Dimenticare non significa condonare

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Dimenticare non significa condonare
12 Marzo 2014 • Pagina 1
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… Dimenticare non significa condonare
È passato più di un anno dall’elezione di Shinzō Abe alla
carica di Primo Ministro giapponese e dal lancio della sua
politica economica, che la stampa finanziaria ha
ribattezzato Abenomics. Da allora gli operatori del mercato
ne hanno riscontrato i chiari effetti sul fronte del
deprezzamento della valuta e del netto rinvigorimento del
mercato azionario del paese. Nel 2013 la crescita
economica in Giappone è stata tra le più sostenute al
mondo e la più consistente tra i mercati sviluppati. In realtà,
gli investitori e la stampa erano tanto entusiasti degli ottimi
risultati delle prime fasi del programma di Abe, che
l’enorme debito pubblico del paese, tra l’altro in costante
aumento, sembrava quasi essere stato dimenticato.
Dopo tutto, se il Giappone riuscisse realmente a stimolare
la crescita e a far aumentare le aspettative d’inflazione
potrebbe ridurre questo colossale debito pubblico, giusto?
Per dare una risposta esaustiva a questo interrogativo non
basterebbe un intero libro (o addirittura due). Quindi
vorremmo concentrarci sulle ragioni per cui il Giappone è
riuscito a mantenere un debito tanto elevato e un contesto
di tassi d’interesse così bassi tanto a lungo e sulle possibili
conseguenze di un’accelerazione della crescita e
dell’inflazione.
Prendendo in considerazione solo le stime dell’FMI sul
rapporto debito/PIL degli Stati membri dell’OCSE,
osserviamo che nel 2013 tale dato era compreso tra circa il
94 e il 176% per i paesi europei periferici, mentre per il
Giappone era di ben il 243%. Quindi, il rapporto debito/PIL
del Giappone supera di oltre il triplo la media dei paesi
dell’OCSE (75,5%) ed è di gran lunga il più elevato tra i
paesi sviluppati. Il grafico 1 illustra in modo efficace
questo divario, anche se a scopo dimostrativo ci
concentriamo unicamente sui paesi dell’OCSE che
evidenziano un rapporto debito/PIL superiore alla media
dell’OCSE per il 2013. Ciononostante, finora il Giappone
non solo è riuscito a evitare crisi fiscali di entità pari a
quelle che hanno colpito la periferia europea, ma anche a
beneficiare di tassi d’interesse nominali estreamente bassi:
l’ultima volta in cui il rendimento dei titoli nipponici a 10
anni ha nettamente superato il 2% è stata nel 1999.
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Source: Bloomberg, IIMF, ETHENEA
Grafico 1: Rapporto debito/PIL di alcuni paesi dell’OCSE
La spiegazione più semplice per la sostenibilità dell’elevato
debito
pubblico osservata in passato è una combinazione di
tre fattori: una fase prolungata di crescita debole,
un’inflazione
estremamente contenuta o persino negativa e
un
elevato
tasso
di risparmio nazionale (con un forte home
bias). L’Abenomics punta a stimolare sia l’inflazione che la
crescita,
il che pone il problema della determinazione dei
tassi d’interesse.
Va detto che, con la politica di tassi zero e un’inflazione
dell’indice dei prezzi al consumo nazionale inferiore al
2,5%
per quasi 25 anni, il paese ha beneficiato di tassi
d’interesse nominali contenuti che hanno contribuito a
tenere
sotto controllo il costo del servizio del debito,
almeno
dal punto di vista dei flussi di cassa. Alcuni
potrebbero obiettare che in realtà ciò che conta è il tasso
d’interesse
reale, in particolare alla luce del contesto
deflazionistico del Giappone negli ultimi decenni. Tuttavia,
l’autore
ritiene che ciò sia vero solo in parte: i tassi
d’interesse
reali sono importanti, ma ciò non significa che i
tassi d’interesse nominali non lo siano. Questi ultimi in
realtà
determinano il piano di ammortamento implicito del
rimborso del capitale, il che è particolarmente importante
gli organismi i cui deflussi per il servizio del debito
per
assorbono
una quota ingente degli afflussi di liquidità (nel
caso del Giappone, da soli i pagamenti degli interessi sono
pari
a un quarto dell’attuale gettito fiscale). Come diversi
altri paesi in tutto il mondo, il Giappone ha
progressivamente
prolungato la scadenza media delle
emissioni
di titoli di Stato, ma con un saldo del debito in
costante espansione. A un certo punto il differimento del 12 Marzo 2014 • Pagina 2
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debito diventerà un problema, soprattutto in caso di
aumento dell’inflazione e, di conseguenza, dei tassi
d’interesse.
Inoltre, non stiamo ancora prendendo in considerazione
l’aumento delle aspettative d’inflazione. Occorre tenere
presente che di per sé l’inflazione non è un’opzione
praticabile per ridurre efficacemente il debito pubblico.
L’inflazione può soltanto avere un effetto a breve termine,
poiché il suo impatto sul debito consiste in aumenti inattesi
del livello dei prezzi. Quando gli operatori prevedono
ulteriori aumenti dell’inflazione, tali aspettative vengono
scontate dalle stime di rendimento, gravando di
conseguenza sui conti pubblici. Inoltre, tali politiche
rischiano di sganciare il potenziale d’inflazione,
contribuendo
a
generare
instabilità
a
livello
macroeconomico.
Dal
punto
di
vista
istituzionale,
ciò
rischierebbe di minare l’indipendenza della banca centrale,
riducendo di conseguenza la credibilità delle strutture di
governance nazionali.
risparmio nazionale dovrebbe aumentare, poiché una parte
degli investimenti del governo va ai cittadini sotto forma di
salari, parte dei quali viene risparmiata.
Per comprendere le conseguenze ci serviremo della
definizione contabile di saldo del conto corrente. Per
definizione, esso è pari al savings gap, ossia alla differenza
tra il risparmio nazionale e la spesa per investimenti.1 Se
all’aumento del tasso di risparmio non corrisponde un
incremento pari o superiore della spesa per investimenti, il
conto corrente deve aumentare di tale differenza. Se un
paese incrementa il proprio tasso di risparmio, è necessario
che nel resto del mondo si verifichi una riduzione analoga
del risparmio oppure un aumento degli investimenti
complessivi. Un paio d’anni fa probabilmente la riduzione
del risparmio nel resto del mondo sarebbe stata ottenuta
con l’aumento degli investimenti complessivi finanziati da
crediti più elevati. Tuttavia, alla luce del ciclo di riduzione
del debito recentemente attraversato dai mercati sviluppati,
è più verosimile che la riduzione dei risparmi avvenga in
modo diverso, ad esempio con un più elevato tasso di
disoccupazione a livello mondiale, Giappone escluso.
Per quanto riguarda il PIL, parte degli attuali sforzi del
Giappone per stimolare la crescita non è (ancora) stata
compiuta mediante un netto incremento della produzione,
bensì con un aumento delle esportazioni globali. Ciò pone
diverse possibili alternative. In primo luogo, non è del tutto
chiaro come il Giappone riuscirà a rianimare in modo
sostenibile il proprio settore delle esportazioni in un
contesto mondiale penalizzato dalla domanda sottotono,
dalla capacità in eccesso e dalle strategie di crescita.
Secondo, il deprezzamento della valuta, ceteris paribus,
indica che probabilmente il tasso di risparmio nazionale
aumenterà rispetto agli investimenti. Per quale ragione? Il
deprezzamento valutario agisce come le imposte sui
consumi sui prodotti importati, riducendo il valore reale del
reddito delle famiglie. Se i salari non aumentano allo stesso
ritmo, il deprezzamento della valuta erode anche il valore
reale dei consumi delle famiglie. Inoltre, ad aprile l’imposta
sui consumi del paese sarà incrementata dal 5 all’8% e ciò
implica che, anche se i proventi fossero interamente
reinvestiti dal governo (ossia se essi non venissero utilizzati
per il rimborso del debito in circolazione), il tasso di 1
In linea di principio, i tassi d’interesse nominali dovrebbero
essere pressoché in linea con la crescita nominale del PIL,
che l’Abenomics intende stimolare. Tuttavia, se i tassi
d’interesse giapponesi vengono mantenuti bassi, una quota
significativa del PIL viene ridistribuita dalle famiglie al
governo. Sfortunatamente, negli ultimi vent’anni il paese
ha avuto difficoltà a ribilanciare il PIL verso un aumento
del consumo delle famiglie. Sebbene nel breve periodo
l’inversione di questo processo possa alleviare il bilancio
del paese, non è chiaro come in questo modo sia possibile
ottenere un cambiamento sostenibile a lungo termine.
Inoltre, sebbene il debito pubblico nipponico continui ad
aumentare, l’Abenomics potrebbe risentire degli effetti
collaterali dell’innalzamento del tasso di risparmio
nazionale, facendo sì che il Giappone possa emettere titoli
di debito anche con tassi d’interesse (nominali)
estremamente bassi. Nel caso estremo, il Giappone si
ritroverebbe al punto di partenza, ma questa volta con una
totale perdita di fiducia e con un rapporto debito/PIL
nettamente superiore a quello iniziale.
Note esplicative: il risparmio nazionale corrisponde alla somma dei risparmi degli individui, degli utili societari non distribuiti e dei risparmi del governo, ossia le entrate fiscali al netto delle spese correnti per
beni e servizi. Gli investimenti interni, invece, sono pari alla somma degli investimenti privati e della spesa per infrastrutture del governo.
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Il successo dell’Abenomics dipenderà dalla combinazione
perfetta tra la situazione a livello nazionale
(necessariamente coadiuvata dall’attuazione di riforme) e il
saldo con l’estero. Naturalmente, ci auguriamo che
l’Abenomics abbia successo, non solo per il bene del
popolo giapponese, ma anche perché ciò infonderebbe
speranza nei paesi occidentali, che attualmente sono
invischiati in un contesto caratterizzato da un elevato
indebitamento, da una crescita stagnante e, finora,
dall’assenza dell’inflazione. Sviluppi sfavorevoli, come
riforme insufficienti o una crescita globale stagnante non in
grado di contenere l’aumento delle esportazioni nipponiche,
costringeranno il paese ad affrontare
indebitamento elevato in modo diverso.
il
proprio
Il debito è sempre importante e deve sempre essere
rimborsato da qualcuno, anche in caso di un taglio di
capelli o di insolvenza del mutuatario. L’elevato onere
debitorio del Giappone non è stato risolto. Anche se gli
operatori del mercato sembrino aver dimenticato il
colossale debito pubblico del paese non significa che esso
sia stato condonato.
Il team di ETHENEA
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declina ogni responsabilità per la correttezza, la completezza o l’esattezza dello stesso. Munsbach, 12.03.2014.