ROMAN SIGNER

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ROMAN SIGNER
ROMAN SIGNER
XLVIII. Biennale di Venezia 1999. Svizzera
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Erscheint anlässlich der Ausstellung im Schweizer Pavillon im Rahmen der Biennale in Venedig 1999
Publié à l’occasion de l’exposition au pavillon suisse dans le cadre de la Biennale de Venise 1999
Pubblicato in occasione della mostra nel padiglione svizzero, allestita nel quadro della Biennale di Venezia 1999
Published for the exhibition at the Swiss Pavilion as part of the 1999 Venice Biennale
Ausstellung / Exhibition
Kommissär / Commissioner:
Vizekommissär / Vice Commissioner:
Pressebetreuung / Press support:
Photographie / Photography:
Sprengtechnik / Explosive support:
Technische Betreuung / Technical support:
Videotechnik / Video support:
Urs Staub
Konrad Bitterli
Oliver Wick
Stefan Rohner
Günther Schwarz, Roman Signer
Urs Burger, Arthur Clerici, Stanislav Rogowiec, Tiberio Scalbi, Roland Sutter
Aleksandra Signer, Videicompany, Aufdi Aufdermauer, Karin Wegmüller
Katalog / Catalogue
Konzeption / Conception:
Redaktion / Edited by:
Übersetzungen / Translations:
Gestaltung / Design:
Videobilder / Videostills:
Satz, Lithographie / Typesetting, Lithography:
Druck / Printed by:
Einband / Bound by:
Roman Signer, Peter Zimmermann
Konrad Bitterli, Matthias Wohlgemuth
Jeanne Haunschild (e)
Diane de Rahm (f)
Monica Nolli-Meyer (i)
Peter Zimmermann
Aufdi Aufdermauer, Aleksandra Signer
Nievergelt Policom AG, Zürich, Peter Zimmermann Graphic Design, Zürich
Lichtdruck AG, Dielsdorf
Buchbinderei Burkhardt AG, Mönchaltorf
Herausgegeben vom Bundesamt für Kultur, Bern, im Verlag Edition Unikate, CH-8027 Zürich
Published by Swiss Federal Office of Culture, Berne, with Edition Unikate, CH-8027 Zürich
© 1999 by Bundesamt für Kultur, Bern, Roman Signer, St. Gallen, Konrad Bitterli (Text)
ISBN 3-908617-01-4
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Printed in Switzerland
INHALT / SOMMAIRE / SOMMARIO / CONTENTS
Konrad Bitterli
EREIGNIS-SKULPTUR – Roman Signer an der 48. Biennale in Venedig
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UNE SCULPTURE-EVENEMENT – Roman Signer à la 48e Biennale de Venise
SCULTURA EVENTO – Roman Signer alla XLVIII Biennale di Venezia
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EVENT-SCULPTURE – Roman Signer at the 48th Biennale in Venice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
INSTALLATIONEN AN DER BIENNALE IN VENEDIG / INSTALLATIONS A LA BIENNALE DE VENISE /
INSTALLAZIONI ALLA BIENNALE DI VENEZIA / INSTALLATIONS AT THE BIENNALE IN VENICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
ARBEITEN FÜR DIE BIENNALE IN VENEDIG / PIECES POUR LA BIENNALE DE VENISE /
OPERE PER LA BIENNALE DI VENEZIA / WORKS FOR THE BIENNALE IN VENICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
BIOGRAPHIE / BIOGRAPHIE / BIOGRAFIA / BIOGRAPHY
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AUSSTELLUNGEN / EXPOSITIONS / MOSTRE / EXHIBITIONS
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BIBLIOGRAPHIE (AUSWAHL) / BIBLIOGRAPHIE (SÉLECTION) / BIBLIOGRAFIA (SELEZIONE) / SELECTED BIBLIOGRAPHY . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
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SCULTURA EVENTO
Roman Signer alla XLVIII Biennale di Venezia
“Ogni volta che arrivo in una nuova città, mi metto alla ricerca dell’acqua.” 1
Roman Signer
L’acqua è forse il materiale più importante nella produzione artistica di Roman Signer.
Da sempre questo elemento della natura, nella sua poliedricità, ha affascinato l’artista,
cresciuto nelle vicinanze di un fiume che nelle giornate di pioggia si ingrossava a
dismisura. Invitarlo a realizzare il contributo svizzero per la XLVIII Biennale di Venezia,
città lagunare, risveglia le aspettative più disparate, proprio perché Roman Signer si
dedica da anni all’elemento acqua. Per il Padiglione svizzero l’artista ha creato una
sequenza estremamente fitta di opere. Prendendo spunto dall’intenso studio
dell’architettura di Bruno Giacometti e dal ripetuto incontro con Venezia, vi riunisce
installazioni legate a luoghi determinati e altri lavori, realizzando un insieme in grado di
assemblare gli spazi architettonici a quelli mentali. Inserito nel contesto dello sviluppo
autonomo della sua opera, dal contributo di Roman Signer per la Biennale emergono
riferimenti eterogenei al luogo e alla sua storia ricca di vicessitudini, ma anche
all’acqua che caratterizza la laguna.
“Kabine” (1999), “Fahrrad” (1982/99), “Fontana di Piaggio” (1995), “Gleichzeitig”
(1999), “Blaues Fass” (1999) forniscono, insieme a una serie di video, una
panoramica approfondita dell’attuale lavoro di Roman Signer, tirando in un certo
senso le somme della sua produzione artistica e andando ben oltre il suo intervento in
occasione della Biennale.
Concetto processuale di scultura
Come non si stanca mai di ripetere, Roman Signer si è sempre considerato uno
scultore e definisce sculture anche le sue numerose azioni davanti a un pubblico,
come ad esempio il suo celebre intervento conclusivo alla documenta 8 del 1987,
anche se hanno un carattere momentaneo.
“Forse ho un concetto diverso di scultura che si è sviluppato gradualmente attraverso
le mie azioni. Da sempre mi considero scultore. Si tratta comunque di problemi legati
allo spazio, di eventi nello spazio, dello scorrere del tempo.” 2
Alla Karlsaue di Kassel, l’artista aveva disposto una fila di mucchi di carta da lettera
bianca, composti di 1’000 fogli ciascuno, a 50 centimetri di distanza uno dall’altro.
Questa fila formava una linea sul terreno alla stregua di una scultura minimalista,
scandendo il prato in un alternarsi di assestamento plastico e spazio intermedio. La
struttura, tuttavia, non era intesa come oggetto statico, si trattava piuttosto di un
primo stato, temporaneo, di una scultura in più tempi. Le 300 pile di carta, tutte dotate
di una carica esplosiva e di una capsula, vennero fatte esplodere
contemporaneamente. Si sentì uno scoppio, si vide una densa nuvola di fumo e
300’000 fogli balzarono verso l’alto, sventolarono in aria e trasformarono la rigorosa
installazione sul prato in una parete bianca, che dopo aver brillato in mille sfaccettature
ridiscese dolcemente a terra. Per un attimo soltanto, l’artista colloca nello spazio una
figura effimera, una forma turbinosa e scatenata, che ricadendo lentamente a terra
diventa un campo irregolare composto di migliaia di fogli di carta sparsi. L’ordine
originale è tradotto in un altro stato, in una struttura caotica, per così dire, attraverso
un movimento impetuoso. La forza improvvisa dell’esplosione, il balzo in aria è seguito
da una ricaduta lenta, l’impulso di energia da una discesa meditativa. Con virtuosità
l’artista mette in scena le energie e i movimenti più diversi, in parte anche
contrastanti: balzare in alto e ridiscendere, infittire ed estendere.
In quest’azione, che Roman Signer stesso preferisce definire “evento”, si manifesta
chiaramente il suo concetto di scultura. Prendendo spunto dall’ampliamento dei
concetti tradizionali della forma plastica, avvenuto negli anni Sessanta e consistente
nella “smaterializzazione dell’arte” e nella visualizzazione di azioni e processi, la sua
produzione artistica ha inizio nel 1971 con lavori dapprima prevalentemente plastici
che rendono visibili le forze della natura con meticolosità quasi scientifica. Nella sua
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ricerca artistica, una sorta di ricerca sui fondamenti della forma plastica, Roman Signer
si dedica ai potenziali energetici intrinsechi della natura e alle proprietà fisiche di
oggetti familiari, come la sabbia, le pietre e l’acqua. Ma l’artista traduce in strutture
effimere anche il fuoco, i razzi e le esplosioni oppure ne sfrutta il potenziale energetico
per deformare o trasformare tavoli, sedie, letti, sgabelli, biciclette, modelli di elicotteri
o bidoni. Con il passare degli anni questi oggetti quotidiani vengono a formare un
repertorio selezionato e circoscrivibile, che l’artista ripropone in combinazioni sempre
diverse. Le sue sculture effimere sono poi conservate nel tempo attraverso documentazioni fotografiche e video, media che finiscono per essere considerati veri e propri ambiti creativi in sé.
Dall’opera di Roman Signer emerge un atteggiamento artistico che aggiunge
dimensioni decisive alle tradizioni della “Process Art” e che ridefinisce
fondamentalmente l’organizzazione della forma plastica. Il suo concetto di scultura
sconfina dalle categorie tramandate attraverso l’attimo del movimento, l’estensione
nello spazio e la dimensione del tempo.
Spazio e tempo: la struttura artistica
Tutta l’opera di Roman Signer si fonda su una struttura artistica specifica che, come
per gli stati di aggregazione, è articolata in tre fasi ben distinte: 1. l’impostazione
dell’opera, il potenziale di possibili cambiamenti formali (nel caso dell’azione alla
documenta consistente nella posa delle pile di carta), 2. il processo stesso, il
cambiamento di questo potenziale quale azione (il balzare in aria e il ridiscendere dei
fogli), 3. le tracce del processo ormai concluso (i fogli sparpagliati per terra come
manifestazione globale). Questa struttura artistica circoscrive dunque sia il potenziale
di movimenti energetici futuri, sia la trasformazione quale configurazione momentanea
e lle tracce di eventi trascorsi. Momenti dinamici e statici, passati e futuri non sono
da considerare come contrapposizioni, bensì come condizioni diverse dello stesso
lavoro.
I lavori di Roman Signer sono caratterizzati da una cronologia dell’atto creativo, le cui
singole fasi si rapportano con precisione l’una all’altra. L’impostazione risulta ripercorribile mentalmente a posteriori. Al tempo stesso è possibile anticipare l’azione e le
tracce del processo concluso estraendole dal potenziale di un evento. Nonostante la
presenza degli oggetti utilizzati, ogni lavoro obbliga l’immaginazione a spostarsi dal
visibile al mentale ed opera con la differenza tra ciò che è percettibile concretamente,
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la sottrazione di questa percettibilità e la ricostruzione di ciò che è stato percepito
nell’immaginazione: “L’evidenza stessa degli eventi rende irreale l’effettività dei fatti.
Nel processo di riconoscimento visuale immediato si cela il dubbio irrazionale della
riconoscibilità effettiva delle cose.” 3
Assumendo una posizione decisamente in contrasto con la tradizione della “Process
Art”, l’artista stesso definisce l’attimo del cambiamento quale processo sculturale.
Riunendo elementi passati e futuri, egli definisce il tempo come una dimensione
intrinseca della forma sculturale. I lavori di Roman Signer rispecchiano un ventaglio
sfaccettato di strutture temporali, ad iniziare dall’”Aktion mit einer Zündschnur”
(1989) durata 35 giorni, passando dall’azione in più parti, riccamente orchestrata, in
occasione della riapertura del Museo d’arte di San Gallo (1987) o dalla già citata
azione conclusiva alla documenta 8/1987 fino a giungere all’installazione istantanea
“Vitesse: 2’000 mètres/seconde” (1992): “Processo, sincronismo, durata, subitaneità,
continuità, infittimento e ritmo sviluppano un intero compendio costituito dai modi
della dimensione temporale.” 4
L’ampliamento della scultura attraverso la dimensione temporale si ripercuote in un
marcato ingrandimento dello spazio. La smaterializzazione e la temporalità della forma
plastica consentono di misurare e cadenzare spazi finora inesplorati, come è successo nella già citata “Aktion mit einer Zündschnur”. Dall’11 settembre al 15 ottobre
1989 Roman Signer fa bruciare una miccia tra il suo luogo natale, Appenzell, e il suo
attuale domicilio, San Gallo, distante una ventina di chilometri. La miccia, che si
compone di elementi lunghi 100 metri, comunemente in commercio, è posata lungo
la linea ferroviaria. I singoli elementi sono collegati tra loro da una specie di raccordo:
una cassetta in metallo contenente polvere nera. La fiamma si propaga lentamente
all’interno della miccia impermeabile e solo una finissima nube di fumo, pressoché
impercettibile, accenna il dolce movimento progressivo. Il processo di combustione
provoca una breve fiammata in ogni punto di raccordo per poi avanzare tranquillamente
attraverso la miccia. Nel costante alternarsi del movimento brusco, al momento
dell’esplosione, e dell’impercettibile procedere della combustione nella miccia l’artista
ristruttura tempo e spazio e rende individualmente ripercorribili, in modo del tutto
inedito, le dimensioni tecnicamente misurabili – concentrazione condensata ed
estensione apparentemente infinita, momento brusco e durata estenuante.
“Nei miei lavori ci sono processi molto lenti. Anche una miccia è qualcosa di lento.
Ci sono comunque anche processi molto rapidi. Qualcosa che cade per terra, che
scoppia o esplode oppure si accende. Dietro a questi eventi c’è il fenomeno della
forza improvvisa. Il cambiamento di uno stato mi affascina incredibilmente. Voglio
dire, l’improvviso sopravvento che può interessare un movimento lento, come il lento
bruciare della miccia e l’improvvisa esplosione. È una scultura, una scultura temporale, una combinazione di qualcosa di molto lento e qualcosa di molto rapido.” 5
“Aktion mit einer Zündschnur”, questa scultura sommessa, non soltanto tematizza in
forma marcata il processo del trasferimento nel senso di una strutturazione dello
spazio e del tempo, ma è intesa anche quale metafora per il viaggio, per il cammino
della vita in genere. E riunisce aspetti meditativi quanto eruttivi, atemporali quanto
effimeri, diventando per l’artista, che segue costantemente l’azione, un’esperienza ai
limiti psichici e fisici. Introducendo la dimensione temporale, Signer riesce a strutturare
uno spazio di dimensioni insolite. Oltre a ciò, l’artista traspone un problema
fondamentale della scultura classica – quello dello spazio quale circoscrizione del
vuoto e del volume – su un altro livello. Il tradizionale carattere monumentale si
annulla in una struttura globale: la smaterializzazione dell’oggetto e l’ampliamento
temporale fanno svanire la statica e la plasticità della scultura in strutture spaziotemporali sovrapposte.
Cabina: l’artista è presente e assente
L’esordio è fulminante: chi entra nel Padiglione svizzero si trova inaspettatamente
davanti la figura fantasmatica di una persona, imprigionata in una cassa di dimensioni
reali. L’artista è presente e assente: per lo spazio d’ingresso Roman Signer ha realizzato una “cabina” che punta con precisione al centro della sua produzione artistica.
Se in occasione di precedenti edizioni della Biennale, entrando nel Padiglione
dall’ingresso principale e oltrepassando il banco d’accoglienza, si percorreva un
corridoio coperto prima di giungere nel cortile e negli spazi espositivi, con il suo
intervento Roman Signer è riuscito a disturbare questa sequenza lineare. In effetti
l’atrio aperto è occupato da un lavoro alla cui presenza immediata è difficile sottrarsi.
“Kabine” (1999) è una semplice cassa di legno, aperta verso l’ingresso del Padiglione,
lunga 3,2 metri, alta 2 metri e larga 1,4 metri. Dall’esterno ricorda un corpo neutrale
stereometrico della minimal art, ma un unico sguardo al suo interno rivela la diversità
fondamentale dal purismo minimalista: nella parte più lontana l’artista ha collocato un
tavolo e una sedia, nella parte più vicina, alla trave in legno che collega il pavimento al
soffitto, ha installato tre barattoli di vernice nera, dotati di capsule e collegati tra di
loro. L’artista, che indossa tuta di protezione e casco, prende posto dietro al tavolo e
posa le mani sul piano del tavolo. Un meccanismo di accensione fa saltare in aria
contemporaneamente le tre cariche di esplosivo. Con un botto improvviso la vernice
sprizza dai barattoli, come fosse magma vulcanico, e va ad imbrattare le pareti della
cabina, mentre il corpo e il tavolo restano impressi in negativo sulla parete posteriore
e le mani sul piano del tavolo.
Una volta di più Roman Signer contrappone vari movimenti: l’esplosione violenta, rivolta
verso la sua persona e non priva di rischi – un breve lampo –, lo spruzzo di vernice,
che segue immediatamente dopo, offuscando completamente il campo visivo, e infine
il lento asciugarsi della vernice. Senza l’impiego di un solo pennello l’azione “esplosiva”
diventa pittura nello spazio, un autoritratto dell’artista prigioniero della propria opera.
Mostrando un senso dell’umorismo profondo, Roman Signer tematizza poi anche
la situazione all’ingresso del Padiglione: l’artista è presente al banco di accoglienza,
la sua immagine riflessa sembra dare personalmente il benvenuto ad ogni visitatore –
anche dopo l’inaugurazione ufficiale.
“Kabine” si situa in un complesso gruppo di opere insieme a “Selbstbildnis aus
Gewicht und Fallhöhe” (1972), “Figur” (1988), “Hand” (1992) e “Porträtgalerie”
(1993). Ripetutamente l’artista, più precisamente il suo corpo o singole sue parti,
lascia delle tracce che si imprimono in negativo e testimoniano la sua
presenza/assenza. Nel lavoro in più parti dal titolo “Porträtgalerie”, per esempio,
Signer si inchina, protetto dalla tuta e dal casco, su un bidone in metallo e
contemporaneamente accende la miccia con il piede. Una detonazione potente, e
come lo zampillo di una fontana la vernice bianca si riversa su tuta e casco
impedendo all’artista di vedere attraverso la visiera. L’immagine perde la sua effigie, il
suo scopo primordiale. Questo procedimento si ripete tre volte, ogni volta con un
altro bidone e con un alternarsi di vernice bianca e nera. L’azione diventa così un
rituale enigmatico, una sorta di abbaglio autodistruttivo e si riduce ai bidoni ricoperti
di spruzzi e alla rispettiva sequenza fotografica. L’aspetto ludico del momento si fissa
in un’immagine fantasmatica. Con un gesto brusco il concetto di ritratto s’infittisce
diventando un opprimente “monumento momentaneo”. Una metafora per l’uomo alla
fine del Novecento? Una sensazione che questo lavoro diffonde, nonostante il suo
invitante gesto di benvenuto.
Bicicletta: dinamica e statica
“Nella mia gioventù queste biciclette mi hanno portato in collina o in montagna, da
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dove ho girovagato per boschi e sentieri, cosa che da sempre mi ha molto affascinato. Nel 1982 ho fatto una mostra a Utrecht, in Olanda, forse è là che i ciclisti mi
hanno estremamente impressionato. Ma c’è anche un avvenimento anteriore che mi
è rimasto impresso: ho avuto la fortuna di essere invitato per due settimane a
Pechino, da un amico, e durante quella visita ho girato per la città in bicicletta. […] Il
primo lavoro con una bicicletta risale al 1982–83. Ho fatto delle foto di quel lavoro, a
dire il vero solo per me. Ho girato attorno a due colonne e ho definito questo una
scultura.” 6
“Gelbes Band” è il titolo del lavoro con biciclette che Roman Signer ha esposto nel
1982 nel foyer del Museo d’arte di San Gallo, che a quei tempi doveva essere
ristrutturato. Signer pedala ripetutamente attorno a due colonne monumentali. Nel
farlo, da un rotolo fissato sul suo portapacchi, un nastro di plastica giallo si avvolge
attorno alle colonne demarcando il percorso. Il movimento nello spazio è reso visibile
e si materializza diventando struttura spaziale, scultura. Due anni più tardi l’artista
sviluppa questa impostazione per una mostra al Bodensee-Museum di
Friedrichshafen, girando in bicicletta attorno a quattro pilastri e avvolgendoli con un
nastro, tracciando un rettangolo attraverso il suo movimento rotatorio. La bicicletta
appoggiata a un pilastro al termine dell’azione e il nastro avvolto attorno ai pilastri
consentono di ricostruire
il processo creativo appena concluso. Questa impostazione, dal titolo “Fahrrad”
(1982/99), Roman Signer la ripete nel cortile del Padiglione svizzero, circolando in
bicicletta attorno a un’unica colonna. Il movimento, pur essendo visualizzato, si fissa
in un assestamento puntuale nello spazio, in un’immagine tridimensionale di immobilità
totale. La dinamica di questo processo si annulla ancora meglio nella statica concentrata dell’oggetto compatto dando l’impressione dell’assurdità, la cui valenza consiste proprio nella contraddizione insuperabile tra dinamica e statica e sviluppa
quella qualità ostinata dell’assurdo, così caratteristica per l’opera di Roman Signer.
L’assurdità è resa esplicita dalla messa in scena di “Fahrrad”, in una città come
Venezia in cui non circolano biciclette, realiter e in senso figurato.
Fontana di Piaggio: un monumento al movimento
“Il mio primo lavoro con un’Ape era legato all’acqua. Avevo posto un bidone pieno
d’acqua sulla parte posteriore. Da un foro praticato nel bidone, l’acqua zampillava
sulla strada. Poi con l’Ape ho solcato i dintorni. Era per così dire una fontana
mobile, una ‘Fontana di Piaggio’.” 7
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Una volta di più, la “Fontana di Piaggio” di Roman Signer si è messa in viaggio. Dopo
che era già stata esposta per otto giorni a Langenhagen nel 1995 e in varie sedi in
occasione dell’esposizione internazionale di scultura di Münster nel 1997, la fontana
mobile si appresta ora a sostare più a lungo a Venezia, nel cortile del Padiglione
svizzero. La sequenza di ubicazioni o meglio il percorso così tracciato è un aspetto
essenziale dell’opera che ne sottolinea la mobilità e al tempo stesso accentua
l’assurdità di una fontana viaggiante: “In fondo si tratta di una fontana mobile. […]
Posso immaginarmi anche una costruzione in cui un forte getto d’acqua schizza
contro il tetto della cabina. L’intera cabina comincerebbe a emettere suoni. Anche
questa sarebbe in un certo senso una fontana mobile, parcheggiabile nei punti
desiderati.” 8
Come suggerisce il titolo, “Fontana di Piaggio” si compone di un motofurgone a tre
ruote di colore azzurro acqua, meglio conosciuto come Ape, che dispone di un motore
a due tempi scoppiettante, prodotto per l’appunto dalla Piaggio. In realtà esso serve
al trasporto di merci nei vicoli delle città italiane. Prodotto ancora oggi a Genova,
l’Ape è un archetipo del furgone, privo di qualsiasi dettaglio superfluo, che dispone
soltanto della cabina di pilotaggio e di un bagagliaio chiuso in lamiera. L’artista ha
trasformato questo veicolo semplice e unico per la sua forma in una fontana mobile
ed ha rivestito il cassone con una vasca in metallo delle identiche dimensioni. Un
tubo di gomma nera trasporta l’acqua da un idrante all’interno del bagagliaio, dove,
compresso da un ugello, spruzza contro il tetto tamburellando con una forte pressione
sulla lamiera. Il getto d’acqua si trasforma in un’infinità di gocce e in una fine pellicola
di schiuma riversandosi poi nella vasca. Da qui percorre un tubo montato al bordo del
tetto ed esce zampillante dal furgone andando a formare un rigagnolo e sparendo
infine nel tombino. Con virtuosismo l’artista dà forma all’acqua, oggetto liquido,
visualizzandone le proprietà inerenti attraverso le più diverse condizioni: getto
potente, gocce pesanti, cortina fuggente di schiuma, superficie mossa, rigagnolo
ramificato… In questo modo diventa ben percettibile un’altra dimensione propria di
ogni “forma” dell’acqua: la sua struttura sonora che si manifesta con spruzzi, gocciolii,
gorgogli
e simili. Alla stregua di un corpo di risonanza il bagagliaio potenzia le differenti qualità
sonore.
L’acqua e il suono hanno in comune il carattere processuale nel tempo. Processo
che denota varie velocità, da movimenti rapidi, per esempio quando l’acqua fuoriesce
dall’ugello, fino al lento accumularsi e penetrare nel terreno. In “Fontana di Piaggio” si
rivela tuttavia anche un altro piano temporale, virtuale, che consiste nel viaggio da
un’ubicazione all’altra, da San Gallo, domicilio di Roman Signer, passando per le presentazioni a Langenhagen e Münster, fino ad approdare a Venezia, dove, con la sua
presenza nel cortile del Padiglione svizzero per l’intera durata della Biennale, la fontana diventa un evento permanente.9
In “Fontana di Piaggio” avviene l’incontro tra la fontana, tradizione radicata nella storia
culturale fin da un passato piuttosto remoto, e il traffico motorizzato, una conquista
culturale relativamente recente. Prima dell’introduzione degli acquedotti, le fontane
costituivano dei luoghi centrali, dove ci si riforniva d’acqua per vivere o dove ci si
incontrava. La fontana era sinonimo di vita. E pertanto questi luoghi presero ad essere
contrassegnati da sistemazioni architettoniche spiccatamente ornamentali e suggestive.
Nonostante il movimento dell’acqua, la fontana è un luogo di raccoglimento, caratterizzato dalla statica e in questo si differenzia dal veicolo che serve a spostarsi, a
cambiare continuamente luogo. Ed è proprio a questa inconciliabilità tra la statica
della fontana e la dinamica del veicolo che punta questo lavoro, diventando un
ampliamento innovativo e una riformulazione contemporanea dell’antica tradizione
della fontana10, da un lato, e un monumento malinconico all’Ape, magnifico archetipo
dello spostamento motorizzato. La dichiarazione d’amore all’acqua e all’Ape è
caratteristico per lo stretto se non addirittura intimo rapporto di Roman Signer con i
materiali, con i “suoi” oggetti.
“Per prima cosa bisogna sapere che l’Ape è un mezzo di locomozione estremamente
utile. Dopodiché possiamo capire anche le sue altre possibilità. Mi riesce difficile
spiegare che cosa significa realmente per me l’Ape. […] È una splendida costruzione,
anzi, direi addirittura geniale. Se fossimo ancora costretti ad andare a piedi, forse ci
verrebbe in mente un’idea del genere.” 11
A questo veicolo scoppiettante che è l’Ape, Roman Signer ha già dedicato più di un
lavoro, tra cui “Piaggio” (1992) e “Piaggio mit Fass” (1993). Oltre al riferimento di
natura privata, l’attuale collocazione di “Fontana di Piaggio” denota tuttavia anche un
altro aspetto di valenza storico-culturale. Trasportato via nave e parcheggiato ai
Giardini, il monumento all’Ape può essere inteso anche come monumento dedicato a
Genova, città in cui questo furgone a tre ruote viene tuttora prodotto e un tempo
importante potenza commerciale nonché antagonista storica della Repubblica di
Venezia nel Mediterraneo. E se esiste in Italia un luogo in cui l’Ape non caratterizza
l’immagine cittadina, in cui non riveste una funzione effettiva, allora è senz’altro
Venezia, la città in cui Roman Signer colloca un monumento complesso quanto
paradossale all’automobile e all’acqua: “Indubbiamente Signer è un virtuoso della
semplicità complessa, dell’ironia e dell’assurdo, in poche parole del grottesco sul
piano del sublime.” 12
Simultaneo: la forma plastica
Contrariamente alla zampillante “Fontana di Piaggio”, le installazioni al Padiglione
svizzero diffondono una quiete inabituale. E tuttavia anche questi lavori, in particolare
l’installazione “Gleichzeitig” (1999), sono stati preceduti da un evento impetuoso.
Roman Signer congiunge la luminosa architettura del padiglione, con la sua elegante
costruzione ingegneristica del tetto e l’ordine rigoroso delle lastre del pavimento
mediante un lavoro che visualizza il momento della caduta libera. A questo scopo
l’artista si serve della struttura dei lucernari per appendere 117 pesanti sfere di ferro
di colore blu. In uno schema di 9 elementi per 13 sono fissate mediante una corda
alle travi in metallo, ognuna di loro dotata di capsula. Sul pavimento, in corrispondenza
delle sfere, sono stati collocati dei blocchi di creta che insieme compongono una
superficie di 9 riquadri per 13 e in un certo modo disegnano sul pavimento la struttura
del soffitto.
Tutte le corde si mettono a bruciare mediante un’accensione simultanea: le sfere cadono contemporaneamente sui blocchi sottostanti e affondano nella creta che,
asciugandosi lentamente, fissa le tracce degli eventi “caduta” e “impatto”. Il breve
movimento dell’accensione e la rapida caduta sono seguiti dal lento asciugarsi della
creta deformata. Anche in questo caso l’evento è ripercorribile mentalmente grazie
alle tracce del processo concluso, ossia i resti bruciacchiati delle corde penzolanti
dal soffitto, le sfere di ferro interrate nei blocchi di creta. L’intero processo è ripreso
dalla videocamera e proiettato a velocità rallentata. La riproduzione mediale
dell’evento modifica l’idea della contemporaneità della caduta delle sfere, suggerita
dal titolo. In effetti le sfere cadono a terra non esattemente nello stesso momento. La
videocamera visualizza ciò che si sottrae alla vista per la grande velocità. Il mezzo
tecnico sostituisce la percezione visiva e consente una sfaccettata differenziazione di
più processi temporali di per sé identici. In questo modo la tecnica sopraffà la
percezione umana delineando prospettive del tutto inquietanti.
Gli elementi e i materiali usati dall’artista possiedono uno straordinario potenziale di
ampliamento mentale. La sfera, con la sua forma plastica perfetta, suggerisce
associazioni contradditorie: concentrazione e movimento, aspetti ludici e bellici.
L’arsenale della potente flotta veneziana forse non si trovava un tempo nelle vicinanze
27
degli attuali Giardini? Il colore blu crea, da parte sua, una plasticità che pur essendo
caratteristica per Roman Signer, che predilige il rosso e il blu, si pone in contrasto
con il ferro e proprio per questo assume una poesia visiva autonoma. La durezza del
metallo si contrappone alla malleabilità della creta. Questo materiale di base usato
per la forma plastica rimanda alla manofattura classica, al plasmare oggetti da una
massa informe. Roman Signer sembra voler commentare con sottile ironia l’immagine
tradizionale della scultura, considerato che la forma definitiva scaturisce da un processo casuale, non determinabile: “Non mi è bastato collocare qualcosa di finito,
piuttosto ho sempre cercato il cambiamento. Sia che io stesso l’abbia messo in
moto o che sia stata la natura. […] Si tratta di un processo di lavoro, come quando
uno scultore stacca un pezzo da un blocco di marmo.” 13
Come è spesso il caso nei lavori di Roman Signer, le decisioni estetiche si limitano
alle condizioni quadro che sono state definite, all’interno delle quali la forma si plasma,
in un certo senso, da sé. Questo potenziale della deformazione e della conservazione
della forma, l’artista l’aveva già collaudato in uno dei suoi primi lavori, “Selbstbildnis
aus Gewicht und Fallhöhe”, risalente al 1972. Non è un ritratto in senso stretto, è
piuttosto anche qui il risultato di un processo: l’artista è saltato dall’altezza di 45 centimetri su un blocco di creta ancora umida lasciandovi distintamente impresse le sue
impronte. Questo ritratto – tra i primi dell’artista – è letteralmente la determinazione
della posizione artistica e manifesta, alla stregua dell’opera “Kabine”, la presenza
attraverso la non-presenza. Altrettanto presente è la caduta plurima che ha preceduto
il lavoro “Gleichzeitig”.
Bidone blu: un solco nel terreno
Uno stretto passaggio collega il grande spazio espositivo, che ospita l’installazione, alla
sala più piccola delle sculture. Questo tratto di collegamento serve da locale di proiezione, in cui è esposta la documentazione video di alcuni lavori dell’artista. Ma
Roman Signer sfrutta questo spazio anche come rampa per l’installazione nell’ultima
sala. All’alternarsi di strutture architettoniche – corridoio lungo e spazio quadrato –
l’artista ha reagito con l’installazione “Blaues Fass” (1999) che rappresenta l’incontro
tra una violenta energia cinetica e un campo concentrato: nel corridoio, su un
cavalletto, è installata una rampa, rivolta verso la porta, dalla quale rotola nel locale un
bidone, di colore blu con acqua. Il corridoio è rivestito con un pavimento di legno
compensato e disseminato di migliaia di sottili aste di legno di un metro di altezza. In
questo campo di aste il bidone massiccio apre un solco rovesciando il fragile telaio di
28
aste. La traccia nel campo visualizza i processi di rotolamento e rovesciamento.
A più riprese Roman Signer ha realizzato delle installazioni in cui un movimento mirato
viene a cozzare contro un campo statico. L’ultima volta è successo nella primavera
del 1999 con la “Sandinstallation” a “casa bill”, dove l’artista ha disposto in uno dei
locali espositivi uno strato di sabbia per poi aprirsi un varco con la pala da neve, dalla
porta alla finestra dirimpetto, e successivamente abbandonare l’attrezzo, come testimonianza del processo, davanti a questo collegamento con verso l’esterno. Il
movimento può tuttavia incontrare anche un secondo movimento. Nel 1993 alla
Kunsthalle di Wil l’artista fa rotolare e scontrare due bidoni collocati su due rampe,
posti uno di fronte all’altro, mediante accensione. Il movimento progressivo viene
improvvisamente arrestato dallo scontro. I due bidoni si scostano in due direzioni
differenti prima di fermarsi completamente. Lo scontro, un evento quotidiano nel
nostro mondo in movimento, è simulato dall’artista alla stregua di una disposizione di
laboratorio e diventa un codice generico della distruzione. Contrariamente a questo
scontro violento, un incidente nell’esperimento artistico in laboratorio, l’installazione
“Blaues Fass” denota una poesia sommessa. Crea immagini che risvegliano ricordi,
quando da bambini si giocava in mezzo all’erba alta di un prato o si vedeva la
mietitrebbiatrice aprire larghi varchi nei campi di grano.
Il mondo degli oggetti: immagini e metafore
“Kabine”, “Fahrrad mit gelbem Band”, “Fontana di Piaggio”, “Gleichzeitig”, “Blaues
Fass”: i titoli delle opere di Roman Signer denotano una schiettezza inconsueta. E
anche gli oggetti che l’artista utilizza per le sue sculture hanno un carattere elementare
ed un’economia esplicita: cassa di legno con tavolo e sedia, bicicletta, nastro di plastica, acqua, Ape, sfere blu, blocchi di creta, bidone blu, aste di legno. A prescindere
da alcune rare eccezioni – kayak, razzo, elicottero, ventilatore – ecco elencato il suo
intero repertorio di “materiali”. Tutti appaiono familiari e tutti hanno un riferimento
immediato e discreto al mondo. Con la differenza che Roman Signer di solito usa i
“suoi” materiali non nella loro funzione abituale, bensì inserendoli in processi complessi
o in eventi esplosivi, in grado di sprigionare un potenziale di stratificazioni sensoriali
delle più diverse, inerente al mondo degli oggetti. Attraverso la trasformazione artistica
ciò che è familiare diventa improvvisamente estraneo, ciò che funziona sembra insensato o addirittura assurdo. L’opera di Roman Signer rende visibili nel quotidiano sia
aspetti di profonda ilarità che aspetti sconcertanti e inquietanti.
Questo ricco potenziale associativo, sia in termini di immagini che di metafore, è
inerente agli oggetti. Ma è questa circostanza a contraddistinguere in modo decisivo
il lavoro di Roman Signer dalle tradizioni della “Process Art”. Se la cosiddetta “New
Sculpture”, sorta alla fine degli anni Sessanta, cercava di soppraffare eventuali livelli
sensoriali a favore della dinamica intrinseca del puramente materiale e dell’autonomia
della forma, allora Roman Signer riammette queste possibilità di immagini archetipiche significative e di metafore visive poliedriche. I suoi materiali sono pervasi di vita
vissuta e strettamente collegati alle sue stesse esperienze, ai ricordi di un’infanzia
trascorsa ad Appenzell, luogo natale, alla forza dell’acqua del fiume Sitter e ai
laboratori artigianali dei dintorni.
L’intera opera di Roman Signer si è infittita e caricata, in termini esistenziali,
attraverso il rischio immediato nell’azione ed è stata essenzialmente influenzata
dall’esperienza esistenziale concreta. Nella scelta precisa degli oggetti pervasi di
vissuto, nelle sculture che scardinano le dimensioni, il concetto plastico
contemporaneo si coniuga con la vita vissuta. La produzione artistica di Roman Signer
si definisce all’intersezione tra scultura contemporanea e codice esistenziale,
risultando esemplare per le complesse strategie dell’arte dei nostri giorni proprio per
questa sua sovrapposizione ostinata.
Konrad Bitterli
“Devo affrontare la fugacità. Forse è un sentimento tragico che porto con me, per le
cose assurde e insensate che noi esseri umani facciamo.” 14 Introducendo la
dimensione temporale, il trascorrere visualizzato del tempo, i suoi lavori assumono il
carattere di vere e proprie sculture momentanee, simboli contemporanei della vanità,
per così dire: “Le gocce, le esplosioni scandiscono gli attimi in cui nessuno può
essere.” 15 In questo luogo sospeso, tra presenza e assenza, l’artista plasma metafore
evanescenti quanto vincolanti, assurde quanto impressionanti delle energie
costruttive e delle forze distruttrici.
Con mezzi minimali, solo “caricando” il profano mondo degli oggetti, nell’opera di
Roman Signer si traduce una nuova forma di metaforica che è esemplare per l’arte contemporanea. Il suo lavoro prende spunto dalla tradizione della “Process Art” e si
ricollega a strategie artistiche contemporanee, ai tanto citati ibridi di arte e cultura del
quotidiano. Nella radicalità della ricerca artistica e nell’ostinata rivalutazione del
concetto di scultura degli anni Sessanta risiede il fascino immutato della sua opera
per l’attuale generazione di artisti. Roman Signer amplia la scultura non soltanto della
dimensione temporale; introducendo nell’arte il tempo reale la riallaccia alla vita, ma le
apre anche dimensioni decisive di tipo metaforico ed esistenziale. Queste si condensano nell’evento artistico, nel confronto fisico con le forze sia distruttive che costruttive
della natura che egli stesso ha scatenato. In questi lavori – “Kabine” ne è l’esempio –
si scarica il potenziale nell’attimo dell’esplosione, svanisce ciò che è passato nel
momento. Sfidare le forze della natura, esporsi direttamente ai rischi sono atteggiamenti che l’artista stesso ha una volta diagnosticato come “mania”.
“Mi interessa il pericolo, il fatto di essere vicino al pericolo. In fondo è come una
mania, un’ossessione, un’esperienza che devo fare; un tunnel, un rischio, una cruna
che devo oltrepassare.” 16
29
Note
1 Conversazione tra Roman Signer e Susanne Jacob, in: Kaspar König (a cura di): Skulptur.Projekte in
Münster 1997. Münster, Westfälisches Landesmuseum, 1997, p. 391.
2 Conversazione tra Roman Signer e Lutz Tittel, in: Lutz Tittel (a cura di): Treffpunkt Bodensee: Drei
Länder – drei Künstler. Friedrichshafen, Städtisches Bodensee-Museum, 1984, p. 83.
3 Roland Wäspe: “Spuren der Zeit. Zur kunsthistorischen Situierung der Skulptur von Roman Signer”, in:
Konrad Bitterli, Lutz Tittel, Roland Wäspe: Roman Signer. Skulptur. San Gallo, Museo d’arte, 1993,
p. 22.
4 Gerhard Mack: “Roman Signer”, in: Kritisches Lexikon der Gegenwartskunst. Monaco, n. 30/1995, p. 6.
5 Cfr. nota 2, p. 84.
6 Cfr. nota 2, p. 83.
7 Conversazione tra Roman Signer e Peter Liechti, in: Laurence Gateau (a cura di): Roman Signer. Mon
voyage au Creux de l’Enfer. Thiers, Creux de l’Enfer, Centre d’art contemporain, 1993, p. 6.
8 Cfr. nota 7, p. 7.
9 La stessa Ape era già stata impiegata per altri lavori; il viaggio si estende pertanto anche a Thun e
Thiers. Cfr. nota 7.
10 Già in passato Roman Signer ha realizzato una serie di progetti con l’acqua in spazi pubblici,
proponendo l’antica tradizione della fontana in chiave attuale. Cfr. in merito Elisabeth Keller-Schweizer:
Roman Signer. NICHT ausgeführte Projekte für den öffentlichen Raum. San Gallo, Typotron, 1994.
11 Cfr. nota 7, p. 6 e 11.
12 Colin de Land: “In Sachen Roman Signer”, in: Parkett, n. 45/1995, p. 156.
13 Conversazione tra Roman Signer e Gerhard Mack, in: Mack, 1995 (cit. alla nota 4), p. 14.
14 Cfr. nota 13, p. 15.
15 Cfr. nota 4, p. 10.
16 Cfr. nota 2, p. 90.
30
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1995
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in: Parkett, Zürich, No. 45/1995, p. 122–126.
Susanne Jacob: “Roman Signer – Wasser. Zwischen
Versuchsanordnung und Ereignis-Skulptur”, in: Kaspar
König, Ed.: Skulptur.Projekte in Münster 1997, Münster:
Westfälisches Landesmuseum, 1997, p. 390–395.
Colin de Land: “In Sachen Roman Signer”, in: Parkett,
Zürich, No. 45/1995, p. 154–156.
1998
Francesco Bonami, Ed.: Unfinished History, Minneapolis:
Walker Art Center, 1998, p. 88.
1999
Gerhard Mack: “Die Linie und die Gewalt. Anmerkungen
zu einigen neuen Arbeiten von Roman Signer”, in: Angela
Thomas, Ed.: Christian Herdeg, Tumi Magnússon, Roman
Signer, Bernard Tagwerker, Zumikon: haus bill, 1999,
p. 54–65.
Jean-Yves Jouannais: “Roman Signer: Prometheus’
Rückstand”, in: Parkett, Zürich, No. 45/1995, p.
117–119.
Christoph Doswald: “Skulpturale Versuchsanordnungen”,
in: Parkett, Zürich, No. 45/1995, p. 129–131.
Pia Viewing: “Bruch oder Kontinuität”, in: Parkett, Zürich,
No. 45/1995, p. 142–143.
Max Wechsler: “Aktion mit einer Zündschnur: Exkursion
einer Explosion”, in: Parkett, Zürich, No. 45/1995,
p. 144–146.
1996
Konrad Bitterli: “Roman Signer. Lineare Strukturen in
Raum und Zeit”, in: Grenzgänge der Zeichnung.
Jahrbuch ’96, Nürnberg: Institut für moderne Kunst, 1996,
p. 78–84.
1997
Max Wechsler: “Roman Signer. Aktion mit einer Zündschnur”, in: Paolo Bianchi Ed.: Atlas der Künstlerreisen,
Kunstforum International, Ruppichteroth, Vol. 137/1997,
p. 256–259.
Zeitschriften (Auswahl) / Selected Periodicals
1977
Fritz Billeter: “Roman Signers Spiel mit Energie und dem
Elementaren”, in: Das Kunst-Bulletin, Bern, No. 10/1977,
p. 17–22.
1981
Rudolf Hanhart: “Roman Signer, Filminstallation”, in:
Mitteilungsblatt der Kunstgesellschaft Zürich, Zürich,
No. 3/1981, p. 17–19.
1983
Bernhard Bürgi: “Roman Signer”, in: Das Kunst-Bulletin,
Bern, No. 10/1983, p. 12–15.
1987
Armin Wildermuth: “Aktionskunst in Aktion. Ein Bericht
aus Kassel”, in: Bulletin der Kulturwissenschaftlichen
Abteilung der Hochschule St. Gallen, St. Gallen,
No. 17/1987, p. 5–6.
1988
Tina Grütter: “Roman Signer – Skulpturen”, Begleittext
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