Le Maschere della Commedia

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Le Maschere della Commedia
Le
Maschere
dell'
della
Commedia
Arte
Questa pagina, ha "lo scopo di raccogliere in maniera organica la storia di ogni Maschera che ha popolato
l'universo della Commedia dell'Arte, fino a trovare le linee di congiunzione e continuazione con il futuro. Se è
vero che esistono oltre quaranta Maschere, è anche vero che poche di esse hanno perpetuato la loro fama.
Molte sono scomparse dal panorama. Questo non significa che non siano state di grande valore creativo e di
grande significato per quella che viene definita l'Epoca della Commedia dell'Arte. Ricostruire la storia di ogni
singolo personaggio, o meglio di ogni Maschera, è anche un modo per riconsegnare alla nostra memoria uno
spaccato di grande valore artistico. "
ARLECCHINO
È la maschera più nota della Commedia
dell'Arte. Di probabile
(Herlequin
o
origine francese
Hallequin
era
il
personaggio del demone nella tradizione
delle
favole
francesi
Cinque-Seicento
medievali),
nel
maschera
dei
divenne
Comici dell'Arte, con il ruolo del "secondo
Zani" (in bergamasco è il diminutivo di
Giovanni) il servo furbo e sciocco, ladro,
bugiardo
e
imbroglione,
conflitto
col
padrone
e
in
perenne
costantemente
preoccupato di racimolare il denaro per
placare
il
suo
insaziabile
appetito.
Col passare del tempo il carattere del
personaggio
andò
raffinandosi:
l'aspro
dialetto bergamasco lasciò il posto al più
dolce veneziano, l'originaria calzamaglia
rattoppata
divenne
via
via
un
abito
multicolore col caratteristico e ricercato motivo a losanghe, ingentilirono gli
originari lineamenti demonici della maschera nera, così come la mimica e la
gestualità.
Nel corso del Settecento Arlecchino divenne oggetto di svariate interpretazioni
ad opera di diversi autori, fra cui Carlo Goldoni, che rivestì il personaggio di un
carattere
sempre
più
realistico.
I più grandi interpreti che vestirono l'abito multicolore, furono Tristano
Martinelli
(m.
1630),
Domenico
Biancolelli
(1646-1688),
Angelo
Costantini (1654-1729), Evaristo Gherardi (1663-1700) e ai nostri giorni
gli indimenticabili Marcello Moretti (1910-1962) e Ferruccio Soleri.
Balanzone
Il Dottor Balanzone appartiene alla schiera dei vecchi
della Commedia dell'Arte. Personaggio serio, tende però
alla presunzione. Il Dottore è solitamente un uomo di
legge o un medico, che si intende di tutto ed esprime
opinioni su ogni cosa. Caratterizzato da una certa
verbosità,
tende
ad
infarcire
di
citazioni
latine
e
ragionamenti rigorosi quanto strampalati i suoi discorsi,
che riguardano la filosofia, le scienze, la medicina, la
legge. L'aspetto è imponente, le guance rubizze. Indossa
una piccola maschera che ricopre soltanto le sopracciglia
e il naso, appoggiandosi su un gran paio di baffi. L'abito,
piuttosto serio ed elegante, è completamente nero con
colletto e polsini bianchi, un gran cappello, una giubba e
un mantello. Fra i più noti interpreti di questo ruolo il più
famoso fu Domenico Lelli, che lo caratterizzò come un erudito avvocato
bolognese, pignolo e cavilloso. In epoca più recente invece si ricordano Bruno
Lanzarini e Andrea Matteuzzi.
Beltrame
Beltrame è una maschera milanese nata
nel Cinquecento. Al nome accompagna
spesso il soprannome "de Gaggian", da
Gaggiano,
una
borgata
della
bassa
milanese di cui è originario, o anche "de
la Gippa", per via dell'ampia casacca che
era solito indossare. Rappresenta il tipo
del contadino stolto e arruffone, capace
solo di commettere grandi spropositi,
volendosi mostrare più signore di quanto
sia. Nel corso del Seicento Beltrame
impersonava tutte le parti di marito e
veniva caratterizzato come un "compare
furbo e astuto". Secondo la tradizione il
personaggio
deve
la
sua
nascita
al
comico Nicolò Barbieri (Vercelli, 1576),
illustre
attore
Compagnie
che
dei
Confidenti.
Brighella
fece
parte
Gelosi
e
delle
dei
L'origine
di
questa
maschera
è
probabilmente
bergamasca, ma la sua fama si deve all'attore Carlo
Cantù (1609-1676 ca), che ne vestì i panni per molti
anni. Nella Commedia dell'Arte Brighella ricopriva il
ruolo di "primo Zani", ovvero il servo furbo, autore di
intrighi architettati con sottile malizia, ai danni di
Pantalone o per favorire i giovani innamorati contrastati.
Nel corso del Seicento e del Settecento precisò i suoi
caratteri in contrasto con quelli del "secondo Zani"
(ruolo
del
servo
sciocco,
spesso
impersonato
da
Arlecchino) e, soprattutto con Goldoni, divenne servo
fedele e saggio, tutore a volte di padroncini scapestrati,
oppure albergatore avveduto o buon padre di famiglia. Il
costume di scena, che andò precisandosi nel corso del
tempo, comprende la maschera e una livrea bianca, costituita di un'ampia
casacca ornata di alamari verdi, con strisce dello stesso colore lungo le braccia e
le gambe. Tra i maggiori interpreti di questo ruolo, oltre a Carlo Cantù, si ricorda
Atanasio Zannoni nel 1700.
Capitan Matamoros
La figura del militare è presente fin dalle origini nella
Commedia dell'Arte, sia nel suo ruolo "serio" come
Capitan Spaventa, sia nel suo ruolo buffonesco, come
nel caso di Matamoros. L'origine di questo ruolo del
Capitano risale al "Miles Gloriosus" di Plauto e ai
numerosi soldati di ventura che percorrevano il
territorio italiano. Vile e vanaglorioso, Matamoros
vanta imprese coraggiose inesistenti, parlando in
modo esagerato e roboante, per nascondere la sua
vera natura. Per questo viene spesso messo in
ridicolo e respinto dalle donne alle quali manifesta il
suo amore. Il costume col quale viene raffigurato è
caratterizzato
da
colori
sgargianti,
barb
e
baffi
imponenti, un cappello enorme e carico di piume e
una spada smisurata, che penzola su un fianco,
impacciando continuamente i movimenti dell'attore.
Fra gli interpreti più noti si ricordano Silvio Fiorillo (Capua, seconda metà del
Seicento), celebre anche come Pulcinella.
Capitan Spaventa
La storia e la fortuna del personaggio di Capitan
Spaventa di Vall'Inferna è indissolubilmente legata alla
figura del suo creatore e interprete Francesco Andreini
(1548-1624). Andreini
entrò nella
Compagnia dei
Gelosi già sul finire del Cinquecento, sposò Isabella e
con lei recitò per diversi anni in Italia e in Francia
riscuotendo ovunque un grandissimo successo. Ci lasciò
anche una raccolta di generici, "Le bravure di Capitan
Spaventa", contenente alcune scene dalle quali emerge il
carattere del suo personaggio. Di lui egli dice "io mi
compiacqui di rappresentare nelle commedie la parte del
milite superbo, ambizioso e vantatore". In realtà il
personaggio da lui ideato è un uomo colto e raffinato,
per nulla vanaglorioso come Capitan Matamoros, ma
piuttosto poeta e sognatore, che fatica a mantenere la distinzione fra fantasia e
realtà. Il suo aspetto è composto ed elegante, così come nobili e curati sono i
suoi abiti. Solitamente indossa un vestito a strisce colorate, completato da un
cappello ad ampie tese adorno di piume. Completano l'abbigliamento lunghi baffi
e un grande naso, mentre la lunga spada, con la quale sa essere temerario, gli
pende smisurata su un fianco.
Cassandro
Cassandro
appartiene
alla
serie
dei
"vecchi", come Pantalone e Zenobbio. La
sua origine è incerta, tuttavia abbiamo
testimonianza della sua presenza già
nella Compagnia dei Gelosi, dov'era
interpretato
dell'attore
Gerolamo
Salimbeni. Il suo ruolo nelle commedie
è
quello
di
ostacolare
l'amore
dei
giovani, di impedirne il matrimonio per
le più diverse ragioni, ponendosi spesso
come rivale del figlio. Poco sappiamo del
suo costume originario. Nel corso del
Settecento,
durante
il
quale
il
personaggio godette di una certa fama
soprattutto in Francia, la sua fisionomia
si definì con precisione. Nelle immagini
dell'epoca viene raffigurato come un
vecchio dalla faccia rubizza, con gli
occhiali
appuntati
sul
naso
e
una
parrucca giallastra in testa. L'abito è di foggia settecentesca, col tricorno e
lacanna, mentre spesso porta in mano l'orologio o la tabacchiera.
Colombina
Colombina è di sicuro la più famosa fra le servette e forse
anche una delle maschere più antiche. Già dal 1530
abbiamo notizia di un personaggio con questo nome nella
Compagnia degli Intronati, una delle più importanti
fra quelle dei Comici dell'Arte. Solitamente Colombina
viene caratterizzata come una giovane arguta, dalla
parola facile e maliziosa. Spesso non ricopre un ruolo di
protagonista nella commedia, ma, abile a risolvere con
destrezza
le
situazioni
più
intricate,
ha una
parte
importante nell'economia dello spettacolo. Colombina
veste un semplice abito cittadino di colore chiaro, con un
grembiule colorato e una cuffietta portata di traverso sul
capo. Fra le attrici che la impersonarono si ricordano
Isabella Biancolelli Franchini e Caterina Biancolelli,
entrambe vissute nel 1600 e, ai giorni nostri Narcisa Bonardi, interprete di molte
colombine strehleriane.
Coviello
L'origine
di
Cinquecento,
questa
diffuso
maschera
risale
soprattutto
alla
fine
nell'Italia
del
Centro-
meridionale, dove è noto con il cognome di Cetrullo
Cetrulli, Ciavala, Gazzo o Gardocchia. Coviello, diminutivo
di Iacoviello (Giacomino), non ha solitamente un ruolo ben
definito né stabile: a volte è stupido, altre rude bravaccio,
taverniere
intrigante,
servo
sciocco,
mite
padre
di
famiglia, a seconda delle esigenze della commedia e delle
caratteristiche dell'interprete. Anche il suo aspetto non è
sempre costante. In alcune incisioni del Seicento di
Francesco
pantaloni
Bertarelli
attillati
viene
allacciati
raffigurato
sui
fianchi,
con
un
lunghi
corpetto
aderente e una corta mantella. Indossa anche una maschera con un naso
enorme sopra il quale poggiano degli occhiali smisurati. Elemento costante
anche un mandolino. Fra gli interpreti che portarono questo personaggio alla
notorietà si ricordano Ambrogio Buonomo, Gennaro Sacco, Salvator Rosa,
Giacomo Rauzzini.
Dosseno
Personaggio proveniente dalla tradizione
latina
della
fabula
atellana
(farsa
popolare, originaria della città di Atella,
irriverente
e
sboccata,
caratterizzata
dalla presenza di tipi fissi, fortemente
caratterizzati
nell'aspetto
e
nel
comportamento), Dosseno deve il suo
nome ad una caratteristica fisica, la
gobba,
che
risponde
anche
ad
un
atteggiamento dell'animo. La gobba era
segno di malizia e abilità nel raggiro,
nella truffa. Ladro, avido e imbroglione,
giovane o vecchio che sia, Dosseno
viene sempre rappresentato come brutto
e goffo, facile alle battute grossolane e a
lunghi discorsi da ciarlatano.
Facanapa
La maschera di Facanapa appartiene alla schiera dei
vecchi. Nasce come marionetta veneta, originaria di
Rovigo o di Verona (dove corrisponderebbe a Fra
Canàpa, un frate piuttosto grosso, caratterizzato da
un grande naso, la "cànapa" appunto). La sua fama
è
dovuta
tuttavia
al
marionettista
Antonio
Reccardini (1804-1876) che lo portò in scena nei
primi
anni
dell'Ottocento.
A
volte
servo
altre
padrone, a volte ricco altre povero, Facanapa è un
tipo bonario e arguto, caratterizzato da un buon
carattere gioviale, da un ottimo appetito e da un
amore ancora migliore per il vino. Nell'aspetto egli
appare sempre piuttosto curato, con una marsina
scura e attillata, un panciotto rosso, pantaloni al
ginocchio e un nero tricorno in testa. Caratteristico era anche il suo modo di
parlare a scatti, scandendo le sillabe e storpiando alcune lettere, allo scopo di
ottenere effetti comici.
Flaminia
Flaminia è uno dei molti nomi che nella
Commedia
dell'Arte
prende
il
personaggio
della
Innamorata.
In
perenne contrasto con i vecchi, che ne
ostacolano
i
desideri
d'amore,
le
Innamorate sono di solito molto più
determinate dei loro colleghi uomini, sia
nel cercare che nel rifiutare l'amore degli
uomini.
Intraprendenti
e
battagliere,
sono pronte a qualsiasi impresa per
conquistare l'oggetto dei propri desideri,
anche a travestirsi da uomo. Abili nel
parlare, capaci di assumere diversi ruoli,
alle
attrici
Innamorate
che
erano
impersonavano
richieste
doti
le
di
bellezza, eleganza, qualità artistiche e
una
certa
cultura.
Fra
le
interpreti
ricordate dalla storia della Commedia
dell'Arte
Isabella
Andreini
(1562-
1604), Virginia Andreini Ramponi (1583-1630) e la loro contemporanea,
nonché rivale, Vittoria Piissimi.
Flavio
Il personaggio di Flavio appartiene alla
fitta schiera degli Innamorati, da sempre
presenti negli scenari e nei generici della
Commedia dell'Arte, spesso legati al
nome dei primi attori. Agli Innamorati
erano
richieste
doti
di
fascino,
una
buona cultura letteraria e la capacità di
trasformare in forbiti discorsi le profferte
d'amore, le ansie di un sentimento non
corrisposto,
appassionate,
metafore
e
le
dichiarazioni
sempre
giochi
infarcite
verbali.
Il
di
suo
carattere non è mai molto precisato, né
psicologicamente, né drammaticamente,
poiché era completamente affidato alle
doti inventive personali degli attori che
ne vestivano i panni. Il costume di
scena, sempre privo della maschera, era
molto elegante e modellato secondo la
foggia del tempo.
Flavio
Il personaggio di Flavio appartiene alla
fitta schiera degli Innamorati, da sempre
presenti negli scenari e nei generici della
Commedia dell'Arte, spesso legati al
nome dei primi attori. Agli Innamorati
erano
richieste
doti
di
fascino,
una
buona cultura letteraria e la capacità di
trasformare in forbiti discorsi le profferte
d'amore, le ansie di un sentimento non
corrisposto,
appassionate,
metafore
e
le
dichiarazioni
sempre
giochi
infarcite
verbali.
Il
di
suo
carattere non è mai molto precisato, né
psicologicamente, né drammaticamente,
poiché era completamente affidato alle
doti inventive personali degli attori che
ne vestivano i panni. Il costume di
scena, sempre privo della maschera, era
molto elegante e modellato secondo la
foggia del tempo.
Gianduja
Gianduja è la maschera regionale tipica del Piemonte.
La sua origine va fatta risalire al primo decennio
dell'Ottocento, all'opera del burattinaio Giovan Battista
Sales. Questi creò Gianduja quando fu costretto a
interrompere le storie del personaggio Gerolamo, per i
guai che potevano procurargli le esplicite allusioni a
Napoleone e a suo fratello Gerolamo di Westfalia. In
Gianduja compaiono alcuni dei caratteri tipici della gente
piemontese, l'arguzia, l'allegria, ma anche lo spirito
libertario
e
patriottico.
Gianduja
rappresentava
il
contadino dotato di buon senso e di senso pratico,
apparentemente ingenuo, amante degli scherzi e delle
donne. Due sono le ipotesi sull'origine del suo nome: la
prima lo vuole derivato da "Gioan d'la douja", che
significa "Giovanni del boccale", mentre la seconda dal francese "Jean Andouille"
ovvero "Giovanni salsiccia". Il suo costume è di classica foggia settecentesca,
con la giacca di panno marrone, i calzoni verdi, il farsetto giallo e le calze rosse.
In testa porta il cappello a tricorno e una parrucca col codino. Dopo Sales anche
i fratelli Lupi proseguirono con enorme successo le rappresentazioni delle
avventure di questo burattino, ma nel corso del secolo fu portato sulle scene
anche da un attore Giovanni Toselli, con il quale la maschera guadagnò
ulteriore notorietà.
Giangurgolo
Maschera
di
origine
calabrese,
deve il suo nome, secondo alcuni,
a
Giovanni
Golapiena,
mentre
secondo altri è una corruzione di
Zan Gurgola, per via del suo
insaziabile
origine
appetito.
risale
La
al
sua
Settecento.
Secondo Giuseppe Petrai, autore
de "Lo spirito delle maschere",
Giangurgolo era la caricatura del
nobile siciliano, divenuta popolare
in Calabria dopo il 1713, ossia
dopo che, ceduta la Sicilia ai
Savoia,
molti
parteggiavano
blasonati
per
la
che
Spagna
lasciarono l'Isola. Il carattere del
personaggio
seconda
si
metà
consolidò
del
nella
Settecento,
come una delle infinite versioni
del Capitano fanfarone e codardo,
senza
però
un'identità
mai
forte:
acquisire
a
volte
è
raffigurato come un vecchio, altre come un giovane, a volte con il ruolo di servo,
altre con quello di oste. In ogni caso sempre enorme è il suo appetito, a stento
placato da "un carretto di maccheroni, una cesta di pane e due botti di vino". Il
suo costume era caratterizzato da un alto cappello a cono, da un corpetto stretto
e da pantaloni a sbuffo a strisce gialle e rosse. Sul volto portava una maschera
dal naso enorme e una spada altrettanto smisurata gli pendeva su un fianco.
Gioppino
Maschera di origine bergamasca nasce
come
burattino
nei
primi
anni
dell'Ottocento. Sulla sua origine precisa
non si sa molto. La prima notizia certa
della sua comparsa sulla scena risale al
1820, con il burattinaio Battaglia, di cui
ci riferisce Luigi Volpi. Alcuni ne fanno
risalire
l'origine
molto
più
indietro,
riconoscendo in molti reperti iconografici
i tre gozzi che caratterizzano anche
Gioppino. Gran mangiatore e bevitore,
Gioppino è un contadino pieno di buon
senso e di senso pratico, capace di
superare con successo molte situazioni
avverse secondo il detto "contadino:
scarpe grosse, cervello fino". Il suo
costume
è
di
foggia
settecentesca,
caratterizzato da una giubba rossa di
panno grezzo coi risvolti verdi, da un
camicione bianco, un cappello nero e un bastone, col quale spesso riduceva alla
ragione chi lo contraddiceva.
Isabella
Questo
è
il
frequentemente
personaggio
nome
appare
con
in
cui
scena
dell'Innamorata.
Il
più
il
suo
carattere è spesso legato alle attrici che
lo impersonarono. Fra le più note furono
senz'altro
Isabella
Canali
Andreini
(1562-1604), famosa per la sua bellezza
e le sue doti non trascurabili di letterata,
di colta e raffinata interprete, applaudita
sulle scene d'Italia e Francia con la
Compagnia dei Gelosi e Francesca
Biancolelli, che diede ad Isabella una
connotazione maliziosa e ardita.
Leandro
La maschera di Leandro appartiene alla
schiera degli Innamorati, che annovera
un
discreto
numero
di
personaggi
diversi. Pur avendo caratteri molto simili
e
richiedendo
agli
attori
che
li
impersonavano doti comuni di grazia,
gioventù, buona cultura ed eloquenza,
gli
Innamorati
dall'altro
si
distinguono
soprattutto
l'uno
per
l'interpretazione che ricevevano dagli
attori. Gli scenari e i generici su cui le
Commedie si basavano, consentivano
infatti agli attori di arricchire il proprio
personaggio
in
base
alle
proprie
capacità. Fra gli interpreti più importanti
che vestirono i panni dell'Innamorato col
nome
di
Leandro
troviamo
Giovan
Battista Andreini detto "Lelio" (15761654), della Compagnia dei Fedeli,
attore talentoso e fine letterato.
Macco
Macco è una delle maschere tipiche della
farsa atellana di origine latina. Il suo
tipo è quello del contadino rozzo e
grossolano,
crapulone
e
goloso,
che
spesso finisce per essere bastonato e
menato per il naso. Nelle raffigurazioni
che possediamo egli ci appare calvo, con
una maschera dotata di un enorme naso
adunco,
di
un
paio
di
orecchie
spropositate e di una larga bocca con
pochi denti radi, che gli conferiscono
un'espressione fissa ed inebetita. Dotato
di una duplice gobba, sulle spalle e sul
petto, Macco indossa un abito ampio e
bianco, da cui gli deriva il nome di
"mimus albus". L'origine del nome è
controversa:
per
alcuni
significa
semplicemente "sciocco, stupido", per
altri allude invece al "maco", pietanza di
fave maciullate, il cui colore livido somiglia a quello dovuto alle botte spesso
ricevute dal personaggio.
Meneghino
Meneghino è la maschera tipica di Milano. La probabile
origine del suo nome risale ai "Menecmi" di Plauto,
oppure
al
"Menego"
di
Ruzante,
oppure
più
semplicemente dal nome dei servi utilizzati nelle ricorrenze
domenicali, chiamati "Domenighini". Il suo carattere è
allegro ed estroverso. Negli scenari non ricopre solitamente
un ruolo fisso: spesso è servo, altre volte padrone, oppure
contadino sciocco o astuto mercante. Meneghino precisa la
sua fisionomia nel corso del Seicento, soprattutto nelle
opere letterarie di Carlo Maria Maggi, che gli diede il
cognome di Pecenna, "parrucchiere", per la sua abitudine
di strigliare i nobili per i loro vizi. Nei primi decenni
dell'Ottocento Carlo Porta ne accentuò il carattere di
censore dei costumi del clero e dell'aristocrazia. Uomo
bonario e amante della vita tranquilla, Meneghino è caratterizzato da un forte
senso morale, da una grande dignità, da una buona dose di saggezza. Col tempo
divenne l'emblema del popolo milanese, che lo elesse a simbolo della propria
tensione alla libertà, nel corso della dominazione austriaca. Fra gli interpreti più
noti di questo ruolo si ricordano Gaetano Piomarta, Giuseppe Moncalvo,
Luigi Preda, Tagliabue Malfatti. Nel corso dell'ultimo secolo Meneghino
scomparve via via dalla scena per entrare a far parte unicamente del teatro delle
marionette e dei burattini.
Meo Patacca
La maschera di origine romana, fa la sua
comparsa verso la fine del Seicento in
un poema di Giuseppe Berneri. Qui
egli appare come un soldato, bravaccio
sempre pronto a battersi e a raccontare
spacconate. Il suo nome deriva dalla
"patacca", il soldo che costituiva la paga
del soldato. Il suo costume è costituito
da
calzoni
giacca
di
stretti
velluto
al
ginocchio,
strapazzata
e
una
per
cintura una sciarpa colorata nella quale
è nascosto un pugnale. I capelli sono
raccolti in una retina dalla quale sporge
un ciuffo caratteristico. Dopo un periodo
di declino della sua popolarità, dovuto
alla censura delle autorità nel corso del
Settecento, Meo Patacca riacquistò la
sua popolarità nell'Ottocento, grazie a
due attori che ne vestirono i panni,
Annibale Sansoni e Filippo Tacconi detto "il Gobbo", autore, oltre che attore,
di nuove trame, cariche di una pungente ironia e di una satira mordace, che gli
causò non pochi guai con il potere della Chiesa.
Mezzettino
Mezzettino
appare
come
una
delle
variazioni del personaggio dello Zanni,
furbo
e
intrigante,
ottenuto
dalla
contaminazione delle doti di Brighella e
di Scapino. Il suo nome sembra derivare
dal
termine
"mezzettin
boccale"
indicante la mezza misura. Questo nome
compare già dal secondo decennio del
Seicento, utilizzato da Ottavio Onorati,
della Compagnia dei Confidenti ed in
seguito ancora nel 1675, in un'incisione
di
Gérard
Jollain,
raffigurato
nel
caratteristico
a
dove
suo
strisce
viene
costume
formate
da
losanghe
colorate
disposte
verticalmente.
Fu
tuttavia
Angelo
(1654-1729),
attore
Costantini
veronese, a portare questa maschera al
successo. Chiamato a recitare in Francia
nella Troupe Italienne si alternò a Domenico Biancolelli nel ruolo di Arlecchino,
che però dovette abbandonare a seguito dell'ostilità del rivale. Egli si creò così il
personaggio
di
Mezzettino,
servo
astuto
e
imbroglione,
spregiudicato
e
abilissimo nel cacciarsi in ogni sorta di intrighi, così come nel districarsene. Il
Mezzettino di Costantini era caratterizzato da un costume a strisce verticali
bianche e rosse. Privo della maschera, viene solitamente rappresentato con una
chitarra, che l'attore suonava molto bene.
Pantalone
L'origine
della
maschera
è
sicuramente
veneziana, come
il
dialetto
nel
quale si esprime.
Più incerta è la
storia
del
suo
nome: alcuni vi
ravvisano
termine
il
"pianta
leoni"
con
cui
venivano
chiamati
i
mercanti
veneziani, i quali
erano
soliti
ergere il vessillo
raffigurante
il
Leone ovunque si
recassero
per
commerci;
altri
invece
ritengono
che il nome derivi
dai
pantaloni
indossati
dal
personaggio
fin
dai primi esordi
nella
Commedia
dell'Arte.
Comunque sia il costume ci appare fin dalle prime apparizioni caratterizzato da
lunghi pantaloni attillati di colore nero, una giubba rossa, una lunga zimarra
nera, le pantofole ed una maschera dal lungo naso a becco. Un corto spadino e
la borsa contenente i denari (la "scarsela") completano l'abbigliamento del
personaggio. Il carattere è estremamente vitale e sensuale, caricatura del
mercante mediamente anziano, ancora attratto dalle grazie delle giovani donne,
spesso in conflitto con i giovani per procurarsene i favori. Fu Goldoni a
smorzare fortememte i contrasti di questo carattere, facendone soprattutto un
vecchio assennato e saggio, il cui buon senso modera spesso gli entusiasmi dei
giovani. Fra gli interpreti di questa maschera si ricordano Giulio Pasquati
(seconda metà del Cinquecento), F. Ricci, Antonio Riccoboni (prima metà del
Seicento) e Cesare D'Arbes (1710-1778).
Peppe Nappa
Maschera di origine siciliana deve il suo nome alle parole
"Peppi", diminutivo dialettale di Giuseppe, e "nappa", che
significa toppa dei calzoni, cosicché "Giuseppe toppa nei
calzoni" sta ad indicare un "uomo da nulla". Il costume di
scena era costituito da un ampio abito azzurro, formato da
casacca e calzoni e un cappellino di feltro sul volto privo di
maschera e di trucco. Caratteristica peculiare del personaggio
è la fame insaziabile, unita ad una smisurata golosità, che fa
della cucina il suo ambiente favorito e del cibo il suo primario
interesse. Nelle trame egli ricopre la parte del servo, pigro e
infingardo, ma capace di stupire il pubblico con guizzi di
inaspettata agilità.
Pierrot
La maschera di Pierrot nasce in Italia verso la
fine del Cinquecento, ad opera di Giovanni
Pellesini,
Gelosi.
attore
Il
suo
della
Compagnia
personaggio
di
dei
nome
Pedrolino era una variazione sul tema dello
Zanni, il servo, di cui indossava l'abito bianco
e ampio. Servo accorto e fidato, pronto a
intessere imbrogli che poi districava con
grande abilità, per trarre d'impaccio il proprio
padrone, Pedrolino era un personaggio forte,
di primaria importanza nell'economia della
commedia. Il personaggio seguì i Gelosi in
Francia,
dove
ebbe
immediato
successo,
entrando a far parte degli scenari delle
Compagnie francesi con il nome di Pierrot.
Nella versione francese Pierrot perde gran
parte della sua astuzia, conservando solo
l'onestà e l'amore per la verità, spinto a volte
fino all'eccesso. Dopo un periodo di declino il
personaggio
tornò
in primo
piano
grazie
all'interpretazione del mimo Jean-Gaspard
Debureau (1796-1846), che gli infuse nuova energia, impersonandolo dal 1826
al Théâtre des Funanbules. Debureau definì il costume che dopo di lui fu
tipico di Pierrot: un ampio abito bianco formato da casacca e pantaloni, ornato
da bottoni neri, una piccola coppolina nera sul capo e il viso imbiancato. Con
Debureau Pierrot assunse un carattere molto più forte e vitale, che il mimo
trasmetteva attraverso le sue capacità espressive, le sue doti acrobatiche e
interpretative straordinarie, a detta dei testimoni dell'epoca.
Punch
Punch è la versione inglese del Pulcinella
italiano, giunto a Londra attraverso il
Polichinelle francese, nella seconda metà
del Seicento.
Divenuto
famoso
nelle
baracche dei burattini con il ruolo di
clown, nel corso del Settecento viene
caratterizzato
come
un
uomo
dall'aspetto imponente, con una grande
gobba, una maschera dal lungo naso
adunco, pendente su un mento ricurvo,
vestito in uno sgargiante abito giallo e
rosso. Il suo carattere è quello di uno
scioperato,
intento,
come
uniche
attività, alle più nefande malefatte. Gli
scenari, che prevedevano un susseguirsi
di
stragi
e
ammazzamenti,
si
concludevano immancabilmente con la
condanna di Punch, che veniva condotto
al patibolo dal boia oppure all'inferno dal
demonio. Nell'Ottocento Punch divenne il simbolo dell'omonimo giornale satirico,
mentre nel corso dell'ultimo secolo la sua popolarità andò via via sempre più
diminuendo.
Polichinelle
Polichinelle è la derivazione francese del tipo di Pulcinella.
Diffuso negli scenari delle Commedie a partire dal Seicento,
Polichinelle ci appare caratterizzato da una grande gobba e
da una maschera con un enorme naso adunco che gli
conferiva
la
caratteristica
voce
stridula.
Il
costume
è
colorato, costituito da una casacca e un paio di pantaloni,
stretti da una cintura che metteva in evidenza il suo enorme
ventre. Il suo carattere appare più simile a quello del
Capitano piuttosto che del servo: irascibile, fanfarone e
bugiardo, Polichinelle spesso compie azioni riprovevoli. Nel
1685
l'attore
italiano
Michelangelo
Fracanzani
giunto
a
Parigi
creò
un
personaggio nuovo con lo stesso nome, mediando le caratteristiche del Pulcinella
italiano con quelle francesi. Accentuò la dimensione della gobba, ponendone in
aggiunta una sul petto, conservò la maschera originaria e pose sulla testa un
cappello a cono ornato di piume di gallo. Con l'allontanamento dei comici Italiani
da Parigi, Polichinelle restò in auge nei teatri della Foire e nei teatri delle
marionette,
assumendo
caratteristiche
sempre
più
stravaganti:
l'abito
sgargiante, il cappello a bicorno ornato di sonagli, mentre il carattere andò via
via diventando quello di uno scioperato pigro e attaccabrighe, sempre in fuga dai
creditori.
Pulcinella
Pulcinella è una delle maschere più note della tradizione
italiana meridionale. La sua origine risale al Seicento,
essendo
la
sua
presenza
documentata
da
diverse
raffigurazioni dell'epoca. Alcuni tuttavia rintracciano le
sue origini nei personaggi delle "fabulae atellanae" come
Macco e Dosseno, di cui conserva alcuni caratteri
esteriori e interiori, come la gobba e il ventre sporgente,
unite ad una certa malizia. L'abito di scena richiama
quello dello Zanni, con l'ampio camicione bianco serrato
dalla cintura nera tenuta bassa sopra i calzoni cadenti.
La sua maschera è nera, glabra, con gli occhi piccoli e il
naso adunco, che dava alla voce degli attori una
caratteristica tonalità stridula e chioccia. Alcuni attori e
burattinai utilizzavano un particolare strumento detto
"sgherlo" o "pivetta", per accentuare questa caratteristica della voce. Alla voce e
al naso a becco sembra essere legato anche il nome pulcinella, da "pulcino". Il
carattere del personaggio richiama quello dello Zanni, pur essendo più
complesso e articolato. Servo sciocco e insensato, non manca spesso di arguzia
e buon senso popolare. In lui si mescolano un'intensa vitalità ed un'indole
inquieta, triste e sempre pronta a stupirsi delle cose del mondo. Secondo la
tradizione primo interprete e principale inventore del personaggio di Pulcinella fu
l'attore Silvio Fiorillo, vissuto nella seconda metà del Cinquecento, che lo
condusse alla notorietà insieme alla Compagnia degli Accesi. In seguito il più
grande e noto Pulcinella fu l'attore Antonio Petito (1822-76), che lo slegò da
un ruolo particolare, conferendogli maggiore spessore psicologico.
Ragonda
Fin dal primo apparire della Commedia
dell'Arte, Ragonda rappresenta una delle
forme
prese
fantesca.
dal
Donna
personaggio
solitamente
della
ormai
matura e per questo esperta nei fatti
della vita, la fantesca era a servizio di
una padrona, sempre pronta a cavarla
d'impaccio e a favorirne con inganni e
sotterfugi le relazioni amorose, lecite o
illecite che fossero. Il suo linguaggio era
schietto e mai volgare, i suoi discorsi
pungenti
e
pieni
di
buon
senso
e
saggezza.
Secondo la tradizione il costume di
scena era molto semplice: un'ampia
gonna sormontata da un grembiale e
stretta in vita da una fascia, una camicia
e una piccola cuffia a ricoprire il capo.
Rugantino
Maschera romanesca del teatro dei burattini; il suo nome
deriva da "ruganza", arroganza. Ennesima variazione del
Capitano, visto nella sua forma più popolare, impersona il
tipo del litigioso inconcludente sempre sopraffatto dalle
brighe
che
provoca.
Gli inizi della sua carriera lo vedono vestito come un
gendarme, o capo delle guardie del Bangello, sempre
pronto ad arrestare qualche innocente per dimostrare la
propria
forza.
Con il tempo smetterà l'abbigliamento militare e, vestiti
panni civili,
smusserà il suo carattere negativo
per
assumere un carattere più pigro e bonario che ne farà
l'interprete di una Roma popolare ricca di sentimenti di
solidarietà e giustizia. Vestito in foggia bizzarra indossa un
gilè di colore rosso e un imponente cappello di identico colore. Numerosi furono
gli interpreti, tra questi: Tacconi, Nino Tamburri, Nino Slari e il popolare
cantastorie detto il Sor Capanna.
Ruzante
La figura di Ruzante nasce dalla fantasia
letteraria dell'attore e commediografo
Angelo Beolco (Padova 1500 ca 1542) e non può essere considerata
tout-court tra le maschere della
Commedia dell'Arte, anche se assume in
sé particolari aspetti di una certa
tradizione anti-villanesca, ma un
personaggio teatralmente compiuto, che
trova la sua realizzazione direttamente
sulle scene grazie all'interpretazione
dell'autore stesso.
Ruzante diventa la personificazione del
contadino rozzo e volgare ma anche
ladro e assassino, che si dibatte nella
miseria in una condizione di inferiorità
anche rispetto ai servi, suoi pari, che
hanno trovato il sostentamento in città,
coinvolgendo lo spettatore nel dramma
della sua esistenza.
Due le ipotesi sull'origine del nome. La prima viene dal cognome (estremamente
diffuso nella campagna padana) di qualche noto personaggio dell'epoca del quale
voleva proporre una ironica caratterizzazione; la seconda dalla formazione del
nome che in esso rivela una sconcia allusione all'abitudine dei contadini di avere
rapporti con gli animali.
Fra gli interpreti del teatro di Beolco ricordiamo, in epoca contemporanea,
Gianfranco De Bosio, Franco Parenti, Dario Fo e Paolo Rossi.
Sandrone
Simpatica e astuta maschera modenese
appartenente alla categoria del contadino
grossolano e ignorante. Travagliato
nell'animo per l'appartenenza sociale cerca di
sfuggirle cercando di apparire più istruito di
quanto sia. Si sforza di parlare italiano dando
vita, però, ad un "pastiche" incomprensibile
e senza senso.
Riconoscibile per il tipico costume composto
da una grande giubba scura, sotto la quale
porta un gilet a pois e l'immancabile berretto
da notte a righe rosse e bianche.
Si attribuisce la sua nascita al burattinaio
Luigi Campogalliani (1775 - 1839) anche
se un almanacco di Reggio Emilia riporta la
notizia su un personaggio di nome "Sandron
Zigolla da Ruvolta". Col tempo gli venne affiancata la moglie Pulonia (Apolonnia)
e un figliolo Sgurgheguel (Sgorghignello).
Scapino
Maschera appartenente alla vasta schiera dei servi è però
nota per le sue virtù musicali e canore, infatti appare
sempre con la chitarra in mano. Questa caratteristica
dovrebbe derivare dal suo primo interprete Francesco
Gabrielli (1588 - 1636), valente attore, ma anche
eccellente cantore, compositore e inventore di strumenti.
Il costume abbandonò nel tempo la primitiva foggia,
costituita di un ampio abito bianco di taglio grossolano,
con maschera, cappello a punta piumato, barbetta e
spadino di legno, per assumere, pressappoco, le
caratteristiche di un Brighella, con variazioni nel colore
degli alamari e delle guarnizioni presenti sul vestito
bianco, quindi sostituì la maschera, con l'infarinatura del
viso.
Il successo di questa maschera è anche dovuto a Moliere, che gli dedicò il suo
testo "Le furberie di Scapino" (1671).
Scaramouche
La maschera di Scaramouche appartiene alla serie dei
Capitani. La più antica raffigurazione risale ai primi
del Seicento, ad opera dell'incisore Jaques Callot. In
essa compare già nel costume che sarà poi
tradizionale, costituito da calzoni attillati fin sotto il
ginocchio, un giubbotto molto stretto, un cappellaccio
piumato, una maschera con un enorme naso e un
fallo di cuoio ostentato beffardamente. Al carattere
osceno dell'aspetto corrisponde anche un eguale
carattere del personaggio, donnaiolo, millantatore e
fracassone. Scaramouche deve la sua notorietà e il
suo nome all'attore che per lungo tempo ne indossò
la maschera, l'italiano Tiberio Fiorilli (1609-1694).
Il suo grande successo presso il pubblico francese era dovuto, secondo le
testimonianze dell'epoca (famosa la sua biografia romanzata "Vie de
Scaramouche" scritta dall'attore Angelo Costantini, noto come Mezzettino, nel
1695) alla sua notevole abilità espressiva, alle sue doti di acrobata e alla sua
comicità, capace di catturare l'attenzione degli spettatori. Fiorilli compariva in
scena con un costume completamente nero, ornato di una gorgiera bianca e non
portava la maschera, alla quale sostituiva il viso infarinato, su cui spiccavano
baffi e sopracciglia nere. Un altro famoso Scaramouche fu Giuseppe Torriti che
ne indossò i panni tra il 1694 e il 1697.
Stenterello
Stenterello, spirito mordace e arguto tipico dei toscani, è
la maschera fiorentina per antonomasia. Nasce nel
Settecento al Teatro dei Fiorentini a Napoli, per opera
di Luigi Del Buono, ex orologiaio datosi all'opera
istrionica, che colpito dal successo di Pulcinella sul
pubblico partenopeo, volle creare un personaggio che
incarnasse le caratteristiche di Firenze.
Fra i suoi interpreti, oltre al Del Buono, si ricordano
Lorenzo Camelli, Gaetano Cappelletti, Amanto Ricci
e Raffaele Zandini.
Diverse furono però, le loro interpretazioni variando il
ruolo da marito ingannato a servo sciocco oppure a
quello dell'intrigante
Tabarrino
Maschera di origini molto antiche. Già
presente all'apparire dei primi spettacoli
della Commedia dell'Arte, trarrebbe il
suo nome da quello del comico
Veneziano Giovanni Tabarin ('500),
oppure dal tabarro che contraddistingue
il costume. Altri elementi oltre la
maschera, il camiciotto di tela gialla e
verde, e il cappello di feltro nero al quale
l'attore faceva assumere le più svariate
fogge.
Il personaggio scompare con la morte di
Tabarin. Riappare nel '600 a opera dei
comici tra cui Giovan Battista
Menghini, che ripresero il personaggio
facendone un rappresentante del ceto
mercantile, acido e dispotico, padre di
famiglia spesso acceso da insane
passioni amorose. Diventò poi
personaggio per burattini e marionette.
Tartaglia
Maschera caratterizzata oltre che da una forte miopia da
una inguaribile e pertinace balbuzie, da cui il nome, è
generalmente compresa, insieme a Pantalone e il
Dottore, nel gruppo dei vecchi apparendo in numerosi
scenari nella parte di uno degli Innamorati.
Si ritiene sia nata nel 1630 ad opera di un certo
Beltrami di Verona. Vario è il suo stato sociale da
notaio a avvocato, da usciere a farmacista. Carlo
Gozzi, infine, ferma la sua figura in uomo di stato.
Tartaglia ottenne il suo maggior successo a Napoli dove,
verso la metà del Seicento, era interpretato da Carlo
Merlino, seguito da Agostino Fiorilli. In epoca recente
da ricordare Gianfranco Mauri in "Arlecchino servitore
di due padroni" di Goldoni, per la regia di Giorgio
Strehler.
Trivellino
Personaggio che appartiene a una delle
numerose elaborazioni del secondo
Zanni o servo sciocco, a cui appartiene
lo stesso Arlecchino.
Dal costume molto simile a quello di
Arlecchino, lo si ritrova solo in una
stampa della prima metà del Settecento
con un raffinato abito bianco molto
attillato decorato con lusse, soli e
motivi geometrici di forma triangolare.
Fra gli interpreti: il bolognese Andrea
Franconi, Domenico Locatelli,
Domenico Biancolelli e Carlo
Sangiorgi.
Contrariamente ad altri personaggi, la
fama di Trivellino non si perpetuò con
uguale successo nei teatri delle
marionette e nelle baracche dei
burattini.
Uomo Selvatico
Presente nei rituali di molte popolazioni
sotto diverse forme (divinità, spirito dei
boschi, protettore dei campi e della
natura), viene variamente caratterizzato
da regione a regione, pur conservando
caratteri costanti.
Come spirito della natura egli viene
tradizionalmente descritto come un
essere mezzo uomo e mezzo bestia, che
si aggira per i boschi armato di una
verga, completamente ricoperto di peli e
il viso dall'aspetto orribile.
La sua prima rappresentazione teatrale
risale al "Magnus Ludus de quodam
homine selvatico"(1208), ma tracce
della sua presenza si riscontrano in
molte delle maschere della Commedia dell'Arte, per esempio nel misto di
violenza e ingenuità, malizia e sventatezza che hanno fatto negli anni il successo
di Arlecchino.
Zanni
Nella Commedia dell'Arte assume questo nome il
personaggio del servo, furbo e imbroglione o sciocco e
pasticcione. Nel corso del Cinquecento, da personaggio
funzionale allo svolgersi dell'intreccio, andò via via
arricchendosi, divenendo una maschera indipendente,
caratterizzata da un costume bianco e ampio. Il suo ruolo
si sdoppiò dando vita al primo Zanni (o zani), il servo
astuto e spesso autore di intrighi, e il secondo Zanni,
sciocco o apparentemente tale, al quale era spesso affidato
il compito di divertire il pubblico interrompendo l'azione con
lazzi e giochi mimici, che spesso richiedevano una notevole abilità acrobatica.
Tra le maschere che ricoprirono il ruolo di primo Zanni si ricordano
Truffaldino e Brighella, mentre nel secondo ruolo Arlecchino e Pulcinella.