IL PRIMO ANNO DI SCUOLA: CONTINUITA` E NOVITA`

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IL PRIMO ANNO DI SCUOLA: CONTINUITA` E NOVITA`
IL DISEGNO
IL DISEGNO
IL SIGNIFICATO DELL’ESPRESSIONE GRAFICOPITTORICA NELL’ESPERIENZA DI CRESCITA DEL
BAMBINO NELLA PRIMA INFANZIA
Cristina Casaschi
1.
INTRODUZIONE
Immaginiamo, proprio nel senso di utilizzare un’immagine come un ausilio visivo, il bambino
come una stella a più punte, ognuna delle quali è sede di una determinata funzione psichica:
Emozione-sentimento
Immaginazione-intuizione
Emozione-sentimento
IO
Pensiero
sensazione
Questa stella può rappresentare non solo un bimbo, ma ciascuno di noi (Assagioli).
A seconda della fase evolutiva che attraversa, la stella utilizza strade, strumenti, strategie
differenti, grazie alle quali brillano e risplendono ora l’uno, ora l’altro raggio di luce da cui è
costituita, fino a creare un’armonia d’insieme, una “luce intellettual piena d’amore” (Dante)
Le punte della stella sono a contatto con il mondo, e da esso vengono sollecitate; tale
occasione d’incontro, che potremmo definire in termini un poco meccanicistici stimolo, viene
accolto, elaborato, metabolizzato, trasformato.
Lo scarabocchio prima, il disegno poi, sono “momenti storici” in cui questi processi
dinamici di reciproco scambio tra l’io e il mondo, che il bambino vive come quotidiana avventura e scoperta,
si catalizzano e si esprimono.
Dunque, un po’ è vero, contrariamente a quanto abitualmente si tiene a sottolineare, che i
prodotti grafici e i disegni dei bambini sono come fotografie; non sono tuttavia “fotografie” di ciò
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che è stato ritratto in termini oggettuali, ma fotografie del processo di incontro fra un Io e un Tu, fra un Io e
un contenuto intrapsichico, fra un Io e il Mondo delle Cose e delle Esperienze.
Dunque, sempre, il disegno o lo scarabocchio sono espressioni del sé, ma di elementi varii di
questo sé che si integrano, si sovrappongono, si alternano, si rincorrono…
Su tali elementi si sono concentrati i più autorevoli studi sullo sviluppo e sul significato del
tratto e del prodotto grafico dell’infanzia, ma in questa prospettiva è inevitabile la settorialità; c’è chi
si è concentrato nello sviscerare l’aspetto simbolico, chi i segnali di progresso cognitivo, chi la
prospettiva di orientamento spaziale, chi nell’analizzare i contenuti emotivi o i criteri estetici…
L’analisi perde di vista la sintesi, si guarda la stella solo da una prospettiva particolare, e si
perde di vista la bellezza complessa e misteriosa della sua luce.
Il primato dell’educazione sulla psicologia, se di primato si può parlare, è che agli educatori è
dato il privilegio di incontrare l’Altro da Sé, in questo caso il bambino, come un tutto, in una
prospettiva olistica che contempli la complessità delle dinamiche psichiche, fisiche, emotive,
cognitive che si dipanano, dando vita ad un tutto unico ed irripetibile.
In sintesi, perché apprezziamo la stella nella sua luce, occorre che sappiamo fare, per un
attimo, buio intorno, come quando si spengono le candeline del compleanno; fuor di metafora, di
fronte al bambino l’educatore, oltre a dovere e volere comprendere – ma su questo in questi ultimi
anni si è tanto lavorato nella costruzione della professionalità educativa - occorre sviluppare quella
che Jhon Keats (concetto ripreso poi da Bion) definiva la “capacità negativa”, ovvero la capacità
di tollerare di non sapere e non comprendere.
Dobbiamo recuperare la dimensione dell’accoglienza e del silenzio.
Dobbiamo rieducarci a contemplare le stelle.
2.
TRE ESEMPLIFICAZIONI
Il Piccolo Principe (cfr. pagg. successive)
I primi due capitoli parlano da soli. E contengono un insegnamento esplicito, essenziale e
diretto sull’espressività infantile e sul suo rapporto con un mondo adulto distratto.
Francesco
Nel mio primo lavoro di classe, era una prima elementare in cui entravo come supplente a
lungo termine, assegnai un disegno da compiere; si trattava di un bimbo che saltellava allegro con
l’ombrello aperto sotto la pioggia. Tutti i bimbi consegnarono il proprio lavoro tutto tinteggiato,
allegro, pieno di colori... Di Francesco mi era stato detto che era un bambino difficile, aveva da
poco perso il papà ma anche precedentemente a questo evento luttuoso dava segnali di allerta,
avevo insomma strutturato nei suoi confronti un “pregiudizio”, dettato dalle migliori intenzioni di
potergli venire in aiuto, ma pur sempre un pregiudizio. Quando venne a consegnarmi la sua scheda,
notai che il cielo era bigio, lo sfondo grigio, l’ombrello nero… Miscelando la mia infarinatura
psicologica al mio pregiudizio, con voce suadente, piena di ipotesi che facilmente potrete
immaginare, gli chiesi come mai avesse colorato tutto con tinte così cupe. Candidamente mi rispose
che il suo ombrello era nero, e che quando piove il cielo è grigio. Fine del commento. Tra 25 bimbi
e una maestra, Francesco era stato l’unico fedele al messaggio rappresentato nel disegno, ed io mi
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ero inventata chissà cosa... Insieme a quello che esporrò subito oltre, quella fu la più grande lezione
che ricevetti sul disegno infantile, e sulla psicologia applicata all’educazione.
G.B.
In quei tempi una psicologa accompagnava il nostro percorso professionale con momenti
formativi, e io le chiesi se poteva aiutarci ed insegnarci ad interpretare i disegni dei bambini (la
tentazione dello psicologismo incombeva già allora…).
Lei mi rispose che non era uno strumento utile per noi, che lo lasciassimo agli studi
psicoterapeutici, che, nel nostro quotidiano, noi avevamo tali e tanti strumenti e occasioni di
incontro con il bambino, le sue problematiche e le sue risorse che l’interpretazione dei disegni
avrebbe solo potuto portarci fuori strada, spingendoci a classificare e a guardare un prodotto invece
che una Persona. Lì per lì mi risentii ma mi fidai, e, dopo tanti anni, avendo approfondito gli studi in
materia, posso solo essere grata di quel richiamo alla cogenza ed al valore della quotidianità,
annotazione che rivolgo anche a chi legge, da tenersi come cornice di tutto quanto in modo più
tecnico andrò ora ad accennare.
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3.
LE FUNZIONI DEL DISEGNO
Le funzioni che lo scarabocchio e il disegno assolvono per il bambino possono essere,
nell’ottica olistica sopra tracciata, così sintetizzate:
∗ Piacere ludico
∗ Piacere motorio
∗ Piacere visivo
∗ Espressività
∗ Elaborazione della conoscenza
∗ Comunicazione
Quindi il disegno è al tempo stesso:
∗ Segno, ovvero una “spia” dell’evoluzione del bambino
∗ Strumento, ovvero un mezzo per svilupparla
Percezione
Memoria
Fantasia
Cinestesi
Creatività
Comunicazione di sé
vengono potenziati da questa attività
Ma attenzione: il SEGNO, per sua natura, svela e vela, quindi non è mai esaustivo, rimanda ad
altro, è uno degli indicatori che illuminano la scena.
Dunque il disegno acquista un’importanza formativa non solo in termini di “espressione” e
“rappresentazione”, ma anche in quanto attraverso di esso il bambino “arriva ad elaborare ed esporre in
maniera sintetica alcuni soggetti e problemi che affiorano disordinatamente da più parti del mondo circostante e che il
bambino riesce ad isolare e rappresentare con strutture più organiche e corrette” (A.. Oliverio Ferraris)
Inoltre il disegno può avere – e non solo per il bambino - anche valore catartico, e non si
aggiunge altro su questo importante e delicato aspetto rimandando il lettore ad approfondimenti
necessari ma non inseribili in una relazione che, come la presente, intende solo offrire spunti,
sollecitare domande e non certo esaurire le risposte.
L’espressione grafica del bambino ha una sua sintassi che segue criteri associativi ed
analogici, ove i criteri logici e consequenziali, euclidei e cronologici che orientano l’adulto sono in
secondo piano, quando non del tutto assenti. Ciò non inficia, anzi esalta l’espressività, ma per
avvicinarvisi occorre parlare la stessa lingua del bambino e rispettare la sua grammatica
espressiva.
Altrimenti sarebbe come leggere Shakespeare attraverso una traduzione approssimativa (ma
senza andare lontano: avete mai letto le istruzioni di funzionamento di un attrezzo tradotte in
italiano maccheronico? Sebbene le parole utilizzate siano italiane, il significato complessivo della
spiegazione risulta spesso del tutto incomprensibile!)
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4.
LE “REGOLE” DELLA MODALITÀ ESPRESSIVA
Osserviamo le fasi di sviluppo di questo meraviglioso processo che più frequentemente
possono essere osservate nel corso della scuola materna
a.
SCARABOCCHIO
(18-20 mesi)
L’essere umano lascia traccia; all’inizio giochiamo con le tracce sonore (pianto, gorgoglio,
lallazione…) e ne traiamo soddisfazione, ma la traccia sonora, seppure spesso immediatamente
efficace per attirare l’attenzione dell’adulto, passa e va, e la traccia si dissolve.
Poi accade “L’incontro fortuito di un gesto con una superficie che lo registra” (Widlocher in Quaglia),
sulla sabbia, sul foglio… ed inizia un gioco tra sé e sé, il cui ruolo sociale è ancora di là da venire.
L’energia e l’entusiasmo sono grandi, il controllo motorio limitato, e nel gioco ci si allena, e tutto il
corpo partecipa …
Circa sei mesi dopo l’inizio dello scarabocchio, avviene un fatto importantissimo: il bambino,
in termini che tecnicamente definiremmo di feed-back, collega la propria sensazione cinestetica al
segno prodotto.
Così inizia a controllare i propri movimenti in rapporto al segno grafico che vuole lasciare con
sempre maggiore intenzionalità.
Da questo punto in poi si svilupperanno:
∗
Il disegno espressivo
∗
L’imitazione della scrittura (intenzionalità sociale imitativa)
Ciò che lo affascina della scrittura è la ritmicità del tratto:
Paul Klee affermava “…Prendere una linea per passeggiare…”
Gioco, piacere puro, motorio, visivo (R. Kellog), globale del corpo inteso come unità
biopsichica.
La variabilità individuale, quella che poi definirà lo stile personale, è evidente fin dall’inizio (il
tratto più leggero e limitato nello spazio, o più marcato e centrale od espansivo indicano già tratti
temperamentali, emerge la modalità globale di atteggiarsi nei confronti della realtà.
Siamo alla base dello sviluppo estetico attraverso il quale, secondo Read, potrà esservi
integrazione ed organizzazione tra percezione, cognizione ed emozione.
Verso i 2 anni appaiono segni circolari, ad angolo, vi è ancora la tendenza a non staccare la
matita ed a superare i margini del foglio.
Per R. Kellog, una delle studiose più appassionate del disegno infantile, anche se forse non la
più autorevole (si veda bibliografia per avere altri utili riferimenti in merito) il bambino a due anni
possiede tutto “l’alfabeto” grafico necessario per le successive fasi di sviluppo, che conterranno in
sé gli esiti delle fasi precedenti; esso è composto da 20 segni (definiti schematismi) fondamentali ed
universali, che poi il bambino compone in varie successive formazioni, tra cui i “mandala” di
archetipica e junghiana memoria, secondo l’autrice e la sua scuola di riferimento, segno d’armonia e
proporzione.
A 2 anni e mezzo la matita non scivola più seguita dallo sguardo ma lo sguardo, esprimendo
l’intenzionalità psichica ed espressiva, guida riccioli, cerchi multipli, ripetizione di forme, forme
aperte che si chiudono…
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Importante è l’acquisizione del doppio controllo, cioè del controllo della partenza e dell’arrivo,
per cui le forme iniziano a definirsi i modo compiuto.
b.
STADIO PRESCHEMATICO
(Per Lowenfeld da 4 a 7 anni, per altri autori, con altra definizione ma medesime
caratteristiche identificate, dai 3 anni)
Verso i 3 anni (ma anche a 2 e mezzo nelle situazioni di stimolo) il bambino inizia a usare il
disegno per esprimere sensazioni interne vissute intensamente.
La forma chiusa esprime una unità-oggetto, a volte anche una unità-esperienza
Aumentano i tracciati verticali, che secondo la quasi totalità degli autori indicano un aumento
dell’assertività, dell’affermazione di sé, aspetto che concorda con la fase di sviluppo e di “ingresso
nel mondo sociale e di comunità”
Appaiono i “quadrati”, i “soli” ed il bambino nomina ciò che rappresenta, cercando la
presenza e la condivisione da parte dell’adulto.
E’ evidente il desiderio di dirsi, di raccontare di sé, tanto è vero che lo stesso “disegno” viene,
a distanza di poco tempo, raccontato in un modo, o in un altro.
In questa fase si sviluppano due atteggiamenti: RIPETIZIONE – consolidamento di un tema
o di un modello grafico individuato per il piacere del riprodurre, per il piacere di rivedere un
soggetto familiare e per sentirsi sicuro - e VARIAZIONE del tema, fascino della novità,
dell’esplorazione, della sperimentazione.
Non cambia tanto, dunque, la natura del tracciato quanto il significato espressivo che il
bambino gli attribuisce e che vuole iniziare a condividere.
L’era del disegno vero e proprio avviene nel passaggio tra il realismo “fortuito” (somiglianza
casuale con il soggetto rappresentato) a quello “intenzionale”, cioè il bambino inizia a correggere,
costruire, completare la forma.
A cavallo del compimento del quarto anno abbiamo rappresentatività organica, lo schema
della figura umana (di cui tratteremo oltre), qualche lettera dell’alfabeto.
Si inserisce, a vari livelli, l’uso del simbolo.
In questa fase il bambino utilizza una sintassi analogica, quindi pochi tratti indicano uno o più
oggetti; inoltre il bambino “vede” gli aspetti della realtà che sente corrispondenti, da cui si sente
“colpito”, e “vede” ciò che è aiutato a guardare.
Tale “sguardo” va educato, accompagnato, è insito e naturale nell’uomo ma non è affatto
automatico che si compia, si spalanca in una compagnia, e ogni educatore sa bene che questo è
compito specifico della sua esperienza quotidiana.
Il bambino, poi, a volte “ignora” nella sua espressione grafica (giustamente secondo la sua
grammatica interna) aspetti che a noi possono sembrare importanti, così come, viceversa, mostra
elementi che non dovrebbero vedersi secondo la prospettiva grafica dell’adulto (fenomeno della
trasparenza), o infine sottolinea aspetti all’eccesso.
Il tutto per ottimizzare e rendere essenziale la resa espressiva.
A volte conosce molti più particolari di quelli che disegna, e non li inserisce non perché non
ne sia capace “cognitivamente”, o “graficamente” (tanto è vero che se gli si richiede esplicitamente
di aggiungere particolari è, a suo modo, in grado di farlo), ma perché sono superflui in rapporto
all’espressività desiderata. Anche la trasparenza viene presto superata, su forzatura dell’adulto,
attenendosi maggiormente all’oggetto, ma ciò a scapito di quello che il bambino vuole esprimere
(scuole sovietiche di qualche anno fa, copia dal vero, assenza del fenomeno della trasparenza)
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Il bambino disegna non quel che vede ma quel che sa, quello che vive.
c.
SCHEMATISMO
A 6\7 anni secondo la letteratura, anche a 5 secondo la mia esperienza, entriamo nella fase
(queste classificazioni sono formali, esclusivamente funzionali alla comprensione del dipanarsi di un
processo) del cosiddetto
Questa è la fase del cosiddetto “realismo intellettuale”nome che nella nostra esperienza non
rappresenta bene la complessità dell’atto creativo, ma che è definito così in contrasto con il
successivo passaggio, quello del “realismo visivo” (rappresentazione fedele, geometria euclidea, età
successive).
Appare la linea di terra laddove prima le forme erano fluttuanti (segno di una progressione
logica), si evidenziano le cosiddette “rappresentazioni canoniche” per le quali ogni oggetto ha una
preferenziale forma di rappresentazione che ne esprime l’aspetto “dinamico” (persona e casa di
fronte, pesce, animali, automobili di profilo…).
La bidimensionalità del foglio viene facilmente superata, e su un A4 (sebbene sarebbe sempre
bene proporre formati diversi ai bambini) si può raccontare una storia completa.
In fondo, anche in ambito artistico la prospettiva, per intenderci, ratificata e formalizzata da
L. B. Alberti è una delle modalità per esprimere la profondità e la spazialità; avvicinare il bambino a
modalità artistiche non convenzionali in termini di prospettiva tradizionale, aiuta il bambino a
esplorare ulteriormente queste ricerche espressive ora per lui naturali.
Secondo Gardner possiamo riconoscere bambini “narrativi”, che dal disegno prendono
spunto per sviluppare una storia, un racconto, un’interazione comunicativa con un adulto disposto
ad ascoltare, e i bambini “grafici”, che indugiano nel segno grafico, e lì si appagano.
Alcune figure simboliche, seppure non presenti nel concreto esperienziale del bambino
(dinosauri, coocodrilli, astronavi…) vengono “utilizzate” per esprimere contenuti emotivi.
Lo stereotipo, utile per esprimere in certo modo fattori conoscitivi e di accrescimento e per
fornire sicurezza, in questa fase diventa problematico laddove segnala una estrema povertà di
stimoli e soprattutto quando si fissa in modo immodificabile; in tale caso blocca l’avanzamento
evolutivo, è frenante e regressivo.
Gli stereotipi tratti dai cartoni animati giapponesi o simil tali, a mio giudizio, sono quanto di
più deleterio posa esserci, sono la morte dell’espressività.
Questa fase da molti autori è definita “l’età d’oro” dell’espressività infantile; ricordando che il
bambino non tende tanto a rendere riconoscibile l’oggetto, quanto l’esperienza del soggetto.
Ed ora qualche accenno ad aspetti specifici
5.
IL COLORE
Immaginazione, emozione ed affettività sono gli ispiratori dell’uso del colore; l’incontro con
la realtà e l’esperienza amplifica ed arricchisce tale utilizzo. Il bambino conosce il colore del cielo, e
se lo disegna arancione ha nella maggior parte del caso ottimi motivi per farlo, che non
appartengono alla logica fotografica cui erroneamente spesso ci riferiamo.
Uno pseudo-realismo troppo precoce può esprimere rigidità (il prato sempre verde, così
come dello stesso verde le foglie dell’albero); molto più interessante rispetto al correggere, o, se
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volete, suggerirgli il colore giusto per le foglie, è far fare al bambino esperienza delle foglie in
autunno, toccandole, guardandole, rotolandovicisi….
Di contro, spesso ad un certo punto il bambino percepisce il colore come una “proprietà”
contingente dell’oggetto, e questo giustifica anche alcuni schematismi a cui il bambino sceglie di
attenersi (il cielo è azzurro, sempre e comunque).
Se il bambino pare interessato ad esprimersi attraverso il colore, occorre però che anche del
colore puro, in termini di materia e percezione, possa fare esperienza, e allora sarà importante il
materiale che gli offriremo; matita o pennarello facilitano la traccia, il segno, la costruzione della
forma, il pennello che scorre riempiendo una superficie ampia di colore è tutt’altra cosa,
PROVARE PER CREDERE, e l’invito a provare non è demagogico, è un augurio sincero di poter
esperire in prima persona l’esperienza che vogliamo permettere ai bambini di vivere.
Il monocromatismo va guardato con attenzione, mia figlia colora tutto di rosa, ma perché lei
si sente “lolissssssima!!!” (rosissima), e non è una scelta univoca; se il colore diventa una prigione,
occorre approfondire la lettura dello stato di possibile incrinatura del benessere del bambino.
L’assenza del colore od il limitarsi costantemente ad uno o due colori, contro i cinque
mediamente usati in un disegno, può essere indice di fatica nell’apertura alla relazione interpersonale
e sociale.
Allo stesso modo vanno guardate con attenzione le costanti cancellature del proprio prodotto
attraverso l’uso del colore o del tratto forzato (fino magari a bucare il foglio…).
Sui colori molti autori concordano; ad esempio il nero è letto generalmente come segnale di
tristezza, o depressione, o periodo cupo, ma è grave e generalizzante, oltre che improprio,
arrischiarsi in associazioni ardite. A volte, seppure ciò possa sembrare banale (ma prima di dirlo
invito a verificare!) il nero è scelto perché è il pennarello che lascia la traccia più netta, o perché è
quello che scrive meglio, o perché la mamma scrive sui suoi fogli in nero…
Inoltre l’uso del colore è condizionato dal contesto ambientale di riferimento (es. etnia).
Il discorso sul colore, così come tutto ciò che qui è solo in abbozzo, merita un ben più
articolato approfondimento, che si invita tutti a percorrere, partendo non tanto dalla lettura dei
disegni infantili, ma dal proprio rapporto con il cromatismo.
6.
USO DELLO SPAZIO E PROPORZIONI TRA LE FORME
La modalità di uso dello spazio del foglio che il bambino applica spesso è segno dello stile
personale, e si ritrova nel tempo, a volte è legato a vissuti momentanei.
In ogni caso, un uso dello spazio ampio, arioso e armonico è indizio di una buona e ben
integrata facoltà percettiva.
Ogni età poi ha parametri di osservazione diversi; se ad esempio un bimbo piccolo, nella fase
dello scarabocchio, esce dal foglio, ciò può essere segno di un naturale impaccio motorio, o meglio
di un non ancora compiuto coordinamento oculo-manuale; se la stessa manifestazione appare in un
bambino più grande, essa può per esempio indicare un’insofferenza al senso ed all’esperienza del
limite, e ad esempio una mal tolleranza dell’autorità, o in altri casi ancora può essere indice di
insicurezza e bisogno di essere “condotti per mano”, quindi è molto difficile classificare; Quaglia
afferma: “Nulla può essere più dannoso e controproducente di una lettura frammentaria o dei singoli elementi del
disegno.”
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L’uso di uno spazio ristretto e limitato corrisponde un poco al rappresentare la figura umana,
che spesso in termini proiettivi rappresenta sé, come piccolissima; potrebbe essere segnale di
disistima di sé così come di disorientamento.
La preferenza delle parti superiori od inferiori del foglio, così come la sinistra e la destra,
secondo gli studiosi è legata a precise condizioni emotive o di rapporto con il mondo (es. sinistra
più melanconico e legato al passato e all’esistente, destra più fiducioso e proiettato in avanti), ma le
variabili sono tali e tante che è difficile acquisire l’elemento da osservare in modo così puro da
poterlo considerare altamente significativo una volta eliminate le variabili di contesto; ad esempio, se
un bambino è mancino, alcuni di questi parametri vanno modificati.
Sul centro possiamo invece dire con un certo margine di attendibilità che è indizio di
centratura del sé e dei propri sentimenti (torniamo all’esempio degli scarabocchi)
È interessante anche osservare la progressione del disegno; ad esempio è stato notato che il
primo personaggio che viene disegnato (poniamo per esempio nel disegno della famiglia) è il
personaggio valorizzato, cioè a cui si dà grande importanza, da notarsi anche i personaggi omessi!
(ad esempio, anche se io non credo nella gelosia fraterna a tutti i costi, l’assenza di un fratellino!!)
Solitamente l’aspetto valorizzato è posto al centro della scena, e frequentemente diventa il
“centro d’azione” intorno a cui si sviluppa l’ispirazione.
Anche le proporzioni hanno la loro pregnanza, se un fiore ed una casa sono alti uguali, ciò
può ad esempio esprimere che entrambi sono tenuti in pari considerazione dal bambino, e non che
non conosce cognitivamente la differenza di proporzione reale tra i due oggetti! L’arte bizantina da
questo punto di vista insegna!
A volte invece, disegnarsi molto grandi, oltre all’evidente considerazione di sé, può viceversa
esprimere un atto compensatorio.
7.
LINEA
La linea contiene in sé una potente carica di espressività dinamica; molti autori nella fase dello
scarabocchio, a volte anche onomatopeico, parlano di linee “buone” e di linee “cattive”, dove per
linee buone si intendono quelle più morbide, tondeggianti, per linee cattive quelle aspre, spezzate,
tese ed appuntite.
Da Anna Oliverio Ferraris :“Vi sono alcune semplici regole generali di interpretazione valide per i
tracciati dei disegni (…): il benessere e il rilassamento allargano e arrotondano i movimenti ed i rispettivi tracciati; la
vitalità si esprime in segni ricchi ed abbondanti spinti verso l’alto; il malessere restringe, comprime; l’aggressività
esaspera, spezza determinando punte e svolazzi; la sensibilità affina e diversifica i movimenti, dando al tratto un
piacevole chiaro-scuro. (…) In generale la forza e l’intensità del tratto sono indicativi sia dell’energia del soggetto che
dello stato emotivo al momento dell’esecuzione del disegno”.
8.
OMINO (es. 17)
La struttura di base dell’omino appare tra i tre ed i quattro anni.
All’inizio la testa rappresenta il tutto, e ciò dipende sia da ragioni cognitive (la forma chiusa
esprime un senso compiuto), sia perché la testa è sede importante di contatto con l’esterno
attraverso gli occhi, che sono il primo polo d’attrazione esterno per il neonato.
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A volte contiene anche l’ombelico e da essa si dipartono gli arti superiori che, quale altro
canale privilegiato di interazione con il mondo, spesso hanno mani grandi e piene di dita,
rappresentate come il sole, e come la testa stessa.
Secondo alcuni studi la testa è spesso grande perché valorizza l’identità consapevole del
bambino, secondo altri perché “ci devono stare tante cose”, secondo altri ancora perché è da essa
che il bambino parte, le altre parti vengono sacrificate in base allo spazio disponibile.
Successivamente, dalla testa si dipartono le braccia, che terminano con mani a “sole” (tondi
con innumerevoli “raggi-dita”); la mano indica il rapporto d’incontro, anche sensoriale, con il
mondo; una loro sistematica assenza, sposata ad altri indizi di ritiro, va approfondita.
Quando compaiono anche le gambe, e ciò accade in modo buffo e interessante quando ad
esempio le gambe sono lunghissime (da gigante delle 7 leghe), abbiamo il cosiddetto omino
“girino”, che rappresenta ciò che dell’uomo per il bambino è essenziale dire.
Il tronco non svolge secondo la percezione del bambino una funzione attiva nei confronti del
vivere le proprie esperienze, e dunque viene “by-passato”, seppure il bambino sappia di averlo.
Spesso compare quando va rappresentato un particolare abbigliamento (colletto, bottoni,
tasche), perché se esso va evidenziato, diventa utile rappresentare il tronco.
Ciò accade verso i 4, 4 anni e mezzo.
A 5 anni il bambino-omino è in piedi (segno dell’acquisizione di un sempre più compiuto
orientamento spaziale), e appaiono le orecchie, spesso grandi per il piacere della scoperta. Compare
il collo e le proporzioni diventano mediamente tali per cui l’altezza è circa quattro volte la larghezza.
La rappresentazione di profilo e del movimento appare verso la fine della fase preschematica
ed utilizza sia il protendersi in avanti, che il ribaltamento, che rappresentazioni complesse. La
progressione dell’orientamento laterale non è contemporanea per tutte le parti del corpo; prima si
girano i piedi, poi gli arti, solo infine la testa.
Interessante tenere d’occhio eventuali ripetuti “incapsulamenti” (in macchina, in un uovo, in
una cabina, che saltano la corda) dei protagonisti dei disegni; possono essere indicatori di una
necessità di difesa o una tendenza all’isolamento.
Secondo le ricerche effettuate, risulta che la figura umana è il soggetto più rappresentato dai
bambini, seguito da animali, case, mezzi di trasporto (automobili, aerei, barche), fiori, ma questa
evidenza appartiene alla quotidianità di ogni educatore! Voi lo sapete già!
9.
LA POSIZIONE DELL’ADULTO
Il desiderio comunicativo del bambino va accolto con estrema cura ed attenzione, come un
dono prezioso potente e fragile al tempo stesso.
L’educatore in particolare, ma a questo andrebbero formati anche i genitori, deve essere
consapevole che qualunque commento dell’adulto lascia traccia.
Quando ad esempio lo scarabocchio è ancora un gioco “tra sé e sé”, l’ingerenza dell’adulto
che valorizza eccessivamente, o chiede spiegazioni, fa leva sul piacere che il bambino prova nella
ricompensa in termini di gratificazione, e quindi rischia di far migrare il piacere dall’atto stesso alla
gratificazione che l’adulto rispetto a questo dà; successivamente invece, nella fase dello scarabocchio
significante e del disegno, spesso il bambino cerca nell’adulto un interlocutore, che però deve
imparare a porsi in ascolto della lingua del bambino imparando a comprenderla e senza volerla
tradurre o codificare nella propria; ad esempio, pensiamo a quanto detto sulla grammatica del
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disegno, e su quante volte noi entriamo a sproposito dicendo “manca questo, quest’altro è troppo
grande, ma non è di questo colore!…”. Nella scuola materna sono tali e tante le occasioni di
apprendimento e verifica dello stesso che almeno l’area del disegno libero può essere mantenuta
scevra da queste forzature!
Il bambino impara in fretta ad adeguarsi all’immagine che l’adulto gli propone, ma l’adulto
spesso ha la presunzione di proporre un modello “più adeguato” magari solo perché non coglie il
valore del Mistero che gli sta d’innanzi.
Notate ad esempio come spesso è diversa l’espressività contenuta nei disegni liberi o in quelli
“su consegna”! Se il bambino vuole accontentare l’adulto, perderà di vista il suo desiderio
espressivo.
La paura di sbagliare frena lo slancio espressivo e spinge al conformismo. Utile invece
proporre incontri con materiali ed esperienze artistiche vere, cariche di umanità e stimolanti.
Rispetto al porre domande chiuse, dunque, è molto meglio se l’adulto invita il bambino a
“raccontargli” il disegno, e se lo dota di materiali e strumentalità adeguate a poter esprimere la sua
espressività in modo sempre più compiuto e libero (tipi di carta, tipi di materiali che colorano, tipi di
materiali che permettono di rappresentare le forme, possibilità e posizioni per l’utilizzo dei
materiali…).
Così, va rispettato senza continue interruzioni, il momento di “reverie” in cui il bambino si
trova quando disegna con particolare impegno; sono momenti “magici” in cui il bambino è tutto
assorto in un’attività di consolidamento dell’esperienza preziosissima…
Un giorno dell’inverno 1882-83, tornando dalla Certosa di Bologna, fui costretto da una pioggia dirotta a
riparare sotto il portico che conduce a Meloncello….” (Quaglia).
Così Corrado Ricci, futuro storico e critico d’arte, ci esprime la pregnanza e la concretezza di
un’incontro (grazie al quale avrà modo di osservare dei disegni di bimbi che faranno nascere in lui
tutto un interesse) all’inizio del suo libro sull’arte infantile; se sapremo porci di fronte al bambino e
alle sue creazioni con questo stupore così presente da essere identificabile in un momento preciso,
così forte da farci mettere da parte i nostri preconcetti e i nostri schemi, così puro da mostrarci che
nelle piccole cose sono presenti le meravigliose, il mondo del disegno infantile ci si spalancherà
innanzi.
La condizione più importante per favorire l’espressività del bambino è garantire l’esistenza di
un ambiente vivo, che appassioni prima di tutto me adulto, e di vivere insieme delle esperienze
(quanto è che non ci cimentiamo in una pittura o in un disegno libero?)
Non si tratta dunque di “studiare” i disegni, ma di un Io e un Tu che condividono
un’esperienza, cioè che, insieme, vanno incontro alla vita ricordando che, come diceva R. Guardini
citando Goethe, non si cammina solo per arrivare, ma anche per vivere, mentre si cammina.
10.
BIBLIOGRAFIA
La bibliografia sul tema è vastissima e ricca di sfaccettature; a volte presenta anche una
“manualistica che illude una facile ed immediata interpretazione del disegno, non sempre quindi
utile; si indicano dunque pochissimi titoli tra i più recenti o i più significativi; alcuni dei più
stimolanti sul tema sono difficilmente reperibili perché fuori edizione.
Il testo “Solo lo stupore conosce” riguarda la ricerca scientifica, ma con un’attenzione allo sviluppo
creativo del pensiero, anche se in ambito scientifico, tale per cui la si propone come una validissima
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C. CASASCHI
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IL DISEGNO
lettura di arricchimento personale per ogni educatore, seppure non immediatamente pertinente al
tema.
Si suggerisce anche la lettura o ri-lettura de Il piccolo principe di Alexandre de Saint-Exupéry.
Scuola Materna: relazione e creatività, a c. di Rosi Rioli,Milano, Diesse, 1993
M Bersanelli, M Gargantini.Solo lo stupore conosce in L’avventura della ricerca scientifica
Milano, Bur, 2003
D. Goleman Lo spirito creativo Milano, Rizzoli, 1999
V.Lowenfeld L’arte del vostro bambino Torino, La Nuova Italia, 1960
C. A.Malchiodi Capire i disegni infantili Centro Scientifico Editore, 2003
A.Oliverio Ferrarsi Il significato del disegno infantile Bollati Boringhieri, 1978
R.Quaglia Manuale del disegno infantile in Storia, sviluppo, significati Bologna, Utet,
2003
Read H. Educare con l’arte Comunità, 1969
Vigotskij L. S.Immaginazione e creatività nell’età infantile Editori Riuniti, 1973
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