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Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS
Department of Public Policy and Public Choice – POLIS
Working paper n. 55
October 2005
La sussidiarietà nei trattati
e nelle istituzioni politiche dell'UE
Francesco Ingravalle
UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA
Premessa
La sussidiarietà, e il principio che la enuncia, costituiscono un corposo problema di storia delle
dottrine politiche e di storia dei trattati e delle istituzioni politiche europee. Disponiamo di una
vasta bibliografia che affronta i problemi della storia dell’integrazione europea, il carattere
giuridico del principio di sussidiarietà, i suoi aspetti politici. Manca, tuttavia, un tentativo di
considerare il principio stesso come elaborazione peculiare di quel momento del processo di
integrazione economica in cui diviene oggettivamente urgente pensare funzioni politiche per le
istituzioni che garantiscono l’unità sovranazionale attraverso la diversità degli Stati membri. E’
questo un momento chiaramente dispiegato durante la costruzione dell’Unione Europea e, allo
‘stato nascente’, in alcuni processi extraeuropei di integrazione regionale. E’ un momentochiave nella logica storica nel processo dell’integrazione europea: il momento in cui il sistema
economico è sollecitato dal proprio sviluppo a farsi sistema politico.
In questo paper si tenta di suggerire un approccio analitico e storico che considera le istituzioni
politiche dell’Unione Europea sia alla luce del problema generale dell’integrazione regionale,
sia alla luce della storia delle istituzioni politiche che il processo di costruzione europea ha
creato, e che vede nel principio di sussidiarietà l’ espressione peculiare di questo processo. La
tesi che viene qui proposta considera la sussidiarietà come espressione, pratica e teorica, di una
situazione amministrativa e politica in cui non si possono e non si vogliono trasformare le
molteplici fonti di potere, costituite dagli Stati membri, in mere funzioni di un solo centro
decisionale; al contrario la decisione politica e amministrativa viene prospettata come esito di
una molteplicità di livelli di governo organizzati nei termini di una gerarchia non centralistica.
Per effetto dell’esigenza statunitense, maturata già negli ultimi anni del secondo conflitto
mondiale, di creare un’area europea economicamente integrata, si è venuta configurando,
prima attraverso l’integrazione settoriale dovuta alla CECA (Comunità economica del carbone
e dell’acciaio), poi attraverso la CEE (Comunità economica europea), una zona di mercato
comune; dopo le crisi degli inizi degli anni settanta ha preso forma una zona di stabilità
monetaria con lo SME e infine, con le turbolenze legate alla implosione del sistema degli Stati
legati all’URSS e della Jugoslavia, si è configurato, col Trattato di Maastricht (il Trattato
sull’Unione europea), un piano di unificazione monetaria e politica. Il criterio della
sussidiarietà, che aveva regolato implicitamente il funzionamento della CECA e quello della
CEE, viene esplicitamente posto come criterio per la realizzazione di un potere sovranazionale
1
senza configurare propriamente le linee progettuali di uno Stato federale e, d’altra parte,
superando in parte la logica meramente confederale. Il principio di sussidiarietà assume una
centralità tale che, a partire dal Trattato di Amsterdam, gli sono dedicati specifici protocolli di
applicazione. Il principio sembra rendere esplicita, dunque, a partire dal Trattato di
Maastricht, la logica di funzionamento che ha presieduto fin dall’inizio, implicitamente, alla
formazione, con l’avanzare del processo di integrazione e con l’ampliamento del mercato
comune, nell’arco di oltre un cinquantennio, della struttura istituzionale dell’UE; una struttura
istituzionale che risulta essere, come ha affermato Mario Telò, un tertium genus tra
federazione e confederazione per il quale è stata utilizzata, di recente, sul piano giuridico, la
denominazione di “costituzionalismo a più livelli”.1
Questo lavoro è finalizzato – quale prima parte “fondativa” sul piano ricostruttivo storicoteorico – a un’indagine più istituzionale-amministrativa su come il principio di sussidiarietà,
sancito nel Trattato di Maastricht, è stato applicato. Esso rappresenta i primi risultati di un
work in progress iniziato in occasione del convegno organizzato da Corrado Malandrino
«Popolo/popoli europei: questione di identità e/o di costituzione?», tenutosi il 27-28 marzo
2003 a Torino, e proseguito con due brevi ricerche presentate alla “Scuola estiva AUSE”
nell’estate del 2004 e del 2005 (rispettivamente sui Protocolli di applicazione del principio di
sussidiarietà e sul tema dei dibattiti degli anni sessanta relativi all’unione monetaria europea).
Ringrazio il prof. Corrado Malandrino che mi ha fornito numerosi suggerimenti.
Senza il supporto degli Archivi Storici delle Comunità Europee di Firenze (in particolare del
dottor Gherardo Bonini) e della biblioteca dell’Istituto Universitario Europeo di Badia
Fiesolana questo lavoro non sarebbe stato possibile.
Infine, la disponibilità del Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive
dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” presso il quale svolgo la funzione
di assegnista di ricerca nell’ambito della attività della “Cattedra Jean Monnet” del prof.
Malandrino, è stata per me di importanza decisiva.
Francesco Ingravalle
1
Cfr. I. PERNICE-F. MAYER, La Costituzione integrata dell’Europa in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e
Costituzione nell’Unione Europea, coordinamento scientifico di S. Dellavalle e J. Luther, Roma- Bari, Laterza,
2003, pp. 43-68.
2
Introduzione:
ambiguità
o
flessibilità
del
concetto
di
sussidiarietà?
1. “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli
obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato.
Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene
secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi
dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati
membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in
questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.
L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento
degli obiettivi del presente trattato.”2
Così recita l’articolo 3 B del Trattato sull’Unione europea del 7 febbraio 1992
(TUE). Fino all’eventuale entrata in vigore del Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa, firmato il 29 ottobre 2004, è questa la formulazione del
principio di sussidiarietà alla quale ci si deve attenere nella prassi amministrativa.3
2
Cfr. Unione europea, Raccolta dei trattati, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali
delle Comunità europee, 1993, Tomo I, p. 112; il testo si legge anche in A. Tizzano, Codice
dell’Unione europea. Il Trattato di Maastricht, Il Trattato CE e i testi collegati, Padova,
C.E.D.A.M., 1995, p. 6. L’art. 3 B è stato inserito dall’articolo G, par. 5 del Trattato sull’Unione
europea nel Trattato che istituisce la Comunità europea, cfr. Unione europea, Raccolta dei trattati,
cit., p. 101, Nota degli editori, e Tizzano, Codice dell’Unione europea, cit., p. 103. Nella versione
consolidata del Trattato l’articolo 3 B viene rinumerato come articolo 5, cfr. F. POCAR-M.
TAMBURINI, Norme fondamentali dell’Unione e della Comunità europea, decima edizione, con la
collaborazione di L. Sandrini, Milano, Giuffrè, 2002, p. 5.
3
In questo trattato (consultato nella versione intitolata Trattato che adotta una costituzione per
l’Europa, CIG 87/04, Bruxelles, 6 agosto 2004, p. 3) la formulazione del principio è la seguente
(art. I-11, § 3): “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza
esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non
possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello
regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere
meglio raggiunti a livello di Unione.” Si nota che l’azione dell’Unione non deve più rispettare
soltanto il livello giurisdizionale degli Stati membri, come era stabilito per la Comunità dall’art. 3 B
del Trattato di Maastricht, ma anche quello delle regioni e degli enti locali. Questa innovazione si
trova già nel Progetto di Trattato del 2003, art. I-9 § 3, cfr. Progetto di Trattato che istituisce una
costituzione per l’Europa, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità
europee, 2003, p. 15.
3
L’importanza del principio che vi viene richiamato non risulta soltanto dalla
collocazione all’interno delle partizioni del trattato (dato che si trova tra i principi
fondamentali), ma anche dal fatto che il principio di sussidiarietà disciplina il
concreto funzionamento della Comunità nella sua articolazione fondamentale,
quella cioè della relazione tra Stati membri e Comunità, fra livello della sovranità
nazionale e livello della sovranazionalità. Questi due aspetti della centralità del
principio ritornano sia nel Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per
l’Europa (2003), art. I-9, sia nel Trattato che istituisce una costituzione per
l’Europa(2004), art. I-11. Li possiamo considerare pertanto acquisizioni definitive
nel processo di sviluppo intergovernativo che ha portato dalla legge fondamentale
della Comunità a quella (in attesa di ratifica) dell’UE (Unione europea). Si è
autorevolmente sostenuto che esso vale “per l’applicazione a qualsivoglia dei tre
pilastri.”4 E in effetti l’articolo 3 B è richiamato dall’articolo B il quale afferma che
gli obiettivi dell’Unione “saranno perseguiti conformemente alle disposizioni del
presente trattato, alle condizioni e secondo il ritmo ivi fissati, nel rispetto del
principio di sussidiarietà definito dall’articolo 3 B del Trattato che istituisce la
Comunità europea”5 e non contiene alcuna limitazione per quanto riguarda
l’ambito di applicabilità del principio.
L’articolo 3 B implica una visione precisa delle delimitazioni, sotto il profilo delle
competenze, tra ambito comunitario e ambito degli Stati membri, cioè una
delimitazione di sovranità, o, se si preferisce, di ambiti giurisdizionali. La implica,
ma non è esso stesso a produrla. Il principio di sussidiarietà articola le competenze
sulla base della lettera del trattato. Tuttavia, esso contiene, di per sé, il concetto
della limitatezza del potere sovranazionale rispetto agli Stati membri della
Comunità; questo concetto non è una mera articolazione giuridica della ripartizione
delle competenze operata dal trattato. Né si potrebbe negare il valore lato sensu
politico delle norme che reggono la Comunità. Se questo è vero, il principio di
sussidiarietà è sia articolazione giuridica delle competenze fissate dal trattato, sia
principio architettonico in qualche misura autonomo rispetto a quanto viene fissato
dal trattato. Se applicare il principio di sussidiarietà significa assicurare che le
funzioni amministrative vengano svolte da istituzioni il più possibile vicine al
cittadino, tale principio implica: 1) che gli Stati membri sono le istituzioni più
4
B. OLIVI, L’Europa difficile, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 389.
Cfr. Unione Europea, Raccolta dei trattati, cit., Tomo I, p. 24.
5
4
vicine al cittadino; 2) che per conseguire gli obiettivi della Comunità alla quale
hanno dato luogo gli Stati membri, riconoscendo così un certo numero di obiettivi
come al di fuori della loro portata, sono necessarie istituzioni che trascendano gli
Stati membri, cioè istituzioni sovranazionali. L’analisi del principio ci permette di
derivarne quei contenuti che il Trattato impone quale esito dell’accordo fra gli
Stati membri. Se è il principio stesso, dunque,
a fissare il criterio per la
ripartizione delle competenze, la prima questione che si pone è se il principio
politico prevalga sulla norma giuridica6 oppure viceversa. Il senso della prima
questione emerge con chiarezza dalla seconda questione, quella del significato del
principio in relazione alla prospettiva di sviluppo dell’UE in senso federale oppure
in senso confederale.7 A entrambe le questioni è connessa la domanda circa il
carattere decentratore o, all’opposto, accentratore del principio. Come principio
giuridico, il principio di sussidiarietà norma quanto disposto dai trattati e risulta
essere un mero dispositivo atto a tutelate gli Stati membri dall’ “invadenza” della
Comunità sul piano giuridico e amministrativo, e a rafforzare sul piano politico una
immagine confederale della Comunità; come principio politico esso tende invece a
configurare un modello federale basato su una ‘duplice sovranità’ (della Comunità
e degli Stati membri), su una ripartizione della sovranità in due livelli correlati ma
distinti.8 Dire Comunità, significa dire istituzioni sovranazionali nel loro rapporto
con le istituzioni degli Stati membri: il principio di sussidiarietà può apparire, volta
a volta, come principio che favorisce il massimo decentramento a vantaggio degli
Stati membri, o, all’opposto, come lo strumento per la creazione di una sorta di
‘super-Stato’ federale. Se ci si colloca sul terreno della concreta storia
dell’integrazione europea, si constata che il principio permette questa duplice
lettura perché è stato formulato sulla scorta di istanze intergovernative, allo scopo
6
Cfr. G.P. ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, Roma, Istituto Italiano di Studi Legislativi, 1993,
pp. 81-84.
7
Ivi, p. 91: “Il principio di sussidiarietà consente di riferirsi a due preoccupazioni opposte, quella di
difendere i poteri degli Stati membri (…) e quella di allargare le competenze dell’Unione e di
rafforzare i suoi poteri in una prospettiva federale.
8
Per la distinzione tra federazione e confederazione cfr. C. MALANDRINO, Federalismo. Storia,
idee, modelli, Roma, Carocci, 1998, p. 17: “La federazione denomina un vero e proprio superstato
federale, mentre la confederazione – che non ha carattere statale – indica un mero ambito pattizio,
temporaneo e transitorio, che non implica alcuna limitazione o rinuncia di sovranità da parte dei
suoi membri. Naturalmente una confederazione può, entro determinate condizioni che sono stabilite
dal e nel contesto storico-politico, evolvere nel tempo verso l’obiettivo della federazione: lo
dimostrano vari esempi, come quello della Confederazione Elvetica o degli Stati Uniti d’America, o
ancora, la possibilità che la Comunità Economica Europea (che è una forma di associazione
confederale funzionale tra Stati sovrani) si trasformi, attraverso lo sviluppo dell’Unione Europea,
nella federazione (tanto agognata da alcuni, temuta da altri) degli Stati Uniti d’Europa”
5
di regolare il settore economico che, grazie alla compenetrazione delle economie
dei paesi membri, era il più segnato dal prevalere di logiche sovranazionali e,
quindi, il più bisognoso di un criterio che ripartisse le competenze. In seguito al
movimento di allargamento dell’Unione e al “contestuale movimento di sblocco di
un’area crescente di decisioni comunitarie, rispetto al potere di veto dei singoli
Stati membri, che allarga i casi in cui concretamente potrà esserci contrasto tra
indirizzo sovranazionale e posizioni di uno Stato in minoranza”,9 l’area di queste
materie tenderà a allargarsi e stimolerà l’applicazione del principio di sussidiarietà
agli altri due pilastri di Maastricht.
2. Il termine ‘sussidiarietà’ è relativamente recente10 e il concetto al quale esso si
riferisce è chiamato a regolare i rapporti tra lo Stato e i cittadini considerati come
organicamente, naturalmente inseriti nelle loro comunità di appartenenza. La prima
osservazione da fare è la traslazione del principio, operata dal TUE, dall’ambito
dei rapporti Stato-cittadini all’ambito dei rapporti sovrastatualità-statualità (i
rapporti Comunità – Stati membri). Questo implica una precisa indicazione:
l’analogia implicita tra i due ordini di rapporti, ben presente negli intenti del
legislatore.
La teorica della sussidiarietà, presto sviluppatasi, distingue: 1) sussidiarietà
‘negativa’ (che realizza il divieto di intromissione eccessiva ai livelli
amministrativi superiori)11 e sussidiarietà ‘positiva’ (che obbliga i livelli superiori
ad agire nei casi in cui ciò sia necessario); 2) sussidiarietà ‘verticale’ (che
disciplina i rapporti tra i diversi livelli del potere politico) e sussidiarietà
‘orizzontale’ (che disciplina i rapporti tra pubblico e privato)12; 3) sussidiarietà
‘diretta’ (le carenze degli Stati obbligano la Comunità a intervenire) e sussidiarietà
‘inversa’ (le carenze della Comunità obbligano gli Stati ad agire). La sostanza del
principio è nella garanzia che le decisioni siano prese al livello
9
più vicino
Cfr. G. COTTURRI, Potere sussidiario. Sussidiarietà e federalismo in Europa e in Italia, Roma,
Carocci, 2001, pp. 62-64
10
Cfr. G. D’AGNOLO, La sussidiarietà nell’Unione europea, Padova, C.E.D.A.M., 1998, pp. 3-4.
11
Ivi, p. 5.
12
Distinzione operata da J. DELORS, Le principe de subsidiarité: contribution au débat in AA.VV.
Subsidiarité: défi et changement, Maastricht, Institut d’Administration européenne, 1991, pp. 7-19.
I numerosi interventi di Delors sul principio di sussidiarietà sono elencati da C.G. ANTA, Il rilancio
dell’Europa. Il progetto di Jacques Delors, Milano, Angeli, 2004, pp. 88-89, nn. 98-100. Si v.
anche le riflessioni di N. MANCINO, La sussidiarietà orizzontale, Roma, Senato della Repubblica, s.
d.
6
possibile ai cittadini;13 se si considerano istituzioni nazionali e istituzioni
comunitarie come dotate di pari grado di “rappresentatività”, è chiaro che le prime
sono più vicine ai cittadini che non le seconde.14
Il principio può intendersi come criterio per l’attribuzione di competenze a un
centro di potere piuttosto che a un altro, oppure come criterio per l’esercizio di
competenze cui concorrono più centri di potere; nel primo caso, il principio risulta
essere politico, nel secondo, esso si configura maggiormente come principio
giuridico, come avviene nell’art. 3 B riportato in apertura.15 Alla domanda su chi
ripartisca le competenze non c’è che una risposta: il Trattato, che è opera
intergovernativa. Tuttavia, per chi consideri i tre pilastri di Maastricht, è chiaro che
nel primo, quello comunitario, il principio è destinato a funzionare in senso
sovranazionale e federalizzante, mentre negli altri due (PESC e GAI) il principio è
portato a funzionare in senso confederale configurando un’architettura complessiva
non statuale in senso classico, ma con una sua peculiare statualità, non interamente
federale, ma neppure interamente confederale. Questo è dovuto al caratteristico
sviluppo dell’integrazione europea, che si è maggiormente approfondita in
direzione della costruzione di un potere sovranazionale sul piano economico
(soprattutto con la istituzione dell’euro e della BCE, la Banca centrale europea),
mentre è rimasta ancorata al livello di azioni intergovernative sul piano della
politica estera e di sicurezza e sul piano della giustizia e degli affari interni.16 Per
ora ci troviamo di fronte a un tertium genus17 rispetto all’antitesi federalismoconfederalismo.18 Il principio di sussidiarietà esprime interamente questa
situazione che può essere intesa come ambiguità, ma che rivela anche la
fondamentale flessibilità del principio stesso che riesce a adattarsi a una realtà
13
L’idea di avvicinare il più possibile il governo ai governati può essere scoperta fin nella Bibbia,
secondo J.B. D’ONORIO, La subsidiarité, analyse d’un concept in Id. (a cura di), La subsidiarité.
De la théorie à la pratique, Actes du XII colloque national de la Conféderation des Juristes
catholiques de France, Paris, 20-21 novembre 1993, Paris, Téqui, 1994, pp. 13-14.
14
Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 2-3.
15
K. LENAERTS-P.VAN YPERSELE, Le principe de subsidiarité, “Cahiers de Droit Européen”, nn. 12, 1994, p. 10.
16
K. VAN KERSBERGER-B. VERBEEK, Subsidiarity as Principle of Governance in the European
Union in “Comparative European Politics”, 2004, v. 2, n. 2, agosto, pp. 142-162 hanno sostenuto
che intergovernamentalismo e Multilevel Governance sono tipici del sistema della UE e fanno sì
che la sussidiarietà vari da ambito a ambito della policy.
17
Cfr. M. TELÒ, Dallo Stato all’Europa. Idee politiche e istituzioni, Roma, Carocci, 2004, p. 144:
“Se la dinamica federal-funzionale avesse prevalso fino in fondo, esisterebbero uno Stato federale
europeo e una nazione europea. Se avesse totalmente fallito, avremmo secessioni e un effetto
valanga verso l’implosione dell’UE. L’equilibrio raggiunto dall’UE alla fine del XX secolo è una
terza cosa.”
18
Sull’antitesi cfr. C. MALANDRINO, Federalismo,cit.
7
complessa e, per così dire, inedita sul piano politico. Nella formulazione dell’art. 3
B l’interpretazione del principio di sussidiarietà dipende effettivamente dal
principio di attribuzione delle competenze; ma questo, a sua volta, è legato alla
concezione dei limiti rispettivi e reciproci della sovranità degli Stati e di quella
della Comunità: che cosa è effettivamente fuori della portata degli Stati e, per ciò
stesso, è competenza della Comunità? Sia nel Rapporto della Commissione
sull’Unione europea del 1975 che fu una delle basi del Rapport di Leo Tindemans
intitolato L’Union européenne, sia nel Progetto di Trattato sull’Unione europea
elaborato dal Parlamento nel 1984 il criterio per l’attribuzione delle competenze
era proprio il principio di sussidiarietà, inteso come principio politico, dunque, non
meramente giuridico. Sembra che gli organi più caratterizzati in senso
sovranazionale tendano a privilegiare l’interpretazione politica del principio,
mentre gli organi legati all’intergovernatività tendono a interpretarlo in senso
giuridico.
Il principio di sussidiarietà ha una storia assai lunga che non è il caso di
ripercorrere qui esistendo già trattazioni eccellenti ed esaurienti.19 Si potrebbe dire
comunque che più che di una storia si tratta della genealogia di un principio dalle
molteplici radici: la Politica di Aristotele, il pensiero di Tommaso d’Aquino, la
“teologia federale” calvinista, la Politica di Johannes Althusius, il pensiero politico
liberale, la tradizione del pensiero sociale cattolico (espresso nell’enciclica Rerum
Novarum di papa Leone XIII e nell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI). Per
dirla con precisione ed efficacia “si parte dal presupposto che ogni azione sociale e
statale debba essere per natura sussidiaria, ossia che abbia valore di sostegno
aggiuntivo da parte delle unità più elevate dello Stato e della società nei confronti
delle minori qualora queste non riescano per proprio conto ad assolvere a
determinate funzioni.”20 A queste varie tradizioni di pensiero sembra essere
comune
una
situazione
configurata
dall’esigenza
di
realizzare
l’unità
amministrativa e politica attraverso la pluralità dei corpi sociali e politici. In
Althusius, a esempio, questa esigenza si caratterizza come “rispetto dell’autonomia
delle consociazioni minori e particolari” e come “affermazione di un intervento
(…) da parte delle consociazioni maggiori” nel quadro di un “autogoverno delle
19
Cfr. C. STEWING, Subsidiarität und Föderalismus in der Europäischen Union, Köln – Berlin –
Bonn – München, Heymann, 1992, pp. 7-30; C. MILLON DELSOL, Le principe de subsidiarité, Paris,
P.U.F., 1993, pp. 9-35; ID. Lo Stato della sussidiarietà (1992), Gorle, Casa Editrice C.E.L., 1995.
20
C. MALANDRINO, Federalismo, cit., p. 19, n. 5.
8
collettività (universitates).”21 L’esigenza espressa in questo modo sembra essere
particolarmente forte nel periodo del lento declino dello ‘Stato giurisdizionale’22 in
Europa tra XVI e XVII secolo e pare eclissarsi, nel pensiero politico e
amministrativo europeo, nel momento in cui si afferma la concezione della
sovranità espressa dall’asse Bodin-Hobbes-Rousseau in teoria e, nella pratica,
soprattutto nel momento in cui si afferma lo Stato amministrativo di matrice
napoleonica. Essa ricompare nel pensiero liberale e libertario del secolo XIX e nel
cattolicesimo sociale e, da quel momento, diventa una componente decisiva di ogni
forma di pensiero anticentralistico.
Da queste rapide osservazioni possiamo dedurre che la sussidiarietà è espressione,
tanto nella pratica, quanto nella teoria, nell’Europa della prima modernità, di una
situazione amministrativa e politica in cui non si possono e non si vogliono
trasformare le molteplici fonti di potere in funzioni di un solo centro decisionale: la
decisione amministrativa e politica scaturisce da una molteplicità di livelli di
governo organizzati nei termini di una gerarchia non centralistica. Quest’immagine
della gerarchia politico-amministrativa viene ripresa, con diversi livelli di
consapevolezza storica sia dal pensiero liberale, sia da taluni filoni del pensiero
socialista e libertario, sia dal pensiero sociale cattolico, sia dal pensiero federalista
(il federalismo politico-istituzionale, in particolare).23 Il secondo conflitto
mondiale rappresenta una linea di confine oltre la quale la forma dello statonazione è superata da quella dello Stato continentale.24
21
C. MALANDRINO, Die Subsidiarität in der “Politica” und in der Praxis des Johannes Althusius in
Emden, in P. Blickle-T.O. Hüglin-D. Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und
politisches Ordnungsprinzip in Kirche, Staat und Gesellschaft. Genese, Geltungsgrundlagen und
Perspektiven an der Schwelle des dritten Jahrtausends, in “Rechtstheorie”, Beiheft 20, Berlin,
Duncker &Humblot, 2002, pp. 237-258 (versione italiana: La «sussidiarietà» nella Politica e nella
prassi antiassolutista di J. Althusius a Emden in “Il Pensiero Politico”, XXXIV, 2001, pp. 47 e 51);
cfr. anche T. O. HUEGLIN, Early Modern Concepts for a late World. Althusius on Community and
Federalism, Wilfried Laurier University Press, 1999, pp. 152 ss. e M. SCATTOLA, Subsidiaritäi und
gerechte Ordnung in der politischen Lehre des Johannes Althusius, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a
cura di) Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 337-367.
22
Per la nozione di ‘Stato giurisdizionale’ cfr. L. MANNORI-B. SORDI, Storia del diritto
amministrativo, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 36-71 e 75-181. Sulla fine dell”ordine antico” cfr.
pp. 182-221.
23
Cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit., passim.
24
Fu F. Nietzsche a intuire che nel XX secolola forma dello Stato nazione sarebbe stata
gradualmente sostituita dallo Stato continentale, cfr. F. INGRAVALLE, Stato,Groβe Politik ed Europa
nel pensiero politico di F. Nietzsche, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”,
Alessandria, Working Paper n. 40, febbraio 2004. Indipendentemente dalla prospettiva nietzscheana
L. Einaudi da un lato, Altiero Spinelli con E. Rossi, nel Manifesto di Ventotene giunsero a
conclusioni analoghe.
9
La sostanza del principio di sussidiarietà, come si è già detto, è che le decisioni
amministrative vanno prese al livello più vicino ai cittadini. Si tratta di un principio
che disciplina la vita politica all’interno dello Stato. Se guardiamo all’art. 3 B del
TUE dobbiamo constatare che, una volta portato dal livello dei rapporti intra-statali
al livello dei rapporti inter-statali, il principio si trasforma notevolmente perché
cambia completamente di contesto e, con le sue epifanie in ambito di storia delle
dottrine politiche, il principio stesso intrattiene soltanto rapporti di analogia. Non si
tratta, peraltro, di una trasformazione radicale. Che siano in questione i rapporti tra
cittadino e Stato oppure i rapporti tra Stati membri e istituzioni sovranazionali il
problema è lo stesso, vale a dire tutelare la pluralità all’interno dell’unità. La scelta
di utilizzare il nome di ‘sussidiarietà’ per designare il principio espresso dall’art. 3
B non è stata casuale;25 si trattava di dare un nome di cosa nota sul piano teorico a
qualche cosa di istituzionalmente inedito (a parte, com’è risaputo, le esperienze del
Sacro Romano Impero Germanico nell’interpretazione di Althusius nella Politica
del 1614,26 degli U.S.A. e della Repubblica federale Tedesca fondata nel 1949).
Il principio di cui ci occuperemo qui è interamente radicato, nel suo significato
concreto, nella storia dell’integrazione europea, è coniato sulla sua misura e sulla
sua sostanza, anche se in rapporto analogico con una ricca tradizione. Rivolgeremo
la nostra attenzione, pertanto, esclusivamente alla contestualizzazione del principio
nella storia dell’integrazione europea cercando di privilegiarne gli aspetti storicoistituzionali. non vogliamo assolutamente negare la rilevanza dal punto di vista
teorico e della storia delle dottrine politiche della genealogia tracciata nelle
autorevoli trattazioni storiche già richiamate. Il quesito che ci poniamo è perché
proprio il principio di sussidiarietà sia stato scelto come criterio del difficile
rapporto fra Stati membri e Comunità, quando questo rapporto aveva, ormai
quarant’anni di storia alle spalle. La risposta non va ricercata solo nella storia del
principio, ma anche nella storia della concreta realtà che esso è stato chiamato a
regolare. Una storia che non si
lascia del tutto esaurire nell’alternativa
federazione/confederazione perché la ripropone su due livelli: il livello della
Comunità economica e il livello dell’Unione politica. La storia dell’integrazione
25
J.-P. JACQUE, La subsidiarité en droit communautaire, in D’Onorio (a cura di), La subsidiarité,
cit., pp. 86-97.
26
Cfr. MALANDRINO, La sussidiarietà nella Politica e nella prassi antiassolutista di J. Althusius a
Emden, cit., pp. 41-58. Cfr. A. BRETON-A. CASSONE, A. FRASCHINI, Decentralisation and
Subsidiarity: Toward a Theoretical Reconciliation, in “Journal of International Economic Law”,
XIX, 1998, 1, pp. 21-51; il riferimento si trova alle pp. 21-22.
10
europea ha prodotto un tertium genus tra federazione e confederazione, come si
può già notare ai tempi del TUE. Che il principio di sussidiarietà non sia stato
considerato anche alla luce del suo esprimere questo tertium genus spiega le
caratteristiche salienti del vasto dibattito critico iniziato nella prima metà degli anni
’90. Esso si lascia riassumere, nonostante tutto, in una contrapposizione netta fra
chi ritiene il principio di sussidiarietà un pericoloso strumento di centralismo
sovranazionale e chi lo vede come un elemento centrale, anche se ambiguo, di un
processo istituzionale federalizzante democratico in fieri dal significato tutt’altro
che accentratore.
J. B. d’Onorio afferma recisamente che l’art. 3 B del Trattato di Maastricht
comporta una visione centralizzatrice del principio di sussidiarietà. Egli inizia
ricordando la competenza esclusiva della Comunità prima di ricordare quelle degli
Stati e soprattutto, afferma, “le principe de subsidiarité n’est appelé à s’appliquer
que hors du champ de cette exclusivité, c’est-à-dire qu’il ne pourra jouer qu’au
profit des autorités de Bruxelles pour les domaines de competence concurrente
(dite aussi “partagée”) entre la Communauté et les États membres ou encore pour
les compétences communautaires à venir […].”27 Per d’Onorio si tratta di
un’interpretazione estensiva che sarebbe confermata dal Consiglio delle Comunità.
Ma perché “estensiva”? Secondo l’autore, perché la finalità stessa del trattato era di
approfondire “la solidarité entre les peuples” e tale approfondimento significa
gettare le basi di un potere federale, qui interpretato, evidentemente, come
centralistico. Ma perché ‘centralistico’? Perché il principio di amministrare gli
affari pubblici al livello più vicino al cittadino è destinato a rivelarsi tale se lo si
‘distorce’ ampliando gli ambiti di intervento della Comunità come avviene nel
titolo II, articolo G del Trattato sull’Unione europea.28 Sotto questo profilo, la
sussidiarietà propugnata dalla Commissione29 appare ambigua a d’Onorio: da un
lato essa afferma il principio secondo cui “la règle est la compétence nationale,
l’exception la compétence communautaire”, dall’altro afferma una competenza,
nel fissare i limiti dell’azione degli Stati membri, che conduce direttamente al
centralismo sovranazionale. Così, la sussidiarietà comunitaria si avvicina molto
alla sussidiarietà prevista dal “Progetto Spinelli,” cioè a una sussidiarietà come
27
28
D’ONORIO, La subsidiarité, cit., p. 31.
D’ONORIO, La subsidiarité, p. 33.
11
principio politico di attribuzione di competenze e nucleo di una visione federalista.
Sulla medesima linea è anche la ricostruzione della storia del principio di
sussidiarietà fatta da Chantal Millon-Delsol.30 Per quanto molto lontano
ideologicamente dagli autori qui richiamati, Réné Lourau, muovendo dai
presupposti
della
“analisi
istituzionale”
(che
mirano
alla
realizzazione
dell’autogestione sociale e alla decostruzione in chiave libertaria del potere sociale
e
politico),31 giunge a conclusioni analoghe, sostenendo che la sussidiarietà di
Maastricht è una sussidiarietà imposta dall’alto, che evoca e concentra in sé
l’intero quadro dei deficit di democrazia della Comunità e dell’Unione32. Per
questa linea di pensiero la sovranazionalità nella versione degli atti della
Commissione equivale a centralismo.
Al contrario Giuseppe Cotturri vede nel principio di sussidiarietà e soprattutto nel
Protocollo di Amsterdam il fondamento di un metodo dialogante che pone le basi
per intendere l’espansione dell’intervento comunitario come frutto di un processo
“molto negoziato”; tale processo coinvolge i livelli del potere sovranazionale e i
poteri nazionali e “pur avendo necessità pratica di articolarsi e di agganciarsi a
organizzazioni di potere nello spazio, rimanda anzitutto alla costituzione di
soggetti, al riconoscimento di identità collettive, al senso degli scambi
multiculturali, a vincoli di solidarietà e a confini di autonomia.”33 La sussidiarietà
trasforma il potere in “prassi dialogica” che coinvolge livello sovranazionale,
livello nazionale e livello subnazionale.
Un momento decisivo nello studio del principio di sussidiarietà è rappresentato
senza dubbio dal voluminoso Beiheft 20 pubblicato da “Rechtstheorie” e intitolato
Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip in Kirche, Staat und
Gesellschaft.34 Si tratta della messa a punto più completa fino a oggi della
discussione critica e storica e della ricerca sul principio di sussidiarietà, poiché essa
29
Cfr. Le principe de subsidiarité – Communication au Conseil et au Parlement européen in
"Revue trimestrielle de droit européen” (28) 4, ottobre-dicembre 1992, pp. 728-739 si v.
specialmente p. 734.
30
Cfr. MILLON-DELSOL, L’État subsidiarie, Paris, P.U.F., 1992, tr. it Lo Stato della sussidiarietà,
Gorle, Editrice C.E.L., 1995, pp. 151 ss., la quale richiama gli usi distorti perché centralistici e
autoritari del principio di sussidiarietà.
31
Cfr. G. LAPASSADE, L’analisi istituzionale, tr. it. Milano, ISEDI, 1974; R. LOURAU, L’analyse
institutionnelle, Paris, Editions du Minuit, 1970; ID., La chiave dei campi. Un’introduzione
all’analisi istituzionale, tr. it. Roma, Sensibili alle foglie, 1999.
32
Cfr. R. LOURAU, Le principe de subsidiarité contre l’Europe, Paris, P.U.F., 1997.
33
COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 21.
34
Cfr. P. Blickle-T.O. Hüglin-D. Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches
Ordnungsprinzip, cit.
12
comprende i fondamenti del principio nella cultura confessionale cristiana e nei
presupposti generali della teoria politica e della società, nei presupposti della teoria
costituzionale, del diritto e dello Stato. Inoltre perché a tali ambiti riconduce la
prassi regionale e comunale della sussidiarietà vista sotto il profilo storico-sociale,
le connessioni fra ordinamento corporativo, federalismo e sussidiarietà, la duplice
caratteristica di principio giuridico e politico del principio nell’Unione Europea e,
infine, la sua presenza nella prospettiva del diritto delle genti e in quella del mondo
globale. Dall’angolo visuale della presente ricerca è di particolare importanza ciò
che osserva Stefan Ulrich Pieper: “L’introduzione del principio di sussidiarietà ha
portato amitigare le tendenze alla regolazione centralistica.”35 Al tempo stesso esso
obbliga a considerare l’istanza sovranazionale con come una realtà “altra”, ma
come garante del libero sviluppo della vita sociale e politica. Per Thomas O.
Hüglin36 il principio costituente (Gestaltungsprinzip) di sussidiarietà è un principio
politico, non giuridico, come mostra l’ancoraggio del principio alla dottrina
althusiana della consociatio. E’ il principio che esprime la politica come
formazione di una comunità (Gemeinschaftsbildung) e che, secondo lo studioso è
completamente diverso dal federalismo costituzionale americano: “Nel federalismo
costituzionale americano questa coordinazione [dei distinti ambiti della società, N.
d. R.] avviene soltanto attraverso azioni intergovernative effettuate sulla base
dell‘ordine costituzionale dato secondo il quale federazione e Stati membri, per
quanto riguarda le loro competenze, si dividono principalmente in modo
dualistico”37 Christian Calliess vede nel principio di sussidiarietà l’elemento chiave
per lo sviluppo di un sistema di governo a più livelli e vede nel “principio di
solidarietà,” inteso come ‘anima’ del decentramento, un correttivo alle possibili
derive centralistiche del principio di sussidiarietà.38
Affine al modello di indagine che vede nel principio di sussidiarietà il nucleo
fondante di una prassi governativa dialogica, anche se non esplicitamente centrato
35
PIEPER, Das Subsidiaritätsprinzip im Europäischen Gemeinschaftsrecht, in Blickle-HüglinWyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 445471: 459.
36
HÜGLIN, Föderalismus und Subsidiarität. Ein Beitrag zu Schnittstellen in der politischen
Ideengeschichte, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität als rechtliches und
politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 325-336, specialmente pp. 326-327. Sul nesso tra federalismo
e sussidiarietà cfr. già H. BRUGMANS, La pensée politique du Fédéralisme, Leyde, A.S. Sijthoff,
1969, pp. 65-81.
37
HÜGLIN, Föderalismus und Subsidiarität in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di), Subsidiarität
als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., p. 327.
13
sul principio di sussidiarietà, è il modello federalista-comunicativo elaborato da
Malandrino in merito alla possibile federalizzazione dell’Unione Europea.39
Secondo questo modello “gli individui-soggetti federativi esplicano la loro attività
nei vari livelli di esistenza che coincidono con i diversi piani di aggregazione
sociale e politica, legandosi ai valori culturali e sostantivi specifici di ognuno di
questi, pur rimanendo capaci di esperienze plurali e di appartenenze plurali. Dal
loro vario e necessario entrare in rapporti pattizi in ognuno di tali livelli si genera
una pluralità di patti federali e di popoli federali, dai quali promana nel contempo
una pluralità di poteri costitutivi (o “costituenti”) federali infranazionali, nazionali
e sovranazionali.”40 In questa prospettiva, potremmo dire che il principio di
sussidiarietà viene a essere il principio architettonico dei rapporti pattizi di cui è
intessuto il sistema qui descritto.41 La sussidiarietà rende possibili i foedera e
questi rendono possibile la sussidiarietà; il centro ideale di questa “circolarità
virtuosa”42 non è il puro criterio di ripartizione delle competenze, ma anche
l’insieme di “spinte di indipendenza e di autogoverno”43 rispetto a cui il potere
sussidiario sovranazionale è governo, non signoria.
Sia l’interpretazione di Cotturri, sia quella di Malandrino aprono un nuovo fronte
nel dibattito. Non si chiedono se la sussidiarietà sia accentratrice o decentratrice,
ma si interrogano sulle concrete potenzialità democratiche, in termini di
sussidiarietà,44 del rapporto fra entità substatali, Stati e istituzioni sovranazionali
proprio a partire dal fatto che attualmente la costruzione europea è un tertium
genus che può evolvere in senso federale.
Nella diffidenza verso il principio politico di sussidiarietà si fondono componenti
sovranistiche, componenti anti-autoritarie, ma anche autentiche perplessità sui
38
CALLIESS, Subsidiaritätsprinzip und Solidaritätsprinzip, in Blickle-Hüglin-Wyduckel (a cura di),
Subsidiarität als rechtliches und politisches Ordnungsprinzip, cit., pp. 371-400.
39
Cfr. MALANDRINO, Sovranità nazionale e pensiero critico federalista. Dall’Europa degli Stati
all’unione federale possibile, in “Quaderni Fiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno”,
31, 2002, Tomo I, pp. 169-244.
40
Ivi, p. 241.
41
Cfr. F. INGRAVALLE, Principio di sussidiarietà, potere sussidiario e ‘popolo europeo’ in C. Malandrino (a cura
di), Un popolo per l’Europa unita. Fra dibattito storico e nuove prospettive teoriche e politiche, presentazione di
D. Velo, Firenze, Olschki, 2004, p. 132.
42
Cfr. le osservazioni di J. LUTHER, Il principio di sussidiarietà: un «principio speranza» per il diritto
costituzionale comune europeo in F.P. CASAVOLA-J. LUTHER, Federalismo, sussidiarietà, estratto da “Il Foro
Italiano”, aprile 1996, pp. 16-29.
43
COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 74.
44
Per N.W. BARBER, The Limited Modesty of Subsidiarity, in “European Law Journal”, 11, 2005, n. 3, pp. 308325, il principio di sussidiarietà è principio della strutturazione democratica e dell’identità costituzionale
dell’Unione.
14
deficit di democrazia dell’ Unione.45 Nella fiducia nei confronti di esso si
raccolgono le capacità di vederne tutte le potenzialità in vista di una
federalizzazione dell’Unione. E’ opinione comune alle impostazioni qui presentate
che il dettato dell’art. 5 legittimi tanto la diffidenza, quanto la fiducia, apra la
strada a concezioni tanto federaliste, quanto confederaliste dell’Unione- come
ricordato da Orsello.46
Muoveremo, nella nostra analisi, da quanto sembra acquisito dalla letteratura
scientifica qui richiamata: 1) il principio di sussidiarietà esprime e norma una
situazione47 in cui la governance (che deve esserci perché soprattutto
l’integrazione economica la impone48) deve attuarsi in una pluralità di livelli, e, di
fatto, essa è istituita per via sovranazionale, ma intergovernativa, e quindi decisivo
è il peso degli Stati membri nell’interpretare il principio di sussidiarietà come
strumento di difesa delle loro prerogative sovrane; 2) per questo motivo esso
oscilla continuamente, a seconda delle interpretazioni che ne danno gli organi
istituzionali della Comunità, tra la configurazione di principio politico e quella di
principio giuridico, di artefice della ripartizione di competenze tra livello
sovranazionale e livello degli Stati membri e di strumento di quella ripartizione
fissata a livello intergovernativo dai trattati; 3) il principio di sussidiarietà, in
questa sua ambiguità, e nella ‘lotta’ tra le interpretazioni di cui è oggetto, esprime
il processo contraddittorio dell’ integrazione europea in ciò che esso è già stato e in
ciò che esso è. I trattati e i documenti ufficiali regolano la Comunità sulla base di
quello che essa è; essi sono, per così dire, proiezioni giuridiche di un’insieme di
pratiche via via consolidatesi prevalentemente per via intergovernativa sin
45
Cfr. a esempio J.-P. FITOUSSI, La régle et le choix. De la souveraineté économique en Europe, Paris, Seuil,
2002, tr. it. Il dittatore benevolo. Saggio sul governo dell’Europa, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 7-19.
46
Cfr. ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., p. 91.
47
Senza usare il termine sussidiarietà, una delle maggiori figure della scuola funzionalista della
teoria dell’integrazione, D. MITRANY, nel volume Le basi pratiche della pace. Per una
organizzazione internazionale su linee funzionali, Cambridge University Press, 1945 (ediz. orig.
ivi, 1943), p. 52, espone con chiarezza la situazione sussidiaria ‘tipica’: “L’unico principio possibile
di garanzia democratica è che l’attività pubblica sia intrapresa solo ove, quando, e perché la
necessità di azione comune divenga evidente e venga accettata nell’interesse del comune
benessere.” L’Alta Autorità della CECA, ideata da J. Monnet e dal suo gruppo di lavoro, sarà
strutturata secondo un’impostazione analoga a questa. Va tuttavia sottolineata l’avversione di
Mitrany al federalismo (documentata da ultimo nel suo saggio The Prospect of Integration:Federal
or Functional in “Journal of Common Market Studies”, 4 (1965), di cui si leggono significativi
estratti nel Reading curato da M. O’Neill, The Politics of European Integration, London and New
York, Routledge, 1996, pp. 187-191), un’avversione che traccia la linea di confine rispetto alla
visione dell’integrazione federalista propria di Monnet.
48
Ma non la semplice cooperazione. Per la distinzione tra cooperazione e integrazione cfr. A.
ETZIONI, Unificazione politica, cit., pp. 230-281.
15
dall’inizio del processo di integrazione. Queste tre acquisizioni inducono a
orientare la ricerca verso un ‘territorio’ che si trova al di là della storia del
concetto nelle diverse dottrine politiche e ad ancorarla alla storia dell’integrazione
europea che è storia dei trattati e delle istituzioni politiche messe in opera da essi.
La storia dell’integrazione europea è, anche, dal punto di vista comparativo e
analitico, un precorrimento del fenomeno della integrazione regionale, soprattutto
delle integrazioni regionali degli anni settanta-novanta del secolo scorso.49 Per
acquisire strumenti idonei a fornire una risposta al quesito centrale, cioè quale sia il
ruolo reale, nella storia dell’integrazione europea, della sussidiarietà, cioè della
situazione economica e politica che richiede lo sviluppo di un potere di tipo
sussidiario in grado di sintetizzare livelli differenziati di unità con la pluralità degli
Stati membri e quale possa esserne, realisticamente, il ruolo futuro, sarà utile
innanzitutto vedere che posizione essa abbia in un’ottica comparativa con i
fenomeni di integrazione regionale, se essa abbia un ruolo nelle altre pratiche
dell’integrazione regionale e quale eventualmente esso sia.50
I quesiti ai quali cercheremo di rispondere sono fondamentalmente quattro.
L’integrazione regionale è giunta finora a creare soltanto in Europa una situazione
sussidiaria, vale a dire una situazione di interdipendenza economica che richieda
un potere in grado di agire politicamente in modo sussidiario, oppure vi sono
tracce di questo processo anche in altri contesti di integrazione regionale?
Qual è il processo attraverso il quale la situazione sussidiaria evolve in Europa sino
a configurare il ricorso alla formulazione esplicita di un principio di sussidiarietà?
Perché tale principio assume un’importanza così cospicua da essere oggetto di
precisi protocolli di applicazione?
Quale rapporto esiste tra lo sviluppo della situazione sussidiaria e lo sviluppo di
istituzioni a carattere sovranazionale nel processo dell’integrazione europea?
49
Cfr. R. HARRISON, Europe Question:Theories of Regional International Integration, London
Allen and Unwin, 1975;A. SAPIR, Reginal Integration in Europe, Brussels, Commission of the
European Communities, Directorate General for Economic and Financial Affairs, 1992; S. FountasB. Kennelly (a cura di), European Integration an Regional policy, Galway Centre for Development
Studies Social Sciences Research Centre, University College Galway, 1994; J.A. CAPORASO, The
European Union Dilemmas of Regional Integration, Oxford, Westview Press, 2001.
50
La stretta connessione tra integrazione e sussidiarietà è stata dimostrata sul piano analitico da R.
SINNOTT, Integration Theory, Subsidiarity and the Internationalisation of Issues: the Implications
for Legitimacy, European University Institute, Badia Fiesolana, San Domenico (Fi), 1994,
specialmente alle pp. 11 ss. Sinnott concepisce la sussidiarietà come situazione- anche se non usa
questo termine.
16
Capitolo 1. Integrazione e sussidiarietà
Il processo di integrazione europea nasce dall’integrazione economica settoriale
con il “piano Schuman.” Questo piano, a sua volta, è maturato in un preciso
contesto che è quello dei tentativi di realizzare una “economia europea integrata”
nel quadro dei progetti United Nations Relief and Rehabilitation Administration
(UNRRA) e European Recovery Program (ERP) attraverso l’azione della
Organisation for European Economic Cooperation (OEEC, comunemente nota
con l’acronimo OECE) e della European Union for Payments (EPU, solitamente
indicata con l’acronimo UEP).51 Dire “economia integrata” o “integrazione
economica” significa fare riferimento al modello dell’economia statunitense, vale a
dire a un sistema di interazioni governato da istituzioni che si debbono collocare al
di sopra degli Stati, che debbono essere quindi ‘sovrastatali’. L’integrazione è
impossibile senza una governance, mentre piani di cooperazione economica,
oppure piani di unione doganale possono, entro certi limiti, realizzarsi e funzionare
senza alcuna necessità di creare istituzioni sovranazionali.
Che cos’è, in questo senso e in questo contesto, una istituzione sovranazionale? E’
un potere che agisce in vista della realizzazione di obiettivi comuni i quali, a loro
volta, pur derivando dal consenso dei singoli Stati associati non sono riducibili al
“tiro alla fune” tra i singoli interessi, ma esprimono un interesse unitario che
comporta il sacrificio di singoli interessi di parte. Gli obiettivi comuni che non
sono realizzabili dai singoli Stati con i mezzi propri, richiedono l’intervento
dell’autorità sovranazionale.
Se si ripercorrono le vicende che vanno dagli inizi dell’attuazione dell’ERP al 9
maggio 1950 si nota non soltanto l’ostilità reale, curiosamente contraddetta da
dichiarazioni di principio, dei paesi europei a qualsiasi piano di integrazione e di
51
Il concetto si trova in un intervento di Paul Hoffmann, del 31 ottobre 1949 riportato da E.H. VAN
BEUGEL, From Marshall Aid to Atlantic Partnership, Amsterdam-London, Elsevier, p. 185,
citato da FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 87-88.
DER
17
unione dei mercati,52 ma, significativamente, anche il timore che sorga un’autorità
sovranazionale. Nonostante il ridimensionamento della sovranità degli Statinazione, conseguente alle due guerre mondiali e, particolarmente, all’esito della
seconda, sopravvive a lungo l’aura dello Stato-potenza.
L’ERP muove dall’ipotesi che la ripresa economica europea sia essenziale agli
interessi statunitensi a lungo termine;53 la ripresa non è giudicata possibile senza
“una grande economia integrata da libere forze di mercato nella quale le istituzioni
centrali che si occupano del coordinamento e del controllo pongano le basi per una
nuova era di crescita economica e di stabilità sociale.”54 La realizzazione di questo
obiettivo dipende dall’OECE e dall’ European Cooperation Administration (ECA),
organismi di esecuzione dell’ERP. L’OECE, in particolare, tuttavia, non dispone di
autorità sovranazionale, essendo piuttosto un organismo consultivo e di
coordinamento. Molti i tentativi di costituire un’istanza economica sovranazionale:
dal piano Petsche (luglio 1950: creazione di una Banca Europea per gli
Investimenti che dovrebbe farsi carico degli interventi finanziari capital-intensive
di cui i paesi europei potevano avere bisogno per migliorare la loro competitività)
al piano Stikker (giugno 1950, “Piano d’azione per l’integrazione economica
europea” che prevede, tra l’altro, un Fondo Europeo di Integrazione per permettere
ad alcuni settori industriali di reggere con maggiore successo l’impatto del libero
scambio con la modernizzazione, la riallocazione della forza lavoro e nuovi
investimenti), al piano Pella (che prevede ugualmente la creazione di un Fondo
europeo di integrazione).55 Il Consiglio dell’OECE affida i tre piani a uno speciale
Working Party per ricavarne un piano generale di integrazione comune europea,
ma nessuno di essi va oltre la discussione della commissione e nell’autunno del
1951 essi sono lasciati cadere. Si tratta di tentativi di pensare istituzioni
economiche sovranazionali con funzioni sussidiarie, completive coerentemente con
il vasto disegno americano che implica la creazione di funzioni di sovranazionalità;
52
Cfr. FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 79; sul piano Marshall cfr. A.S.
MILWARD, The Reconstruction of Western Europe, London, Methuen, 1984; E. Aga Rossi (a cura
di), Il piano Marshall, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,1983; V. ZAMAGNI, Dalla
rivoluzione industriale all’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 201-224.
53
Cfr. M. GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 7-12.
54
FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 32; M.J. HOGAN, The Marshall Plan.
America, Britain, and the Reconstruction of Western Europe 1947-1952, Cambridge, Cambridge
University Press, 1987, pp. 26-27.
55
FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, pp. 87-91.
18
la sovranità dei singoli Stati europei non sarebbe eliminata, ma limitata secondo gli
obiettivi comuni della cooperazione e la loro realizzabilità da parte degli Stati.
Dire ‘istituzioni sovranazionali’ in un sistema economico ipotizzato come sistema
integrato di Stati, che mantengono una sovranità reciprocamente limitata in
relazione alle finalità sistemiche, equivale a dire istituzioni che completano
l’azione degli Stati membri. Una funzione completiva, questa, che mira a realizzare
finalità le quali consistono in obiettivi comuni, fissati attraverso una rete di patti tra
gli Stati. Nessuno Stato, da solo, infatti, può svolgere tale funzione completiva:
soltanto istituzioni sovranazionali possono farlo. Non si tratta di amministrare i
bisogni e le risorse di un solo territorio strutturato in forma statale da istituzioni
politiche storicamente consolidatesi, ma di integrare le esigenze di una molteplicità
di Stati le cui potenzialità, sul piano della produzione e dello scambio, sono state
ridotte drasticamente dalla guerra. Che le istituzioni sovranazionali non siano
necessariamente nemiche della sovranità degli Stati in quanto tale, ma soltanto in
quanto tendente all’assolutezza tipica dello Stato-potenza, lo mostra concretamente
l’ International Monetary Fund (IMF, comunemente noto con l’acronimo FMI) su
ben altra scala di grandezza.56 E lo avrebbe dimostrato, con maggiore chiarezza,
anche se su una scala di grandezza ben più ridotta, il primo tentativo riuscito di
integrazione settoriale, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio
(CECA).
Le conseguenze di progetti di questo genere considerate, sul piano della teoria,
sono di grande rilievo. Fare parte di un mercato integrato comporta certamente la
limitazione della sovranità (in ambiti che non paiono, a prima vista, politici), di
certo non la sua scomparsa; ciò implica indubbiamente il problema di una sorta di
‘sovranità multilivello’, sia pure soltanto sul piano economico, che mantiene le
vecchie forme di sovranità politica, ma le rende funzionali a una dimensione che le
trascende; infine, fare parte di un mercato integrato richiede una ripartizione di
competenze fra Stati nazionali e istanze economiche sovranazionali. I progetti di
integrazione economica, via via che si realizzano, creano situazioni sussidiarie,
situazioni che richiedono l’esercizio di un potere sussidiario in ambito economico,
situazioni in cui la compresenza di istanze sovranazionali e della sovranità degli
Stati richiede una ripartizione di compiti ove il livello sovranazionale non può che
56
Un’eccellente e chiara sintesi in merito è costituita dal vol. di G. SCHLITZER, Il Fondo Monetario
Internazionale, Bologna, Il Mulino, 2004.
19
presentarsi in funzione di sostegno, di subsidium; qui matura l’aspetto politico
della situazione sussidiaria, la questione della ripartizione delle competenze e di
quale istituzione sia legittimata a fissare il criterio di tale ripartizione. Il problema
non si pone, naturalmente, finché le istituzioni sopranazionali hanno funzioni
consultive; ma se l’interpenetrazione economica si approfondisce a tale punto che
istituzioni consultive non bastino più allo scopo di armonizzare le diverse
economie, allora il problema politico emerge. Ma non è necessario che esso sia
risolto, nei suoi diversi aspetti e ambiti con una logica unitariamente
sovranazionale.
Un nesso forte sembra legare sul piano progettuale integrazione, sovranazionalità e
sussidiarietà già negli anni che precedono l’esperienza della CECA.
Parlare di integrazione in questo contesto significa parlare non già della
giustapposizione di diverse entità economiche, ma di una sia pur limitata
armonizzazione che incide nell’intimo di queste entità economiche, spingendole a
decidere in comune. Per fare questo esse devono dotarsi di organi, di istituzioni che
siano in grado di trascendere la sovranità degli Stati senza eliminarla, ma di
inserirla in un sistema complesso. Qui si crea la situazione sussidiaria.
Prendiamo come esempio, prescindendo naturalmente dalla scala di applicazione,
il primo articolo dello statuto del FMI che prevede l’instaurazione di un sistema di
cambi fissi basato sulla convertibilità del dollaro in oro, secondo un rapporto fisso,
e di tutte le altre monete in dollari secondo un rapporto che poteva oscillare entro
un margine non superiore all’ 3% in più o in meno della parità ufficiale.57 La
singole divise monetarie non vengono abolite, e non lo è neppure l’importante
funzione sovrana che gli Stati esercitano tramite esse, ma vengono inserite in un
sistema di cambi nei quali l’oro e il dollaro svolgono una funzione completiva o, al
limite, di garanzia.
Un altro esempio: secondo le norme dell’ERP gli Stati europei avrebbero dovuto
accordarsi per definire insieme le richieste di aiuti.58 Qui, ancora una volta, la
concessione degli aiuti è vincolata all’accordo, cioè alla limitazione delle pretese
nazionali in vista di obiettivi comuni. Nelle pretese nazionali si esprime il modello
della sovranità illimitata degli Stati; nel piano comune si esprime l’esigenza della
57
Cfr. L. LEVI-U. MORELLI, L’Unificazione europea. Cinquant’anni di storia, Torino, Celid, 1994,
p. 41; SCHLITZER, Il Fondo Monetario Iinternazionale, cit., pp. 21 ss.
58
Cfr. FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., pp. 33-34
20
ricostruzione come esigenza che riguarda tutti gli Stati, non separatamente, ma
insieme.
Ancora un esempio: l’art. 1 dello statuto dell’ OECE (16 aprile 1948) recita: “Le
parti contraenti devono agire in stretta cooperazione e avere come compito
immediato l’elaborazione e l’attuazione di un programma comune di
ricostruzione.”59
La risoluzione politica del Congresso dell’Aja (7-10 maggio 1948), nelle
Raccomandazioni immediate consiglia:60
“1. eliminare progressivamente e prima possibile dall’Unione gli ostacoli al
commercio che risultano dalle restrizioni quantitative allo scambio delle merci .
2. ridurre e in ogni caso ove questo è possibile abolire finalmente le tariffe
doganali tra gli Stati partecipanti.
[…]
3. preparare così la libera convertibilità delle monete ed il ristabilimento
progressivo della libertà di commercio tra i paesi dell’Europa.”
Queste raccomandazioni sono finalizzate alla realizzazione della libera
circolazione dei capitali, al risanamento delle politiche dei bilanci e del credito e
all’unione monetaria.61
Le finalità mirano, con ogni evidenza, a creare un mercato unico. I mezzi
disponibili di fatto sono due: o affidarsi agli accordi (e alla sorveglianza della loro
esecuzione) in via intergovernativa, oppure creare istituzioni all’uopo, vale a dire
istituzioni sovranazionali. Non si tratta, com’è chiaro, di eliminare gli Stati sovrani,
ma di inserirli in un quadro di rapporti in grado di creare subito l’esigenza di
istituzioni sovranazionali.
Quando il deputato laburista R.W.G. MacKay, membro della delegazione inglese
all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, propone (e l’Assemblea del
Consiglio d’Europa approva), il 6 settembre 1949, come scopo del Consiglio
d’Europa il “creare un’autorità politica europea dotata di funzioni limitate, ma di
poteri reali”, il Comitato dei Ministri si oppone (inflessibile fu il veto britannico).
MacKay pensa chiaramente, come rivelano gli aggettivi che definiscono le
funzioni della ipotizzata “autorità politica europea”, a una funzione sussidiaria.
59
Cfr. L. LEVI- U. MORELLI, L’Unificazione europea., cit., p. 56.
Ivi, p. 66. Le prime due raccomandazioni si leggono nel capoverso relativo al settore degli
scambi, mentre la terza è compresa nel capoverso dedicato al settore dei problemi monetari.
61
Ivi, p. 67.
60
21
La situazione creata con l’ERP richiede soluzioni sovranazionali, è una situazione
sussidiaria che implica un potere completivo sovranazionale, dato che il fine del
piano è creare un’area economica europea integrata. Tuttavia l’OECE è un
Consiglio ministeriale di Stati sovrani in cui ogni paese ha il diritto di veto.
L’esistenza di una situazione sussidiaria non implica che le risposte istituzionali
siano tali da realizzare un potere sussidiario e in questo caso mancano istituzioni
sovranazionali che abbiano la forza di agire. La loro forza non potrebbe derivare,
realisticamente, che da un trasferimento di sovranità economica da parte degli
Stati. Ma, come si è detto, l’aura dello Stato-potenza è troppo forte, troppo presente
nel modo di pensare i rapporti interstatali.
Il 28 agosto 1950 viene votata dall’Assemblea una raccomandazione che indica
come politica alternativa per la costruzione europea quella delle autorità
“specializzate” con il compito di gestire il processo di integrazione in settori
specifici (come quello carbo-siderurgico o quello militare) solo tra gli Stati disposti
ad aderire a questi organismi (punti I e IV delle Raccomandazioni).62 Questa
raccomandazione fa eco alla dichiarazione
del ministro degli Esteri francese
Robert Schuman con la quale, il 9 maggio 1950, ci si propone “di mettere
l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune
Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri
paesi europei.”
Già il 17 marzo 1948 viene promossa dal ministro degli esteri britannico Ernest
Bevin un’alleanza politico-militare, estensione del trattato anglo-francese di
Dunkerque del 4 marzo 1947 tra i paesi del Benelux nei confronti di una eventuale
ripresa della politica offensiva tedesca, ma soprattutto in funzione anti-sovietica.
L’art. 1 recita: “ Convinti della stretta solidarietà dei loro interessi e della necessità
di unirsi per affrettare la ripresa economica dell’Europa, le Alte Parti Contraenti
organizzeranno e coordineranno le loro attività economiche allo scopo di ottenere
il massimo rendimento, eliminando qualsiasi divergenza nella loro politica
economica mediante l’armonizzazione della loro produzione e lo sviluppo dei loro
scambi commerciali.”63 Armonizzare la produzione è una strategia che può
certamente realizzarsi attraverso strumenti intergovernativi, ma anche attraverso la
creazione intergovernativa di istituzioni sovranazionali.
62
63
Ivi, p. 71.
Ivi, p. 54, corsivo nostro.
22
L’urgenza di compattare l’Europa in funzione anti-sovietica è il reale stimolo dei
politici statunitensi a cercare di contribuire alla realizzazione di un’Europa unita
per lo meno sotto il profilo economico. Tuttavia, dopo la crisi di Berlino, diviene
chiaro che è anche più urgente, data la scarsa disponibilità degli Stati europei a
gettare le basi per un’economia integrata, ricostruire politicamente la Germania e
farne un baluardo anti-sovietico.
L’intenzione di far giungere l’Europa all’ integrazione economica è molto forte da
parte statunitense, ma che altrettanto forte era l’ostacolo epistemico
europeo
costituito dal pensare la politica nel quadro dello Stato-nazione superiorem non
recognoscens e quindi ostile, in linea di principio, alla creazione di istituzioni
sovranazionali.
Guardando la realtà europea dal punto di approdo attuale si deve vederla, come già
si è accennato, come un aspetto del fenomeno delle integrazioni regionali.
L’integrazione produce un sistema (vale a dire un insieme di istituzioni, di gruppi e
di processi politici “caratterizzati da un certo grado di interdipendenza
reciproca”64) la cui articolazione di base implica, a un certo grado di sviluppo,
proprio l’insieme dei meccanismi che vanno sotto il nome di sussidiarietà. Se si
crea un potere sovranazionale, ciò è segno che si è creata anche l’esigenza di un
potere sussidiario in grado di realizzare un sistema plurale di governance. Nulla,
tuttavia, garantisce che tale esigenza venga anche soddisfatta: il processo di
integrazione non è un processo automatico (come ritenuto invece da certa vulgata
funzionalistica), ma l’esito di volontà politiche condizionate dal livello di sviluppo
raggiunto dall’integrazione stessa. E non vanno dimenticati, in questo schizzo
comparativo, i concreti fattori storici che hanno stimolato il processo
dell’integrazione europea: la logica della “guerra fredda” nella ‘politica europea’
statunitense, l’esigenza da parte francese di non favorire in alcun modo il riarmo
autonomo della Germania a opera degli USA e quindi la particolare ‘urgenza’ che
riveste, al tempo della sua apparizione il “piano Schuman”.
Il potere sovranazionale può esplicarsi nella sfera economica o nella sfera politica:
esso si configura in quelle che abbiamo designato con l’espressione “situazioni di
sussidiarietà.” Che le “situazioni di sussidiarietà” non siano sufficienti a innescare
64
Cfr. G. URBANI, Sistema politico in Bobbio-Matteucci-Pasquino, Dizionario di politica, Torino,
UTET, 1978; G.A.ALMOND-B.G.POWELL, Comparative Politics. System, Process, and Policy,
Boston, Little, Brown and Co, 1978, tr. it. Politica comparata, Bologna, Il Mulino, 1995. Per la
23
tendenze allo sviluppo di un potere sussidiario lo mostra con chiarezza l’insieme
degli esempi forniti dai processi di integrazione extra-europei. Attualmente,
soltanto deboli tendenze caratterizzano in questo senso unioni regionali come
l’Association of South-East Asian Nations (ASEAN, dal 1967), il North American
Free Trade Agreement (NAFTA, dal 1989) il Mercato Comùn del Sur
(MERCOSUR, dal 1985), la Southern African Development Community (SADC,
dal 1992) e l’Unione Africana (UA, dal 2003). Che nel MERCOSUR si siano
sviluppate una Carta dei diritti umani (2002), un Parlamento andino, una Corte e
un insieme di sistemi di sicurezza che rendono impossibile la guerra (questi sono
chiari segni di tendenze a realizzare una governance sovranazionale); che
nell’Unione africana esista una Corte dei diritti umani e una Commissione
(analoga, potenzialmente, alla Commissione della Comunità europea); che nel
NAFTA le Commissioni abbiano tendenze sovranazionali, limitatamente ad alcune
competenze significa che “in assenza di un’egemonia espansiva credibile,
oggettivamente incombe anche sulle organizzazioni regionali la sfida di contribuire
alla governazione65 regionale più attivamente;”66 e ciò significa che i nessi
regionali giungono quasi a ‘richiedere’ di essere istituzionalizzati in senso politico.
Questa tendenza preannuncia il problema di una ripartizione delle competenze fra
Stati nazione e organismi sovranazionali perché si sta creando una situazione
sussidiaria, perché in una certa misura operano già concretamente istituzioni
sovranazionali. Perché queste tendenze si sviluppino nel senso in cui esse si sono
sviluppate nella vicenda dell’integrazione europea occorrono, come già si è
accennato, dei ‘catalizzatori storici’ (come sono stati, in tempi e modi diversi,
l’inizio della “guerra fredda” per la CECA e l’implosione del blocco dei paesi
“socialisti” per il Trattato di Maastricht).
Là dove le istituzioni sovranazionali sono più sviluppate si nota il sorgere di una
situazione sussidiaria che si configura come problema della ripartizione delle
competenze tra livello sovranazionale e livello degli Stati nazione. Vi possono
essere tuttavia realtà regionali in cui le istituzioni sovranazionali sono molto
sviluppate, ma risulta essere poco coerente l’attuazione delle decisioni comuni (è il
nozione generale di sistema cfr. L. VON BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi, tr. it. Milano,
ISEDI, 1971, c. 3.
65
Il termine è stato introdotto da M. TELÒ, Europa potenza civile, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. IX,
Nota terminologica.
66
Ivi, p. 96.
24
caso dell’Economic Community of West African States, ECOWAS, del 197567),
oppure reatà come il MERCOSUR68 in cui si registrano inizi di costruzione di un
sistema giuridico di regolazione dei conflitti interni con evidente configurarsi di
una situazione sussidiaria.
Tuttavia, la vicenda dell’integrazione europea rappresenta un caso di maggiore
durata (oltre cinquant’anni), un caso in cui il passaggio dall’integrazione settoriale
all’integrazione economica complessiva è ben chiaro e solido e, infine, un caso in
cui emerge la ristrettezza di vedute puramente funzionalistiche riguardo al
passaggio ‘automatico’ dall’integrazione economica all’integrazione politica.69 In
questo passaggio, la funzione concettuale e pratica della sussidiarietà è decisiva,
proprio per la caratteristica di “cerniera,” svolta dal principio che la esprime, tra
livello sovranazionale e livello nazionale all’interno del processo di integrazione.
Possiamo vedere il problema nella sua complessità: non eliminare gli Stati nazione;
renderli parte di un processo che li trasforma in parte autonome di un sistema
integrato.70
Dove inizia questo processo di integrazione che tende a dare luogo a un sistema?
Nell’economia. Dove può ‘incepparsi’? Sia nell’economia, sia nella politica. Dove
sorge il principio di sussidiarietà nell’ambito comunitario? Nell’economia.71
Quando assume esso la duplice valenza politico-giuridica, con la flessibilità (non
ambiguità) richiesta dalla situazione? Nel momento in cui l’integrazione
economica tende ad assumere un senso politico: per ciò che riguarda la storia
dell’integrazione europea questo momento è quello del Trattato di Maastricht. Ma
la situazione che caratterizza l’integrazione europea è già sussidiaria a partire dalla
CECA, sino a partire dal piano Schuman e dal piano Monnet. Il potere dell’Alta
67
Cfr. F. SÖDERBAUM, the Political Economy of Regionalism in Southern Africa, Göteborg
University, Göteborg, 2002.
68
Sul MERCOSUR cfr. R. Roeff (a cura di), Mercosur: Regional Integration, World Markets,
Boulder, Lynne Rienner, 1999.
69
Si vedano le osservazioni autocritiche di E.B. HAAS nel saggio The Uniting of Europe and the
Uniting of Latin America in “Journal of Common Market”, 4 (1967), pp. 315-343.
70
Sul significato dei processi di integrazione cfr. il classico A. ETZIONI, Unificazione politica, cit.
per il concetto di ‘sistema integrato’ cfr. F. INGRAVALLE, I Protocolli di applicazione del principio
di sussidiarietà dal Trattato di Amsterdam al Trattato che istitituisce una Costituzione per l’Europa
in “Atti della scuola estiva AUSE 2004”, in corso di stampa.
71
Si osservi, del resto, che alla metà degli anni sessanta l’economista italiano P. Onida considera il
principio di sussidiarietà come un principio di grande rilievo (per quanto maturato in ambito extraeconomico) al quale ricorrere normalmente per concepire la regolazione dei rapporti Stato-impresa
nelle economie miste, cfr. ONIDA, Lo Stato imprenditore e il principio di «sussidiarietà» nele
economie miste in “Rivista dei Dottori Commercialisti”, XVIII, n. 2, marzo-aprile 1967, pp. 175189. I contesti evocati nel saggio sono comuni alle economie dei sei stati membri della CEE.
25
Autorità è già federatore e il suo ‘dirigismo’ è già potere sussidiario, su scala
settoriale.
26
Capitolo 2. Integrazione europea e sussidiarietà’implicita’
Il ‘dirigismo’ dell’ Alta Autorità della CECA è rivolto a eliminare il fattore di
divisione introdotto dai cartelli nazionali.72 In nome della libera concorrenza?
Certo, ma nella prospettiva di uno spazio economico europeo di cui il settore del
carbone e dell’acciaio era il primo nucleo. Nella realizzazione della CECA
vengono implicitamente finalizzate a un piano di integrazione settoriale tutte le
indicazioni sulla creazione di un’area economica integrata contenute sia nell’ERP,
sia nel suo organismo di esecuzione, l’OECE, sia nell’ECA: il programma comune
di ricostruzione poteva funzionare soltanto sulla base del mutuo aiuto e della
condivisione delle risorse73, come emerge con chiarezza anche dalle disposizioni
del Consiglio dei ministri OECE del 31 ottobre 1949.74 Come per l’ERP, così per
la CECA emerge l’esigenza di istituzioni sovranazionali che gestiscano
l’integrazione economica;75 esse, per quanto siano limitate al piano economico non
possono dirsi estranee al piano politico e non soltanto per il manifesto obiettivo
politico dell’ERP e della CECA, ma soprattutto perché mutuo aiuto e condivisione
delle risorse richiedono un certo numero di limitazioni nell’azione degli Stati a
vantaggio di autorità sovrastatali. Queste ultime nell’ERP hanno un potere
meramente consultivo, mentre nella CECA assumono un ruolo deliberativo.
Il 28 marzo 1950 Monnet invia al presidente del Consiglio francese un
memorandum nel quale si legge la proposta di istituire la Comunità Economica del
Carbone e dell’Acciaio: bisogna “integrare l’industria della Ruhr nel contesto
europeo e porre l’industria pesante europea sotto la supervisione di una singola
72
D. SPIEREMBURG-R.POIDEVIN, Histoire de la Haute Autotité de la Communauté Européenne du
Charbon et de l’Acier. Une expérience supranationale, Bruxelles, Bruylant, 1993, p. 4. Per la
matrice funzionalista dell’idea dell’Alta Autorità vd. supra, c. 1, nota 40. Sul ‘dirigismo’ di
Monnet, cfr. W. BÜHRER, Dirigismus und europäische Integration in A. Wilkens (a cura di),
Interessen verbinden. Jean Monnet und die europäische Integration der Bindesrepublik
Deutschland, Bonn, Bouvier, 1999.
73
Cfr. HOGAN, The Marshall Plan Cambridge University Press, 1987, pp. 60-61.
74
ID., The Marshall Plan, cit., pp. 273-274.
75
Il potere dell’OECE, come si è visto, si è configurato soltanto come potere consultivo. Ben
altrimenti si configura, per quanto su scala settoriale il potere dell’Alta Autorità della CECA.
27
autorità internazionale”76. Non è casuale che nel celebre discorso del 9 maggio
1950 Schuman insista sulla prospettiva federale di questo progetto di integrazione
settoriale: dire “federazione” equivale a dire ruolo decisivo di un’autorità
sovranazionale. Nel trattato CECA questo ruolo è attribuito all’Alta Autorità; art.
8: “L’Alta Autorità ha l’ufficio di assicurare l’attuazione degli scopi stabiliti dal
presente trattato alle condizioni da esso previste.” Fa questo prendendo decisioni,
facendo raccomandazioni o esprimendo pareri (art. 14); le decisioni sono
vincolanti in tutto e per tutto e riguardano gli scopi e i mezzi della Comunità, le
raccomandazioni sono obbligatorie soltanto in relazione agli scopi che prescrivono
(art. 15), mentre i pareri non sono vincolanti. Si tratta con ogni evidenza di gestire
un sistema plurale, di coordinare attori autonomi e di distinguere fra ciò che è
competenza dell’Alta Autorità (gli scopi e, in parte i mezzi) e ciò che è competenza
degli Stati membri (una parte dei mezzi). Gli scopi sono fissati in modo pattizio,
ovviamente; l’Alta Autorità dispone di un potere che le deriva dall’accordo degli
Stati (positivizzato nel trattato); ma, una volta ottenutolo, essa lo gestisce
indipendentemente dagli Stati per la semplice ragione che gli scopi che le sono
stati affidati dagli Stati perché li realizzi trascendono per loro natura la dimensione
di ciascuno Stato nazionale. I nove membri nominati dai governi degli Stati
membri, di comune accordo, per sei anni e scelti in base alle loro competenze
agiscono in base a una logica sovranazionale, perché sovranazionali sono gli
obiettivi in vista dei quali sono stati nominati. Presso l’Alta Autorità è istituito un
Comitato consultivo nominato dal Consiglio composto da membri non vincolati da
alcun mandato. La consultazione di questo Comitato è obbligatoria per l’Alta
Autorità soltanto nei limiti in cui il trattato la configura come tale. Assieme
all’Assemblea (composta dai rappresentanti dei popoli riuniti nella Comunità) e al
Consiglio (composto da rappresentanti degli Stati membri e presieduto a turno per
tre mesi dal rappresentante di uno Stato membro, secondo l’ordine alfabetico degli
Stati membri), l’Alta Autorità costituisce il nucleo decisionale della Comunità.
Questo complesso istituzionale dovuto a Monnet, Etienne Hirsch, Pierre Uri e Paul
Reuter77 risponde, com’è noto, sia alla preoccupazione di assicurare le basi della
76
FAURI, L’Italia e l’integrazione economica europea, cit., p. 96.
Cfr. J. MONNET, Mémoires, Paris, Fayard, 1976, pp. 348 ss. Sulle connessioni fra la cultura di
Monnet e la cultura industrialista e tecnocratica si trovano cenni nel volume di TELÒ, Dallo Stato
all’Europa, cit., p. 113. Il clima di tale cultura in Francia è ricostruito accuratamente da A.
SALSANO, Ingegneri e politici. Dalla razionalizzazione alla «rivoluzione manageriale», Torino,
Einaudi, 1987, pp. 60-93.
77
28
pace attraverso l’integrazione economica della zona-causa delle due ultime guerre
mondiali (preoccupazione prevalente di Schuman78), sia all’urgenza di integrare la
Germania nell’Europa occidentale (urgenza avvertita dal segretario di Stato
americano Dean Acheson che tra il 30 ottobre 1949 e il marzo 1950 aveva
esercitato notevoli pressioni in tale senso)79 ed è chiaramente orientato a creare
un’autorità sovranazionale, “veritable embryon d’un gouvernement européen”.80
Fin da principio si teme la “dittatura” dell’Alta Autorità,81 come accadrà sovente in
seguito a proposito delle funzioni svolte dalle autorità sovranazionali. Fino al 1958
l’Alta Autorità sostiene “gli alti costi delle aree minerarie belghe imponendo una
tassa di perequazione sulla vendita del carbone tedesco e olandese”, che è meno
costoso; si prende carico con un certo successo dell’agenzia tedesca monopolistica
di acquisto del carbone; riesce a ottenere un prestito generoso dal Governo
americano e a proporre altri prestiti sui mercati di capitali americani.”82 Tali
prestiti vengono poi usati per gli investimenti. Si tratta di interventi a carattere
completivo, sussidiario, prescritti nel trattato istitutivo della CECA.
Nel trattato che istituisce la CECA il principio di sussidiarietà non è menzionato
esplicitamente. E’ merito di Orsello e d’Agnolo avere sottolineato la presenza
implicita del principio di sussidiarietà in questa fase della storia dell’integrazione
europea e nella fase contrassegnata dal Trattato che istituisce la Comunità
Economica Europea (CEE). Ma perché è legittimo e necessario interpretare in
questo modo la fase che si estende fra CECA e CEE? E soprattutto, perché
dobbiamo andare oltre e vedervi la creazione di un potere sussidiario di tipo
politico anche se pertinente questioni economiche? La risposta è che, in tal modo,
il passaggio dal mercato integrato del carbone e dell’acciaio al Mercato Comune
risulterebbe essere, così, l’estensione di un potere sussidiario che sorge
78
Cfr. POIDEVIN, Robert Schumann, homme d’État, Paris, Imprimerie Nationale, 1986, pp. 258260.
79
SPIEREMBURG-POIDEVIN, Histoire, cit., pp. 5-6.
80
Ivi, p. 11. Cfr. M. Gilbert, Storia politica dell’integrazione europea, cit., p. 38: “La CECA
rappresentava, in teoria, una nuova concezione di governance economica internazionale. Invece di
privilegiare gli interessi di breve termine delle loro industrie nazionali, i sei Stati membri si
impegnavano ad agire nell’interesse comune delegando i poteri esecutivi a un’autorità indipendente
soggetta ad appropriate garanzie istituzionali.” Di “hybrid Form, Short of Federation” parla invece,
a proposito della CECA, E. B. HAAS, The Uniting of Europe: Political, Social, and Economical
forces, 1950-1957 (1958), Stanford University Press, Stanford, California, 1968, pp. 51-58; sul
carattere sovranazionale delle pratiche dell’Alta Autorità cfr. Id. p. 484.
81
Per le discussioni sull’Alta Autorità ai negoziati di Parigi il 20 giugno 1950 cfr. SPIEREMBURGPOIDEVIN, Histoire, cit., pp. 15-23. Sull’attività dell’Alta Autorità vd. Anche il lucido quadro
tracciato da Haas, The Uniting of Europe, cit., pp. 451-485.
82
GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit., pp. 38-39.
29
dall’integrazione
settoriale
e
dall’integrazione
economica
con
caratteri
marcatamente politici.83 Si tratterebbe di una lettura sostanzialmente continuistica
dell’integrazione europea nel passaggio dalla CECA alla CEE. L’integrazione
cambierebbe soltanto quanto a scala di grandezza in tale passaggio. Ma nell’ambito
delle integrazioni regionali il cambiamento quantitativo di scala implica sempre
anche un cambiamento qualitativo: l’esigenza di un potere sussidiario si fa più
forte.
Vediamo alcuni fatti che esemplificano l’azione dell’Alta Autorità. L’Alta Autorità
stabilisce nel luglio 1954 un lunga lista di pratiche che essa giudica incompatibili
con il trattato: si tratta delle pratiche che permettono alla Ruhr di determinare il
prezzo e le condizioni di vendita del carbone, come a es. la ripartizione “des
commandes entre les producteurs, la mise en commun des produits, des frais
d’administration et de vente.”84 E’ questo il proseguimento, la realizzazione di una
politica anti-cartello che urta contro consolidate tradizioni nazionali francesi e
tedesche. Nel 1955 (febbraio) l’Alta Autorità definisce un programma nel quale
vengono equilibrate la libera concorrenza e la stabilità del mercato assicurata da
una “organisation de vente centralisée”: solo un terzo delle vendite di carbone
saranno vendite comuni a paesi terzi e alle ferrovie federali tedesche e ai grandi
consumatori. Nel settore dell’acciaio il problema analogo delle ententes che
distorcevano la concorrenza: l’Alta Autorità si muove cercando di favorire
l’interpenetrazione dei mercati dei Sei e lasciandola agire sull’abbassamento del
livello dei prezzi dell’acciaio.85 Che cosa ci dicono questi due esempi in merito al
potere sussidiario dell’Alta Autorità?
I due esempi sono da ricondursi all’art. 5 del trattato che istituisce la CECA: le
istituzioni comunitarie agiscono soltanto nei limiti delle attribuzioni che sono loro
conferite dal trattato. “la Comunità compie la sua missione, alle condizioni previste
dal presente trattato con interventi limitati. A tal fine essa:
-chiarisce e facilita l’azione degli interessati raccogliendo informazioni,
organizzando consultazioni e definendo scopi generali […].
83
Il che risulta dal fatto che in questione sono una fonte energetica di valore primario in quel
momento e un prodotto fondamentale per l’industria moderna; si tratta quindi di fattori che
determinano il reale peso di un apparato politico nell’economia mondiale, la sua forza politica.
84
SPIEREMBURG-POIDEVIN, Histoire, pp. 124-125.
85
Ivi, pp. 131 ss.
30
-assicura la costituzione, il mantenimento ed il rispetto delle condizioni normali di
concorrenza ed esercita un’azione diretta sulla produzione e sul mercato solo
quando le circostanze lo richiedano […].” 86
Definire scopi generali, esercitare un’azione diretta qualora le circostanze lo
richiedano significa esercitare un potere completivo, sussidiario, un potere politico
in ambito economico. Non si tratta di sostituirsi agli Stati membri nelle funzioni
che essi possono svolgere, ma di supplire alle funzioni legate alla interdipendenza
delle economie che gli Stati-nazione non possono svolgere, per loro natura. Essi
sono nati come entità legate alla statualità territoriale nazionale, non certo come
funzioni di integrazione fra territori nazionali diversi; ma è proprio questa la
funzione storicamente necessaria dopo che il secondo conflitto mondiale ha
ridimensionato le prerogative reali degli Stati nazione europei ponendo di fatto
all’ordine del giorno la statualità continentale o, per lo meno, l’integrazione
economica continentale.
La vicenda del fallimento della CED e della CEP87 rivelano che il passo
dall’integrazione economica pur se carica di significati implicitamente politici
all’integrazione politica esplicita non è ancora possibile. E rivelano anche quanto
dell’impeto integratore dovesse essere ricondotto alla situazione della guerra
fredda e quanto esso fosse soggetto alle sue vicende. La CED e la CEP falliscono
perché la morte di Stalin fa intravedere la possibilità di una coesistenza pacifica tra
il blocco americano e il blocco delle democrazie popolari e rendono meno urgente
la creazione di un blocco europeo dotato di autonomia e basato, nella sua
funzionalità interna, sulla netta ripartizione delle competenze fra funzioni
sovranazionali e funzioni degli Stati nazione.88
Il Trattato che istituisce la CEE evidenzia almeno tre priorità, secondo l’angolo
visuale che abbiamo scelto per questo lavoro: innanzitutto si tratta di rafforzare gli
esiti della ricostruzione inserendoli nel quadro di una nuova realtà integrata più
ampia, evitando la rinascita di tendenze legate alla logica dello Stato-potenza. In
secondo luogo, si tratta di estendere la logica funzionale all’insieme del mercato
86
Cfr. Unione europea, raccolta dei trattati, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali
delle Comunità Europee, 1995, tomo I, vol. II, p. 23
87
Su cui cfr. D. PREDA, Storia di una speranza. La battaglia della CED e la Federazione europea,
Milano, Jaca Book, 1990; EAD., Sulla soglia dell’Unione. La vicenda della Comunità politica
europea (1952-1954), Milano, Jaca Book, 1994.
88
Cfr. B. OLIVI, L’Europa difficile, cit., pp. 41-45; B. OLIVI-R. SANTANIELLO, Storia
dell’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 25-29; GILBERT, Storia politica
dell’integrazione europea, cit., pp. 39-46.
31
europeo. Collaborando e integrando le loro economie, i sei Stati europei, già
partecipi della CECA, realizzano la pace, la prosperità e realizzano un
rafforzamento del loro ruolo nel mondo.89
La scelta che emerge dal Trattato che istituisce la CEE è strettamente legata alla
percezione della imprescindibilità di un’integrazione economica completa, nella
quale la politica però dovrebbe essere lasciata in sordina. La convinzione di fondo
è che l’integrazione economica sia il fattore trainante dell’integrazione politica. E
anche qui, il potere sussidiario ha una funzione centrale. L’art. 100 sostiene che
l’armonizzazione tra le disposizioni legislative, amministrative e regolamentari
degli Stati membri a opera della Comunità si giustifica solo con l’esigenza di
salvaguardare il mercato comune.90 Ciò equivale a dire: non possiamo non volere
il mercato comune, data l’interpenetrazione delle economie dei Sei; certo essa urta
contro i presupposti tradizionali dello Stato nazione inteso come Stato-potenza, ma
si tratta di una condizione realisticamente ineludibile che obbliga a traghettare il
vecchio Stato nazione in una dimensione di integrazione economica assolutamente
inedita che esso deve gestire assieme agli altri Stati; per farlo, esso non ha altra
possibilità che cedere alle istituzioni sovranazionali una serie di prerogative e di
poteri in ambito economico di cui, peraltro, non potrebbe più servirsi in modo
adeguato. Esso deve, pertanto, fornire alla Comunità le competenze necessarie al
conseguimento degli obiettivi del trattato. Non a caso, l’art. 235 afferma che, nel
caso che il trattato non fornisca alla Comunità le competenze necessarie al
conseguimento, nell’ambito del mercato comune, di un obiettivo posto dal trattato
stesso, il Consiglio, “deliberando all’unanimità” su proposta della Commissione e
dopo aver consultato il Parlamento europeo prenda le disposizioni del caso.91 Gli
Stati membri decidono, così, di attribuire alla Comunità le competenze necessarie
alla realizzazione degli obiettivi fissati dal trattato stesso, cioè dall’ agreement
degli Stati membri. La sovranazionalità non è dunque qui qualche cosa di estraneo
alla volontà degli Stati: è una loro creazione stimolata da una realtà economicopolitica che decreta ogni giorno di più e nei più diversi ambiti della politica
economica l’insufficienza degli Stati nazione. Nulla di nuovo, forse: in fondo, la
89
Cfr. OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 51: “L’impalcatura giuridico-istituzionale del Trattato era il
capolavoro del «funzionalismo». Invero il trasferimento progressivo (e graduale!) della sovranità (o
di sue porzioni, quelle necessarie agli atti «integrativi») si doveva effettuare nell’ambito di una
struttura di «negoziato permanente» costituita dal sistema delle Istituzioni.”
90
Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 30 in apparato.
91
Ivi, pp. 80-81.
32
prima prova dell’insufficienza degli Stati nazione a fissare obiettivi comuni per il
buon funzionamento del mercato mondiale senza ricorrere a istituzioni
sovranazionali sono proprio gli accordi di Bretton Woods, è proprio il FMI con il
quale si tentava di porre fine all’anarchia monetaria (e, in prospettiva, anche
all’anarchia economica) che non era stata una delle ultime responsabili del secondo
conflitto mondiale. Può essere certamente paradossale che per salvare le loro
funzioni basilari e le loro economie, gli Stati nazione debbano trascendersi nella
dimensione sovranazionale cedendo parte della loro sovranità; ma se così non
facessero, il destino del mondo non sarebbe diverso da quello decretato dal
fallimento della Società delle Nazioni descritto da L. Einaudi.92
L’art. 189, terzo comma afferma che “la direttiva vincola lo Stato membro cui è
rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la
competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi.”93 Lo Stato
non è privato della sua sovranità; ma questa viene inserita in un contesto (il
mercato comune) che lo vincola alla realizzazione di finalità comunemente statuite
rispetto alle quali la Comunità interviene in funzione completiva, non sostitutiva;
essa interviene sussidiariamente
Attraverso i trattati gli Stati membri si vincolano (vincolo comunitario volontario,
cioè liberamente stipulato) al conseguimento di obiettivi comuni. E’ la stessa
procedura degli accordi di Bretton Woods e dell’ERP, tranne che per un aspetto
decisivo: da questa procedura nascono istituzioni istituzioni sovranazionali dotate
di un effettivo potere d’intervento. Il problema è stabilire quando la maggiore
efficacia imponga in prospettiva l’azione comunitaria e quando invece sia
sufficiente l’azione degli Stati membri. Questo è un problema politico, non un
problema meramente economico, né meramente giuridico. Se la logica della
sussidiarietà tende a configurarsi come una linea di demarcazione “fra i diversi
livelli di intervento normativo,”94 la logica stessa della sussidiarietà impone che
soltanto la Comunità la stabilisca, la fissi. Infatti, chi ha lo sguardo rivolto alla
realtà sovranazionale è la Comunità; ma la Comunità è l’esito dei rapporti
intergovernativi, il risultato di un patto tra governi, l’esito di una tensione dialettica
fra spinte alla sovranazionalità e tutela dei poteri sovrani degli Stati membri.
92
Cfr. L. EINAUDI (JUNIUS), Lettere politiche, Bari, Laterza, 1920.
Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 67.
94
ORSELLO, Il principio di sussidiarietà, cit., p. 11.
93
33
L’anima dell’integrazione negli anni sessanta è la PAC. Come osserva Robert
Marjolin nelle sue memorie:95 “Senza la politica agricola comune, non ci sarebbe
mai stato un mercato comune.” Infatti, se si considera con attenzione l’art. 39 § 1
del Trattato che istituisce la CEE dedicato alla politica agricola comune96 sembra
chiara la sua funzione centrale nella prospettiva di un’unione doganale nella quale
la Francia aveva interessi fortissimi. Sulla PAC poggia, peraltro, la stabilità
monetaria dei sei paesi membri fino alla metà degli anni sessanta. Ma dire Trattato
che istituisce la CEE significa dire anche nuovo assetto istituzionale: nuovo nel
senso che approfondisce e precisa i rapporti fra le istituzioni già tracciati
nell’architettura della CECA. Che la Commissione della CEE abbia un ruolo di
implementazione, oltre che di elaborazione in merito alla politica agricola
evidenzia il ruolo sussidiario della Commissione stessa. Essa – che rappresenta,
come l’Alta Autorità della CECA, l’istanza sovranazionale - ha il potere della
proposta legislativa. Il potere decisionale invece è nelle mani del Consiglio dei
ministri CEE: durante le prime due fasi del periodo di transizione il Consiglio
avrebbe votato secondo la procedura dell’unanimità. Tuttavia, la forza della
Commissione sta nel suo compito di custode del mercato relativo alle procedure
antitrust, al settore degli aiuti di Stato, all’armonizzazione della politica fiscale,
all’implementazione delle misure comuni nell’ambito dei provvedimenti sociali;
tale compito ne fa un modello di potere sussidiario il cui peso politico è notevole.
Di notevole valore per lo sviluppo delle istanze sovranazionali è la sentenza della
Corte di Giustizia Europea riferentesi al caso Van Geld en Loos vs Nederlandse
Administratie der Berlastingen (caso 26/62) che affermava tra l’altro che
indipendentemente dalla legislazione vigente negli Stati membri, la legge
comunitaria non solo “impone delle obbligazioni agli individui ma deve inoltre
fornire loro diritti che divengono parte integrante del loro patrimonio legale.”97
Notevoli tensioni dialettiche erano destinate a svilupparsi per l’inevitabile tendenza
della Commissione a esercitare in pieno il potere sussidiario che essa de iure e de
facto parzialmente aveva.
Un esempio peculiare di questa situazione contraddittoria è la “crisi della sedia
vuota” intesa come una crisi maturata a proposito del voto a maggioranza o
95
Cfr. R. MARJOLIN, Architect of European Unity: Memoirs 1911-1986, London, Weinfeld &
Nicholson, 1989, p. 303.
96
Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, p. 15.
97
Citata in GILBERT, Storia politica dell’’integrazione europea, cit., p. 60.
34
all’unanimità nell’organo decisionale più importante della CEE, il Consiglio, ma
occasionata dal conflitto del Governo francese retto dal generale De Gaulle con la
Commissione presieduta da W. Hallstein a proposito del finanziamento della PAC.
Secondo la Commissione, realizzato il mercato comune dei prodotti agricoli e
industriali il ricavato dei prelievi sulle importazioni agricole e della tariffa comune
sugli altri beni importati dovevano essere versati alla Comunità creando così
introiti propri per la Comunità stessa; inoltre, la Commissione sosteneva la
necessità di attribuire al Parlamento Europeo maggiori poteri di controllo sul
bilancio comunitario. A ciò si aggiunga che per il 1 gennaio 1966 era previsto dal
Trattato che istituisce la CEE che molte materie avrebbero potuto essere decise nel
Consiglio dei ministri con il voto a maggioranza qualificata e non più
all’unanimità.
98
La crisi durante la quale dal luglio 1965 la Francia disertò le
riunioni della CEE si concluse con il “compromesso di Lussemburgo. La tutela del
potere di veto nel Consiglio – che è il cuore dell’ “accordo del Lussemburgo” del
29 gennaio 1966 – sanzionò la tutela dei poteri sovrani degli Stati membri
minimizzando, in certo qual modo, il profilo tendenzialmente comunitario del
Consiglio pur presente nel Trattato che istituisce la CEE.99
La “crisi della sedia vuota” indicava come il potere sussidiario rivendicato dalla
Commissione Hallstein apparisse sospetto alla Francia gaullista e non fosse gradito
nemmeno agli altri governi. Dopo la fusione degli esecutivi (aprile 1965) la
funzione della Commissione è sempre più quella di un organo chiamato a stimolare
la supplenza comunitaria rispetto al conseguimento degli obiettivi della CEE da
parte degli Stati membri. Obiettivi che, alla metà degli anni sessanta sono di
portata maggiore che non al tempo della firma dei Trattati di Roma. Se nel 1958
gli scambi commerciali tra i Sei calcolata in dollari è pari al 30% del loro
commercio complessivo, alla fine degli anni sessanta essa è pari al 50%. Nello
stesso arco di tempo l’incremento dei commerci tra i Sei e i paesi terzi aumenta del
15% all’anno rispetto al tasso di incremento medio di tutto il commercio mondiale;
le frontiere doganali vengono abolite nel 1968. Sotto il profilo economico, è
98
Cfr. MALANDRINO, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale. Walter
Hallstein e la crisi della “sedia vuota” (1965-66) Alessandria, Università del Piemonte Orientale
“Amedeo Avogadro”, Working Paper n. 27, 2002, p. 5 e ID., «Tut Etwas Tapferes Compi un atto di
coraggio». L’Europa federale di Walter Hallstein (1948-1982), Bologna, Il Mulino, 2005, in corso
di stampa.
99
ID., Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa federale, cit., p. 10. Il testo del
“Compromesso di Lussemburgo” è riportato in “Europarecht”, 1966, p. 79.
35
innegabile che l’integrazione stia crescendo al di là di ogni aspettativa. Questa
crescita favorisce la percezione sempre più viva della necessità di pensare a fondo
il difficile rapporto tra sovranazionalità e Stati membri. Ma saranno necessarie le
difficoltà dell’economia mondiale a partire dal 1967 a stimolare la riflessione,
dapprima sul piano della gestione dell’ordine monetario in Europa (il piano Werner
porrà con chiarezza l’esigenza di istituzioni sovranazionali per il governo delle
monete), poi sul piano delle prime ipotesi sull’Unione Europea, alla metà degli
anni settanta.
In un certo senso, negli anni sessanta si stanno creando le premesse concrete, anche
grazie alla crisi della “sedia vuota” di due interpretazioni della sussidiarietà: una
rivolta alla tutela della sovranità degli Stati membri e l’altra rivolta non tanto
contro di essa, quanto a favore di una apertura sovranazionale dell’azione degli
organi comunitari. Il problema è: chi deve decidere sulla ripartizione delle
competenze? E in base a quale criterio? La risposta che ci viene dai trattati, finora
è: gli Stati membri, i quali decidono attraverso i Trattati anche tali criteri. Ma i
trattati stessi, attribuendo all’Alta Autorità della CECA e poi alla Commissione
della CEE poteri chiaramente sussidiari, tendono a prevedere o almeno a non
escludere una significativa limitazione di sovranità degli Stati membri. Il paradosso
è che una metodologia non comunitaria (il metodo del Trattato è intergovernativo)
porta a fissare i contorni e i caratteri della metodologia e della sostanza
comunitaria. Questo paradosso innerva la politica dell’integrazione, ma il discorso
è diverso per quanto concerne l’economia dell’integrazione. Lo sviluppo della crisi
monetaria mondiale a partire dal 1967, come si è accennato poco fa, pone ben
presto problemi che mettono tra parentesi tutte le caute proposte degli anni
sessanta in materia di politica monetaria unitaria (dalla “banca di tutte le banche
centrali” del “Rapporto van Campen” del 1962, al “Rapporto Dichgans” del
1966)100 per recuperare un progetto di integrazione monetaria di ben altro respiro
che si trova nel Memorandum della Commissione del 1962 e nel documento
Initiative ’64 ispirati da Hallstein, e, infine nel “piano Werner”.
Il problema che si pone alla fine degli anni sessanta è il seguente: per realizzare
una unione monetaria in grado di fare dell'Europa dei Sei una zona di stabilità
monetaria, occorrono istituzioni di governo della moneta; ma la moneta è il
100
Su cui cfr. F. INGRAVALLE, Alle origini dell’Unione monetaria europea: gli anni sessanta di
prossima pubblicazione negli “Atti della scuola estiva AUSE 2005”.
36
simbolo stesso della sovranità statuale. Una unione monetaria non potrebbe non
limitare significativamente la sovranità degli Stati membri La realtà economica
preme nella direzione di istituzioni dotate di funzioni sovrastatali. Ma come
distinguere ciò che è di pertinenza sovrastatale da ciò che compete agli Stati
nazione su di un terreno così delicato come quello della moneta? E a chi deve
essere assegnato il potere di decidere in quest’ambito e con quali limitazioni? A
diversi livelli viene a porsi il medesimo problema: che si tratti dei rapporti fra gli
Stati e l’istanza sovranazionale in ambito politico, o in ambito economico, la
questione è trovare una serie di strumenti che garantiscano l’unità della Comunità
senza alcuna intromissione illegittima negli ambiti di pertinenza degli Stati
membri. Ma dalla fine della seconda guerra mondiale gli ambiti di pertinenza sono
cambiati perché si è realmente ristretto il raggio d’azione dello Stato nazione,
mentre si è dilatato il raggio d’azione delle organizzazioni internazionali,
soprattutto per quello che riguarda la politica economica e monetaria. Di
conseguenza, si è concretamente modificato il limite oltre il quale un’intromissione
sopranazionale può essere considerata illegittima. La lunga e difficile crisi del
1967-1971 e le crisi energetiche dei primi anni settanta non si limitano a porre il
problema tecnico della stabilità monetaria nell’area del MEC: così facendo
pongono anche il problema dei caratteri che deve avere l’azione comunitaria nei
termini precisi di una situazione sussidiaria. Stabilire delle parità fisse tra le
monete europee pone una serie di problemi di politica economica che si
riverberano sulla politica tout court. Quale è il limite della politica sussidiaria della
Comunità? Se l’obiettivo di quest’ultima è realizzare il mercato unico, che cosa
spetta agli Stati membri e che cosa invece spetta alla Comunità? Se poi di fronte al
tramonto del dollaro come moneta affidabile di riferimento si pone il problema del
“che fare?” è possibile che la questione delle competenze della Comunità e degli
Stati membri si mantenga immutata nei termini in cui essa si poneva ai tempi della
CECA e del Trattato CEE, concepite quando il sistema di Bretton Woods era
ancora intatto?
Non è possibile. Questo spiega perché la sussidiarietà, dal livello implicito degli
anni sessanta passi, alla metà degli anni settanta, dopo la crisi del 1973 e
contemporaneamente all’ esperienza del “serpente monetario”, a un livello di
esplicitazione nel suo senso potenzialmente politico.
37
Capitolo 3. Integrazione europea e sussidiarietà ‘esplicita’: il
Rapporto della Commissione e il Rapporto McDougall
I fatti che portano all’ordine del giorno la lettura del rapporto fra Stati membri e
Comunità nei termini del principio di sussidiarietà (rapporto che, come abbiamo
visto, è il punto cruciale della situazione sussidiaria), sono le turbolenze monetarie
dell’ultimo triennio degli anni sessanta. In quest’ambito, infatti, è chiaro, a fronte
della crisi del coordinamento monetario e poi, della fine del Gold Standard, che le
misure seguite fino a quel momento nella Comunità non sono sufficienti a
garantire la costruzione di una zona europea di stabilità monetaria.101 Se il “Piano
Werner” insiste con particolare vigore sulla necessità di istituzioni sovranazionali
per il governo dei rapporti tra le monete esso lo fa nella piena consapevolezza di
toccare un tasto molto importante sul piano politico. In effetti, la crisi innescatasi
già a partire dal 1967 aveva chiarito che la PAC non era sufficiente a garantire da
sola la fissità dei cambi. La situazione creatasi a partire dal 1971 e sviluppatasi
attraverso
le
controverse
vicende
del
“serpente
monetario”
premeva
oggettivamente verso una soluzione dei problemi nei termini di una chiara
ripartizione dei compiti fra Comunità e Stati membri proprio sul problema dei
rapporti monetari. Dire rapporti monetari significa però dire anche rapporti fra le
differenti politiche economiche, le differenti politiche di bilancio. Il dibattito
annoso tra “economisti” e “monetaristi” faceva vedere, in fondo due angoli visuali
opposti del medesimo problema: l’armonizzazione doveva partire dalla fissazione
di una unità monetaria, oppure dalla convergenza delle politiche economiche? In
ogni caso, il punto d’approdo della disputa era pur sempre quello del rapporto fra
Comunità e Stati membri e quello della decisione politica dal punto di vista della
ripartizione dei poteri. Non a caso i documenti che esamineremo tengono bene in
101
Su questo momento della storia della Comunità, tra la folta bibliografia, cfr. B. ANSIAUX- M.
DESSART, Dossier pour l’histoire de l’Europe monetaire 1958-1973, Bruxelles-ParisLouvain,Vander Nauwelaerts , 1974, pp. 50-63; H. UNGERER, A Concise History of European
Monetary Integration. From EPU to EMU, Quorum Books, Westport, Connecticut-London, 1997,
pp. 88-95; 97-106.
38
vista un “oggetto” eminentemente politico, l’Unione vista come sviluppo politico
della Comunità.
Il 26 giugno 1975 il presidente della Commissione François-Xavier Ortoli invia al
presidente in carica del Consiglio Europeo Liam Cosgrave il Rapporto della
Commissione sull’Unione Europea.102 Al vertice di Parigi del 1974, il Consiglio
Europeo aveva incaricato la Commissione, la Corte di Giustizia e il Parlamento
Europeo di redigere un rapporto sull’Unione Europea assegnando al primo
ministro belga Leo Tindemans il compito di stilare un rapporto finale. Nonostante
in precedenza non si sia mai parlato in sede ufficiale del principio di sussidiarietà,
il rapporto della Commissione fa del principio la chiave di volta che avrebbe
dovuto essere utilizzata “durante la fase costitutiva dell’Unione Europea come
criterio-guida nell’attribuzione delle competenze.”103 Analogamente il Rapport du
groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration
européenne104 (redatto tra aprile 1975 e marzo 1977 su richiesta della
Commissione da un gruppo di economisti indipendenti sotto la presidenza di Sir
Donald McDougall e citato talvolta come Rapporto McDougall), pur senza
appellarsi esplicitamente al principio, fissava un dispositivo (lo spill-over test) che
permetteva di stabilire quale tipo di politica economica si dovesse attribuire, in
virtù della intensità dei suoi effetti transfrontalieri, alla Comunità, applicando nel
concreto il criterio di base della sussidiarietà.
Perché accade questo? Perché il problema che travaglia la Comunità è quello dello
sviluppo di istituzioni in grado di gestire sovranazionalmente gli aspetti della vita
comunitaria che, per la loro estensione transnazionale, lo richiedono e di fare
questo senza ledere inutilmente il terreno delle prerogative sovrane degli Stati
membri. Il concetto di sussidiarietà teorizza, in tutte le sue varianti, un potere noninvasivo, un potere genuinamente federale.105 E’ un’immagine, questa, trasversale
rispetto alla distinzione fra la cultura cattolica e la cultura laica francese,106 ben
102
Rapporto della Commissione sull’Unione Europea, “Bollettino delle Comunità Europee”,
Supplemento 5/75.
103
D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 38.
104
Commission des Communautés Européennes, Rapport du groupe de réflexion sur le rôle des
finances publiques dans l’intégration européenne, vol. I: Rapport général; vol. II: Contributions
individuelles et documents de travail, Collection Études, Sèrie économie et finances n. A 13,
Bruxelles, avril 1977.
105
Cfr. H. BRUGMANS, La pensée politique du Fédéralisme, Leyde, A.S. Sijthoff, 1969, pp. 65-81.
106
Cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit., pp.154-155.
39
noto alla cultura giuridico-politica tedesca.107 Diversa perché più legata
all’impostazione funzionalistica è l’impostazione del “Rapporto McDougall”.
Tuttavia, sia il Rapporto della Commissione, sia il “rapporto McDougall” parlano
di una situazione, quella della Comunità, per così dire, ad alta intensità sussidiaria.
I due rapporti deducono in maniera non sempre esplicita dal contenuto dei trattati
la norma che deve guidare il rapporto fra Stati membri e Comunità agganciandola
al problema politico di un processo di integrazione cresciuto troppo per poter
essere proseguito, a fronte delle sfide congiunturali, su di un piano meramente
economico e senza strumenti politici in senso pieno.. Ciò di cui si tratta è il
passaggio dalla Comunità all’Unione (Rapporto della Commissione del 1975) e il
passaggio dallo stadio dell’”integrazione prefederale” a quello dell’ “integrazione
federale” nel quadro di un fiscal federalism (fédéralisme financier), vale a dire la
trasformazione della Comunità in soggetto politico in senso pieno (nel Rapport du
groupe de réflexion sur le rôle des finances publiques dans l’intégration
européenne). Da due angoli visuali diversi, l’oggetto contemplato è il medesimo.
Se non stupisce la presenza del principio di sussidiarietà, come principio implicito,
silente (perché tale era il modo di affrontare la questione nei documenti ufficiali
della Comunità fino a quel momento), ma decisivo nel Rapport steso dal gruppo di
riflessione presieduto da MCDougall del 1977 (esso si riferisce esplicitamente e
analiticamente alle esperienze federali di Repubblica Federale Tedesca, Stati Uniti
d’America, Canada, Australia e Svizzera108), indubbiamente incuriosisce l’utilizzo
del principio nel Rapporto della Commissione del 1975.
La Lettera di trasmissione che introduce il Rapporto afferma con chiarezza che
“L’Unione europea (…) esigerà strutture efficienti e mezzi idonei, che non si
realizzeranno – le difficoltà lo dimostrano – senza un ritorno al principio
fondamentale della Comunità: organizzare la costruzione europea mediante
l’attribuzione di competenze a istituzioni comuni, là dove tali competenze
consentano meglio di provvedere alla prosperità e al progresso dell’Europa, e alla
sua influenza nel mondo.”109 Il principio di attribuzione delle competenze – più
avanti identificato con il principio di sussidiarietà – è funzionalizzato alla
107
Cfr. ID., Il federalismo, cit., pp.137-141; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 19 ss.
Su questi modelli federali cfr. MALANDRINO, Il federalismo, cit.; sulla Repubblica Federale
Tedesca e sugli Stati Uniti d’America cfr. anche D’AGNOLO, La sussidiarietà, pp. 18-37. Utili
prospetti si trovano anche in A. Duff (a cura di) Subsidiarity Within the European Community,
Federal Trust, London, 1993, pp. 74-77 (Germania).
109
Rapporto, cit., p. 5.
108
40
creazione di un’Europa-soggetto politico in senso pieno; ma questo non basta: si
afferma anche che tale principio è il principio fondamentale della Comunità, con
riferimento esplicito all’intera storia dell’integrazione. Ciò equivale a fare del
principio di sussidiarietà il fondamento della spinta a un’integrazione politica e a
giudicare quest’ultima, riprendendo la prospettiva di Monnet e Schuman, come il
télos dell’intera vicenda della costruzione europea. La sussidiarietà di cui si parla
qui ha più a che fare con quello che la Comunità è stata ed è divenuta, che con il
concetto di cui abbiamo notizia dalla storia delle dottrine politiche. Qui non è in
gioco il rapporto fra cittadini e Stato, né il rapporto fra entità substatali e Stato, ma
il rapporto fra Stati e sovranazionalità nei termini in cui esso si è andato
configurando dai primi passi della CECA fino al momento in cui è stato stilato il
rapporto. La Commissione non auspica soltanto che gli Stati membri “riconoscano
che la Comunità è il quadro nel quale devono ritrovarsi per vincere la battaglia
contro l’inflazione e la recessione e che essa è il punto di passaggio obbligato della
cooperazione internazionale,” ma afferma che è necessario “restituire alle
istituzioni comunitarie il loro vigore e renderle al più presto più democratiche.”110
Nel momento in cui la Comunità attraversa una fase di smarrimento conseguente
alle crisi economiche del 1971 e del 1973 non è un caso che ci si appelli al
principio di sussidiarietà: l’avvio nel 1975 della politica regionale (gli interventi a
favore delle aree economicamente più arretrate nei paesi membri), il
potenziamento degli interventi del Fondo Sociale Europeo (riguardo al
finanziamento di programmi di ingresso e di reinserimento nel mondo del lavoro)
sono segni di politiche che procedono in senso oggettivamente sussidiario, in veste
di interventi completivi rispetto alle politiche degli Stati membri.
Ridare vigore alle istituzioni comunitarie significa affrontare il problema della
ripartizione delle competenze. Il Rapporto111 lo fa con decisione partendo dalla
constatazione che “è logico ritenere che possano competere all’Unione quei campi
che sono o potranno essere oggetto di una cooperazione organizzata e permanente
tra l’insieme degli Stati membri.”112 Bisogna di certo tenere conto della
formidabile spinta politica contraria all’accentramento del potere in tutti gli Stati
della Comunità:113 “Per la Commissione, il processo di trasferimento di alcune
110
Rapporto, cit., p. 6.
Sul Rapporto cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 38-41.
112
Rapporto, cit., p. 9.
113
Rapporto, cit., p. 9.
111
41
competenze al livello europeo non può e non deve mettere in pericolo l’attuazione
di un più ampio decentramento.”114 L’Unione va pertanto intesa come “coesione,”
termine usato non a caso per indicare l’esatto contrario di una unione monolitica.
Questo tertium quid tra unione ‘monolitica’ e la vecchia ‘anarchia nei rapporti
interstatali di potenza’ impone il ripensamento del rapporto tra Stati e Comunità:115
“L’Unione europea al pari delle Comunità attuali, non deve portare alla creazione
di un superstato accentratore. Di conseguenza, e conformemente al principio di
sussidiarietà, verranno attribuite all’Unione soltanto quelle funzioni che gli Stati
membri non potranno svolgere (…) L’Unione avrà dunque una competenza di
attribuzione: ciò significa che i settori di sua competenza saranno determinati
nell’atto costitutivo, mentre gli altri resteranno riservati agli Stati membri.”116 Le
competenze attribuite all’Unione potranno essere di tre tipi: esclusive, concorrenti
o potenziali. Il principio di sussidiarietà “trova un limite nella necessità che
l’Unione abbia competenze sufficienti a garantirne la coesione.” Il principio vale
dunque come forza politica antiaccentratrice che, per non avere una funzione
disgregatrice, deve essere limitato dal senso di appartenenza a una stessa
compagine, plurale, ma unitaria. Sarà competenza esclusiva dell’Unione, a
esempio, la politica commerciale che per sua natura non può che essere gestita nel
suo complesso che da istituzioni sovranazionali. Un’altra sfera di competenze,
quella delle “competenze concorrenti,” prevede l’intervento dell’Unione “soltanto
in funzione della necessità.”117 Infine sono previste competenze per le quali
“l’ampiezza e la natura dei poteri dell’Unione e la data dalla quale essa potrà
esercitarli dovrebbero essere oggetto di un’ulteriore decisione secondo speciali
modalità.”118 Queste ultime sono le “competenze potenziali”. La logica secondo la
quale vengono attribuite le competenze è facilmente individuabile attraverso il
concetto di “esternalità”: quanto maggiori sono gli effetti transfrontalieri di una
politica
di
cui
l’Unione
abbisogna
per
realizzare
le
finalità
fissate
intergovernativamente nei trattati, tanto maggiore è la legittimità della
114
Rapporto, cit., p. 10.
In questo documento ‘Comunità’ e ‘Unione’ vengono usati significativamente come termini
sinonimi. Va ricordato che l’espressione “Unione Europea” fu usata forse per la prima volta nel
comunicato del vertice di Parigi del 1972; la paternità dell’espressione è fatta risalire da OLIVI,
L’Europa difficile, cit., p. 177, a Georges Pompidou e il suo significato valeva “riorganizzazione
«razionale» dei rapporti tra gli Stati membri della Comunità.” Nel Rapporto della Commissione,
tuttavia, il senso dell’espressione non pare essere soltanto questo.
116
Rapporto, cit., p. 10
117
Rapporto, cit., p. 11.
115
42
rivendicazione esclusiva di tale politica da parte sua; all’opposto, quanto minori
sono gli effetti transfrontalieri di una politica in seno all’Unione, tanto maggiore è
il diritto degli Stati membri di rivendicarla a sé come esclusiva. Dato che anche
una politica locale può in determinate congiunture, oppure per determinati aspetti,
avere effetti transfrontalieri, l’Unione può limitarsi in merito a una legislazionequadro che definisca i limiti degli interventi, suoi e degli Stati membri. Questa
logica è complementare con il principio di base della sussidiarietà: che l’azione
amministrativa venga svolta dal livello più vicino possibile al cittadino. Non si può
infatti tenere conto soltanto dell’esigenza del decentramento quando si tratta di
affrontare problemi la cui rilevanza non è soltanto locale o nazionale. Non si può
peraltro negare che i deficit di democrazia di cui soffre al momento la Comunità
possano far deviare questo principio verso una strada di gestione puramente
tecnocratica del potere (dal lato della Commissione) e meramente intergovernativa
(dal lato del Consiglio dei Ministri). E’ un rischio che lo stesso Rapporto paventa,
sia pure soltanto per accenni.
Il Rapport del 1975-1977119 ha il suo luogo centrale nell’assunzione come modello
delle economie integrate degli Stati federali; in base a questo modello le Comunità
risultavano essere uno stadio pre-federale nel quale – l’esempio era quello degli
Stati Uniti d’America - non risultava necessario, dato l’alto livello di integrazione,
realizzare una completa armonizzazione fiscale. Nell’ambito del processo di
integrazione sono d’importanza cruciale l’individuazione di quei settori della
politica economica che devono essere gestiti direttamente al livello comunitario. E’
pertanto di importanza decisiva stabilire quali settori della politica economica
debbano essere di competenza della Comunità. Ma, a questo scopo occorre un
metodo preciso per decidere. Il Rapport precisa che “L’intervention de la
Communauté se justifie lorsqu’elle permet de réaliser «économies d’echelle» et,
notamment, de lui conférer un plus grand poids dans la négociation avec les pays
tiers (…) Ensuite la Commmunauté est fondée à intervenir lorsqu’une évolution
localisée dans une partie de la Communauté a des effets qui «débordent» sur
d’autres, voire sur l’ensemble des autres parties.”120 In altri termini, per stabilire
che cosa compete alla Comunità e che cosa compete invece agli Stati membri è
118
Ibid.
Cfr. in merito G. DENTON, Reflections on Fiscal Federalism in the EEC, in “Journal of Common
Market Studies”, 1978, pp. 283-301; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 41-43.
120
Rapport, cit., p. 14.
119
43
fondamentale lo spill-over test: va condotta a livello comunitario quella politica i
cui effetti transnazionali sono più intensi. La Comunità svolge con ogni evidenza,
qui, una funzione completiva, sussidiaria; “l’administration fédérale est en général
amenée à agir ainsi perce que les avantages découlant de la fonction considérée
débordent, dans des proportions appréciables, le territoire dont l’administration de
niveau inférieur a la charge (ce phénoméne est connus sous le nom d’effets
externes ou de «débordement»).”121 Le sovvenzioni del Fondo Regionale, del
Fondo Sociale e della sezione di “Orientamenti” del Fondo Europeo Agricolo di
Orientamento e Garanzia (FEOGA) appartengono tutte ai compiti completivi della
Comunità. Le economie di scala e gli interventi completivi richiedono azioni
sussidiarie perché i loro effetti si fanno sentire in tutti gli Stati membri. La
sussidiarietà deriva qui, direttamente, da necessità tecniche: “L’interdépendence de
plus en plus étroite des économies nationales, qui résulte de l’intensification des
échanges commerciaux, des mouvements de capitaux et des phénomenes de
transmission internationale croissante de la Communauté dans la régulation
générale de l’activité économique. Plus les économies des Etats membres sont
ouvertes sous ces trois aspects, plus les instruments de politique économique
nationale perdent de leur efficacité.”122
Si tratta della traduzione in uno schema di razionalità di azione della pratica usuale
delle Comunità, a partire dalla CECA. Tale schema
sembra inevitabilmente
incarnare la razionalità di un superstato, anche se non è una decisione meramente
politica a guidare in questa direzione, ma è lo sviluppo economico delle
interdipendenze che chiede di essere guidato. L’alternativa è l’anarchia economica,
cioè la disgregazione della coesione comunitaria.
Il Rapport stilato da Leo Tindemans123 nel capitolo V (Le renforcements des
Institutions) riconosce che il ritorno a pratiche di cooperazione intergovernativa
non offre alcuna soluzione ai problemi dell’Europa; al contrario, soltanto un
rafforzamento dell’apparato istituzionale comune potrebbe farlo. Realizzare
l’Unione europea implica lo sviluppo di istituzioni comuni dotate dell’autorità
121
Rapport, cit., p. 43.
Rapport, cit., p. 59.
123
Cfr. L’Union Européenne. Rapport de M. Leo Tindemans, Premier Ministre de Belgique, au
Conseil Européen, “Textes et Documents. Collection «Idées et Études»” n. 306, Ministere des
Affaires Etrangères, du Commerce Extérieur et de la Coopération au Developpement, Bruxelles,
1976.
122
44
necessaria a definire una politica comune e un’azione comune.124Le proposte
avanzate da Tindemans sottolineano innanzitutto la necessità del riconoscimento
da parte de Consiglio del potere di iniziativa al Parlamento europeo e del suo
potere di deliberare su tutte le questioni che sono di competenza dell’Unione.125 Il
Consiglio europeo dovrà determinare l’orientamento generale e coerente
dell’Unione prendendo decisioni nell’ambito comunitario secondo le disposizioni
dei trattati, con la presenza della Commissione; negli altri casi dovrà decidere in
modo che le sue decisioni possano servire come linee direttrici a coloro che sono
incaricati di eseguirle.126 Per ciò che concerne il Consiglio dei ministri il Rapport
suggerisce di realizzare una maggiore coerenza tra le attività dei “Conseils
spécialisés,” di trasformare in pratica corrente il voto maggioritario quando si tratta
di questioni appartenenti all’ambito comunitario e di rafforzare l’autorità della
Presidenza per conferire maggiore continuità alla sua azione.127 Quanto al ruolo
della Commissione Tindemans propone di servirsi con maggiore energia dell’art.
155 del Trattato che istituisce la CEE che prevede la possibilità di conferire
competenze alla Commissione; la Commissione dovrebbe agire con poteri analoghi
a quelli posseduti dall’Alta Autorità della CECA.128
Nel Rapport di Tindemans, come si vede, il principio di sussidiarietà non gioca
alcun ruolo. La sussidiarietà proposta dalla Commissione nel 1975 era una
sussidiarietà prevalentemente politica e tale da mettere, almeno in parte, in
discussione indirettamente il "Compromesso del Lussemburgo;" tuttavia,
l’insistenza sull’esigenza di rafforzare le istituzioni comunitarie mostrava, sotto
traccia, quanto Tindemans avesse presente il nodo di problemi che scaturiva dal
Rapporto della Commissione.129 Rimasto all’ordine del giorno per quattro sessioni
del Consiglio Europeo, tra il 1976 e il 1977, il Rapport non ebbe fortuna
immediata. Come nota Olivi,130 “l’iniziale fervore giscardiano di «cambiamento»
era stato spento dalle preoccupazioni politiche ed economiche di una situazione
che si andava via via aggravando: era già stato rischioso dar via libera all’elezione
a suffragio diretto del Parlamento europeo, difficilmente digeribile dai rivali
124
Ibid., p. 45.
Ibid., p. 46.
126
Ibid., pp.47-48.
127
Ibid., pp. 48-49.
128
Ibid., pp. 49-50.
129
Per queste ragioni è forse troppo severo il giudizio dato da OLIVI sul Rapport di Tindemans che
parla di “prudenza estrema”, ma nel senso di “reticenza,” L’Europa difficile, cit., p. 178.
130
OLIVI, L’Europa difficile, cit., p. 178.
125
45
gollisti della sua maggioranza, mentre si avvicinavano pericolose scadenze
elettorali minacciate da un’opposizione che sembrava sulla via del successo”;
inoltre la Comunità non era, in quel momento, al centro dell’interesse del governo
tedesco e gli Inglesi non avevano interesse ad appoggiare iniziative di rilancio
dell’Unione europea. Tuttavia, gli Stati membri della Comunità, nota Gilbert,131
avrebbero attinto al Rapporto Tindemans “a piccoli sorsi nei successivi quindici
anni fino a quando, con il trattato di Maastricht, si diede forma a un’Europa simile
a quella prefigurata dallo statista belga.” Il Rapporto Tindemans non è in linea con
la situazione del momento, ma precorre i tempi.
Sia il Rapporto del 1975, sia il Rapport del 1975-1977 da un lato tirano le somme
del processo di integrazione, dall’altro non possono non prospettarsi uno sviluppo
politico della Comunità: la decisione in ambito economico è inevitabilmente
decisione anche in ambito politico. L’interdipendenza economica richiede
un’autorità gestionale che per la natura delle cose stesse che deve gestire è
sovranazionale. Soprattutto le vicende del “serpente monetario” lo hanno
dimostrato: l’integrazione economica richiede, a un certo livello del proprio
sviluppo, un’autorità politica, sia pure di politica economica, in grado di
amministrare un processo che per
la sua configurazione è sovranazionale.
L’economia preme per una guida politica: per sua natura essa non è in grado di
affrontare
i
numerosi
problemi
giuridici
sollevati
dal
processo
di
internazionalizzazione, i problemi della stabilità monetaria. Fare questo è compito
della politica, cioè di una téchne architettonica. Ma il livello politico della
Comunità è in mano a una gestione intergovernativa, vale a dire, per sua natura
non in grado di gestire unitariamente, e in modo completivo, sussidiario, i
problemi che sorgono dallo sviluppo dell’integrazione.
131
Cfr. GILBERT, Storia politica dell’integrazione europea, cit, p. 114.
46
Capitolo 4. Verso Maastricht
L’obiettivo dell’Unione europea, già proposto nel Rapporto Tindemans, riemerge
nel piano italo-tedesco proposto al Parlamento europeo nel novembre del 1981.
Qui esso era legato al coordinamento nella politica estera e di sicurezza, all’avvio
di una collaborazione in campo giudiziario e culturale e alla modifica delle
procedure decisionali per dare maggiore spazio al Parlamento europeo.
Integrazione economica e cooperazione politica sarebbero dunque confluite
nell’Unione europea.
Il piano ispirò la Dichiarazione solenne sull’Unione europea adottata dal Consiglio
europeo di Stoccarda (il 19 giugno 1983).132 Gli anni che vanno dal 1975 al 1983
vedono, tuttavia, un graduale eclissarsi dell’idea di un’Unione Europea; ma i
caratteri reali della situazione sussidiaria si consolidano soprattutto attraverso la
realizzazione del Sistema monetario europeo (SME, varato nel dicembre 1978 ed
entrato in funzione nel marzo 1979). Esso comportava una stretta cooperazione tra
i governi dei paesi membri corroborata dall’impulso franco-tedesco e riproponeva
il problema di istituzioni sovranazionali di governo delle monete.133 Ma appunto: a
questo corpo economico mancava una testa politica sovranazionale. Questa
mancanza, questa esigenza spiega i tentativi di progettare una Unione Europea,
una Unione politica, fondata sul principio di sussidiarietà, come avvenne con il
Progetto di Trattato dell’Unione europea134 ispirato da Altiero Spinelli.135 Il
progetto fu approvato dal Parlamento a larga maggioranza: con quest’approvazione
il Parlamento rivendicava sostanzialmente una funzione costituente saltando le
procedure del negoziato fra gli Stati membri. Esso contiene una lettura in senso
politico del principio di sussidiarietà: la sussidiarietà, già nel Preambolo, è
132
Il testo quasi completo della Dichiarazione solenne si legge in LEVI-MORELLI, L’Unificazione
europea, cit., pp. 237-242.
133
Cfr. J. VAN YPERSELE- J.-C. KOEUNE, Il sistema monetario europeo. Origini, funzionamento e
prospettive, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1985.
134
Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea, “Bollettino delle Comunità europee”, n. 2,
1984, pp. 7-27; il progetto preliminare è stato pubblicato in “Bollettino delle Comunità europee”, n.
9, 1983, pp. 7-26.
135
Sulla genesi del Progetto ben presto denominato “Progetto Spinelli” cfr. A. SPINELLI, Diario
europeo, vol. III, 1976-1986, Bologna, Il Mulino, 1992.
47
presentata come il criterio da seguire per l’attribuzione delle competenze alle
istituzioni della Comunità. Si tratta, dunque, di un principio architettonico,
politico, secondo le linee emerse nel Rapporto del 1975 e del tutto coerente con
l’impostazione del Rapport del 1975-1977. Leggiamo, infatti, nel Progetto che le
parti affidano a istituzioni comunitarie “conformemente al principio di
sussidiarietà” soltanto le competenze necessarie ad assolvere i compiti che esse
avrebbero potuto realizzare in modo più soddisfacente che non gli Stati
isolatamente.136 Il principio è il fondamento dell’Unione europea. Se si guarda la
Risoluzione del Parlamento europeo sul progetto preliminare del trattato che
istituisce l’Unione europea137 si vede che il principio di sussidiarietà guida la
realizzazione dello sviluppo dell’economia dei popoli europei nella stabilità
“rafforzando la capacità dei suoi Stati membri, dei suoi cittadini e delle loro
imprese di adeguare le loro strutture e le loro attività alle mutazioni economiche
contemporanee;” di elaborare e attuare le politiche strutturali e congiunturali
dell’Unione finalizzate all’eliminazione degli squilibri esistenti fra le sue diverse
aree e regioni; di rendere gli Stati membri capaci “di rispondere congiuntamente e
solidariamente alle nuove sfide di ordine tcnologico, finanziario, monetario e di
altro tipo alle quali tutti si trovano confrontati;” a promuovere uno sviluppo umano
e armonico della società, cercando di raggiungere la piena occupazione, condizioni
di vita approssimativamente comparabili in tutte le regioni e un alto livello di
giustizia sociale, “di realizzare dei rapporti ecologicamente corretti con l’ambiente,
di sostenere e di rafforzare lo sviluppo scientifico e culturale dei suoi popoli; “ allo
sviluppo armonico e giusto di tutti i popoli del mondo per permettere loro di uscire
dal sottosviluppo e dalla fame e di esercitare pienamente i loro diritti politici,
economici e sociali;” a promuovere con la sua azione internazionale” la sicurezza,
la pace, la cooperazione, il disarmo e la libera circolazione delle persone e delle
idee;” a permettere la partecipazione, secondo forme appropriate, “delle collettività
locali e regionali alla costruzione europea;” a prendere “le misure necessarie alla
creazione e allo sviluppo di un civismo europeo.”
136
Progetto, cit., p. 9. L’importanza funzionale del principio di sussidiarietà nel progetto non ci
sembra minore se si prende atto di quanto afferma M. BURGESS, Federalism and European Union:
the Building of Europe, 1950-2000, London-New York, 2000, p. 230: “Altiero Spinelli, who
initiated the EP’s struggle for European Union in the early 1980s, did not care much for the
principle of subsidiarity and agreed to incorporate it in the draft treaty only at the insistence of the
Christian Democrats.”
137
Risoluzione del Parlamento europeo sul progetto preliminare del trattato che istituisce l’Unione
europea, “Bollettino delle Comunità europee”, n. 9, 1983, p. 9.
48
Questo paragrafo prova che il principio di sussidiarietà è implicitamente inteso
come la chiave di volta della futura Unione europea. Nel Progetto approvato dal
Parlamento europeo il medesimo concetto è sviluppato in forma più compendiata e
più vicina al Rapporto del 1975: “L’Unione agisce esclusivamente per svolgere i
compiti che in comune possono essere svolti più efficacemente che non dai singoli
Stati membri separatamente, in particolare quelli la cui realizzazione richiede
l’azione dell’Unione giacché le loro dimensioni o i loro effetti oltrepassano i
confini nazionali.”138 Il principio di sussidiarietà si concretizza qui nella logica
della esternalità che abbiamo già visto nel Rapporto del 1975 e nel Rapport del
1975-1977. Non si tratta di un principio meramente ideologico, ma di un principio
conforme alla natura stessa di un sistema sovranazionale, nato dall’integrazione di
componenti un tempo ben separate le une dalle altre e dotate di identità ben
definite da secoli di storia politica e istituzionale. L' azione comune e la
cooperazione fra gli Stati membri erano due tra i più importanti mezzi per la
realizzazione degli obiettivi stabiliti nel Preambolo; se il primo comportava un
accentramento decisionale notevole rispetto al secondo,139 il principio di
sussidiarietà costituiva una cerniera che connetteva i due metodi come
articolazioni di un insieme, un sistema plurale. L’art. 11 del Progetto prevedeva
inoltre che le materie comprese nel campo della cooperazione interstatale
divenissero oggetto di azione comune – ma non l’inverso.140 Nel Progetto, rispetto
alla Risoluzione e al Rapporto del 1975, mancavano le competenze potenziali
dell’Unione, mentre, riguardo alle competenze concorrenti, nell’art. 12, comma 2
del Progetto (art. 15 della Risoluzione) il principio ricompariva, sia pure in forma
non esplicita. In ambito di politica del credito, compito dell’Unione sarebbe stato
quello di coordinare il ricorso al mercato dei capitali; in ambito di relazioni
internazionali dell’Unione la distinzione tra azione comune e cooperazione veniva
ripresa sempre lasciando spazio all’intervento dell’Unione qualora le politiche
estere degli Stati membri non fossero risultate sufficientemente idonee a realizzare
le finalità dell’Unione. Ciò significava preconizzare uno Stato federale europeo
fondandosi su una interpretazione politica del principio di sussidiarietà. Proprio
questa fu la ragione, almeno parziale, del fallimento della ratifica del Progetto da
parte degli Stati membri: il timore dell’accentramento. Se il principio di
138
139
Progetto, cit., p. 11.
Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 44 e n. 163.
49
sussidiarietà è inteso in modo meramente giuridico, esso può funzionare anche in
una realtà intergovernativa o confederale; ma se lo si intende come principio
politico, esso porta a un ordinamento federale.
Va rilevato che fino a questo momento l’orientamento verso un’interpretazione
politica del principio di sussidiarietà è caratteristico della Commissione e, grazie
all’impulso di Spinelli, del Parlamento europeo, non a caso le due istituzioni a
carattere maggiormente sovranazionale. Non è neppure un caso che la
Commissione sia, in certo modo, erede delle funzioni sovranazionali dell’Alta
Autorità della CECA. Nel 1984 la realtà politica preme in molteplici modi
sull’assetto delle Comunità europee, ma in modo particolare preme perché i paesi
membri si diano un assetto monetario più organico: dal marzo 1979 è in funzione
lo SME, che obbliga a una ripartizione sussidiaria delle competenze in materia di
politica monetaria. L’Unità Europea di Conto (European Currency Unit, ECU,
espressione delle parità delle valute comunitarie) comporta rapporti di cambio tra
le valute che obbligano i paesi membri a seguire una politica monetaria comune
(sono ammesse oscillazioni soltanto del 2, 25%, a eccezione dell’Italia alla quale
viene consentita una banda di oscillazione del 6%); soltanto con l’accordo unanime
dei partecipanti si possono ritoccare le parità. Una rete di facilitazioni creditizie
interne alla Comunità rendono il sistema più solido del “serpente monetario,” ma al
tempo stesso i singoli paesi devono contribuire al Fondo di cooperazione
monetaria con il 20% delle loro riserve in oro o in dollari. Se questo non impedisce
che si realizzi una netta divisione fra monete forti (marco e fiorino) e monete
deboli (lira italiana e franco francese), un nesso sovranazionale lega tutte le monete
della Comunità; l’interconnesione franco-tedesca, peraltro continua a essere il
motore del processo di integrazione. Al vertice di Parigi del 1974 la
regolarizzazione, l’istituzionalizzazione delle riunioni dei capi di Stato e di
governo, con la partecipazione dei ministri degli Esteri, nella forma del Consiglio
europeo sta indubbiamente a indicare che si riconosce il rilievo delle materie di
deliberazione comunitaria, anche se si ritiene di doverle gestire in chiave
integrovernativa. La Comunità non va verso un ordinamento federale; essa
presenta, piuttosto, una anomalia: l’ambito economico mostra un assetto prefederale, mentre l’ambito politico mostra un assetto intergovernativo. Sul piano
istituzionale, la prerogativa dell’iniziativa legislativa spetta a un organo
140
Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 44-45 e n. 165.
50
sovranazionale (la Commissione), mentre il potere esecutivo e legislativo è nelle
mani di un organo intergovernativo (il Consiglio dei Ministri) e l’orientamento
generale della Comunità dipende da un altro organo parimenti intergovernativo (il
Consiglio europeo); l’altro organo sovranazionale, il Parlamento europeo, ha
limitati poteri di tipo consultivo. In questo quadro, il principio di sussidiarietà può
facilmente essere concepito come tutela della sovranità degli Stati membri dal
Consiglio (dei Ministri ed europeo) e come tutela dei poteri della Comunità (dalla
Commissione e da rilevanti settori del Parlamento europeo). Ora le due
interpretazioni, quella giuridica e quella politica, del principio diventano gli indici
di una dialettica interistituzionale. La differenza ora è chiara: affermare che il
principio di sussidiarietà serve unicamente a disciplinare l’articolazione delle
competenze stabilite nei trattati, equivale a ricondurre il rapporto Stati membriComunità alle disposizioni maturate per via intergovernativa; affermare invece che
il principio di per sé contiene il discrimine fra ciò che compete alla Comunità e ciò
che compete agli Stati membri significa sottrarre l’attribuzione di competenze al
solo
controllo
operato
dalla
sfera
intergovernativa
e
fondarlo
sulla
sovranazionalità.
Frattanto, l’esigenza di realizzare il completamento del mercato interno entro il
1992 visto come tappa per l’unione monetaria, affermata nel Libro bianco della
Commissione presieduta (dal 1985) da Jacques Delors e dal “Comitato Dooge”
stimola a considerare ineludibile l’esigenza di preparare un nuovo trattato che
aggiorni il Trattato che istituisce la CEE del 1957. Il “Comitato Dooge” suggerisce
la convocazione, a questo scopo, di una Conferenza Intergovernativa. Ma il
Comitato propone innovazioni istituzionali che avrebbero dilatato le competenze
degli organi comunitari a scapito dei governi nazionali; è, del resto, inevitabile che
in una Comunità a dodici paesi i meccanismi decisionali non possano strutturarsi
sui rapporti intergovernativi e sul vincolo dell’unanimità, ma debbano aprirsi a una
dilatazione delle funzioni sovranazionali. Se da un lato la Gran Bretagna del
premier Margareth Thatcher preme per la liberalizzazione commerciale e
finanziaria, dall’altro lato essa si oppone a qualsiasi governo politico della
dinamica economica che, così, viene a configurarsi. Il mercato comune europeo
non ha la fisionomia di una mera “area di libero scambio” e abbisogna di adeguate
istituzioni che gli permettano di funzionare; ma questo non può avvenire senza
drastiche limitazioni delle politiche economiche degli Stati membri; limitazioni
51
che, d’altronde, sono imposte dall’incipiente processo di globalizzazione (sicché
per gli Stati membri l’alternativa pare essere: perdere parte della loro autonomia a
vantaggio della Comunità, oppure perderla a vantaggio dei processi di
globalizzazione). La CIG per la preparazione del nuovo trattato sulla cooperazione
in politica estera e di sicurezza e per la definizione delle modifiche ai trattati in
vigore passa, al Consiglio europeo di Milano (giugno 1985) con l’opposizione di
Gran Bretagna, Danimarca e Grecia. La CIG che si apre a Lussemburgo nel
settembre 1985 porta alla firma nel febbraio del 1986 dell’Atto Unico Europeo
(AUE).141 Significativamente esso riunisce in un solo testo sia le disposizioni sulla
cooperazione in materia di politica estera, sia quelle sul mercato, sulle politiche
comunitarie e sulle istituzioni della Comunità: segno che si intende indicare l’unità
fra esiti dell'integrazione economica e prospettive di integrazione politica.
Delors,142 artefice dell’AUE, ha ribadito a più riprese, tra il 1985 e il 1989,143 la
centralità del principio di sussidiarietà, sottolineandone l’aspetto anti-centralistico
e rifacendosi alla tradizione del cattolicesimo socialista francese e in particolare al
pensiero di Emmanuel Mounier.144 Tuttavia, anticentralismo non significa di certo
ostilità
di
principio
a
una
concezione
federalistica
della
statualità
sovranazionale.145 In altri termini, la sussidiarietà presuppone “un’organizzazione
della società in gruppi e non la sua atomizzazione in individui.”146 Ciò che sono gli
individui nella società, in questo passo di Delors risalente al 1991, lo sono gli Stati
membri nella Comunità.
In merito allo sviluppo in senso federale del principio di sussidiarietà, tuttavia,
l’AUE non dice direttamente molto. Certo, l’istituzione, in merito alle
deliberazioni riguardanti il mercato, di una procedura di cooperazione tra il
Consiglio dei Ministri e il Parlamento ha il sapore di una soluzione salomonica, se
paragonata alla generale impostazione sovranazionale del Preambolo del “Progetto
Spinelli” e del Rapporto della Commissione del 1975; l’introduzione del voto a
141
Il testo dell’AUE si legge in TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 86-99.
Su Delors cfr. la monografia di C.G. ANTA, Il rilancio dell’Europa. Il progetto di Jacques
Delors, Milano, Angeli, 2004.
143
Cfr. M. BURGESS, Federalism and European Union: the Building of Europe, 1950-2000,
London-New York, Routledge, 2000, pp. 231-232.
144
Cfr. ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., pp. 87-92.
145
Ivi, p. 89: nel pensiero deloriano “la sussidiarietà non rappresenta solo un limite all’intervento
di un’autorità superiore nei confronti di una persona o collettività, quando sono in grado di agire da
sole, ma è anche un obbligo per questa autorità di intervenire nei confronti di tali soggetti offrendo
loro i mezzi necessari per realizzarsi.”
146
Il brano è citato da ANTA, Il rilancio dell’Europa, cit., p. 89.
142
52
maggioranza qualificata in seno al Consiglio dei ministri sui provvedimenti relativi
all’instaurazione e al funzionamento del mercato interno indebolisce la logica
meramente intergovernativa, ma su un terreno sul quale, vista l’interpenetrazione
delle economie dei paesi membri,147 sarebbe molto difficile mantenerla intatta. E’
invece sul terreno della politica ambientale che si fa strada il principio di
sussidiarietà. Il che ha una sua logica: la politica dell’ambiente, per sua natura, ha
un alto tasso di “esternalità”, per usare il concetto del “Rapporto McDougall”.
Nell’articolo 130R, quarto comma, leggiamo:148 “La Comunità agisce in materia
ambientale nella misura in cui gli obiettivi di cui al paragrafo 1 possono essere
meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati
membri.” Il paragrafo 1 recita: “L’azione della Comunità in materia ambientale ha
l’obiettivo: - di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente; - di
contribuire alla protezione della salute umana; - di garantire un’utilizzazione
accorta e razionale delle risorse naturali.”149 Il criterio implicito è la regola della
“esternalità.” Per l’adozione di un atto comunitario in materia ambientale, l’art.
130 S150 stabilisce che Il Consiglio si debba sempre pronunciare all’unanimità,
previa consultazione del Parlamento Europeo e del Comitato economico e sociale,
su proposta della Commissione. L’unanimità è la controprova che ci troviamo di
fronte a una materia ad alto tasso potenziale di “esternalità”, dunque incline a
sviluppare dinamiche sovranazionali che la procedura dell’unanimità varrebbe a
controllare.
L’art. 130 B151 stabilisce che “La Comunità appoggia” la realizzazione degli
obiettivi di coesione
economica e sociale, di ricerca e sviluppo tecnologico
(articoli 130 A-130 C152) con l’azione che essa svolge attraverso fondi a finalità
strutturale,” attraverso la Banca Europea per gli Investimenti e altri strumenti
finanziari. Viene qui sottolineata la funzione completiva dell’azione della
comunità.153Questo è molto chiaro: salvaguardare la libertà d’azione degli Stati
147
Cfr. L. TSOUKALIS, La nuova economia europea, Bologna, Il Mulino, 1994; T. PADOA
SCHIOPPA, L’Europa verso l’Unione monetaria. Dallo SME a Maastricht, Torino, Einaudi, 1992.
148
TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., p. 94.
149
Ibidem.
150
Ibidem.
151
Ivi, p. 92.
152
Ibidem.
153
Cfr. art. 130F § 2: le azioni della Comunità nell’ambito della ricerca, dello sviluppo tecnologico
e della cooperazione “integrano quelle intraprese dagli Stati membri” cfr. TIZZANO, Codice
dell’Unione europea, cit., p. 92. Per altri esempi di indizi meno diretti di sussidiarietà nell’Atto
Unico Europeo cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 61-62.
53
membri in un mercato unico e in un sistema monetario composto di parità fisse
richiede un’azione di complemento che non può che essere architettonica,
ordinatrice, mai centralistica. Ma dovrà essere per forza centrata su obiettivi che
sono stati posti, per consenso, dagli Stati membri attraverso il trattato; con ciò
stesso, gli Stati accettano di autolimitarsi e di accogliere l’intervento completivo,
integratore, della comunità. Dov’è, però, la bilancia per pesare eventuali
trasgressioni del principio di sussidiarietà? C’è e chi è il guardiano della
sussidiarietà? La prima domanda sembrerebbe implicare una scelta fra sussidiarietà
giuridica e sussidiarietà politica. La seconda implica un’attribuzione di potere.
54
Capitolo 5. La positivizzazione del principio di sussidiarietà:
premesse storiche e formulazione del Trattato di Maastricht.
Il 1989 è sotto molti aspetti un anno cruciale per l’integrazione europea; qui è
rilevante il fatto che l’implosione del “blocco orientale” modifica la condizione
decisiva dell’avvio e della continuazione del processo dell’integrazione europea: la
necessità per il “blocco occidentale” di fare quadrato contro la minaccia sovietica.
E’ vero che l’avvio della fase della distensione, dopo la morte di Stalin aveva già
contribuito a ridimensionare l’urgenza statunitense di una economia europea
integrata; la fine del Gold Standard aveva contribuito a spingere la Comunità a
pensarsi come un’area di stabilità monetaria autonoma rispetto all’area del dollaro;
ma non c’è dubbio che il crollo dei paesi dell’Est spinga ora le istituzioni della
Comunità a considerare molto seriamente l’opportunità di realizzare in tempi
relativamente brevi non soltanto un approfondimento dell’integrazione, ma anche
il suo allargamento.154 Un’opportunità che non può essere pensata esclusivamente
in termini economici o giuridici, ma che abbisogna di contrafforti politici. Tuttavia,
il versante strettamente politico della Comunità è strettamente legato alle pratiche
intergovernative, inidonee, di fatto, a configurare un potere politico sovranazionale
in grado di produrre decisioni in tempi brevi. E’ soprattutto la turbolenza del
disfacimento del “socialismo” nei Balcani a porre problemi inediti, problemi
geopolitici di territorialità, alla Comunità.
Il vissuto istituzionale della Comunità è, come si è visto, sussidiario, ma la
sussidiarietà della Commissione (e del Parlamento europeo), come si vedrà, non è
la sussidiarietà del Consiglio dei Ministri (e del Consiglio europeo): quanto la
prima è preoccupata di strutturare un efficace centro di decisione sovranazionale,
altrettanto la seconda è calibrata sull’esigenza di non erodere la sovranità degli
Stati membri. Non c’è dubbio, sul piano meramente teorico, che se la Comunità
vuole contare in qualche modo nel mondo segnato dall’evento epocale del “crollo
del socialismo reale,” essa deve darsi una certa statualità e che, data la sua
55
configurazione geografica, politica e storica, questa statualità, per essere efficace,
non può che assumere una forma federale. Non c’è neppure dubbio che, di fronte
allo sviluppo della globalizzazione economica, l’area di stabilità monetaria deve
trasformarsi in area a moneta unica, oppure assoggettarsi all’instabilità. Ma
l’emissione di moneta unica dovrebbe implicare l’esistenza di una statualità,
l’esistenza di un soggetto politico, se non di un “super-Stato,” comunque di uno
Stato di Stati. L’alternativa è un organo tecnocratico privo di legittimazione
democratica quale arbitro della moneta unica. Nelle coordinate della complessa
vicenda della storia dell’integrazione europea è chiaro che se si concepisce la
futura architettura alla luce del principio politico della sussidiarietà, il risultato è
uno Stato federale, e proprio grazie alla logica anti-centralistica della ripartizione
delle competenze analiticamente contenuta nel principio di sussidiarietà. Se,
invece, la si concepisce alla luce del principio giuridico della sussidiarietà, il
risultato è un modello quasi federale sul piano dei rapporti economici, confederale,
intergovernativo, sul piano politico: capace di amministrazione e di decisione
relativamente tempestiva quasi sull’intero piano economico, ma incapace di ciò sul
piano della politica estera. Il sistema misto esistente possiede, quindi, due modelli
decisionali diversi: voto a maggioranza qualificata nell’ambito di molte decisioni
non soltanto economiche, voto all’unanimità nell’ambito delle decisioni più
propriamente politiche (politica estera). Non è strano che nell’emergenza della crisi
dei Balcani esso non riesca a darsi una logica di azione unitaria e incisiva. Non
senza ragione è stato affermato che l’Europa è “un’istituzione transnazionale
intergovernativa, almeno per quanto riguarda le componenti essenziali della
sovranità esterna, cioè la politica estera e militare. Gli organismi comunitari non
posseggono gli attributi propri della sovranità: la capacità di gestire gli «stati di
eccezione» e di fissare, anche impositivamente, valori, interessi e politiche.”155
Sono parole scritte nel 2004, ma sono idonee a descrivere anche la situazione
dell’inizio degli anni novanta del secolo scorso.
E’ chiaro che il peso politico che potrebbe avere una netta scelta in favore di una
interpretazione politica del principio di sussidiarietà va valutato all’interno di una
complessa architettura istituzionale nella quale l’organo più incline a dare voce a
tale interpretazione non è di certo provvisto di peso trascurabile nel processo
154
Sugli allargamenti della CEE e dell’Unione cfr. A. Landuyt-D. Pasquinucci (a cura di), Gli
allargamenti della CEE/UE 1961-2004, Tomo I, Bologna, Il Mulino, 2005, Introduzione, pp. 9-28.
56
decisionale comunitario. E se la situazione determinata in senso lato
dall’implosione del blocco “socialista” e in senso molto più specifico dalla
dissoluzione della Jugoslavia impone alla Comunità di pensarsi come soggetto
politico, i suoi meccanismi di decisione politica in ultima istanza non la
favoriscono in questo. Il dilemma obiettivo ‘superstato federale / istituzione
transnazionale intergovernativa’ è, inoltre, condizionato dal rapporto assai
complesso con la NATO direttamente coinvolta nei problemi della sicurezza
originatisi dallo scioglimento del blocco sovietico e dalla crisi jugoslava. E’ anche
alla luce di questi problemi obiettivi che va valutato il dibattito che precede la
redazione del TUE.156 Gli esecutivi rappresentati al Consiglio dei ministri sono
logicamente gelosi delle loro prerogative politiche, educati come sono nel quadro
della logica dello Stato-nazione; nel contesto della Commissione, la formazione
culturale è tendenzialmente sovranazionale e tecnocratica, abituata a valutare i
problemi, soprattutto quelli economici, alla luce di una logica diversa, meno
angusta. Ma non sono soltanto diverse le epistemologie politiche che ‘governano’le
istituzioni comunitarie; sono anche numerosi i dilemmi concreti che si presentano e
tra essi il seguente è forse quello di maggiore rilievo dalla nostra prospettiva: la
liberalizzazione della circolazione dei capitali è ormai un fatto che può giocare a
vantaggio della globalizzazione, oppure a vantaggio del coagularsi di interessi
europei: dipende dalla capacità di governare il processo stesso; gli interessi statali e
locali possono funzionalizzarsi soltanto all’una o all’altra prospettiva. E’ invece
escluso che possano avere un ruolo a sé. Questo è oggettivamente chiaro nei primi
anni novanta; ma soggettivamente i titolari di interessi statali e locali continuano a
pensare come se la globalizzazione non esistesse: pensano in termini di rapporto
fra regioni e Stato nazionale (magari nei termini di uno svincolarsi delle unità
regionali anche dal quadro dello Stato nazione per giocare le proprie opportunità
nella realtà globalizzata fino a spingersi verso il secessionismo); per questo motivo
la risultante del dibattito sul principio di sussidiarietà non si configurerà in termini
chiari e tali da non ammettere repliche o chiose.
Nel concreto, richiamando l’art. 130 R, § 1 dell’AUE157 non si può non notare che
la scelta di attribuire una competenza sulla base della “esternalità” prodotta non
155
C. JEAN, Geopolitica del XXI secolo, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 78.
Cfr. A. MORAVCSIK, The Choice for Europe. Social Purpose and State Power from Messina to
Maastricht, Cornell University Press, Ithaca, New York, 1998, pp. 379-471.
157
Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 93-94.
156
57
può far pensare che al primo Programma di azione comunitario della
Commissione in materia ambientale.158 Come si evince anche dagli artt. 130 T, 118
A, § 3 e 100 A, § 4,159 l’importanza dell’obiettivo da raggiungere incide sulla
ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri. Se questo vale in
materia ambientale, non c’è da stupire che valga anche in materia economica,
ambito nel quale l’”esternalità” è particolarmente pronunciata. Se si intende la
politica come amministrazione dell’economia e dei problemi ambientali, non si
può non vedere la frizione esistente tra una gestione di problemi che richiede una
gestione sovranazionale e la realtà di una politica degli Stati membri che tende a
pensare lo spazio politico nei termini dello Stato nazione. Si tratta dunque di
mediare tra una dimensione di politica economica e ambientale straordinariamente
avanzata e una amministrazione politica purtroppo straordinariamente arretrata.
Non a caso la sussidiarietà compare come espressione dello straordinario
avanzamento dell’integrazione economica in un documento del 1989, il Rapporto
sull’Unione economica e monetaria. Ivi si legge che per definire un corretto
equilibrio di poteri in ambito comunitario “ sarebbe essenziale
attenersi
strettamente al principio di sussidiarietà […]. Tutte le funzioni di politica
economica che potrebbero essere esercitate ai livelli nazionali (regionali e locali),
senza ripercussioni sfavorevoli sulla coesione e sul funzionamento dell’Unione
economica e monetaria, resterebbero di competenza degli Stati membri.”160 Si
tratta di una estensione della funzione della sussidiarietà quale essa compare
nell’art. 130 R dell’AUE,161 di un parziale162 precorrimento dell’articolo 3 B del
TUE.
E’ stato osservato che “con il Trattato di Maastricht, la sussidiarietà viene elevata a
principio generale dell’ordinamento comunitario, come risulta dal suo inserimento,
attraverso l’art. 3 B, nella Parte Prima del Titolo II del Trattato CEE, intitolato,
appunto, “ Principi”.”163 Ci deve essere una ragione di questa centralità, anche se
non condividiamo del tutto la tesi di d’Agnolo secondo cui “in precedenza (…) la
158
Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 58-59 il quale cita quale fonte per il testo del
Programma d’azione la “Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee”, C 112/1 del 20 dicembre
1973.
159
Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, pp. 94 e 91.
160
Rapporto sull’Unione economica e monetaria (1989), § 20 citato da ANTA, Il rilancio
dell’Europa, cit., p. 88.
161
Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 93-94.
162
Perché, come si vedrà, nell’art. 3 B non si fa menzione dei livelli regionali e locali
eventualmente coinvolti dall’esercizio delle funzioni di politica economica.
58
sussidiarietà non costituiva un principio generale di diritto comunitario.”164
L’integrazione ha innescato fin dal principio una situazione sussidiaria, ha creato
un terreno idoneo a far sviluppare i primi germi di un potere sussidiario grazie alla
compresenza di sovranazionalità e di intergovernatività (Alta Autorità / Consiglio
dei Ministri; Commissione / Consiglio dei Ministri) che ha stimolato grandemente
lo sviluppo del primato del diritto comunitario sui diritti nazionali. Ma dopo il
1989 indubbiamente, la spinta a vedere nella sussidiarietà il principio
architettonico della Comunità è stata rafforzata dal nesso individuato nel principio
stesso tra coesione e pluralità degli Stati. La sussidiarietà sembra essere il modo di
gestire il lento, contraddittorio e non ancora compiuto processo di estensione della
sovranazionalità dall’economico al politico senza eliminare l’autonomia degli Stati
membri, anzi, valorizzandola. Che questo processo si affacci sul piano della
redazione del TUE lo si deduce dall’importanza del pilastro PESC, per quanto esso
sia concepito intergovernativamente. Si parla apertamente di politica estera
europea in sede di trattato.
Valéry Giscard d’Estaing, nella dichiarazione al Parlamento Europeo del 21
novembre 1989 propone di compilare una lista delle materie che sarebbero state
incluse, nel futuro, tra le competenze dell’Unione europea e di quelle che
sarebbero rimaste nelle mani degli Stati membri: si sarebbe trattato di definire,
così, i due livelli di legittimazione democratica nella Comunità.165 Viene qui
tematizzata non soltanto la stretta connessione fra federalismo e sussidiarietà, ma
anche la stretta connessione fra federalismo, sussidiarietà e democrazia nel
contesto della progettata Unione europea. Nel Parere della Commissione
sull’Unione Politica (21 ottobre 1990) la sussidiarietà è concepita finalizzandola
all’Unione europea come organizzazione di tipo federale.166 Il principio viene qui
considerato come principio prevalentemente politico.
163
D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 62-63.
D’AGNOLO, la sussidiarietà, cit., p. 63, n. 44.
165
Cit. in BURGESS, Federalism, cit., p. 232. Si vedano le dichiarazioni conformi di DELORS,
Discorso al Parlamento Europeo, 17 gennaio 1990, cit. da BURGESS, Federalism, cit., p. 232. Si
cfr. anche V. GISCARD D’ESTAING, La règle d’or du fédéralisme européen in “Revue des Affaires
Européennes”, 1, 1991, pp. 63-66 che si professa vicino al modo di intendere la sussidiarietà tipico
del “Progetto Spinelli” (p. 65) e vede nel Consiglio il co-garante, in prospettiva, assieme alla Corte
di giustizia, del principio di sussidiarietà – se il Consiglio evolverà a “Camera degli Stati.”
166
Cfr. Official Opinion of 21 October 1990 to the IGC on ‘Political Union’, COM (90), 600,
Brussels, European Commission, 23 October 1990, p. 3.
164
59
Il principio che leggiamo nel TUE, tuttavia, è l’esito di un compromesso tra
visione intergovernativa e visione sovranazionale della Comunità.167 Infatti,
l’azione della Comunità deve “innanzitutto trovare il proprio fondamento nelle
disposizioni del Trattato: in caso contrario, nella materia in oggetto, restano liberi
gli Stati membri.”168 Non è il principio che fonda il Trattato, ma il Trattato che
fonda il principio.169 L’articolo 3 B è suddiviso in tre commi che sono articolati
nella esposizione di tre principi: il principio di attribuzione delle competenze,170 il
principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. La legittimità di
qualunque azione della comunità “è valutabile alla stregua di tali principi,
considerati nell’ordine in cui gli stessi sono previsti nell’articolo in esame.”171 La
competenza comunitaria viene accertata sulla base dei primo principio; se si tratta
di competenza esclusiva, l’azione della Comunità sarà sottoposta al principio di
proporzionalità; se invece non si tratta di competenza esclusiva, essa sarà esercitata
se ci sono le condizioni richieste dal principio di sussidiarietà (fermo restando il
rispetto del principio di proporzionalità).
La Comunità non ha competenza generale, ma soltanto le competenze conferitele
dal Trattato. Se quest’ultimo esclude dalle competenze comunitarie la politica
fiscale, questa politica sarà affare degli Stati membri, nonostante i numerosi effetti
di spill-over che essa innesca. Non è sufficiente, cioè, constatare l’alto tasso di
esternalità di una politica perché ipso facto essa diventi oggetto sovranazionale.
Esiste un certo numero di materie il cui trattamento è destinato a essere nazionale
167
Cfr. A. Duff, Towards A Definition of Subsidiarity, in Id. (a cura di), Subsidiarity, cit., pp. 9-10.
Per una ricca disamina sul principio nel Trattato di Maastricht cfr. T. SCHILLING, Subsidiarity as a
Rule and a Principle or: Taking Subsidiarity Seriously (1995), versione elettronica disponibile
inhttp://www.jeanmonnetprogram.org/papers/95/10ind.html; ORSELLO, Il principio di sussidiarietà,
cit., pp. 47-52; P. AMADEI, Il principio di sussidiarietà nel processo di integrazione comunitaria in
M.R. Saulle (a cura di), Il trattato di Maastricht, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995,
pp.11-51, specialmente pp. 11-16; D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., pp. 72-86; per una esegesi
prevalentemente giuridica dell’articolo 5 come ‘principio costituzionale’ cfr. B. BEUTLER-R.
BIEBER-J. PIPKORN-J. STREIL-J.H. WEILER, L’Unione Europea. Istituzioni, ordinamento e politiche,
Bologna, Il Mulino, 2001, 2a ediz., p. 92 che rinvia a V. COSTANTINESCO, L’art. 5 CEE, de la
bonne foi à la loi communautaire, in Festschrift Pescatore, Baden-Baden, 1987 e a J. PIPKORN, Das
Subsidiaritätsprinzip im Vertrag über die Europäische Union-rechtliche Bedeutung und
gerichtliche Überprüfbarkeit in “Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht”, 1992.
168
D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 73.
169
Cfr. la nota della Commissione, Le principe de subsidiarité, “Revue Trimestrielle de Droit
Européen” (28), 4, 1992, p. 728: “Le principe de subsidiarité ne détermine pas les compétences qui
sont attribuées à la Communauté: c’est le Traité lui-même qui les détermine.”
170
Di questo principio una esposizione cristallina era stata data già da F. CARDIS, Fédéralisme et
intégration européenne, Centre de Recherches Européennes, École des H. E. C., Université de
Lausanne, 1964, pp. 48-51: 49-50: “L’Union disposera seulement des pouvoirs qui lui seront
expressément et limitativement reconnus par la constitution et, d’autre part, que le silence de cette
dernière sur une matière la maintiendra ipso facto dans la compétence des Etats membres.”
60
o, al massimo intergovernativo perché così stabilisce il Trattato. La forza
architettonica della Comunità non è il principio di sussidiarietà, ma il principio di
attribuzione delle competenze che dipende dalla logica politica intergovernativa,
una logica che non coincide con la logica dell’integrazione economica, né con gli
stimoli che essa fornisce in ambito politico. La logica dell’integrazione economica,
qui, non riesce a darsi una proiezione politica, cioè non riesce contribuire alla
formazione
di
un
soggetto
politico
sovranazionale.
Dei
tre
pilastri
dell’ordinamento di Maastricht uno è ampiamente federalizzato (la Comunità),
mentre gli altri due sono intergovernativi (PESC e GAI). La logica della
sussidiarietà è principio architettonico nei rapporti economici, nei rapporti sociali,
ma diventa mero principio
subordinato alla attribuzione di competenze nei
rapporti politici. La cessione di sovranità, assai ampia sul terreno dei rapporti
economici tra gli Stati, diventa minima nei loro rapporti politici.
Sono tre i criteri in base ai quali va verificata la coerenza dell’azione comunitaria
con il principio di sussidiarietà:172 1) la capacità di azione degli Stati membri; 2) la
capacità di azione della Comunità; 3) il ‘valore aggiunto’ dall’azione comunitaria
rispetto a quella degli Stati membri. 1) sia nell’art. 12 del “Progetto Spinelli”, sia
nell’art. 130 R, § 4 dell’AUE, la Comunità era legittimata ad agire se avesse potuto
conseguire meglio degli Stati membri l’obiettivo proposto, nel testo approvato del
Trattato di Maastricht la Comunità agisce soltanto se l’azione degli Stati membri è
insufficiente al conseguimento degli obiettivi comunitari. 2) se il “Progetto
Spinelli” e il già citato articolo 130 R dell’AUE confrontavano la capacità di
azione dei singoli Stati membri con quella della Comunità, il testo definitivo del
Trattato di Maastricht confronta l’azione degli Stati membri con quella della
Comunità, aprendo la via alla possibilità di cooperazione fra Stati membri. 3)
dimostrata l’incapacità degli Stati membri a raggiungere determinati obiettivi
comunitari va dimostrato che risultati meno insufficienti sono raggiungibili da
parte dell’azione comunitaria.
Quanto al principio di proporzionalità, esso riguarda sia i settori di competenza
concorrente, sia quelli di competenza esclusiva ed è mirato a “conciliare, nel
171
172
D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 73. Corsivo nostro.
Cfr. D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 78.
61
perseguimento di un interesse di per sé legittimo, la maggiore efficacia dell’azione
comunitaria con la minore intensità della stessa.”173
Dall’applicazione di questi principi risulta un sistema coeso e pluralistico a livello
di rapporti economici (il Mercato Unico; lo SME), ma soltanto una pluralità di
nessi intergovernativi rispetto all’esterno del sistema.
Il TUE ha istituito il Comitato delle Regioni (articoli 198 A-C),174 il “guardiano
della sussidiarietà,” dotato di poteri consultivi; i rappresentanti regionali sono
ammessi alle sedute del Consiglio, in base alla decisione degli Stati membri, ogni
qual volta le materie trattate siano di competenza regionale. L’azione della
Comunità si presenta come sussidiaria, dunque, anche rispetto alle regioni degli
Stati membri, anche se le vere ‘controparti’ della Comunità sono gli Stati, non gli
organismi regionali.
La prevalenza dell’interpretazione del principio di sussidiarietà come principio
prevalentemente giuridico (ma di cui il trattato riconosce implicitamente il valore
architettonico e quindi la portata potenzialmente politica) è un segno del punto
critico raggiunto dal processo di integrazione europea all’inizio degli anni novanta.
Lo sviluppo dello SME, la fine del bipolarismo e il contemporaneo intensificarsi
dei processi di globalizzazione hanno condotto il sistema alle soglie dell’unione
politica, non a caso tematizzata a Maastricht. Questo è il momento in cui decidere
se la sussidiarietà praticata sino a ora sul terreno dei rapporti economici fra gli Stati
membri possa valere come principio di organizzazione di un soggetto politico che,
pur non essendo uno Stato, ha una sua statualità. Dal trattato viene posto in essere
invece un soggetto che decide sovranazionalmente e sussidiariamente quanto più è
lontano dalla dimensione politica, mentre nella dimensione politica propriamente
detta si affida a logiche intergovernative. Il TUE non fa che ‘fotografare’ questa
realtà com’essa è e com’essa si ripercuote sulle interpretazioni del principio di
sussidiarietà.
173
D’AGNOLO, La sussidiarietà, cit., p. 79. Sulle tematiche fin qui trattate cfr. anche la nota della
Commissione Le principe de subsidiarité, cit., pp. 733-734.
174
Cfr. TIZZANO, Codice dell’Unione europea, cit., pp. 70-71.
62
Capitolo 6. Da Amsterdam al Trattato Costituzionale del 2004: il
problema dell’applicazione istituzionale del principio di sussidiarietà
Nella versione di Maastricht il principio di sussidiarietà è tanto il garante del
funzionamento dell’integrazione economica, quanto il garante dell’autonomia degli
Stati membri sul piano dei rapporti intracomunitari. Sottoposto al principio di
ripartizione delle competenze che dipende dalla lettera del trattato, esso garantisce
la giustapposizione di un modello quasi del tutto federale e di un modello
confederale. Il sistema dell’Unione europea si presenta con caratteristiche peculiari
non soltanto in quanto inedita combinazione di elementi federali e di elementi
confederali, ma anche perché “Il Consiglio rappresenta i governi degli Stati
membri, la Commissione rappresenta la competenza tecnica e la funzione
esecutiva, il Parlamento rappresenta i popoli europei. Rispettivamente la logica
politica intergovernativa, la logica tecnocratica e la logica democratica sono così
ben combinate nel governo in senso lato dell’Unione, secondo quella che possiamo
interpretare come una versione moderna del modello, attribuito a Montesquieu, del
“Governo misto.””175 Il Consiglio ha un potere legislativo, che condivide sempre
più con il Parlamento europeo, sia un potere esecutivo, che condivide con la
Commissione. Il nucleo di questo plesso istituzionale è il principio secondo il
quale le decisioni devono essere prese al livello più vicino al cittadino, fermo
restando il fatto che l’ “esternalità” di una decisione fa scattare immediatamente il
principio di sussidiarietà nel suo aspetto positivo per il “primo pilastro.”
Una realtà come quella dell’Unione europea in cui gli Stati membri rimangono
“padroni dei trattati,” ma in cui il livello di compenetrazione delle economie ha
creato istanze sovranazionali, trova in tale assetto istituzionale la sua forma
momentaneamente ottimale. Il rapporto fra sovranazionalità e intergovernatività è
garantito dal principio di sussidiarietà, subordinato al principio di ripartizione delle
competenze. Il principio di sussidiarietà si trova a essere quindi un principio
175
M. TELÒ, Dallo Stato all’Europa. Idee politiche e istituzioni, Roma, Carocci, 2004, p. 145.
63
regolatore fondamentale per mediare un sistema eterogeneo, un sistema plurale
che, al momento, non si disgregato, né ha potuto evolvere a sistema federale. Nel
TUE è stata inserita la clausola dell’ opting out: uno Stato membro può rifiutare di
fare parte di politiche comuni senza, per questo, uscire dall’Unione. La moneta
unica, la difesa, la cittadinanza suscitano richieste di opting out che configurano
una “geometria variabile” dell’Unione. L’omogeneità-eterogeneità del sistema (che
si caratterizza come multilevel governance)176 comporta la scarsa solidità dell’UE
come soggetto politico sulla scena della politica mondiale e si sovrappone alla
solidità del sistema economico integrato esprimentesi ormai nella moneta unica.
Con il Trattato di Amsterdam177 si afferma l’esigenza di tutelare il rispetto del
principio di sussidiarietà enunciato dal TUE. Non a caso: esso è la cerniera che
connette sovranazionalità e Stati membri a livello dei rapporti comunitari. La
ripartizione delle competenze è tutelata dalla lettera dei trattati; la proporzionalità
dipende dalla sussidiarietà. Quest’ultima va adeguatamente normata perché da essa
dipende la vita stessa dell’Unione, la connessione tra i vari livelli della governance
al livello in cui più solidi sono stati i risultati del processo di integrazione.
La normazione contenuta nel Protocollo n. 30 sull’applicazione dei principi di
sussidiarietà e di proporzionalità del Trattato di Amsterdam introduce elementi
innovatori di grande momento.178 Il punto 3 recita: “La sussidiarietà è un concetto
dinamico179 e dovrebbe essere applicata alla luce degli obiettivi stabiliti nel
trattato. Essa consente che l’azione della Comunità, entro i limiti delle sue
competenze, sia ampliata laddove le circostanze lo richiedano e, inversamente,
ristretta e sospesa laddove essa non sia più giustificata.” L’elasticità del principio
permette di adattare la funzionalità del principio stesso alle circostanze rispettando,
con ogni evidenza, la variazione delle geometrie dell’ Unione, variazione che non
può essere ininfluente riguardo ai poteri dell'Unione stessa. Variazione che dipende
dalla volontà degli Stati membri. Pertanto (punto 4) “le motivazioni di ciascuna
proposta di normativa comunitaria sono esposte, onde giustificare la conformità
176
Cfr. W. Wessels (a cura di), The E.U. and Members States, Toward Institutional Fusion?,
Manchester University Press, Manchester, 1996.
177
Cfr. F. POCAR-M. TAMBURINI, Norme fondamentali dell’Unione e della Comunità europea,
decima edizione, con la collaborazione di L. Sandrini, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 133-173
contenenti il testo del Trattato.
178
Si veda però l’Annex to the Conclusions of the Presidency of the European Concil at Edinburgh
11-12 December 1992 riprodotto in A. Duff (a cura di), Subsidiarity, cit., pp. 117-130
64
della proposta ai principi di sussidiarietà e proporzionalità; le ragioni che hanno
portato a concludere che un obiettivo comunitario può essere conseguito meglio
dalla Comunità devono essere confortate da indicatori qualitativi o, ove sia
possibile, quantitativi.”180 Siamo di fronte, come è stato notato,181 a un “metodo
dialogante.” I soggetti del dialogo sono la Comunità e gli Stati membri: ragioni si
oppongono a ragioni, entrambe fondate su indicatori qualitativi o quantitativi. Si
tratta, dunque, di esporre le ragioni che inducono, sulla base della “esternalità” a
preferire l’azione comunitaria, oppure l’azione degli Stati membri. Se l’azione
degli Stati membri non basta al conseguimento degli obiettivi fissati dai trattati,
allora subentra l’azione della Comunità. L’insufficienza degli Stati membri al
conseguimento di questi obiettivi deve risultare dal dialogo intracomunitario, non
da un’autorità, tecnica o politica. Non a caso, il punto 6 stabilisce che “a parità di
altre condizioni, le direttive dovrebbero essere preferite ai regolamenti e le
direttive quadro a misure dettagliate.”182 Ciò significa che la Comunità si riconosce
comunque poteri di indirizzo; sta negli Stati membri tradurre le indicazioni
generali in politiche locali. La Comunità: ma chi ha il diritto di iniziativa è la
Commissione; in merito il punto 9 stabilisce che essa dovrebbe: “-eccettuati i casi
di particolare urgenza o riservatezza, effettuare ampie consultazioni prima di
proporre atti legislativi e se necessario pubblicare i documenti delle consultazioni;
-giustificare la pertinenza delle sue proposte con il riferimento al principio di
sussidiarietà; se necessario, la motivazione che accompagna la proposta fornirà
dettagli a questo riguardo.”183 E’ la naturale evoluzione del dibattito sulla
sussidiarietà
iniziato
alla
metà
degli
anni
settanta:
parlare
di
sufficienza/insufficienza degli Stati membri rispetto al conseguimento di obiettivi
comunitari significa usare una terminologia diversa per parlare di “esternalità” o
“internalità” degli esiti delle politiche di cui gli strumenti legislativi sono mezzi.
Significa dirimere le inevitabili questioni ricorrendo al parametro raggio d’azione
della Comunità sopranazionale / raggio d’azione degli Stati membri in relazione a
obiettivi riconosciuti da tutti gli Stati membri. Significa introdurre un modello di
179
Cfr. Annex, cit., p. 118: “Subsidiarity is a dynamic concept and should be applied in the light of
the objectives set out in the Treaty.”cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 288. Il
testo del Protocollo occupa le pp. 287-288.
180
Cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 288.
181
Cfr. COTTURRI, Potere sussidiario, cit., p. 66.
182
Cfr. POCAR-TAMBURINI, Norme fondamentali, cit., p. 289.
183
Ibidem. Sul ruolo della Commissione nell’implementazione dell’art. 3 B del Trattato di
Maastricht cfr. Annex, cit., pp.121-122.
65
sussidiarietà circolare o orizzontale che deriva dalle pratiche dell’integrazione
economica. Un modello che potrebbe estendersi anche alle entità substatuali
tutelando autonomie locali, livello statale e livello sovranazionale e facendone un
sistema plurale, differenziato, ma unitario. Le categorie accentramento /
decentramento qui non servono: ci troviamo di fronte al progetto di una circolarità
sistemica, di una sussidiarietà positiva, che è democratica, data l’uguale dignità di
tutti i soggetti dialoganti e l’uguale possibilità di accesso al dialogo istituzionale.
La domanda in merito non è soltanto “chi decide?,” ma anche “come decide, in
base a quali elementi razionali, di pubblica ragione?” Ma qual è l’area di cui sta
parlando il Protocollo? Il criterio della sussidiarietà, sia pure subordinato al
principio della ripartizione delle competenze, è estensibile a tutti i pilastri
dell’Unione, a tutte le sue politiche, esso non riguarda necessariamente soltanto il
pilastro della Comunità economica. Sennonché, in aree gestite in modo
intergovernativo, non esiste una dimensione propriamente sovranazionale rispetto
alla quale porre il problema della sussidiarietà positiva circolare. Nel Consiglio dei
Ministri, così come nel Consiglio Europeo, Stati sovrani si confrontano con Stati
sovrani, anche se vincolati tutti al rispetto del Trattato comunemente sottoscritto; e
il Trattato non è istanza di potere sussidiario, non è istituzione: è l’esito di un
insieme di accordi, conseguiti secondo le regole della diplomazia. Non esiste una
istanza sovranazionale con la quale gli Stati debbano confrontarsi. La realtà è più
complessa, più simile ai regimi internazionali; sennonché il Consiglio può votare a
maggioranza qualificata e qui gli Stati riconoscono un livello di interesse comune
tale da fare si che la minoranza si pieghi alle decisioni della maggioranza. Ma
questo “livello di interesse comune” non è un’istituzione, non è un potere; la
sussidiarietà positiva circolare si ferma quindi, propriamente, alle porte del
Consiglio Europeo e del Consiglio dei Ministri; la sussidiarietà negativa invece vi
ha un ruolo plausibilmente notevole.184 La sussidiarietà positiva circolare entra in
gioco a partire dalle proposte della Commissione, a partire dall’azione del
Parlamento Europeo (codecisione legislativa con il Consiglio, parere conforme,
possibilità di censurare la Commissione): aree in cui il dialogo interistituzionale
configura il rapporto tra tecnocrazia, rappresentanti degli Stati e rappresentanti dei
popoli, vale a dire fra due istanze sovranazionali (Commissione e Parlamento
184
Cfr. Annex, cit., pp. 122-123 sul ruolo del Consiglio in merito all’implementazione dell’art. 3 B
del Trattato di Maastricht.
66
Europeo) e le istanze intergovernative (Consiglio Europeo e Consiglio dei
Ministri).
Sia il Progetto di Trattato che istituisce l’Unione Europea, sia il Trattato che
istituisce l’Unione Europea sono accompagnati da protocolli sull’applicazione del
principio di sussidiarietà.
Il Progetto, presentato nel giugno del 2003 al Consiglio Europeo di Salonicco e
utilizzato come base di negoziato nella CIG dell’ottobre 2003, è stato l’esito, per la
prima volta, di una procedura non di tipo diplomatico, ma della convocazione di
una Convenzione (28 febbraio 2002-13 giugno 2003) costituita da un organo
consultivo formato dai
rappresentanti degli Stati e dai rappresentanti dei
Parlamenti nazionali, del Parlamento Europeo, della Commissione e degli
osservatori. Oggetto di valutazioni contrastanti quanto alle innovazioni in fatto di
sovranazionalità185 il suo Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà
e di proporzionalità costituisce un’articolata proposta che riflette alla perfezione la
realtà che l’Unione dovrebbe assumere in veste costituzionale.
Si stabilisce che “prima di proporre un atto legislativo, la Commissione effettua
ampie consultazioni. Tali consultazioni devono tener conto, se del caso, della
dimensione regionale e locale delle azioni previste. Nei casi di straordinaria
urgenza, la Commissione non procede a dette consultazioni. Essa motiva la
decisione nella proposta.”186 L’estensione spaziale della concreta realizzazione
delle proposte, vecchio retaggio del problema dell’”esternalità”, è definitivamente
acquisito; così come è acquisita la motivazione razionale della proposta. La
Commissione deve inviare tutte le proposte legislative e la proposte modificate ai
parlamenti regionali degli Stati membri “nello stesso momento in cui le invia al
legislatore dell’Unione.”187 Non appena adottate, le risoluzioni legislative del
Parlamento Europeo e le posizioni del Consiglio dei ministri sono inviate “da
questi ultimi ai parlamenti nazionali.”188 Il dialogo interistituzionale all’interno
dell’Unione e tra quest’ultima e gli Stati membri è posto come elemento principale,
centrale della dinamica politica.
185
Cfr. TELÒ, Dallo Stato all’Europa, cit., p. 238.
Progetto di Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa, Lussemburgo, Ufficio delle
pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2003, p. 275, § 2. Il principio di sussidiarietà è
esposto nell’art. I-9. La dimensione regionale e quella locale era già stata menzionata nel Rapporto
sull’Unione economica e monetaria del 1989, § 20 in rapporto al principio di sussidiarietà.
187
Progetto, cit., p. 275, § 3.
188
Ibid.
186
67
La Commissione deve motivare le sue proposte riguardo al principio di
sussidiarietà e di proporzionalità: “ogni proposta legislativa dovrebbe essere
accompagnata da una scheda contenente elementi circostanziati che consentano di
valutare il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tale scheda
dovrebbe fornire elementi che consentano di valutarne l’impatto finanziario e le
conseguenze, quando si tratta di una legge quadro europea, sulla regolamentazione
che sarà attuata dagli Stati membri, ivi compresa, se del caso, la legislazione
regionale.”189 Il dialogo istituzionale è visibilmente esteso agli impatti regionali
della legislazione europea, anche se il Comitato delle Regioni ha soltanto un potere
consultivo. Viene articolato uno spazio amministrativo che va definito
sovranazionale e va visto come un’entità articolata nazionalmente e regionalmente.
Sono previsti indicatori quantitativi e ove possibile qualitativi che meglio
permettano all’Unione di valutare l’incidenza di ogni azione sull’intero arco delle
articolazioni dell’Unione. Ogni Parlamento nazionale o ciascuna camera dei
parlamenti nazionali può inviare – entro sei settimane a decorrere dalla data di
trasmissione della proposta legislativa della Commissione – ai presidenti del
Parlamento Europeo, del Consiglio dei Ministri e della Commissione “un parere
motivato che esponga le ragioni per le quali ritiene che la proposta in causa non sia
conforme al principio di sussidiarietà.”190 Di questi pareri i destinatari tengono
conto. Si vede bene che ogni istituzione è chiamata a vigilare sul rispetto del
principio di sussidiarietà e che questa vigilanza fa parte integrante del dialogo
istituzionale.
Sia pure in subordine rispetto al principio di attribuzione delle competenze, il
principio assume una rilevanza costituzionale. Se l’Unione è fondata sul dialogo
tra istituzioni sovranazionali, Stati nazionali ed entità substatuali, la sussidiarietà è
la procedura sostanziale del decision making al quale è finalizzato il dialogo. I
deficit di democrazia sono indubbiamente un limite considerevole per un sistema
che sembra avviarsi sulla strada della doppia legittimità (rappresentanti degli Stati
e rappresentanti dei popoli). Un potere sussidiario funziona nella doppia
189
Progetto, cit., p. 275, § 4.
Progetto, cit., p. 276, § 5. La Commissione è tenuta a riesaminare la proposta se i pareri motivati
rappresentano almeno un terzo dell’insieme dei voti attribuiti ai parlamenti nazionali degli Stati
membri e alle Camere dei Parlamenti nazionali (Ibid., p. 276 § 6). La soglia è di almeno un quarto
qualora si tratti di una proposta della Commissione o di un’iniziativa che emana da un gruppo di
stati membri nel quadro delle disposizioni dell’articolo III-165 della Costituzione riguardante lo
spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Al termine del riesame la Commissione può decidere di
mantenere la proposta, di modificarla o di ritirarla, ma deve motivare la decisione.
190
68
legittimità, ma quando un organo (il Parlamento) non ha potere legislativo e
quest’organo è proprio quello che rappresenta i popoli la menomazione del dialogo
è grave. Perché non c’è autentico dialogo fra realtà dotate di peso politico dispari.
Il Trattato firmato nel giugno del 2004191 reca, nel Protocollo alcune modifiche
nella disposizione degli articoli, ma mantiene inalterata la sostanza e, per lo più,
anche la lettera del Protocollo contenuto nel Progetto del 2003.
I Protocolli del 2003 e del 2004 sono figli legittimi del Protocollo di Amsterdam e
rappresentano lo sforzo di costituire l’architettura di un sistema estremamente
flessibile nel quale vengono a convergere tutte le tensioni, tutte le difficoltà che
hanno accompagnato il processo dell’integrazione europea.
Che l’Unione europea debba darsi una statualità ulteriore rispetto a quella,
contraddittoria e debole che essa già possiede, per quanto inedita e lontana dalle
forme già note nella tradizione politica occidentale, è un fatto evidente soprattutto
dall’esigenza di presentarsi come attore politico sulla scena mondiale.
I fatti dell’ 11 settembre hanno contribuito, secondo una interpretazione
interessante, “determinando nuove richieste di sicurezza e la necessità di
fronteggiare le emergenze economiche” a rafforzare gli Stati-nazione.192 Ciò ha
comportato un rafforzamento della natura intergovernativa dell’Unione nei settori
delle politiche estere, di sicurezza e difesa. Tuttavia, gli Stati nazione non hanno le
dimensioni per fronteggiare le emergenze economiche da soli;193 hanno potuto
farlo soltanto insieme, come la vicenda delle origini dell’Unione Monetaria
europea dimostra ampiamente nel suo intero arco di sviluppo, per limitarci a un
solo settore. E’ innegabile che anche l’emergenza-terrorismo non è agevolmente
contrastabile dagli Stati-nazione europei in condizioni di isolamento; la
cooperazione anti-terrorismo ha minori difetti della cooperazione monetaria, ma è
difficilmente discutibile che un soggetto politico europeo unitario potrebbe agire
con maggiore tempestività. Si tratta di questioni che convergono tutte verso una
domanda di guida politica che non potrebbe configurarsi altrimenti che come
potere sussidiario animato da un principio di movimento federalista-comunicativo.
191
“Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea”, 16. 12. 2004, C310/207-209. Il principio di
sussidiarietà è esposto nell’art- I-11.
192
JEAN, Geopolitica del XXI secolo, cit., p. 78.
193
Sul rapporto fra Stato e globalizzazione considerato dall’angolo visuale del nostro problema,
oltre al celebre volume di KENICHI OHMAE, La fine dello Stato, tr. it. Milano, Baldini & Castoldi,
1993, si veda il saggio sintetico, ma ricco di dati e di considerazioni analitiche, pubblicato da W.
ANDREFF, Le multinazionali globali (1996), Trieste, Asterios, 2000, c. V.
69
L’urgere di questa necessità oggettiva traluce dalle pagine del Trattato: l’Unione
europea ha espresso precisi interessi economici ai quali finora è mancata una ‘testa
politica.’
Che
essa
non
possa
essere
esito
immancabile,
automatico,
dell’integrazione funzionale lo si è visto: può esserci moneta unica senza un centro
decisionale politico unitario; ma non può esserci politica unitaria economica nei
confronti di paesi terzi senza un centro decisionale politico. Esso non può, né deve
cancellare gli Stati-nazione; ma deve esserci, come potere sussidiario. Dall’assenza
di questo centro non è danneggiata soltanto la politica estera dell’Unione, né
soltanto il GAI (e sarebbe già troppo), ma la stessa politica estera economica. Che
il centro decisionale politico unitario possa essere concepito secondo le indicazioni
convergenti del modello di razionalità dialogica del potere sussidiario teorizzato da
Cotturri e di quello del paradigma federalista comunicativo ideato da Malandrino è
un’indicazione che crediamo faccia eco a quanto è stato scritto più di dieci anni
orsono da Padoa Schioppa: “La sussidiarietà, non il leviatano, è la parola d’ordine
per l’unione politica europea.”194
194
PADOA SCHIOPPA, L’Europa verso l’unione monetaria, cit., p. 210.
70
Capitolo 7. Conclusioni
Il percorso che abbiamo tentato di ricostruire ha evidenziato che la vicenda
dell’integrazione europea è anche la vicenda di una situazione sussidiaria che si è
sviluppata fin dall’inizio enucleando l’esigenza di istituzioni sovranazionali dotate
di potere sussidiario a partire dai settori e dagli ambiti in cui più stretta era
l’interdipendenza fra gli Stati membri. L’esigenza di un potere sussidiario e di una
prassi dialogica, comunicativa, nel rapporto interistituzionale, si è manifestata con
connotati politici nel momento in cui le urgenze degli sviluppi storici dopo il 1989
hanno richiesto alla costruzione europea di compiere quei passi che avrebbero
potuto creare un soggetto politico europeo, attivo sulla scena mondiale. Abbiamo
visto, tuttavia, che la situazione sussidiaria può evolvere verso forme di potere
sussidiario dal punto di vista politico soltanto nella misura in cui lo stimolo a
creare e a potenziare istituzioni sovranazionali è effettivamente accolto dai paesi
membri. Nella misura in cui un ambito, un settore, è gestito intergovernativamente,
la situazione sussidiaria non può creare un potere sussidiario e la prassi dialogica
fra le istituzioni manca di unitarietà. Tuttavia fra i diversi casi di integrazione
regionale, l’UE è l’unica situazione sussidiaria che abbia sviluppato, finora, sia
pure in modo parziale e contraddittorio, come si è visto, l’esigenza esplicita di un
potere sussidiario.
L’Unione attualmente, come si è detto,
non è una federazione, né una
confederazione; è l’esito contraddittorio e reversibile di una situazione sussidiaria
nata dalle contingenze della guerra fredda, sviluppatasi all’ombra del bipolarismo e
trovatasi nella necessità oggettiva di pensarsi come soggetto politico soltanto con il
crollo del blocco “socialista”: gli Stati membri non possono sussistere separati e
non possono integrarsi se non restando autonomi. Il loro livello di integrazione è
assai alto sul piano dei rapporti economici al punto che esso ha prodotto l’esigenza
dell’Unione Monetaria (anche se eurolandia non coincide con i confini politici
dell’Unione Europea, rispetto alla quale è più piccola), è molto basso sul piano dei
rapporti politici. Ed è chiaro che il giudizio che è possibile formarsi sul ruolo
71
dell’Unione Europea nel mondo varia molto a seconda che la si consideri come
attore economico, oppure come attore politico. Nel primo caso il principio di
sussidiarietà ha dimostrato e dimostra pienamente la sua efficienza. Ciò non è
strano se si pensa che in linea generale, la situazione sussidiaria caratterizza le
integrazioni regionali presentandosi primariamente come esito dell’esigenza di
integrare economicamente determinate aree. L’esigenza dell’integrazione politica,
quando essa si presenta, tende a farlo come continuazione dell’integrazione
economica, e trova ostacoli da parte degli Stati membri. Di per sé il principio di
sussidiarietà non è più adatto alla prima di quanto non lo sia alla seconda e se si
rilegge l’art. I-11 del Trattato del 2004, si constata che il principio di sussidiarietà
ivi enunciato potrebbe attagliarsi bene a una forma di potere sussidiario. Che ciò
accada, però, dipende esclusivamente dall’uso politico che si fa del principio.
Dal punto di vista giuridico si è sostenuto che “in modo speculare a quanto avviene
con le costituzioni degli Stati membri, che non possono essere comprese nella loro
totalità reale senza tener conto del diritto comunitario, il diritto primario
dell’Unione Europea non funziona né si spiega nella sua natura e struttura senza
riferimento alle costituzioni nazionali.”195 Da questo punto di vista si delinea un
approccio in termini di “costituzionalismo a più livelli” convergente sia con la
prospettiva del ‘potere sussidiario’ avanzata da Cotturri, sia con il paradigma
federalista-comunicativo teorizzato da Malandrino. L'Unione europea forma “un
sistema costituzionale composto di un livello nazionale e di un livello
sovranazionale di potere pubblico legittimo, i quali si influenzano reciprocamente,
coinvolgendo a più dimensioni i singoli cittadini ovvero i medesimi soggetti di
diritto […].”196L’angolo visuale giuridico rispecchia fedelmente il carattere
peculiare della situazione sussidiaria creatasi in oltre cinquant’anni di storia
dell’integrazione europea: una vera poliarchia o una multilevel governance che
realizza effettivamente, nel concreto, una “terza via” tra centralismo e ‘atomismo’.
La sussidiarietà garantisce l’unità amministrativa attraverso la molteplicità delle
appartenenze e delle identità e potrebbe garantire allo stesso modo anche l’unità
politica.
L’unità politica non si definisce esclusivamente riguardo alla ‘politica interna’
dell’Unione. Non è un luogo comune riaffermare che essa, anche quando sia
195
I. PERNICE- F. MAYER, La Costituzione integrata dell’Europa in Zagrebelsky (a cura di), Diritti
e Costituzione nell’Unione Europea, cit., p. 48.
72
articolata in forma di potere sussidiario e funzioni nei termini di una logica
federalista-comunicativa, ha, almeno in prospettiva, nella politica estera il suo
banco di prova. Ed è in questo ambito, probabilmente, che si preparano le sfide più
onerose per un organismo politico atipico, cresciuto per la estensione progressiva
dei legami di sussidiarietà soprattutto sul terreno economico. L’attuazione del
principio di sussidiarietà comporta la creazione di un sentimento di appartenenza;
quest’ultimo è anche un sentimento di distinzione rispetto alle altre compagini
politiche che calcano la scena della politica mondiale. Un simile sentimento non
può svilupparsi attraverso la prassi intergovernativa che governa la politica estera
europea; esso ha bisogno del radicamento in una molteplicità di centri decisionali
che esprimano istituzionalmente il senso dell’appartenenza all’Unione anche
attraverso la gestione della politica estera. L’estensione del principio di
sussidiarietà all’ambito della gestione della politica estera, richiederebbe
all’Unione una solida autoconfigurazione politica nell’ambito delle relazioni
internazionali; di quest’ultima, per ora, non ci sono che alcuni segnali contenuti,
tutti, nel Trattato costituzionale firmato il 29 ottobre del 2004 e attualmente
bloccato nel processo di ratifica.
L’Unione europea è in fase di crescita pacifica (ma non priva di contraddizioni) dal
punto di vista dell’estensione territoriale; un fattore in più che potrebbe rendere
necessario l’estensione dell’utilizzo del principio di sussidiarietà nell’Unione
Europea è proprio il processo dell’allargamento. Dall’originario gruppo dei sei,
l’Europa comunitaria si è allargata a nove (1972), poi a dodici, a quindici, sino a
giungere oggi a venticinque. L’allargamento al quale non corrisponda una forma di
statualità dotata di legittimità democratica nella forma di un potere sussidiario in
grado di produrre unità attraverso la diversità, può effettivamente indebolire
l’Unione.197 Ma la legittimità democratica dell’Unione dipende soprattutto da un
accresciuto ruolo del Parlamento europeo, dalla pubblicità delle sedute del
Consiglio quando esercita funzioni legislative: elementi, tutti, che si trovano nel
Trattato firmato nel 2004 la cui ratifica, com’è noto, si è arenata. E dipende,
196
Ivi, p. 49. Sullo statuto del cittadino europeo nell’Unione e sul ‘popolo’ europeo vd. pp. 53-55
Sul possibile indebolimento dell’Europa in conseguenza dell’allargamento cfr. Jean, Geopolitica
del XXI secolo, cit., p. 90 che riporta ironicamente la formula “più europei, meno Europa.” Più
articolato è invece il quadro che emerge dal saggio di P. S. BLESA ALEDO, The Consequences of the
Enlargement of the EU for the Common Foreign Policy and for the Common European Defence
Policy, in Landuyt- Pasquinucci (a cura di) Gli allargamenti della CEE / UE, cit., Tomo II, pp.
913-940.
197
73
soprattutto, da un modo corretto di intendere la cittadinanza europea: “Gli
individui-soggetti federativi sono considerabili […] nella sfera individualepersonale e in relazione ai gruppi di appartenenza già costituiti e legittimati: sono
“cittadini” presi singolarmente che, unitisi in popolo per una decisione
esclusivamente politica, grazie a un patto “costituzionale” divengono in
determinati periodi e contesti milanesi e parigini; piemontesi e bavaresi; italiani,
francesi e tedeschi, ecc; infine europei. Tutto ciò avviene senza che siano privati
della genetica capacità di appartenere identitariamente ai gruppi-soggetti locali,
regionali, nazionali o sovranazionali.”198 Un uso della sussidiarietà in senso
orizzontale potrebbe essere in questo caso una delle migliori premesse perché
l’allargamento proceda di pari passo con l’approfondimento.199 Un simile uso della
sussidiarietà richiede, quale conditio sine qua non per la propria efficacia, una
profonda democratizzazione della vita istituzionale dell’Unione che sia coerente
con i caratteri fondamentali delle istituzioni che hanno preso corpo in mezzo
secolo di storia della costruzione europea. Ma ciò non deriverà, sic et simpliciter,
dalle dinamiche economiche della situazione sussidiaria europea, come la storia
dell’integrazione ha mostrato e sta mostrando e come l’autocritica del
funzionalismo compiuta nel 1967 da Haas200 ha evidenziato. La logica
dell’integrazione intesa anche come logica del passaggio da una situazione
sussidiaria a un potere sussidiario è sempre una logica politica (pur se
economicamente condizionata), perché basata sulla scelta fra ciò che incrementa
l’unità nella pluralità (la lettura politica del principio di sussidiarietà) e ciò che
rischia invece di deprimerla; la logica politica, a sua volta, non è soltanto logica
della politica interna, ma è anche la ‘legge di movimento’ del soggetto istituzionale
europeo sull’arena della politica mondiale.
198
MALANDRINO, Sovranità nazionale e pensiero critico federalista., cit., p. 242 e ID.,’Popolo
europeo’ e paradigma federalista-comunicativo. Dall’unione dei popoli alla federazione dei
cittadini europei in ID. (a cura di), Un popolo per l’Europa unita, cit.,pp.1-39.
199
Sul nesso fra cittadinanza europea e sussidiarietà cfr. C. DU GRANRUT, La citoyenneté
européenne. Une application du principe de subsidiarité, Paris, L.G.D.J., 1997, specialmente alle
pp. 117-154.
200
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Elenco delle abbreviazioni
ASEAN: Association of South-East Asian Nations
AUE: Atto Unico Europeo
BCE: Banca Centrale Europea
CECA: Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio
CED: Comunità Europea di Difesa
CEE: Comunità Economica Europea
CPE: Comunità Politica Europea
ECA: European Cooperation Administration
ECOWAS: Economic Community of West African States
ECU: European Currency Unit
ERP: European Recovery Program
FEOGA: Fondo Europeo agricolo di orientamento e Garanzia
FMI: Fondo Monetario Internazionale
GAI: Giustizia e Affari Interni
MERCOSUR: Mercato Comùn del Sur
NAFTA: North American Free Trade Agreement
NATO: North Atlantic Treaty Organization
OECE: Organizzazione Europea di Cooperazione Economica
PESC: Politica Estera e di Sicurezza Comune
SME: Sistema Monetario Europeo
TUE: Trattato che istituisce l’Unione Europea
UE: Unione Europea
UEO: Unione Europea Occidentale
UEP: Unione Europea dei Pagamenti
UNRRA: United Nations Relief and Rehabilitation Administration
87
SOMMARIO
Premessa……………………………………………………………… …… p. 2
Introduzione: ambiguità o flessibilità del concetto di sussidiarietà?…..
p. 4
Capitolo1. Integrazione e sussidiarietà……………………………………. p. 18
Capitolo 2. Integrazione europea e sussidiarietà ‘implicita’……………… p. 27
Capitolo 3. Integrazione europea e sussidiarietà ‘esplicita’……………… p. 38
Capitolo 4. Verso Maastricht……………………………………………
p. 47
Capitolo 5. La positivizzazione del principio di sussidiarietà: premesse storiche e
formulazione del Trattato di Maastricht………………………………….. p. 55
Capitolo 6. Da Amsterdam al Trattato costituzionale del 2004: il problema
dell’applicazione del principio di sussidiarietà…………………………
p. 63
Capitolo 7. Conclusioni…………………………………………….
p.71
Bibliografia…………………………………………………………
p. 75
Elenco delle abbreviazioni……………………………………………
p. 87
88
Working Papers
The full text of the working papers is downloadable at http://polis.unipmn.it/
*Economics Series
**Political Theory Series
ε
Al.Ex Series
2005 n.55**
Francesco Ingravalle, La sussidiarietà nei trattati e nelle istituzioni politiche
dell'UE.
2005 n. 54*
Rosella Levaggi and Marcello Montefiori, It takes three to tango: soft budget
constraint and cream skimming in the hospital care market
Ferruccio Ponzano, Competition among different levels of government: the reelection problem.
2005 n.53*
2005 n.52*
2005 n.51*
Andrea Sisto and Roberto Zanola, Rationally addicted to cinema and TV? An
empirical investigation of Italian consumers.
Luigi Bernardi and Angela Fraschini, Tax system and tax reforms in India
2005 n.50*
Ferruccio Ponzano, Optimal provision of public goods under imperfect
intergovernmental competition.
2005 n.49*
F.Amisano A.Cassone, Proprieta’ intellettuale e mercati: il ruolo della tecnologia e
conseguenze microeconomiche
2005 n.48*
Tapan Mitra e Fabio Privileggi, Cantor Type Attractors in Stochastic Growth
Models
2005 n.47ε
Guido Ortona, Voting on the Electoral System: an Experiment
2004 n.46ε
Stefania Ottone, Transfers and altruistic Punishments in Third Party
Punishment Game Experiments.
2004 n.45*
Daniele Bondonio, Do business incentives increase employment in declining
areas? Mean impacts versus impacts by degrees of economic distress.
2004 n.44**
Joerg Luther, La valorizzazione del Museo provinciale della battaglia di
Marengo: un parere di diritto pubblico
2004 n.43*
Ferruccio Ponzano, The allocation of the income tax among different levels of
government: a theoretical solution
2004 n.42*
Albert Breton e Angela Fraschini, Intergovernmental equalization grants: some
fundamental principles
2004 n.41*
Andrea Sisto, Roberto Zanola, Rational Addiction to Cinema? A Dynamic Panel
Analisis of European Countries
2004 n.40**
Francesco Ingravalle, Stato, groβe Politik ed Europa nel pensiero politico di F.
W. Nietzsche
2003 n.39ε
Marie Edith Bissey, Claudia Canegallo, Guido Ortona and Francesco Scacciati,
Competition vs. cooperation. An experimental inquiry
2003 n.38ε
Marie-Edith Bissey, Mauro Carini, Guido Ortona, ALEX3: a simulation program
to compare electoral systems
2003 n.37*
Cinzia Di Novi, Regolazione dei prezzi o razionamento: l’efficacia dei due
sistemi di allocazione nella fornitura di risorse scarse a coloro che ne hanno
maggiore necessita’
2003 n. 36*
Marilena Localtelli, Roberto Zanola, The Market for Picasso Prints: An Hybrid
Model Approach
2003 n. 35*
Marcello Montefiori, Hotelling competition on quality in the health care market.
2003 n. 34*
Michela Gobbi, A Viable Alternative: the Scandinavian Model of
Democracy”
2002 n. 33*
Mario Ferrero, Radicalization as a reaction to failure: an economic model of
islamic extremism
2002 n. 32ε
Guido Ortona, Choosing the electoral system – why not simply the best one?
2002 n. 31**
Silvano Belligni, Francesco Ingravalle, Guido Ortona, Pasquale Pasquino,
Michel Senellart, Trasformazioni della politica. Contributi al seminario di
Teoria politica
2002 n. 30*
Franco Amisano, La corruzione amministrativa in una burocrazia di tipo
concorrenziale: modelli di analisi economica.
2002 n. 29*
Marcello Montefiori, Libertà di scelta e contratti prospettici: l’asimmetria
informativa nel mercato delle cure sanitarie ospedaliere
2002 n. 28*
Daniele Bondonio, Evaluating the Employment Impact of Business Incentive
“Social
Programs in EU Disadvantaged Areas. A case from Northern Italy
2002 n. 27**
Corrado Malandrino, Oltre il compromesso del Lussemburgo verso l’Europa
federale. Walter Hallstein e la crisi della “sedia vuota”(1965-66)
2002 n. 26**
Guido Franzinetti, Le Elezioni Galiziane al Reichsrat di Vienna, 1907-1911
2002 n. 25ε
Marie-Edith Bissey and Guido Ortona, A simulative frame to study the
integration of defectors in a cooperative setting
2001 n. 24*
Ferruccio Ponzano, Efficiency wages and endogenous supervision technology
2001 n. 23*
Alberto Cassone and Carla Marchese, Should the death tax die? And should it
leave an inheritance?
2001 n. 22*
Carla Marchese and Fabio Privileggi, Who participates in tax amnesties?
Self-selection of risk-averse taxpayers
2001 n. 21*
Claudia Canegallo, Una valutazione delle carriere dei giovani lavoratori atipici:
la fedeltà aziendale premia?
2001 n. 20*
Stefania Ottone, L'altruismo: atteggiamento irrazionale, strategia vincente o
amore per il prossimo?
2001 n. 19*
Stefania Ravazzi, La lettura contemporanea del cosiddetto dibattito fra Hobbes
e Hume
2001 n. 18*
Alberto Cassone e Carla Marchese, Einaudi e i servizi pubblici, ovvero come
contrastare i monopolisti predoni e la burocrazia corrotta
2001 n. 17*
Daniele Bondonio, Evaluating Decentralized Policies: How to Compare the
Performance of Economic Development Programs across Different Regions or
States.
2000 n. 16*
Guido Ortona, On the Xenophobia of non-discriminated Ethnic Minorities
2000 n. 15*
Marilena Locatelli-Biey and Roberto Zanola, The Market for Sculptures: An
Adjacent Year Regression Index
2000 n. 14*
Daniele Bondonio, Metodi per la valutazione degli aiuti alle imprse con
specifico target territoriale
2000
n. 13* Roberto Zanola, Public goods versus publicly provided private goods in a
two-class economy
2000 n. 12**
Gabriella Silvestrini, Il concetto di «governo della legge» nella tradizione
repubblicana.
2000 n. 11**
Silvano Belligni, Magistrati e politici nella crisi italiana. Democrazia dei
guardiani e neopopulismo
2000 n. 10*
Rosella Levaggi and Roberto Zanola, The Flypaper Effect: Evidence from the
Italian National Health System
1999 n. 9*
Mario Ferrero, A model of the political enterprise
1999 n. 8*
Claudia Canegallo, Funzionamento del mercato del lavoro in presenza di
informazione asimmetrica
1999 n. 7**
Silvano Belligni, Corruzione, malcostume amministrativo e strategie etiche. Il
ruolo dei codici.
1999 n. 6*
Carla Marchese and Fabio Privileggi, Taxpayers Attitudes Towaer Risk and
Amnesty Partecipation: Economic Analysis and Evidence for the Italian Case.
1999 n. 5*
Luigi Montrucchio and Fabio Privileggi, On Fragility of Bubbles in Equilibrium
Asset Pricing Models of Lucas-Type
1999 n. 4**
Guido Ortona, A weighted-voting electoral system that performs quite well.
1999 n. 3*
Mario Poma, Benefici economici e ambientali dei diritti di inquinamento: il caso
della riduzione dell’acido cromico dai reflui industriali.
1999 n. 2*
Guido Ortona, Una politica di emergenza contro la disoccupazione semplice,
efficace equasi efficiente.
1998 n. 1*
Fabio Privileggi, Carla Marchese and Alberto Cassone, Risk Attitudes and the
Shift of Liability from the Principal to the Agent
Department of Public Policy and Public Choice “Polis”
The Department develops and encourages research in fields such as:
• theory of individual and collective choice;
• economic approaches to political systems;
• theory of public policy;
• public policy analysis (with reference to environment, health care, work, family, culture,
etc.);
• experiments in economics and the social sciences;
• quantitative methods applied to economics and the social sciences;
• game theory;
• studies on social attitudes and preferences;
• political philosophy and political theory;
• history of political thought.
The Department has regular members and off-site collaborators from other private or public
organizations.
Instructions to Authors
Please ensure that the final version of your manuscript conforms to the requirements listed below:
The manuscript should be typewritten single-faced and double-spaced with wide margins.
Include an abstract of no more than 100 words.
Classify your article according to the Journal of Economic Literature classification system.
Keep footnotes to a minimum and number them consecutively throughout the manuscript with
superscript Arabic numerals. Acknowledgements and information on grants received can be given
in a first footnote (indicated by an asterisk, not included in the consecutive numbering).
Ensure that references to publications appearing in the text are given as follows:
COASE (1992a; 1992b, ch. 4) has also criticized this bias....
and
“...the market has an even more shadowy role than the firm” (COASE 1988, 7).
List the complete references alphabetically as follows:
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Monographs:
NELSON, R. R. and S. G. WINTER (1982), An Evolutionary Theory of Economic Change, 2nd ed.,
Harvard University Press: Cambridge, MA.
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SCHMALENSEE and R. D. WILLIG (eds.), Handbook of Industrial Organization, Vol. I, North
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Working papers:
WILLIAMSON, O. E. (1993), “Redistribution and Efficiency: The Remediableness Standard,”
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