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Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Department of Public Policy and Public Choice – POLIS Working paper n. 55 October 2005 La sussidiarietà nei trattati e nelle istituzioni politiche dell'UE Francesco Ingravalle UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA Premessa La sussidiarietà, e il principio che la enuncia, costituiscono un corposo problema di storia delle dottrine politiche e di storia dei trattati e delle istituzioni politiche europee. Disponiamo di una vasta bibliografia che affronta i problemi della storia dell’integrazione europea, il carattere giuridico del principio di sussidiarietà, i suoi aspetti politici. Manca, tuttavia, un tentativo di considerare il principio stesso come elaborazione peculiare di quel momento del processo di integrazione economica in cui diviene oggettivamente urgente pensare funzioni politiche per le istituzioni che garantiscono l’unità sovranazionale attraverso la diversità degli Stati membri. E’ questo un momento chiaramente dispiegato durante la costruzione dell’Unione Europea e, allo ‘stato nascente’, in alcuni processi extraeuropei di integrazione regionale. E’ un momentochiave nella logica storica nel processo dell’integrazione europea: il momento in cui il sistema economico è sollecitato dal proprio sviluppo a farsi sistema politico. In questo paper si tenta di suggerire un approccio analitico e storico che considera le istituzioni politiche dell’Unione Europea sia alla luce del problema generale dell’integrazione regionale, sia alla luce della storia delle istituzioni politiche che il processo di costruzione europea ha creato, e che vede nel principio di sussidiarietà l’ espressione peculiare di questo processo. La tesi che viene qui proposta considera la sussidiarietà come espressione, pratica e teorica, di una situazione amministrativa e politica in cui non si possono e non si vogliono trasformare le molteplici fonti di potere, costituite dagli Stati membri, in mere funzioni di un solo centro decisionale; al contrario la decisione politica e amministrativa viene prospettata come esito di una molteplicità di livelli di governo organizzati nei termini di una gerarchia non centralistica. Per effetto dell’esigenza statunitense, maturata già negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, di creare un’area europea economicamente integrata, si è venuta configurando, prima attraverso l’integrazione settoriale dovuta alla CECA (Comunità economica del carbone e dell’acciaio), poi attraverso la CEE (Comunità economica europea), una zona di mercato comune; dopo le crisi degli inizi degli anni settanta ha preso forma una zona di stabilità monetaria con lo SME e infine, con le turbolenze legate alla implosione del sistema degli Stati legati all’URSS e della Jugoslavia, si è configurato, col Trattato di Maastricht (il Trattato sull’Unione europea), un piano di unificazione monetaria e politica. Il criterio della sussidiarietà, che aveva regolato implicitamente il funzionamento della CECA e quello della CEE, viene esplicitamente posto come criterio per la realizzazione di un potere sovranazionale 1 senza configurare propriamente le linee progettuali di uno Stato federale e, d’altra parte, superando in parte la logica meramente confederale. Il principio di sussidiarietà assume una centralità tale che, a partire dal Trattato di Amsterdam, gli sono dedicati specifici protocolli di applicazione. Il principio sembra rendere esplicita, dunque, a partire dal Trattato di Maastricht, la logica di funzionamento che ha presieduto fin dall’inizio, implicitamente, alla formazione, con l’avanzare del processo di integrazione e con l’ampliamento del mercato comune, nell’arco di oltre un cinquantennio, della struttura istituzionale dell’UE; una struttura istituzionale che risulta essere, come ha affermato Mario Telò, un tertium genus tra federazione e confederazione per il quale è stata utilizzata, di recente, sul piano giuridico, la denominazione di “costituzionalismo a più livelli”.1 Questo lavoro è finalizzato – quale prima parte “fondativa” sul piano ricostruttivo storicoteorico – a un’indagine più istituzionale-amministrativa su come il principio di sussidiarietà, sancito nel Trattato di Maastricht, è stato applicato. Esso rappresenta i primi risultati di un work in progress iniziato in occasione del convegno organizzato da Corrado Malandrino «Popolo/popoli europei: questione di identità e/o di costituzione?», tenutosi il 27-28 marzo 2003 a Torino, e proseguito con due brevi ricerche presentate alla “Scuola estiva AUSE” nell’estate del 2004 e del 2005 (rispettivamente sui Protocolli di applicazione del principio di sussidiarietà e sul tema dei dibattiti degli anni sessanta relativi all’unione monetaria europea). Ringrazio il prof. Corrado Malandrino che mi ha fornito numerosi suggerimenti. Senza il supporto degli Archivi Storici delle Comunità Europee di Firenze (in particolare del dottor Gherardo Bonini) e della biblioteca dell’Istituto Universitario Europeo di Badia Fiesolana questo lavoro non sarebbe stato possibile. Infine, la disponibilità del Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” presso il quale svolgo la funzione di assegnista di ricerca nell’ambito della attività della “Cattedra Jean Monnet” del prof. Malandrino, è stata per me di importanza decisiva. Francesco Ingravalle 1 Cfr. I. PERNICE-F. MAYER, La Costituzione integrata dell’Europa in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, coordinamento scientifico di S. Dellavalle e J. Luther, Roma- Bari, Laterza, 2003, pp. 43-68. 2 Introduzione: ambiguità o flessibilità del concetto di sussidiarietà? 1. “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario. L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.”2 Così recita l’articolo 3 B del Trattato sull’Unione europea del 7 febbraio 1992 (TUE). Fino all’eventuale entrata in vigore del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, firmato il 29 ottobre 2004, è questa la formulazione del principio di sussidiarietà alla quale ci si deve attenere nella prassi amministrativa.3 2 Cfr. Unione europea, Raccolta dei trattati, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1993, Tomo I, p. 112; il testo si legge anche in A. Tizzano, Codice dell’Unione europea. Il Trattato di Maastricht, Il Trattato CE e i testi collegati, Padova, C.E.D.A.M., 1995, p. 6. L’art. 3 B è stato inserito dall’articolo G, par. 5 del Trattato sull’Unione europea nel Trattato che istituisce la Comunità europea, cfr. Unione europea, Raccolta dei trattati, cit., p. 101, Nota degli editori, e Tizzano, Codice dell’Unione europea, cit., p. 103. Nella versione consolidata del Trattato l’articolo 3 B viene rinumerato come articolo 5, cfr. F. POCAR-M. TAMBURINI, Norme fondamentali dell’Unione e della Comunità europea, decima edizione, con la collaborazione di L. Sandrini, Milano, Giuffrè, 2002, p. 5. 3 In questo trattato (consultato nella versione intitolata Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, CIG 87/04, Bruxelles, 6 agosto 2004, p. 3) la formulazione del principio è la seguente (art. I-11, § 3): “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione.” Si nota che l’azione dell’Unione non deve più rispettare soltanto il livello giurisdizionale degli Stati membri, come era stabilito per la Comunità dall’art. 3 B del Trattato di Maastricht, ma anche quello delle regioni e degli enti locali. Questa innovazione si trova già nel Progetto di Trattato del 2003, art. I-9 § 3, cfr. Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2003, p. 15. 3 L’importanza del principio che vi viene richiamato non risulta soltanto dalla collocazione all’interno delle partizioni del trattato (dato che si trova tra i principi fondamentali), ma anche dal fatto che il principio di sussidiarietà disciplina il concreto funzionamento della Comunità nella sua articolazione fondamentale, quella cioè della relazione tra Stati membri e Comunità, fra livello della sovranità nazionale e livello della sovranazionalità. Questi due aspetti della centralità del principio ritornano sia nel Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa (2003), art. I-9, sia nel Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa(2004), art. I-11. Li possiamo considerare pertanto acquisizioni definitive nel processo di sviluppo intergovernativo che ha portato dalla legge fondamentale della Comunità a quella (in attesa di ratifica) dell’UE (Unione europea). Si è autorevolmente sostenuto che esso vale “per l’applicazione a qualsivoglia dei tre pilastri.”4 E in effetti l’articolo 3 B è richiamato dall’articolo B il quale afferma che gli obiettivi dell’Unione “saranno perseguiti conformemente alle disposizioni del presente trattato, alle condizioni e secondo il ritmo ivi fissati, nel rispetto del principio di sussidiarietà definito dall’articolo 3 B del Trattato che istituisce la Comunità europea”5 e non contiene alcuna limitazione per quanto riguarda l’ambito di applicabilità del principio. L’articolo 3 B implica una visione precisa delle delimitazioni, sotto il profilo delle competenze, tra ambito comunitario e ambito degli Stati membri, cioè una delimitazione di sovranità, o, se si preferisce, di ambiti giurisdizionali. La implica, ma non è esso stesso a produrla. Il principio di sussidiarietà articola le competenze sulla base della lettera del trattato. Tuttavia, esso contiene, di per sé, il concetto della limitatezza del potere sovranazionale rispetto agli Stati membri della Comunità; questo concetto non è una mera articolazione giuridica della ripartizione delle competenze operata dal trattato. Né si potrebbe negare il valore lato sensu politico delle norme che reggono la Comunità. Se questo è vero, il principio di sussidiarietà è sia articolazione giuridica delle competenze fissate dal trattato, sia principio architettonico in qualche misura autonomo rispetto a quanto viene fissato dal trattato. Se applicare il principio di sussidiarietà significa assicurare che le funzioni amministrative vengano svolte da istituzioni il più possibile vicine al cittadino, tale principio implica: 1) che gli Stati membri sono le istituzioni più 4 B. OLIVI, L’Europa difficile, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 389. Cfr. Unione Europea, Raccolta dei trattati, cit., Tomo I, p. 24. 5 4 vicine al cittadino; 2) che per conseguire gli obiettivi della Comunità alla quale hanno dato luogo gli Stati membri, riconoscendo così un certo numero di obiettivi come al di fuori della loro portata, sono necessarie istituzioni che trascendano gli Stati membri, cioè istituzioni sovranazionali. L’analisi del principio ci permette di derivarne quei contenuti che il Trattato impone quale esito dell’accordo fra gli Stati membri. Se è il principio stesso, dunque, a fissare il criterio per la ripartizione delle competenze, la prima questione che si pone è se il principio politico prevalga sulla norma giuridica6 oppure viceversa. Il senso della prima questione emerge con chiarezza dalla seconda questione, quella del significato del principio in relazione alla prospettiva di sviluppo dell’UE in senso federale oppure in senso confederale.7 A entrambe le questioni è connessa la domanda circa il carattere decentratore o, all’opposto, accentratore del principio. Come principio giuridico, il principio di sussidiarietà norma quanto disposto dai trattati e risulta essere un mero dispositivo atto a tutelate gli Stati membri dall’ “invadenza” della Comunità sul piano giuridico e amministrativo, e a rafforzare sul piano politico una immagine confederale della Comunità; come principio politico esso tende invece a configurare un modello federale basato su una ‘duplice sovranità’ (della Comunità e degli Stati membri), su una ripartizione della sovranità in due livelli correlati ma distinti.8 Dire Comunità, significa dire istituzioni sovranazionali nel loro rapporto con le istituzioni degli Stati membri: il principio di sussidiarietà può apparire, volta a volta, come principio che favorisce il massimo decentramento a vantaggio degli Stati membri, o, all’opposto, come lo strumento per la creazione di una sorta di ‘super-Stato’ federale. Se ci si colloca sul terreno della concreta storia dell’integrazione europea, si constata che il principio permette questa duplice lettura perché è stato formulato sulla scorta di istanze intergovernative, allo scopo 6 Cfr. G.P. ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, Roma, Istituto Italiano di Studi Legislativi, 1993, pp. 81-84. 7 Ivi, p. 91: “Il principio di sussidiarietà consente di riferirsi a due preoccupazioni opposte, quella di difendere i poteri degli Stati membri (…) e quella di allargare le competenze dell’Unione e di rafforzare i suoi poteri in una prospettiva federale. 8 Per la distinzione tra federazione e confederazione cfr. C. MALANDRINO, Federalismo. Storia, idee, modelli, Roma, Carocci, 1998, p. 17: “La federazione denomina un vero e proprio superstato federale, mentre la confederazione – che non ha carattere statale – indica un mero ambito pattizio, temporaneo e transitorio, che non implica alcuna limitazione o rinuncia di sovranità da parte dei suoi membri. Naturalmente una confederazione può, entro determinate condizioni che sono stabilite dal e nel contesto storico-politico, evolvere nel tempo verso l’obiettivo della federazione: lo dimostrano vari esempi, come quello della Confederazione Elvetica o degli Stati Uniti d’America, o ancora, la possibilità che la Comunità Economica Europea (che è una forma di associazione confederale funzionale tra Stati sovrani) si trasformi, attraverso lo sviluppo dell’Unione Europea, nella federazione (tanto agognata da alcuni, temuta da altri) degli Stati Uniti d’Europa” 5 di regolare il settore economico che, grazie alla compenetrazione delle economie dei paesi membri, era il più segnato dal prevalere di logiche sovranazionali e, quindi, il più bisognoso di un criterio che ripartisse le competenze. In seguito al movimento di allargamento dell’Unione e al “contestuale movimento di sblocco di un’area crescente di decisioni comunitarie, rispetto al potere di veto dei singoli Stati membri, che allarga i casi in cui concretamente potrà esserci contrasto tra indirizzo sovranazionale e posizioni di uno Stato in minoranza”,9 l’area di queste materie tenderà a allargarsi e stimolerà l’applicazione del principio di sussidiarietà agli altri due pilastri di Maastricht. 2. Il termine ‘sussidiarietà’ è relativamente recente10 e il concetto al quale esso si riferisce è chiamato a regolare i rapporti tra lo Stato e i cittadini considerati come organicamente, naturalmente inseriti nelle loro comunità di appartenenza. La prima osservazione da fare è la traslazione del principio, operata dal TUE, dall’ambito dei rapporti Stato-cittadini all’ambito dei rapporti sovrastatualità-statualità (i rapporti Comunità – Stati membri). Questo implica una precisa indicazione: l’analogia implicita tra i due ordini di rapporti, ben presente negli intenti del legislatore. La teorica della sussidiarietà, presto sviluppatasi, distingue: 1) sussidiarietà ‘negativa’ (che realizza il divieto di intromissione eccessiva ai livelli amministrativi superiori)11 e sussidiarietà ‘positiva’ (che obbliga i livelli superiori ad agire nei casi in cui ciò sia necessario); 2) sussidiarietà ‘verticale’ (che disciplina i rapporti tra i diversi livelli del potere politico) e sussidiarietà ‘orizzontale’ (che disciplina i rapporti tra pubblico e privato)12; 3) sussidiarietà ‘diretta’ (le carenze degli Stati obbligano la Comunità a intervenire) e sussidiarietà ‘inversa’ (le carenze della Comunità obbligano gli Stati ad agire). La sostanza del principio è nella garanzia che le decisioni siano prese al livello 9 più vicino Cfr. G. COTTURRI, Potere sussidiario. Sussidiarietà e federalismo in Europa e in Italia, Roma, Carocci, 2001, pp. 62-64 10 Cfr. G. D’AGNOLO, La sussidiarietà nell’Unione europea, Padova, C.E.D.A.M., 1998, pp. 3-4. 11 Ivi, p. 5. 12 Distinzione operata da J. DELORS, Le principe de subsidiarité: contribution au débat in AA.VV. Subsidiarité: défi et changement, Maastricht, Institut d’Administration européenne, 1991, pp. 7-19. I numerosi interventi di Delors sul principio di sussidiarietà sono elencati da C.G. ANTA, Il rilancio dell’Europa. Il progetto di Jacques Delors, Milano, Angeli, 2004, pp. 88-89, nn. 98-100. Si v. anche le riflessioni di N. MANCINO, La sussidiarietà orizzontale, Roma, Senato della Repubblica, s. d. 6 possibile ai cittadini;13 se si considerano istituzioni nazionali e istituzioni comunitarie come dotate di pari grado di “rappresentatività”, è chiaro che le prime sono più vicine ai cittadini che non le seconde.14 Il principio può intendersi come criterio per l’attribuzione di competenze a un centro di potere piuttosto che a un altro, oppure come criterio per l’esercizio di competenze cui concorrono più centri di potere; nel primo caso, il principio risulta essere politico, nel secondo, esso si configura maggiormente come principio giuridico, come avviene nell’art. 3 B riportato in apertura.15 Alla domanda su chi ripartisca le competenze non c’è che una risposta: il Trattato, che è opera intergovernativa. Tuttavia, per chi consideri i tre pilastri di Maastricht, è chiaro che nel primo, quello comunitario, il principio è destinato a funzionare in senso sovranazionale e federalizzante, mentre negli altri due (PESC e GAI) il principio è portato a funzionare in senso confederale configurando un’architettura complessiva non statuale in senso classico, ma con una sua peculiare statualità, non interamente federale, ma neppure interamente confederale. Questo è dovuto al caratteristico sviluppo dell’integrazione europea, che si è maggiormente approfondita in direzione della costruzione di un potere sovranazionale sul piano economico (soprattutto con la istituzione dell’euro e della BCE, la Banca centrale europea), mentre è rimasta ancorata al livello di azioni intergovernative sul piano della politica estera e di sicurezza e sul piano della giustizia e degli affari interni.16 Per ora ci troviamo di fronte a un tertium genus17 rispetto all’antitesi federalismoconfederalismo.18 Il principio di sussidiarietà esprime interamente questa situazione che può essere intesa come ambiguità, ma che rivela anche la fondamentale flessibilità del principio stesso che riesce a adattarsi a una realtà 13 L’idea di avvicinare il più possibile il governo ai governati può essere scoperta fin nella Bibbia, secondo J.B. D’ONORIO, La subsidiarité, analyse d’un concept in Id. (a cura di), La subsidiarité. De la théorie à la pratique, Actes du XII colloque national de la Conféderation des Juristes catholiques de France, Paris, 20-21 novembre 1993, Paris, Téqui, 1994, pp. 13-14. 14 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 2-3. 15 K. LENAERTS-P.VAN YPERSELE, Le principe de subsidiarité, “Cahiers de Droit Européen”, nn. 12, 1994, p. 10. 16 K. VAN KERSBERGER-B. VERBEEK, Subsidiarity as Principle of Governance in the European Union in “Comparative European Politics”, 2004, v. 2, n. 2, agosto, pp. 142-162 hanno sostenuto che intergovernamentalismo e Multilevel Governance sono tipici del sistema della UE e fanno sì che la sussidiarietà vari da ambito a ambito della policy. 17 Cfr. M. TELÒ, Dallo Stato all’Europa. Idee politiche e istituzioni, Roma, Carocci, 2004, p. 144: “Se la dinamica federal-funzionale avesse prevalso fino in fondo, esisterebbero uno Stato federale europeo e una nazione europea. Se avesse totalmente fallito, avremmo secessioni e un effetto valanga verso l’implosione dell’UE. L’equilibrio raggiunto dall’UE alla fine del XX secolo è una terza cosa.” 18 Sull’antitesi cfr. C. MALANDRINO, Federalismo,cit. 7 complessa e, per così dire, inedita sul piano politico. Nella formulazione dell’art. 3 B l’interpretazione del principio di sussidiarietà dipende effettivamente dal principio di attribuzione delle competenze; ma questo, a sua volta, è legato alla concezione dei limiti rispettivi e reciproci della sovranità degli Stati e di quella della Comunità: che cosa è effettivamente fuori della portata degli Stati e, per ciò stesso, è competenza della Comunità? Sia nel Rapporto della Commissione sull’Unione europea del 1975 che fu una delle basi del Rapport di Leo Tindemans intitolato L’Union européenne, sia nel Progetto di Trattato sull’Unione europea elaborato dal Parlamento nel 1984 il criterio per l’attribuzione delle competenze era proprio il principio di sussidiarietà, inteso come principio politico, dunque, non meramente giuridico. Sembra che gli organi più caratterizzati in senso sovranazionale tendano a privilegiare l’interpretazione politica del principio, mentre gli organi legati all’intergovernatività tendono a interpretarlo in senso giuridico. Il principio di sussidiarietà ha una storia assai lunga che non è il caso di ripercorrere qui esistendo già trattazioni eccellenti ed esaurienti.19 Si potrebbe dire comunque che più che di una storia si tratta della genealogia di un principio dalle molteplici radici: la Politica di Aristotele, il pensiero di Tommaso d’Aquino, la “teologia federale” calvinista, la Politica di Johannes Althusius, il pensiero politico liberale, la tradizione del pensiero sociale cattolico (espresso nell’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII e nell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI). Per dirla con precisione ed efficacia “si parte dal presupposto che ogni azione sociale e statale debba essere per natura sussidiaria, ossia che abbia valore di sostegno aggiuntivo da parte delle unità più elevate dello Stato e della società nei confronti delle minori qualora queste non riescano per proprio conto ad assolvere a determinate funzioni.”20 A queste varie tradizioni di pensiero sembra essere comune una situazione configurata dall’esigenza di realizzare l’unità amministrativa e politica attraverso la pluralità dei corpi sociali e politici. In Althusius, a esempio, questa esigenza si caratterizza come “rispetto dell’autonomia delle consociazioni minori e particolari” e come “affermazione di un intervento (…) da parte delle consociazioni maggiori” nel quadro di un “autogoverno delle 19 Cfr. C. STEWING, Subsidiarität und Föderalismus in der Europäischen Union, Köln – Berlin – Bonn – München, Heymann, 1992, pp. 7-30; C. MILLON DELSOL, Le principe de subsidiarité, Paris, P.U.F., 1993, pp. 9-35; ID. Lo Stato della sussidiarietà (1992), Gorle, Casa Editrice C.E.L., 1995. 20 C. MALANDRINO, Federalismo, cit., p. 19, n. 5. 8 collettività (universitates).”21 L’esigenza espressa in questo modo sembra essere particolarmente forte nel periodo del lento declino dello ‘Stato giurisdizionale’22 in Europa tra XVI e XVII secolo e pare eclissarsi, nel pensiero politico e amministrativo europeo, nel momento in cui si afferma la concezione della sovranità espressa dall’asse Bodin-Hobbes-Rousseau in teoria e, nella pratica, soprattutto nel momento in cui si afferma lo Stato amministrativo di matrice napoleonica. Essa ricompare nel pensiero liberale e libertario del secolo XIX e nel cattolicesimo sociale e, da quel momento, diventa una componente decisiva di ogni forma di pensiero anticentralistico. Da queste rapide osservazioni possiamo dedurre che la sussidiarietà è espressione, tanto nella pratica, quanto nella teoria, nell’Europa della prima modernità, di una situazione amministrativa e politica in cui non si possono e non si vogliono trasformare le molteplici fonti di potere in funzioni di un solo centro decisionale: la decisione amministrativa e politica scaturisce da una molteplicità di livelli di governo organizzati nei termini di una gerarchia non centralistica. Quest’immagine della gerarchia politico-amministrativa viene ripresa, con diversi livelli di consapevolezza storica sia dal pensiero liberale, sia da taluni filoni del pensiero socialista e libertario, sia dal pensiero sociale cattolico, sia dal pensiero federalista (il federalismo politico-istituzionale, in particolare).23 Il secondo conflitto mondiale rappresenta una linea di confine oltre la quale la forma dello statonazione è superata da quella dello Stato continentale.24 21 C. MALANDRINO, Die Subsidiarität in der “Politica” und in der Praxis des Johannes Althusius in Emden, in P. Blickle-T.O. Hüglin-D. Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip in Kirche, Staat und Gesellschaft. Genese, Geltungsgrundlagen und Perspektiven an der Schwelle des dritten Jahrtausends, in “Rechtstheorie”, Beiheft 20, Berlin, Duncker &Humblot, 2002, pp. 237-258 (versione italiana: La «sussidiarietà» nella Politica e nella prassi antiassolutista di J. Althusius a Emden in “Il Pensiero Politico”, XXXIV, 2001, pp. 47 e 51); cfr. anche T. O. HUEGLIN, Early Modern Concepts for a late World. Althusius on Community and Federalism, Wilfried Laurier University Press, 1999, pp. 152 ss. e M. SCATTOLA, Subsidiaritäi und gerechte Ordnung in der politischen Lehre des Johannes Althusius, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di) Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 337-367. 22 Per la nozione di ‘Stato giurisdizionale’ cfr. L. MANNORI-B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 36-71 e 75-181. Sulla fine dell”ordine antico” cfr. pp. 182-221. 23 Cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit., passim. 24 Fu F. Nietzsche a intuire che nel XX secolola forma dello Stato nazione sarebbe stata gradualmente sostituita dallo Stato continentale, cfr. F. INGRAVALLE, Stato,Groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F. Nietzsche, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Alessandria, Working Paper n. 40, febbraio 2004. Indipendentemente dalla prospettiva nietzscheana L. Einaudi da un lato, Altiero Spinelli con E. Rossi, nel Manifesto di Ventotene giunsero a conclusioni analoghe. 9 La sostanza del principio di sussidiarietà, come si è già detto, è che le decisioni amministrative vanno prese al livello più vicino ai cittadini. Si tratta di un principio che disciplina la vita politica all’interno dello Stato. Se guardiamo all’art. 3 B del TUE dobbiamo constatare che, una volta portato dal livello dei rapporti intra-statali al livello dei rapporti inter-statali, il principio si trasforma notevolmente perché cambia completamente di contesto e, con le sue epifanie in ambito di storia delle dottrine politiche, il principio stesso intrattiene soltanto rapporti di analogia. Non si tratta, peraltro, di una trasformazione radicale. Che siano in questione i rapporti tra cittadino e Stato oppure i rapporti tra Stati membri e istituzioni sovranazionali il problema è lo stesso, vale a dire tutelare la pluralità all’interno dell’unità. La scelta di utilizzare il nome di ‘sussidiarietà’ per designare il principio espresso dall’art. 3 B non è stata casuale;25 si trattava di dare un nome di cosa nota sul piano teorico a qualche cosa di istituzionalmente inedito (a parte, com’è risaputo, le esperienze del Sacro Romano Impero Germanico nell’interpretazione di Althusius nella Politica del 1614,26 degli U.S.A. e della Repubblica federale Tedesca fondata nel 1949). Il principio di cui ci occuperemo qui è interamente radicato, nel suo significato concreto, nella storia dell’integrazione europea, è coniato sulla sua misura e sulla sua sostanza, anche se in rapporto analogico con una ricca tradizione. Rivolgeremo la nostra attenzione, pertanto, esclusivamente alla contestualizzazione del principio nella storia dell’integrazione europea cercando di privilegiarne gli aspetti storicoistituzionali. non vogliamo assolutamente negare la rilevanza dal punto di vista teorico e della storia delle dottrine politiche della genealogia tracciata nelle autorevoli trattazioni storiche già richiamate. Il quesito che ci poniamo è perché proprio il principio di sussidiarietà sia stato scelto come criterio del difficile rapporto fra Stati membri e Comunità, quando questo rapporto aveva, ormai quarant’anni di storia alle spalle. La risposta non va ricercata solo nella storia del principio, ma anche nella storia della concreta realtà che esso è stato chiamato a regolare. Una storia che non si lascia del tutto esaurire nell’alternativa federazione/confederazione perché la ripropone su due livelli: il livello della Comunità economica e il livello dell’Unione politica. La storia dell’integrazione 25 J.-P. JACQUE, La subsidiarité en droit communautaire, in D’Onorio (a cura di), La subsidiarité, cit., pp. 86-97. 26 Cfr. MALANDRINO, La sussidiarietà nella Politica e nella prassi antiassolutista di J. Althusius a Emden, cit., pp. 41-58. Cfr. A. BRETON-A. CASSONE, A. FRASCHINI, Decentralisation and Subsidiarity: Toward a Theoretical Reconciliation, in “Journal of International Economic Law”, XIX, 1998, 1, pp. 21-51; il riferimento si trova alle pp. 21-22. 10 europea ha prodotto un tertium genus tra federazione e confederazione, come si può già notare ai tempi del TUE. Che il principio di sussidiarietà non sia stato considerato anche alla luce del suo esprimere questo tertium genus spiega le caratteristiche salienti del vasto dibattito critico iniziato nella prima metà degli anni ’90. Esso si lascia riassumere, nonostante tutto, in una contrapposizione netta fra chi ritiene il principio di sussidiarietà un pericoloso strumento di centralismo sovranazionale e chi lo vede come un elemento centrale, anche se ambiguo, di un processo istituzionale federalizzante democratico in fieri dal significato tutt’altro che accentratore. J. B. d’Onorio afferma recisamente che l’art. 3 B del Trattato di Maastricht comporta una visione centralizzatrice del principio di sussidiarietà. Egli inizia ricordando la competenza esclusiva della Comunità prima di ricordare quelle degli Stati e soprattutto, afferma, “le principe de subsidiarité n’est appelé à s’appliquer que hors du champ de cette exclusivité, c’est-à-dire qu’il ne pourra jouer qu’au profit des autorités de Bruxelles pour les domaines de competence concurrente (dite aussi “partagée”) entre la Communauté et les États membres ou encore pour les compétences communautaires à venir […].”27 Per d’Onorio si tratta di un’interpretazione estensiva che sarebbe confermata dal Consiglio delle Comunità. Ma perché “estensiva”? Secondo l’autore, perché la finalità stessa del trattato era di approfondire “la solidarité entre les peuples” e tale approfondimento significa gettare le basi di un potere federale, qui interpretato, evidentemente, come centralistico. Ma perché ‘centralistico’? Perché il principio di amministrare gli affari pubblici al livello più vicino al cittadino è destinato a rivelarsi tale se lo si ‘distorce’ ampliando gli ambiti di intervento della Comunità come avviene nel titolo II, articolo G del Trattato sull’Unione europea.28 Sotto questo profilo, la sussidiarietà propugnata dalla Commissione29 appare ambigua a d’Onorio: da un lato essa afferma il principio secondo cui “la règle est la compétence nationale, l’exception la compétence communautaire”, dall’altro afferma una competenza, nel fissare i limiti dell’azione degli Stati membri, che conduce direttamente al centralismo sovranazionale. Così, la sussidiarietà comunitaria si avvicina molto alla sussidiarietà prevista dal “Progetto Spinelli,” cioè a una sussidiarietà come 27 28 D’ONORIO, La subsidiarité, cit., p. 31. D’ONORIO, La subsidiarité, p. 33. 11 principio politico di attribuzione di competenze e nucleo di una visione federalista. Sulla medesima linea è anche la ricostruzione della storia del principio di sussidiarietà fatta da Chantal Millon-Delsol.30 Per quanto molto lontano ideologicamente dagli autori qui richiamati, Réné Lourau, muovendo dai presupposti della “analisi istituzionale” (che mirano alla realizzazione dell’autogestione sociale e alla decostruzione in chiave libertaria del potere sociale e politico),31 giunge a conclusioni analoghe, sostenendo che la sussidiarietà di Maastricht è una sussidiarietà imposta dall’alto, che evoca e concentra in sé l’intero quadro dei deficit di democrazia della Comunità e dell’Unione32. Per questa linea di pensiero la sovranazionalità nella versione degli atti della Commissione equivale a centralismo. Al contrario Giuseppe Cotturri vede nel principio di sussidiarietà e soprattutto nel Protocollo di Amsterdam il fondamento di un metodo dialogante che pone le basi per intendere l’espansione dell’intervento comunitario come frutto di un processo “molto negoziato”; tale processo coinvolge i livelli del potere sovranazionale e i poteri nazionali e “pur avendo necessità pratica di articolarsi e di agganciarsi a organizzazioni di potere nello spazio, rimanda anzitutto alla costituzione di soggetti, al riconoscimento di identità collettive, al senso degli scambi multiculturali, a vincoli di solidarietà e a confini di autonomia.”33 La sussidiarietà trasforma il potere in “prassi dialogica” che coinvolge livello sovranazionale, livello nazionale e livello subnazionale. Un momento decisivo nello studio del principio di sussidiarietà è rappresentato senza dubbio dal voluminoso Beiheft 20 pubblicato da “Rechtstheorie” e intitolato Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip in Kirche, Staat und Gesellschaft.34 Si tratta della messa a punto più completa fino a oggi della discussione critica e storica e della ricerca sul principio di sussidiarietà, poiché essa 29 Cfr. Le principe de subsidiarité – Communication au Conseil et au Parlement européen in "Revue trimestrielle de droit européen” (28) 4, ottobre-dicembre 1992, pp. 728-739 si v. specialmente p. 734. 30 Cfr. MILLON-DELSOL, L’État subsidiarie, Paris, P.U.F., 1992, tr. it Lo Stato della sussidiarietà, Gorle, Editrice C.E.L., 1995, pp. 151 ss., la quale richiama gli usi distorti perché centralistici e autoritari del principio di sussidiarietà. 31 Cfr. G. LAPASSADE, L’analisi istituzionale, tr. it. Milano, ISEDI, 1974; R. LOURAU, L’analyse institutionnelle, Paris, Editions du Minuit, 1970; ID., La chiave dei campi. Un’introduzione all’analisi istituzionale, tr. it. Roma, Sensibili alle foglie, 1999. 32 Cfr. R. LOURAU, Le principe de subsidiarité contre l’Europe, Paris, P.U.F., 1997. 33 COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 21. 34 Cfr. P. Blickle-T.O. Hüglin-D. Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit. 12 comprende i fondamenti del principio nella cultura confessionale cristiana e nei presupposti generali della teoria politica e della società, nei presupposti della teoria costituzionale, del diritto e dello Stato. Inoltre perché a tali ambiti riconduce la prassi regionale e comunale della sussidiarietà vista sotto il profilo storico-sociale, le connessioni fra ordinamento corporativo, federalismo e sussidiarietà, la duplice caratteristica di principio giuridico e politico del principio nell’Unione Europea e, infine, la sua presenza nella prospettiva del diritto delle genti e in quella del mondo globale. Dall’angolo visuale della presente ricerca è di particolare importanza ciò che osserva Stefan Ulrich Pieper: “L’introduzione del principio di sussidiarietà ha portato amitigare le tendenze alla regolazione centralistica.”35 Al tempo stesso esso obbliga a considerare l’istanza sovranazionale con come una realtà “altra”, ma come garante del libero sviluppo della vita sociale e politica. Per Thomas O. Hüglin36 il principio costituente (Gestaltungsprinzip) di sussidiarietà è un principio politico, non giuridico, come mostra l’ancoraggio del principio alla dottrina althusiana della consociatio. E’ il principio che esprime la politica come formazione di una comunità (Gemeinschaftsbildung) e che, secondo lo studioso è completamente diverso dal federalismo costituzionale americano: “Nel federalismo costituzionale americano questa coordinazione [dei distinti ambiti della società, N. d. R.] avviene soltanto attraverso azioni intergovernative effettuate sulla base dell‘ordine costituzionale dato secondo il quale federazione e Stati membri, per quanto riguarda le loro competenze, si dividono principalmente in modo dualistico”37 Christian Calliess vede nel principio di sussidiarietà l’elemento chiave per lo sviluppo di un sistema di governo a più livelli e vede nel “principio di solidarietà,” inteso come ‘anima’ del decentramento, un correttivo alle possibili derive centralistiche del principio di sussidiarietà.38 Affine al modello di indagine che vede nel principio di sussidiarietà il nucleo fondante di una prassi governativa dialogica, anche se non esplicitamente centrato 35 PIEPER, Das Subsidiaritätsprinzip im Europäischen Gemeinschaftsrecht, in Blickle-HüglinWyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 445471: 459. 36 HÜGLIN, Föderalismus und Subsidiarität. Ein Beitrag zu Schnittstellen in der politischen Ideengeschichte, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 325-336, specialmente pp. 326-327. Sul nesso tra federalismo e sussidiarietà cfr. già H. BRUGMANS, La pensée politique du Fédéralisme, Leyde, A.S. Sijthoff, 1969, pp. 65-81. 37 HÜGLIN, Föderalismus und Subsidiarität in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., p. 327. 13 sul principio di sussidiarietà, è il modello federalista-comunicativo elaborato da Malandrino in merito alla possibile federalizzazione dell’Unione Europea.39 Secondo questo modello “gli individui-soggetti federativi esplicano la loro attività nei vari livelli di esistenza che coincidono con i diversi piani di aggregazione sociale e politica, legandosi ai valori culturali e sostantivi specifici di ognuno di questi, pur rimanendo capaci di esperienze plurali e di appartenenze plurali. Dal loro vario e necessario entrare in rapporti pattizi in ognuno di tali livelli si genera una pluralità di patti federali e di popoli federali, dai quali promana nel contempo una pluralità di poteri costitutivi (o “costituenti”) federali infranazionali, nazionali e sovranazionali.”40 In questa prospettiva, potremmo dire che il principio di sussidiarietà viene a essere il principio architettonico dei rapporti pattizi di cui è intessuto il sistema qui descritto.41 La sussidiarietà rende possibili i foedera e questi rendono possibile la sussidiarietà; il centro ideale di questa “circolarità virtuosa”42 non è il puro criterio di ripartizione delle competenze, ma anche l’insieme di “spinte di indipendenza e di autogoverno”43 rispetto a cui il potere sussidiario sovranazionale è governo, non signoria. Sia l’interpretazione di Cotturri, sia quella di Malandrino aprono un nuovo fronte nel dibattito. Non si chiedono se la sussidiarietà sia accentratrice o decentratrice, ma si interrogano sulle concrete potenzialità democratiche, in termini di sussidiarietà,44 del rapporto fra entità substatali, Stati e istituzioni sovranazionali proprio a partire dal fatto che attualmente la costruzione europea è un tertium genus che può evolvere in senso federale. Nella diffidenza verso il principio politico di sussidiarietà si fondono componenti sovranistiche, componenti anti-autoritarie, ma anche autentiche perplessità sui 38 CALLIESS, Subsidiaritätsprinzip und Solidaritätsprinzip, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 371-400. 39 Cfr. MALANDRINO, Sovranità nazionale e pensiero critico federalista. Dall’Europa degli Stati all’unione federale possibile, in “Quaderni Fiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno”, 31, 2002, Tomo I, pp. 169-244. 40 Ivi, p. 241. 41 Cfr. F. INGRAVALLE, Principio di sussidiarietà, potere sussidiario e ‘popolo europeo’ in C. Malandrino (a cura di), Un popolo per l’Europa unita. Fra dibattito storico e nuove prospettive teoriche e politiche, presentazione di D. Velo, Firenze, Olschki, 2004, p. 132. 42 Cfr. le osservazioni di J. LUTHER, Il principio di sussidiarietà: un «principio speranza» per il diritto costituzionale comune europeo in F.P. CASAVOLA-J. LUTHER, Federalismo, sussidiarietà, estratto da “Il Foro Italiano”, aprile 1996, pp. 16-29. 43 COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 74. 44 Per N.W. BARBER, The Limited Modesty of Subsidiarity, in “European Law Journal”, 11, 2005, n. 3, pp. 308325, il principio di sussidiarietà è principio della strutturazione democratica e dell’identità costituzionale dell’Unione. 14 deficit di democrazia dell’ Unione.45 Nella fiducia nei confronti di esso si raccolgono le capacità di vederne tutte le potenzialità in vista di una federalizzazione dell’Unione. E’ opinione comune alle impostazioni qui presentate che il dettato dell’art. 5 legittimi tanto la diffidenza, quanto la fiducia, apra la strada a concezioni tanto federaliste, quanto confederaliste dell’Unione- come ricordato da Orsello.46 Muoveremo, nella nostra analisi, da quanto sembra acquisito dalla letteratura scientifica qui richiamata: 1) il principio di sussidiarietà esprime e norma una situazione47 in cui la governance (che deve esserci perché soprattutto l’integrazione economica la impone48) deve attuarsi in una pluralità di livelli, e, di fatto, essa è istituita per via sovranazionale, ma intergovernativa, e quindi decisivo è il peso degli Stati membri nell’interpretare il principio di sussidiarietà come strumento di difesa delle loro prerogative sovrane; 2) per questo motivo esso oscilla continuamente, a seconda delle interpretazioni che ne danno gli organi istituzionali della Comunità, tra la configurazione di principio politico e quella di principio giuridico, di artefice della ripartizione di competenze tra livello sovranazionale e livello degli Stati membri e di strumento di quella ripartizione fissata a livello intergovernativo dai trattati; 3) il principio di sussidiarietà, in questa sua ambiguità, e nella ‘lotta’ tra le interpretazioni di cui è oggetto, esprime il processo contraddittorio dell’ integrazione europea in ciò che esso è già stato e in ciò che esso è. I trattati e i documenti ufficiali regolano la Comunità sulla base di quello che essa è; essi sono, per così dire, proiezioni giuridiche di un’insieme di pratiche via via consolidatesi prevalentemente per via intergovernativa sin 45 Cfr. a esempio J.-P. FITOUSSI, La régle et le choix. De la souveraineté économique en Europe, Paris, Seuil, 2002, tr. it. Il dittatore benevolo. Saggio sul governo dell’Europa, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 7-19. 46 Cfr. ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., p. 91. 47 Senza usare il termine sussidiarietà, una delle maggiori figure della scuola funzionalista della teoria dell’integrazione, D. MITRANY, nel volume Le basi pratiche della pace. Per una organizzazione internazionale su linee funzionali, Cambridge University Press, 1945 (ediz. orig. ivi, 1943), p. 52, espone con chiarezza la situazione sussidiaria ‘tipica’: “L’unico principio possibile di garanzia democratica è che l’attività pubblica sia intrapresa solo ove, quando, e perché la necessità di azione comune divenga evidente e venga accettata nell’interesse del comune benessere.” L’Alta Autorità della CECA, ideata da J. Monnet e dal suo gruppo di lavoro, sarà strutturata secondo un’impostazione analoga a questa. Va tuttavia sottolineata l’avversione di Mitrany al federalismo (documentata da ultimo nel suo saggio The Prospect of Integration:Federal or Functional in “Journal of Common Market Studies”, 4 (1965), di cui si leggono significativi estratti nel Reading curato da M. O’Neill, The Politics of European Integration, London and New York, Routledge, 1996, pp. 187-191), un’avversione che traccia la linea di confine rispetto alla visione dell’integrazione federalista propria di Monnet. 48 Ma non la semplice cooperazione. Per la distinzione tra cooperazione e integrazione cfr. A. ETZIONI, Unificazione politica, cit., pp. 230-281. 15 dall’inizio del processo di integrazione. Queste tre acquisizioni inducono a orientare la ricerca verso un ‘territorio’ che si trova al di là della storia del concetto nelle diverse dottrine politiche e ad ancorarla alla storia dell’integrazione europea che è storia dei trattati e delle istituzioni politiche messe in opera da essi. La storia dell’integrazione europea è, anche, dal punto di vista comparativo e analitico, un precorrimento del fenomeno della integrazione regionale, soprattutto delle integrazioni regionali degli anni settanta-novanta del secolo scorso.49 Per acquisire strumenti idonei a fornire una risposta al quesito centrale, cioè quale sia il ruolo reale, nella storia dell’integrazione europea, della sussidiarietà, cioè della situazione economica e politica che richiede lo sviluppo di un potere di tipo sussidiario in grado di sintetizzare livelli differenziati di unità con la pluralità degli Stati membri e quale possa esserne, realisticamente, il ruolo futuro, sarà utile innanzitutto vedere che posizione essa abbia in un’ottica comparativa con i fenomeni di integrazione regionale, se essa abbia un ruolo nelle altre pratiche dell’integrazione regionale e quale eventualmente esso sia.50 I quesiti ai quali cercheremo di rispondere sono fondamentalmente quattro. L’integrazione regionale è giunta finora a creare soltanto in Europa una situazione sussidiaria, vale a dire una situazione di interdipendenza economica che richieda un potere in grado di agire politicamente in modo sussidiario, oppure vi sono tracce di questo processo anche in altri contesti di integrazione regionale? Qual è il processo attraverso il quale la situazione sussidiaria evolve in Europa sino a configurare il ricorso alla formulazione esplicita di un principio di sussidiarietà? Perché tale principio assume un’importanza così cospicua da essere oggetto di precisi protocolli di applicazione? Quale rapporto esiste tra lo sviluppo della situazione sussidiaria e lo sviluppo di istituzioni a carattere sovranazionale nel processo dell’integrazione europea? 49 Cfr. R. HARRISON, Europe Question:Theories of Regional International Integration, London Allen and Unwin, 1975;A. SAPIR, Reginal Integration in Europe, Brussels, Commission of the European Communities, Directorate General for Economic and Financial Affairs, 1992; S. FountasB. Kennelly (a cura di), European Integration an Regional policy, Galway Centre for Development Studies Social Sciences Research Centre, University College Galway, 1994; J.A. CAPORASO, The European Union Dilemmas of Regional Integration, Oxford, Westview Press, 2001. 50 La stretta connessione tra integrazione e sussidiarietà è stata dimostrata sul piano analitico da R. SINNOTT, Integration Theory, Subsidiarity and the Internationalisation of Issues: the Implications for Legitimacy, European University Institute, Badia Fiesolana, San Domenico (Fi), 1994, specialmente alle pp. 11 ss. Sinnott concepisce la sussidiarietà come situazione- anche se non usa questo termine. 16 Capitolo 1. Integrazione e sussidiarietà Il processo di integrazione europea nasce dall’integrazione economica settoriale con il “piano Schuman.” Questo piano, a sua volta, è maturato in un preciso contesto che è quello dei tentativi di realizzare una “economia europea integrata” nel quadro dei progetti United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA) e European Recovery Program (ERP) attraverso l’azione della Organisation for European Economic Cooperation (OEEC, comunemente nota con l’acronimo OECE) e della European Union for Payments (EPU, solitamente indicata con l’acronimo UEP).51 Dire “economia integrata” o “integrazione economica” significa fare riferimento al modello dell’economia statunitense, vale a dire a un sistema di interazioni governato da istituzioni che si debbono collocare al di sopra degli Stati, che debbono essere quindi ‘sovrastatali’. L’integrazione è impossibile senza una governance, mentre piani di cooperazione economica, oppure piani di unione doganale possono, entro certi limiti, realizzarsi e funzionare senza alcuna necessità di creare istituzioni sovranazionali. Che cos’è, in questo senso e in questo contesto, una istituzione sovranazionale? E’ un potere che agisce in vista della realizzazione di obiettivi comuni i quali, a loro volta, pur derivando dal consenso dei singoli Stati associati non sono riducibili al “tiro alla fune” tra i singoli interessi, ma esprimono un interesse unitario che comporta il sacrificio di singoli interessi di parte. Gli obiettivi comuni che non sono realizzabili dai singoli Stati con i mezzi propri, richiedono l’intervento dell’autorità sovranazionale. Se si ripercorrono le vicende che vanno dagli inizi dell’attuazione dell’ERP al 9 maggio 1950 si nota non soltanto l’ostilità reale, curiosamente contraddetta da dichiarazioni di principio, dei paesi europei a qualsiasi piano di integrazione e di 51 Il concetto si trova in un intervento di Paul Hoffmann, del 31 ottobre 1949 riportato da E.H. VAN BEUGEL, From Marshall Aid to Atlantic Partnership, Amsterdam-London, Elsevier, p. 185, citato da FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 87-88. DER 17 unione dei mercati,52 ma, significativamente, anche il timore che sorga un’autorità sovranazionale. Nonostante il ridimensionamento della sovranità degli Statinazione, conseguente alle due guerre mondiali e, particolarmente, all’esito della seconda, sopravvive a lungo l’aura dello Stato-potenza. L’ERP muove dall’ipotesi che la ripresa economica europea sia essenziale agli interessi statunitensi a lungo termine;53 la ripresa non è giudicata possibile senza “una grande economia integrata da libere forze di mercato nella quale le istituzioni centrali che si occupano del coordinamento e del controllo pongano le basi per una nuova era di crescita economica e di stabilità sociale.”54 La realizzazione di questo obiettivo dipende dall’OECE e dall’ European Cooperation Administration (ECA), organismi di esecuzione dell’ERP. L’OECE, in particolare, tuttavia, non dispone di autorità sovranazionale, essendo piuttosto un organismo consultivo e di coordinamento. Molti i tentativi di costituire un’istanza economica sovranazionale: dal piano Petsche (luglio 1950: creazione di una Banca Europea per gli Investimenti che dovrebbe farsi carico degli interventi finanziari capital-intensive di cui i paesi europei potevano avere bisogno per migliorare la loro competitività) al piano Stikker (giugno 1950, “Piano d’azione per l’integrazione economica europea” che prevede, tra l’altro, un Fondo Europeo di Integrazione per permettere ad alcuni settori industriali di reggere con maggiore successo l’impatto del libero scambio con la modernizzazione, la riallocazione della forza lavoro e nuovi investimenti), al piano Pella (che prevede ugualmente la creazione di un Fondo europeo di integrazione).55 Il Consiglio dell’OECE affida i tre piani a uno speciale Working Party per ricavarne un piano generale di integrazione comune europea, ma nessuno di essi va oltre la discussione della commissione e nell’autunno del 1951 essi sono lasciati cadere. Si tratta di tentativi di pensare istituzioni economiche sovranazionali con funzioni sussidiarie, completive coerentemente con il vasto disegno americano che implica la creazione di funzioni di sovranazionalità; 52 Cfr. FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 79; sul piano Marshall cfr. A.S. MILWARD, The Reconstruction of Western Europe, London, Methuen, 1984; E. Aga Rossi (a cura di), Il piano Marshall, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,1983; V. ZAMAGNI, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 201-224. 53 Cfr. M. GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 7-12. 54 FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 32; M.J. HOGAN, The Marshall Plan. America, Britain, and the Reconstruction of Western Europe 1947-1952, Cambridge, Cambridge University Press, 1987, pp. 26-27. 55 FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, pp. 87-91. 18 la sovranità dei singoli Stati europei non sarebbe eliminata, ma limitata secondo gli obiettivi comuni della cooperazione e la loro realizzabilità da parte degli Stati. Dire ‘istituzioni sovranazionali’ in un sistema economico ipotizzato come sistema integrato di Stati, che mantengono una sovranità reciprocamente limitata in relazione alle finalità sistemiche, equivale a dire istituzioni che completano l’azione degli Stati membri. Una funzione completiva, questa, che mira a realizzare finalità le quali consistono in obiettivi comuni, fissati attraverso una rete di patti tra gli Stati. Nessuno Stato, da solo, infatti, può svolgere tale funzione completiva: soltanto istituzioni sovranazionali possono farlo. Non si tratta di amministrare i bisogni e le risorse di un solo territorio strutturato in forma statale da istituzioni politiche storicamente consolidatesi, ma di integrare le esigenze di una molteplicità di Stati le cui potenzialità, sul piano della produzione e dello scambio, sono state ridotte drasticamente dalla guerra. Che le istituzioni sovranazionali non siano necessariamente nemiche della sovranità degli Stati in quanto tale, ma soltanto in quanto tendente all’assolutezza tipica dello Stato-potenza, lo mostra concretamente l’ International Monetary Fund (IMF, comunemente noto con l’acronimo FMI) su ben altra scala di grandezza.56 E lo avrebbe dimostrato, con maggiore chiarezza, anche se su una scala di grandezza ben più ridotta, il primo tentativo riuscito di integrazione settoriale, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Le conseguenze di progetti di questo genere considerate, sul piano della teoria, sono di grande rilievo. Fare parte di un mercato integrato comporta certamente la limitazione della sovranità (in ambiti che non paiono, a prima vista, politici), di certo non la sua scomparsa; ciò implica indubbiamente il problema di una sorta di ‘sovranità multilivello’, sia pure soltanto sul piano economico, che mantiene le vecchie forme di sovranità politica, ma le rende funzionali a una dimensione che le trascende; infine, fare parte di un mercato integrato richiede una ripartizione di competenze fra Stati nazionali e istanze economiche sovranazionali. I progetti di integrazione economica, via via che si realizzano, creano situazioni sussidiarie, situazioni che richiedono l’esercizio di un potere sussidiario in ambito economico, situazioni in cui la compresenza di istanze sovranazionali e della sovranità degli Stati richiede una ripartizione di compiti ove il livello sovranazionale non può che 56 Un’eccellente e chiara sintesi in merito è costituita dal vol. di G. SCHLITZER, Il Fondo Monetario Internazionale, Bologna, Il Mulino, 2004. 19 presentarsi in funzione di sostegno, di subsidium; qui matura l’aspetto politico della situazione sussidiaria, la questione della ripartizione delle competenze e di quale istituzione sia legittimata a fissare il criterio di tale ripartizione. Il problema non si pone, naturalmente, finché le istituzioni sopranazionali hanno funzioni consultive; ma se l’interpenetrazione economica si approfondisce a tale punto che istituzioni consultive non bastino più allo scopo di armonizzare le diverse economie, allora il problema politico emerge. Ma non è necessario che esso sia risolto, nei suoi diversi aspetti e ambiti con una logica unitariamente sovranazionale. Un nesso forte sembra legare sul piano progettuale integrazione, sovranazionalità e sussidiarietà già negli anni che precedono l’esperienza della CECA. Parlare di integrazione in questo contesto significa parlare non già della giustapposizione di diverse entità economiche, ma di una sia pur limitata armonizzazione che incide nell’intimo di queste entità economiche, spingendole a decidere in comune. Per fare questo esse devono dotarsi di organi, di istituzioni che siano in grado di trascendere la sovranità degli Stati senza eliminarla, ma di inserirla in un sistema complesso. Qui si crea la situazione sussidiaria. Prendiamo come esempio, prescindendo naturalmente dalla scala di applicazione, il primo articolo dello statuto del FMI che prevede l’instaurazione di un sistema di cambi fissi basato sulla convertibilità del dollaro in oro, secondo un rapporto fisso, e di tutte le altre monete in dollari secondo un rapporto che poteva oscillare entro un margine non superiore all’ 3% in più o in meno della parità ufficiale.57 La singole divise monetarie non vengono abolite, e non lo è neppure l’importante funzione sovrana che gli Stati esercitano tramite esse, ma vengono inserite in un sistema di cambi nei quali l’oro e il dollaro svolgono una funzione completiva o, al limite, di garanzia. Un altro esempio: secondo le norme dell’ERP gli Stati europei avrebbero dovuto accordarsi per definire insieme le richieste di aiuti.58 Qui, ancora una volta, la concessione degli aiuti è vincolata all’accordo, cioè alla limitazione delle pretese nazionali in vista di obiettivi comuni. Nelle pretese nazionali si esprime il modello della sovranità illimitata degli Stati; nel piano comune si esprime l’esigenza della 57 Cfr. L. LEVI-U. MORELLI, L’Unificazione europea. Cinquant’anni di storia, Torino, Celid, 1994, p. 41; SCHLITZER, Il Fondo Monetario Iinternazionale, cit., pp. 21 ss. 58 Cfr. FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., pp. 33-34 20 ricostruzione come esigenza che riguarda tutti gli Stati, non separatamente, ma insieme. Ancora un esempio: l’art. 1 dello statuto dell’ OECE (16 aprile 1948) recita: “Le parti contraenti devono agire in stretta cooperazione e avere come compito immediato l’elaborazione e l’attuazione di un programma comune di ricostruzione.”59 La risoluzione politica del Congresso dell’Aja (7-10 maggio 1948), nelle Raccomandazioni immediate consiglia:60 “1. eliminare progressivamente e prima possibile dall’Unione gli ostacoli al commercio che risultano dalle restrizioni quantitative allo scambio delle merci . 2. ridurre e in ogni caso ove questo è possibile abolire finalmente le tariffe doganali tra gli Stati partecipanti. […] 3. preparare così la libera convertibilità delle monete ed il ristabilimento progressivo della libertà di commercio tra i paesi dell’Europa.” Queste raccomandazioni sono finalizzate alla realizzazione della libera circolazione dei capitali, al risanamento delle politiche dei bilanci e del credito e all’unione monetaria.61 Le finalità mirano, con ogni evidenza, a creare un mercato unico. I mezzi disponibili di fatto sono due: o affidarsi agli accordi (e alla sorveglianza della loro esecuzione) in via intergovernativa, oppure creare istituzioni all’uopo, vale a dire istituzioni sovranazionali. Non si tratta, com’è chiaro, di eliminare gli Stati sovrani, ma di inserirli in un quadro di rapporti in grado di creare subito l’esigenza di istituzioni sovranazionali. Quando il deputato laburista R.W.G. MacKay, membro della delegazione inglese all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, propone (e l’Assemblea del Consiglio d’Europa approva), il 6 settembre 1949, come scopo del Consiglio d’Europa il “creare un’autorità politica europea dotata di funzioni limitate, ma di poteri reali”, il Comitato dei Ministri si oppone (inflessibile fu il veto britannico). MacKay pensa chiaramente, come rivelano gli aggettivi che definiscono le funzioni della ipotizzata “autorità politica europea”, a una funzione sussidiaria. 59 Cfr. L. LEVI- U. MORELLI, L’Unificazione europea., cit., p. 56. Ivi, p. 66. Le prime due raccomandazioni si leggono nel capoverso relativo al settore degli scambi, mentre la terza è compresa nel capoverso dedicato al settore dei problemi monetari. 61 Ivi, p. 67. 60 21 La situazione creata con l’ERP richiede soluzioni sovranazionali, è una situazione sussidiaria che implica un potere completivo sovranazionale, dato che il fine del piano è creare un’area economica europea integrata. Tuttavia l’OECE è un Consiglio ministeriale di Stati sovrani in cui ogni paese ha il diritto di veto. L’esistenza di una situazione sussidiaria non implica che le risposte istituzionali siano tali da realizzare un potere sussidiario e in questo caso mancano istituzioni sovranazionali che abbiano la forza di agire. La loro forza non potrebbe derivare, realisticamente, che da un trasferimento di sovranità economica da parte degli Stati. Ma, come si è detto, l’aura dello Stato-potenza è troppo forte, troppo presente nel modo di pensare i rapporti interstatali. Il 28 agosto 1950 viene votata dall’Assemblea una raccomandazione che indica come politica alternativa per la costruzione europea quella delle autorità “specializzate” con il compito di gestire il processo di integrazione in settori specifici (come quello carbo-siderurgico o quello militare) solo tra gli Stati disposti ad aderire a questi organismi (punti I e IV delle Raccomandazioni).62 Questa raccomandazione fa eco alla dichiarazione del ministro degli Esteri francese Robert Schuman con la quale, il 9 maggio 1950, ci si propone “di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei.” Già il 17 marzo 1948 viene promossa dal ministro degli esteri britannico Ernest Bevin un’alleanza politico-militare, estensione del trattato anglo-francese di Dunkerque del 4 marzo 1947 tra i paesi del Benelux nei confronti di una eventuale ripresa della politica offensiva tedesca, ma soprattutto in funzione anti-sovietica. L’art. 1 recita: “ Convinti della stretta solidarietà dei loro interessi e della necessità di unirsi per affrettare la ripresa economica dell’Europa, le Alte Parti Contraenti organizzeranno e coordineranno le loro attività economiche allo scopo di ottenere il massimo rendimento, eliminando qualsiasi divergenza nella loro politica economica mediante l’armonizzazione della loro produzione e lo sviluppo dei loro scambi commerciali.”63 Armonizzare la produzione è una strategia che può certamente realizzarsi attraverso strumenti intergovernativi, ma anche attraverso la creazione intergovernativa di istituzioni sovranazionali. 62 63 Ivi, p. 71. Ivi, p. 54, corsivo nostro. 22 L’urgenza di compattare l’Europa in funzione anti-sovietica è il reale stimolo dei politici statunitensi a cercare di contribuire alla realizzazione di un’Europa unita per lo meno sotto il profilo economico. Tuttavia, dopo la crisi di Berlino, diviene chiaro che è anche più urgente, data la scarsa disponibilità degli Stati europei a gettare le basi per un’economia integrata, ricostruire politicamente la Germania e farne un baluardo anti-sovietico. L’intenzione di far giungere l’Europa all’ integrazione economica è molto forte da parte statunitense, ma che altrettanto forte era l’ostacolo epistemico europeo costituito dal pensare la politica nel quadro dello Stato-nazione superiorem non recognoscens e quindi ostile, in linea di principio, alla creazione di istituzioni sovranazionali. Guardando la realtà europea dal punto di approdo attuale si deve vederla, come già si è accennato, come un aspetto del fenomeno delle integrazioni regionali. L’integrazione produce un sistema (vale a dire un insieme di istituzioni, di gruppi e di processi politici “caratterizzati da un certo grado di interdipendenza reciproca”64) la cui articolazione di base implica, a un certo grado di sviluppo, proprio l’insieme dei meccanismi che vanno sotto il nome di sussidiarietà. Se si crea un potere sovranazionale, ciò è segno che si è creata anche l’esigenza di un potere sussidiario in grado di realizzare un sistema plurale di governance. Nulla, tuttavia, garantisce che tale esigenza venga anche soddisfatta: il processo di integrazione non è un processo automatico (come ritenuto invece da certa vulgata funzionalistica), ma l’esito di volontà politiche condizionate dal livello di sviluppo raggiunto dall’integrazione stessa. E non vanno dimenticati, in questo schizzo comparativo, i concreti fattori storici che hanno stimolato il processo dell’integrazione europea: la logica della “guerra fredda” nella ‘politica europea’ statunitense, l’esigenza da parte francese di non favorire in alcun modo il riarmo autonomo della Germania a opera degli USA e quindi la particolare ‘urgenza’ che riveste, al tempo della sua apparizione il “piano Schuman”. Il potere sovranazionale può esplicarsi nella sfera economica o nella sfera politica: esso si configura in quelle che abbiamo designato con l’espressione “situazioni di sussidiarietà.” Che le “situazioni di sussidiarietà” non siano sufficienti a innescare 64 Cfr. G. URBANI, Sistema politico in Bobbio-Matteucci-Pasquino, Dizionario di politica, Torino, UTET, 1978; G.A.ALMOND-B.G.POWELL, Comparative Politics. System, Process, and Policy, Boston, Little, Brown and Co, 1978, tr. it. Politica comparata, Bologna, Il Mulino, 1995. Per la 23 tendenze allo sviluppo di un potere sussidiario lo mostra con chiarezza l’insieme degli esempi forniti dai processi di integrazione extra-europei. Attualmente, soltanto deboli tendenze caratterizzano in questo senso unioni regionali come l’Association of South-East Asian Nations (ASEAN, dal 1967), il North American Free Trade Agreement (NAFTA, dal 1989) il Mercato Comùn del Sur (MERCOSUR, dal 1985), la Southern African Development Community (SADC, dal 1992) e l’Unione Africana (UA, dal 2003). Che nel MERCOSUR si siano sviluppate una Carta dei diritti umani (2002), un Parlamento andino, una Corte e un insieme di sistemi di sicurezza che rendono impossibile la guerra (questi sono chiari segni di tendenze a realizzare una governance sovranazionale); che nell’Unione africana esista una Corte dei diritti umani e una Commissione (analoga, potenzialmente, alla Commissione della Comunità europea); che nel NAFTA le Commissioni abbiano tendenze sovranazionali, limitatamente ad alcune competenze significa che “in assenza di un’egemonia espansiva credibile, oggettivamente incombe anche sulle organizzazioni regionali la sfida di contribuire alla governazione65 regionale più attivamente;”66 e ciò significa che i nessi regionali giungono quasi a ‘richiedere’ di essere istituzionalizzati in senso politico. Questa tendenza preannuncia il problema di una ripartizione delle competenze fra Stati nazione e organismi sovranazionali perché si sta creando una situazione sussidiaria, perché in una certa misura operano già concretamente istituzioni sovranazionali. Perché queste tendenze si sviluppino nel senso in cui esse si sono sviluppate nella vicenda dell’integrazione europea occorrono, come già si è accennato, dei ‘catalizzatori storici’ (come sono stati, in tempi e modi diversi, l’inizio della “guerra fredda” per la CECA e l’implosione del blocco dei paesi “socialisti” per il Trattato di Maastricht). Là dove le istituzioni sovranazionali sono più sviluppate si nota il sorgere di una situazione sussidiaria che si configura come problema della ripartizione delle competenze tra livello sovranazionale e livello degli Stati nazione. Vi possono essere tuttavia realtà regionali in cui le istituzioni sovranazionali sono molto sviluppate, ma risulta essere poco coerente l’attuazione delle decisioni comuni (è il nozione generale di sistema cfr. L. VON BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi, tr. it. Milano, ISEDI, 1971, c. 3. 65 Il termine è stato introdotto da M. TELÒ, Europa potenza civile, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. IX, Nota terminologica. 66 Ivi, p. 96. 24 caso dell’Economic Community of West African States, ECOWAS, del 197567), oppure reatà come il MERCOSUR68 in cui si registrano inizi di costruzione di un sistema giuridico di regolazione dei conflitti interni con evidente configurarsi di una situazione sussidiaria. Tuttavia, la vicenda dell’integrazione europea rappresenta un caso di maggiore durata (oltre cinquant’anni), un caso in cui il passaggio dall’integrazione settoriale all’integrazione economica complessiva è ben chiaro e solido e, infine, un caso in cui emerge la ristrettezza di vedute puramente funzionalistiche riguardo al passaggio ‘automatico’ dall’integrazione economica all’integrazione politica.69 In questo passaggio, la funzione concettuale e pratica della sussidiarietà è decisiva, proprio per la caratteristica di “cerniera,” svolta dal principio che la esprime, tra livello sovranazionale e livello nazionale all’interno del processo di integrazione. Possiamo vedere il problema nella sua complessità: non eliminare gli Stati nazione; renderli parte di un processo che li trasforma in parte autonome di un sistema integrato.70 Dove inizia questo processo di integrazione che tende a dare luogo a un sistema? Nell’economia. Dove può ‘incepparsi’? Sia nell’economia, sia nella politica. Dove sorge il principio di sussidiarietà nell’ambito comunitario? Nell’economia.71 Quando assume esso la duplice valenza politico-giuridica, con la flessibilità (non ambiguità) richiesta dalla situazione? Nel momento in cui l’integrazione economica tende ad assumere un senso politico: per ciò che riguarda la storia dell’integrazione europea questo momento è quello del Trattato di Maastricht. Ma la situazione che caratterizza l’integrazione europea è già sussidiaria a partire dalla CECA, sino a partire dal piano Schuman e dal piano Monnet. Il potere dell’Alta 67 Cfr. F. SÖDERBAUM, the Political Economy of Regionalism in Southern Africa, Göteborg University, Göteborg, 2002. 68 Sul MERCOSUR cfr. R. Roeff (a cura di), Mercosur: Regional Integration, World Markets, Boulder, Lynne Rienner, 1999. 69 Si vedano le osservazioni autocritiche di E.B. HAAS nel saggio The Uniting of Europe and the Uniting of Latin America in “Journal of Common Market”, 4 (1967), pp. 315-343. 70 Sul significato dei processi di integrazione cfr. il classico A. ETZIONI, Unificazione politica, cit. per il concetto di ‘sistema integrato’ cfr. F. INGRAVALLE, I Protocolli di applicazione del principio di sussidiarietà dal Trattato di Amsterdam al Trattato che istitituisce una Costituzione per l’Europa in “Atti della scuola estiva AUSE 2004”, in corso di stampa. 71 Si osservi, del resto, che alla metà degli anni sessanta l’economista italiano P. Onida considera il principio di sussidiarietà come un principio di grande rilievo (per quanto maturato in ambito extraeconomico) al quale ricorrere normalmente per concepire la regolazione dei rapporti Stato-impresa nelle economie miste, cfr. ONIDA, Lo Stato imprenditore e il principio di «sussidiarietà» nele economie miste in “Rivista dei Dottori Commercialisti”, XVIII, n. 2, marzo-aprile 1967, pp. 175189. I contesti evocati nel saggio sono comuni alle economie dei sei stati membri della CEE. 25 Autorità è già federatore e il suo ‘dirigismo’ è già potere sussidiario, su scala settoriale. 26 Capitolo 2. Integrazione europea e sussidiarietà’implicita’ Il ‘dirigismo’ dell’ Alta Autorità della CECA è rivolto a eliminare il fattore di divisione introdotto dai cartelli nazionali.72 In nome della libera concorrenza? Certo, ma nella prospettiva di uno spazio economico europeo di cui il settore del carbone e dell’acciaio era il primo nucleo. Nella realizzazione della CECA vengono implicitamente finalizzate a un piano di integrazione settoriale tutte le indicazioni sulla creazione di un’area economica integrata contenute sia nell’ERP, sia nel suo organismo di esecuzione, l’OECE, sia nell’ECA: il programma comune di ricostruzione poteva funzionare soltanto sulla base del mutuo aiuto e della condivisione delle risorse73, come emerge con chiarezza anche dalle disposizioni del Consiglio dei ministri OECE del 31 ottobre 1949.74 Come per l’ERP, così per la CECA emerge l’esigenza di istituzioni sovranazionali che gestiscano l’integrazione economica;75 esse, per quanto siano limitate al piano economico non possono dirsi estranee al piano politico e non soltanto per il manifesto obiettivo politico dell’ERP e della CECA, ma soprattutto perché mutuo aiuto e condivisione delle risorse richiedono un certo numero di limitazioni nell’azione degli Stati a vantaggio di autorità sovrastatali. Queste ultime nell’ERP hanno un potere meramente consultivo, mentre nella CECA assumono un ruolo deliberativo. Il 28 marzo 1950 Monnet invia al presidente del Consiglio francese un memorandum nel quale si legge la proposta di istituire la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio: bisogna “integrare l’industria della Ruhr nel contesto europeo e porre l’industria pesante europea sotto la supervisione di una singola 72 D. SPIEREMBURG-R.POIDEVIN, Histoire de la Haute Autotité de la Communauté Européenne du Charbon et de l’Acier. Une expérience supranationale, Bruxelles, Bruylant, 1993, p. 4. Per la matrice funzionalista dell’idea dell’Alta Autorità vd. supra, c. 1, nota 40. Sul ‘dirigismo’ di Monnet, cfr. W. BÜHRER, Dirigismus und europäische Integration in A. Wilkens (a cura di), Interessen verbinden. Jean Monnet und die europäische Integration der Bindesrepublik Deutschland, Bonn, Bouvier, 1999. 73 Cfr. HOGAN, The Marshall Plan Cambridge University Press, 1987, pp. 60-61. 74 ID., The Marshall Plan, cit., pp. 273-274. 75 Il potere dell’OECE, come si è visto, si è configurato soltanto come potere consultivo. Ben altrimenti si configura, per quanto su scala settoriale il potere dell’Alta Autorità della CECA. 27 autorità internazionale”76. Non è casuale che nel celebre discorso del 9 maggio 1950 Schuman insista sulla prospettiva federale di questo progetto di integrazione settoriale: dire “federazione” equivale a dire ruolo decisivo di un’autorità sovranazionale. Nel trattato CECA questo ruolo è attribuito all’Alta Autorità; art. 8: “L’Alta Autorità ha l’ufficio di assicurare l’attuazione degli scopi stabiliti dal presente trattato alle condizioni da esso previste.” Fa questo prendendo decisioni, facendo raccomandazioni o esprimendo pareri (art. 14); le decisioni sono vincolanti in tutto e per tutto e riguardano gli scopi e i mezzi della Comunità, le raccomandazioni sono obbligatorie soltanto in relazione agli scopi che prescrivono (art. 15), mentre i pareri non sono vincolanti. Si tratta con ogni evidenza di gestire un sistema plurale, di coordinare attori autonomi e di distinguere fra ciò che è competenza dell’Alta Autorità (gli scopi e, in parte i mezzi) e ciò che è competenza degli Stati membri (una parte dei mezzi). Gli scopi sono fissati in modo pattizio, ovviamente; l’Alta Autorità dispone di un potere che le deriva dall’accordo degli Stati (positivizzato nel trattato); ma, una volta ottenutolo, essa lo gestisce indipendentemente dagli Stati per la semplice ragione che gli scopi che le sono stati affidati dagli Stati perché li realizzi trascendono per loro natura la dimensione di ciascuno Stato nazionale. I nove membri nominati dai governi degli Stati membri, di comune accordo, per sei anni e scelti in base alle loro competenze agiscono in base a una logica sovranazionale, perché sovranazionali sono gli obiettivi in vista dei quali sono stati nominati. Presso l’Alta Autorità è istituito un Comitato consultivo nominato dal Consiglio composto da membri non vincolati da alcun mandato. La consultazione di questo Comitato è obbligatoria per l’Alta Autorità soltanto nei limiti in cui il trattato la configura come tale. Assieme all’Assemblea (composta dai rappresentanti dei popoli riuniti nella Comunità) e al Consiglio (composto da rappresentanti degli Stati membri e presieduto a turno per tre mesi dal rappresentante di uno Stato membro, secondo l’ordine alfabetico degli Stati membri), l’Alta Autorità costituisce il nucleo decisionale della Comunità. Questo complesso istituzionale dovuto a Monnet, Etienne Hirsch, Pierre Uri e Paul Reuter77 risponde, com’è noto, sia alla preoccupazione di assicurare le basi della 76 FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 96. Cfr. J. MONNET, Mémoires, Paris, Fayard, 1976, pp. 348 ss. Sulle connessioni fra la cultura di Monnet e la cultura industrialista e tecnocratica si trovano cenni nel volume di TELÒ, Dallo Stato all’Europa, cit., p. 113. Il clima di tale cultura in Francia è ricostruito accuratamente da A. SALSANO, Ingegneri e politici. Dalla razionalizzazione alla «rivoluzione manageriale», Torino, Einaudi, 1987, pp. 60-93. 77 28 pace attraverso l’integrazione economica della zona-causa delle due ultime guerre mondiali (preoccupazione prevalente di Schuman78), sia all’urgenza di integrare la Germania nell’Europa occidentale (urgenza avvertita dal segretario di Stato americano Dean Acheson che tra il 30 ottobre 1949 e il marzo 1950 aveva esercitato notevoli pressioni in tale senso)79 ed è chiaramente orientato a creare un’autorità sovranazionale, “veritable embryon d’un gouvernement européen”.80 Fin da principio si teme la “dittatura” dell’Alta Autorità,81 come accadrà sovente in seguito a proposito delle funzioni svolte dalle autorità sovranazionali. Fino al 1958 l’Alta Autorità sostiene “gli alti costi delle aree minerarie belghe imponendo una tassa di perequazione sulla vendita del carbone tedesco e olandese”, che è meno costoso; si prende carico con un certo successo dell’agenzia tedesca monopolistica di acquisto del carbone; riesce a ottenere un prestito generoso dal Governo americano e a proporre altri prestiti sui mercati di capitali americani.”82 Tali prestiti vengono poi usati per gli investimenti. Si tratta di interventi a carattere completivo, sussidiario, prescritti nel trattato istitutivo della CECA. Nel trattato che istituisce la CECA il principio di sussidiarietà non è menzionato esplicitamente. E’ merito di Orsello e d’Agnolo avere sottolineato la presenza implicita del principio di sussidiarietà in questa fase della storia dell’integrazione europea e nella fase contrassegnata dal Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (CEE). Ma perché è legittimo e necessario interpretare in questo modo la fase che si estende fra CECA e CEE? E soprattutto, perché dobbiamo andare oltre e vedervi la creazione di un potere sussidiario di tipo politico anche se pertinente questioni economiche? La risposta è che, in tal modo, il passaggio dal mercato integrato del carbone e dell’acciaio al Mercato Comune risulterebbe essere, così, l’estensione di un potere sussidiario che sorge 78 Cfr. POIDEVIN, Robert Schumann, homme d’État, Paris, Imprimerie Nationale, 1986, pp. 258260. 79 SPIEREMBURG-POIDEVIN, Histoire, cit., pp. 5-6. 80 Ivi, p. 11. Cfr. M. Gilbert, Storia politica dell’integrazione europea, cit., p. 38: “La CECA rappresentava, in teoria, una nuova concezione di governance economica internazionale. Invece di privilegiare gli interessi di breve termine delle loro industrie nazionali, i sei Stati membri si impegnavano ad agire nell’interesse comune delegando i poteri esecutivi a un’autorità indipendente soggetta ad appropriate garanzie istituzionali.” Di “hybrid Form, Short of Federation” parla invece, a proposito della CECA, E. B. HAAS, The Uniting of Europe: Political, Social, and Economical forces, 1950-1957 (1958), Stanford University Press, Stanford, California, 1968, pp. 51-58; sul carattere sovranazionale delle pratiche dell’Alta Autorità cfr. Id. p. 484. 81 Per le discussioni sull’Alta Autorità ai negoziati di Parigi il 20 giugno 1950 cfr. SPIEREMBURGPOIDEVIN, Histoire, cit., pp. 15-23. Sull’attività dell’Alta Autorità vd. Anche il lucido quadro tracciato da Haas, The Uniting of Europe, cit., pp. 451-485. 82 GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit., pp. 38-39. 29 dall’integrazione settoriale e dall’integrazione economica con caratteri marcatamente politici.83 Si tratterebbe di una lettura sostanzialmente continuistica dell’integrazione europea nel passaggio dalla CECA alla CEE. L’integrazione cambierebbe soltanto quanto a scala di grandezza in tale passaggio. Ma nell’ambito delle integrazioni regionali il cambiamento quantitativo di scala implica sempre anche un cambiamento qualitativo: l’esigenza di un potere sussidiario si fa più forte. Vediamo alcuni fatti che esemplificano l’azione dell’Alta Autorità. L’Alta Autorità stabilisce nel luglio 1954 un lunga lista di pratiche che essa giudica incompatibili con il trattato: si tratta delle pratiche che permettono alla Ruhr di determinare il prezzo e le condizioni di vendita del carbone, come a es. la ripartizione “des commandes entre les producteurs, la mise en commun des produits, des frais d’administration et de vente.”84 E’ questo il proseguimento, la realizzazione di una politica anti-cartello che urta contro consolidate tradizioni nazionali francesi e tedesche. Nel 1955 (febbraio) l’Alta Autorità definisce un programma nel quale vengono equilibrate la libera concorrenza e la stabilità del mercato assicurata da una “organisation de vente centralisée”: solo un terzo delle vendite di carbone saranno vendite comuni a paesi terzi e alle ferrovie federali tedesche e ai grandi consumatori. Nel settore dell’acciaio il problema analogo delle ententes che distorcevano la concorrenza: l’Alta Autorità si muove cercando di favorire l’interpenetrazione dei mercati dei Sei e lasciandola agire sull’abbassamento del livello dei prezzi dell’acciaio.85 Che cosa ci dicono questi due esempi in merito al potere sussidiario dell’Alta Autorità? I due esempi sono da ricondursi all’art. 5 del trattato che istituisce la CECA: le istituzioni comunitarie agiscono soltanto nei limiti delle attribuzioni che sono loro conferite dal trattato. “la Comunità compie la sua missione, alle condizioni previste dal presente trattato con interventi limitati. A tal fine essa: -chiarisce e facilita l’azione degli interessati raccogliendo informazioni, organizzando consultazioni e definendo scopi generali […]. 83 Il che risulta dal fatto che in questione sono una fonte energetica di valore primario in quel momento e un prodotto fondamentale per l’industria moderna; si tratta quindi di fattori che determinano il reale peso di un apparato politico nell’economia mondiale, la sua forza politica. 84 SPIEREMBURG-POIDEVIN, Histoire, pp. 124-125. 85 Ivi, pp. 131 ss. 30 -assicura la costituzione, il mantenimento ed il rispetto delle condizioni normali di concorrenza ed esercita un’azione diretta sulla produzione e sul mercato solo quando le circostanze lo richiedano […].” 86 Definire scopi generali, esercitare un’azione diretta qualora le circostanze lo richiedano significa esercitare un potere completivo, sussidiario, un potere politico in ambito economico. Non si tratta di sostituirsi agli Stati membri nelle funzioni che essi possono svolgere, ma di supplire alle funzioni legate alla interdipendenza delle economie che gli Stati-nazione non possono svolgere, per loro natura. Essi sono nati come entità legate alla statualità territoriale nazionale, non certo come funzioni di integrazione fra territori nazionali diversi; ma è proprio questa la funzione storicamente necessaria dopo che il secondo conflitto mondiale ha ridimensionato le prerogative reali degli Stati nazione europei ponendo di fatto all’ordine del giorno la statualità continentale o, per lo meno, l’integrazione economica continentale. La vicenda del fallimento della CED e della CEP87 rivelano che il passo dall’integrazione economica pur se carica di significati implicitamente politici all’integrazione politica esplicita non è ancora possibile. E rivelano anche quanto dell’impeto integratore dovesse essere ricondotto alla situazione della guerra fredda e quanto esso fosse soggetto alle sue vicende. La CED e la CEP falliscono perché la morte di Stalin fa intravedere la possibilità di una coesistenza pacifica tra il blocco americano e il blocco delle democrazie popolari e rendono meno urgente la creazione di un blocco europeo dotato di autonomia e basato, nella sua funzionalità interna, sulla netta ripartizione delle competenze fra funzioni sovranazionali e funzioni degli Stati nazione.88 Il Trattato che istituisce la CEE evidenzia almeno tre priorità, secondo l’angolo visuale che abbiamo scelto per questo lavoro: innanzitutto si tratta di rafforzare gli esiti della ricostruzione inserendoli nel quadro di una nuova realtà integrata più ampia, evitando la rinascita di tendenze legate alla logica dello Stato-potenza. In secondo luogo, si tratta di estendere la logica funzionale all’insieme del mercato 86 Cfr. Unione europea, raccolta dei trattati, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, 1995, tomo I, vol. II, p. 23 87 Su cui cfr. D. PREDA, Storia di una speranza. La battaglia della CED e la Federazione europea, Milano, Jaca Book, 1990; EAD., Sulla soglia dell’Unione. La vicenda della Comunità politica europea (1952-1954), Milano, Jaca Book, 1994. 88 Cfr. B. OLIVI, L’Europa difficile, cit., pp. 41-45; B. OLIVI-R. SANTANIELLO, Storia dell’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 25-29; GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit., pp. 39-46. 31 europeo. Collaborando e integrando le loro economie, i sei Stati europei, già partecipi della CECA, realizzano la pace, la prosperità e realizzano un rafforzamento del loro ruolo nel mondo.89 La scelta che emerge dal Trattato che istituisce la CEE è strettamente legata alla percezione della imprescindibilità di un’integrazione economica completa, nella quale la politica però dovrebbe essere lasciata in sordina. La convinzione di fondo è che l’integrazione economica sia il fattore trainante dell’integrazione politica. E anche qui, il potere sussidiario ha una funzione centrale. L’art. 100 sostiene che l’armonizzazione tra le disposizioni legislative, amministrative e regolamentari degli Stati membri a opera della Comunità si giustifica solo con l’esigenza di salvaguardare il mercato comune.90 Ciò equivale a dire: non possiamo non volere il mercato comune, data l’interpenetrazione delle economie dei Sei; certo essa urta contro i presupposti tradizionali dello Stato nazione inteso come Stato-potenza, ma si tratta di una condizione realisticamente ineludibile che obbliga a traghettare il vecchio Stato nazione in una dimensione di integrazione economica assolutamente inedita che esso deve gestire assieme agli altri Stati; per farlo, esso non ha altra possibilità che cedere alle istituzioni sovranazionali una serie di prerogative e di poteri in ambito economico di cui, peraltro, non potrebbe più servirsi in modo adeguato. Esso deve, pertanto, fornire alla Comunità le competenze necessarie al conseguimento degli obiettivi del trattato. Non a caso, l’art. 235 afferma che, nel caso che il trattato non fornisca alla Comunità le competenze necessarie al conseguimento, nell’ambito del mercato comune, di un obiettivo posto dal trattato stesso, il Consiglio, “deliberando all’unanimità” su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo prenda le disposizioni del caso.91 Gli Stati membri decidono, così, di attribuire alla Comunità le competenze necessarie alla realizzazione degli obiettivi fissati dal trattato stesso, cioè dall’ agreement degli Stati membri. La sovranazionalità non è dunque qui qualche cosa di estraneo alla volontà degli Stati: è una loro creazione stimolata da una realtà economicopolitica che decreta ogni giorno di più e nei più diversi ambiti della politica economica l’insufficienza degli Stati nazione. Nulla di nuovo, forse: in fondo, la 89 Cfr. OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 51: “L’impalcatura giuridico-istituzionale del Trattato era il capolavoro del «funzionalismo». Invero il trasferimento progressivo (e graduale!) della sovranità (o di sue porzioni, quelle necessarie agli atti «integrativi») si doveva effettuare nell’ambito di una struttura di «negoziato permanente» costituita dal sistema delle Istituzioni.” 90 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 30 in apparato. 91 Ivi, pp. 80-81. 32 prima prova dell’insufficienza degli Stati nazione a fissare obiettivi comuni per il buon funzionamento del mercato mondiale senza ricorrere a istituzioni sovranazionali sono proprio gli accordi di Bretton Woods, è proprio il FMI con il quale si tentava di porre fine all’anarchia monetaria (e, in prospettiva, anche all’anarchia economica) che non era stata una delle ultime responsabili del secondo conflitto mondiale. Può essere certamente paradossale che per salvare le loro funzioni basilari e le loro economie, gli Stati nazione debbano trascendersi nella dimensione sovranazionale cedendo parte della loro sovranità; ma se così non facessero, il destino del mondo non sarebbe diverso da quello decretato dal fallimento della Società delle Nazioni descritto da L. Einaudi.92 L’art. 189, terzo comma afferma che “la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi.”93 Lo Stato non è privato della sua sovranità; ma questa viene inserita in un contesto (il mercato comune) che lo vincola alla realizzazione di finalità comunemente statuite rispetto alle quali la Comunità interviene in funzione completiva, non sostitutiva; essa interviene sussidiariamente Attraverso i trattati gli Stati membri si vincolano (vincolo comunitario volontario, cioè liberamente stipulato) al conseguimento di obiettivi comuni. E’ la stessa procedura degli accordi di Bretton Woods e dell’ERP, tranne che per un aspetto decisivo: da questa procedura nascono istituzioni istituzioni sovranazionali dotate di un effettivo potere d’intervento. Il problema è stabilire quando la maggiore efficacia imponga in prospettiva l’azione comunitaria e quando invece sia sufficiente l’azione degli Stati membri. Questo è un problema politico, non un problema meramente economico, né meramente giuridico. Se la logica della sussidiarietà tende a configurarsi come una linea di demarcazione “fra i diversi livelli di intervento normativo,”94 la logica stessa della sussidiarietà impone che soltanto la Comunità la stabilisca, la fissi. Infatti, chi ha lo sguardo rivolto alla realtà sovranazionale è la Comunità; ma la Comunità è l’esito dei rapporti intergovernativi, il risultato di un patto tra governi, l’esito di una tensione dialettica fra spinte alla sovranazionalità e tutela dei poteri sovrani degli Stati membri. 92 Cfr. L. EINAUDI (JUNIUS), Lettere politiche, Bari, Laterza, 1920. Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 67. 94 ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., p. 11. 93 33 L’anima dell’integrazione negli anni sessanta è la PAC. Come osserva Robert Marjolin nelle sue memorie:95 “Senza la politica agricola comune, non ci sarebbe mai stato un mercato comune.” Infatti, se si considera con attenzione l’art. 39 § 1 del Trattato che istituisce la CEE dedicato alla politica agricola comune96 sembra chiara la sua funzione centrale nella prospettiva di un’unione doganale nella quale la Francia aveva interessi fortissimi. Sulla PAC poggia, peraltro, la stabilità monetaria dei sei paesi membri fino alla metà degli anni sessanta. Ma dire Trattato che istituisce la CEE significa dire anche nuovo assetto istituzionale: nuovo nel senso che approfondisce e precisa i rapporti fra le istituzioni già tracciati nell’architettura della CECA. Che la Commissione della CEE abbia un ruolo di implementazione, oltre che di elaborazione in merito alla politica agricola evidenzia il ruolo sussidiario della Commissione stessa. Essa – che rappresenta, come l’Alta Autorità della CECA, l’istanza sovranazionale - ha il potere della proposta legislativa. Il potere decisionale invece è nelle mani del Consiglio dei ministri CEE: durante le prime due fasi del periodo di transizione il Consiglio avrebbe votato secondo la procedura dell’unanimità. Tuttavia, la forza della Commissione sta nel suo compito di custode del mercato relativo alle procedure antitrust, al settore degli aiuti di Stato, all’armonizzazione della politica fiscale, all’implementazione delle misure comuni nell’ambito dei provvedimenti sociali; tale compito ne fa un modello di potere sussidiario il cui peso politico è notevole. Di notevole valore per lo sviluppo delle istanze sovranazionali è la sentenza della Corte di Giustizia Europea riferentesi al caso Van Geld en Loos vs Nederlandse Administratie der Berlastingen (caso 26/62) che affermava tra l’altro che indipendentemente dalla legislazione vigente negli Stati membri, la legge comunitaria non solo “impone delle obbligazioni agli individui ma deve inoltre fornire loro diritti che divengono parte integrante del loro patrimonio legale.”97 Notevoli tensioni dialettiche erano destinate a svilupparsi per l’inevitabile tendenza della Commissione a esercitare in pieno il potere sussidiario che essa de iure e de facto parzialmente aveva. Un esempio peculiare di questa situazione contraddittoria è la “crisi della sedia vuota” intesa come una crisi maturata a proposito del voto a maggioranza o 95 Cfr. R. MARJOLIN, Architect of European Unity: Memoirs 1911-1986, London, Weinfeld & Nicholson, 1989, p. 303. 96 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, p. 15. 97 Citata in GILBERT, Storia politica dell’’integrazione europea, cit., p. 60. 34 all’unanimità nell’organo decisionale più importante della CEE, il Consiglio, ma occasionata dal conflitto del Governo francese retto dal generale De Gaulle con la Commissione presieduta da W. Hallstein a proposito del finanziamento della PAC. Secondo la Commissione, realizzato il mercato comune dei prodotti agricoli e industriali il ricavato dei prelievi sulle importazioni agricole e della tariffa comune sugli altri beni importati dovevano essere versati alla Comunità creando così introiti propri per la Comunità stessa; inoltre, la Commissione sosteneva la necessità di attribuire al Parlamento Europeo maggiori poteri di controllo sul bilancio comunitario. A ciò si aggiunga che per il 1 gennaio 1966 era previsto dal Trattato che istituisce la CEE che molte materie avrebbero potuto essere decise nel Consiglio dei ministri con il voto a maggioranza qualificata e non più all’unanimità. 98 La crisi durante la quale dal luglio 1965 la Francia disertò le riunioni della CEE si concluse con il “compromesso di Lussemburgo. La tutela del potere di veto nel Consiglio – che è il cuore dell’ “accordo del Lussemburgo” del 29 gennaio 1966 – sanzionò la tutela dei poteri sovrani degli Stati membri minimizzando, in certo qual modo, il profilo tendenzialmente comunitario del Consiglio pur presente nel Trattato che istituisce la CEE.99 La “crisi della sedia vuota” indicava come il potere sussidiario rivendicato dalla Commissione Hallstein apparisse sospetto alla Francia gaullista e non fosse gradito nemmeno agli altri governi. Dopo la fusione degli esecutivi (aprile 1965) la funzione della Commissione è sempre più quella di un organo chiamato a stimolare la supplenza comunitaria rispetto al conseguimento degli obiettivi della CEE da parte degli Stati membri. Obiettivi che, alla metà degli anni sessanta sono di portata maggiore che non al tempo della firma dei Trattati di Roma. Se nel 1958 gli scambi commerciali tra i Sei calcolata in dollari è pari al 30% del loro commercio complessivo, alla fine degli anni sessanta essa è pari al 50%. Nello stesso arco di tempo l’incremento dei commerci tra i Sei e i paesi terzi aumenta del 15% all’anno rispetto al tasso di incremento medio di tutto il commercio mondiale; le frontiere doganali vengono abolite nel 1968. Sotto il profilo economico, è 98 Cfr. MALANDRINO, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale. Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota” (1965-66) Alessandria, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Working Paper n. 27, 2002, p. 5 e ID., «Tut Etwas Tapferes Compi un atto di coraggio». L’Europa federale di Walter Hallstein (1948-1982), Bologna, Il Mulino, 2005, in corso di stampa. 99 ID., Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale, cit., p. 10. Il testo del “Compromesso di Lussemburgo” è riportato in “Europarecht”, 1966, p. 79. 35 innegabile che l’integrazione stia crescendo al di là di ogni aspettativa. Questa crescita favorisce la percezione sempre più viva della necessità di pensare a fondo il difficile rapporto tra sovranazionalità e Stati membri. Ma saranno necessarie le difficoltà dell’economia mondiale a partire dal 1967 a stimolare la riflessione, dapprima sul piano della gestione dell’ordine monetario in Europa (il piano Werner porrà con chiarezza l’esigenza di istituzioni sovranazionali per il governo delle monete), poi sul piano delle prime ipotesi sull’Unione Europea, alla metà degli anni settanta. In un certo senso, negli anni sessanta si stanno creando le premesse concrete, anche grazie alla crisi della “sedia vuota” di due interpretazioni della sussidiarietà: una rivolta alla tutela della sovranità degli Stati membri e l’altra rivolta non tanto contro di essa, quanto a favore di una apertura sovranazionale dell’azione degli organi comunitari. Il problema è: chi deve decidere sulla ripartizione delle competenze? E in base a quale criterio? La risposta che ci viene dai trattati, finora è: gli Stati membri, i quali decidono attraverso i Trattati anche tali criteri. Ma i trattati stessi, attribuendo all’Alta Autorità della CECA e poi alla Commissione della CEE poteri chiaramente sussidiari, tendono a prevedere o almeno a non escludere una significativa limitazione di sovranità degli Stati membri. Il paradosso è che una metodologia non comunitaria (il metodo del Trattato è intergovernativo) porta a fissare i contorni e i caratteri della metodologia e della sostanza comunitaria. Questo paradosso innerva la politica dell’integrazione, ma il discorso è diverso per quanto concerne l’economia dell’integrazione. Lo sviluppo della crisi monetaria mondiale a partire dal 1967, come si è accennato poco fa, pone ben presto problemi che mettono tra parentesi tutte le caute proposte degli anni sessanta in materia di politica monetaria unitaria (dalla “banca di tutte le banche centrali” del “Rapporto van Campen” del 1962, al “Rapporto Dichgans” del 1966)100 per recuperare un progetto di integrazione monetaria di ben altro respiro che si trova nel Memorandum della Commissione del 1962 e nel documento Initiative ’64 ispirati da Hallstein, e, infine nel “piano Werner”. Il problema che si pone alla fine degli anni sessanta è il seguente: per realizzare una unione monetaria in grado di fare dell'Europa dei Sei una zona di stabilità monetaria, occorrono istituzioni di governo della moneta; ma la moneta è il 100 Su cui cfr. F. INGRAVALLE, Alle origini dell’Unione monetaria europea: gli anni sessanta di prossima pubblicazione negli “Atti della scuola estiva AUSE 2005”. 36 simbolo stesso della sovranità statuale. Una unione monetaria non potrebbe non limitare significativamente la sovranità degli Stati membri La realtà economica preme nella direzione di istituzioni dotate di funzioni sovrastatali. Ma come distinguere ciò che è di pertinenza sovrastatale da ciò che compete agli Stati nazione su di un terreno così delicato come quello della moneta? E a chi deve essere assegnato il potere di decidere in quest’ambito e con quali limitazioni? A diversi livelli viene a porsi il medesimo problema: che si tratti dei rapporti fra gli Stati e l’istanza sovranazionale in ambito politico, o in ambito economico, la questione è trovare una serie di strumenti che garantiscano l’unità della Comunità senza alcuna intromissione illegittima negli ambiti di pertinenza degli Stati membri. Ma dalla fine della seconda guerra mondiale gli ambiti di pertinenza sono cambiati perché si è realmente ristretto il raggio d’azione dello Stato nazione, mentre si è dilatato il raggio d’azione delle organizzazioni internazionali, soprattutto per quello che riguarda la politica economica e monetaria. Di conseguenza, si è concretamente modificato il limite oltre il quale un’intromissione sopranazionale può essere considerata illegittima. La lunga e difficile crisi del 1967-1971 e le crisi energetiche dei primi anni settanta non si limitano a porre il problema tecnico della stabilità monetaria nell’area del MEC: così facendo pongono anche il problema dei caratteri che deve avere l’azione comunitaria nei termini precisi di una situazione sussidiaria. Stabilire delle parità fisse tra le monete europee pone una serie di problemi di politica economica che si riverberano sulla politica tout court. Quale è il limite della politica sussidiaria della Comunità? Se l’obiettivo di quest’ultima è realizzare il mercato unico, che cosa spetta agli Stati membri e che cosa invece spetta alla Comunità? Se poi di fronte al tramonto del dollaro come moneta affidabile di riferimento si pone il problema del “che fare?” è possibile che la questione delle competenze della Comunità e degli Stati membri si mantenga immutata nei termini in cui essa si poneva ai tempi della CECA e del Trattato CEE, concepite quando il sistema di Bretton Woods era ancora intatto? Non è possibile. Questo spiega perché la sussidiarietà, dal livello implicito degli anni sessanta passi, alla metà degli anni settanta, dopo la crisi del 1973 e contemporaneamente all’ esperienza del “serpente monetario”, a un livello di esplicitazione nel suo senso potenzialmente politico. 37 Capitolo 3. Integrazione europea e sussidiarietà ‘esplicita’: il Rapporto della Commissione e il Rapporto McDougall I fatti che portano all’ordine del giorno la lettura del rapporto fra Stati membri e Comunità nei termini del principio di sussidiarietà (rapporto che, come abbiamo visto, è il punto cruciale della situazione sussidiaria), sono le turbolenze monetarie dell’ultimo triennio degli anni sessanta. In quest’ambito, infatti, è chiaro, a fronte della crisi del coordinamento monetario e poi, della fine del Gold Standard, che le misure seguite fino a quel momento nella Comunità non sono sufficienti a garantire la costruzione di una zona europea di stabilità monetaria.101 Se il “Piano Werner” insiste con particolare vigore sulla necessità di istituzioni sovranazionali per il governo dei rapporti tra le monete esso lo fa nella piena consapevolezza di toccare un tasto molto importante sul piano politico. In effetti, la crisi innescatasi già a partire dal 1967 aveva chiarito che la PAC non era sufficiente a garantire da sola la fissità dei cambi. La situazione creatasi a partire dal 1971 e sviluppatasi attraverso le controverse vicende del “serpente monetario” premeva oggettivamente verso una soluzione dei problemi nei termini di una chiara ripartizione dei compiti fra Comunità e Stati membri proprio sul problema dei rapporti monetari. Dire rapporti monetari significa però dire anche rapporti fra le differenti politiche economiche, le differenti politiche di bilancio. Il dibattito annoso tra “economisti” e “monetaristi” faceva vedere, in fondo due angoli visuali opposti del medesimo problema: l’armonizzazione doveva partire dalla fissazione di una unità monetaria, oppure dalla convergenza delle politiche economiche? In ogni caso, il punto d’approdo della disputa era pur sempre quello del rapporto fra Comunità e Stati membri e quello della decisione politica dal punto di vista della ripartizione dei poteri. Non a caso i documenti che esamineremo tengono bene in 101 Su questo momento della storia della Comunità, tra la folta bibliografia, cfr. B. ANSIAUX- M. DESSART, Dossier pour l’histoire de l’Europe monetaire 1958-1973, Bruxelles-ParisLouvain,Vander Nauwelaerts , 1974, pp. 50-63; H. UNGERER, A Concise History of European Monetary Integration. From EPU to EMU, Quorum Books, Westport, Connecticut-London, 1997, pp. 88-95; 97-106. 38 vista un “oggetto” eminentemente politico, l’Unione vista come sviluppo politico della Comunità. Il 26 giugno 1975 il presidente della Commissione François-Xavier Ortoli invia al presidente in carica del Consiglio Europeo Liam Cosgrave il Rapporto della Commissione sull’Unione Europea.102 Al vertice di Parigi del 1974, il Consiglio Europeo aveva incaricato la Commissione, la Corte di Giustizia e il Parlamento Europeo di redigere un rapporto sull’Unione Europea assegnando al primo ministro belga Leo Tindemans il compito di stilare un rapporto finale. Nonostante in precedenza non si sia mai parlato in sede ufficiale del principio di sussidiarietà, il rapporto della Commissione fa del principio la chiave di volta che avrebbe dovuto essere utilizzata “durante la fase costitutiva dell’Unione Europea come criterio-guida nell’attribuzione delle competenze.”103 Analogamente il Rapport du groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration européenne104 (redatto tra aprile 1975 e marzo 1977 su richiesta della Commissione da un gruppo di economisti indipendenti sotto la presidenza di Sir Donald McDougall e citato talvolta come Rapporto McDougall), pur senza appellarsi esplicitamente al principio, fissava un dispositivo (lo spill-over test) che permetteva di stabilire quale tipo di politica economica si dovesse attribuire, in virtù della intensità dei suoi effetti transfrontalieri, alla Comunità, applicando nel concreto il criterio di base della sussidiarietà. Perché accade questo? Perché il problema che travaglia la Comunità è quello dello sviluppo di istituzioni in grado di gestire sovranazionalmente gli aspetti della vita comunitaria che, per la loro estensione transnazionale, lo richiedono e di fare questo senza ledere inutilmente il terreno delle prerogative sovrane degli Stati membri. Il concetto di sussidiarietà teorizza, in tutte le sue varianti, un potere noninvasivo, un potere genuinamente federale.105 E’ un’immagine, questa, trasversale rispetto alla distinzione fra la cultura cattolica e la cultura laica francese,106 ben 102 Rapporto della Commissione sull’Unione Europea, “Bollettino delle Comunità Europee”, Supplemento 5/75. 103 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 38. 104 Commission des Communautés Européennes, Rapport du groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration européenne, vol. I: Rapport général; vol. II: Contributions individuelles et documents de travail, Collection Études, Sèrie économie et finances n. A 13, Bruxelles, avril 1977. 105 Cfr. H. BRUGMANS, La pensée politique du Fédéralisme, Leyde, A.S. Sijthoff, 1969, pp. 65-81. 106 Cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit., pp.154-155. 39 noto alla cultura giuridico-politica tedesca.107 Diversa perché più legata all’impostazione funzionalistica è l’impostazione del “Rapporto McDougall”. Tuttavia, sia il Rapporto della Commissione, sia il “rapporto McDougall” parlano di una situazione, quella della Comunità, per così dire, ad alta intensità sussidiaria. I due rapporti deducono in maniera non sempre esplicita dal contenuto dei trattati la norma che deve guidare il rapporto fra Stati membri e Comunità agganciandola al problema politico di un processo di integrazione cresciuto troppo per poter essere proseguito, a fronte delle sfide congiunturali, su di un piano meramente economico e senza strumenti politici in senso pieno.. Ciò di cui si tratta è il passaggio dalla Comunità all’Unione (Rapporto della Commissione del 1975) e il passaggio dallo stadio dell’”integrazione prefederale” a quello dell’ “integrazione federale” nel quadro di un fiscal federalism (fédéralisme financier), vale a dire la trasformazione della Comunità in soggetto politico in senso pieno (nel Rapport du groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration européenne). Da due angoli visuali diversi, l’oggetto contemplato è il medesimo. Se non stupisce la presenza del principio di sussidiarietà, come principio implicito, silente (perché tale era il modo di affrontare la questione nei documenti ufficiali della Comunità fino a quel momento), ma decisivo nel Rapport steso dal gruppo di riflessione presieduto da MCDougall del 1977 (esso si riferisce esplicitamente e analiticamente alle esperienze federali di Repubblica Federale Tedesca, Stati Uniti d’America, Canada, Australia e Svizzera108), indubbiamente incuriosisce l’utilizzo del principio nel Rapporto della Commissione del 1975. La Lettera di trasmissione che introduce il Rapporto afferma con chiarezza che “L’Unione europea (…) esigerà strutture efficienti e mezzi idonei, che non si realizzeranno – le difficoltà lo dimostrano – senza un ritorno al principio fondamentale della Comunità: organizzare la costruzione europea mediante l’attribuzione di competenze a istituzioni comuni, là dove tali competenze consentano meglio di provvedere alla prosperità e al progresso dell’Europa, e alla sua influenza nel mondo.”109 Il principio di attribuzione delle competenze – più avanti identificato con il principio di sussidiarietà – è funzionalizzato alla 107 Cfr. ID., Il federalismo, cit., pp.137-141; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 19 ss. Su questi modelli federali cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit.; sulla Repubblica Federale Tedesca e sugli Stati Uniti d’America cfr. anche D’AGNOLO, La sussidiarietà, pp. 18-37. Utili prospetti si trovano anche in A. Duff (a cura di) Subsidiarity Within the European Community, Federal Trust, London, 1993, pp. 74-77 (Germania). 109 Rapporto, cit., p. 5. 108 40 creazione di un’Europa-soggetto politico in senso pieno; ma questo non basta: si afferma anche che tale principio è il principio fondamentale della Comunità, con riferimento esplicito all’intera storia dell’integrazione. Ciò equivale a fare del principio di sussidiarietà il fondamento della spinta a un’integrazione politica e a giudicare quest’ultima, riprendendo la prospettiva di Monnet e Schuman, come il télos dell’intera vicenda della costruzione europea. La sussidiarietà di cui si parla qui ha più a che fare con quello che la Comunità è stata ed è divenuta, che con il concetto di cui abbiamo notizia dalla storia delle dottrine politiche. Qui non è in gioco il rapporto fra cittadini e Stato, né il rapporto fra entità substatali e Stato, ma il rapporto fra Stati e sovranazionalità nei termini in cui esso si è andato configurando dai primi passi della CECA fino al momento in cui è stato stilato il rapporto. La Commissione non auspica soltanto che gli Stati membri “riconoscano che la Comunità è il quadro nel quale devono ritrovarsi per vincere la battaglia contro l’inflazione e la recessione e che essa è il punto di passaggio obbligato della cooperazione internazionale,” ma afferma che è necessario “restituire alle istituzioni comunitarie il loro vigore e renderle al più presto più democratiche.”110 Nel momento in cui la Comunità attraversa una fase di smarrimento conseguente alle crisi economiche del 1971 e del 1973 non è un caso che ci si appelli al principio di sussidiarietà: l’avvio nel 1975 della politica regionale (gli interventi a favore delle aree economicamente più arretrate nei paesi membri), il potenziamento degli interventi del Fondo Sociale Europeo (riguardo al finanziamento di programmi di ingresso e di reinserimento nel mondo del lavoro) sono segni di politiche che procedono in senso oggettivamente sussidiario, in veste di interventi completivi rispetto alle politiche degli Stati membri. Ridare vigore alle istituzioni comunitarie significa affrontare il problema della ripartizione delle competenze. Il Rapporto111 lo fa con decisione partendo dalla constatazione che “è logico ritenere che possano competere all’Unione quei campi che sono o potranno essere oggetto di una cooperazione organizzata e permanente tra l’insieme degli Stati membri.”112 Bisogna di certo tenere conto della formidabile spinta politica contraria all’accentramento del potere in tutti gli Stati della Comunità:113 “Per la Commissione, il processo di trasferimento di alcune 110 Rapporto, cit., p. 6. Sul Rapporto cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 38-41. 112 Rapporto, cit., p. 9. 113 Rapporto, cit., p. 9. 111 41 competenze al livello europeo non può e non deve mettere in pericolo l’attuazione di un più ampio decentramento.”114 L’Unione va pertanto intesa come “coesione,” termine usato non a caso per indicare l’esatto contrario di una unione monolitica. Questo tertium quid tra unione ‘monolitica’ e la vecchia ‘anarchia nei rapporti interstatali di potenza’ impone il ripensamento del rapporto tra Stati e Comunità:115 “L’Unione europea al pari delle Comunità attuali, non deve portare alla creazione di un superstato accentratore. Di conseguenza, e conformemente al principio di sussidiarietà, verranno attribuite all’Unione soltanto quelle funzioni che gli Stati membri non potranno svolgere (…) L’Unione avrà dunque una competenza di attribuzione: ciò significa che i settori di sua competenza saranno determinati nell’atto costitutivo, mentre gli altri resteranno riservati agli Stati membri.”116 Le competenze attribuite all’Unione potranno essere di tre tipi: esclusive, concorrenti o potenziali. Il principio di sussidiarietà “trova un limite nella necessità che l’Unione abbia competenze sufficienti a garantirne la coesione.” Il principio vale dunque come forza politica antiaccentratrice che, per non avere una funzione disgregatrice, deve essere limitato dal senso di appartenenza a una stessa compagine, plurale, ma unitaria. Sarà competenza esclusiva dell’Unione, a esempio, la politica commerciale che per sua natura non può che essere gestita nel suo complesso che da istituzioni sovranazionali. Un’altra sfera di competenze, quella delle “competenze concorrenti,” prevede l’intervento dell’Unione “soltanto in funzione della necessità.”117 Infine sono previste competenze per le quali “l’ampiezza e la natura dei poteri dell’Unione e la data dalla quale essa potrà esercitarli dovrebbero essere oggetto di un’ulteriore decisione secondo speciali modalità.”118 Queste ultime sono le “competenze potenziali”. La logica secondo la quale vengono attribuite le competenze è facilmente individuabile attraverso il concetto di “esternalità”: quanto maggiori sono gli effetti transfrontalieri di una politica di cui l’Unione abbisogna per realizzare le finalità fissate intergovernativamente nei trattati, tanto maggiore è la legittimità della 114 Rapporto, cit., p. 10. In questo documento ‘Comunità’ e ‘Unione’ vengono usati significativamente come termini sinonimi. Va ricordato che l’espressione “Unione Europea” fu usata forse per la prima volta nel comunicato del vertice di Parigi del 1972; la paternità dell’espressione è fatta risalire da OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 177, a Georges Pompidou e il suo significato valeva “riorganizzazione «razionale» dei rapporti tra gli Stati membri della Comunità.” Nel Rapporto della Commissione, tuttavia, il senso dell’espressione non pare essere soltanto questo. 116 Rapporto, cit., p. 10 117 Rapporto, cit., p. 11. 115 42 rivendicazione esclusiva di tale politica da parte sua; all’opposto, quanto minori sono gli effetti transfrontalieri di una politica in seno all’Unione, tanto maggiore è il diritto degli Stati membri di rivendicarla a sé come esclusiva. Dato che anche una politica locale può in determinate congiunture, oppure per determinati aspetti, avere effetti transfrontalieri, l’Unione può limitarsi in merito a una legislazionequadro che definisca i limiti degli interventi, suoi e degli Stati membri. Questa logica è complementare con il principio di base della sussidiarietà: che l’azione amministrativa venga svolta dal livello più vicino possibile al cittadino. Non si può infatti tenere conto soltanto dell’esigenza del decentramento quando si tratta di affrontare problemi la cui rilevanza non è soltanto locale o nazionale. Non si può peraltro negare che i deficit di democrazia di cui soffre al momento la Comunità possano far deviare questo principio verso una strada di gestione puramente tecnocratica del potere (dal lato della Commissione) e meramente intergovernativa (dal lato del Consiglio dei Ministri). E’ un rischio che lo stesso Rapporto paventa, sia pure soltanto per accenni. Il Rapport del 1975-1977119 ha il suo luogo centrale nell’assunzione come modello delle economie integrate degli Stati federali; in base a questo modello le Comunità risultavano essere uno stadio pre-federale nel quale – l’esempio era quello degli Stati Uniti d’America - non risultava necessario, dato l’alto livello di integrazione, realizzare una completa armonizzazione fiscale. Nell’ambito del processo di integrazione sono d’importanza cruciale l’individuazione di quei settori della politica economica che devono essere gestiti direttamente al livello comunitario. E’ pertanto di importanza decisiva stabilire quali settori della politica economica debbano essere di competenza della Comunità. Ma, a questo scopo occorre un metodo preciso per decidere. Il Rapport precisa che “L’intervention de la Communauté se justifie lorsqu’elle permet de réaliser «économies d’echelle» et, notamment, de lui conférer un plus grand poids dans la négociation avec les pays tiers (…) Ensuite la Commmunauté est fondée à intervenir lorsqu’une évolution localisée dans une partie de la Communauté a des effets qui «débordent» sur d’autres, voire sur l’ensemble des autres parties.”120 In altri termini, per stabilire che cosa compete alla Comunità e che cosa compete invece agli Stati membri è 118 Ibid. Cfr. in merito G. DENTON, Reflections on Fiscal Federalism in the EEC, in “Journal of Common Market Studies”, 1978, pp. 283-301; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 41-43. 120 Rapport, cit., p. 14. 119 43 fondamentale lo spill-over test: va condotta a livello comunitario quella politica i cui effetti transnazionali sono più intensi. La Comunità svolge con ogni evidenza, qui, una funzione completiva, sussidiaria; “l’administration fédérale est en général amenée à agir ainsi perce que les avantages découlant de la fonction considérée débordent, dans des proportions appréciables, le territoire dont l’administration de niveau inférieur a la charge (ce phénoméne est connus sous le nom d’effets externes ou de «débordement»).”121 Le sovvenzioni del Fondo Regionale, del Fondo Sociale e della sezione di “Orientamenti” del Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEOGA) appartengono tutte ai compiti completivi della Comunità. Le economie di scala e gli interventi completivi richiedono azioni sussidiarie perché i loro effetti si fanno sentire in tutti gli Stati membri. La sussidiarietà deriva qui, direttamente, da necessità tecniche: “L’interdépendence de plus en plus étroite des économies nationales, qui résulte de l’intensification des échanges commerciaux, des mouvements de capitaux et des phénomenes de transmission internationale croissante de la Communauté dans la régulation générale de l’activité économique. Plus les économies des Etats membres sont ouvertes sous ces trois aspects, plus les instruments de politique économique nationale perdent de leur efficacité.”122 Si tratta della traduzione in uno schema di razionalità di azione della pratica usuale delle Comunità, a partire dalla CECA. Tale schema sembra inevitabilmente incarnare la razionalità di un superstato, anche se non è una decisione meramente politica a guidare in questa direzione, ma è lo sviluppo economico delle interdipendenze che chiede di essere guidato. L’alternativa è l’anarchia economica, cioè la disgregazione della coesione comunitaria. Il Rapport stilato da Leo Tindemans123 nel capitolo V (Le renforcements des Institutions) riconosce che il ritorno a pratiche di cooperazione intergovernativa non offre alcuna soluzione ai problemi dell’Europa; al contrario, soltanto un rafforzamento dell’apparato istituzionale comune potrebbe farlo. Realizzare l’Unione europea implica lo sviluppo di istituzioni comuni dotate dell’autorità 121 Rapport, cit., p. 43. Rapport, cit., p. 59. 123 Cfr. L’Union Européenne. Rapport de M. Leo Tindemans, Premier Ministre de Belgique, au Conseil Européen, “Textes et Documents. Collection «Idées et Études»” n. 306, Ministere des Affaires Etrangères, du Commerce Extérieur et de la Coopération au Developpement, Bruxelles, 1976. 122 44 necessaria a definire una politica comune e un’azione comune.124Le proposte avanzate da Tindemans sottolineano innanzitutto la necessità del riconoscimento da parte de Consiglio del potere di iniziativa al Parlamento europeo e del suo potere di deliberare su tutte le questioni che sono di competenza dell’Unione.125 Il Consiglio europeo dovrà determinare l’orientamento generale e coerente dell’Unione prendendo decisioni nell’ambito comunitario secondo le disposizioni dei trattati, con la presenza della Commissione; negli altri casi dovrà decidere in modo che le sue decisioni possano servire come linee direttrici a coloro che sono incaricati di eseguirle.126 Per ciò che concerne il Consiglio dei ministri il Rapport suggerisce di realizzare una maggiore coerenza tra le attività dei “Conseils spécialisés,” di trasformare in pratica corrente il voto maggioritario quando si tratta di questioni appartenenti all’ambito comunitario e di rafforzare l’autorità della Presidenza per conferire maggiore continuità alla sua azione.127 Quanto al ruolo della Commissione Tindemans propone di servirsi con maggiore energia dell’art. 155 del Trattato che istituisce la CEE che prevede la possibilità di conferire competenze alla Commissione; la Commissione dovrebbe agire con poteri analoghi a quelli posseduti dall’Alta Autorità della CECA.128 Nel Rapport di Tindemans, come si vede, il principio di sussidiarietà non gioca alcun ruolo. La sussidiarietà proposta dalla Commissione nel 1975 era una sussidiarietà prevalentemente politica e tale da mettere, almeno in parte, in discussione indirettamente il "Compromesso del Lussemburgo;" tuttavia, l’insistenza sull’esigenza di rafforzare le istituzioni comunitarie mostrava, sotto traccia, quanto Tindemans avesse presente il nodo di problemi che scaturiva dal Rapporto della Commissione.129 Rimasto all’ordine del giorno per quattro sessioni del Consiglio Europeo, tra il 1976 e il 1977, il Rapport non ebbe fortuna immediata. Come nota Olivi,130 “l’iniziale fervore giscardiano di «cambiamento» era stato spento dalle preoccupazioni politiche ed economiche di una situazione che si andava via via aggravando: era già stato rischioso dar via libera all’elezione a suffragio diretto del Parlamento europeo, difficilmente digeribile dai rivali 124 Ibid., p. 45. Ibid., p. 46. 126 Ibid., pp.47-48. 127 Ibid., pp. 48-49. 128 Ibid., pp. 49-50. 129 Per queste ragioni è forse troppo severo il giudizio dato da OLIVI sul Rapport di Tindemans che parla di “prudenza estrema”, ma nel senso di “reticenza,” L’Europa difficile, cit., p. 178. 130 OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 178. 125 45 gollisti della sua maggioranza, mentre si avvicinavano pericolose scadenze elettorali minacciate da un’opposizione che sembrava sulla via del successo”; inoltre la Comunità non era, in quel momento, al centro dell’interesse del governo tedesco e gli Inglesi non avevano interesse ad appoggiare iniziative di rilancio dell’Unione europea. Tuttavia, gli Stati membri della Comunità, nota Gilbert,131 avrebbero attinto al Rapporto Tindemans “a piccoli sorsi nei successivi quindici anni fino a quando, con il trattato di Maastricht, si diede forma a un’Europa simile a quella prefigurata dallo statista belga.” Il Rapporto Tindemans non è in linea con la situazione del momento, ma precorre i tempi. Sia il Rapporto del 1975, sia il Rapport del 1975-1977 da un lato tirano le somme del processo di integrazione, dall’altro non possono non prospettarsi uno sviluppo politico della Comunità: la decisione in ambito economico è inevitabilmente decisione anche in ambito politico. L’interdipendenza economica richiede un’autorità gestionale che per la natura delle cose stesse che deve gestire è sovranazionale. Soprattutto le vicende del “serpente monetario” lo hanno dimostrato: l’integrazione economica richiede, a un certo livello del proprio sviluppo, un’autorità politica, sia pure di politica economica, in grado di amministrare un processo che per la sua configurazione è sovranazionale. L’economia preme per una guida politica: per sua natura essa non è in grado di affrontare i numerosi problemi giuridici sollevati dal processo di internazionalizzazione, i problemi della stabilità monetaria. Fare questo è compito della politica, cioè di una téchne architettonica. Ma il livello politico della Comunità è in mano a una gestione intergovernativa, vale a dire, per sua natura non in grado di gestire unitariamente, e in modo completivo, sussidiario, i problemi che sorgono dallo sviluppo dell’integrazione. 131 Cfr. GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit, p. 114. 46 Capitolo 4. Verso Maastricht L’obiettivo dell’Unione europea, già proposto nel Rapporto Tindemans, riemerge nel piano italo-tedesco proposto al Parlamento europeo nel novembre del 1981. Qui esso era legato al coordinamento nella politica estera e di sicurezza, all’avvio di una collaborazione in campo giudiziario e culturale e alla modifica delle procedure decisionali per dare maggiore spazio al Parlamento europeo. Integrazione economica e cooperazione politica sarebbero dunque confluite nell’Unione europea. Il piano ispirò la Dichiarazione solenne sull’Unione europea adottata dal Consiglio europeo di Stoccarda (il 19 giugno 1983).132 Gli anni che vanno dal 1975 al 1983 vedono, tuttavia, un graduale eclissarsi dell’idea di un’Unione Europea; ma i caratteri reali della situazione sussidiaria si consolidano soprattutto attraverso la realizzazione del Sistema monetario europeo (SME, varato nel dicembre 1978 ed entrato in funzione nel marzo 1979). Esso comportava una stretta cooperazione tra i governi dei paesi membri corroborata dall’impulso franco-tedesco e riproponeva il problema di istituzioni sovranazionali di governo delle monete.133 Ma appunto: a questo corpo economico mancava una testa politica sovranazionale. Questa mancanza, questa esigenza spiega i tentativi di progettare una Unione Europea, una Unione politica, fondata sul principio di sussidiarietà, come avvenne con il Progetto di Trattato dell’Unione europea134 ispirato da Altiero Spinelli.135 Il progetto fu approvato dal Parlamento a larga maggioranza: con quest’approvazione il Parlamento rivendicava sostanzialmente una funzione costituente saltando le procedure del negoziato fra gli Stati membri. Esso contiene una lettura in senso politico del principio di sussidiarietà: la sussidiarietà, già nel Preambolo, è 132 Il testo quasi completo della Dichiarazione solenne si legge in LEVI-MORELLI, L’Unificazione europea, cit., pp. 237-242. 133 Cfr. J. VAN YPERSELE- J.-C. KOEUNE, Il sistema monetario europeo. Origini, funzionamento e prospettive, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1985. 134 Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea, “Bollettino delle Comunità europee”, n. 2, 1984, pp. 7-27; il progetto preliminare è stato pubblicato in “Bollettino delle Comunità europee”, n. 9, 1983, pp. 7-26. 135 Sulla genesi del Progetto ben presto denominato “Progetto Spinelli” cfr. A. SPINELLI, Diario europeo, vol. III, 1976-1986, Bologna, Il Mulino, 1992. 47 presentata come il criterio da seguire per l’attribuzione delle competenze alle istituzioni della Comunità. Si tratta, dunque, di un principio architettonico, politico, secondo le linee emerse nel Rapporto del 1975 e del tutto coerente con l’impostazione del Rapport del 1975-1977. Leggiamo, infatti, nel Progetto che le parti affidano a istituzioni comunitarie “conformemente al principio di sussidiarietà” soltanto le competenze necessarie ad assolvere i compiti che esse avrebbero potuto realizzare in modo più soddisfacente che non gli Stati isolatamente.136 Il principio è il fondamento dell’Unione europea. Se si guarda la Risoluzione del Parlamento europeo sul progetto preliminare del trattato che istituisce l’Unione europea137 si vede che il principio di sussidiarietà guida la realizzazione dello sviluppo dell’economia dei popoli europei nella stabilità “rafforzando la capacità dei suoi Stati membri, dei suoi cittadini e delle loro imprese di adeguare le loro strutture e le loro attività alle mutazioni economiche contemporanee;” di elaborare e attuare le politiche strutturali e congiunturali dell’Unione finalizzate all’eliminazione degli squilibri esistenti fra le sue diverse aree e regioni; di rendere gli Stati membri capaci “di rispondere congiuntamente e solidariamente alle nuove sfide di ordine tcnologico, finanziario, monetario e di altro tipo alle quali tutti si trovano confrontati;” a promuovere uno sviluppo umano e armonico della società, cercando di raggiungere la piena occupazione, condizioni di vita approssimativamente comparabili in tutte le regioni e un alto livello di giustizia sociale, “di realizzare dei rapporti ecologicamente corretti con l’ambiente, di sostenere e di rafforzare lo sviluppo scientifico e culturale dei suoi popoli; “ allo sviluppo armonico e giusto di tutti i popoli del mondo per permettere loro di uscire dal sottosviluppo e dalla fame e di esercitare pienamente i loro diritti politici, economici e sociali;” a promuovere con la sua azione internazionale” la sicurezza, la pace, la cooperazione, il disarmo e la libera circolazione delle persone e delle idee;” a permettere la partecipazione, secondo forme appropriate, “delle collettività locali e regionali alla costruzione europea;” a prendere “le misure necessarie alla creazione e allo sviluppo di un civismo europeo.” 136 Progetto, cit., p. 9. L’importanza funzionale del principio di sussidiarietà nel progetto non ci sembra minore se si prende atto di quanto afferma M. BURGESS, Federalism and European Union: the Building of Europe, 1950-2000, London-New York, 2000, p. 230: “Altiero Spinelli, who initiated the EP’s struggle for European Union in the early 1980s, did not care much for the principle of subsidiarity and agreed to incorporate it in the draft treaty only at the insistence of the Christian Democrats.” 137 Risoluzione del Parlamento europeo sul progetto preliminare del trattato che istituisce l’Unione europea, “Bollettino delle Comunità europee”, n. 9, 1983, p. 9. 48 Questo paragrafo prova che il principio di sussidiarietà è implicitamente inteso come la chiave di volta della futura Unione europea. Nel Progetto approvato dal Parlamento europeo il medesimo concetto è sviluppato in forma più compendiata e più vicina al Rapporto del 1975: “L’Unione agisce esclusivamente per svolgere i compiti che in comune possono essere svolti più efficacemente che non dai singoli Stati membri separatamente, in particolare quelli la cui realizzazione richiede l’azione dell’Unione giacché le loro dimensioni o i loro effetti oltrepassano i confini nazionali.”138 Il principio di sussidiarietà si concretizza qui nella logica della esternalità che abbiamo già visto nel Rapporto del 1975 e nel Rapport del 1975-1977. Non si tratta di un principio meramente ideologico, ma di un principio conforme alla natura stessa di un sistema sovranazionale, nato dall’integrazione di componenti un tempo ben separate le une dalle altre e dotate di identità ben definite da secoli di storia politica e istituzionale. L' azione comune e la cooperazione fra gli Stati membri erano due tra i più importanti mezzi per la realizzazione degli obiettivi stabiliti nel Preambolo; se il primo comportava un accentramento decisionale notevole rispetto al secondo,139 il principio di sussidiarietà costituiva una cerniera che connetteva i due metodi come articolazioni di un insieme, un sistema plurale. L’art. 11 del Progetto prevedeva inoltre che le materie comprese nel campo della cooperazione interstatale divenissero oggetto di azione comune – ma non l’inverso.140 Nel Progetto, rispetto alla Risoluzione e al Rapporto del 1975, mancavano le competenze potenziali dell’Unione, mentre, riguardo alle competenze concorrenti, nell’art. 12, comma 2 del Progetto (art. 15 della Risoluzione) il principio ricompariva, sia pure in forma non esplicita. In ambito di politica del credito, compito dell’Unione sarebbe stato quello di coordinare il ricorso al mercato dei capitali; in ambito di relazioni internazionali dell’Unione la distinzione tra azione comune e cooperazione veniva ripresa sempre lasciando spazio all’intervento dell’Unione qualora le politiche estere degli Stati membri non fossero risultate sufficientemente idonee a realizzare le finalità dell’Unione. Ciò significava preconizzare uno Stato federale europeo fondandosi su una interpretazione politica del principio di sussidiarietà. Proprio questa fu la ragione, almeno parziale, del fallimento della ratifica del Progetto da parte degli Stati membri: il timore dell’accentramento. Se il principio di 138 139 Progetto, cit., p. 11. Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 44 e n. 163. 49 sussidiarietà è inteso in modo meramente giuridico, esso può funzionare anche in una realtà intergovernativa o confederale; ma se lo si intende come principio politico, esso porta a un ordinamento federale. Va rilevato che fino a questo momento l’orientamento verso un’interpretazione politica del principio di sussidiarietà è caratteristico della Commissione e, grazie all’impulso di Spinelli, del Parlamento europeo, non a caso le due istituzioni a carattere maggiormente sovranazionale. Non è neppure un caso che la Commissione sia, in certo modo, erede delle funzioni sovranazionali dell’Alta Autorità della CECA. Nel 1984 la realtà politica preme in molteplici modi sull’assetto delle Comunità europee, ma in modo particolare preme perché i paesi membri si diano un assetto monetario più organico: dal marzo 1979 è in funzione lo SME, che obbliga a una ripartizione sussidiaria delle competenze in materia di politica monetaria. L’Unità Europea di Conto (European Currency Unit, ECU, espressione delle parità delle valute comunitarie) comporta rapporti di cambio tra le valute che obbligano i paesi membri a seguire una politica monetaria comune (sono ammesse oscillazioni soltanto del 2, 25%, a eccezione dell’Italia alla quale viene consentita una banda di oscillazione del 6%); soltanto con l’accordo unanime dei partecipanti si possono ritoccare le parità. Una rete di facilitazioni creditizie interne alla Comunità rendono il sistema più solido del “serpente monetario,” ma al tempo stesso i singoli paesi devono contribuire al Fondo di cooperazione monetaria con il 20% delle loro riserve in oro o in dollari. Se questo non impedisce che si realizzi una netta divisione fra monete forti (marco e fiorino) e monete deboli (lira italiana e franco francese), un nesso sovranazionale lega tutte le monete della Comunità; l’interconnesione franco-tedesca, peraltro continua a essere il motore del processo di integrazione. Al vertice di Parigi del 1974 la regolarizzazione, l’istituzionalizzazione delle riunioni dei capi di Stato e di governo, con la partecipazione dei ministri degli Esteri, nella forma del Consiglio europeo sta indubbiamente a indicare che si riconosce il rilievo delle materie di deliberazione comunitaria, anche se si ritiene di doverle gestire in chiave integrovernativa. La Comunità non va verso un ordinamento federale; essa presenta, piuttosto, una anomalia: l’ambito economico mostra un assetto prefederale, mentre l’ambito politico mostra un assetto intergovernativo. Sul piano istituzionale, la prerogativa dell’iniziativa legislativa spetta a un organo 140 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 44-45 e n. 165. 50 sovranazionale (la Commissione), mentre il potere esecutivo e legislativo è nelle mani di un organo intergovernativo (il Consiglio dei Ministri) e l’orientamento generale della Comunità dipende da un altro organo parimenti intergovernativo (il Consiglio europeo); l’altro organo sovranazionale, il Parlamento europeo, ha limitati poteri di tipo consultivo. In questo quadro, il principio di sussidiarietà può facilmente essere concepito come tutela della sovranità degli Stati membri dal Consiglio (dei Ministri ed europeo) e come tutela dei poteri della Comunità (dalla Commissione e da rilevanti settori del Parlamento europeo). Ora le due interpretazioni, quella giuridica e quella politica, del principio diventano gli indici di una dialettica interistituzionale. La differenza ora è chiara: affermare che il principio di sussidiarietà serve unicamente a disciplinare l’articolazione delle competenze stabilite nei trattati, equivale a ricondurre il rapporto Stati membriComunità alle disposizioni maturate per via intergovernativa; affermare invece che il principio di per sé contiene il discrimine fra ciò che compete alla Comunità e ciò che compete agli Stati membri significa sottrarre l’attribuzione di competenze al solo controllo operato dalla sfera intergovernativa e fondarlo sulla sovranazionalità. Frattanto, l’esigenza di realizzare il completamento del mercato interno entro il 1992 visto come tappa per l’unione monetaria, affermata nel Libro bianco della Commissione presieduta (dal 1985) da Jacques Delors e dal “Comitato Dooge” stimola a considerare ineludibile l’esigenza di preparare un nuovo trattato che aggiorni il Trattato che istituisce la CEE del 1957. Il “Comitato Dooge” suggerisce la convocazione, a questo scopo, di una Conferenza Intergovernativa. Ma il Comitato propone innovazioni istituzionali che avrebbero dilatato le competenze degli organi comunitari a scapito dei governi nazionali; è, del resto, inevitabile che in una Comunità a dodici paesi i meccanismi decisionali non possano strutturarsi sui rapporti intergovernativi e sul vincolo dell’unanimità, ma debbano aprirsi a una dilatazione delle funzioni sovranazionali. Se da un lato la Gran Bretagna del premier Margareth Thatcher preme per la liberalizzazione commerciale e finanziaria, dall’altro lato essa si oppone a qualsiasi governo politico della dinamica economica che, così, viene a configurarsi. Il mercato comune europeo non ha la fisionomia di una mera “area di libero scambio” e abbisogna di adeguate istituzioni che gli permettano di funzionare; ma questo non può avvenire senza drastiche limitazioni delle politiche economiche degli Stati membri; limitazioni 51 che, d’altronde, sono imposte dall’incipiente processo di globalizzazione (sicché per gli Stati membri l’alternativa pare essere: perdere parte della loro autonomia a vantaggio della Comunità, oppure perderla a vantaggio dei processi di globalizzazione). La CIG per la preparazione del nuovo trattato sulla cooperazione in politica estera e di sicurezza e per la definizione delle modifiche ai trattati in vigore passa, al Consiglio europeo di Milano (giugno 1985) con l’opposizione di Gran Bretagna, Danimarca e Grecia. La CIG che si apre a Lussemburgo nel settembre 1985 porta alla firma nel febbraio del 1986 dell’Atto Unico Europeo (AUE).141 Significativamente esso riunisce in un solo testo sia le disposizioni sulla cooperazione in materia di politica estera, sia quelle sul mercato, sulle politiche comunitarie e sulle istituzioni della Comunità: segno che si intende indicare l’unità fra esiti dell'integrazione economica e prospettive di integrazione politica. Delors,142 artefice dell’AUE, ha ribadito a più riprese, tra il 1985 e il 1989,143 la centralità del principio di sussidiarietà, sottolineandone l’aspetto anti-centralistico e rifacendosi alla tradizione del cattolicesimo socialista francese e in particolare al pensiero di Emmanuel Mounier.144 Tuttavia, anticentralismo non significa di certo ostilità di principio a una concezione federalistica della statualità sovranazionale.145 In altri termini, la sussidiarietà presuppone “un’organizzazione della società in gruppi e non la sua atomizzazione in individui.”146 Ciò che sono gli individui nella società, in questo passo di Delors risalente al 1991, lo sono gli Stati membri nella Comunità. In merito allo sviluppo in senso federale del principio di sussidiarietà, tuttavia, l’AUE non dice direttamente molto. Certo, l’istituzione, in merito alle deliberazioni riguardanti il mercato, di una procedura di cooperazione tra il Consiglio dei Ministri e il Parlamento ha il sapore di una soluzione salomonica, se paragonata alla generale impostazione sovranazionale del Preambolo del “Progetto Spinelli” e del Rapporto della Commissione del 1975; l’introduzione del voto a 141 Il testo dell’AUE si legge in TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 86-99. Su Delors cfr. la monografia di C.G. ANTA, Il rilancio dell’Europa. Il progetto di Jacques Delors, Milano, Angeli, 2004. 143 Cfr. M. BURGESS, Federalism and European Union: the Building of Europe, 1950-2000, London-New York, Routledge, 2000, pp. 231-232. 144 Cfr. ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., pp. 87-92. 145 Ivi, p. 89: nel pensiero deloriano “la sussidiarietà non rappresenta solo un limite all’intervento di un’autorità superiore nei confronti di una persona o collettività, quando sono in grado di agire da sole, ma è anche un obbligo per questa autorità di intervenire nei confronti di tali soggetti offrendo loro i mezzi necessari per realizzarsi.” 146 Il brano è citato da ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., p. 89. 142 52 maggioranza qualificata in seno al Consiglio dei ministri sui provvedimenti relativi all’instaurazione e al funzionamento del mercato interno indebolisce la logica meramente intergovernativa, ma su un terreno sul quale, vista l’interpenetrazione delle economie dei paesi membri,147 sarebbe molto difficile mantenerla intatta. E’ invece sul terreno della politica ambientale che si fa strada il principio di sussidiarietà. Il che ha una sua logica: la politica dell’ambiente, per sua natura, ha un alto tasso di “esternalità”, per usare il concetto del “Rapporto McDougall”. Nell’articolo 130R, quarto comma, leggiamo:148 “La Comunità agisce in materia ambientale nella misura in cui gli obiettivi di cui al paragrafo 1 possono essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri.” Il paragrafo 1 recita: “L’azione della Comunità in materia ambientale ha l’obiettivo: - di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente; - di contribuire alla protezione della salute umana; - di garantire un’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.”149 Il criterio implicito è la regola della “esternalità.” Per l’adozione di un atto comunitario in materia ambientale, l’art. 130 S150 stabilisce che Il Consiglio si debba sempre pronunciare all’unanimità, previa consultazione del Parlamento Europeo e del Comitato economico e sociale, su proposta della Commissione. L’unanimità è la controprova che ci troviamo di fronte a una materia ad alto tasso potenziale di “esternalità”, dunque incline a sviluppare dinamiche sovranazionali che la procedura dell’unanimità varrebbe a controllare. L’art. 130 B151 stabilisce che “La Comunità appoggia” la realizzazione degli obiettivi di coesione economica e sociale, di ricerca e sviluppo tecnologico (articoli 130 A-130 C152) con l’azione che essa svolge attraverso fondi a finalità strutturale,” attraverso la Banca Europea per gli Investimenti e altri strumenti finanziari. Viene qui sottolineata la funzione completiva dell’azione della comunità.153Questo è molto chiaro: salvaguardare la libertà d’azione degli Stati 147 Cfr. L. TSOUKALIS, La nuova economia europea, Bologna, Il Mulino, 1994; T. PADOA SCHIOPPA, L’Europa verso l’Unione monetaria. Dallo SME a Maastricht, Torino, Einaudi, 1992. 148 TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 94. 149 Ibidem. 150 Ibidem. 151 Ivi, p. 92. 152 Ibidem. 153 Cfr. art. 130F § 2: le azioni della Comunità nell’ambito della ricerca, dello sviluppo tecnologico e della cooperazione “integrano quelle intraprese dagli Stati membri” cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 92. Per altri esempi di indizi meno diretti di sussidiarietà nell’Atto Unico Europeo cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 61-62. 53 membri in un mercato unico e in un sistema monetario composto di parità fisse richiede un’azione di complemento che non può che essere architettonica, ordinatrice, mai centralistica. Ma dovrà essere per forza centrata su obiettivi che sono stati posti, per consenso, dagli Stati membri attraverso il trattato; con ciò stesso, gli Stati accettano di autolimitarsi e di accogliere l’intervento completivo, integratore, della comunità. Dov’è, però, la bilancia per pesare eventuali trasgressioni del principio di sussidiarietà? C’è e chi è il guardiano della sussidiarietà? La prima domanda sembrerebbe implicare una scelta fra sussidiarietà giuridica e sussidiarietà politica. La seconda implica un’attribuzione di potere. 54 Capitolo 5. La positivizzazione del principio di sussidiarietà: premesse storiche e formulazione del Trattato di Maastricht. Il 1989 è sotto molti aspetti un anno cruciale per l’integrazione europea; qui è rilevante il fatto che l’implosione del “blocco orientale” modifica la condizione decisiva dell’avvio e della continuazione del processo dell’integrazione europea: la necessità per il “blocco occidentale” di fare quadrato contro la minaccia sovietica. E’ vero che l’avvio della fase della distensione, dopo la morte di Stalin aveva già contribuito a ridimensionare l’urgenza statunitense di una economia europea integrata; la fine del Gold Standard aveva contribuito a spingere la Comunità a pensarsi come un’area di stabilità monetaria autonoma rispetto all’area del dollaro; ma non c’è dubbio che il crollo dei paesi dell’Est spinga ora le istituzioni della Comunità a considerare molto seriamente l’opportunità di realizzare in tempi relativamente brevi non soltanto un approfondimento dell’integrazione, ma anche il suo allargamento.154 Un’opportunità che non può essere pensata esclusivamente in termini economici o giuridici, ma che abbisogna di contrafforti politici. Tuttavia, il versante strettamente politico della Comunità è strettamente legato alle pratiche intergovernative, inidonee, di fatto, a configurare un potere politico sovranazionale in grado di produrre decisioni in tempi brevi. E’ soprattutto la turbolenza del disfacimento del “socialismo” nei Balcani a porre problemi inediti, problemi geopolitici di territorialità, alla Comunità. Il vissuto istituzionale della Comunità è, come si è visto, sussidiario, ma la sussidiarietà della Commissione (e del Parlamento europeo), come si vedrà, non è la sussidiarietà del Consiglio dei Ministri (e del Consiglio europeo): quanto la prima è preoccupata di strutturare un efficace centro di decisione sovranazionale, altrettanto la seconda è calibrata sull’esigenza di non erodere la sovranità degli Stati membri. Non c’è dubbio, sul piano meramente teorico, che se la Comunità vuole contare in qualche modo nel mondo segnato dall’evento epocale del “crollo del socialismo reale,” essa deve darsi una certa statualità e che, data la sua 55 configurazione geografica, politica e storica, questa statualità, per essere efficace, non può che assumere una forma federale. Non c’è neppure dubbio che, di fronte allo sviluppo della globalizzazione economica, l’area di stabilità monetaria deve trasformarsi in area a moneta unica, oppure assoggettarsi all’instabilità. Ma l’emissione di moneta unica dovrebbe implicare l’esistenza di una statualità, l’esistenza di un soggetto politico, se non di un “super-Stato,” comunque di uno Stato di Stati. L’alternativa è un organo tecnocratico privo di legittimazione democratica quale arbitro della moneta unica. Nelle coordinate della complessa vicenda della storia dell’integrazione europea è chiaro che se si concepisce la futura architettura alla luce del principio politico della sussidiarietà, il risultato è uno Stato federale, e proprio grazie alla logica anti-centralistica della ripartizione delle competenze analiticamente contenuta nel principio di sussidiarietà. Se, invece, la si concepisce alla luce del principio giuridico della sussidiarietà, il risultato è un modello quasi federale sul piano dei rapporti economici, confederale, intergovernativo, sul piano politico: capace di amministrazione e di decisione relativamente tempestiva quasi sull’intero piano economico, ma incapace di ciò sul piano della politica estera. Il sistema misto esistente possiede, quindi, due modelli decisionali diversi: voto a maggioranza qualificata nell’ambito di molte decisioni non soltanto economiche, voto all’unanimità nell’ambito delle decisioni più propriamente politiche (politica estera). Non è strano che nell’emergenza della crisi dei Balcani esso non riesca a darsi una logica di azione unitaria e incisiva. Non senza ragione è stato affermato che l’Europa è “un’istituzione transnazionale intergovernativa, almeno per quanto riguarda le componenti essenziali della sovranità esterna, cioè la politica estera e militare. Gli organismi comunitari non posseggono gli attributi propri della sovranità: la capacità di gestire gli «stati di eccezione» e di fissare, anche impositivamente, valori, interessi e politiche.”155 Sono parole scritte nel 2004, ma sono idonee a descrivere anche la situazione dell’inizio degli anni novanta del secolo scorso. E’ chiaro che il peso politico che potrebbe avere una netta scelta in favore di una interpretazione politica del principio di sussidiarietà va valutato all’interno di una complessa architettura istituzionale nella quale l’organo più incline a dare voce a tale interpretazione non è di certo provvisto di peso trascurabile nel processo 154 Sugli allargamenti della CEE e dell’Unione cfr. A. Landuyt-D. Pasquinucci (a cura di), Gli allargamenti della CEE/UE 1961-2004, Tomo I, Bologna, Il Mulino, 2005, Introduzione, pp. 9-28. 56 decisionale comunitario. E se la situazione determinata in senso lato dall’implosione del blocco “socialista” e in senso molto più specifico dalla dissoluzione della Jugoslavia impone alla Comunità di pensarsi come soggetto politico, i suoi meccanismi di decisione politica in ultima istanza non la favoriscono in questo. Il dilemma obiettivo ‘superstato federale / istituzione transnazionale intergovernativa’ è, inoltre, condizionato dal rapporto assai complesso con la NATO direttamente coinvolta nei problemi della sicurezza originatisi dallo scioglimento del blocco sovietico e dalla crisi jugoslava. E’ anche alla luce di questi problemi obiettivi che va valutato il dibattito che precede la redazione del TUE.156 Gli esecutivi rappresentati al Consiglio dei ministri sono logicamente gelosi delle loro prerogative politiche, educati come sono nel quadro della logica dello Stato-nazione; nel contesto della Commissione, la formazione culturale è tendenzialmente sovranazionale e tecnocratica, abituata a valutare i problemi, soprattutto quelli economici, alla luce di una logica diversa, meno angusta. Ma non sono soltanto diverse le epistemologie politiche che ‘governano’le istituzioni comunitarie; sono anche numerosi i dilemmi concreti che si presentano e tra essi il seguente è forse quello di maggiore rilievo dalla nostra prospettiva: la liberalizzazione della circolazione dei capitali è ormai un fatto che può giocare a vantaggio della globalizzazione, oppure a vantaggio del coagularsi di interessi europei: dipende dalla capacità di governare il processo stesso; gli interessi statali e locali possono funzionalizzarsi soltanto all’una o all’altra prospettiva. E’ invece escluso che possano avere un ruolo a sé. Questo è oggettivamente chiaro nei primi anni novanta; ma soggettivamente i titolari di interessi statali e locali continuano a pensare come se la globalizzazione non esistesse: pensano in termini di rapporto fra regioni e Stato nazionale (magari nei termini di uno svincolarsi delle unità regionali anche dal quadro dello Stato nazione per giocare le proprie opportunità nella realtà globalizzata fino a spingersi verso il secessionismo); per questo motivo la risultante del dibattito sul principio di sussidiarietà non si configurerà in termini chiari e tali da non ammettere repliche o chiose. Nel concreto, richiamando l’art. 130 R, § 1 dell’AUE157 non si può non notare che la scelta di attribuire una competenza sulla base della “esternalità” prodotta non 155 C. JEAN, Geopolitica del XXI secolo, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 78. Cfr. A. MORAVCSIK, The Choice for Europe. Social Purpose and State Power from Messina to Maastricht, Cornell University Press, Ithaca, New York, 1998, pp. 379-471. 157 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 93-94. 156 57 può far pensare che al primo Programma di azione comunitario della Commissione in materia ambientale.158 Come si evince anche dagli artt. 130 T, 118 A, § 3 e 100 A, § 4,159 l’importanza dell’obiettivo da raggiungere incide sulla ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri. Se questo vale in materia ambientale, non c’è da stupire che valga anche in materia economica, ambito nel quale l’”esternalità” è particolarmente pronunciata. Se si intende la politica come amministrazione dell’economia e dei problemi ambientali, non si può non vedere la frizione esistente tra una gestione di problemi che richiede una gestione sovranazionale e la realtà di una politica degli Stati membri che tende a pensare lo spazio politico nei termini dello Stato nazione. Si tratta dunque di mediare tra una dimensione di politica economica e ambientale straordinariamente avanzata e una amministrazione politica purtroppo straordinariamente arretrata. Non a caso la sussidiarietà compare come espressione dello straordinario avanzamento dell’integrazione economica in un documento del 1989, il Rapporto sull’Unione economica e monetaria. Ivi si legge che per definire un corretto equilibrio di poteri in ambito comunitario “ sarebbe essenziale attenersi strettamente al principio di sussidiarietà […]. Tutte le funzioni di politica economica che potrebbero essere esercitate ai livelli nazionali (regionali e locali), senza ripercussioni sfavorevoli sulla coesione e sul funzionamento dell’Unione economica e monetaria, resterebbero di competenza degli Stati membri.”160 Si tratta di una estensione della funzione della sussidiarietà quale essa compare nell’art. 130 R dell’AUE,161 di un parziale162 precorrimento dell’articolo 3 B del TUE. E’ stato osservato che “con il Trattato di Maastricht, la sussidiarietà viene elevata a principio generale dell’ordinamento comunitario, come risulta dal suo inserimento, attraverso l’art. 3 B, nella Parte Prima del Titolo II del Trattato CEE, intitolato, appunto, “ Principi”.”163 Ci deve essere una ragione di questa centralità, anche se non condividiamo del tutto la tesi di d’Agnolo secondo cui “in precedenza (…) la 158 Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 58-59 il quale cita quale fonte per il testo del Programma d’azione la “Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee”, C 112/1 del 20 dicembre 1973. 159 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, pp. 94 e 91. 160 Rapporto sull’Unione economica e monetaria (1989), § 20 citato da ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., p. 88. 161 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 93-94. 162 Perché, come si vedrà, nell’art. 3 B non si fa menzione dei livelli regionali e locali eventualmente coinvolti dall’esercizio delle funzioni di politica economica. 58 sussidiarietà non costituiva un principio generale di diritto comunitario.”164 L’integrazione ha innescato fin dal principio una situazione sussidiaria, ha creato un terreno idoneo a far sviluppare i primi germi di un potere sussidiario grazie alla compresenza di sovranazionalità e di intergovernatività (Alta Autorità / Consiglio dei Ministri; Commissione / Consiglio dei Ministri) che ha stimolato grandemente lo sviluppo del primato del diritto comunitario sui diritti nazionali. Ma dopo il 1989 indubbiamente, la spinta a vedere nella sussidiarietà il principio architettonico della Comunità è stata rafforzata dal nesso individuato nel principio stesso tra coesione e pluralità degli Stati. La sussidiarietà sembra essere il modo di gestire il lento, contraddittorio e non ancora compiuto processo di estensione della sovranazionalità dall’economico al politico senza eliminare l’autonomia degli Stati membri, anzi, valorizzandola. Che questo processo si affacci sul piano della redazione del TUE lo si deduce dall’importanza del pilastro PESC, per quanto esso sia concepito intergovernativamente. Si parla apertamente di politica estera europea in sede di trattato. Valéry Giscard d’Estaing, nella dichiarazione al Parlamento Europeo del 21 novembre 1989 propone di compilare una lista delle materie che sarebbero state incluse, nel futuro, tra le competenze dell’Unione europea e di quelle che sarebbero rimaste nelle mani degli Stati membri: si sarebbe trattato di definire, così, i due livelli di legittimazione democratica nella Comunità.165 Viene qui tematizzata non soltanto la stretta connessione fra federalismo e sussidiarietà, ma anche la stretta connessione fra federalismo, sussidiarietà e democrazia nel contesto della progettata Unione europea. Nel Parere della Commissione sull’Unione Politica (21 ottobre 1990) la sussidiarietà è concepita finalizzandola all’Unione europea come organizzazione di tipo federale.166 Il principio viene qui considerato come principio prevalentemente politico. 163 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 62-63. D’AGNOLO, la sussidiarietà, cit., p. 63, n. 44. 165 Cit. in BURGESS, Federalism, cit., p. 232. Si vedano le dichiarazioni conformi di DELORS, Discorso al Parlamento Europeo, 17 gennaio 1990, cit. da BURGESS, Federalism, cit., p. 232. Si cfr. anche V. GISCARD D’ESTAING, La règle d’or du fédéralisme européen in “Revue des Affaires Européennes”, 1, 1991, pp. 63-66 che si professa vicino al modo di intendere la sussidiarietà tipico del “Progetto Spinelli” (p. 65) e vede nel Consiglio il co-garante, in prospettiva, assieme alla Corte di giustizia, del principio di sussidiarietà – se il Consiglio evolverà a “Camera degli Stati.” 166 Cfr. Official Opinion of 21 October 1990 to the IGC on ‘Political Union’, COM (90), 600, Brussels, European Commission, 23 October 1990, p. 3. 164 59 Il principio che leggiamo nel TUE, tuttavia, è l’esito di un compromesso tra visione intergovernativa e visione sovranazionale della Comunità.167 Infatti, l’azione della Comunità deve “innanzitutto trovare il proprio fondamento nelle disposizioni del Trattato: in caso contrario, nella materia in oggetto, restano liberi gli Stati membri.”168 Non è il principio che fonda il Trattato, ma il Trattato che fonda il principio.169 L’articolo 3 B è suddiviso in tre commi che sono articolati nella esposizione di tre principi: il principio di attribuzione delle competenze,170 il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. La legittimità di qualunque azione della comunità “è valutabile alla stregua di tali principi, considerati nell’ordine in cui gli stessi sono previsti nell’articolo in esame.”171 La competenza comunitaria viene accertata sulla base dei primo principio; se si tratta di competenza esclusiva, l’azione della Comunità sarà sottoposta al principio di proporzionalità; se invece non si tratta di competenza esclusiva, essa sarà esercitata se ci sono le condizioni richieste dal principio di sussidiarietà (fermo restando il rispetto del principio di proporzionalità). La Comunità non ha competenza generale, ma soltanto le competenze conferitele dal Trattato. Se quest’ultimo esclude dalle competenze comunitarie la politica fiscale, questa politica sarà affare degli Stati membri, nonostante i numerosi effetti di spill-over che essa innesca. Non è sufficiente, cioè, constatare l’alto tasso di esternalità di una politica perché ipso facto essa diventi oggetto sovranazionale. Esiste un certo numero di materie il cui trattamento è destinato a essere nazionale 167 Cfr. A. Duff, Towards A Definition of Subsidiarity, in Id. (a cura di), Subsidiarity, cit., pp. 9-10. Per una ricca disamina sul principio nel Trattato di Maastricht cfr. T. SCHILLING, Subsidiarity as a Rule and a Principle or: Taking Subsidiarity Seriously (1995), versione elettronica disponibile inhttp://www.jeanmonnetprogram.org/papers/95/10ind.html; ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., pp. 47-52; P. AMADEI, Il principio di sussidiarietà nel processo di integrazione comunitaria in M.R. Saulle (a cura di), Il trattato di Maastricht, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp.11-51, specialmente pp. 11-16; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 72-86; per una esegesi prevalentemente giuridica dell’articolo 5 come ‘principio costituzionale’ cfr. B. BEUTLER-R. BIEBER-J. PIPKORN-J. STREIL-J.H. WEILER, L’Unione Europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, Bologna, Il Mulino, 2001, 2a ediz., p. 92 che rinvia a V. COSTANTINESCO, L’art. 5 CEE, de la bonne foi à la loi communautaire, in Festschrift Pescatore, Baden-Baden, 1987 e a J. PIPKORN, Das Subsidiaritätsprinzip im Vertrag über die Europäische Union-rechtliche Bedeutung und gerichtliche Überprüfbarkeit in “Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht”, 1992. 168 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 73. 169 Cfr. la nota della Commissione, Le principe de subsidiarité, “Revue Trimestrielle de Droit Européen” (28), 4, 1992, p. 728: “Le principe de subsidiarité ne détermine pas les compétences qui sont attribuées à la Communauté: c’est le Traité lui-même qui les détermine.” 170 Di questo principio una esposizione cristallina era stata data già da F. CARDIS, Fédéralisme et intégration européenne, Centre de Recherches Européennes, École des H. E. C., Université de Lausanne, 1964, pp. 48-51: 49-50: “L’Union disposera seulement des pouvoirs qui lui seront expressément et limitativement reconnus par la constitution et, d’autre part, que le silence de cette dernière sur une matière la maintiendra ipso facto dans la compétence des Etats membres.” 60 o, al massimo intergovernativo perché così stabilisce il Trattato. La forza architettonica della Comunità non è il principio di sussidiarietà, ma il principio di attribuzione delle competenze che dipende dalla logica politica intergovernativa, una logica che non coincide con la logica dell’integrazione economica, né con gli stimoli che essa fornisce in ambito politico. La logica dell’integrazione economica, qui, non riesce a darsi una proiezione politica, cioè non riesce contribuire alla formazione di un soggetto politico sovranazionale. Dei tre pilastri dell’ordinamento di Maastricht uno è ampiamente federalizzato (la Comunità), mentre gli altri due sono intergovernativi (PESC e GAI). La logica della sussidiarietà è principio architettonico nei rapporti economici, nei rapporti sociali, ma diventa mero principio subordinato alla attribuzione di competenze nei rapporti politici. La cessione di sovranità, assai ampia sul terreno dei rapporti economici tra gli Stati, diventa minima nei loro rapporti politici. Sono tre i criteri in base ai quali va verificata la coerenza dell’azione comunitaria con il principio di sussidiarietà:172 1) la capacità di azione degli Stati membri; 2) la capacità di azione della Comunità; 3) il ‘valore aggiunto’ dall’azione comunitaria rispetto a quella degli Stati membri. 1) sia nell’art. 12 del “Progetto Spinelli”, sia nell’art. 130 R, § 4 dell’AUE, la Comunità era legittimata ad agire se avesse potuto conseguire meglio degli Stati membri l’obiettivo proposto, nel testo approvato del Trattato di Maastricht la Comunità agisce soltanto se l’azione degli Stati membri è insufficiente al conseguimento degli obiettivi comunitari. 2) se il “Progetto Spinelli” e il già citato articolo 130 R dell’AUE confrontavano la capacità di azione dei singoli Stati membri con quella della Comunità, il testo definitivo del Trattato di Maastricht confronta l’azione degli Stati membri con quella della Comunità, aprendo la via alla possibilità di cooperazione fra Stati membri. 3) dimostrata l’incapacità degli Stati membri a raggiungere determinati obiettivi comunitari va dimostrato che risultati meno insufficienti sono raggiungibili da parte dell’azione comunitaria. Quanto al principio di proporzionalità, esso riguarda sia i settori di competenza concorrente, sia quelli di competenza esclusiva ed è mirato a “conciliare, nel 171 172 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 73. Corsivo nostro. Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 78. 61 perseguimento di un interesse di per sé legittimo, la maggiore efficacia dell’azione comunitaria con la minore intensità della stessa.”173 Dall’applicazione di questi principi risulta un sistema coeso e pluralistico a livello di rapporti economici (il Mercato Unico; lo SME), ma soltanto una pluralità di nessi intergovernativi rispetto all’esterno del sistema. Il TUE ha istituito il Comitato delle Regioni (articoli 198 A-C),174 il “guardiano della sussidiarietà,” dotato di poteri consultivi; i rappresentanti regionali sono ammessi alle sedute del Consiglio, in base alla decisione degli Stati membri, ogni qual volta le materie trattate siano di competenza regionale. L’azione della Comunità si presenta come sussidiaria, dunque, anche rispetto alle regioni degli Stati membri, anche se le vere ‘controparti’ della Comunità sono gli Stati, non gli organismi regionali. La prevalenza dell’interpretazione del principio di sussidiarietà come principio prevalentemente giuridico (ma di cui il trattato riconosce implicitamente il valore architettonico e quindi la portata potenzialmente politica) è un segno del punto critico raggiunto dal processo di integrazione europea all’inizio degli anni novanta. Lo sviluppo dello SME, la fine del bipolarismo e il contemporaneo intensificarsi dei processi di globalizzazione hanno condotto il sistema alle soglie dell’unione politica, non a caso tematizzata a Maastricht. Questo è il momento in cui decidere se la sussidiarietà praticata sino a ora sul terreno dei rapporti economici fra gli Stati membri possa valere come principio di organizzazione di un soggetto politico che, pur non essendo uno Stato, ha una sua statualità. Dal trattato viene posto in essere invece un soggetto che decide sovranazionalmente e sussidiariamente quanto più è lontano dalla dimensione politica, mentre nella dimensione politica propriamente detta si affida a logiche intergovernative. Il TUE non fa che ‘fotografare’ questa realtà com’essa è e com’essa si ripercuote sulle interpretazioni del principio di sussidiarietà. 173 D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 79. Sulle tematiche fin qui trattate cfr. anche la nota della Commissione Le principe de subsidiarité, cit., pp. 733-734. 174 Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 70-71. 62 Capitolo 6. Da Amsterdam al Trattato Costituzionale del 2004: il problema dell’applicazione istituzionale del principio di sussidiarietà Nella versione di Maastricht il principio di sussidiarietà è tanto il garante del funzionamento dell’integrazione economica, quanto il garante dell’autonomia degli Stati membri sul piano dei rapporti intracomunitari. Sottoposto al principio di ripartizione delle competenze che dipende dalla lettera del trattato, esso garantisce la giustapposizione di un modello quasi del tutto federale e di un modello confederale. Il sistema dell’Unione europea si presenta con caratteristiche peculiari non soltanto in quanto inedita combinazione di elementi federali e di elementi confederali, ma anche perché “Il Consiglio rappresenta i governi degli Stati membri, la Commissione rappresenta la competenza tecnica e la funzione esecutiva, il Parlamento rappresenta i popoli europei. Rispettivamente la logica politica intergovernativa, la logica tecnocratica e la logica democratica sono così ben combinate nel governo in senso lato dell’Unione, secondo quella che possiamo interpretare come una versione moderna del modello, attribuito a Montesquieu, del “Governo misto.””175 Il Consiglio ha un potere legislativo, che condivide sempre più con il Parlamento europeo, sia un potere esecutivo, che condivide con la Commissione. Il nucleo di questo plesso istituzionale è il principio secondo il quale le decisioni devono essere prese al livello più vicino al cittadino, fermo restando il fatto che l’ “esternalità” di una decisione fa scattare immediatamente il principio di sussidiarietà nel suo aspetto positivo per il “primo pilastro.” Una realtà come quella dell’Unione europea in cui gli Stati membri rimangono “padroni dei trattati,” ma in cui il livello di compenetrazione delle economie ha creato istanze sovranazionali, trova in tale assetto istituzionale la sua forma momentaneamente ottimale. Il rapporto fra sovranazionalità e intergovernatività è garantito dal principio di sussidiarietà, subordinato al principio di ripartizione delle competenze. Il principio di sussidiarietà si trova a essere quindi un principio 175 M. TELÒ, Dallo Stato all’Europa. Idee politiche e istituzioni, Roma, Carocci, 2004, p. 145. 63 regolatore fondamentale per mediare un sistema eterogeneo, un sistema plurale che, al momento, non si disgregato, né ha potuto evolvere a sistema federale. Nel TUE è stata inserita la clausola dell’ opting out: uno Stato membro può rifiutare di fare parte di politiche comuni senza, per questo, uscire dall’Unione. La moneta unica, la difesa, la cittadinanza suscitano richieste di opting out che configurano una “geometria variabile” dell’Unione. L’omogeneità-eterogeneità del sistema (che si caratterizza come multilevel governance)176 comporta la scarsa solidità dell’UE come soggetto politico sulla scena della politica mondiale e si sovrappone alla solidità del sistema economico integrato esprimentesi ormai nella moneta unica. Con il Trattato di Amsterdam177 si afferma l’esigenza di tutelare il rispetto del principio di sussidiarietà enunciato dal TUE. Non a caso: esso è la cerniera che connette sovranazionalità e Stati membri a livello dei rapporti comunitari. La ripartizione delle competenze è tutelata dalla lettera dei trattati; la proporzionalità dipende dalla sussidiarietà. Quest’ultima va adeguatamente normata perché da essa dipende la vita stessa dell’Unione, la connessione tra i vari livelli della governance al livello in cui più solidi sono stati i risultati del processo di integrazione. La normazione contenuta nel Protocollo n. 30 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità del Trattato di Amsterdam introduce elementi innovatori di grande momento.178 Il punto 3 recita: “La sussidiarietà è un concetto dinamico179 e dovrebbe essere applicata alla luce degli obiettivi stabiliti nel trattato. Essa consente che l’azione della Comunità, entro i limiti delle sue competenze, sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente, ristretta e sospesa laddove essa non sia più giustificata.” L’elasticità del principio permette di adattare la funzionalità del principio stesso alle circostanze rispettando, con ogni evidenza, la variazione delle geometrie dell’ Unione, variazione che non può essere ininfluente riguardo ai poteri dell'Unione stessa. Variazione che dipende dalla volontà degli Stati membri. Pertanto (punto 4) “le motivazioni di ciascuna proposta di normativa comunitaria sono esposte, onde giustificare la conformità 176 Cfr. W. Wessels (a cura di), The E.U. and Members States, Toward Institutional Fusion?, Manchester University Press, Manchester, 1996. 177 Cfr. F. POCAR-M. TAMBURINI, Norme fondamentali dell’Unione e della Comunità europea, decima edizione, con la collaborazione di L. Sandrini, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 133-173 contenenti il testo del Trattato. 178 Si veda però l’Annex to the Conclusions of the Presidency of the European Concil at Edinburgh 11-12 December 1992 riprodotto in A. Duff (a cura di), Subsidiarity, cit., pp. 117-130 64 della proposta ai principi di sussidiarietà e proporzionalità; le ragioni che hanno portato a concludere che un obiettivo comunitario può essere conseguito meglio dalla Comunità devono essere confortate da indicatori qualitativi o, ove sia possibile, quantitativi.”180 Siamo di fronte, come è stato notato,181 a un “metodo dialogante.” I soggetti del dialogo sono la Comunità e gli Stati membri: ragioni si oppongono a ragioni, entrambe fondate su indicatori qualitativi o quantitativi. Si tratta, dunque, di esporre le ragioni che inducono, sulla base della “esternalità” a preferire l’azione comunitaria, oppure l’azione degli Stati membri. Se l’azione degli Stati membri non basta al conseguimento degli obiettivi fissati dai trattati, allora subentra l’azione della Comunità. L’insufficienza degli Stati membri al conseguimento di questi obiettivi deve risultare dal dialogo intracomunitario, non da un’autorità, tecnica o politica. Non a caso, il punto 6 stabilisce che “a parità di altre condizioni, le direttive dovrebbero essere preferite ai regolamenti e le direttive quadro a misure dettagliate.”182 Ciò significa che la Comunità si riconosce comunque poteri di indirizzo; sta negli Stati membri tradurre le indicazioni generali in politiche locali. La Comunità: ma chi ha il diritto di iniziativa è la Commissione; in merito il punto 9 stabilisce che essa dovrebbe: “-eccettuati i casi di particolare urgenza o riservatezza, effettuare ampie consultazioni prima di proporre atti legislativi e se necessario pubblicare i documenti delle consultazioni; -giustificare la pertinenza delle sue proposte con il riferimento al principio di sussidiarietà; se necessario, la motivazione che accompagna la proposta fornirà dettagli a questo riguardo.”183 E’ la naturale evoluzione del dibattito sulla sussidiarietà iniziato alla metà degli anni settanta: parlare di sufficienza/insufficienza degli Stati membri rispetto al conseguimento di obiettivi comunitari significa usare una terminologia diversa per parlare di “esternalità” o “internalità” degli esiti delle politiche di cui gli strumenti legislativi sono mezzi. Significa dirimere le inevitabili questioni ricorrendo al parametro raggio d’azione della Comunità sopranazionale / raggio d’azione degli Stati membri in relazione a obiettivi riconosciuti da tutti gli Stati membri. Significa introdurre un modello di 179 Cfr. Annex, cit., p. 118: “Subsidiarity is a dynamic concept and should be applied in the light of the objectives set out in the Treaty.”cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 288. Il testo del Protocollo occupa le pp. 287-288. 180 Cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 288. 181 Cfr. COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 66. 182 Cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 289. 183 Ibidem. Sul ruolo della Commissione nell’implementazione dell’art. 3 B del Trattato di Maastricht cfr. Annex, cit., pp.121-122. 65 sussidiarietà circolare o orizzontale che deriva dalle pratiche dell’integrazione economica. Un modello che potrebbe estendersi anche alle entità substatuali tutelando autonomie locali, livello statale e livello sovranazionale e facendone un sistema plurale, differenziato, ma unitario. Le categorie accentramento / decentramento qui non servono: ci troviamo di fronte al progetto di una circolarità sistemica, di una sussidiarietà positiva, che è democratica, data l’uguale dignità di tutti i soggetti dialoganti e l’uguale possibilità di accesso al dialogo istituzionale. La domanda in merito non è soltanto “chi decide?,” ma anche “come decide, in base a quali elementi razionali, di pubblica ragione?” Ma qual è l’area di cui sta parlando il Protocollo? Il criterio della sussidiarietà, sia pure subordinato al principio della ripartizione delle competenze, è estensibile a tutti i pilastri dell’Unione, a tutte le sue politiche, esso non riguarda necessariamente soltanto il pilastro della Comunità economica. Sennonché, in aree gestite in modo intergovernativo, non esiste una dimensione propriamente sovranazionale rispetto alla quale porre il problema della sussidiarietà positiva circolare. Nel Consiglio dei Ministri, così come nel Consiglio Europeo, Stati sovrani si confrontano con Stati sovrani, anche se vincolati tutti al rispetto del Trattato comunemente sottoscritto; e il Trattato non è istanza di potere sussidiario, non è istituzione: è l’esito di un insieme di accordi, conseguiti secondo le regole della diplomazia. Non esiste una istanza sovranazionale con la quale gli Stati debbano confrontarsi. La realtà è più complessa, più simile ai regimi internazionali; sennonché il Consiglio può votare a maggioranza qualificata e qui gli Stati riconoscono un livello di interesse comune tale da fare si che la minoranza si pieghi alle decisioni della maggioranza. Ma questo “livello di interesse comune” non è un’istituzione, non è un potere; la sussidiarietà positiva circolare si ferma quindi, propriamente, alle porte del Consiglio Europeo e del Consiglio dei Ministri; la sussidiarietà negativa invece vi ha un ruolo plausibilmente notevole.184 La sussidiarietà positiva circolare entra in gioco a partire dalle proposte della Commissione, a partire dall’azione del Parlamento Europeo (codecisione legislativa con il Consiglio, parere conforme, possibilità di censurare la Commissione): aree in cui il dialogo interistituzionale configura il rapporto tra tecnocrazia, rappresentanti degli Stati e rappresentanti dei popoli, vale a dire fra due istanze sovranazionali (Commissione e Parlamento 184 Cfr. Annex, cit., pp. 122-123 sul ruolo del Consiglio in merito all’implementazione dell’art. 3 B del Trattato di Maastricht. 66 Europeo) e le istanze intergovernative (Consiglio Europeo e Consiglio dei Ministri). Sia il Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea, sia il Trattato che istituisce l’Unione Europea sono accompagnati da protocolli sull’applicazione del principio di sussidiarietà. Il Progetto, presentato nel giugno del 2003 al Consiglio Europeo di Salonicco e utilizzato come base di negoziato nella CIG dell’ottobre 2003, è stato l’esito, per la prima volta, di una procedura non di tipo diplomatico, ma della convocazione di una Convenzione (28 febbraio 2002-13 giugno 2003) costituita da un organo consultivo formato dai rappresentanti degli Stati e dai rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento Europeo, della Commissione e degli osservatori. Oggetto di valutazioni contrastanti quanto alle innovazioni in fatto di sovranazionalità185 il suo Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità costituisce un’articolata proposta che riflette alla perfezione la realtà che l’Unione dovrebbe assumere in veste costituzionale. Si stabilisce che “prima di proporre un atto legislativo, la Commissione effettua ampie consultazioni. Tali consultazioni devono tener conto, se del caso, della dimensione regionale e locale delle azioni previste. Nei casi di straordinaria urgenza, la Commissione non procede a dette consultazioni. Essa motiva la decisione nella proposta.”186 L’estensione spaziale della concreta realizzazione delle proposte, vecchio retaggio del problema dell’”esternalità”, è definitivamente acquisito; così come è acquisita la motivazione razionale della proposta. La Commissione deve inviare tutte le proposte legislative e la proposte modificate ai parlamenti regionali degli Stati membri “nello stesso momento in cui le invia al legislatore dell’Unione.”187 Non appena adottate, le risoluzioni legislative del Parlamento Europeo e le posizioni del Consiglio dei ministri sono inviate “da questi ultimi ai parlamenti nazionali.”188 Il dialogo interistituzionale all’interno dell’Unione e tra quest’ultima e gli Stati membri è posto come elemento principale, centrale della dinamica politica. 185 Cfr. TELÒ, Dallo Stato all’Europa, cit., p. 238. Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2003, p. 275, § 2. Il principio di sussidiarietà è esposto nell’art. I-9. La dimensione regionale e quella locale era già stata menzionata nel Rapporto sull’Unione economica e monetaria del 1989, § 20 in rapporto al principio di sussidiarietà. 187 Progetto, cit., p. 275, § 3. 188 Ibid. 186 67 La Commissione deve motivare le sue proposte riguardo al principio di sussidiarietà e di proporzionalità: “ogni proposta legislativa dovrebbe essere accompagnata da una scheda contenente elementi circostanziati che consentano di valutare il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tale scheda dovrebbe fornire elementi che consentano di valutarne l’impatto finanziario e le conseguenze, quando si tratta di una legge quadro europea, sulla regolamentazione che sarà attuata dagli Stati membri, ivi compresa, se del caso, la legislazione regionale.”189 Il dialogo istituzionale è visibilmente esteso agli impatti regionali della legislazione europea, anche se il Comitato delle Regioni ha soltanto un potere consultivo. Viene articolato uno spazio amministrativo che va definito sovranazionale e va visto come un’entità articolata nazionalmente e regionalmente. Sono previsti indicatori quantitativi e ove possibile qualitativi che meglio permettano all’Unione di valutare l’incidenza di ogni azione sull’intero arco delle articolazioni dell’Unione. Ogni Parlamento nazionale o ciascuna camera dei parlamenti nazionali può inviare – entro sei settimane a decorrere dalla data di trasmissione della proposta legislativa della Commissione – ai presidenti del Parlamento Europeo, del Consiglio dei Ministri e della Commissione “un parere motivato che esponga le ragioni per le quali ritiene che la proposta in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà.”190 Di questi pareri i destinatari tengono conto. Si vede bene che ogni istituzione è chiamata a vigilare sul rispetto del principio di sussidiarietà e che questa vigilanza fa parte integrante del dialogo istituzionale. Sia pure in subordine rispetto al principio di attribuzione delle competenze, il principio assume una rilevanza costituzionale. Se l’Unione è fondata sul dialogo tra istituzioni sovranazionali, Stati nazionali ed entità substatuali, la sussidiarietà è la procedura sostanziale del decision making al quale è finalizzato il dialogo. I deficit di democrazia sono indubbiamente un limite considerevole per un sistema che sembra avviarsi sulla strada della doppia legittimità (rappresentanti degli Stati e rappresentanti dei popoli). Un potere sussidiario funziona nella doppia 189 Progetto, cit., p. 275, § 4. Progetto, cit., p. 276, § 5. La Commissione è tenuta a riesaminare la proposta se i pareri motivati rappresentano almeno un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali degli Stati membri e alle Camere dei Parlamenti nazionali (Ibid., p. 276 § 6). La soglia è di almeno un quarto qualora si tratti di una proposta della Commissione o di un’iniziativa che emana da un gruppo di stati membri nel quadro delle disposizioni dell’articolo III-165 della Costituzione riguardante lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Al termine del riesame la Commissione può decidere di mantenere la proposta, di modificarla o di ritirarla, ma deve motivare la decisione. 190 68 legittimità, ma quando un organo (il Parlamento) non ha potere legislativo e quest’organo è proprio quello che rappresenta i popoli la menomazione del dialogo è grave. Perché non c’è autentico dialogo fra realtà dotate di peso politico dispari. Il Trattato firmato nel giugno del 2004191 reca, nel Protocollo alcune modifiche nella disposizione degli articoli, ma mantiene inalterata la sostanza e, per lo più, anche la lettera del Protocollo contenuto nel Progetto del 2003. I Protocolli del 2003 e del 2004 sono figli legittimi del Protocollo di Amsterdam e rappresentano lo sforzo di costituire l’architettura di un sistema estremamente flessibile nel quale vengono a convergere tutte le tensioni, tutte le difficoltà che hanno accompagnato il processo dell’integrazione europea. Che l’Unione europea debba darsi una statualità ulteriore rispetto a quella, contraddittoria e debole che essa già possiede, per quanto inedita e lontana dalle forme già note nella tradizione politica occidentale, è un fatto evidente soprattutto dall’esigenza di presentarsi come attore politico sulla scena mondiale. I fatti dell’ 11 settembre hanno contribuito, secondo una interpretazione interessante, “determinando nuove richieste di sicurezza e la necessità di fronteggiare le emergenze economiche” a rafforzare gli Stati-nazione.192 Ciò ha comportato un rafforzamento della natura intergovernativa dell’Unione nei settori delle politiche estere, di sicurezza e difesa. Tuttavia, gli Stati nazione non hanno le dimensioni per fronteggiare le emergenze economiche da soli;193 hanno potuto farlo soltanto insieme, come la vicenda delle origini dell’Unione Monetaria europea dimostra ampiamente nel suo intero arco di sviluppo, per limitarci a un solo settore. E’ innegabile che anche l’emergenza-terrorismo non è agevolmente contrastabile dagli Stati-nazione europei in condizioni di isolamento; la cooperazione anti-terrorismo ha minori difetti della cooperazione monetaria, ma è difficilmente discutibile che un soggetto politico europeo unitario potrebbe agire con maggiore tempestività. Si tratta di questioni che convergono tutte verso una domanda di guida politica che non potrebbe configurarsi altrimenti che come potere sussidiario animato da un principio di movimento federalista-comunicativo. 191 “Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea”, 16. 12. 2004, C310/207-209. Il principio di sussidiarietà è esposto nell’art- I-11. 192 JEAN, Geopolitica del XXI secolo, cit., p. 78. 193 Sul rapporto fra Stato e globalizzazione considerato dall’angolo visuale del nostro problema, oltre al celebre volume di KENICHI OHMAE, La fine dello Stato, tr. it. Milano, Baldini & Castoldi, 1993, si veda il saggio sintetico, ma ricco di dati e di considerazioni analitiche, pubblicato da W. ANDREFF, Le multinazionali globali (1996), Trieste, Asterios, 2000, c. V. 69 L’urgere di questa necessità oggettiva traluce dalle pagine del Trattato: l’Unione europea ha espresso precisi interessi economici ai quali finora è mancata una ‘testa politica.’ Che essa non possa essere esito immancabile, automatico, dell’integrazione funzionale lo si è visto: può esserci moneta unica senza un centro decisionale politico unitario; ma non può esserci politica unitaria economica nei confronti di paesi terzi senza un centro decisionale politico. Esso non può, né deve cancellare gli Stati-nazione; ma deve esserci, come potere sussidiario. Dall’assenza di questo centro non è danneggiata soltanto la politica estera dell’Unione, né soltanto il GAI (e sarebbe già troppo), ma la stessa politica estera economica. Che il centro decisionale politico unitario possa essere concepito secondo le indicazioni convergenti del modello di razionalità dialogica del potere sussidiario teorizzato da Cotturri e di quello del paradigma federalista comunicativo ideato da Malandrino è un’indicazione che crediamo faccia eco a quanto è stato scritto più di dieci anni orsono da Padoa Schioppa: “La sussidiarietà, non il leviatano, è la parola d’ordine per l’unione politica europea.”194 194 PADOA SCHIOPPA, L’Europa verso l’unione monetaria, cit., p. 210. 70 Capitolo 7. Conclusioni Il percorso che abbiamo tentato di ricostruire ha evidenziato che la vicenda dell’integrazione europea è anche la vicenda di una situazione sussidiaria che si è sviluppata fin dall’inizio enucleando l’esigenza di istituzioni sovranazionali dotate di potere sussidiario a partire dai settori e dagli ambiti in cui più stretta era l’interdipendenza fra gli Stati membri. L’esigenza di un potere sussidiario e di una prassi dialogica, comunicativa, nel rapporto interistituzionale, si è manifestata con connotati politici nel momento in cui le urgenze degli sviluppi storici dopo il 1989 hanno richiesto alla costruzione europea di compiere quei passi che avrebbero potuto creare un soggetto politico europeo, attivo sulla scena mondiale. Abbiamo visto, tuttavia, che la situazione sussidiaria può evolvere verso forme di potere sussidiario dal punto di vista politico soltanto nella misura in cui lo stimolo a creare e a potenziare istituzioni sovranazionali è effettivamente accolto dai paesi membri. Nella misura in cui un ambito, un settore, è gestito intergovernativamente, la situazione sussidiaria non può creare un potere sussidiario e la prassi dialogica fra le istituzioni manca di unitarietà. Tuttavia fra i diversi casi di integrazione regionale, l’UE è l’unica situazione sussidiaria che abbia sviluppato, finora, sia pure in modo parziale e contraddittorio, come si è visto, l’esigenza esplicita di un potere sussidiario. L’Unione attualmente, come si è detto, non è una federazione, né una confederazione; è l’esito contraddittorio e reversibile di una situazione sussidiaria nata dalle contingenze della guerra fredda, sviluppatasi all’ombra del bipolarismo e trovatasi nella necessità oggettiva di pensarsi come soggetto politico soltanto con il crollo del blocco “socialista”: gli Stati membri non possono sussistere separati e non possono integrarsi se non restando autonomi. Il loro livello di integrazione è assai alto sul piano dei rapporti economici al punto che esso ha prodotto l’esigenza dell’Unione Monetaria (anche se eurolandia non coincide con i confini politici dell’Unione Europea, rispetto alla quale è più piccola), è molto basso sul piano dei rapporti politici. Ed è chiaro che il giudizio che è possibile formarsi sul ruolo 71 dell’Unione Europea nel mondo varia molto a seconda che la si consideri come attore economico, oppure come attore politico. Nel primo caso il principio di sussidiarietà ha dimostrato e dimostra pienamente la sua efficienza. Ciò non è strano se si pensa che in linea generale, la situazione sussidiaria caratterizza le integrazioni regionali presentandosi primariamente come esito dell’esigenza di integrare economicamente determinate aree. L’esigenza dell’integrazione politica, quando essa si presenta, tende a farlo come continuazione dell’integrazione economica, e trova ostacoli da parte degli Stati membri. Di per sé il principio di sussidiarietà non è più adatto alla prima di quanto non lo sia alla seconda e se si rilegge l’art. I-11 del Trattato del 2004, si constata che il principio di sussidiarietà ivi enunciato potrebbe attagliarsi bene a una forma di potere sussidiario. Che ciò accada, però, dipende esclusivamente dall’uso politico che si fa del principio. Dal punto di vista giuridico si è sostenuto che “in modo speculare a quanto avviene con le costituzioni degli Stati membri, che non possono essere comprese nella loro totalità reale senza tener conto del diritto comunitario, il diritto primario dell’Unione Europea non funziona né si spiega nella sua natura e struttura senza riferimento alle costituzioni nazionali.”195 Da questo punto di vista si delinea un approccio in termini di “costituzionalismo a più livelli” convergente sia con la prospettiva del ‘potere sussidiario’ avanzata da Cotturri, sia con il paradigma federalista-comunicativo teorizzato da Malandrino. L'Unione europea forma “un sistema costituzionale composto di un livello nazionale e di un livello sovranazionale di potere pubblico legittimo, i quali si influenzano reciprocamente, coinvolgendo a più dimensioni i singoli cittadini ovvero i medesimi soggetti di diritto […].”196L’angolo visuale giuridico rispecchia fedelmente il carattere peculiare della situazione sussidiaria creatasi in oltre cinquant’anni di storia dell’integrazione europea: una vera poliarchia o una multilevel governance che realizza effettivamente, nel concreto, una “terza via” tra centralismo e ‘atomismo’. La sussidiarietà garantisce l’unità amministrativa attraverso la molteplicità delle appartenenze e delle identità e potrebbe garantire allo stesso modo anche l’unità politica. L’unità politica non si definisce esclusivamente riguardo alla ‘politica interna’ dell’Unione. Non è un luogo comune riaffermare che essa, anche quando sia 195 I. PERNICE- F. MAYER, La Costituzione integrata dell’Europa in Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, cit., p. 48. 72 articolata in forma di potere sussidiario e funzioni nei termini di una logica federalista-comunicativa, ha, almeno in prospettiva, nella politica estera il suo banco di prova. Ed è in questo ambito, probabilmente, che si preparano le sfide più onerose per un organismo politico atipico, cresciuto per la estensione progressiva dei legami di sussidiarietà soprattutto sul terreno economico. L’attuazione del principio di sussidiarietà comporta la creazione di un sentimento di appartenenza; quest’ultimo è anche un sentimento di distinzione rispetto alle altre compagini politiche che calcano la scena della politica mondiale. Un simile sentimento non può svilupparsi attraverso la prassi intergovernativa che governa la politica estera europea; esso ha bisogno del radicamento in una molteplicità di centri decisionali che esprimano istituzionalmente il senso dell’appartenenza all’Unione anche attraverso la gestione della politica estera. L’estensione del principio di sussidiarietà all’ambito della gestione della politica estera, richiederebbe all’Unione una solida autoconfigurazione politica nell’ambito delle relazioni internazionali; di quest’ultima, per ora, non ci sono che alcuni segnali contenuti, tutti, nel Trattato costituzionale firmato il 29 ottobre del 2004 e attualmente bloccato nel processo di ratifica. L’Unione europea è in fase di crescita pacifica (ma non priva di contraddizioni) dal punto di vista dell’estensione territoriale; un fattore in più che potrebbe rendere necessario l’estensione dell’utilizzo del principio di sussidiarietà nell’Unione Europea è proprio il processo dell’allargamento. Dall’originario gruppo dei sei, l’Europa comunitaria si è allargata a nove (1972), poi a dodici, a quindici, sino a giungere oggi a venticinque. L’allargamento al quale non corrisponda una forma di statualità dotata di legittimità democratica nella forma di un potere sussidiario in grado di produrre unità attraverso la diversità, può effettivamente indebolire l’Unione.197 Ma la legittimità democratica dell’Unione dipende soprattutto da un accresciuto ruolo del Parlamento europeo, dalla pubblicità delle sedute del Consiglio quando esercita funzioni legislative: elementi, tutti, che si trovano nel Trattato firmato nel 2004 la cui ratifica, com’è noto, si è arenata. E dipende, 196 Ivi, p. 49. Sullo statuto del cittadino europeo nell’Unione e sul ‘popolo’ europeo vd. pp. 53-55 Sul possibile indebolimento dell’Europa in conseguenza dell’allargamento cfr. Jean, Geopolitica del XXI secolo, cit., p. 90 che riporta ironicamente la formula “più europei, meno Europa.” Più articolato è invece il quadro che emerge dal saggio di P. S. BLESA ALEDO, The Consequences of the Enlargement of the EU for the Common Foreign Policy and for the Common European Defence Policy, in Landuyt- Pasquinucci (a cura di) Gli allargamenti della CEE / UE, cit., Tomo II, pp. 913-940. 197 73 soprattutto, da un modo corretto di intendere la cittadinanza europea: “Gli individui-soggetti federativi sono considerabili […] nella sfera individualepersonale e in relazione ai gruppi di appartenenza già costituiti e legittimati: sono “cittadini” presi singolarmente che, unitisi in popolo per una decisione esclusivamente politica, grazie a un patto “costituzionale” divengono in determinati periodi e contesti milanesi e parigini; piemontesi e bavaresi; italiani, francesi e tedeschi, ecc; infine europei. Tutto ciò avviene senza che siano privati della genetica capacità di appartenere identitariamente ai gruppi-soggetti locali, regionali, nazionali o sovranazionali.”198 Un uso della sussidiarietà in senso orizzontale potrebbe essere in questo caso una delle migliori premesse perché l’allargamento proceda di pari passo con l’approfondimento.199 Un simile uso della sussidiarietà richiede, quale conditio sine qua non per la propria efficacia, una profonda democratizzazione della vita istituzionale dell’Unione che sia coerente con i caratteri fondamentali delle istituzioni che hanno preso corpo in mezzo secolo di storia della costruzione europea. Ma ciò non deriverà, sic et simpliciter, dalle dinamiche economiche della situazione sussidiaria europea, come la storia dell’integrazione ha mostrato e sta mostrando e come l’autocritica del funzionalismo compiuta nel 1967 da Haas200 ha evidenziato. La logica dell’integrazione intesa anche come logica del passaggio da una situazione sussidiaria a un potere sussidiario è sempre una logica politica (pur se economicamente condizionata), perché basata sulla scelta fra ciò che incrementa l’unità nella pluralità (la lettura politica del principio di sussidiarietà) e ciò che rischia invece di deprimerla; la logica politica, a sua volta, non è soltanto logica della politica interna, ma è anche la ‘legge di movimento’ del soggetto istituzionale europeo sull’arena della politica mondiale. 198 MALANDRINO, Sovranità nazionale e pensiero critico federalista., cit., p. 242 e ID.,’Popolo europeo’ e paradigma federalista-comunicativo. Dall’unione dei popoli alla federazione dei cittadini europei in ID. (a cura di), Un popolo per l’Europa unita, cit.,pp.1-39. 199 Sul nesso fra cittadinanza europea e sussidiarietà cfr. C. DU GRANRUT, La citoyenneté européenne. 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Integrazione e sussidiarietà……………………………………. p. 18 Capitolo 2. Integrazione europea e sussidiarietà ‘implicita’……………… p. 27 Capitolo 3. Integrazione europea e sussidiarietà ‘esplicita’……………… p. 38 Capitolo 4. Verso Maastricht…………………………………………… p. 47 Capitolo 5. La positivizzazione del principio di sussidiarietà: premesse storiche e formulazione del Trattato di Maastricht………………………………….. p. 55 Capitolo 6. Da Amsterdam al Trattato costituzionale del 2004: il problema dell’applicazione del principio di sussidiarietà………………………… p. 63 Capitolo 7. Conclusioni……………………………………………. p.71 Bibliografia………………………………………………………… p. 75 Elenco delle abbreviazioni…………………………………………… p. 87 88 Working Papers The full text of the working papers is downloadable at http://polis.unipmn.it/ *Economics Series **Political Theory Series ε Al.Ex Series 2005 n.55** Francesco Ingravalle, La sussidiarietà nei trattati e nelle istituzioni politiche dell'UE. 2005 n. 54* Rosella Levaggi and Marcello Montefiori, It takes three to tango: soft budget constraint and cream skimming in the hospital care market Ferruccio Ponzano, Competition among different levels of government: the reelection problem. 2005 n.53* 2005 n.52* 2005 n.51* Andrea Sisto and Roberto Zanola, Rationally addicted to cinema and TV? An empirical investigation of Italian consumers. 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Contributi al seminario di Teoria politica 2002 n. 30* Franco Amisano, La corruzione amministrativa in una burocrazia di tipo concorrenziale: modelli di analisi economica. 2002 n. 29* Marcello Montefiori, Libertà di scelta e contratti prospettici: l’asimmetria informativa nel mercato delle cure sanitarie ospedaliere 2002 n. 28* Daniele Bondonio, Evaluating the Employment Impact of Business Incentive “Social Programs in EU Disadvantaged Areas. A case from Northern Italy 2002 n. 27** Corrado Malandrino, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale. Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota”(1965-66) 2002 n. 26** Guido Franzinetti, Le Elezioni Galiziane al Reichsrat di Vienna, 1907-1911 2002 n. 25ε Marie-Edith Bissey and Guido Ortona, A simulative frame to study the integration of defectors in a cooperative setting 2001 n. 24* Ferruccio Ponzano, Efficiency wages and endogenous supervision technology 2001 n. 23* Alberto Cassone and Carla Marchese, Should the death tax die? And should it leave an inheritance? 2001 n. 22* Carla Marchese and Fabio Privileggi, Who participates in tax amnesties? 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The Department has regular members and off-site collaborators from other private or public organizations. Instructions to Authors Please ensure that the final version of your manuscript conforms to the requirements listed below: The manuscript should be typewritten single-faced and double-spaced with wide margins. Include an abstract of no more than 100 words. Classify your article according to the Journal of Economic Literature classification system. Keep footnotes to a minimum and number them consecutively throughout the manuscript with superscript Arabic numerals. Acknowledgements and information on grants received can be given in a first footnote (indicated by an asterisk, not included in the consecutive numbering). Ensure that references to publications appearing in the text are given as follows: COASE (1992a; 1992b, ch. 4) has also criticized this bias.... and “...the market has an even more shadowy role than the firm” (COASE 1988, 7). List the complete references alphabetically as follows: Periodicals: KLEIN, B. (1980), “Transaction Cost Determinants of ‘Unfair’ Contractual Arrangements,” American Economic Review, 70(2), 356-362. KLEIN, B., R. G. CRAWFORD and A. A. ALCHIAN (1978), “Vertical Integration, Appropriable Rents, and the Competitive Contracting Process,” Journal of Law and Economics, 21(2), 297-326. Monographs: NELSON, R. R. and S. G. WINTER (1982), An Evolutionary Theory of Economic Change, 2nd ed., Harvard University Press: Cambridge, MA. Contributions to collective works: STIGLITZ, J. E. (1989), “Imperfect Information in the Product Market,” pp. 769-847, in R. SCHMALENSEE and R. D. WILLIG (eds.), Handbook of Industrial Organization, Vol. I, North Holland: Amsterdam-London-New York-Tokyo. Working papers: WILLIAMSON, O. E. (1993), “Redistribution and Efficiency: The Remediableness Standard,” Working paper, Center for the Study of Law and Society, University of California, Berkeley.