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Antichi costumi frattesi Nel 1782, Ferdinando IV, re di Napoli, passato alla storia con il poco lusinghiero epiteto di “re Lazzarone” per le sue inclinazioni popolari, di concerto con il marchese Domenico Venuti, direttore della Real Fabbrica di Porcellane della città partenopea e, al contrario del sovrano, uomo di raffinata e illuminata cultura, si fece promotore di un’iniziativa alquanto singolare: documentare con una serie di gouache (guazzi), come in una sorte di moderno reportage fotografico di carattere etnografico, «le fogge del vestire in uso del suo regno». Scopo della ricognizione ordinata dal sovrano, che al di là della propria scarsa cultura mostro sempre e comunque un profondo interesse per le terre del proprio regno, era, nelle mire del Venuti, vero ispiratore dell’impresa, la realizzazione di un vasto corpus di illustrazioni da utilizzarsi, oltre che per diletto del sovrano, quale modello per le decorazioni dei nuovi servizi da tavola che il marchese aveva inanimo di realizzare per la corte. Il compito fu affidato, dopo regolare concorso presieduto dallo stesso Ferdinando IV, ai pittori Alessandro D’Anna e Saverio Della Gatta, già esperti nella riproduzione dei costumi, poi sostituiti in seguito - perché rinunciatari - da Stefano Santucci e da Antonio Berotti (quest’ultimo, cognato del D’Anna, partecipò praticamente fin dall’inizio all’impresa, che durò ben quindici anni, per l’inspiegabile e pressoché immediata rinuncia del Della Gatta). La prima provincia a essere visitata, dal febbraio al giugno del1783, fu, come testimoniano i numerosi dispacci reali conservati all’Archivio di Stato di Napoli, la provincia di Terra di Lavoro. Al termine della ricognizione, D’Anna e Berotti avevano realizzato un congruo numero di figure, ognuna incorniciata da un passepartout dipinto, di cui una, a firma del D’Anna (Palermo, 1749 - Napoli, 1810) raffigurante, come si legge nella didascalia in margine alla figura stessa «Uomo e Donna di Fratta Magiore» (sic). La coppia è raffigurata, con un abbigliamento festivo, su uno sfondo di una capanna di paglia; che, non si capisce bene, se è uno di quei ricoveri temporanei ancora in uso fino a qualche decennio orsono nelle nostre campagne, o, molto più verosimilmente, un deposito di attrezzi o derrate agricole, come farebbe supporre la presenza di due sacchi di tela rigati nell’angolo destro della composizione. La donna è vestita con molta cura: indossa, sopra una camicia bianca, di corsetto nero decorato ai bordi con strisce di seta dorate. La sottostante gonnella, ampia e bianca, è coperta da una sopra gonna verde anch’esso impreziosito da strisce di seta applicate a fasce. Altrettanto curato è l’abbigliamento del maschio che, sopra delle braghe lunghe fino al ginocchio, indossa una giubba con ampi paramani e, sopra di essa, una sorta di spolverino. Molto ricercati poi gli ornamenti ostentati da entrambi. La donna, oltre ad un ampio copri testa trinato sul capo e a un paio di guanti serrati nella mano sinistra (complemento quest’ultimo abbastanza insolito in una comunità di impronta prettamente contadina, giusto qual era quella frattese alla fine del XVIII secolo), presenta dei vistosi orecchini d’oro o, forse, di orpello - la lega di rame e zinco di un bel colore giallo e che per questo ha l`apparenza dell’oro. Il maschio, invece, insieme al consueto cappello a falde larghe, sotto il quale s’intravede la cuffia - che indossata soprattutto durante il lavoro dei campi per asciugare il sudore era pure utilizzata nelle Firenze, Museo di Palazzo Pitti, A. D’Anna, Uomo e Donna di Fratta Magiore ore di riposo con lo stesso scopo al fine di proteggere il copricapo da una più rapida consunzione - calza un bel paio di scarpe di cuoio con fibbia, cui fa il paio, la cinghia dei pantaloni dello stesso materiale; un elegante foulard poi, e un lungo bastone leggermente ricurvo alla sommità completano il suo abbigliamento. Per la realizzazione dei diversi costumi, al di la della ricognizione sul campo, i due artisti si erano invero ispirati anche a una serie d’incisioni pubblicate a Napoli un decennio prima col titolo di Raccolta di vari Vestimenti ed Arti del Regno di Napoli: una notevole impresa editoriale nata dalla proficua e duratura collaborazione tra l’ambasciatore britannico Sir William Hamilton e il pittore napoletano di origine inglese Pietro Fabris. Numerose sono, infatti, le analogie tra le incisioni realizzate da quest’ultimo e i guazzi realizzati soprattutto dal D’Anna; com’è dato vedere mettendo a confronto alcuni bozzetti che il Fabris realizzò Milano, Mercato antiquariale, Uomo e Donna di Fratta per la raccolta (Napoli, Magiore (copia da A. D’Anna) Museo di San Martino) e i corrispondenti guazzi realizzati dal D’Anna nel 1785, attualmente conservati a Firenze nel Museo di Palazzo Pitti. Quanto alle ragioni per cui questi, compreso il guazzo in oggetto, si trovano a Firenze va ricordato che gran parte dell’intera collezione vi era pervenuta, unitamente ad un consistente numero di tempere realizzate successivamente in copie all’interno della Real Fabbrica di Porcellane (alcune delle quali sono recentemente apparse in un’asta a Milano), per tramite di un dono che Ferdinando IV e la consorte Maria Carolina d’Austria avevano fatto a Pietro Leopoldo di Lorena in occasione di un viaggio nel granducato di Toscana. Franco Pezzella