M 1 Moresco, 20 Dicembre
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M 1 Moresco, 20 Dicembre
ÎSBN EE-339-11EE-E ll[lffilLlil[l zo dicembre Cronaca Domenica pomeriggio. Fuori è già buio. Le finestre sono chiuse daunpezzo. Non viene nessun Íumore dal cortile interno dove vivo. Giro da una camera all'al$a. Mi fermo in cucina. Torno nella mia starrza. Mi vado a sedere sulla mia seggiola pieghevole, da campeggio. Appoggio i piedi sul fondo del letto. Chiudo gli occhi. Mi sforzo di respirare. Vado di nuovo in cucina. Torno in camera. Sposto da una parte le coperte del letto, mi ci butto sopra diagonalmente. Sto così per un po', coricato, la tempia contro una delle braccia allungate' Mi sforzo di respirare più a lungo, perché non arrivi quell'annebbiamento alla vista - quasi un accecamento che mi prende di tanto in tanto in momenti come questo, senza preawiso. Lascia dietro di sé un mal di testa tremendo, quando i capillari tornano a distendersi e la visione ritorna. Arriva così, all'improwiso, anche se mi sembra di essere perfettamente tranquillo e non penso a niente, ma capisco soltanto dopo che ero estraneo a me stesso e stavo da chissà quanto tempo inapnea. Continuo a inspirare, a espirare. Mi assopi- 20 DICEMBRE DUE SCRITII di tanto in tanto, per qualche istante. Sento I'odore primordiale del materasso contro le narici. Che 95 Torno a coricarmi di ffaverso sul letto. Penso che prima volta in vita mia che partecipo a un convegno, che non credo di essere adatto a questo tipo di cose, che non ho la più pallida idea di cosa andrò a dire, che la quotidianità non esiste e che sono stato un idiota adaccettarc. sco è la momento delicato e tremendo è il tardo pomeriggio della domenica, se solo sei un po' presente a te stesso! Bisogna Íare fintadi niente. Aspettare che passi. Ore 18.45 Ore zo Squilla improvvisamente il telefono. Ero così assente che ci metto alcuni secondi a capfue di cosa si tratta. Mi sollevo dal materasso. Mi giro verso il comodino opposto. Tiro su la cornetta. A cena. Ci sono gli spaghetti col pomodoro. Ma il sugo non basta per tutti. <<Danne più a lei!r> <<No, danne più a lui!>> Eccetera. Dopo un po' il discorso cade casualmente sui segni zodiacali. <Io ho Bruce Springsteen! >> Io ho Karen Blixen! > Sì, ma hai anche Hitler!>> <<Io ho Kerouac!>> <<Io invece ho Dostoevskij e me ne fotto di tutti!>> Attacchiamo il secondo: petto di pollo impanato. <<A proposito di Dostoevskij... Ma lo sai che ^vev^ una grande considerazione per le teorie di Fédorov?>> <<Ah, sì? E chi era questo Fédorov?>> <<Era uno che i e 1'abolizione n fisica della morte>. <<Però!>> <<Diceva che, resuscitandìT!ilF a"ten"ti, l'umanità sarebbe risalita al suo antenato comune. Si tratta solo di trovare gli strumenti fisici adatti per resuscitare materialmente tutti quelli che sono vissuti prima di noi sulla terîa'.M^, se è stato possibile per Cristo resuscitare da morte, non c'è ragione di ritenere impossibile la resurrezio- <<Pronto, parlo con Antonio Moresco?>> chiede una voce. << Sì)>. << Sono Jean-Paul Manganaro. Telefono da Parigi>. << Mi metto a sedere sul letto. Ci sarà un convegno, nel maggio del '99, a Lille. Il è Réalités et tenps quotidien, dice la voce: <<Ci farebbe piacere che lei partecipasse. Ho letto un suo libro intitolato La cipolla e so che ha scritto un pamphlet anticalviniano, che mi piacerebbe vedere>. Gli dico che glielo manderò. Parla molto bene |'italiano. Mi sembra una persona genrile. Decidiamo di darci del tu. Gli dico che accetto. Prima di salutarci lo av- titolo viso che mi è praticamente impossibile esprimermi in qualsiasi alra lingua che non sia l'italiano. Mi dice che non è un problema. Ci salutiamo. ta << DUE SCRITTI 20 DICEMBRE ne dei padri. Era così convinto che il suo progetto fosse realistico che, quando un modesto professore di matematica di provincia, Konstantin Ciolkovskij, andò a trovarlo per chiedergli cosa fare, Fédorov gli diede un obiettivo concreto: costruire un modello di astronave in grado di trasportare su altri pianeti I'umanità resuscitata. Fu in seguito a questo incontro che Ciolkovskij, il futuro padre dell'astronautica sovietica, cominciò alavotare a un progetto dí razzo cosmico. C'è chi sostiene anche che queste teorie non fossero estranee alla decisione di imbalsamare il scensore. Salgo. Mi tiro su un po' di più la cerniera di fronte allo specchio, durante la discesa. I ffe gradini. L'apriporta. Il pesante portone d'ingresso. Le strade vuote. I lampioni. Socchiudo gli occhi, respi- g6 i" di I- .nin, è*=_po .- - ;i,i .J*...-*iresuscltarlo>. <<(Jn. - "ti.*@ c zzo!>> Fói, per fortuna, il discorso cade sulla vita sessua- le degli orango. Ore zr Mi lavo i denti. Mi preparo a uscire. Mi metto la magha. Mi infilo gli scarponi pesanti. Sono nuovi, si îa fatica a calzarli. Devo allentare completamente i lacci, una fila dopo l'alfta, e spingere forte coi piedi tirandoli contemporaneamente verso di me con le mani, seduto sulla mia seggiola da campeggio. Stringo di nuovo i lacci. Mi alzo. Mi infilo il piumino, il cappello di pelo. Tiro su la cerniera. Attraverso la cucina. Esco. I1 pianerottolo è vuoto, silenzioso. Chiamo I'a- ro. Comincio a camminare sul marciapiede, con le mani in tasca. Attraverso un paio di strade più grandi. Riprendo a camminare sul marciapiede. Passo a fianco di un piccolo ristoîante semivuoto. Attraverso un viale a doppia corsia. Poi una piazza.Imbocco una strada che porta in centro. Continuo a cammina- re piano sul marciapiede, senza pensare a niente. Man mano che mi awicino al cenffo ci sono delle file di lampadine che attîaversano le strade in questi giorni che precedono il Natale. Passo di fronte ad alcuni negozi illuminati, con la saracinesca a maglie abbassate. Qualche addobbo natalizio qua e là, tra la merce. <<La quotidianità... - mi viene da pensare Cosa sarà poi questa quotidianità? Chi sarà stato il primo a patlarne? Chi si sarà inventato questa storia della quotidianità?> Faccio aîcoîa:uîpezzo di strada. Gli addobbi sono sempre più numerosi man mano che mi awicino a piazzadel Duomo. <<Che idiota sono stato! - mi dico di nuovo -. E cosa posso andare a dire, senza imbrogliare nessuno? Che cosa ne so io della quotidianitàP Questo concetto che sembra inventato apposta pet separare 1o spazio dal tempo!> Continuo a cammiftrre sul marciapiede. <<Ecco! - mi viene in mente d'un tratto -. Potrei raccontare alcune ore della miavtta 20 DICEMBRE DUE SCRITTI 98 cosiddetta quotidiana! La giornata di oggi, per esempio. Queste ore stesse, da quando ho ricevuto quella ielefonata daParigia quando andrò a dormire..' Ma sì, farò una semplice cronaca di queste ore in cui cammino, come ogni notte, per strada, sempre le stesse strade, come i pellerossa che percorrevano il tempo"' E sempre gli stessi sentieri per annullare quel che sarà saràl>> Entro in un cotso più grande, chiuso al traffico' Le luci dei cinema, dei negozi. Un uomo sta facendo 7^ st^ttadi cera a uno dei lati della via, con Ia faccia dipinta di bianco, immobile su un piedestallo, di fronte ad alcuni passanti fermi a semicerchio' Giro dietro il Duomo. Di fronte aPalazzo Reale stanno al- lestendo una grande pista di pattinaggio su ghiaccio, come 1o scorso anno durante le feste. Un grande macchinario passa e ripassa su una superficie su cui brilla aflcoraunapatinaliquida. Le luci dei riflettori che ci sono attorno alla pista vi si rispecchiano. Mi fermo a guatdare per un po' la superficiebagnata che si ffasforma a poco a poco in ghiaccio. Quando sarà pronta, si esibiranno lì sopra anche coppie di ballerini di pattinaggio artistico. Mi fermerò ai suoi bordi, come I'anno scorso, in piedi sulla pedana d'assi, mi appoggerò con i gomiti ai tubi delle transenne, nel fragore della musica diffusa dagli altoparlanti, mentre al centro della pista la coppia di ballerini volteggerà tenendosi per mano, e si sentirà in sottofondo il rumore delle lame dei pattini che incidono il ghiaccio solle- vando schegge durante gli arresti improwisi o le curve raschiate o i salti più alti, mentre si spostano in pochi istanti da un capo all'altro della grande pista tutta segnata da tagli circolari e abrasioni alla luce dei riflettori, lui tutto vestito di nero, lei con le gambe e le braccia nude, arrossate per via del freddo, ansimante, il rumore rauco del suo respiro, la nuvola del suo fiato mentre sfreccia vicino all,a mia transenna con la macchina Tanciata del suo corpo sessuato, le ginocchia puntate, le lame che fanno a pezzilo specchio lucente della pista. Ma stasera c'è solo questo grande macchinario di metallo che si sposta sulla superficie semili^ncora quida e un uomo, seduto in cima, che lo manovra fumando un mozzicone di sigaretta mentre le luci si riflettono da tutte le parti su quest'uovo di ghiaccio. Piazza Duomo è irriconoscibile in quesri giorni. Hanno costruito provvisoriamente una piazza nd).a piazza. Sedici torri ricoperte interamente di rami d'abete e muschio su cui volteggiano grandi angeli di polistirolo dipinti. All'interno di ciascuna rorre devono esserci dei potenti altopailanti perché ne esce una voce scontotnata e solenne, intewallata da musica sacra: <<Noi siamo eternamente in viaggio e immobili. Noi siamo i mangiatori d'anime, il luogo sacro, la follia>. Mi fermo per un po' ad ascoltare, r'icino a una torre. <<Io sono I'angelo del fuoco che nor:. finisce mai di bruciare lungo I'eterna eternità. 1'angelo dell'iniirrito, d.ll'i.r..idio, del cielo "llu.ínrnr. roo 20 DICEMBRE DUE SCRITTI sascandisce la voce -' Senza il fuoco, la luce cosa rebbe? Io sono I'angelo delf infinito, delle lontanan- - ze impensabili, delle radici oscure dell'essere' Io so- chiano l'angelo delvespro, I'angelo gueriero che ti ali suile viene che m, a combattere quando il nulla il inghiotte e i.llu no*" allagagE occhi, e i pensieri, mondo>>. Riorendo a camminare, allontanandomi dalla pi^ziu.Imbocco altre strade. Cammino per un po' ,orro rrn porticato di marmo. C'è un barbone coricato ,rrl ,rodo pavimento, raggomitolato su un fianco' che Si sente una vocina venire da quella parte, segno vosta ascoltando una radiolina a transistor a basso lume, tenendosela vicino allatesta' Costeggio un lo- pareti cale seminte rrato dacui salgono suoni' Sulle si esiche pornostar una lunga fila di fotografie delle male biscono sotto terra. Grandi tette plemute tra ni, .ol capezzolomalamente annerito dal pennarello' Véngono da dentro e da sotto dei versi in un'altra ling,ia, perché pare che le rugazze cantino in inglese mentre si infilano serpenti. Continuo a camminare con le mani iîtasca, assenper te. Raggiungo una fermata illuminata del metrò, aurri.illrmi,tn po' di più a casa' Mi rendo conto che fuori una delle mie màni sta macchinalmente tirando bidei carnet del ài ,ur." i.mazzodelle chiavi invece mentre scendo i gradini e mi awicino alle file éele macchinette d'ingresso' Lo rimetto dentro' ac- gli.tti, certandomi con un'occhiatache nessuno abbia visto' Qualche volta mi succede, al contrario, che trovandomi di fronte al portone di casa di ritorno dalla mia camminata, tiro fuori di tasca il carnet dei biglietti invece delle chiavi. Non mi ricordo per alcuni istanti chi sono, dove sono stato, cosa ho pensato per tutto il tempo, che cosa ho visto. Timbro il biglietto. Imbocco la scala mobile lunga, in discesa, venendo giù dall'alto, a strapiombo. La luce evidenzia ogni cosa, è come se non si vedesse niente. <<Dovrei cercare di essere un po' più presente a me stesso - mi dico -, dovrei stare più attento>. Cammino per un po' avantí e indietro in attesa del treno. Mi vado a sedere sul mozzo di cemento che sosteneva fino a poco tempo fa un sediie circolare che ora è stato divelto. Guardo alcune immagini pubblicitarie concave appese all'interno del tunnel. Arriva il treno. Mi vado a mettere nel punto esatto dove so che si aprirà la prima porta, per poter entrare per priMi sie<io. II Cieno riparmo @. te. Nello scompartimento ci sono alcuni arabi silenziosi che leggono quei loro giornali ricamati. Di fronte a me una donna sola fa vocalizzi in silenzio con uno spartito musicale sulle ginocchia. All'altro lato dello scompartimento alcune monumentali bambine africane che vanno a battere lungo i viali parlano concitatame îte tîa loro con le voci tauche, i fuseaux afiolia;ttiJlati sulle cosce possenti, le zeppe ai piedi, le parrucche ossigenate e stfuate. I1 treno continua ad andarc. Qualcuno scende, AO2 SCRITTI 20 qualcuno sale. Il rumore delle porte a soffietto. La dontt, di fronte a me continua a spalancare la bocca, a sbarrare gli occhi, afar ruotarela testa. Il treno ralIenta ancora. Scendo alla mia Í.ermata. Mi incammino lungo Ia banchina, sul pavimento di gomma. Imbocco una delle due lunghe scale mobili parallele che risalgono piano, semivuote. Attraverso l'atrio, salgo or^la doppia rampadi scale che porta in superfi ^n cie. Percorro piano il lungo marciapiede del corso. Imbocco una strada più stretta, poco illuminata.Passo davanti al piccolo ristorante. Nessuno ai tavoli. Cambiano ogni tanto I'insegna, quando il locale passa da una gestione all'altra. Una notte c'etaunara' gazzaoríentale, in piedi in mezzo aitavolivuoti, che caîtrrva senza microfono per attitate i clienti. Era piccola, magta. Tremava un po', tenendo gli occhi sbariati. Avevo gtatola testa per non vedere, passando' La sua voce stridula, spaventata, mi aveva seguito per molto mentre camminavo nelle strade deserte. Nessuno in giro. Cammino per un po' quasi al centro della stradina, oltre la fila delle auto parcheggiate ai bordi, senza pensare a niente. Sono così assente che non registro quasi la presenza di altri due che camminano a loro volta inmezzo allasftada, in dire- zione opposta. Me ne rendo conto solo all'ultimo istante, incrociandoli, e solo perché uno dei due, il più vicino a me, quello coi capelli lunghi, arivato a mezzo metro di distanza, inftlaLa mano desua nella tasca del cappotto, tranquillamente, ne tira fuori DICEMBRE ro? qualcosa che solo un secondo dopo capisco essere una bomboletta. Quando cioè, impugnandola col braccio teso a pochi centimetri di distanza dal mio volto, con calma, in perfetto silenzio, spruzza del liquido nebulizzato o del gas contro i miei occhi. Faccio artcoîa un po' di passi prima di rendermi conto di cosa è successo. Anche i due fanno ancora un paio di passi, come se niente fosse, in silenzio. E sono già alle loro spalle quando mi porto le mani agli occhi per il dolore. Grido qualcosa verso di loro. Faccio in tempo a inffavedere che, sempre in perfetto silenzio, i due cominciano a correre alf impazzatalungo la stradina, Ote in direzione del corso. 43o Non vedo nienre. Mi bruciano gli occhi, Ia gola,la pelle. Anche i polmoni ,I^ tîachea. Piegaro in due, corro verso I'angolo della strada, dove so che dovrebbe esserci un locale messicano, se non è la sera del turno di chiusura. Provo a guardare, ma gli occhi mi bruciano forte e non ci vedo quasi. Il locale è aperto. Mi butto dentro. Fuori è tutto buio, deserto, eppure il locale è inaspettatamente gtemito di centinaia di persone sedute in silenzio nella penombra, mi pare. Coprendomi gli occhi, corîo verso il punto dove dovrebbe esserci il banco. Chiedo se hanno dell,acqua. Non capiscono, si ritraggono spaventati. <<Un 7O4 DUE SCRITTI gabinetto!>> dico ancora. Mi indicano una porta. Passo piegato in due lungo sÚetti corridoi di persone se- dute in penombra. Enro nel gabinetto. Mi butto sul lavandino. Mi lavo gli occhi, la f.accia, mi passo l'acqua sulle ciglia, più volte, ma il dolore, invece che diminuire, cresce ancora di più. Adesso mi bruciano anche le labbra,lalingua. Apro gli occhi di fronte allo specchio. Lacrimano, la cornea è completamente rossa. Anche dal naso cola ininterrottamente del muco. Esco dal gabinetto. Infilo di nuovo il corridoio di persone sedute in penombra nella luce fioca che illumina il grande, disadorno locale. Mi fissano da tute le parti in silenzio. Passo di fronre al banco. Un ca- meriere con 20 DICEMBRE ro5 il portone, poi l'androne deserto. Chiamo l,ascen_ Mi guardo allo specchio. Gli occhi sono iniettati di sangue. Lacrimano ininterrottamente. Mi tolgo un po' del muco che mi continua a colare dal naso. Entro in casa. Mi lavo di nuovo, più volte, pie_ gato sul lavandino. Anche le sopraccigì ia,la moitatura degli occhiali, Iabarba. Lelabbù mi bruciano ancora più forte, quando I'acqua ci passa sopra. Mi vado a sedere sulla mia seggiola da campeggio, per un po'. Ma gli occhi mi fanno male sempre dì più. Il si_ nistro, soprattutto, quello investito più dir.ttu..rr_ te dal getto. Decido di andare al pronto soccorso. so sore, salgo. i baffi comicamenre girati alf insù mi Il muco mi continua incontrollabilmente a colare sulla barba. Mi pare di capire che il cameriere con ibaffi all'insù mi stia dicendo di correre subito al pronto soccorso del più vi cino ospedale, continuando a guardatmidauna certa guarda con spavento gli occhi. distanza, spaventato. Ore 23.4o Esco dal locale. Mi dirigo di corsa verso casa. Respiro male, mi brucia Ia gola,la pelle. Non so cosa sia successo ai miei occhi dopo averliTavati, perché mi bruciano e mi lacrimano ancora di più. Svolto I'angolo. Passo un paio di incroci. Arrivo a casa. Oltrepas- Ore o.3o Sono quasi at:;ivato. Sto camminando lungo la strada deserta che costeggia il giardino di fronte alla sinagoga. L'ingresso del pronto soccorso è deserto. Passo vicino al vetro di una gabbiola. Diero, un uomo sfoglia un giornale sportivo, sbadigliando. Entro. Enormi corridoi vuoti e in penombri. Desolazione. Si sente gridare. Poche persone aspettano sedute su una panca, in silenzio. Un barelliere passa imprecan_ do tra sé, spingendo un lettino r.nrr^n"rrrrno soDra. Mi addentro nel conidoio, giro un angolo. È tutto deserto. L'ambulatoriohala portu uprrl.u, ma dentro luce è spenta. Mi siedo r.r.riu purr.r. Non c,è in gi ro nessuno. Scorgo, in fondo al corridoio, un letto a Ia ro6 DUE SCRTMI 20 DICEMBRE ruote sul quale qualcuno, forse legato, uda divincolandosi. Un tossico, probabilmente. I corridoi sono spaventosamente larghi, in penombra. La voce continua a gridare. Forse ha capito che c'è qualcun altro da qualche patte, nel corridoio. Le luci sono basse, non ci si vede quasi. A meno che non sia io che non ci vedo. Scorgo qualcosa di bianco, a un angolo del corridoio. Mi alzo, raggiungo quasi correndo un infermiere che sta passando a testa bassa, in silenzio. Cerco di spiegargli cosa mi è successo. <Aspetti.lì!> mi dice indicandomi di nuovo Ia panca. Mi siedo. Il tempo passa. Non si vede nessuno. Sento un dolore sempre più forte all'interno degli occhi. La voce continua a gridare dal suo punto in penombra. Arriva un cigolare di ruote, dopo un po'. Mialzo. Sbucando dal gomito del corridoio, mi passa davanti, in silenzio, un lettino a ruote sospinto da un infermiere. Non capisco cosa ci sia coricato sopra. Al posto della testa spunta dal lenzuolo solo una irriconoscibile massa di catne viva sanguinante e priva di lineamenti. Mi o1trepassa in silenzio. Non un gemito, un suono. Mi sembra di avere sognato. <<Dove sono finito? - mi di gridare atraverso i corridoi deserti. Che ore saîan_ co -. E bastato un piccolo gesto per scaraventarmi da un momento all'altro in questo orribilg universo parallelo!>> Passa arrcoîa del tempo. Scorgo da lontano 'un vecchio in camice bianco, forse un-medico, che esce da una porta e va a prendersi un caffè alla macchinetta che c'è in corridoio. Rientra e chiude la porta. Poi più niente. Solo quella voce che continua a no? Penso che, r07 intanto, quella roba che mi hanno ger_ tato addosso continua alavomre dentro i miei occhi e che, seperd_o-la yS!A, o9njssB*eÉegapiù rriggle di $er@"u'auiÀi í"il".ò i r.X" " poco, ma forse è solo per via del buio. Dopo un po, sento awicinarsi dei passi. Camminando lungo it corridoio in penombra, due uomini con bardat*. fo_ sforescenti si awicinano allamiap^nca. <<Ci segua!> dice uno dei due. Mi alzo. Li seguo. provo a dite an_ che a loro quello che mi è successo. Non mi ascoltano. Ma uno dei due mi chiede d'un ffatto: <E po? L'hanno tapinata?>> <<No, assolutamente no!> gù ri_ spondo. Mi guardano con sospetto. Si scambiano un'occhiata ffa loro. Arriviamo alla fine del cori_ doio. Aprono una grande poîta a veri. Dall,altra parte c'è un'autoambulanza con la portella di dietro spalancata. < Salga qui ! > mi dice unò. Saleo. Chiudo_ no con Í.onalaportella alle mie spalle. lento che la sigillano. Mi siedo sulla panca. L,auroambalanza parte. E tutto chiuso, non si vede fuori. Ho freddo aTla testa, perché ho dimenticato sopîa la panca del pronto soccorso il cappello di pelo che avevo in testa. L'autoambulanza continaa ad andare. Si ferma. Riparte. Mi sembra che viaggi troppo per essete sem_ pre all'interno dell'ospedale. Finalmente si ferma di nuovo_. Dopo un po' uno dei due viene ad aptuela portella. Esco dall'autoambulanza. Siamo divanti a una vecchia palazzina buia, reparto oftalmico. En_ IO8 ) DUE SCRITTI montacariffiamo nell'atrio in penombra' Poi in un penombra' in è arriviamo .fri.i"lft. il piano dove Ùn corridoio' Arriva un uomo col camice slacciato' Àtt"""rit". Subito dopo una donna vestita dibianco, fotse una suora. Ripeto all'uomo quello che è successo. <<L'hanno rapinata?>> mi chiede. <<No>>. <<E allora perché I'hanno fatto?> Allargo le braccia' Mi guurdu con sospetto. Scambia un'occhiata coi due ihe mi hanno portato. Mi fa sedere di fronte a un vecchio apparecchio. Mi esamina gli occhi, soprattutto il sinisfto. Me lo fa ruotare, mi rovescia le palpebre, mi prende con due dita il globo oculare' Poi la suora comincia alavarmi I'occhio sinisto con del liquido. Mi rovescia anche lei le palpebre, mi tira fuori il globo oculare, mentîe il liquido ci passa sopra e va a finire in una vaschetta d'acciaio che mi tiene sotto lo zigomo. Alla fine mi asciuga con una pezzolína bianca. L'uomo mí sptuzza nell'occhio una polvere gialLa..,È tt anestetico> dice. Mi scrive una ricetta p.r rrtu pomata, da mettere nell'occhio quando I'efletto dell'anestetico finirà e riprenderà il dolore' Compila la scheda del ricovero. <<Meno male che porta almeno gli occhiali!> dice aîcota, prima di chiudermi l'occhio sinistro conla garua. Usciamo. Ci vedo male. Mi fanno salire di nuovo sull'autoambtlanza. Mi siedo sopra la panca' Mi guardo attorno con un occhio solo. Fa freddo' Desolazione. Mi fa molto male la testa' Dopo un po' la vettura si ferma. La portella si apre. Aiutano a salire DICEMBRE roq una vecchia. Si mette a sedere sull'altra orn.u. È scarmigliata, ha la bocca nera, le labbra spàppolut. un'unica crosta di sangue coagulato. Faccio I'ultimz parte del viaggio con lei. Ci guardiamo di tanto ir tanto, impietriti, io con un occhio t^ppato,lei con lz bocca pestat a, macirilata. L'autoambulanza si ferma. Scendiamo. Percorrt nuovo il grande corridoio d'ingresso in penombra di I1 cappello di pelo è ancora sopra la panca. La voct del tossico continua a gridarc. Sono le due di notte Passo di fronte alla guardiola. Esco dal pronto soc corso, percoîro la stradina semibuia con la garzz bianca sull'occhio. Orcz.3o Di nuovo a casa. Mi tolgo iI piumino, il cappello d pelo, gli scarponi. Vado in gabinetto. Torno in came ra. Mi siedo per un po' sulla mia seggiola da campeg gio, guardandomi attorno con un occhio solo. La piiz di scatole da scarpe. Lo zaino sul pavimento. Ix grucce appese alle maniglie dell'armadio. Sul tavolo lebozze di un libro intitol4tg La uisione, che sto cor reggendo in questi giorni. Latesta mi fa molto male Mi tolgo lentamente i vestiti. Mi corico piano sul let to. Mi raggomitolo sul fianco. Mi tiro le coperte fu sopra la testa. Spengo finalmente la luce. Ecco, que. sta giornata è finita. Anche questa cronaca è finita