nuova formazione) per un investimento di oltre 22milioni, in gran parte fondi Aler. quotidiana che si riscontrano le visoriamente le falle qua è là, maggiori criticità; ne è una ri- ma non si pensa ad una risoluprova la previsione incerta del- zione d’insieme”. E sulle prol’intervallo di tempo che prietà comunali, come Quarto Fondi interni: intercorre tra la segnalazione Oggiaro, “Siamo autorizzati a il Comune approva del guasto e la sua risoluzione. intervenire solo come manule spese, Aler assicura: “Interveniamo tenzione ordinaria – puntuatrasmettendole tempestivamente”, e sul ‘tem- lizza Giuseppe Scoppettone alla Regione che pestivamente’ ognuno è libero In alcuni edifici, di cui non aberoga le risorse di interpretare. Quello su cui biamo il possesso, sarebbero l’azienda delle case popolari necessari interventi straordiribatte è che la richiesta di in- nari: è per questo che si moltiSolo nel 2012 sono risistemati terventi ordinari aumenta, per- plicano anche tanti guasti e resi disponibili per la riasse- ché mancano sempre più ordinari”. progetti strutturali: “Così, non Ultimamente però anche la gnazione 1186 alloggi. Ma è nella manutenzione si fa altro che tamponare prov- manutenzione straordinaria PAGINA 10-11 ALER_Layout 1 07/04/2013 17:44 Pagina 3 LAB Iulm DOSSIER CASE POPOLARI Pagina 11 Non solo gestori di alloggi ma anche “custodi sociali” ASSISTENZA AGLI ANZIANI E SPORTELLI DI ASCOLTO Compie dieci anni il servizio di accompagnamento rello, custode sociale nel quartiere di San Siro. “Si innesca un meccanismo di confidenza con le persone che assistiamo. Quando li si va a trovare, non ti lascerebbero più andare via, ti terrebbero con loro tutto il giorno!”. Teresa, che attualmente si occupa di 213 persone anche se il dato è in aumento, svolge diverse mansioni, “dagli accompagnamenti sanitari ai disbrighi pratiche, dalla spesa e dagli acquisti farmaci alla passeggiata, dalla socialità ad attività ricreative come la danza terapia”. Nei tanti anni vissuti sul territorio, a contatto con la gente, Teresa ne ha viste molte e qualche caso lo ram- menta con particolare soddisfazione: “Ricordo una signora analfabeta che aveva sempre vissuto in orfanotrofi e non sapeva muoversi nella vita reale. le bucce di frutta da terra; poi sono venuta a sapere che viveva senza luce né gas e anche i pochi soldi accumulati gli ler non è un erano stati sottratti con l’insemplice paganno da drone di casa un comma anche il referente di centopagno. mila esigenze quotidiane nella N o n vita delle persone”: è in rispoaveva sta a questi bisogni che dieci n e m anni fa è nata la figura del cumeno un stode sociale, come spiega letto – ci Marcello Badano, responsarivela la bile del settore socialità Aler, custode l’azienda lombarda di edilizia Io l’ho residenziale. aiutata a Teresa Fiorello, custode sociale e Marcello Badano, dirigente Aler “E’ un lavoro che richiede risolvere sensibilità. Entri in simbiosi L’avevo notata ripetutamente tutte le situazioni debitorie che con le persone che supporti” al mercato mentre raccoglieva aveva e ad ottenere i servizi esspiega emozionata Teresa Fiosenziali. Adesso ha riacquisito dignità”. FOCUS La custode sociale si ferma un attimo a pensare e riprende a raccontare: “Vado fiera anche del recupero di una coppia che viveva in situazioni igieniche disastrose. La moglie soffriva ono tutti genitori separati rimasti senza casa, anni. Non è proprio dello stesso parere Anna, figlia di Alzheimer; il marito non si gli assegnatari dei 40 nuovi bilocali a Grato- maggiorenne di un inquilino, che mentre sta uscendo rendeva conto della gravità soglio (Mi), messi a disposizione da Aler, da un appartamento, dopo aver aiutato il padre a fare della situazione. All’inizio non l’azienda lombarda che gestisce l’edilizia residen- qualche pulizia, si lamenta della muffa: “Nonostante mi facevano entrare, poi mi ziale pubblica. Costretti a lasciare l’abitazione alle gli appartamenti siano nuovi, c’è umidità È un pechanno dato fiducia: lo stato mogli o compagne, si sono ritrovati in mezzo ad una cato perché i bilocali sono belli”. dell’appartamento era indestrada: “per il 60-70% sono uoSi potrebbe ipotizzare che sia un cente. Escrementi per terra, mini – ci spiega Giuseppe, porproblema del quartiere, della zona ovunque! Ora la donna è ricotiere del nuovo stabile di via ma la ragazza smentisce: “La mia verata in un centro di cure e il Saponaro 1 - Nel fine settimana responsabile del lavoro abita qua di marito è assistito da una bala struttura però si popola: arrifronte ma non ha questi problemi”. dante. La casa è stata messa a vano i bambini, che solitamente Anna indica anche un’altra pecca: nuovo, imbiancata e ripulita: sono affidati ai papà nel weela lavatrice comune. “Non possiamo anche questo è uno dei casi a kend!”. E c’è addirittura un’area averne una personale in casa, perlieto fine”. specifica dell’edificio dedicata ai ché la potenza supera il voltaggio La Custodia Sociale è nata più piccoli, sostenibile. Ma il lavaggio costa dieci anni fa come “sperimenuna stanza gio1,50 euro a volta: lava oggi, lava tazione in alcune portinerie di chi enorme al domani, sono soldi!” E la questione quartiere – racconta il dirigente Sala secondo piano: economica sembrerebbe non essere l’unico proBadano - I nostri portinai, per Giochi, “I giochi li blema: “Molti si dimenticano di raccogliere i vestiti spirito volontaristico, aiutaedificio ho raccolti un dal cestello. Capita che rimangano lì per giorni e puzvano in alcuni servizi gli inper po’ io in giro, zano. A me quilini più svantaggiati, papà da mia sorella fa schifo! ”. andando per loro a pagare le single – specifica orAlla fine bollette o a fare la spesa. Decigoglioso il Anna si demmo allora di riconoscere a portiere, che congeda tutti gli effetti queste mansioni, controlla gli con una formando professionalmente ingressi, “pernota posigli addetti”. Il progetto inizialché di giorno – tiva “Comente avviato nelle portinerie spiega - non munque gli di San Siro, Spaventa e Ponale, c’è quasi nessuno e la zona non è il massimo”. E sullo a p p a r t a che Aler si è poi allargato a 16 zone, stato degli appartamenti rivela che “qualcosa ancora menti sono avrebbe fatoccandone alla fine ben 21. Alloggi per genitori separati è da fare” ma gli inquilini, a detta di Giuseppe, sono buoni”. coltà di attiNel frattempo Palazzo Marino contenti, anche se l’assegnazione durerà massimo tre C.V. vare sugli ha mutuato il servizio, inserenalloggi di dolo nella pianificazione delle proprietà ha politiche sociali e firmando Ex Istituto Autonomo Case nostro background - afferma subito una battuta d’arresto; i difficilmente viene sfrattato una convenzione con l’azienda fondi europei scarseggiano, per morosità. I servizi essen- Popolari, l’azienda nasce nel Scoppettone - Aler nasce per lombarda, per appoggiarsi alquelli ministeriali ancora peg- ziali intanto continuano ad es- 1997 come ente pubblico con far questo. Qualsiasi altra l’assistenza di 19 custodi sogio. A questo, si aggiungono sere garantiti, ma così autonomia economica e un immobiliare ha la necessità ciali Aler. Attualmente sono poi le limitate entrate dei ca- l’azienda va in affanno. La unico scopo sociale: dare un di ritorni economici: per cui, attivi in città 152 operatori cononi: già ridotti all’osso, (136 vera mannaia sulla testa sono alloggio a chi non può permet- meno fanno, più guadamunali, di cui fanno parte gnano. Aler invece è un ente euro al mese di media) ora tar- poi le tasse, IMU in primis: terselo a prezzi di mercato. anche la ventina di assistenti A giugno il mandato Aler pubblico, non ha bisogno di dano proprio ad arrivare per- solo per l’imposta municipale Aler, che gestisce anche 326 ché la gente non riesce a la Aler deve pagare 17 milioni terminerà e non è scontato il fare dell’utile da spartire fra portinerie e 41 sportelli di sorinnovo: “Una cosa è certa: il i proprietari. E’ chiaro che pagare. E anche chi non paga, all’anno. cialità. Claudia Vanni “A Quaranta alloggi per i genitori separati S PAGINA 12-13 TRASPORTI_Layout 1 08/04/13 17.42 Pagina 2 Vietato perdere il treno della modernità Pagina 12 TRASPORTI LAB Iulm La crisi economica può costituire un’oppor tunità per un ripensamento globale del sistema. Liber alizzare favorendo la concor r enza e il mercato potr eb be essere la soluzione per una ma g gior e ef ficienza Nicolo’ Petrali a crisi economica che stiamo vivendo ormai da qualche anno ha senza dubbio riportato al centro dell’attenzione la delicatissima e spinosa questione del trasporto pubblico. Gli italiani, infatti, in parte per il caro benzina e in parte per un cambiamento culturale che nel giro di qualche anno li vedrà più simili ai cittadini del nord Europa,probabilmente sceglieranno di affidarsi in misura sempre maggiore ai servizi pubblici per i loro spostamenti. Questo fenomeno si sta già in parte verificando, soprattutto a livello urbano e su distanze ridotte, mentre a livello regionale o nazionale sta incontrando qualche difficoltà in più, anche se si prevede che il trend si estenderà anche a questi livelli. Ammesso e non concesso che il L I passeggeri aumenteranno ma la qualità del servizio offerto potrebbe peggiorare servizio diventi più efficiente. Ci sono tuttavia delle criticità di fondo: un aumento della richiesta di servizi pubblici da parte dei cittadini, paradossalmente, non è detto che corrisponda a maggiori profitti per chi li gestisce e quindi a un costo minore per gli utenti. Anzi, se si prende come esempio la città di Milano, la realtà più efficiente e con il maggior numero di passeggeri del nostro paese, ci si accorge di come nell’ultimo periodo il costo dei biglietti sia aumentato e delle sempre maggiori difficoltà di gestione degli orari nelle ore di punta. In alcuni momenti della giornata, infatti, per riuscire a far fronte all’esigenza dei passeggeri, l’intervallo tra i treni della metropolitana è sceso addirittura al di sotto dei due minuti. E’ evidente che in questo modo non si potrà andare avanti ancora a lungo e che andranno studiate nuove formule per un ripensamento globale dell’intero sistema dei trasporti. Il rischio, infatti, è quello di ritrovarsi con una richiesta potenziale molto alta a cui non si riesce a far fronte a causa di deficit strutturali e organizzativi. Per il nostro paese, quindi, diventa fondamentale vincere la sfida del trasporto pubblico. Perdere il treno, in questo senso, significherebbe rimanere ancorati al passato e non entrare in una fase nuova nella quale i maggiori paesi europei sono già avviati. Parlare di trasporto pubblico significa andare a toccare molti aspetti tra cui fornitori e gestori del servizio, efficienza del sistema, costi, infrastrutture, rapporti tra aziende pubbliche e mondo politico e molto altro ancora. E qui si scontrano in maniera piuttosto netta due approcci differenti. Il primo è quella di coloro i quali si professano a favore del mercato e della concorrenza e quindi non vedono di buon occhio il ruolo del monopolista rappresentato da Ferrovie dello Stato e la mancanza di trasparenza e di gare per l’appalto dei servizi a livello regionale e locale, mentre dall’altra parte della barricata troviamo chi difende lo status quo sostenendo l’importanza dei contributi statali per finanziare quelle tratte, magari in perdita, ma di cui comunque è necessario in qualche modo garantire il servizio (pensiamo alle tratte di secondo piano e di minor utilizzo). Anche se, tra gli esperti in materia, il primo orientamento è sicuramente quello che va per la maggiore. In un’ottica liberista la causa principale dell’inefficienza del trasporto pubblico è la mancata liberalizzazione del mercato. Secondo l’Istituto Bruno Leoni, uno dei più autorevoli think tank liberali del nostro paese, quello dei trasporti è il penultimo settore in Italia per quanto riguarda le liberalizzazioni. E nella classifica dei peggiori l’Italia sarebbe seconda soltanto alla Grecia e al Portogallo. Ecco alcuni dati che permettono di inquadrare meglio la realtà italiana: 1) Monaco di Baviera, che ha la stessa capacità ferroviaria di Milano, trasporta circa un terzo in più dei passeggeri del capoluogo lombardo. 2) Negli ultimi anni il finanziamento statale al trasporto pubblico è sempre aumentato, ma a tale aumento non è corrisposto un eguale miglioramento del servizio offerto. 3) Gli aumenti tariffari delle linee ferroviarie sono cresciuti molto di più dell’adeguamento all’inflazione. Per tutte queste ragioni i sostenitori del mercato ritengono che il nostro paese dovrebbe prendere spunto dalle due realtà dove i trasporti funzionano meglio che altrove: Svezia e Gran Bretagna. Questi due paesi negli anni ’80 e ’90 nelle loro riforme, seppur diverse, hanno adottato quattro identiche scelte fondamentali: hanno affidato il compito di regolare il mercato a organismi pubblici indipendenti, hanno adottato il grado massimo di separazione, anche dal punto di vista proprietario, tra gestore dell’infra- struttura di rete e operatori del trasporto ferroviario, hanno attuato una disgregazione estesa delle differenti attività di trasporto svolte dal precedente monopolista pubblico e creato una pluralità di aziende sia di trasporto che fornitrici di servizi, e infine hanno adottato la concorrenza “per il mercato”, che consiste nello svolgimento obbligatorio di gare per l’assegnazione di tutti i servizi di trasporto che necessitano di sovvenzioni pubbliche. Grazie a queste quattro scelte fondamentali (e che l’Italia fin qui ha accantonato), i due paesi hanno conseguito risultati positivi e molto simili tra di loro. L’incremento della domanda passeggeri che ha interessato il paese della regina e quello scandinavo è stato più del 100% nel primo (dal 1994 al 2011) e quasi l’80% nel secondo (dal 1994 sino al 2011). Anche il trasporto merci si è notevolmente accresciuto: dalla riforma all’inizio del periodo recessivo (1994-2007) l’incremento in Gran Bretagna è stato del 70% mentre in Svezia, nonostante i preesistenti altissimi livelli di traffico su rotaia, il trasporto merci è cresciuto di un ulteriore 25%. Tendenze invece del tutto opposte si sono verificate in Italia, in Grecia e in Portogallo. Le riforme ferroviarie non hanno fatto perdere occupazione nei due paesi. Anzi, si è stabilizzata, interrompendo anche in questo caso un declino pluridecennale. In Svezia i dati proverebbero anzi un moderato incremento per il settore ferroviario nel suo complesso, mentre in Gran Bretagna è dimostrabile un incremento degli addetti nelle imprese del trasporto passeggeri. I dati smentiscono anche la credenza diffusa di elevati incrementi tariffari e di un deterioramento della qualità e della sicurezza in Gran Bretagna a seguito della riforma. Infine, il notevole incremento del traffico passeggeri ha permesso in Gran Bretagna un abbattimento dei costi operativi degli operatori del trasporto ferroviario, che si è tradotto nella sostanziale scomparsa della sovvenzione netta agli operatori. Il trasporto passeggeri è quindi finanziariamente autosufficiente. Esiste però anche una differenza sostanziale tra le due riforme: la Gran L’Italia dovrebbe prendere spunto dai paesi che hanno riformato: Svezia e Gran Bretagna Bretagna , solo inizialmente, ha scelto di privatizzare l’intero settore salvo poi rinazionalizzarne una parte per problemi legati alla sicurezza. La Svezia invece ha scelto fin da subito di conservare la proprietà pubblica della rete. Da ciò si può desumere che il problema non sia tanto quello di privatizzare quanto di liberalizzare, favorire cioè una concorrenza reale che nel nostro paese ancora non esiste. E anche la famosa Authority dei trasporti che avrebbe dovuto essere istituita già parecchi anni fa (con il governo Prodi del ‘96) e che avrebbe dovuto spingere il sistema verso un’apertura al mercato e alla concorrenza, non riesce tutt’ora a vedere la luce. PAGINA 12-13 TRASPORTI_Layout 1 08/04/13 17.42 Pagina 3 LAB Iulm TRASPORTI Pagina 13 I mille guai di Trenord Dal crash informatico e allo stop dei Lombardia Express, fino all’arresto di Biesuz Il trasporto lombardo tra class action e scioperi Lorenzo Matucci stione di Trenord. “Se sopravvivete a Trenord, sopravviverete a tutte le disgrazie del mondo”, “Varese è a 30 chilometri da Milano, ma per Trenord è a 3000”, sono stati alcuni degli slogan gridati contro la società di piazza Cadorna. E a poco sono valse le affrontare un altro scoglio, che ha a che fare con le sue “risorse umane”. Il sindacato dell’ Or.S.A, che è la sigla che conta il maggior numero di iscritti tra i lavoratori delle ferrovie regionali (1750), ha avviato una serie di agitazioni (otto, finora), per chiedere il referen- scuse e i provvedimenti adottati dalla controllata della Regione, che ha garantito a chi era in possesso di un abbonamento mensile un bonus del 25%, più viaggi gratis nel weekend per due mesi. Queste misure, infatti, sono state percepite come “un’inaccettabile elemosina a fronte dei gravi e straordinari disagi causati ai pendolari”, si legge sul sito di Altroconsumo; che, lo scorso febbraio, ha depositato una class action al Tribunale di Milano con più di 15000 preadesioni. Ma a compromettere il normale svolgimento delle tratte dei treni regionali, non c’è stato solo il “caso software”. Dallo scorso luglio, infatti, Trenord si trova ad dum sul nuovo contratto di lavoro nazionale. L’accordo è stato votato da Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Fast e Faisa, non trovando il consenso del sindacato autonomo, perché ritenuto “penalizzante sul fronte dei diritti e svantaggioso su quello economico”; dato che le buste paga dei dipendenti Trenord, rispetto ai parigrado di Trenitalia, sono inferiori di circa 200€ e i turni previsti arrivano anche a 12 ore consecutive. Intanto, ogni tentativo di dialogo è franato, con il conseguente lancio di reciproche accuse. Da una parte Trenord che ha proposto l’apertura di un tavolo tecnico di confronto, dall’altra il sindacato che, all’ultimo momento, ha disertato, ponendo come condizione indispensabile al dialogo, il referendum. Sul quale, però, è atteso il giudizio di legittimità o meno del giudice del lavoro di Milano, che non si pronuncerà prima del prossimo 17 maggio. Fino ad allora, la tensione rischia di rimanere alta, con la minaccia del sindacato di indire nuovi scioperi e persino il blocco degli straordinari. Che, tradotto, significa (data la scarsità di personale di circa il 20%) provocare un’altra “Caporetto dei trasporti su ferro”, con migliaia di corse soppresse. Un danno incalcolabile, certamente, in termini economici e di immagine per Trenord. Ma i problemi della controllata della Regione Lombardia, non finiscono qui. Sempre nel nefasto mese di dicembre 2012 (proprio nei giorni del caos, generato dal nuovo software), ancora un’altra tegola si abbatte sulla società. L’amministratore delegato Giuseppe Biesuz, nominato dal presidente Roberto Formigoni nel 2008, viene raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. L’accusa è di bancarotta della società Urban Screen e di false fatturazioni. E così il cda si trova, in tutta fretta, a cercare un sostituto. Viene nominato Luigi Legnani, che tra i primi provvedimenti intrapresi, sopprime il servizio Lombardia Express, che collega Milano a Bergamo e Varese. E’ il segno che qualcosa va ripensato nel sistema di trasporto lombardo. Il servizio era attivo da 4 mesi, ma i treni viaggiavano con un numero di passeggeri talmente basso da non riuscire a coprire i costi di gestione. Una scommessa che è costata cara. Trenord è una società pubblica a responsabilità limitata, nata il 3 maggio 2011 dalla fusione di Trenitalia e Gruppo Fnm (LeNord), che detengono entrambe il 50% della proprietà. Effettua 2200 corse giornaliere su 1920 km di binari, con un’utenza media di 670.000 passeggeri al giorno. Gestisce 42 linee regionali e 10 suburbane, più il servizio Malpensa Express, che collega Milano all’aeroporto internazionale di Varese. L’attuale A.D. è Luigi Legnani, ingegnere meccanico, che è subentrato Giuseppe Biesuz, dimessosi a dicembre, dopo essere stato raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare. enti dire “ferrovie” e subito (lo sanno i tantissimi pendolari che ne fanno uso) si generano associazioni di pensieri che rimandano ai “disservizi”. Ritardi, scioperi, carrozze vecchie e sporche, dove, talvolta, capita pure che si guasti l’aria condizionata. In Lombardia, questo spauracchio ha un nome ben preciso per chi, per spirito ecologista o necessità, sceglie di spostarsi in treno. E’ Trenord, la società pubblica nata nel maggio 2011 dall’unione di Trenitalia (Divisione regionale Lombardia) e di FNM (Ferrovie Nord Milano), controllata dalla Regione. Gestisce 42 linee regionali e 10 suburbane, oltre al servizio Malpensa Express, che collega le stazioni di Milano Cadorna e Milano Centrale con l’aeroporto internazionale. Sono circa 670 mila i passeggeri, al giorno, che utilizzano il suo servizio e mai, come negli ultimi mesi, hanno subito le inefficienze del sistema dei trasporti su ferro. A cominciare dal disastro dello scorso 9 dicembre, ribattezzato da Dario Balotta di Legambiente come “la Caporetto dei trasporti”; quando, in una sola settimana, furono soppressi 1347 treni, a causa dell’inserimento errato dei turni di lavoro nel nuovo software entrato in uso, il “Goal Rail”. Software che è abitualmente impiegato nelle ferrovie di Spagna, Francia, Marocco e Arabia Saudita e dove non si ricordano disfunzioni di questa portata. Il 18 dicembre, fu proprio Legambiente a promuovere un blitz alla stazione di Cadorna, per puntare il dito contro la ge- L’ANALISI DARIO BALOTTA, RE SPONS ABILE T RAS PORTI LE GAMBIENTE LOMBARDA S LA SCHEDA “Se il sistema è a pezzi, è tutta colpa della politica” Lorenzo Matucci a dove nascono le inefficienze delle Ferrovie? Per Dario Balotta, responsabile trasporti di Legambiente, sono due i nodi storici da risolvere. Il primo riguarda “l’approccio alla gestione del sistema ferroviario”. Lo spiega raffrontando la realtà milanese a quella di Monaco di Baviera, due città che hanno la stessa capacità ferroviaria e un numero di abitanti che si assomiglia molto. Mentre Monaco fa quasi novecentomila passeggeri al giorno, Milano gira intorno ai cinquecentosettantamila: “Segno che D la circolazione dei treni è più efficiente e ottimizzata”. E questa, altro non sarebbe, se non la diretta conseguenza di uno sviluppo disordinato: “Di fatto – continua Balotta non abbiamo creato una rete. Dove ci sono i capannoni industriali, ad esempio, troviamo solo gli autoporti. Abbiamo scelto, perciò, di affidarci alla gomma più che alla rotaia, sia che si tratti del trasporto passeggeri che di quello merci”. Nonostante il numero di passeggeri dei mezzi pubblici sia aumentato dal 2001 ad oggi di circa il 35%, infatti, avverte Balotta, il loro numero è sempre relativa- mente basso. “La stragrande maggioranza dei pendolari, circa il 70%, usa la macchina, e il rimanente si sposta con i m e z z i pubblici. Se, poi, guardiamo al t r a sporto merci, la proporzione è 90% tra- sporto su gomma e 10% trasporto su ferro”. Il secondo nodo è quello più difficile da sciogliere, perché politico, o meglio, creato dalla mala politica. “Le aziende pubbliche sono state utilizzate come serbatoio di voti. Di conseguenza, il trasporto è sempre stato pensato a partire dalle esiDario Balotta genze del gestore, mai da quelle del cittadino”, denuncia l’esponente di Legambiente. La soluzione, è chiara: “Evitare che la gestione la faccia chi pianifica, come nel caso di Trenord e Atm. In sostanza: liberalizzare il servizio. La ricetta “di mercato” piace anche agli ambientalisti. Perché, altrimenti, non si fa altro che alimentare una logica perversa, secondo cui “l’azienda pubblica, gestita dalla politica, favorisce le aziende private “amiche”, che sono abituate a fornire materiali e sistemi tecnologici di scarsa qualità a costi esorbitanti”. PAGINA 14-15 TRASPORTI_Layout 1 07/04/2013 17:46 Pagina 2 ATM Pagina 14 TRASPORTI LAB Iulm Il Metro’ senza Plafond Aumentano i passeggeri e il servizio, ma senza sussidi il bilancio della controllata del Comune di Milano è in rosso Enrico Lampitella trasporti pubblici locali sono da sempre una zavorra per i Comuni. Gli stessi Comuni, talvolta incuranti, talvolta approfittando del patto di stabilità che lega la spesa corrente al tetto del disavanzo pregresso, non hanno alcuna remora a fare esercizio di “finanza creativa” che li porta nel migliore dei casi a indebi- I Un passivo di 1,5 milioni al giorno per mantenere le tariffe basse tarsi a causa delle municipalizzate di cui si fanno carico. Fortunatamente dal 2009 alla “finanza creativa” degli enti locali e in primis dei Comuni è stato posto un argine, ma lo stesso non può dirsi per la gestione dei servizi per i cittadini. A volte infatti, capita anche che il Comune debba sbarazzarsi di alcuni pezzi delle stesse municipalizzate per ripianare i debiti di società di importanza strategica, come nella fattispecie quelli dell'Azienda Trasporti Milanesi. Il Comune di Milano che ha messo in vendita quote di Sea per comprare i nuovi treni per la società dei trasporti di sua proprietà al 100%. Per onestà, va detto che i bilanci annuali di Atm formalmente risultano quasi ogni anno in positivo, addirittura con piccoli margini di guadagno. Ciò accade perché quando Atm annualmente presenta i suoi conti, lo fa sempre a valle dei sussidi che riceve dal Comune, dalla Provincia, dalla Regione e dallo Stato e si tiene ben lontana dal pubblicizzare ai cittadini milanesi l'ammontare di tali sussidi. Una cifra vicina a 500 milioni di euro l'anno, senza tener conto anche delle altre voci di costi. Parliamo di 1,5 milioni al giorno di passivo, per mantenere un servizio con le tariffe più basse d'Europa e che dall'introduzione dell' “Area C” è in costante aumento di passeggeri. È questo il paradosso di Atm. Più aumentano gli utenti, più la gestione si fa critica. Per avere un'idea delle cifre di cui stiamo parlando, si può fare l'esempio di Amtrak, la più grande linea ferroviaria pubblica americana che ogni anno suscita negli States aspre polemiche perché sussidiata dallo stato per 700 milioni di dollari. Gli americani con un deficit di 700 milioni di dollari coprono l’intero suolo americano, il Comune di Milano con 500 milioni di euro di passivo copre la sola città. Secondo problema di Atm, quello per cui il Comune colloca in borsa le quote di Sea, è quello relativo alla gestione degli accantonamenti, dei famosi ammortamenti essenziali per qualsiasi azienda che deve sostituire i macchinari che si consumano. In questo caso 30 dei 180 treni in servizio dal 1964 sulla linea rossa M1, la più vecchia, e 10 treni sulla linea verde M2. In più per Atm, che dal 2011 si avvale del nuovo software “M1” per la decongestione del traffico sulla linea rossa, sostituire quei treni è fondamentale per la funzionalità del sistema stesso anche in vista dell’Expo 2015. Ma le aziende di trasporto pubblico questi accantonamenti non li fanno. Tanto sanno che alla fine quando dovranno comprare i nuovi mezzi qualcuno pagherà. Probabilmente fino a quando Atm non sarà messa in gioco attraverso una gara seria, a cui fino a oggi il Comune si è sempre dichiarato ostile, il problema non verrà risolto e Atm rimarrà “M1” è il software per il controllo del traffico sulla linea rossa fuori dai meccanismi competitivi. Le gare fino ad ora sono state fatte con un solo concorrente e il giudice corrispondeva al proprietario di Atm stessa. Bando a lotto unico ritagliato su misura per Atm. Naturalmente nessuno ha avuto il coraggio di presentarsi con un lotto unico in una gara contro un concorrente posseduto dal giudice. Essendo la proprietà di Atm del Comune di Milano, è come se il Comune facesse un patto con se stesso. In generale la proprietà pubblica di aziende monopolistiche determina un vistoso conflitto di interessi. Perché prevalgono obiettivi diversi, spesso voto di scambio, rispetto alla fornitura di buoni servizi ai minimi costi ai cittadini. Una situazione ideale nella gestione dei trasporti locali, potrebbe essere quella del soggetto pubblico non più monopolista ma pianificatore e organizzatore con prerogative di qualità e fantasia del settore dei servizi, gestiti però in un regime di mercato da aziende terze in concorrenza fra loro. In realtà Atm in un regime di mercato interagisce già da tempo, ma in altri paesi e peraltro con ottimi risultati. Dal 1° gennaio 2008 il Gruppo, tramite la controllata “Metro Service”, gestisce la metropolitana di Copenhagen, 21 km di linea automatizzata, tra le più avanzate al mondo, premiata con il “World’s best Metro 2008” e con il “World’s best driverless Metro” nel 2009 e nel 2010. Altro servizio di eccellenza gestito all’estero da Atm, è la manutenzione del Sistema di Trasporto Automatico del campus universitario femminile della “Princess Noura University” nella città di Riyadh. Un impianto simile alla nuova linea lilla di Milano, la linea senza conducente “M5”. In realtà questa situazione è frutto di una chiara scelta politica di fronte a due scenari possibili. Il primo, prevede l’adeguamento in stile anglosassone alla cultura del “Il prezzo finale copre il costo finale”, con inevitabile aumento dei prezzi. Format adottato per la gestione dei metrò delle principali capitali europee come Parigi e Londra. L’altro scenario invece, oneroso ma Gare con un solo soggetto e per giudice Palazzo Marino scelto dal Comune di Milano, riflette la volontà di detenere la gestione esclusiva di alcuni servizi base come il trasporto pubblico, garantiti e offerti dal Comune a prezzi bassi ma con i relativi buchi di bilancio annuali da ripianare. In generale non è un male sussidiare i trasporti pubblici, ma bisogna essere consapevoli che si sta scegliendo di mettere i soldi lì piuttosto che in parchi, in scuole o pensioni. La soluzione potrebbe essere l’esempio della Germania. Lì le Regioni avevano lo stesso problema di deficit eccessivo e hanno fatto le gare. Hanno avuto risparmi medi del 20% e molte gare sono state vinte dalle stesse ferrovie statali, che per vincerle hanno dovuto abbassare drasticamente i costi, con benefici per tutti. PAGINA 14-15 TRASPORTI_Layout 1 07/04/2013 17:46 Pagina 3 LAB Iulm TRASPORTI “La chiave di volta sta nella concorrenza” L’INTERVISTA Lorenzo Matucci ersonaggio scomodo, controcorrente da una vita. Marco Ponti, 72 anni, è professore di economia al Politecnico di Milano e collaboratore della Commissione europea per il settore trasporti. E’ stato definito da un assistente del ministro Lunardi «un pericoloso comunista-liberista». Le sue idee, infatti, sono provocatorie e non mancano mai di suscitare dibattiti. P Professor Ponti, a cosa è dovuta l’inadeguatezza delle ferrovie italiane? «Alla mancanza di concorrenza. Più si crea una contrapposizione tra operatori diversi e più si può ambire all’efficienza». I NUMERI DI ATM L’AZIENDA 9379, sono i dipendenti del Gruppo Atm, formato da 16 società. La capogruppo è Atm S.p.a. Le attività afferiscono alla mobilità collettiva, trasporto pubblico locale, parcheggi, car sharin. IL SERVIZIO 22.735 le corse effettuate al giorno in superficie. 1819 le corse effettuate in metropolitana. I PASSEGGERI 703 km 2 di territorio servito e 51 i comuni serviti. 682.014.824 passeggeri trasportati nel 2011. LA RETE 4 linee di rete metropolitana, 19 linee di rete tranviaria, 3 linne di rete filoviaria e 97 linee di rete automobilistica per un parco veicoli di 2.975 mezzi tra motrici e carrozze. Pagina 15 Quindi, liberalizzare sia le reti ferroviarie che la gestione del servizio? «No, non credo che i privati siano meglio del pubblico. Non sono per una liberalizzazione alla radice, ma per quella del servizio. In questo modo lo Stato può ergersi, per davvero, a tutela degli interessi pubblici, mentre il privato può sperare di aggiudicarsi una gara solo se ha un buon servizio da offrire. La chiave di volta sta nella concorrenza». Ma in Italia siamo ancora lontani… «Il problema è stabilire se c’è o meno la volontà politica di costruire un contesto competitivo. Io Pubblico faccio un lotto di gara. Dico: voglio questi servizi, con queste tariffe, con queste frequenze. Chi chiede meno soldi, vince. Il soggetto viola il contratto? Negli accordi sono previste MARCO PONTI, DOCENTE DI ECONOMIA AL POLITECNICO sanzioni pecuniarie e perde soldi “privati”. Continuano i disservizi? Lo butto fuori e senza abbandonare il servizio, faccio subentrare il concorrente. Chi può opporsi a questo modello? Nessuno, se non l’ipocrisia». Manca un dibattito pubblico su queste questioni. «Assolutamente. Negli Stati Uniti, la principale compagnia ferroviaria, che è il doppio della nostra per km coperti, riceve 700 milioni di euro l’anno in sussidi statali. E gli americani strillano come aquile, l’attenzione dei media è alta. In Italia non succede niente di tutto questo, nonostante i nostri finanziamenti siano dieci volte tanto». E perché da noi non è possibile fare lo stesso dibattito? «Perché c’è un vizio di non trasparenza politica. Ci sono meccanismi di “cattura”; voto di scambio, innanzitutto, e interessi costituiti. Non dimentichiamo che una parte consistente dei soldi dati ai treni va a comprare merci prodotte dall’industria italiana». strarli bene; mentre se sono locali, le lobby sono costrette a muoversi diversamente, perché ci sono comitati di cittadini e associazioni che vegliano su come quei soldi vengono spesi». Veniamo a Mi lano e la Lomb a r d i a . Tenuto conto Marco Ponti che la domanda di collegamenti ferroviari crescerà, complice la crisi e un nascente spirito ecologista, cosa si aspetta in merito alla pianificazione territoriale? «La questione è semplice: lo Stato non ha soldi; perciò dovrà scegliere se fare delle strade o investire nelle ferrovie. La scelta più logica, è la prima. Le strade costano poco e se le pagano gli utenti. Inoltre, bisogna tener conto che il mercato del lavoro non è più di impianto tayloristico. E’ tutto terziario. E un tipo di terziario sofisticato, che non si spedisce in treno. Poi, c’è anche il mercato della casa da tenere in considerazione. Una casa in una zona meno servita dai mezzi pubblici, costa meno. Si vende e si compra». Lei è un sostenitore di forme di finanziamento locali? «Trovare dei meccanismi di fianziamento, con una buona componente locale, è uno dei modi per combattere il sistema che si è consolidato. Se i soldi vengono da Roma, infatti, a nessuno interessa ammini- Però è anche vero che il consumo di suolo è eccessivo e che la Lombardia è tra le regioni più inquinate d’Europa. «Il consumo di suolo è poco rispetto a quello agricolo. Bisognerebbe fare due conti: l’agricoltura inquina molto, consuma acqua, ha un impatto occupazionale bassissimo (del 3%) e vive solo di sussidi pubblici. Potremmo decidere di in- 5 Lisbona Kiev” (in seguito accorciato e rinominato “progetto prioritario 6 Lione-Budapest”), ma per l’Europa tali corridoi non devono essere necessariamente ferrovie, tanto meno ferrovie ad alta velocità. Bruxelles si limita a sottolineare l’importante esigenza di ammodernare o realizzare infrastrutture di trasporto che permettano un transito fluido e privo di impedimenti tecnici per merci e passeggeri , ma lascia ai diversi stati la possibilità di scegliere le modalità con cui raggiungere questo scopo. Data l’inconsistenza della domanda di tra- sporto (passeggeri e merci) sulla tratta, non v’è alcun soggetto privato disposto ad investire risorse proprie nel progetto che sarebbe quindi interamente finanziato a carico dei “tax payers” con il modesto contributo dei fondi europei. I più ottimisti parlano di una spesa complessiva che si aggirerebbe intorno agli 8 miliardi di euro (l’importo degli ultimi tagli all’istruzione e alla cultura), mentre gli scettici (e in genere contrari alla realizzazione dell’opera) fanno lievitare la cifra fino a 18-20 miliardi (l’importo che sarebbe necessario a dotare tutta Italia vestire unicamente su agricoltura di qualità e di importare dai paesi africani, non c’è niente di scandaloso. I poveri del III mondo starebbero meglio, noi costruiremmo altre strade e, per il resto, sarebbe tutto boschi e prati». Cosa pensa del servizio effettuato da Trenord? «Il problema è il palese conflitto di interessi: la Regione sussidia la sua partecipata, organizza e gestisce il traffico. Sono state fatte delle scelte a dir poco infelici, come il Lombardia Express, che, siccome viaggiava vuoto, è stato soppresso. E il Malpensa Express non va certo meglio. I passeggeri di Malpensa sono calati, di conseguenza anche quelli dei treni e, cosa incomprensibile, sono aumentate le corse giornaliere (circa 30 al giorno). Quello di Malpensa ha tutte le caratteristiche di un servizio commerciale che dovrebbe essere messo a gara». E a proposito delle tariffe? «Combattono l’aumento dei costi di gestione con l’innalzamento del costo del biglietto; quando , però, dal 2001 al 2010 i contributi pubblici alle ferrovie regionali sono aumentati del 61%, da duecentotrentatre milioni a trecentosettantacinque milioni all’anno, e l’offerta di treni è cresciuta solo del 30%. Ciò dimostra gravi inefficienze e alti costi di produzione, che non possono essere colmati solo dall’aumento stellare delle tariffe, ma che, invece, necessitano di una gestione più competitiva del servizio; impedita però dall’assetto monopolistico di Trenord». La Tav è così indispensabile? Nicolò Petrali n un momento di forte crisi come quello che stiamo vivendo, la Tav in Val di Susa è proprio indispensabile? Innanzitutto occorre premettere che, contrariamente a quanto si possa pensare, la realizzazione fra Torino e Lione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità/capacità è una scelta politica dell’Italia (e della Francia) e non, al contrario, una richiesta dell’Unione Europea. L’asse Torino-Lione fa sì parte del cosiddetto “corridoio I di una connessione internet a 100 Mega di velocità). Facendo una media tra le due ipotesi, ponendo cioè che la spesa per la tratta italiana sia pari a 13 miliardi, “equivarrebbe – come riporta uno studio dell’Istituto Bruno Leoni – ad una una-tantum dell’ordine di 1.000 euro per una famiglia di 4 persone”. Perché il vero problema da porsi in questi casi non è tanto se le infrastrutture abbiano un’utilità o meno, ma se l’investimento in strade o ferrovie costituisca l’uso migliore delle limitate risorse a disposizione di uno Stato. PAGINE 16-17.qxp_Spettcoli MUSICAL LABIULM 08/04/13 17.29 Pagina 2 Pagina 16 SPETTACOLI LAB Iulm Lo dicono i dati: nei teatri italiani è rilancio della commedia musicale. E Milano ne è la capitale Benedetta Bragadini Maurizio Perriello C ’era una volta il musical. Quello all’americana. Spettacolare. Imponente. C’era una volta e c’è ancora, più in spolvero che mai. Spopola in Francia, ne vanno pazzi i russi. Ma quello di cui parliamo è un musical tutto italiano. Negli ultimi cinque anni si è assistito a un forte ritorno in voga del musical, e la città di Milano ne è stato il centro propulsore. Qui infatti c’è la maggiore concentrazione di strutture, compagnie e anche di scuole dedicate al genere. Un successo sul quale in pochi avrebbero scommesso, ma anche un riscatto – almeno parziale – per il sistema teatro e i numeri della sua crisi. Secondo i dati SIAE, l’arte del recitar cantando ha fatto registrare il tutto esaurito in molte sale italiane. Nel 2007, anno che ha dato il via alla febbre del musical made in Italy, gli spettatori sono stati oltre 1 milione e 300.000, per registrare un boom nel 2009-2010 con oltre 1 milione e 850.000 ingressi, e attestarsi nella scorsa stagione sul milione e 558.000 circa. In cinque anni gli spettacoli prodotti sono aumentati del 43%, in panorama di produzioni teatrali che invece sono diminuite dell’11% (15.707 in meno). Da Grease a Sweet Charity a Jesus Christ Super Star, i grandi spettacoli stile Broadway sbarcano nei grandi come nei piccoli teatri. Un successo merito anche dei testi ben tradotti e riadattati, capaci di incoronare tanti attori emergenti e anche di rilanciare volti noti in parcheggio negli scaffali dello show business. A questo si aggiungono spettacoli originali e italianissimi: Pinocchio firmato Pooh, Tosca di Lucio Dalla e Pia de’ Tolomei scritto da Gianna Nannini. Senza contare quello che ormai è divenuto un genere a sé: quello dell’opera popolare di Cocciante, da Notre Dame de Febbre da MUSICAL Giampiero Ingrassia e Fabrizio Corucci in una scena di Frankenstein Junior Paris a Giulietta e Romeo. Ma partiamo dalle origini. Stati Uniti. 1866. Due produttori e un direttore teatrale mettono Nella stagione 2009-2010 il boom, con oltre 1 milione e 850.000 ingressi insieme le forze per creare quello che sarebbe diventato il primo musical della storia: The Black Crook. Il genere acquista un seguito di pubblico sempre maggiore, tanto da invadere anche le scene di Hollywood. L’Italia (e l’Europa in generale) arriverà tardi ad apprezzare questa novità, soprattutto per la sua lunga tradizione operistica e lirica. Grazie poi alla mediazione popolare di generi ibridi come l’operetta, nel nostro Paese si è cominciato a pensare il teatro musicale anche fuori dai binari esclusivi del melodramma. Solo negli ultimi trent’anni il pubblico ha risposto positivamente ai lavori di piccole compagnie nazionali che hanno iniziato a dar vita a veri e propri musical in italiano. LE SCUOLE IN ITALIA C’era una volta la rivista, potremmo dire, in Italia. E c’era la commedia musicale della premiata ditta Garinei e Giovannini che, nella Roma ancora occu- Stati Uniti, 1866: The Black Crook è il primo musical della storia pata dagli Americani, ben presto si convertì al nuovo portando una ventata di freschezza con argomenti vicini al quotidiano e talenti di cui ancora oggi si sente parlare. Da Delia Scala a Wanda In Italia sono nate negli anni diverse Scuole di Musical, meta fin dalla loro nascita di centinaia di aspiranti operatori dello spettacolo e ormai diventate vere e proprie istituzioni. Centri importanti per la formazione si sono sviluppati a Roma, Bologna, Torino e Parma, ma è Milano ad essere protagonista, con la SdM (Scuola del Musical) e la MTS (Musical The School). Molto note sono anche le romane MTA e Fonderia delle Arti, oltre alla bolognese Bernstein (la prima a vedere la luce nel 1996). Tutte hanno adottato il modello anglosassone della formazione: il Triple Threat Performer, l’interprete completo, che sa essere ballerino, cantante, attore. E, soprattutto, hanno creato legami con le grandi produzioni, come dimostrano i dati raccolti: su Milano sono circa il 40% i diplomati che entrano nel “giro”, mentre su Roma e Bologna si oscilla tra 30 e 35%. (mp) Osiris, da Walter Chiari a Marcello Mastroianni, passando per Manfredi, Modugno e Dorelli: il meglio degli attori degli anni ’50 e ’60 passa per musical come Tobia la candida spia (1954), Rugantino (1962) e Aggiungi un posto a tavola (1974). Gli anni ’80 sono il periodo più buio della storia del musical italiano. Poi lentamente la rinascita grazie alla Compagnia della Rancia che, sotto la guida di Saverio Marconi, comincia a proporre al pubblico allestimenti dei più famosi musical americani tradotti nella nostra lingua. L’idea è quella dei long running show americani, che attraverso messe in scena della massima trasportabilità, consente una diffusione capillare nei teatri di tutta la nazione, con permanenza anche mensile nello stesso luogo e poi, nel giro di due giorni, spostamento e prima serata in un’altra città anche molto distante. Con Grease nel 1997 la compagnia sarà la responsabile del riavvicinamento prima del pubblico giovane al teatro musicale e poi degli italiani al genere. Inoltre la danza, le coreografie e la bravura dei ballerini acqui- PAGINE 16-17.qxp_Spettcoli MUSICAL LABIULM 08/04/13 17.29 Pagina 3 LAB Iulm SPETTACOLI Da sinistra: La febbre del sabato sera; Gypsy; Priscilla, la Regina del deserto; Full Monty; Sugar - A qualcuno piace caldo; Shrek. stano un’importanza fondamentale per stupire il pubblico. Il pubblico, appunto. Grazie ad un progetto introdotto dalla Stage Entertainment, l’Italia ha potuto fare esperienza del cosiddetto “spettacolo totale”, che coinvolge lo spettatore fin dall’entrata nel foyer. Una moda “alla Rocky Horror”, come la definisce Giampiero Ingrassia (intervista a fianco), paragonando l’operazione italiana a quella del celeberrimo spettacolo britannico del 1973 diretto da Jim Sharman, riadattato per il cinema due anni dopo. “Il pubblico sa a memoria le battute, le anticipa e poi ride di gusto”, dice Saverio Marconi, regista del più recente e forse riuscito spettacolo di questo tipo, Frankenstein Jr ., tratto dall’omonimo film di Mel Brooks. Un cult della storia del cinema come molti altri prestato al teatro: Full Monty, Priscilla la regina del deserto, A qualcuno piace caldo, e chi più ne ha più ne metta. Il comune denominatore è sempre quello: il cinema. Proporre spettacoli tratti da famosi film americani consente di operare su un immaginario comune, su battute, lazzi, trame e perso- naggi ben presenti anche alle giovani generazioni. Il pubblico anticipa le gag più famose, si veste come i protagonisti e intona le canzoni come fosse parte del coro. E il merito è in gran parte del cinema che negli ultimi anni ha sfornato musical di successo, da Nine a Mamma Mia, da High School Musical a Moulin Rouge, fino ad arrivare al recentissimo Les Miserables, osannato da Oscar e botteghino. Ma al di là di questo, un contributo decisivo al ritorno di fiamma del musical l’hanno dato i talent show, nati e proliferati – manco a dirlo – negli USA ma giunti all’alba dei Duemila anche in Italia, per la formazione dei nuovi “attori totali”, in grado di spaziare con competenza dal canto alla recitazione, al ballo. Che si tratti di piccole o grandi produzioni il musical occupa nuovamente un posto d’onore nella cultura teatrale popolare italiana. Insomma finchè c’è musical, c’è speranza. Pagina 17 IL PERSONAGGIO GIAMPIERO INGRASSIA “Noi, bravi come a New York” Benedetta Bragadini Jacopo Rossi stati fatti moltissimi spettacoli, alcuni belli, con il cuore, e altri meno belli, commerciali». stato il Danny Zuko, alias il belloccio di Grease, dei teatri italiani per 15 anni. Ma forse solo gli appassionati del genere ricordano che ha iniziato con La Piccola Bottega degli Orrori nel 1989. E oggi, capelli rossicci e baffetti, si è trasformato nel Frankenstein Junior di Mel Brooks. Giampiero Ingrassia, figlio d’arte dell’indimenticato Ciccio, è uno dei simboli del musical nel nostro Paese. E gli interpreti? «Sono cambiati perché sono nate tante scuole. Un attore deve saper fare tutto: Proietti ad esempio faceva molta attenzione al canto. Ci sono ragazzi bravissimi, che spesso sono meglio dei grandi nomi e che per questo vanno aiutati. Sono loro il futuro». È Perché ultimamente vengono prodotti così tanti musical tratti da film? «Gioca la voglia di rispolverare la pellicola dopo anni dalla sua uscita per riportarla all’attenzione del pubblico. Nel caso di Frankenstein Junior può sembrare semplice: in realtà è stato un rischio enorme perché molti fan del film erano perplessi. Ma siamo riusciti a convincere anche questo zoccolo duro». Come? «Se l’adattamento è fatto con coscienza non solo funziona ma ha anche grande successo. E con la regia di Saverio Marconi, che è il padre dei musical in Italia, non poteva essere diversamente». Cos’è più importante? La costruzione di un personaggio vicino al pubblico o la fedeltà allo spirito del film? «È essenziale la fedeltà al testo. Se è scritto bene e con i tempi giusti basta attenersi a questo. Con Frankenstein Junior giochiamo in casa perché l’adattamento è dello stesso Mel Brooks». È cambiato il musical in questi anni? «Quando facevo La Piccola Bottega degli Orrori la gente credeva si trattasse di un varietà. C’erano le commedie alla Garinei e Giovannini ma il musical vero e proprio è arrivato con l’importazione dagli USA e da Londra. Oggi c’è una seconda rinascita dopo quella di fine anni ’80. Grease è stato lo spartiacque: c’è un prima e un dopo. E dopo sono Basta unire canto e recitazione o è uno stile diverso? «La parola performer mi sta un po’ sulle scatole. Per fare un musical devi saper cantare. Ma è fondamentale essere un attore per interpretare il brano, sennò diventa Sanremo. Implica uno studio maggiore. Molti giovani mettono la recitazione in secondo piano: è un errore contro il quale mi batterò sempre. Ho aperto una scuola per questo». Il ballo merita un discorso a parte? «Quando ho fatto Grease mi dicevano: “Lei balla”. No, io non ballo: sono un attore, faccio finta di fare le cose, quindi fingo di ballare. L’importante è che voi spettatori mi crediate. Bisogna impegnarsi tanto: ho lavorato due mesi sul tip tap per Frankenstein Junior. Ma è il mio mestiere». Il pubblico è diverso? «Il pubblico è cresciuto: è stato sommerso da tantissimi titoli e ha imparato a scegliere. Ecco perché serve sempre più responsabilità da parte di chi fa questo mestiere. Poi ovviamente ci sono i fanatici del genere». Quanto Internet e i nuovi media possono aiutare il mondo del musical? «C’è più consapevolezza nel pubblico anche grazie alla rete. Se voglio vedere un pezzo di spettacolo vado su YouTube e poi magari decido di comprare il biglietto. Ma non si può ricreare con l’iPhone la magia che si respira ogni sera a teatro». Conviene investire nel musical oggi in Italia? «Dipende come investi. E’ un lavoro vero e proprio che va fatto sinceramente e con intelligenza. Ci dovrebbe essere una coscienza, anche nei produttori: abbiamo la responsabilità di fare spettacoli belli. Ogni volta che un musical è brutto fa male agli altri». La riscoperta di questo genere è una moda temporanea o ci sono le basi per trasformarlo in un fenomeno a lungo termine? «Il nostro Paese è pronto per il musical. Non siamo Londra o New York ma abbiamo i mezzi per uno sviluppo continuativo e di qualità. Punterei però di più su spettacoli originali scritti in Italia. Salvatore Giuliano ad esempio, basato molto sul testo e non su canzoni ruffiane e troppo show, non ha avuto la fortuna che meritava». Abbiamo delle strutture adatte? «Le strutture esistono, non sono state costruite appositamente per il musical, ma ci sono. Bisogna riempirle con roba buona». PAGINE 18-19 SPORT_Layout 1 07/04/2013 17:48 Pagina 2 Pagina 18 SPORT LAB Iulm Gli iscritti aumentano ma gli atleti professionisti diminuiscono. Strutture inadatte, allenamenti faticosi e poca pubblicità: ecco i motivi per cui l’Atletica a Milano, nonostante i numeri, vive un momento non particolarmente felice L’ultimo scatto Pietro Mennea durante la “Pasqua dell’atleta” del 1983 all’Arena civica vince la gara dei 300 metri sfiorando il suo record Adriano Lo Monaco he un bambino milanese sogni di poter emulare, da grande, le gesta dell'olimpionico Pietro Mennea è già impensabile per il poco appeal che l'atletica riveste nei confronti dei giovanissimi, ma lo è ancor di più se consideriamo che l'attuale si- C Nell’ultimo anno è stata cancellata la “Notturna di Milano”, il meeting internazionale che si teneva all’Arena tuazione degli impianti milanesi (e non solo) versa in condizioni critiche e, in qualche caso, tragiche. L'Arena Civica, dal 2002 intitolata al giornalista sportivo Gianni Brera e patria della società Riccardi, è il tempio dell'atletica milanese, ma si sta trasformando sempre più in un impianto in cui è possibile fare di tutto, tranne che gareggiare ad alti livelli. In questi ultimi anni, tra cantieri aperti e pedane inagibili, sono stati organizzati concerti, tornei di calcio e manifestazioni che nulla avevano a che fare con l’atletica. Nell’ultimo anno, per il mancato appoggio economico di Comune e Provincia, è stata cancellata la ‘Notturna di Milano’, un meeting internazionale che dal 1998 riempiva l’Arena di nomi prestigiosi come il tre volte campione europeo (due volte sui 100 metri e una sui 200) Christophe Lemaitre e Caster Semenya, la tanto discussa atleta sudafricana che nel 2009 ha conquistato l’oro sugli 800 metri ai mondiali di Berlino. Milano privata della sua vetrina più bella, in controtendenza con quello che succede nelle altre città europee come Berlino o Parigi, dove i meeting crescono più vigorosi che mai e attirano migliaia di appassionati. Altra zona, altro impianto e stessa situazione. Ai piedi del Montestella ha sede il XXV I NUMERI Aprile, lo storico campo che ha visto nascere, crescere e trionfare una trentina di atleti a livello internazionale, tornato agibile e riaperto al pubblico e alle società sportive solamente da qualche mese. Nel 2011, infatti, è stato rifatto il manto della pista, ma i test negativi del Politecnico non hanno permesso di dare il via libera all'attività agonistica perché la superficie sintetica non è stata ritenuta idonea. Si potrebbe continuare ad oltranza. Il centro sportivo Saini, nei pressi del Parco Forlanini, custodisce gelosissimo la sua pista di atletica, ormai praticamente inutilizzabile, dal lontano '63, mentre lo stadio Carraro, situato al termine della lunghissima via dei Missaglia, ha una pista non omologata e malamente mantenuta. Oggi, inoltre, a Milano e in tutta la Lombardia non esiste una pista indoor di atletica. Un quadro che non sorprende più di tanto se rapportato al fatto che l'unica struttura al coperto in Italia è il centro tecnico di Ancona, utilizzato dalla federazione anche per le gare nazionali, ma che diventa improponibile in base al numero dei tesserati della regione lombarda, tra i più significativi d'Italia. 39082 atleti (secondo l'ultima statistica del 31 di- Quasi quarantamila praticanti in regione nel 2012 19722 21803 23784 25084 28265 29861 32182 34516 36322 39082 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Il numero degli iscritti alla Federazione Italiana di Atletica Leggera lombarda dal 2003 al 2012 cembre 2012) costretti ad inseguire il sogno di un mondiale o di un'olimpiade con poche certezze e mezzi assai remoti. Ma nonostante gli annosi problemi dell'atletica a Milano, non mancano le eccellenze. È il caso della sessantasettenne società sportiva Riccardi, presieduta da Renato Tammaro e diretta dal figlio Sergio, che Oggi in Lombardia non esiste una pista indoor di atletica. L’unica struttura in Italia è ad Ancona per il secondo anno consecutivo e per la terza volta nelle ultime quattro stagioni è diventata campione d'Italia, continuando a fornire la nazionale di giovani promesse. Il declino dell'atletica milanese, dunque, non è dato dalla carenza di atleti che di questo sport, insieme ai tecnici, sono gli alfieri fondamentali in uno scacchiere con poche luci e tante ombre quanto, piuttosto, dalla mancanza di motivazioni, di progetti e dalla scarsa lungimiranza che si respira nei piani alti della federazione, rea di quell'involuzione che non ha saputo proiettare il mondo dell'atletica verso il futuro, relegandolo a un presente che sta sempre più azzerando la possibilità di vedere impianti moderni e al passo coi tempi. PAGINE 18-19 SPORT_Layout 1 07/04/2013 17:48 Pagina 3 LAB Iulm SPORT I NUMERI Pagina 19 LA SOCIETA’ CHE HA SAPUTO RINNOVARSI RESISTE ALLA CRISI Da riserve a campioni d’Italia: l’Atletica Riccardi Tre campionati italiani negli ultimi quattro anni per la squadra fondata 67 anni fa da Renato Tammaro Antonio Torretti ppure c’è un posto a Milano in cui l’atletica respira ancora. E a pieni polmoni. Basta entrare dentro l’Arena civica e ci si imbatte in un folto numero di persone che corrono. Ma non si tratta dei milanesi indaffarati che si incontrano nel resto della città. Sono atleti, di tutte le età: dai bambini che vogliono solo giocare fino agli anziani, che nell’atletica vedono un elisir di lunga vita. Una cosa accomuna tutti: la canotta verde. Già, perché il verde è il colore della squadra campione d’Italia, la Riccardi. La sede è proprio in uno stanzone all’interno dell’Arena in cui le innumerevoli coppe, che non trovano più posto negli scaffali della stanza (alcune hanno subito una metamorfosi che le ha portate a divenire inconsueti portapenne) attestano i straordinari risultati conseguiti. Del resto essere per 3 volte in 4 anni i campioni d’Italia è un risultato davvero speciale. Dopo Caorle 2009 e Sulmona 2011 infatti la società milanese si è aggiudicata lo scorso settembre le finali per il titolo nazionale disputate a Modena. Il segreto del successo? L’organizzazione e la programmazione. In un periodo in cui i fondi e le strutture scarseggiano, la Riccardi ha saputo rinnovarsi e muoversi per trovare giovani campioni. L’idea è lungimirante: andare nelle scuole e diffondere la pratica di questo sport. Sul coinvolgimento parlano i dati: a marzo si è arrivati alla XXXVa edizione de “Il ragazzo e la ra- E gazza più veloci di Milano”, la manifestazione che premia i nuovi giovani talenti e che permette ogni anno alla società di avere un numero rilevante di iscritti gestiti anche in collaborazione con le società satellite: lo scorso anno tra Riccardi e Riccardi-Camelot Young i tesserati erano 710. Ma il non lasciare nulla al caso è una caratteristica che contraddistingue questa società già dagli albori: la sezione atletica della Riccardi nasce nel marzo del 1946 per volere del presidente Renato Tammaro che dopo essersi innamorato quasi per caso dell’atletica (fu invitato dal fratello ad assistere alla sfida Italia Germania nel 1939 e fu stregato dalla sfida negli 800 tra Harbig e Lanzi), decise di ampliare la polisportiva del conte Riccardi con il ramo dell’atletica. In un periodo in cui nel calcio si giocava in undici, le riserve erano quelle meno contente perché di fatto non facevano che allenarsi. Perché non cambiare sport e sceglierne uno in cui tutti fanno qualcosa? Nacque di fatto così la sezione atletica della Polisportiva Riccardi e, nel giro di una decina d’anni, arrivarono già i primi risultati. La storia di oggi è una storia diversa perché l’atletica è cambiata come è cambiata la società italiana: per tirare avanti occorre creare una rete forte. La Riccardi sotto questo punto di vista può vantare il supporto, non indifferente, della Cariplo e sta lavorando per creare rapporti di tutela sanitaria con alcuni poliambulatori lombardi. I problemi però ci sono e non si tratta solo dell’indifferenza delle istituzioni: l’assenza di strutture adeguate e, soprattutto, quello che potremmo definire il “ratto dei campioni”. Un caso su tutti, quello di Andrea Chiari, il giovanissimo campione italiano nel salto triplo categoria under 23 al quale solo un infortunio piuttosto serio ha negato la possibilità delle olimpiadi di Londra, che ha appena lasciato la Riccardi per trasferirsi alle Fiamme Gialle dove le risorse sono notevolmente diverse. Ma da noi funziona così: raggiunta una certa età, non si può far altro che vestire le casacche delle forze armate per diventare dei veri professionisti. Per la Riccardi non è certo un problema insormontabile. La dimostrazione è arrivata pochi giorni fa con un nuovo titolo da mettere in bacheca: il titolo italiano di Cross conquistato a Rocca di Papa. Siamo sicuri che l’atletica sia proprio in crisi? “E’ lo sport che deve costruire nuovi talenti” L’INTERVISTA ALBERTO COVA L’ex campione olimpico indica il problema dell’atletica lombarda: “Manca il salto al professionismo” Eliana Biancucci atleta italiano che insieme a Panetta ha segnato negli anni ’80 la stagione d’oro della Pro Patria, trionfando nel mezzofondo, e realizzando il tris Europei, Mondiali e Olimpiadi. Abbiamo intervistato Alberto Cova, vincitore dei Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984, per capire perché, dopo di lui, la grande tradizione dell’atletica lombarda non ha più regalato all’Italia trionfi di simile livello. L’ L’atletica è diventata uno sport meno praticato in Lombardia rispetto al passato? «No, il numero di iscritti alle società di atletica non è diminuito, anzi in alcuni casi è aumentato. E’ cambiata però la fascia d’età in cui questo sport viene praticato. Io ho cominciato a 14 anni, oggi invece i ragazzi entrano nelle società già a 8 anni. Il problema dei mancati successi è che poi arrivati a 18 anni, quando è ora di fare una scelta di vita, ri- nunciano a fare il salto di qualità verso l’agonismo». Quindi una volta cresciuti diventa un’attività meno attraente? «Sì. Perché richiede molto sacrificio. A 18 anni, ai ragazzi che hanno dimostrato più talento, se vogliono diventare professionisti viene chiesto di dimenticare gli sforzi fatti fino ad allora e pensare che da quel momento in poi si riparte da capo, con un impegno costante che richiede due allenamenti al giorno». Eppure l’atletica era faticosa anche 30 anni fa. I ragazzi di oggi non conoscono più lo spirito di sacrificio? «La differenza essenziale credo sia nelle possibilità che la società offre. Negli anni ’70, Alberto Cova quando ho cominciato io, si andava su un campo sportivo per fare qualcosa di diverso e divertente. L’attività fisica era sinonimo di non solo di sacrificio ma anche di novità e di spensieratezza». E oggi non è più così? «Adesso molti ragazzi che hanno la possibilità scelgono di studiare. L’atletica poi non è certamente uno sport che fa arricchire e chi resta nelle società può permettersi, il più delle volte, di farla solo a tempo perso mentre chi è talentuoso e viene preso in considerazione dai gruppi militari si sistema economicamente. Le strade che si possono percorrere sono ormai tante, e quella dell’atletica, che richiede tempo e pazienza per arrivare, diventa inevitabilmente meno attraente». I genitori di solito spingono i figli a praticare il calcio. Secondo lei l’atletica è sfavorita anche da questo? «Non penso che siano gli altri sport a rovinare la nostra atletica, è il modo in cui è strutturato in Italia lo sport che la rovina. Tra le diverse attività c’è concorrenza invece che esserci cooperazione. A partire dalle scuole, dove l’educazione fisica si fa praticare poco e l’atletica non viene fatta conoscere. E se ad un giovane l’atletica non gliela facciamo conoscere e non gliela facciamo sperimentare, non potrà mai scoprire se ha un talento». Quindi le colpe sono in larga parte da attribuire al sistema sportivo stesso? «Si, è questa la ragione che spiega il calo improvviso di tesserati dai 18 anni in su rispetto a quelli dei settori giovanili. Per far sì che nascano talenti come quelli che hanno regalato grandi soddisfazioni alla Lombardia bisogna lavorare sulla quantità e non insistere soltanto su alcuni ragazzi che in partenza sembrano più dotati. Oggi i giovani vanno accompagnati per fargli fare delle scelte e aiutarli a gestire il loro patrimonio. Lo sport deve smettere di attendere solo che sboccino nuovi talenti, deve iniziare invece a cercarli e costruirli». PAGINE 20-21 SOCIETA'_Layout 1 07/04/2013 17:55 Pagina 2 Star Chef Pagina 20 SOCIETA’ LAB Iulm Show seguitissimi e ricettari best-seller. Ma anche strapagate consulenze e ospitate mondane, reality e pubblicità. È finita l’era dei grandi cuochi che lavoravano solo ai fornelli? Gli chef sono le nuove stelle della tv e non solo Carlotta Bizzarri na volta i cuochi lavoravano chiusi nelle loro cucine, tra il caldo dei forni e le lacrime delle cipolle. Oggi gli chef spadellano in set brillanti sotto gli abbaglianti riflettori della tv e tra gli applausi scroscianti del pubblico. Sono loro i nuovi divi, protagonisti di programmi tv seguitissimi, di spot e ospitate pagate a peso d’oro, autori di best seller, alcuni perfino sex symbol. Sarà la crisi che obbliga le famiglie a rinunciare al ristorante. Sarà il piacere di mettersi alla prova o la sempre maggiore attenzione ad un’alimentazione sana e di qualità. O sarà, come sostiene Chiara Maci, food blogger e giudice del programma tv Cuochi e Fiamme, che i grandi chef stellati “hanno finalmente capito che rendere accessibili a tutti i loro piatti e le loro ricette è la mossa vincente”. Fatto sta che i programmi di cucina si sono moltiplicati negli ultimi anni. Sono più popolari che mai e non c'è canale che non abbia il suo chef di fiducia. Dallo storico La prova del cuoco di Antonella Clerici al più recente I menu di Benedetta della Parodi, i programmi di ricette erano fino a ieri per lo più indirizzati alle casalinghe o comunque ad un U Nella foto grande: Bruno Barbieri, Carlo Cracco, Joe Bastianich, giudici spietati del programma televisivo Masterchef Italia. Nella foto centrale: i concorrenti della prima stagione del reality. Nella foto a destra: Chiara Maci, foodblogger e giudice di Cuochi e Fiamme. Nella foto in basso a destra: lo chef stellato Enrico Cerea pubblico prettamente femminile. Oggi invece gli show culinari hanno conquistato tutti, giovani e meno giovani, uomini come donne. Merito soprattutto dell’incredibile successo del reality Masterchef Italia e dei suoi tre severissimi (ed ora famosissimi) giudici: Carlo Cracco, Joe Bastianich, Bruno Barbieri. Al casting per partecipare al programma erano in 8 mila e in oltre 1 milione hanno guardato la finale: tanto per farsi un’idea dell’ossessione culinaria scatenata dal format. Tutti li vogliono, tutti li cercano. Richiestissimi, vezzeggiati, invidiati i cuochi sono gli “animali televisivi” dell’anno. E fatturano come una media impresa. Per uno "show cooking", la preparazione di un piatto davanti a un pubblico, chiedono fino ad 8 mila euro. Alessandro Borghese, padrone di casa del programma In cucina con Ale, guadagna 1 milione di euro all’anno. Simone Rugiati, reso famoso soprattutto dalla partecipazione a vari reality, prende 7 mila euro per una comparsata. Cifre da capogiro? In realtà briciole ri- Richiestissimi, adulati, invidiati, gli chef sono più popolari che mai. E guadagnano cifre da capogiro spetto al numero uno delle cucine televisive americane, il britannico Gordon Ramsey, che, secondo Forbes, ha fatturato ben 38 milioni di dollari nel 2012. Da “chef dei vip”, i cuochi stellati sono diventati loro stessi delle vere e proprie star. “Vip io? Sono solo un bravo cuoco” si schermisce con (finta?) modestia Carlo Cracco. Sarà. La realtà è che oggi nel suo ristorante a Milano c’è chi viene solo per farsi fare un autografo. È salito sul palco di Sanremo, il suo libro Se vuoi fare il figo usa lo scalogno è alla quattordicesima ristampa. Ed ha decine di migliaia di fans che non hanno mai assaggiato un suo piatto. Ma la cucina&chef-mania sarà solo una moda passeggera? Per Gianfranco Vissani, chef 2 stelle michelin, esperto di tv fin dal famoso risotto cucinato per Massimo D’Alema nello studio di Porta a porta nel 1997, queste “entrate collaterali” (trasmissioni televisive, libri, collaborazioni pubblicitarie ecc.) sono una necessità per mantenere gli “standard costosissimi richiesti dall’alta cucina”. Quindi un tutt’uno con la professione dietro ai fornelli. Ma allora, quale sarà il futuro degli chef? Se Vissani ha ragione saranno sempre più “condannati” alla trasferta perpetua tra trasmissioni, consulenze, forum gastronomici... PAGINE 20-21 SOCIETA'_Layout 1 07/04/2013 17:55 Pagina 3 Pornofood, il piatto si fa sexy e conquista il web LAB Iulm SOCIETA’ Claudia Vanni educe, appassiona, coinvolge: lo chiamano Porno-food, ma non ha niente a che vedere con l’osceno. È piuttosto l’attrazione irresistibile di un piatto ben cucinato, l’emozione esplosiva del ragù che cola sulle tagliatelle o del soufflè al cioccolato, con il cuore fondente e ancora fumante. In Italia gli appassionati della buona cucina, i foodies (così si chiamano), sono ben 5 milioni e mezzo e aumentano al ritmo di circa 250 mila al- S l’anno: non si tratta solo di chi ama gustare o cucinare piatti sfiziosi ma anche di chi ama confrontarsi e condividere ricette. E nell’epoca del web 2.0 queste esigenze trovano libero sfogo su siti e blog, dove imperversano le immagini culinarie, dall’effetto eccitante, porno appunto. Nel weekend pre-pasquale, al Museo della scienza e della tecnologia di Milano, Simona Tedesco, direttore di Leiweb e tre famose foodbloggers, Chiara Maci, Roberta Deiana e Laurel Evans hanno provato a decifrare il fenomeno. “Per me Porno food è l’imperfezione di un piatto pronto per essere gustato” ha dichiarato Chiara, volto noto della tv ai fornelli, esperta del marketing aziendale che ha mollato tutto per dedicarsi alla cucina. “La foto genuina - ha proseguito - con i suoi difetti trasmette passione, veracità, emoziona”. “Il pornofood è quell’immagine che ti incita ad allungare la mano” ha spiegato Pagina 21 la food stylist Roberta Deiana. Ma secondo la curatrice, la provocazione dell’immagine gastronomica passa anche attraverso la ricerca attenta dei particolari e la cura del piatto: “il cibo infatti è una miniera di colori, forme, consistenze, da combinare e assemblare” ha aggiunto Roberta. Tra tweet e post, la fama dei consigli culinari di bloggers, scrittori autodidatti o semplici sperimentatori esplode: i “foodies” infatti oltre a cercare i prodotti migliori dagli artigiani del gusto, partecipare ad eventi gastronomici e saggiare (oltre che assaggiare) i piatti nelle cene tra amici, amano spulciare su internet in cerca della nuova sfida, possibilmente accessibile, a colpi di farina e pomodoro: “La gente ha bisogno di semplicità – commenta Chiara Maci – il piatto del grande chef spaventa”. E poi sul web si impara insieme come spiega Laurel Evans: la blogger che, dal Texas ha esportato la cucina americana nel Belpaese, rivela di mettere a punto le ricette anche grazie alle sperimentazioni e i consigli degli utenti. Che tu sia italiano o americano infatti, in cucina conta poco. “Il cibo unisce tutti” afferma sorridendo Chiara. E se poi si tratta di porno-food! Colortaste, quando il cibo diventa arte Claudia Vanni l piatto si fa tela, il pennello forchetta, i cuochi pittori e i colori sapori per un viaggio nel gusto che celebra insieme cibo, fotografia e arte. Sembrano acquerelli ma la materia prima è il cibo. Foglie di prezzemolo, salse, pane e pesce sono stati disposti dalla mano sapiente di quattordici chef stellati Michelin, per realizzare le immagini di Colortaste- La cucina si fa arte, che hanno animato il cortile di Palazzo Isimbardi a Milano, fino al 18 marzo. Il fotografo Alfonso Catalano ha realizzato gli scatti chiedendo ai cuochi di disporre le composizioni, come fosse la tela di un quadro, su una lastra bianca traslucida retro-illuminata, capace di creare trasparenze e di fare risaltare i colori degli ingredienti. Lo scopo? Creare un “ghiotto” incontro tra cucina e fotografia, in cui il senso estetico rimanda continuamente a profumi e sapori. Manipolando e studiando la disposizione degli ingredienti, il cuoco diventa un artista anche I pittorico. Ma il connubio tra arte e cibo non sarebbe una novità: il primo che trasformò frutta, ortaggi, pesce e carne in volti e opere fantastiche fu Giuseppe Arcimboldi a metà del 1500. In tempi moderni invece, il reporter svizzero Catalano ha rivisto il legame, viaggiando da Roma alla Costiera Amalfitana, da Pistoia a Bolzano, da Senigallia a Milano. Agli scatti culinari, sono state aggiunte poi diverse foto di backstage e i ritratti di alcuni celebri cuochi. Curiosa la scelta degli “artisti”, effettuata sulla base del passaparola degli stessi: forse per allontanare ogni dubbio di “dissapore ” e competizione tra chef di fama internazionale, a ogni cuoco è stato chiesto di segnalare un collega. Il ricavato della vendita delle opere in mostra sarà devoluto interamente alla onlus Pane Quotidiano, che a Milano, da oltre un secolo, si occupa di aiutare i meno abbienti. “L'idea è nata quasi per caso, ma volevo che fosse coinvolta un'associazione seria come questa, che da 115 anni distribuisce quotidianamente tremila pasti a chi è in difficoltà”, ha raccontato il fotografo. copertina ecc_Layout 1 08/04/13 17.18 Pagina 4 Pagina 22 IULM nEwS La relazione del rettore Giovanni Puglisi per l’apertura dell’anno accademico 2012-2013 dell’Università Iulm. Fra gli ospiti il Presidente della Conferenza dei Rettori Marco Mancini e la Presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro. Dura denuncia dei tagli alla Cultura e all’alta formazione. “Da circa cinquant’anni la vita dei nostri atenei è una storia quasi estranea alla vita politica del paese, che la vive talora con distrazione, talora addirittura con fastidio”. LAB Iulm “Cari giovani, pretendete la qualità Giovanni Puglisi uest’anno io vorrei raccontarvi una storia, la storia di un accademico che alle soglie del quarantacinquesimo anno di vita universitaria si ritrova disorientato e solo in una giungla, più simile alla monade leibniziana, senza porte e senza finestre, che a un nomade, disperso dantescamente in una “selva oscura selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinnova la paura”. L’immagine è scelta accuratamente: la selva dantesca – come tutta la Commedia – è popolata di mostri e di angeli, di diavoli e di santi, di malfattori e di ignavi, di peccatori e di asceti, teologicamente divisi per gironi e cieli, ma tutti organizzati in funzione della Luce assente o presente, vicina o lontana. Il passaggio dalla prima accezione della selva a quella della monade racchiude la storia dell’Università italiana dell’ultimo mezzo secolo che abbiamo alle nostre spalle, di quei quarantacinque anni, in buona sostanza, che segnano anche la mia storia accademica. Ho difficoltà a rimpiangere il famoso ’68, che ebbi pure a frequentare, da studente contestatore prima e da giovane docente inesorabilmente contestato dopo, ma ho maggiore difficoltà a ritrovarmi in questa Università italiana del Terzo Millennio dove la cifra prevalente è l’atomismo più Q esasperato, del tutto privo di quella geniale virtù del clinamen epicureo, che permetteva agli atomi, deviando “impercettibilmente la loro traiettoria” – come scrive Lucrezio nella sua splendida opera De rerum natura – insieme alla formazione della materia, la conoscenza. Ciò che mi preme evidenziare è la singolare e strana convergenza, però, per converso, che lega l’itinerario politico civile della nascita gloriosa delle Università italiane dei secoli scorsi, a quello di questo ultimo scorcio di secolo. Ecco la variante: alle origini la vita di ciascuna universitas era al centro delle attenzioni politiche e civiche dei diversi poteri temporali o ecclesiastici che se ne facevano carico [si pensi, per tutte, all’esenzione data agli scolari di fare il “servizio militare” – si direbbe oggi così – nel corso dei loro studi, in epoche nelle quali le genti combattevano spesso per la loro sopravvivenza; da circa cinquant’anni la vita delle nostre Università è, invece, una storia quasi estranea alla vita politica del Paese, che la vive talora con distrazione, talora addirittura con fastidio. Oggi –cosa ancor più grave, a mio avviso – con assoluta indifferenza: l’Università italiana, statale e non statale in particolare, non sembra più appartenere a questo Paese, preoccupato principalmente di controllarne i conti, piuttosto che di misurarne la capacità e le performances scientifiche e formative. nella formazione di giovani eccellenti, a favore, spesso, di altri Paesi, pronti a raccogliere il meglio dei nostri giovani, accrescendo così le loro performances e le loro fortune, UNIVERSITÀ PUNITA anche nelle graduatorie dei Alla singolare distrazione con rankings internazionali, a la quale il sistema politico itadanno dei nostri Atenei, che liano ha permesso, specie invece risultano sempre penanegli ultimi trent’anni, la mollizzanti. tiplicazione irrazionale e irraIl Presidente della Conferenza gionevole delle Università, dei dei Rettori, l’amico Marco suoi Corsi di studio, delle sue Mancini – che ringrazio di sedi, centrali e periferiche, cuore sia per avere accettato pronto clientelarmente a ricoquesto invito, ma soprattutto noscerle subito dopo come per la fiducia e il sostegno che “centrali” a loro volta, ha fatto mi ha sempre dato nella Conséguito una altrettanto irragioferenza e fuori, anche come nevole e meramente punitiva suo Vice Presidente – che inazione di strangolamento delle terverrà subito dopo di me, capacità e delle intelligenze disaprà trattare sicuramente con sponibili negli Atenei al servimaggiore precisione e con mizio della ricerca, dissipando gliore equilibrio, questo tema. risorse accumulate negli anni Io desidero solo riportare questa nota istituzionale al mio vissuto personale: l’Università che ho conosciuto e vissuto in questi quarantacinque anni oggi non la riconosco più. Ho avuto la fortuna di essere chiamato, dalla fiducia e dalla stima dei miei Colleghi, ad assolvere compiti di Governo accademico molto giovane e molti anni fa: in quegli anni ho vissuto e conosciuto l’Università dei Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale Maestri e delle di Milano Scuole, quella in cui il merito – qualunque cosa si voglia, con piglio iconoclasta, dire oggi – alla fine era sempre sovrano. I Maestri sapevano scegliere, con assoluta discrezionalità, ma con altrettanta sicurezza scientifica: le abilitazioni, le idoneità erano sempre propedeutiche a valutazioni vere e proprie e gli ope legis, anche camuffati, erano una bestemmia. L’entropia del sistema, nel quale idoneità, ope legis più o meno mascherati e adesso abilitazioni di massa sono di casa e di norma, ha generato mostri, moltissimi mostri. Per carità, anche un secolo fa esistevano i mostri accademici, ma erano un’esigua minoranza, oggi forse le proporzioni sono capovolte! L’Università è figlia e specchio del proprio tempo, ieri come oggi, nel Medioevo come ai nostri giorni, e questo è un tempo in cui la cultura, l’istruzione, la ricerca hanno perduto il gusto della verità, che equivale a dire che hanno perduto il diritto di cittadinanza attiva: la verità dovrebbe essere quella di affermare se stessa, per affermare – senza se e senza ma, come si ama dire adesso – il diritto alla propria sopravvivenza e alla propria libertà e, quindi, alla loro libera espressione. Il fascismo privò l’Università copertina ecc_Layout 1 08/04/13 17.18 Pagina 5 LAB Iulm IULM nEwS Pagina 23 L’INIZIATIVA Fascia zero per studenti a basso reddito A partire dall’Anno Accademico 2013/14 l’Università Iulm introdurrà due nuovi strumenti per premiare il merito e sostenere il diritto allo studio: la Fascia Zero, per facilitare l’immatricolazione degli studenti con un reddito annuo inferiore ai 15.000 €, e una riduzione delle rette rivolta ai laureati IULM che desiderano proseguire gli studi dopo il conseguimento della Laurea Triennale. La nuova fascia di reddito, nata con l'obiettivo di premiare il merito, è rivolta ai giovani appartenenti a famiglie con un reddito annuo non superiore a 15.000 €: per loro la retta annua di iscrizione sarà di 1.800 € per i Corsi di Laurea Triennale e di 2.500 € per i Corsi di Laurea Magistrale. Oltre ai requisiti economici, per rientrare nella nuova Fascia Zero, è richiesto inoltre un voto di almeno 75/100 all'esame di Maturità per iscriversi a un Corso di I livello e un voto di Laurea non inferiore a 100/110 per un Corso di Laurea di II livello. Gli studenti IULM che hanno già concluso uno dei percorsi formativi di primo livello all'interno dell'Ateneo, potranno inoltre iscriversi a un Corso di Laurea Magistrale beneficiando, per il primo anno, di una riduzione del 20% sul costo complessivo dell’iscrizione. Ulteriori informazioni sul sito www.iulm.it. ità” della sua libertà d’insegnamento, mettendo il bavaglio a centinaia di studiosi e di docenti (solo 13 docenti su più di un migliaio rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista, scrivendo una pagina di orgoglio per un verso e di ignominia per l’altro, della nostra storia accademica), il post-fascismo dei nostri giorni sta privando l’Università, la scuola, la ricerca, in una parola la cultura, del diritto di sopravvivenza, affidandola ad una eutanasia guidata – come saggiamente ha denunciato la Conferenza dei Rettori – tragicamente irreversibile. Privare l’Università del suo diritto di esistere vuol dire innanzi tutto privare la società della più autentica e più nobile scuola di diritto e di libertà: una società immorale e illiberale sarà – o forse è già? – la conseguenza più naturale e irreversibile. Il piacere dell’etica e il gusto delle regole sono il sale di una società civile degna di questo nome, dove il rispetto della persona, come quello della natura, degli animali, di ogni forma di esistenza sia garantita. L’identità si rispetta attraverso il culto della diversità, anzi delle diversità: lo ha sancito l’Unesco, lo ha ratificato il nostro Parlamento. È ora di fare diventare tutto ciò davvero “patrimonio dell’Umanità”, ovvero di tutti noi, anche in Italia. L’ALBERO DELL’EDUCAZIONE L’università in questa stagione ha responsabilità enormi, ma anche ancora potenzialità enormi. Le prime sono sotto gli occhi di tutti: le difficoltà di dialogo civile e politico del sistema universitario con il sistema-Paese sono la ragione principale della crisi del sistema dell’alta formazione. Io non so se il tempo che abbiamo davanti ci permetterà di recuperare questa relazione in modo virtuoso, risalire la china di questa deriva reale e mediatica sarà molto difficile per tutti, universitari, politici, industriali, imprenditori, giornalisti, opinion makers. È però l’unica forma di recupero di quella centralità dell’educazione, intesa in senso anglosassone, che sta alla base di ogni società civile degna di questo nome. L’educazione è una pianta, che dopo il suo impianto germoglia e cresce in ragione della sua aspettativa di vita, ma anche in ragione dell’ambiente nel quale vive. Dall’Università, come da ogni missione esistenziale, non si esce più, la sua vocazione culturale è anche la sua identità esistenziale, proprio come l’identità biologica di un albero. L’Università può essere uccisa per suicidio o per eutanasia. Il primo è contro natura, la seconda è quella che il sistema politico italiano sta pra- ticando alla nostra povera Università. Ribelliamoci con l’orgoglio della nostra storia, con la forza delle nostre idee e con la dignità della nostra moralità. Basta espellere le mele marce e tenere alta la soglia della moralità, fino all’asticella del suo piacere ontologico. È possibile, ve lo assicuro, bastano coraggio e fiducia. Così, e solo così, forse riusciremo a diventare di nuovo magistra vitae, in un tempo e in una società che ha abbassato tutte le asticelle fino a perderne anche la traccia simbolica. Le recenti consultazioni elettorali hanno dato la rappresentazione di una democrazia sofferente, la quale ha perduto il legame essenziale tra rappresentanza e rappresentatività. La metà degli Italiani ha, in modo articolato, mandato un segnale inequivocabile all’altra metà: non siete più rappresentativi del Paese reale. Cogliere il messaggio è più importante che baloccarsi sulle formule di Governo. E cogliere il messaggio vuol dire partire dalla scuola, dall’Università e dalla cultura: innanzi tutto con gli esempi e le azioni, le parole non bastano più, le promesse non servono più, soprattutto all’Italia. Faccio appello in particolare ai giovani, tanti, donne e uomini, che stanno per entrare nel nuovo Parlamento della Repubblica: abbiano un sussulto di dignità, pensino e guardino ai loro coetanei, a coloro che in gran parte sono fra i principali contributori del tasso di disoccupazione o di inoccupazione intellettuale e materiale e impongano ad un sistema politico ormai decotto e impresentabile in gran parte, oltre gli schieramenti, una politica della formazione di qualità, che ancorata a monte alla scuola e all’Università, e a valle ad un sistema produttivo sano e moralmente sostenuto, possa invertire il flusso della disperazione. Guardo con orrore all’Italia dei prossimi trenta o quaranta anni, un’Italia nella quale ad invecchiare saranno i giovani di oggi, quelli inoccupati o disoccupati, che attendono un lavoro per versare i loro contributi assicurativi per la pensione, i quali diventeranno anziani in un Paese paurosamente povero, privo di mezzi per vivere e farli sopravvivere. IL FUTURO DELLA IULM Potrei, a questo punto, riprendere il filo logico di una Relazione tradizionale Voglio solo darvi una testimonianza di impegno personale, a tutto campo e senza risparmio, di tutti, dico di tutti coloro che, insieme a me, condividono la guida e la gestione strategica e quotidiana di questo Ateneo: abbiamo fatto passi avanti enormi nell’impegno e nei risultati didattici, scientifici, amministrativi e strutturali. Essi sono sotto i vostri occhi, a partire dal nuovo complesso edilizio a fianco di questo, che è finalmente una realtà, bella e funzionale, alla crescita dell’Università IULM, nel quale Vi do solennemente appuntamento per l’inaugurazione dell’anno accademico prossimo, il 45° dalla nostra Fondazione. Contemporaneamente però vi annuncio che a breve inizieranno i lavori per il restauro della Cascina Moncucco, una storica cascina milanese, a noi assegnata dal Comune di Milano, la quale – grazie al MIUR e alla Regione Lombardia, in cofinanziamento con questa Università – si trasformerà in Residence per studenti italiani e stranieri, ampliando così l’offerta di spazi residenziali per i nostri studenti. Mi sono avventurato a chiedere ai miei Colleghi degli Organi di Governo di fare un passetto avanti nella direzione della solidarietà sociale, aprendo, per il prossimo anno accademico, le porte di questo splendido Campus e le aule della nostra eccellente attività formativa ai giovani più capaci e meritevoli delle scuole secondarie superiori, che per censo o per le avversità della sorte di questi anni Marco Mancini, Presidente della difficili dell’econoConferenza dei Rettori mia del Paese non hanno la possibilità di accedere alla nostra Università. Abbiamo istituito, infatti, per l’accesso ai servizi della nostra Università, una “fascia zero” aggiuntiva alle nostre consolidate quattro fasce di reddito, che rimangono intatte, che apre la IULM a quanti non superano il reddito annuo di 15.000,00 euro ad un prezzo “politico”, a condizione che abbiano superato gli esami di maturità con un voto non inferiore a 75/100 per l’accesso alle Lauree Triennali e si siano laureati al primo livello con un voto non inferiore a 100/110 per l’accesso alle Lauree Magistrali. Abbiamo voluto definire questa fascia la “fascia di responsabilità”, una responsabilità morale e civile, che non toglie, né aggiunge nulla agli altri studenti attuali e futuri – per i quali abbiamo addirittura pensato ad alcune forme di “facilitazione” per passare dalla Triennale alla Magistrale –, ma non esclude dalla nostra attività formativa i meno avvantaggiati dalla vita, dalla sorte e dalla società. Debbo confessare, in chiusura di questa mia Relazione, che essa avrebbe voluto essere – a conclusione dell’annuncio che avevo fatto all’inizio – il canto del cigno della mia storia accademica: una storia che, in modo veramente singolare, si sviluppa nello stesso, identico periodo di vita di questa Università. Se per un Ateneo quarantaquattro anni sono pochi, forse anche pochissimi, ma sufficienti per cominciare a crederci seriamente, per un professore universitario quarantaquattro anni di vita accademica sono molti, anzi moltissimi. Ho riflettuto a lungo, dunque, e ritenuto che in questo momento il mio dovere principale è quello di continuare a lavorare con Voi e per Voi, il tempo ancora necessario, per dare solidità e sicurezza alle porte del Tempio… al fine di consegnare a tutti Voi, soprattutto ai Colleghi più giovani, ai giovani studiosi che si sono avvicinati in questi anni, in questa Università all’amore per la scienza, la ricerca e la verità scientifica, un’Università non solo bella nell’aspetto, ma soprattutto ricca nelle intelligenze e attraversata dal quel piacere dell’etica, che a me sta tanto a cuore.