Indice - Dipartimento di Matematica

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NOTE DI MECCANICA DEI CONTINUI
Marco Favretti
10 ottobre 2012
Indice
1
Preliminari Matematici
2
Cinematica dei continui
2.0.1 Moti rigidi . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1 Derivata temporale di quantità integrali . . . . . .
2.1.1 Principio di conservazione della massa . . .
2.2 Leggi di Conservazione e di Bilancio . . . . . . . .
2.2.1 Esempi importanti . . . . . . . . . . . . . .
2.2.2 Osservazioni sull’equazione della diffusione .
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3
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Dinamica dei continui
3.1 Il teorema del tetraedro di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.1 Il Principio dei Lavori Virtuali in Meccanica dei Continui . .
3.1.2 Equazioni di bilancio associate all’equazione indefinita dei continui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.1.3 Descrizione materiale del Tensore degli sforzi . . . . . . . . .
3.2 Teorema delle forze vive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Esempi di equazioni costitutive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4 Fluidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.1 Fluidi ideali e elastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.2 Fluidi di Navier–Stokes o linearmente viscosi . . . . . . . . .
3.4.3 Teorema di Bernoulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.4.4 Equazioni linearizzate dei fluidi elastici. . . . . . . . . . . . .
3.4.5 Materiali elastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.5 Formulazione variazionale delle equazioni indefinite . . . . . . . . . .
3.5.1 Il modello di D’Alembert della corda vibrante . . . . . . . . .
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Indice
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2
Termomeccanica dei Continui
4.0.2 Legge di bilancio associata al primo principio . . . . . .
4.1 Il secondo principio nella forma di Clausius–Duhem . . . . . . .
4.1.1 Il Teorema di Clausius–Duhem. Materiali termoelastici
4.1.2 Le equazioni della diffusione e del calore . . . . . . . .
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1
Preliminari Matematici
Riportiamo qui sotto tutti (o quasi) i risultati matematici che serviranno nelle pagine seguenti. La forma è volutamente sintetica e le dimostrazioni sono omesse, in
quanto tali risultati dovrebbero essere stati presentati al lettore nei corsi del biennio.
Useremo i simboli seguenti:
a, b, c, ... vettori di R3
a · b oppure semplicemente a b; prodotto scalare di a, b
F , F T , F −1 matrice (di solito 3 × 3), trasposta di F , inversa di F
Lin, Lin+ , matrici invertibili, invertibili con determinante positivo
Sym, Sym+ , Skew, matrici simmetriche, simmetriche definite positive, antisimmetriche
Orth+ , matrici tali che F T = F −1 e det F > 0 (rotazioni proprie)
Variazione di volume. Data F ∈ Lin+ , e a, b, c ∈ R3 non complanari, indichiamo
con vol(a, b, c) := a ∧ b · c il volume del parallelepipedo formato da a, b, c. Allora vale
vol(F a, F b, F c) = F a ∧ F b · F c = det F a ∧ b · c.
(1.1)
Variazione di area. Sappiamo che il modulo di a ∧ b, con a, b non paralleli
corrisponde all’area del parallelogramma formato dai vettori a, b. Data F ∈ Lin+
vale
F a ∧ F b = det F F −T (a ∧ b) = F ∗ (a ∧ b)
(1.2)
ove F ∗ = det F F −T è la matrice cofattore di F .
Dim. Moltiplichiamo entrambi i membri della (1.2) per F c 6= 0. Allora
F a ∧ F b · F c = det F F −T (a ∧ b) · F c = det F (a ∧ b) · F −1 F c = det F a ∧ b · c
che è vera.
Prodotto scalare tra matrici (tensori di secondo ordine). E’ definito come
S · T := tr(S T T ) =
3
X
Sij Tij ;
i,j=1
vale
S ∈ Sym+
W ∈ Skew
⇒
⇒
1
S · T = S · T T = S · (T + T T )
2
1
W · T = −W · T T = W · (T − T T )
2
S ∈ Sym, W ∈ Skew
3
⇒
S·W =0
(1.3)
1. Preliminari Matematici
Esercizio. Mostrare la formula
R · ST = S T R · T = RT T · S
Dimostrazione: da tr(AB) = tr(BA) si ha subito
R · ST = tr(RT ST ) = S T R · T = tr(T RT S) = RT T · S.
Divergenza di un campo tensoriale liscio. Dato x → S(x) ∈ Lin, ∃! divS ∈ R3
detto divergenza di S, tale che
divS · a = div(S T a),
∀a ∈ R3 ,
a vettore costante!
In componenti:
(divS)h =
3
X
Shk,k .
k=1
Esercizio. Mostrare che se x → a(x) è campo vettoriale liscio vale
div(S T a) = div S · a + S · grad a.
(1.4)
Dim. Per componenti.
Teorema di rappresentazione degli operatori antisimmetrici in R3 . Sia
A ∈ Skew(3). Allora ∃ ! ω ∈ R3 tale che
Au = ω ∧ u
∀u ∈ R3 .
Funzioni isotrope. Una funzione tensoriale f : A ⊂ Lin → Lin è detta isotropa
se
f (QAQT ) = Qf (A)QT
∀ Q ∈ Orth.
Il differenziale di una funzione isotropa è ancora isotropa nel senso seguente
Qdf (A)[H]QT = df (QAQT )[QHQT ].
Teorema di rappresentazione delle funzioni isotrope lineari. Sia f : Sym →
Sym isotropa e tale che f (0) = 0. Allora esistono delle costanti λ, µ tali che
f (A) = 2µA + λtr(A)I.
Teorema della divergenza in R3 . Sia B ⊂ R3 dominio regolare (chiusura di
un aperto connesso di R3 la cui frontiera è unione di un numero finito di superfici
regolari); sia φ campo vettoriale o tensoriale liscio su B. Vale
Z
Z
div φ dx v =
φ n dx σ
(1.5)
B
∂B
ove n è la normale esterna alla superficie ∂B e dx v, dx σ sono, rispettivamente, la
misura di volume e di area di R3 .
Osservazione. E’ facile vedere che la definizione di divergenza di un campo tensoriale è proprio quella che permette di estendere ai campi tensoriali S(x) (matrici)
il teorema della divergenza usuale nella stessa forma. Per rendersene conto, basta
moltiplicare entrambi i membri di (1.5) per a ∈ R3 , costante.
4
Teorema di localizzazione. Sia B un aperto e φ campo scalare o vettoriale
continuo; sia x̂ punto interno di B e indichiamo con B(x̂, δ) la palla di raggio δ.
Allora vale
Z
1
i) φ(x̂) = lim
φ dx v,
δ→0+ vol(B(x̂, δ)) B(x̂,δ)
Z
ii) φ ≡ 0 ⇔
φ dx v = 0 ∀x ∈ B, ∀δ > 0.
B(x̂,δ)
Teorema del cambiamento di variabile negli integrali. Sia B dominio regolare,
y = ϕ(x) un diffeomorfismo di R3 e F (x) = gradx ϕ ∈ Lin, matrice jacobiana di ϕ.
Allora, per ogni campo scalare, vettoriale o tensoriale φ di R3 vale:
(per integrali di volume)
Z
Z
φ(ϕ(x))|detF (x)|dx v
φ(y)dy v =
B
ϕ(B)
(per integrali di superficie)
Z
Z
φ(y)n(y)dy σ =
|detF (x)|φ(ϕ(x)) · F −T (x)ν(x)dx σ
∂B
∂ϕ(B)
ove n(y) e ν(x) indicano rispettivamente i versori normali esterni a ∂ϕ(B) e ∂B nel
generico punto y e x.
Esercizio. Confrontare le formule qui sopra con quelle del cambiamento di area
e volume.
Teorema 1.0.1 (Teorema di iniettività globale) Sia Ω un aperto convesso di
Rn e sia f : Ω → Rn una funzione di classe C 1 . Supponiamo che la (parte simmetrica
della) matrice Jacobiana di f sia definita positiva per ∀x ∈ Ω, ovvero:
∂fi
ui uj > 0
∂xj
∀u 6= 0
(1.6)
Allora f è iniettiva .
Dimostrazione. Dall’ipotesi (1.11) segue che Jac(f ) è non singolare e dunque f è
localmente invertibile.
Ora, a partire dall’ipotesi di convessità del dominio, si deve dimostrare l’iniettività
di f, ovvero che ∀a, b ∈ Ω, a 6= b, f (a) 6= f (b).
Si introduca la funzione Φ : [0, 1] → R definita in questo modo:
Φ(t) := f (tb + (1 − t)a) · (b − a)
Data la struttura convessa di Ω, Φ è ben definita ( tb + (1 − t)a ∈ Ω in quanto è
combinazione convessa di due suoi punti) e assume questi valori negli estremi del
suo dominio:
Φ(0) = f (a) · (b − a)
Φ(1) = f (b) · (b − a)
5
1. Preliminari Matematici
Per dimostrare la tesi basta far vedere che vale Φ(0) 6= Φ(1), da cui segue diretta0
mente f (a) 6= f (b). Calcolando Φ (t) si trova:
0
Φ (t) =
∂
fi (tb + (1 − t)a)(bi − ai )(bj − aj )
∂xj
e dalla condizione (1.11) sullo Jacobiano di f segue:
0
Φ (t) > 0
∀t ∈ [0, 1].
Essendo dunque Φ(t) funzione strettamente crescente, vale Φ(0) < Φ(1).
Si può concludere quindi che Φ(0) 6= Φ(1), da cui segue f (a) 6= f (b).
6
2
Cinematica dei continui
Sede dei fenomeni che intendiamo descrivere è lo spazio R3 , dotato di un’origine O e
del prodotto scalare euclideo. Un corpo continuo puo’, a differenza di quanto succede
nello schema di punto materiale, assumere varie forme descritte da sottoinsiemi di
R3 . Scegliamo una qualsiasi di queste forme che chiamiamo B, configurazione di
riferimento e identifichiamo i punti materiali del corpo con i raggi vettori dall’origine
X = X − O dei punti X ∈ B. Per poter applicare i risultati matematici visti in
precedenza, dovremo supporre che B, cosi’ come i suoi sottoinsiemi, o parti (regolari),
sia un dominio regolare di R3 .
Una deformazione del corpo è una mappa x : B ⊂ R3 → R3 , x = x(X), liscia,
biiettiva sull’immagine e tale che F (X) ∈ Lin+ ∀X ∈ B.
La matrice jacobiana1 di x
F (X)iL =
∂xi
(X),
∂XL
i, L = 1, 2, 3
è detta gradiente di deformazione. La mappa
u(X) = x(X) − X,
X∈B
è detta spostamento associato alla deformazione.
Esempi di deformazioni:
1. x è omogenea se F è indipendente da X
2. x è rigida se verifica x(X1 ) = x(X2 ) + R(X1 − X2 ) ove R ∈ Orth+
Un moto di B è una famiglia mono–parametrica sufficentemente regolare (almeno
C 2 ) di deformazioni, ovvero è la mappa
x : B × [0, T ) → R3 ,
x = x(X, t)
ove t è la variabile temporale, tale che: per ogni t ∈ [0, T ), x(·, t) è deformazione e
per t = 0 x(·, 0) è l’identità.
Denotiamo con Bt = x(B, t) la configurazione attuale e con
Γ = {(x, t) ∈ R3 × [0, T ) : x ∈ Bt ,
t ∈ [0, T )} ⊂ R4
la traiettoria spazio–temporale associata al moto di B. Il moto inverso di x è la
mappa x−1 : Γ → B tale che
x−1 (x, t) = X ⇔ x(X, t) = x.
1
di solito indici latini minuscoli sono usati per indicare le componenti del vettore nella configurazione attuale mentre indici latini maiuscoli indicano le componenti del vettore nella configurazione
di riferimento
7
2. Cinematica dei continui
Osservazione. Se si introduce la varietà infinito dimensionale M := C ∞ (B, R3 )
delle possibili deformazioni del corpo, allora un moto è una curva (traiettoria) di
[0, T ) in M. Si realizza in questo modo una analogia con il caso di un sistema
(particellare) finito–dimensionale in cui i moti sono le curve di [0, T ) in M = R3n ,
varietà finito–dimensionale. Tale punto di vista del continuo come sistema dinamico
infinito–dimensionale è utile in trattazioni meno classiche della presente.
Rappresentazioni materiali e spaziali
Un moto del continuo induce una famiglia di diffeomorfismi (a t fissato) tra la
configurazione di riferimento e quella attuale (cioè all’istante t). Pertanto, una
funzione (campo) scalare o vettoriale, anche dipendente dal tempo, definita sulla
configurazione attuale Bt puo’ essere ‘trasportata’ sulla configurazione di riferimento
componendola con il moto a t fissato e viceversa. Campi definiti sulla configurazione
di riferimento sono detti materiali, campi definiti sulla configurazione attuale sono
detti spaziali.
Piu’ precisamente, dato il campo materiale ψ : B × [0, T ) → Y , ove Y è un
generico spazio, anche tensoriale, la rappresentazione spaziale del campo materiale
ψ è il campo ψs : Γ → Y
ψs (x, t) := ψ(x−1 (x, t), t) = ψ ◦ x−1 ;
dato ψ : Γ → Y , campo spaziale, la rappresentazione materiale del campo spaziale
ψ è il campo ψm : B × [0, T ) → Y
ψm (X, t) := ψ(x(X, t), t) = ψ ◦ x.
Notazioni. Dato un campo spaziale o materiale ψ, indichiamo con
ψ0 =
∂ψ
∂t
la derivata rispetto alla variabile temporale; dato un campo spaziale [materiale] ψ
indichiamo con grad ψ [Grad ψ] il gradiente rispetto alla variabile x [X]:
(grad ψ)i =
∂ψ(x)
,
∂xi
(Grad ψ)L =
∂ψ(X)
.
∂XL
Alcuni oggetti di uso frequente hanno simboli propri:
v(X, t) = x0 (X, t)
e(x, t)
L(x, t) = grad e(x, t)
velocità materiale
velocità spaziale
gradiente spaziale di velocità
Vale ovviamente
e(x, t) = vs (x, t) = v(x−1 (x, t), t),
inoltre L ∈ M at(3 × 3) ammette la decomposizione
L = D + W,
8
ove
1
D = (L + LT ) ∈ Sym,
2
1
W = (L − LT ) ∈ Skew
2
e D e W sono le parti simmetrica ed emisimmetrica di L dette rispettivamente
velocità di deformazione locale (stretching) e vorticità (spin).
Definizione. Un moto x = x(X, t) è stazionario in [0, T ) se
e(x, t) = e(x) ∀x ∈ B,
Γ = B × [0, T ).
Un moto x = x(X, t) è irrotazionale se
W (x, t) = 0
∀x ∈ B,
o equivalentemente
rot e(x, t) = 0
Derivata e gradiente molecolare di un campo spaziale ψ
La derivata molecolare rappresenta la ’variazione’ del campo ψ lungo le traiettorie
dei punti (particelle) di B, da cui il nome. Si ha pertanto per la derivata molecolare
(simbolo ψ̇)
d
d
ψ̇(x, t) := ( ψ(x, t)|x=x(X,t) )s = ( ψm )s
dt
dt
ovvero
ψ̇(x, t) = ψ 0 (x, t) + grad ψ(x, t) · e(x, t)
In pratica, essa si costruisce componendo il campo spaziale ψ con il moto a t fissato.
Si ottiene quindi un campo materiale e se ne considera la derivata temporale o
spaziale. Per avere un oggetto definito sulla configurazione attuale, si riporta tutto in
rappresentazione spaziale. Non vi è nulla di nuovo in tutto cio’, si usa semplicemente
la regola di differenziazione delle funzioni composte.
Analogamente, per il gradiente molecolare(simbolo ∇ψ ) di una funzione scalare
ψ risulta
∂
ψ(x, t)|x=x(X,t) )s = (Grad ψm )s
∇ψ(x, t) := (
∂X
ovvero
∇ψ(x, t) = grad ψ(x, t)Fs (x, t) = FsT (x, t) grad ψ(x, t).
2.0.1
Moti rigidi
Proposizione 2.0.1 Un moto è rigido se e solo se D = 0.
Dimostrazione. Necessità. Coerentemente con la definizione di deformazione
rigida, un moto x(X, t) è rigido se e solo se verifica ∀X1 , X2 ∈ B, ∀t ∈ [0, T )
x(X1 , t) = x(X2 , t) + R(t)(X1 − X2 )
(2.1)
ove R(t) ∈ Orth+ . La relazione tra le velocità materiali è
v(X1 , t) = v(X2 , t) +
dR
(X1 − X2 ).
dt
(2.2)
Per un t fissato, siano x1 x2 ∈ Bt , univocamente determinati, tali che x1 = x(X1 , t),
x2 = x(X2 , t). Dalla relazione e(x, t) = v(x−1 (x, t), t), usando le formule (2.2), (2.1)
nell’ordine, si ha
e(x1 , t) − e(x2 , t) = v(X1 , t) − v(X2 , t) =
dR
dR T
(X1 − X2 ) =
R (x1 − x2 ).
dt
dt
9
2. Cinematica dei continui
Poichè R(t) ∈ Orth+ verifica RRT = I, derivando rispetto a t si ottiene che
ṘRT = −RṘT = −(ṘRT )T
qundi A(t) := ṘRT ∈ Skew(3) e quindi esiste unico ω(t) ∈ R3 tale che A(t)u =
ω(t) ∧ u. Allora il campo spaziale di velocità verifica
e(x1 , t) = e(x2 , t) + A(t)(x1 − x2 ) = e(x2 , t) + ω(t) ∧ (x1 − x2 ).
Tenendo fisso x2 , si vede facilmente che
L(x, t) = grad e(x, t) = A(t)
indipendente da x, quindi nella decomposizione L = D + W si ha che D = 0 per un
moto rigido.
Suffcienza. Usiamo la definizione di rigidità seguente, detta condizione di proiezione
d
(x(X2 , t) − x(X1 , t))2 = 2(x(X2 , t) − x(X1 , t)) · (v(X2 , t) − v(X1 , t)) ≡ 0
dt
ovviamente equivalente alla precedente, che in forma spaziale si scrive come
(e(x2 , t) − e(x1 , t)) · (x2 − x1 ) = 0
∀x1 , x2 , ∀t.
Fissati x1 , x2 , supponiamo che il segmento che li congiunge
x(s) = x1 + s(x2 − x1 ),
s ∈ [0, 1]
sia tutto contenuto all’interno della regione spaziale interessata dal moto all’istante
t. Allora si ha facilmente che
Z 1
d
e(x(s)) · (x2 − x1 )ds
(e(x2 , t) − e(x1 , t)) · (x2 − x1 ) =
0 ds
pertanto
1
Z
(e(x2 , t) − e(x1 , t)) · (x2 − x1 ) =
L(s)(x2 − x1 ) · (x2 − x1 )ds = 0
0
poichè L = W , antisimmetrica, per ipotesi. La condizione di proiezione è quindi
soddisfatta.
Un’altra caratterizzazione dei moti rigidi, ovviamente equivalente alla presente,
è la seguente:
Proposizione 2.0.2 Un moto x(X, t) è rigido se e solo se
F (X, t)F T (X, t) = I
∀X ∈ B,
∀t ∈ [0, T ).
Dimostrazione. La necessità è ovvia da (2.1) poichè F ≡ R per un moto rigido.
Mostriamo dapprima che se vale la condizione, allora il moto manda, per ogni t, la
curva γ ∗ : [0, 1] → B, γ ∗ = γ ∗ (s) nella curva γ = x ◦ γ ∗ di eguale lunghezza. Poichè
vale
d(x ◦ γ ∗ )
γ̇(s) =
= F (γ ∗ (s), t)γ̇ ∗ (s)
ds
10
si ha che
Z
lγ =
1p
Z
(γ̇, γ̇)ds =
0
1p
(F γ̇ ∗ , F γ̇ ∗ )ds =
Z
0
1q
(F T F γ̇ ∗ , γ̇ ∗ )ds = lγ ∗ .
0
Dico che questa condizione implica che il moto manda segmenti in segmenti, tetraedri
in tetraedri, ecc. Questo basta per dire che il moto è rigido.Supponiamo per assurdo
˜ ovviamente
che l’immagine del segmento AB non sia un segmento, ma una curva ab,
con lab
˜ = lAB . Indichiamo con ab il segmento di estremi a = x(A) e b = x(B). Per
definizione di segmento, deve essere
lab < lab
˜ = lAB .
L’immagine inversa del segmento ab non può essere il segmento AB, e quindi sarà
una curva (ab)∗ , di estremi A e B, con l(ab)∗ = lab > lAB , assurdo.
Esercizi.
1. Sia B = [0, 1] ⊂ R; verificare che x(X) = λX, λ > 0, fissato è deformazione
omogenea , mentre x(X) = eλX , λ > 0 non è omogenea.
2. Mostrare che, per F : B × [0, T ) → Lin+ , gradiente di deformazione (campo
materiale) vale
F 0 = (grad e)m F.
(2.3)
Dim.
F 0 = (Grad x)0 = Grad v = Grad em = (grad e)m F
3. Mostrare che la derivata molecolare del campo spaziale di velocità si puo’
esprimere come:
ė = e0 + grad e e
(2.4)
1
ė = e0 + grad (e · e) + 2W e
2
(2.5)
1
ė = e0 + grad (e · e) + rot e ∧ e
2
(2.6)
3. [Gurtin] Calcolare v, e, F per il moto di B = R3
2
x1 = X1 et ,
x2 = X2 et ,
x3 = X 3
4. [Gurtin] Sia S = {X ∈ B : ϕ(X) = 0} ove ϕ è campo scalare liscio il cui gradiente
non è mai nullo. L’evoluta al tempo t della superficie S è
St = {x ∈ R3 : ψ(x, t) = 0},
ove ψm = ϕ
Mostrare che:
i) Grad ϕ è normale a S ,
ii) grad ψ(x, t) è normale a St ,
iii) Grad ϕ = F T (grad ψ)m e quindi grad ψ non è mai nullo su St .
11
2. Cinematica dei continui
Alcuni moti semplici
L’assegnazione del campo di velocità euleriano e(x, t) permette di scrivere il Problema di Cauchy
dx
= e(x, t),
x(0) = x0
(2.7)
dt
le cui soluzioni x = x(t, x0 ) (flusso del campo vettoriale e) sono le traiettorie delle
particelle del continuo che a t = 0 transitano per x0 . Per studiare le proprietà
qualitative delle traiettorie su un intorno spazio-temporale piccolo opportuno di
(x0 , t0 ) sostituiamo il campo vettoriale con la sua parte lineare
e(x, t) = e(x0 , t0 )+grad e(x0 , t0 )(x−x0 )+O(|x−x0 |2 ) = e0 +(D+W )(x−x0 )+O(2).
La matrice simmetrica D della velocità di deformazione locale verifica trD = 0 se il
moto del continuo è incomprimibile ( vedi più avanti sotto la Prop. 2.1.1). Inoltre,
detto ω0 il il vettore di rotazione associato alla matrice emisimmetrica L − LT , la
parte lineare del campo di velocità si riscrive
1
elin = e0 + D(x − x0 ) + ω ∧ (x − x0 )
2
(α) Se è presente solo il termine e0 il moto risolvente il Problema di Cauchy tipo
(2.7) è una traslazione
x(t, x0 ) = x0 + e0 (t − t0 )
(β) Se presente solo il termine D(x − x0 ). Non è restrittivo supporre che D,
simmetrica, sia diagonale. Per la supposta incomprimibilità,
D = Diag[−γ1 , −γ2 , γ1 + γ2 ].
In tal caso la soluzione del Problema di Cauchy è facilmente determinabile:
x(t, x0 ) = Diag[e−γ1 t x10 , e−γ2 t x20 , e(γ1 +γ2 )t x30 ]
Supponiamo per semplicità che γ1 , γ2 > 0. Allora le particelle del fluido tendono ad
avvicinarsi all’asse x3 e a scorrere con velocità crescente lungo di esso formando un
getto (jet flow) poichè
(x21 + x22 )(t) = e−2(γ1 +γ2 )t |(x10 , x20 )|2
→ 0.
Come caso particolare, consideriamo la matrice
D = Diag[−γ, γ, 0]
Il flusso corrrispondente
x(t, x0 ) = (e−γt x10 , eγt x20 , x30 )T
è detto strain flow.
(γ). Se è presente solo il termine di rotazione ω, non è restrittivo supporre che
ω = (0, 0, ω)T . Allora il flusso è una rotazione piana di centro x0 e asse x̂3


ωt
cos( ωt
2 ) − sin( 2 ) 0
cos( ωt
0  (x − x0 )
x(t, x0 ) =  sin( ωt
2 )
2 )
0
0
1
12
Derivata temporale di quantità integrali
2.1 Derivata temporale di quantità integrali
In questo paragrafo studiamo come evolvono durante il moto alcune quantità macroscopiche, per esempio il volume o la massa, associate ad una parte P ⊂ B.
Come prima cosa, dimostriamo la seguente proposizione, il cui enunciato, valido
per un generico flusso associato ad una equazione differenziale, è qui adattato al
contesto della meccanica dei continui.
Proposizione 2.1.1 Sia x = x(X, t) moto per B. Allora vale ∀X ∈ B, ∀t ∈ [0, T )
∂
det F (X, t) = det F (X, t)(div e)m (X, t).
∂t
Dimostrazione. Usiamo lo sviluppo per righe del determinante di una generica
matrice
3
X
δij det F =
AiL FjL ,
L=1
ove AiL è il complemento algebrico di FiL . Allora, usando la relazione (2.3) o
svolgendo il conto direttamente, si ha
3
3
X
X
∂
∂
∂ 2 xi
=
det F (X, t) =
AiL FiL =
AiL
∂t
∂t
∂t∂XL
i,L=1
3
X
i,L=1
3
X
∂vi
AiL
=
∂XL
δij det F (
i,j=1
3
X
i,L=1
i,L=1
3
X
∂xj
∂(em )i
∂ei
AiL
=
AiL (
)m
=
∂XL
∂xj ∂XL
i,L,j=1
∂ei
)m = det F (X, t)(div e)m (X, t).
∂xj
Sia P parte regolare di B. Il volume di P nella sua configurazione attuale Pt lungo
il moto x è (si usa il Teorema del cambiamento di variabile negli integrali)
Z
Z
Z
vol(Pt ) =
dx v =
|det F (X, t)| dX v =
det F (X, t) dX v
Pt
P
P
Vediamo alcune applicazioni immediate della Prop. 2.1.1
1. velocità di variazione del volume della parte P lungo il moto
Z
Z
d
∂
vol(Pt ) =
det F dX v =
det F (div e)m dX v
dt
∂t
P
P
Z
Z
Z
=
div e dx v =
trD dx v =
e · n dx σ
Pt
Pt
∂Pt
2. Sia φ campo vettoriale o scalare definito su Γ della densità di volume di un
osservabile (per esempio la massa, la carica elettrica, ecc.). La formula (2.8), detta
Teorema del Trasporto, esprime la variazione temporale di una quantità integrale
Z
Z
Z
d
d
dφm
∂
φdx v =
φm det F dX v = [
det F + φm (det F )]dX v =
dt Pt
dt P
dt
∂t
P
Z
Z
dφm
[φ̇ + φ div e]dx v
=
[
det F + φm det F (div e)m ]dX v =
Pt
P dt
Z
Z
=
[φ0 + grad φ · e + φdiv e]dx v =
[φ0 + div (φe)]dx v,
Pt
Pt
13
2. Cinematica dei continui
da cui
d
dt
Z
Z
φdx v =
Pt
φ0 dx v +
Z
φe · n dx σ.
Pt
(2.8)
∂Pt
2.1.1 Principio di conservazione della massa
Ammettiamo che nella configurazione di riferimento B la massa di una parte P di B si
possa esprimere come integrale di una densità di massa µ∗ (X). Matematicamente µ∗
viene pensata come una misura completa, numerabilmente additiva e assolutamente
continua rispetto alla misura di Lebesgue, cioè :
Z
vol(P) = 0 ⇒ m(P) =
µ∗ dX v = 0,
∀ P ∈ B.
P
Durante il moto di B, il volume di P si modifica come abbiamo visto; postuliamo
invece che la massa di P sia costante nel tempo, ovvero:
m(P) = m(Pt ),
∀t ∈ [0, T ).
Dal principio di conservazione della massa segue che la densità di massa µ(x, t) da
associare a Bt lungo il moto x sarà in generale diversa da µ∗ . Deve valere pero’ che
Z
Z
Z
m(Pt ) =
µdx v =
µm det F dX v ≡
µ∗ dX v, ∀P ⊂ B, ∀t ∈ [0, T )
Pt
P
P
da cui, supponendo continue le funzioni integrande, per l’arbitrarietà di P, si ottiene
dalla ii) del Teorema di localizzazione, la legge di conservazione della massa in forma
materiale (o lagrangiana)
µ∗ = µm det F.
(2.9)
Un’altra forma utile del principio di conservazione della massa si ottiene applicando
il Teorema del trasporto:
Z
Z
d
d
0 = m(Pt ) =
µdx v =
[µ̇ + µ div e]dx v
dt
dt Pt
Pt
da cui, ancora per l’arbitrarietà di Pt (Teorema di Localizzazione), si ottiene la legge
di conservazione della massa in forma spaziale (o euleriana), detta anche equazione
di continuità
µ̇ + µ div e = 0 i.e. µ0 + div (µe) = 0.
Una ulteriore utile forma del principio di conservazione della massa è la seguente,
detta conservazione della massa per un volume di controllo.
Sia R una regione regolare limitata di R3 tale che R × [0, δ) ⊂ Γ, per qualche
δ > 0, ove Γ è la traiettoria spazio–temporale. Integrando su R l’ equazione di
continuità e applicando il teorema della divergenza si ottiene
Z
Z
Z
0=
(µ0 + div µe)dx v =
µ0 dx v +
µe · ndx σ
R
R
∂R
da cui, essendo R indipendente da t,
Z
Z
d
µ(x, t)dx v = −
µe · ndx σ
dt R
∂R
14
(2.10)
Leggi di Conservazione e di Bilancio
ovvero, la variazione di massa contenuta nel volume di controllo è pari al flusso di
massa attraverso la frontiera di R.
Osservazione importante. In altre teorie fisiche che trattano sistemi continui, e
in particolare per l’elettromagnetismo, l’analogo del principio di conservazione della
massa è il principio di conservazione della carica elettrica. In tale teoria pero’, essendo trascurabili le deformazioni del corpo, risulta piu’ sensato adottare fin dall’inizio
un punto di vista euleriano e postulare la conservazione della carica per un volume
di controllo nella forma (2.10), dalla quale procedendo a ritroso si ottiene subito
l’equazione di continuità per una densità (di carica) spaziale µ̃. L’ equivalenza dei
due postulati si mostra subito osservando che µ definita da (2.9) è soluzione (unica)
dell’equazione di continuità. Infatti, per ogni (X, t) ∈ B × [0, T ) si ha (det F 6= 0)
0=
d ∗
d
dµm
µ (X) = (µm det F ) =
det F + µm det F div em ⇔ µ̇ + µdiv e = 0.
dt
dt
dt
Corollario. Sia µ = µ(x) e e = e(x), flusso stazionario, e consideriamo una
superficie 2–dimensionale N , orientata e di versore normale n(x), contenuta in B.
Definiamo il ’volume di flusso’ Rδ definito da
[
x(N, t).
Rδ =
t∈[0,δ)
E’ facile vedere che il campo di velocità e è tangente alle ’pareti laterali’ del tubo
di flusso ∂Rδ . Sapendo che µ è indipendente da t, applichiamo la formula della
conservazione di massa per un volume di controllo. Si ha allora
Z
Z
Z
0=−
µe · ndx σ ⇒
µe · ndx σ =
µe · nδ dx σ
∂Rδ
N
Nδ
ovvero, il flusso di µ(x)e(x) è costante lungo una qualsiasi sezione di un tubo di flusso.
In altre parole, µ dx v, misura conservata dal flusso, induce su ogni superficie N , di
codimensione 1, trasversale al flusso una misura superficiale µe · ndx σ conservata dal
flusso.
Esercizio (utile per le equazioni di bilancio). Sia ψ campo spaziale esprimibile
come densità di massa di un’altro campo φ, cioè ψ = µφ. Allora, supponendo valida
l’equazione di continuità per µ, e usando il teorema del Trasporto si ha
Z
Z
Z
Z
d
˙
(µφ)dx v =
[(µφ) + µφdiv e]dx v =
[µ̇φ + µφ̇ + µφdiv e]dx v =
µφ̇ dx v.
dt Pt
Pt
Pt
Pt
In pratica, si differenzia sotto il segno di integrale trattando la densità di massa
come una costante.
2.2 Leggi di Conservazione e di Bilancio
Flussi e produzioni
La legge di conservazione (per esempio per la massa o per la carica elettrica) descrive fenomeni appunto conservativi, ma tale modello non esaurisce tutti possibili
fenomeni di interesse fisico–matematico. Vi sono fenomeni nei quali si assiste, all’interno di una regione R fissata (il volume di controllo), alla creazione o distruzione
15
2. Cinematica dei continui
della grandezza in esame. Si pensi ad esempio alla popolazione di una città o di una
coltura batterica con dati tassi di mortalità e natalità, o ad un volume di controllo nel quale siano presenti pozzi o sorgenti di materia o carica elettrica. In questi
casi quindi, il bilancio della grandezza scalare Ψ, relativo ad un volume di controllo
R contiene, oltre al termine di flusso convettivo Ψe (si veda la (2.10)) un termine
scalare di produzione r(x, t) per cui
Z
Z
Z
d
r(x, t)dx v.
Ψe · n dx σ +
Ψ(x, t)dx v = −
dt R
R
∂R
Consideriamo ora, tenendo sempre a mente gli esempi visti, il caso più generale
di un volume Pt trasportato dal moto del continuo. Il valore complessivo della
grandezza scalare Ψ racchiusa in Pt puo’ variare per effetto di pozzi o sorgenti r
che si trovano costantemente all’interno di Pt o per l’apporto attraverso la frontiera
∂Pt . Quest’ultimo fenomeno puo’ essere descritto dal flusso di un campo vettoriale
Φnc detto flusso non convettivo per cui la relazione precedente diviene2
Z
Z
Z
d
nc
Ψdx v = −
Φ · n dx σ +
rdx v.
(2.11)
dt Pt
∂Pt
Pt
Se ora rappresentiamo il primo membro attraverso il teorema del trasporto (2.8)
otteniamo una legge di bilancio che contempla termini di flusso e di produzione e
della quale il Teorema del Trasporto risulta essere un caso particolare
Z
Z
Z
Z
Z
d
nc
0
rdx v. (2.12)
Φ · n dx σ +
Ψe · n dx σ = −
Ψ dx v +
Ψdx v =
dt Pt
Pt
∂Pt
∂Pt
Pt
In forma puntuale
Ψ0 + div(Ψe + Φnc ) = r.
(2.13)
Si noti che nell’uso corrente, la distinzione tra Ψe e Φ è spesso omessa, indicando
genericamente con Φ il campo (flusso o drift) che compare all’interno dell’operatore
div, ovvero
Ψ0 + div(Φ) = r.
A seconda delle scelte per Φ e r si possono costruire vari modelli adatti a descrivere
una vasta classe di fenomeni. Uno dei modelli più usati descrive l’ingresso o uscita
di materia attraverso la frontiera di Pt per effetto di una differenza di densità o
gradiente di concentrazione (le particelle diffondono dalle zone a più alta concentrazione verso quelle a più bassa concentrazione). In generale possiamo supporre che
il flusso non sia esattamente opposto al gradiente di densità, ma che per effetti di
anisotropia del mezzo, si debba introdurre una matrice semidefinita positiva A(x, t)
per cui
Φnc = Φc (x, t) = −A(x, t)grad Ψ(x, t),
(Au, u) ≥ 0.
Nel caso importante di flusso di gradiente di concentrazione la legge di bilancio
(2.13) integrata su un volume di controllo R diviene
Z
Z
Z
d
c
Ψ(x, t)dx v = −
(Ψe + Φ ) · ndx σ +
r(x, t)dx v
dt R
∂R
R
o, in forma puntuale,
Ψ0 + div(Ψe − Agrad Ψ) = r.
2
Il segno meno è dovuto al fatto che n indica la normale uscente di ∂Pt e che convenzionalmente,
la variazione della quantità scalare Ψ è positiva quando il campo Φ è entrante.
16
Leggi di Conservazione e di Bilancio
2.2.1
Esempi importanti
a) Equazione di continuità : Ψ = µ, Φ = 0, r = 0, Φnc = 0
µ0 + div(µe) = 0.
b) Equazione di diffusione: Φnc = Φc , e = 0
Ψ0 = div(Agrad Ψ) + r.
c) Equazione del calore : Ψ(x, t) = θ(x, t) è il campo di temperatura, Φnc = Φc =
−Agrad θ(x, t) è la legge di Fourier del flusso di calore, e = 0, r = 0,
θ0 = div(Agrad θ).
Nel caso particolare A(x, t) = kI, k > 0 il fenomeno di diffusione è isotropo, e si
ottiene
θ0 = k∆(θ)
ove ∆(u) = div(grad(u)) è il Laplaciano. Le soluzioni stazionarie (θ0 = 0) dell’equazione di Laplace ∆θ = 0 sono le funzioni armoniche.
d) Equazione di Fokker–Planck : Ψ = ρ, densità di probabilità, Φ = Φc ,
A(x, t) = kI, k > 0, r = 0,
ρ0 + div(ρe) = k∆ρ.
(2.14)
Gli esempi b) – d) precedenti si possono unificare in un modello generale nel quale
il moto è la soluzione dell’equazione differenziale
ẋ = X(x, t), x(0) = X,
e(x, t) = X(x, t)
pertanto, l’evoluzione della quantità scalare Ψ è retta dall’equazione di diffusione in
presenza di gradente di concentrazione isotropo A = kI
Ψ0 + div(ΨX) = k∆Ψ + r.
2.2.2 Osservazioni sull’equazione della diffusione
Sia u(x, t) la soluzione dell’equazione della diffusione
ut = D∆u
(2.15)
vediamo alcune proprietà della soluzione
i) inversione temporale: la ũ(x, t) = u(x, −t) risolve l’equazione aggiunta ut =
−D∆u
ii) invarianza per traslazioni spazio-temporali: ũ(x, t) = u(x − y, t − s) è ancora
soluzione di (4.11) per ogni y, s
17
2. Cinematica dei continui
iii) riscalamento spazio–temporale parabolico: vediamo per quali a, b, c ∈ R la
ũ(x, t) = cu(ax, bt) è ancora soluzione della (4.11); vale
ũt − D∆ũ = c(but − a2 D∆u) = 0
se e solo se b = a2 . Quindi le soluzioni dell’equazione della diffusione sono
invarianti per il riscalamento parabolico
t → a2 t.
s → ax,
Si osservi che il coefficiente di diffusione D ha dimensioni L2 T −1 , per cui la
quantità x2 /Dt che useremo in seguito è adimensionale.
iv) conservazione di massa, energia o probabilità : il parametro c del riscalamento precedente è ancora indeterminato. Possiamo fissarlo in modo che venga
soddisfatta la condizione ( qui u(x, t) ≥ 0 per la sua interpretazione fisica)
Z
u(x, t)dx v = q
∀t.
(2.16)
Rn
Allora la soluzione riscalata parabolicamente ũ(x, t) = cu(ax, a2 t) soddisfa la
condizione di conservazione della massa totale se e solo se
y(x) = ax,
dy v = det F (x)dx v = an dx v,
Z
Z
2
q=c
u(ax, a t)dx v = c
u(y, a2 t)a−n dy v = ca−n
Rn
ovvero se e solo se c =
Rn
an q,
e quindi ũ(x, t) = qan u(ax, a2 t).
Soluzione della equazione della diffusione con conservazione della massa
Ci limitiamo al caso di una sola dimensione spaziale, n = √
1, il procedimento si
generalizza senza difficoltà
al
caso
multidimensionale.
Siccome
Dt ha la dimensione
√
di una lunghezza, q/ Dt rappresenta la densità lineare di massa. Vista l’invarianza
per dilatazioni paraboliche, cerchiamo soluzioni della (4.11) della forma
x
q
u(x, t) = √ ϕ( √ ),
Dt
Dt
t > 0,
(2.17)
ove ϕ è una funzione da determinare. La conservazione della massa totale (2.16)
impone che
Z
Z
Z
1
1
x
1=
u(x, t)dx = √
ϕ( √ )dx =
ϕ(y)dy
(2.18)
q R
Dt R
Dt
R
√
ove si è posto y = x/ Dt. Ora chiediamo che (2.17) sia soluzione dell’equazione di
diffusione. Siccome
√
3 2
q
t
1
q
ut = √ [−
ϕ(y) − √ xt−2 ϕ0 (y)] = − √ [ϕ(y) + yϕ0 (y)]
2
Dt
2 D
2t Dt
e
uxx =
18
q
3
(Dt) 2
ϕ00 (y),
Leggi di Conservazione e di Bilancio
la condizione richiesta è
q
y
1
0 = ut − uxx = − √ [ϕ00 (y) + ϕ0 (y) + ϕ(y)].
2
2
Dt
Cerchiamo quindi soluzioni dell’equazione differenziale ordinaria
y
1
ϕ00 (y) + ϕ0 (y) + ϕ(y) = 0.
2
2
(2.19)
Per risolvere questa equazione dobbiamo imporre le condizioni iniziali e queste si specificano dettagliando le condizioni al bordo fisicamente significative per il problema.
Dalla condizione di invarianza della massa totale del soluto
Z
ϕ(y)dy = 1
R
abbiamo che
lim ϕ(y) = 0;
y→±∞
Inoltre, dal momento che l’equazione del calore è invariante per la trasformazione
y → −y, possiamo limitarci a funzioni pari in [0, +∞). Dalla parità e la continuità
della derivata prima si ha allora l’ulteriore condizione ϕ0 (0) = 0. Notiamo infine che
la (2.19) corrisponde alla presenza di una quantità conservata, potendosi riscrivere
come
d 0
y
[ϕ (y) + ϕ(y)] = 0
dy
2
e quindi
y
ϕ0 (y) + ϕ(y) = cost.
2
0
Per y = 0, essendo ϕ (0) = 0 si ha cost. = 0. Dobbiamo quindi risolvere l’equazione
differenziale banale ϕ0 + yϕ/2 = 0 che ha soluzione
ϕ(y) = ce−
y2
4
,
La costante di integrazione c si determina imponendo la condizione di normaliz√
zazione (2.18) ottenendo c = 1/2 π. Infine tornando alla variabile orginaria x
otteniamo
x2
q
e− 4Dt .
u(x, t) = √
4πDt
La soluzione ha quindi la forma di una gaussiana definita t > 0 la cui varianza
σ 2 = 4Dt aumenta con il passare del tempo, come ci aspettiamo da un fenomeno di
diffusione.
19
3
Dinamica dei continui
3.1 Il teorema del tetraedro di Cauchy
Per prima cosa, definiamo gli analoghi della quantità di moto e del momento della
quantità di moto per una parte P di B lungo un moto x, rispettivamente (per
semplicità il polo O sia nell’ origine del riferimento)
Z
Z
x ∧ µe dx v.
µe dx v,
MO (t) =
Q(t) =
Pt
Pt
Usando il risultato dell’esercizio precedente, si ha subito
Z
Z
d
d
Q=
µė dx v,
MO (t) =
x ∧ µė dx v.
dt
dt
Pt
Pt
Prima di formulare l’analogo per un continuo delle equazioni di bilancio della quantità di moto e del momento della quantità di moto per un sistema particellare,
dobbiamo operare una ricognizione delle forze agenti su di una parte P di un corpo
continuo B. Queste sono di due tipi:
a) forze esterne dovute all’azione a distanza di altri corpi (es. forze elettromagnetiche o gravitazionali) e forze esterne di contatto attraverso la parte della frontiera
che P ha in comune con la frontiera di B. Supponiamo che le prime siano esprimibili
mediante una densità di volume di forze esterne a distanza b e le seconde mediante
una densità superficiale Σ di forze esterne di contatto;
b) forze interne di contatto dovute all’azione reciproca tra punti interni di P a
contatto tra loro.
Osservazione. Il modello di forze ipotizzato al punto b) non ha analogo nei sistemi
particellari, ove le forze sono tutte di azione a distanza; una sua ‘anticipazione’ si
ha nel modello del corpo rigido, ove si suppone che tra due punti qualsiasi del corpo
si esercitino delle forze (reazioni vincolari) che realizzano il vincolo di rigidità e che
soddisfano al principio di azione e reazione in forma forte. Tali forze si verificano
essere un sistema equilibrato, quindi con risultante e momento risultante nullo (tale
sistema di forze ha potenza nulla, ed il vincolo di rigidità è liscio). Nel caso generale
di un corpo deformabile, non possiamo più pensare che tali forze di contatto abbiano
potenza nulla (vedi oltre, il Teorema delle forze vive).
Intanto enunciamo un’ipotesi semplificativa. Dato x tale che (x, t) ∈ Γ per
qualche t, e n(x) versore, n(x) individua una classe Λ di superficie orientate che
hanno appunto n come versore normale esterno in x.
Postulato di Cauchy. La densità superficiale dR/dσ delle forze di contatto
esercitate dai punti esterni a contatto sui punti di un’area infinitesima dσ di Λ
21
3. Dinamica dei continui
attorno ad x è descritta all’istante t da un vettore s(n, x, t) densità (di superficie,
integrabile e continua in (x, t)) di forze interne di contatto applicato in x che dipende
da Λ solo tramite n:
dR
= s(n, x, t).
dσ
Assegnate b, Σ : Γ → R3 e detta s : Γ × S 2 → R3 la densità incognita di forze
interne di contatto, si postula la validità delle equazioni cardinali per una parte P
regolare di B, che per semplicità supponiamo tutta interna a B, ovvero
Z
Z
Z
d
s(x, t, n(x))dx σ,
(3.1)
b(x, t)dx v +
µė dx v =
Q=
dt
∂Pt
Pt
Pt
d
MO (t) =
dt
Z
Z
x ∧ µėdx v =
Pt
Z
x ∧ b(x, t)dx v +
Pt
x ∧ s(x, t, n(x))dx σ.
(3.2)
∂Pt
per ogni P ⊂ B, e per ogni t lungo il moto.
Attenzione: nella formulazione appena esposta delle equazioni di bilancio è implicito che gli sforzi interni formano un sistema equilibrato di forze, cioè con risultante
e momento risultanti nulli. Pertanto il loro contributo è limitato alle forze esercitate
dai punti del continuo su ∂Pt esterni a Pt sui punti di Pt a contatto.
Osservazioni. 1. Se la frontiera di P ha delle parti in comune con la frontiera
di B, bisogna aggiungere il contributo delle forze esterne di superficie Σ. Questo
allunga solo un po’ le formule, non è restrittivo supporre, come faremo sempre nel
seguito, che la parte P sia tutta interna a B.
2. La necessità di introdurre le equazioni di bilancio come postulati (assiomi)
della Meccanica dei Continui è dovuta al fatto che tali equazioni non sono invarianti
per una trasformazione rigida del sistema di riferimento (cambio di osservatore),
pertanto risulta difficile definire gli osservatori inerziali. Per un approfondimento
vedasi ad es. [Gurtin].
Teorema 3.1.1 (del tetraedro di Cauchy) Sia (b, s) sollecitazione lungo il moto x di B. Le equazioni di bilancio (3.1), (3.2) sono soddisfatte lungo il moto di B
se e solo se esiste un campo tensoriale liscio T : Γ → Lin detto tensore degli sforzi
di Cauchy tale che, per ogni (x, t) ∈ Γ si abbia
a) ∀n ∈ S 2 ,
s(x, t, n) = T (x, t)n,
b) div T (x, t) + b(x, t) = µ(x, t)ė(x, t),
c) T (x, t) ∈ Sym.
La b) è detta equazione indefinita (o puntuale) della meccanica dei continui
Dimostrazione. Necessità. Siano soddisfatte le equazioni di bilancio lungo il moto
x di B. Preso un punto x̂ interno a Bt , detta {x̂, e1 , e2 , e3 } una base ortonormale di
origine x̂, e fissato un versore k, con k · ei > 0, i = 1, 2, 3, sia Π = Π(δ) il tetraedro
di vertice x̂ formato dall’intersezione dei piani coordinati con il piano ortogonale al
versore k, e a distanza δ > 0 dall’origine x̂.
Indichiamo con Si = S(−ei ), i = 1, 2, 3 la faccia del tetraedro di normale esterna
−ei e con S = S(k) la faccia di normale esterna k. Per δ sufficientemente piccolo, il
22
Il teorema del tetraedro di Cauchy
e3
k
e2
e1
Figura 3.1: Tetraedro di Cauchy
tetraedro è tutto interno a Bt , inoltre vale la seguente relazione tra l’area Ai delle
facce Si e l’area A di S:
Ai = (k · ei )A
Scriviamo la prima equazione di bilancio per la parte P di B tale che Pt = Π
Z
Z
(µė − b) dx v =
s dx σ.
Π
∂Π
Poichè µ, b (e quindi ė) sono funzioni continue, esse sono limitate in Π. Si deduce
che
Z
Z
Z
|
s dx σ| = | (µė − b) dx v| ≤
|µė − b| dx v ≤ cost · vol(Π(δ) = cost · δ 3 .
∂Π
Π
Π
D’altra parte, detta A = A(δ) = cost · δ 2 l’area della base del tetraedro, la disuguaglianza precedente assicura che
Z
1
cost · δ 3
0 ≤ lim
|
s dx σ| ≤ lim
=0
δ→0+ A(δ)
δ→0+ cost · δ 2
∂Π(δ)
pertanto
1
lim
+
A(δ)
δ→0
Z
3 Z
X
1
s dx σ = lim
[ s(x, t, k) dx σ +
s(x, t, −ei ) dx σ] = 0
δ→0+ A(δ) S
∂Π(δ)
Si
Z
i=1
Poichè s è continuo in x per ogni fissato versore n si ha (T. di localizzazione)
Z
1
lim
s(x, t, k) dx σ = s(x̂, t, k),
δ→0+ A(δ) S
Z
k · ei
lim
s(x, t, −ei ) dx σ = (k · ei )s(x̂, t, −ei ), i = 1, 2, 3,
δ→0+ Ai (δ) Si
e quindi concludiamo che vale, in ogni punto x̂ interno a Bt ,
s(x̂, t, k) = −
3
X
(k · ei )s(x̂, t, −ei );
(3.3)
i=1
23
3. Dinamica dei continui
Poichè s è continua, la relazione precedente vale anche su ∂Bt . Il passo successivo
richiede di mostrare il seguente
Lemma 3.1.1 (Principio di azione e reazione per lo sforzo interno) La funzione n → s(x̂, t, n) è continua in n per ogni (x, t) ∈ Γ e vale
s(x̂, t, n) = −s(x̂, t, −n),
∀n ∈ S 2
Dimostrazione. Dalla (3.3), valida per ogni versore k, con k · ei > 0, i = 1, 2, 3, si
ha che s è funzione continua di k. Potendo variare arbitrariamente la base ei , si ha
subito che s è funzione continua per ogni k. Ma allora, facendo tendere k → ei , per
la continuità di s si ha la tesi del Lemma.
Allora la (3.3) si riscrive
s(x̂, t, k) =
3
X
(k · ei )s(x̂, t, ei )
(3.4)
i=1
Posto (a ⊗ b)u = a(b · u), prodotto tensore dei vettori a e b, la relazione precedente
si scrive
s(x̂, t, k) = T (x̂, t)k
ove
T (x̂, t) =
3
X
s(x̂, t, ei ) ⊗ ei
i=1
è il tensore degli sforzi di Cauchy. Questo conclude la dimostrazione del punto a).
Per mostrare b) abbiamo bisogno solo della prima equazione di bilancio e del
teorema della divergenza
Z
Z
Z
Z
(µė − b) dx v =
s(x, t, n) dx σ =
T (x, t)n dx σ =
div T dx v
Pt
∂Pt
Pt
∂Pt
da cui , per l’arbitrarietà di Pt si ha b).
Ora mostriamo c). Una condizione equivalente alla seconda equazione di bilancio
(3.2) è
Z
Z
x ∧ (µė − b) · a dx v =
Pt
x ∧ T n · a dx σ
∀a ∈ R3
∂Pt
Riscriviamo il secondo membro, usando la (1.4)
Z
Z
x ∧ T n · a dx σ =
(a ∧ x) · T n dx σ =
∂Pt
Z∂Pt
=
T T (a ∧ x) · n dx σ =
∂Pt
Z
=
div(T T (a ∧ x)) dx v =
ZPt
=
[divT · a ∧ x + T · grad(a ∧ x)] dx v
Pt
Z
Z
=
x ∧ div T · a dx v +
T · A dx v
Pt
24
Pt
Il teorema del tetraedro di Cauchy
ove A è la matrice antisimmetrica univocamente associata ad x 7→ a ∧ x. Ma allora,
dalla validità della prima equazione di bilancio segue che
Z
T · A dx v = 0 ∀a ∈ R3 ⇔ T = T T .
Pt
Sufficienza. Dato T soddisfacente ad a), b), c), il ragionamento per mostrare b)
appena concluso svolto a ritroso mostra che (b, s) con s = T n soddisfa le equazioni
di bilancio.
3.1.1 Il Principio dei Lavori Virtuali in Meccanica dei Continui
Il Principio dei Lavori Virtuali, o più esattamente di D’Alembert quando si ha a che
fare con i moti dinamicamente possibili e non con le configurazione di equilibrio, ha
in Meccanica dei Continui lo stesso significato ma una portata diversa rispetto alla
Meccanica finito dimensionale. In quest’ultima, si introduce dapprima la classe dei
vincoli lisci. Per tale classe è possibile proiettare su di un opportuno spazio lineare
(lo spazio tangente al vincolo, delle velocità virtuali) le equazioni del moto
ma = F + Φ
ed ottenere cosı̀ le equazioni del moto pure, prive cioè delle reazioni vincolari incognite (equazioni di Lagrange).
In Meccanica dei Continui il problema, corrispondente a quello della descrizione
del vincolo, è di definire il modello che ben descrive gli sforzi che si esercitano tra
particelle a contatto del continuo. Il modello che presentiamo caratterizza lo sforzo
interno in maniera equivalente al Postulato di Cauchy.
Postulato sugli sforzi interni. Esistono un campo vettoriale di sforzo γ e un
campo tensoriale di sforzo T entrambi definiti sulla configurazione attuale tali che:
1) per ogni parte Pt e per ogni campo vettoriale w(x, t) (spostamento virtuale),
il lavoro degli sforzi interni sui punti di Pt è dato dall’espressione (si dice anche
potenza di primo gradiente)
Z
(γ · w + T · grad w )dx v;
Lint = −
Pt
2) Lint è nullo per ogni spostamento virtuale rigido
w : R3 × R → R 3
w(x, t) = w0 (t) + ω(t) ∧ x.
Come conseguenza, ponendo ω = 0 si ha necessariamente γ ≡ 0 e, detta Ω la matrice
antisimmetrica associata all’operatore ω ∧ ·, la condizione T · Ω ≡ 0 porge
T = TT
ovvero, lo sforzo interno è descritto da un tensore simmetrico. Inoltre, usando l’ormai
nota relazione (1.4), si ottiene
Z
Z
T · grad w dx v =
div (T T w) − div T · w
Pt
Pt
25
3. Dinamica dei continui
per cui il lavoro virtuale degli sforzi interni si scrive anche
Z
Z
Lint = −
T n · wdx σ +
div T · wdx v.
(3.5)
Pt
∂Pt
Rimane ora da definire, per un generico spostamento virtuale, il lavoro delle forze
d’inerzia
Z
Lin = −
µė · wdx v,
Pt
e il lavoro delle forze esterne: sia data, come sopra, b densità di volume di forze
esterne a distanza e s densità superficiale di forze esterne di contatto, esercitate dai
punti esterni a ∂Pt sui punti di Pt a contatto, sulla quale ora non facciamo alcuna
ipotesi, a parte l’integrabilità come densità superficiale di forze. Allora
Z
Z
s · wdx σ.
b · wdx v +
Lext =
Pt
∂Pt
Possiamo ora enunciare il
Teorema 3.1.2 (Principio dei Lavori Virtuali) Siano (b, s),rispettivamente densità di forza esterna di azione a distanza e densità di forza esterne di contatto lungo
il moto x di B, e valga il postulato degli sforzi interni. Allora valgono le a) b) c) del
Teorema del Tetraedro di Cauchy (equivalenti alla validità delle equazioni di bilancio (3.1), (3.2) lungo il moto x) se e solo se il lavoro delle forze interne, esterne e
d’inerzia è nullo per ogni spostamento virtuale per ogni t lungo il moto
Lint + Lext + Lin = 0.
Dimostrazione. Riscriviamo la condizione del Principio dei Lavori virtuali (nella
versione di D’Alembert)
Z
Z
Lint + Lext + Lin =
[−µė + b + div T ] · wdx v +
[−T n + s] · wdx σ = 0 (3.6)
Pt
∂Pt
La necessità è quindi ovvia. Se ora supponiamo che valga il principio dei lavori
virtuali, la somma dei due termini in (3.6) è nulla. Osserviamo allora che nel caso
particolare di uno spostamento virtuale rigido si ha Lint = 0; i termini rimanenti si
possono riscrivere come u · w = u · (w0 + ω ∧ x) = u · w0 + ω · x ∧ u ove u = s oppure
u = b − µė. Pertanto, ponendosi fare separatamente w0 = 0 e ω = 0, il principio dei
lavori virtuali
Z
Z
Z
Z
Lext +Lin = w0 ·[
s dx σ+ (b−µė) dx v]+ω·[
x∧s dx σ+
x∧(b−µė) dx v] = 0
∂Pt
Pt
∂Pt
Pt
porge una condizione equivalente alla validità delle equazioni di bilancio, che sono
equivalenti al Teorema di Cauchy. Questo conclude la dimostrazione.
Le equazioni della dinamica dei continui si possono dunque porre nella forma
integrale (3.6) che esprime il Principio dei Lavori Virtuali. Tale formulazione dal
punto di vista dell’Analisi Matematica, corrisponde a introdurre la forma debole
della soluzione di un’equazione
Z
f (u) = 0
⇔
f (u) · w = 0
∀w ∈ V
P
26
Il teorema del tetraedro di Cauchy
ove le w ∈ V sono delle funzioni test che in Fisica Matematica si interpretano come
velocità o spostamenti virtuali, o di saggio. In questo modo, l’equazione integrale
definisce un funzionale sullo spazio vettoriale delle funzioni test. In generale, l’adozione della forma debole delle equazioni permette di applicare tecniche di risoluzione
che non sono disponibili per l’equazione diretta f (u) = 0. Inoltre tale forma appare
naturalmente nello studio delle equazioni alla derivate parziali con metodi numerici
(elementi finiti).
3.1.2 Equazioni di bilancio associate all’equazione indefinita dei continui
E’ un semplice esercizio mostrare che al pari dell’equazione di continuità per la
massa, anche l’equazione indefinita dei continui, che esprime il bilancio della quantità di moto puo’ essere scritta sotto forma di legge di conservazione vettoriale.
Supponiamo che il moto del continuo soddisfi l’equazione di continuità per la massa
µ̇ + µdive = 0
Allora
µė = (µe). − µ̇e = (µe). + µ e div e = div T + b
da cui, ricordando la definizione di derivata molecolare, si ottiene
∂(µe)
+ grad(µe)e + µ e div e − div T = b
∂t
e infine
∂(µe)
+ div(µe ⊗ e − T ) = b
∂t
(3.7)
essendo
div(µe ⊗ e)i =
X ∂
X ∂(µei )
∂ej
(µei ej ) =
ej + µei
= [grad(µe)e + µediv e]i .
∂xj
∂xj
∂xj
j
j
La (3.7) ha con evidenza la forma di legge di bilancio per la quantità vettoriale
Ψ = µe, con termine di produzione b, flusso convettivo µe ⊗ e, flusso non convettivo
Ψ = −T e flusso Φ = µe ⊗ e − T .
3.1.3 Descrizione materiale del Tensore degli sforzi
Il tensore degli sforzi che abbiamo ricavato è definito come un campo tensoriale
sulla traiettoria spazio–temporale Γ. In molti casi però risulta difficile descrivere le
forze agenti sul corpo B se queste dipendono dalla configurazione attuale Bt che è in
generale ignota. In questi casi è utile esprimere tutte le grandezze in gioco nella loro
rappresentazione materiale come campo sulla configurazione materiale, che è fissa.
Vediamo come.
Sia x = x(X, t) moto di B e T (x, t) il tensore degli sforzi di Cauchy. Per ogni
parte P e per ogni t ∈ [0, T ), applichiamo il teorema di cambiamento di variabile
degli integrali di superficie, pensando al moto (incognito) come un diffeomorfismo a
t fissato. Vale
Z
Z
T n dx σ =
Tm det F F −T ν dX σ
∂Pt
∂P
27
3. Dinamica dei continui
ove n e ν sono le normali esterne nei punti generici di ∂Pt e ∂P. L’uguaglianza
appena scritta definisce un campo tensoriale sulla configurazione di riferimento S :
B × [0, T ) → Lin
S(X, t) := (det F )Tm F −T
(3.8)
detto tensore degli sforzi di Piola–Kirkhhoff. Posto b0 = det F b, campo delle forze
esterne a distanza sulla configurazione di riferimento, le equazioni di bilancio (3.1)
e (3.2) espresse per una parte P nella configurazione di riferimento sono:
Z
Z
Z
µ∗ x00 (X, t) dX v =
S(X, t)ν dX σ +
b0 d X v
P
Z
∗ 00
Z
X ∧ b0 dX v.
X ∧ S(X, t)ν dX σ +
x ∧ µ x (X, t) dX v =
P
P
∂P
Z
P
∂P
Esercizio. Mostrare che le condizioni b) e c) del Teorema del Tetraedro di Cauchy
si scrivono in forma materiale rispettivamente come
SF T = F S T
(3.9)
µ∗ x00 = b0 + Div S
(3.10)
nb. Si osservi che S non è in generale una matrice simmetrica.
3.2 Teorema delle forze vive
Procediamo esattamente come in Meccanica finito–dimensionale: dalla equazione
di Newton f = m a, moltiplicando scalarmente per la velocità v si ottiene che la
variazione di energia cinetica è pari al lavoro delle forze agenti sul sistema e pari
alla variazione di energia potenziale nel caso in cui agiscano sole forze conservative.
In meccanica dei continui, senza ulteriori ipotesi non possiamo supporre che le forze
interne di contatto ammettano un potenziale.
1. Formulazione spaziale. Dalla equazione di bilancio per la quantità di moto in
forma puntuale
µė = div T + b
moltiplicando scalarmente per e e integrando su Pt si ha
Z
Z
Z
d e2
d
e2
dK
µė · e dx v =
µ ( ) dx v =
µ( ) dx v =
dt Pt
2
dt
Pt
Pt dt 2
ove K è l’energia cinetica di P. Per il secondo membro, usando la simmetria di T e
la relazione (1.4) si ottiene
Z
Z
Z
T
divT · e dx v =
div(T e) dx v −
T · grad e dx v
Pt
Pt
Pt
Z
Z
=
T e · n dx σ −
T · L dx v =
∂Pt
Pt
Z
Z
=
T n · e dx σ −
T · D dx v =
∂Pt
Pt
Z
Z
=
Σ · e dx σ −
T · D dx v
∂Pt
28
Pt
Teorema delle forze vive
pertanto il Teorema della forze vive (spaziale) si scrive come
Z
Z
Z
T · D dx v = P + W
Σ · e dx σ −
b · e dx v +
K̇ =
Pt
ove
(3.11)
Pt
∂Pt
Z
Z
b · e dx v +
P =
Pt
Σ · e dx σ
∂Pt
è la potenza delle forze esterne di azione a distanza e di contatto sulla superficie
esterna di Pt e
Z
T · D dx v
(3.12)
W =−
Pt
è la potenza degli sforzi interni (stress power). Qui D = 12 (L + LT ) è la parte
simmetrica del gradiente di velocità.
2. Formulazione materiale. Riscriviamo i singoli pezzi della (3.11) nella configurazione di riferimento usando il moto come diffeomorfismo a t fissato. Allora
Z
Z
Z
d
e2
e2m
x0 2
d
d
K̇ =
µ( ) dx v =
det F µm ( ) dX v =
µ∗ ( ) dX v.
dt Pt
2
dt P
2
dt P
2
Calcoliamo separatamente i due contributi della potenza delle forze esterne; il contributo delle forze di volume vale
Z
Z
Z
b · e dx v =
b detF · em dX v =
b0 · x0 dX v
Pt
P
P
mentre quello delle forze di superficie si riscrive come
Z
Z
Z
T n · e dx σ =
T e · n dx σ =
det F (T e)m · F −T νdX σ =
∂Pt
∂P
Z∂Pt
Z
−T
=
detF em · Tm F νdX σ =
v · detF Tm F −T νdX σ =
∂P
∂P
Z
=
v · SνdX σ.
∂P
Infine la potenza degli sforzi diventa (vale la formula A · BC = AC T · B)
Z
Z
Z
Z
0 −1
−T
0
W =
T ·D dx v =
T ·Fs Fs dx v =
T Fs ·Fs dx v =
det F Tm F −T ·F 0 dX v
Pt
Pt
Pt
P
e quindi
Z
0
Z
b0 · x d X v +
K̇ =
P
0
Z
Σ0 · x d X σ −
∂P
S · F 0 dX v
P
ove b0 = detF b e Σ0 sono le assegnate forze esterne di superficie nella configurazione
di riferimento.
Osservazione. Dalla formulazione materiale del Teorema delle forze vive si vede
facilmente che W è nulla per i moti aventi gradiente di deformazione costante F 0 =
∂ ∂x
∂t ( ∂X ) = 0. Intuitivamente, possiamo pensare che, se F non è costante nel tempo,
alcune particelle del continuo devono agire sulle altre per fare variare la loro velocità
e realizzare la deformazione complessiva durante il moto. Poichè il sistema non è
isolato, tali forze di contatto tra punti contigui non sono bilanciate (non verificano
29
3. Dinamica dei continui
il principio di azione e reazione). In qualche modo, W misura la potenza delle forze
di contatto impiegata per ‘coordinare’ il moto di tutte le particelle. Tale potenza è
nulla per esempio nel caso di un corpo rigido, ove D = 0. Ne risulta che W = K̇ −P ,
differenza tra la variazione di energia cinetica e la potenza delle forze esterne, puo’
essere pensato come la potenza delle forze interne che non è usata per produrre moto
(variare l’energia cinetica totale).
Esercizio 1. A titolo di esempio, calcoliamo la variazione dell’energia cinetica
per un fluido di Navier–Stokes (viscoso, incomprimibile) in assenza di forze esterne.
Si ha allora
Z
Z
dK
(−πI + 2νD) · Ddx v
T · Ddx v = −
= −
dt
Z Pt
Z Pt
tr(DT D)dx v
πtr Ddx v − 2ν
=
Z
ZPt
ZPt
2
|D|2 dx v < 0
|D| dx v = −2ν
πdiv e dx v − 2ν
=
Pt
Pt
Pt
ove div e = 0 per l’ipotesi di incompressibilità. Quindi la dissipazione è nulla se e
solo se il coefficiente di viscosità ν = 0.
Esercizio 2. Calcoliamo il lavoro (la potenza) compiuto da una porzione P di fluido
in equilibrio con il resto del continuo fluido in una espansione a pressione costante
(π = cost). Supponendo b = 0, dalla formula precedente sotto la (3.11) si ha
Z
Z
Z
d
ext
P
=
Σ · e dx =
T n · e dx = −π
n · e dx = −π vol(P) = −P int .
dt
∂Pt
∂Pt
∂Pt
Esercizio 3. Riscriviamo il contenuto del Teorema delle forze vive sotto forma di
legge di bilancio per la densità di energia cinetica. Questo bilancio si estenderà
all’energia cinetica più energia interna nella Termomeccanica dei continui attraverso
il Primo principio della Termodinamica. Applichiamo il teorema del Trasporto:
Z
Z
dK
d
e2
e2
e2
=
µ dx v =
[(µ )0 + div (µ e)]dx v =
dt
dt
2
2
2
Pt
Z Pt
[b · e + div (T e) − D · T ]dx v
=
Pt
da cui
∂ e2
e2
(µ ) + div (µ e − T e) = b · e − T · D.
∂t 2
2
3.3 Esempi di equazioni costitutive
Le equazioni di bilancio che abbiamo postulato essere valide lungo il moto del continuo non sono sufficenti a determinare tutte le grandezze incognite legate al moto.
Infatti sono incognite: il moto x = (X, t) ∈ R3 , la densità µ, il tensore degli sforzi
T ∈ M at(3, R); in tutto 3 + 1 + 9 = 13 incognite. Per determinarle abbiamo a disposizione l’equazione di continuità e le equazioni di bilancio, in tutto 1 + 3 + 3 = 7
equazioni.
30
Esempi di equazioni costitutive
Le equazioni da aggiungere per rendere determinato il problema non possono
far ricorso a principi generali di tipo meccanico, che si esauriscono nelle equazioni
di bilancio e di conservazione della massa, ma devono essere dettate dall’intento
di caratterizzare il comportamento del continuo preso in esame. Tali equazioni
si chiamano costitutive e caratterizzano il materiale in esame fino a determinarne
completamente il moto.
Enunciare delle equazioni costitutive non è semplice. Per facilitare tale compito
si è sviluppata una teoria generale delle equazioni costitutive, nella quale non ci
addentriamo. In breve, in essa si postula che una ragionevole equazione costitutiva
deve soddisfare a degli assiomi generali (tra i quali il principio del determinismo,
il principio di azione locale, il principio di indifferenza materiale). Tali assiomi
restringono la forma possibile delle equazioni costitutive e quindi facilitano la loro
ricerca.
Principio di indifferenza materiale
Esso afferma che le leggi fisiche devono avere la stessa descrizione in due sistemi
di riferimento che differiscono per una rototraslazione. Pertanto, diremo che due
moti x = x(X, t) e x∗ = x∗ (X, t) descrivono lo stesso moto del continuo se esistono
Q ∈ Orth∗ e q ∈ R3 tali che
x(X, t) = Qx∗ (X, t) + q,
∀X ∈ B, ∀t ∈ [0, T ].
(3.13)
Vediamo quali conseguenze si hanno per il teorema di Cauchy dall’imporre che esso
soddisfi il principio di indifferenza materiale. Supponiamo che tra il vettore sforzo s∗
e la normale ν valga la relazione s∗ = T ∗ ν. Se ora applichiamo una rototraslazione
del sistema di riferimento, le quantità vettoriali subiranno la trasformazione
n = Qν,
s = Qs∗ .
Il teorema del tetraedro di Cauchy vale nel riferimento rototraslato solo se
s = Qs∗ = QT ∗ ν = QT ∗ QT n ≡ T n
e questo implica che T soddisfi a
T = QT ∗ QT .
(3.14)
Vediamo alcune conseguenze di questa assunzione. Supponiamo che T dipenda
solamente dal gradiente di deformazione F (questa scelta caratterizza i materiali
elastici, vedi oltre). Allora, dalla (3.13) si ha immediatamente F = ∂x/∂X =
Q∂x∗ /∂X = QF ∗ e quindi la (3.14) richiede che
T (F ) = T (QF ∗ ) = QT ∗ (F ∗ )QT .
(3.15)
Vediamo qui alcune scelte di equazioni costitutive che caratterizzano i materiali piu’
semplici. Premettiamo la seguente definizione:
Definizione 3.3.1 Un’assegnazione delle funzioni (e(x, t), µ(x, t), T (x, t)) soddisfacenti all’equazione di continuità e alla equazione di Cauchy (eq. c del Teorema
del Tetraedro di Cauchy) si dice flusso. Un flusso è stazionario se (e, µ, T ) non
dipendono dal tempo.
31
3. Dinamica dei continui
3.4
Fluidi
Un fluido è un continuo per il quale lo sforzo attraverso una qualsiasi superficie è
perpendicolare alla superficie stessa, ovvero
s(x, t, n) = σ(x, t, n)n
∀n ∈ S 2 ,
∀(x, t) ∈ Γ.
(3.16)
Proposizione 3.4.1 (Osservazione di Cauchy) Se vale (3.16) allora lo sforzo è
indipendente da n, ovvero
s(x, t, n) = π(x, t)n,
i.e.
T (x, t) = −π(x, t)I,
ove lo scalare positivo π(x, t) è detto pressione.
Osservazione: per un fluido divT = grad π, inoltre la condizione T = T T è banalmente soddisfatta.
P
Dimostrazione. Sia n = 3i=1 ni ei con ei base ortonormale. Dalla (3.16), scritta
per n e ei si ha, omettendo la dipendenza da (x, t),
s(n) = σ(n)n,
s(ei ) = σ(ei )ei ;
dal Teorema di Cauchy (3.4) segue allora che
s(n) = σ(n)n = σ(n)
3
X
ni ei =
i=1
3
X
σ(n)ni ei ≡
i=1
3
X
i=1
ni s(ei ) =
3
X
ni σ(ei )ei ,
i=1
da cui, eguagliando le componenti
σ(n) = σ(ei )
∀i = 1, 2, 3
⇔
σ è indipendente da n.
3.4.1 Fluidi ideali e elastici
Un fluido è ideale se è incomprimibile ed omogeneo, ovvero se per esso sono possibili
solo moti isocori (a volume costante, ovvero con div e = 0), ed inoltre µ∗ è costante.
Per un fluido ideale, l’equazione di continuità porge subito µ0 = 0, ovvero la densità
di massa è costante anche nel tempo. Le equazioni (non lineari) di un fluido ideale
sono quindi
∗
µ ė = µ∗ (e0 + grad e e) = b − grad π,
0 = div e
dette equazioni di Eulero. La nonlinearità è dovuta al termine grad e.
Un fluido (comprimibile) è detto elastico se per esso vale una relazione π = π̂(µ).
Le equazioni del moto di un fluido elastico (incognite e, µ) sono non lineari

 µė = b − grad π,
0 = µ̇ + µdiv e,

π = π̂(µ)
Per esse sono possibili soluzioni nelle quali la velocità presenta un fronte di discontinuità che si propaga (le cosiddette onde d’urto o shock waves).
32
Fluidi
Il moto del fluido di Eulero ha anche un’altra proprietà interessante: esso conserva il valore della circolazione del campo di velocità lungo una curva materiale
orientata chiusa trasportata dal moto. La dimostrazione fa uso di un risultato molto più generale, valido per il flusso di un generico un generico campo vettoriale
X(t, x)
Proposizione 3.4.2 (Teorema di trasporto della circolazione) Sia γt curva
materiale chiusa orientata, immagine tramite il flusso di γ : [0, 1] → P. Allora
d
dt
Z
Z
X · dx =
γt
Ẋ · dx.
γt
Dimostrazione
d
dt
Z
Z
d 1
d
X(t, x(t, γ(s))) · x(t, γ(s))ds
dt 0
ds
Z 1
Z 1
d d
X·
=
Ẋ · dx +
x(t, γ(s))ds
dt
ds
0
0
Z 1
Z 1
d
=
Ẋ · dx +
X · X(t, γ(s))ds
ds
0
0
Z 1
Z 1
Z 1
d X2
=
Ẋ · dx +
(
)=
Ẋ · dx.
0
0 ds 2
0
X · dx =
γt
Corollario
Teorema 3.4.1 (Teorema di Kelvin) Lungo il moto di un fluido di Eulero, la
circolazione del campo di velocità lungo una linea materale è costante
Z
Z
Z
d
e · dx =
ė · dx = −
grad π · dx = 0.
dt γt
γt
γt
3.4.2
Fluidi di Navier–Stokes o linearmente viscosi
Per i fluidi finora introdotti lo sforzo è una pressione, ovvero risulta normale alla
superficie considerata. I fluidi linearmente viscosi modellano un corpo continuo nel
quale lo sforzo ha anche una componente di taglio, ossia parallela alla superficie
stessa. Tale componenente descrive la resistenza allo scorrimento relativo di due
‘strati’ del fluido a contatto, pertanto è sensato pensare che descriva fluidi con
viscosità.
Considereremo per semplicità il caso di un fluido omogeneo e incomprimibile.
Per esso supporremo che
T (x, t) = −π(x, t)I + 2νD(x, t)
ove D = 21 (L + LT ) e ν > 0, costante, è detta viscosità del fluido. Essendo
div 2νD = νdiv(grad e + (grad e)T ) = ν∆e + νgrad(div e) = ν∆e,
33
3. Dinamica dei continui
(dim. per componenti, div e = 0 per l’ipotesi di incompressibilità) otteniamo le
equazioni del moto di un fluido di Navier–Stokes nelle incognite (e, π)
∗
µ ė = b − grad π + ν∆e,
0 = div e.
Osservazione 1. Se le forze esterne sono indipendenti dal tempo, si vede subito che
le equazioni dei fluidi ideali o elastici sono invarianti per inversione temporale (infatti
ė(x(−t), −t) = −ė(x(t), t)), mentre le equazioni dei fluidi di Navier–Stokes non lo
sono a causa del termine di dissipazione ν∆e (infatti ∆e(x(−t), −t) = ∆e(x(t), t)).
Pertanto le equazioni di Navier–Stokes descrivono l’evoluzione irreversibile di un
fluido. L’irreversibilità delle equazioni ben si accorda col fatto (confermato dalle
osservazioni sperimentali) che le equazioni di N-S hanno per certi valori dei parametri
(numero di Reynolds, vedi sotto) soluzioni ’semplici’ (moto laminare) e per altri un
comportamento caotico (moto turbolento). Tali equazioni che trovano applicazione
in moltissimi ambiti tecnologici, sono tuttavia un campo di indagine matematico
ancora aperto.1
Osservazione 2. Le equazioni di N-S sono un sistema di quattro equazioni per le
quattro incognite e, π. Dal momento che la pressione non compare nelle equazioni
attraverso le sue derivate, possiamo cercare di esprimerla in funzione di e e delle sue
derivate. Prendendo il gradiente della (3.20)1 si ha, ponendo per semplicità µ∗ = 1
(grad e). + grad e grad e = grad b − Hess(π) + ν∆(grad e).
Ora prendiamo la traccia dell’equazione matriciale appena scritta sapendo che tr grad e =
tr D = div e ottenendo
(div e). + grad e · grad e = −∆π + div b + ν∆(div e).
Infine, dalla condizione di incomprimibilità div e = 0, vediamo che la pressione è
soluzione dell’ equazione di Poisson
∆p = div b − grad e · grad e.
(3.17)
Si noti che la relazione trovata vale anche per fluidi di Eulero (incomprimibili
omogenei, non viscosi).
Equazioni di Navier-Stokes adimensionali
Le equazioni di Navier-Stokes si propongono come modello per il moto di fluidi
viscosi. Esse vengono impiegate per descrivere il moto della crosta terreste, inteso
come fluido ad altissima viscosità, il moto delle correnti oceaniche, lo scorrimento
del sangue nei vasi eccetera. Come possiamo rendere plausibile il fatto che una
stessa equazione si applicabile a sistemi cosı̀ disparati? Mostreremo qui che le varie
grandezze che descrivono il sistema da modellizzare possono essere compendiate in
un’unico parametro scalare, il numero di Reynolds Re. Siano L e T le unità di
misura per le lunghezze e tempi nel sistema di interesse (per esempio Km e ore per
la geofisica, mm e anni per la tettonica, µm e sec per il moto di microorganismi).
1
Manca un teorema di esistenza e regolarità della soluzione in 3D, è uno dei sette Millenium
Problems del Clay Mathematics Institute.
34
Fluidi
Scritte le equazioni di N-S nelle coordinate spazio-temporali (λ, τ ) relative alle scale
scelte, introduciamo le coordinate adimensionali (x, t)
x = x(λ) =
λ
,
L
t = t(τ ) =
τ
T
e vediamo quale forma assumono le equazioni di N-S nelle coordinate adimensionali.
Dall’identità
x(t) = x(λ(τ (t)))
otteniamo per derivazione la relazione tra la velocità u = dλ/dτ e la velocità
adimensionale e = dx/dt:
e(x, t) =
dx
dx dλ dτ
T
=
= u(tT, xL)
dt
dλ dτ dt
L
Analogamente, troviamo che
uτ =
L
,
T2
gradλ U =
1
gradx e,
T
∆u =
1
∆e,
LT
gradλ π =
1
gradx π.
L
Ora supponendo che la velocità u(λ, τ ) soddisfi le equazioni di Navier - Stokes (3.20),
e sostituendo le grandezze sopra introdotte, si vede che la velocità adimensionale
e(x, t) soddisfa all’equazione

T2
1
T2

 ė = µνT
∗ L2 ∆e + µ∗ L b − L2 µ∗ gradx π = Re ∆e + f,
(3.18)

 0 = T div e.
La quantità f è una grandezza adimensionale che rappresenta il contributo delle forze esterne; indichiamo con η = ν/µ∗ la viscosità cinematica. Il parametro
adimensionale
µ∗ L2
L2
Lv
Re =
=
=
νT
µT
η
detto numero di Reynolds, esprime la relazione tra la scala delle lunghezze, delle
velocità v = L/T e la viscosità cinematica. Se per semplictà trascuriamo il contributo di f , appare evidente che sistemi fisici aventi lo stesso numero di Reynolds
sono descritti dalla stessa equazione di N-S adimensionale e quindi hanno la stessa
soluzione (moto laminare o turbolento).
Il numero di Reynolds ha un’altra interpretazione fisicamente significativa: esso
esprime il rapporto tra le forze inerziali Fin ≈ µ∗ a e le forze viscose Fvisc ≈ ν∆u
agenti sul sistema. Infatti
Fin
µ∗ LT −2
L2
=
=
= Re
Fvisc
νL−1 T −1
ηT
Pertanto, a Re basso dominano le forze viscose, mentre a Re elevato, il moto è
determinato dalle forze esterne ed inerziali. Sapendo che η = 10−2 cmsec−1 per
l’acqua ed esprimendo la scala delle lunghezze L in cm e la scala delle velocità v in
cmsec−1 , diamo qualche esempio di Re per il moto a velocità costante di corpi nel
fluido a riposo (è lo stesso che considerare il corpo fermo e il fluido in movimento):
35
3. Dinamica dei continui
Sistema
scale
Balena
Sub
Pesce rosso
Batterio
L = 103 , v
L = 102 , v
L = 1, v
L = 10−4 , v
Re
= 103
= 102
=1
= 10−2
∼ 108
∼ 106
∼ 102
∼ 10−4
Vorticità
Le equazioni del moto dei fluidi ideali e di quelli di Navier-Stokes, per i quali si
aggiunge il termine di attrito viscoso ν∆e, ammettono una riscrittura equivalente
molto interessante in termini del campo vettoriale di vorticità ω = rot e. Siccome
abbiamo a che fare con fluidi omogenei incomprimibili, la densità di massa, costante,
puo’ essere posta uguale a uno. Usiamo ancora la decomposizione (2.6) della velocità
nell’equazione di Navier-Stokes scrivendo
ė = e0 + grad(
e2
) + ω ∧ e = −grad π + ν∆e.
2
Ora prendiamo il rotore di entrambi i membri, usando il fatto che rot(gradϕ) = 0,
div(rot w) = 0, facendo uso dell’identità vettoriale
rot (ω ∧ e) = grad ω e − grad e ω + ωdiv e − ediv ω.
e scambiando, ove serve, l’ordine di derivazione. Infine, notiamo che
1
1
grad e ω = (D + W )ω = (D + rot e)ω = Dω + ω ∧ ω = Dω.
2
2
Si ottiene allora immediatamente (qui div e = 0) l’equazione di evoluzione per il
campo vettoriale di vorticità per un dato campo di velocità e
ω 0 + grad ω e = ω̇ = Dω + ν∆ω.
e un sistema di due equazioni vettoriali per le variabili e, ω
0
ω + grad ω e = ω̇ = Dω + ν∆ω,
rot e = ω
(3.19)
(3.20)
Si vede che in questa formulazione dell’equazione di Navier–Stokes il termine di
pressione non compare. Questo è ragionevole poichè il tensore di Cauchy T =
−πI descrive la componente normale dello sforzo, e quest’ultima, intuitivamente, è
incapace di mettere in rotazione il fluido o di arrestarne la componente rotatoria
della velocità.
Una soluzione esplicita delle equazioni di Navier-Stokes.
E’ possibile costruire delle soluzioni particolari delle equazioni di N-S che illustrano il ruolo della vorticità. Vale infatti la seguente
Proposizione 3.4.3 Sia D(t) una possibile matrice di velocità di deformazione
locale, ovvero D(t) ∈ Sym, tr D(t) = 0. Sia ω(t) soluzione dell’equazione vettoriale
ω 0 = D(t)ω,
36
ω(0) = ω0 .
Fluidi
Allora il campo di velocità euleriano definito da
1
e(x, t) = ω(t) ∧ x + D(t)x = (W (t) + D(t))x
2
soddisfa l’equazione di Navier-Stokes (3.20).
Dimostrazione. Usiamo la formulazione equivalente (3.19) di N-S in termini della
vorticità. Per il campo sopra scritto si ha
rot e = ω(t),
∆ω = 0,
grad ω = 0
quindi l’equazione di N-S si riduce a ω 0 = Dω che è soddisfatta per ipotesi.
Osservazione. Il campo di velocità trovato soddisfa anche l’equazione di Eulero in
virtù del fatto che ∆ω = 0; per entrambe la pressione si ricava dall’equazione di
Poisson (3.17).
Esempio. Usiamo come fatto in precedenza al Cap.2 una matrice di strain e una
vorticità iniziale ω0 come segue
D = Diag[−γ1 , −γ2 , γ1 + γ2 ],
ω0 = (0, 0, ω03 )T .
L’equazione ω 0 = Dω ha soluzione immediata
ω(t) = (0, 0, ω3 (t)) = (0, 0, ω03 e(γ1 +γ2 )t )
e il campo di velocità associato è lineare in x

0
−γ1
− 12 ω3 (t)
1
−γ2
0 x
e(x, t) = ω(t) ∧ x + D(t)x =  12 ω3 (t)
2
0
0
γ1 + γ2

Qualitativamente, si vede che tale soluzione rappresenta un vortice che si ’allunga’
disponendosi lungo l’asse x3 e aumentando la sua vorticità. Quest’ultimo fatto si
ha sempre quando la vorticità iniziale è un autovettore di D. Diamo una stima
della velocità con cui le traiettorie del fluido si avvicinano all’asse x3 . Sia x⊥ (t) =
(x1 (t), x2 (t), 0) la componente perpendicolare all’asse della vorticità della traiettoria
di una particella, ottenuta risolvendo l’equazione dx/dt = e(x, t). Allora, detta
A(x, t) la sottomatrice di ordine due della matrice scritta sopra, si ha
1d ⊥ 2
(x ) = (x⊥ , ẋ⊥ ) = (x⊥ , A(x, t)x⊥ ) = −(γ1 x21 + γ2 x22 )
2 dt
quindi
−max(γ1 , γ2 )(x⊥ )2 ≤
1d ⊥ 2
(x ) ≤ −min(γ1 , γ2 )(x⊥ )2 .
2 dt
Qualitativamente, si vede che tale soluzione rappresenta un vortice che si ’allunga’
disponendosi lungo l’asse x3 e aumentando la sua vorticità. Quest’ultimo fatto si
verifica sempre quando la vorticità iniziale è un autovettore di D.
37
3. Dinamica dei continui
Vorticità per i fluidi ideali
Per un fluido ideale ν = 0 e l’equazione (3.19) per la vorticità diviene un’equazione
quasi-lineare
ω̇ = grad e ω
la cui soluzione è nota noto il moto del fluido x = x(t, X). Vale infatti
Proposizione 3.4.4 Sia ω0 (X) il campo iniziale di vorticità. Allora la soluzione
dell’equazione di vorticità associata al moto di un fluido di Eulero è data da
ωm (t, X) = ω(t, x(t, X)) = F (t, X)ω0 (X).
Dimostrazione. Per verifica diretta
d
d
ωm (t, X) =
ω(t, x(t, X)) = F 0 (t, X)ω0 (X) =
dt
dt
= (grad e)m F (t, X)ω0 (X) = (grad e)m ωm (t, X)
Le curve integrali del campo di vorticità ad un istante assegnato, definite a meno di
una riparametrizzazione, sono dette linee di vortice. Esse soddisfano pertanto alla
condizione
dγ
(s) = ω(t, γ(s))λ(s),
λ(s) 6= 0.
ds
Il moto del fluido di Eulero trasporta le linee di vortice nel senso che, detta γt (s) =
x(t, γ(s)) la curva materiale immagine della γ tramite il moto del fluido, essa verifica
ancora la relazione precedente. Infatti
dγt
d
dγ(s)
(s) = x(t, γ(s)) = F (t, γ(s))
= F (t, γ(s))ω(t, γ(s))λ(s) = ω(t, γt (s))λ(s).
ds
ds
ds
Moti piani di fluidi incomprimibili
Consideriamo il moto piano di un fluido di Navier-Stokes, trascurando l’effetto della
gravità. Detto ẑ il versore ortonormale al piano (x, y) e indicato con e(x, y) =
ex (x, y)x̂ + ey (x, y)ŷ il campo piano di velocità, la vorticità è un vettore ortogonale
al piano
∂ey
∂ex
ω = rot e = (
−
)ẑ = ωẑ
∂x
∂y
e poichè il termine grad e·ω è nullo in questo caso, l’equazione (3.19) per la vorticità
si riduce all’equazione scalare seguente
ω̇ = ω 0 + grad ω · e = ν∆ω.
Otteniamo quindi, che per un fluido di Eulero, la vorticità è costante lungo le traiettorie delle particelle. Usando l’identità vettoriale div(ωe) = grad ω · e + ωdiv e e
il fatto che div e = 0, possiamo inoltre riscrivere l’equazione scalare per la vorticità
sotto forma di legge di bilancio
ω 0 + div(ωe) = ν∆ω.
38
Fluidi
Vediamo ora un’altra formulazione delle equazioni del moto piano di un fluido di
Navier–Stokes, detta di vorticità – corrente. La condizione di incomprimibilità
div e = 0 permette di dire che la uno–forma differenziale
w = −ey dx + ex dy
associata al campo vettoriale piano w = ẑ ∧ e è chiusa. La condizione di chiusura si
scrive infatti come
∂ey
∂wx ∂wy
∂ex
−
=−
−
= −div e = 0.
∂y
∂x
∂y
∂x
In un dominio D di w semplicemente connesso, w è esatta e la sua primitiva ψ(x, y)
tale che dψ = w è detta funzione di corrente. Equivalentemente, possiamo dire che
il campo vettoriale w è un gradiente, w = grad ψ.
Dalla condizione grad ψ = w = ẑ ∧ e segue che grad ψ è ortogonale alla velocità e e
quindi, punto per punto, le linee di livello di ψ coincidono con le curve integrali del
campo di velocità euleriano o traiettorie. Quindi ψ è costante lungo le traiettorie
delle particelle del fluido. La funzione di corrente, integrale primo del moto, permette
di esprimere facilmente il campo di velocità come2
e = grad ψ ∧ ẑ
i.e. ex =
∂ψ
,
∂y
ey = −
∂ψ
∂x
(3.21)
e la vorticità scalare
ω = rot e = (
∂ey
∂ex
−
) = −div w = −div(grad ψ) = −∆ψ.
∂x
∂y
(3.22)
Viceversa, supponiamo di considerare un dominio D regolare, semplicemente connesso, contenente una quantità costante di fluido. Questo equivale ad imporre la
condizione di impermeabilità e · n = 0 su ∂D, ove n è la normale esterna. Pertanto,
il bordo di D è costituito da archi di traiettorie di particelle separati al più da punti
ove la velocità e è nulla, detti punti di stagnazione. Se la velocità non è mai nulla su
∂D, allora ψ è costante su ∂D e non è restrittivo supporre ψ = 0 sul bordo. Assegnato il campo di vorticità, la funzione di corrente è quindi soluzione dell’equazione
di Poisson
∆ψ = −ω,
ψ = 0 su ∂D.
Il sistema di equazioni nelle due incognite scalari vorticità – corrente si scrive quindi
ω̇ = ω 0 + grad ω e = ω 0 + grad ω ∧ grad ψ · ẑ = ν∆ω,
∆ψ = −ω
Si noti che, nel caso di un fluido di Eulero, il sistema ammette soluzioni stazionarie
se e solo se ω e ψ hanno gli stessi insiemi di livello, ovvero sono funzionalmente
dipendenti. Quest’ultima condizione si scrive anche come
grad ψ
grad ω ∧ grad ψ · ẑ = det
=0
(3.23)
grad(∆ψ)
ed equivale a richiedere l’esistenza di una relazione funzionale, anche non lineare
∆ψ = F(ψ).
2
Osserviamo rapidissimamente che, stante (3.21), ψ(x, y) si può interpretare come funzione
Hamiltoniana e quindi ψ stessa è costante lungo le traiettorie del fluido piano
39
3. Dinamica dei continui
Integrali primi dei moti piani per fluidi di Eulero
Sia come prima D un dominio del piano contenente una quantità finita di fluido
incomprimibile e omogeneo con µ∗ = 1. L’energia cinetica del fluido non viscoso e
non soggetto a forze esterne sulla frontiera o a distanza è costante e vale
Z
Z
Z
ωψdx v
(div(grad ψ ψ) − ∆ψψ)dx v =
(grad ψ)2 dx v =
2E(ω) =
D
D
D
Inoltre, ogni funzione continua f genera un integrale del moto delle equazioni di
Eulero di vorticità – corrente tramite
Z
f (ω)dx v.
If (ω) =
D
In particolare, l’integrale primo associato a f (ω) = ω 2 è detta enstrofia. Altri
integrali primi (momento angolare, circolazione di ω attorno agli ostacoli) si hanno
per particolari forme di D.
3.4.3 Teorema di Bernoulli
E’ utile premettere alcune definizioni: in un moto di un continuo la velocità euleriana
ammette potenziale se
e(x, t) = grad φ(x, t),
φ : Γ → R;
la densità di forze esterne di azione a distanza ammette (densità di massa di)
potenziale se
b(x, t) = −µ(x, t)grad β(x, t), β : Γ → R.
P3
( es. β(x) = g i=1 δi3 x3 , potenziale gravitazionale). Si noti che se il flusso è
stazionario (e0 = 0), dalla equazione di Cauchy segue b0 = 0 e quindi necessariamente
β 0 = 0 per un flusso stazionario.
Teorema 3.4.2 (di Bernoulli) Per il moto di un fluido valgono le relazioni seguenti:
a) se la velocità euleriana ammette potenziale (e = grad φ) allora
grad (φ0 +
e2
1
+ β) + grad π = 0,
2
µ
b) se il moto è stazionario (e0 = 0), allora
e · grad(
e2
1
+ β) + e · grad π = 0,
2
µ
c) se il moto è stazionario e irrotazionale (rot e = 0), allora
grad(
40
e2
1
+ β) + grad π = 0.
2
µ
Fluidi
Dimostrazione. L’equazione di Cauchy per un fluido si scrive
µė = b + div T = b − grad π
ovvero, da h.2),
ė + grad β +
1
grad π = 0.
µ
Usiamo la decomposizione (2.6) per la derivata molecolare di e
ė = e0 + grad(
e2
) + rot e ∧ e,
2
e notiamo che se e ammette potenziale, allora e è irrotazionale, infatti
rot e = rot grad φ ≡ 0
su
Γ.
Dalle relazioni precedenti seguono subito a), b), c).
Teorema di Bernoulli per i fluidi ideali. Se il fluido è ideale (omogeneo e
incomprimibile), ovvero div e = 0 µ = µ0 = cost. le a), b), c) diventano:
a’) se e ammette potenziale (e = grad φ) allora
grad (φ0 +
e2
π
+ β + ) = 0,
2
µ0
b’) se il moto è stazionario (e0 = 0), allora
e · grad(
ovvero
e2
2
+β+
π
µ0
π
d e2
π
e2
+ β + ) = ( + β + ) = 0,
2
µ0
dt 2
µ0
è costante lungo le linee di flusso,
c’) se il moto è stazionario e irrotazionale (rot e = 0), allora
grad(
π
e2
+ β + ) = 0.
2
µ0
Esercizi
Un gas ideale è un fluido elastico (quindi compressibile) retto dall’equazione costitutiva
π = π̂(µ) = λµν , λ > 0, ν > 1.
1. Determinare la velocità del suono k 2 (µ) per un gas ideale;
2. Mostrare che per un gas ideale in quiete (e = 0) e soggetto a gravità (b = µgẑ),
posto π = 0 alla quota z = 0, la legge di variazione della pressione in funzione della
quota z è
ν
ν
−1
ν−1
gλ ν z
π(z) =
ν−1
41
3. Dinamica dei continui
3. Mostrare che per un fluido ideale nelle stesse condizioni del punto 2. vale la
Legge di Stevino
π(z) = µgz.
Soluzione punto 2. Dalla equazione di Cauchy per un fluido ė = b − grad π si
ricava l’equazione differenziale scalare
dπ
π 1
= gµ = g( ) ν
dz
λ
che si integra direttamente.
Esercizio. Mostrare che per un fluido elastico le a), b), c) del Teorema di Bernoulli
diventano:
e2
+ β + ε(µ)) = 0,
a00 )
grad(φ0 +
2
d e2
b00 )
( + β + ε(µ)) = 0,
dt 2
e2
+ β + ε(µ) = cost.
c00 )
2
3.4.4
Equazioni linearizzate dei fluidi elastici.
Per un fluido elastico, data l’equazione costitutiva π = π̂(µ), supponendo, come è
ragionevole supporre che dπ̂(µ)/dµ > 0, possiamo definire le funzioni
Z µ 2
dπ̂(µ)
k (s)
k 2 (µ) =
> 0, ε(µ) =
ds,
dµ
s
µ0
ove µ0 è una densità di riferimento arbitraria. La funzione k(µ) è detta velocità del
suono (vedi sotto). Vale
grad ε(µ) =
k 2 (µ)
1 dπ̂(µ)
1
grad µ =
grad µ = grad π̂(µ).
µ
µ dµ
µ
Riscriviamo l’equazione di Cauchy per un fluido elastico usando la velocità del
suono k(µ)
ė =
∂e
b
1
b
k 2 (µ)
+ grad ee = − grad π̂ = −
grad µ;
∂t
µ µ
µ
µ
il sistema di equazioni (incognite e, µ) dei fluidi elastici si scrive quindi
(
k2 (µ)
∂e
b
∂t = µ − µ grad µ − grad e e,
∂µ
∂t = −div (µe),
Supponiamo ora b = 0. Il sistema linearizzato attorno ad uno stato di equilibrio
con densità costante, i.e. e(x, t) = 0, µ(x, t) ≡ µ0 è (scrivendo per semplicità
δe = e − 0 = e, δµ = µ − µ0 = µ)
(
k2 (µ0 )
∂e
∂t = − µ0 grad µ,
∂µ
∂t = −µ0 div e.
42
Fluidi
Esso descrive in maniera approssimata il comportamento del fluido per piccole perturbazioni dello stato di equilibrio. Se prendiamo la divergenza della prima equazione e la derivata temporale della seconda, possiamo eliminare div e0 dalle due
equazioni e ottenere (qui ∆ = div grad) l’equazione per la variazione della densità
rispetto alla densità di riferimento nella forma dell’equazione delle onde
∂2µ
= −k 2 (µ0 )∆µ
∂t2
ove k(µ0 ) è la velocità di propagazione dell’onda sonora. In tale approssimazione
lineare, si introduce il rapporto
m(x, t) =
|e(x, t)|
k(µ(x, t))
detto numero di Mach in (x, t)del moto che esprime il rapporto tra la velocità del
fluido e la velocità dell’onda sonora in un punto; il moto si classifica come subsonico,
sonico, supersonico a seconda che m < 1, m = 1, m > 1.
Consideriamo ora un flusso stazionario per il sistema nonlineare delle equazioni
di un fluido elastico non soggetto a forze esterne (b = 0). Allora (e0 = 0, µ0 = 0)
ė · e = −
e inoltre
e·
k 2 (µ)
k 2 (µ)
grad µe = −
µ̇
µ
µ
d
(µe) = e · (µė + µ̇e) = µ(e · ė)(1 − m2 )
dt
da cui, essendo
d
d
d
|e|,
e · (µe) = |e| (µ|e|),
dt
dt
dt
si ha il seguente risultato che caratterizza dal punto di vista fisico il regime sub/super
sonico del moto:
e · ė = |e|
Proposizione 3.4.5 Nel moto linearizzato attorno ad uno stato di equilibrio con
densità costante di un fluido elastico non soggetto a forze esterne, vale, ove e 6= 0,
la relazione
d
d
(µ|e|) = µ(1 − m2 ) |e|.
dt
dt
Il termine µ|e|(x) rappresenta il flusso di massa per unità di area attraverso la superficie normale Σ alla linea di flusso per x. Nel moto subsonico (m < 1), un aumento
di |e| provoca un aumento di flusso di massa attraverso Σ, viceversa nel moto supersonico (m > 1) un aumento della velocità del fluido determina una diminuzione
del flusso di massa. Tale rarefazione del fluido (aria) trasportato dal moto dell’aereo
determina il cosiddetto bang supersonico.
3.4.5
Materiali elastici
Definizione. Un materiale è elastico omogeneo se il tensore degli sforzi, lungo ogni
moto x = x(X, t), dipende da x solo attraverso il gradiente di deformazione
T (x, t) = T̂ (F (X, t)),
ove
x = x(X, t),
43
3. Dinamica dei continui
e inoltre µ∗ è costante.
Il materiale elastico e omogeneo è isotropo 3 se
T̂ (F ) = T̂ (QF ),
per ogni
Q ∈ Orth+ .
Per un materiale elastico omogeneo isotropo, lo stress residuo (sforzo nella configurazione indeformata di riferimento) è TR = T̂ (I).
Ricordando la (3.8), per un materiale elastico lo stress di Piola è
S = detF T̂m (F )F −T =: Ŝ(F )
Vediamo ora le equazioni di Cauchy linearizzate per un materale elastico. La procedura di linearizzazione delle equazioni di bilancio si basa sull’ipotesi che la deformazione sia ‘piccola’ e le funzioni in gioco siano sufficientemente regolari in modo
da sostituirle con il primo termine del loro sviluppo di Taylor. Iniziamo allora ad
introdurre lo spostamento u
x(X, t) = X + u(X, t)
e il relativo gradiente
∂x
= I + H(X, t).
∂X
Equazioni linearizzate. Supponiamo che per un materiale elastico omogeneo
isotropo lo stress residuo Ŝ(I) sia nullo. Scriviamo lo sviluppo di Taylor di S
F (X, t) =
Ŝ(F ) = Ŝ(I + H) = Ŝ(I) + DŜ(I)[H] + o(H)
ove DŜ(I) : Lin → Lin è il tensore (del quarto ordine) elastico (derivata del tensore
di Piola nell’identità).
Osservazione tecnica Mostriamo che DŜ(I) = DT̂ (I) e inoltre che il suo valore
dipende solo dalla parte simmetrica di H, ovvero
1
DT̂ (I)[H] = DT̂ (I)[ (H + H T )] = DT̂ (I)[E] ∈ Sym.
2
(3.24)
Sia ϕ(F ) = det(F ). Deriviamo la relazione S(F )F T = ϕ(F )T (F ) rispetto a F ,
valutiamola in H per F = I tenendo conto che lo sforzo residuo è nullo. Si ha allora,
DŜ(F )[H]F T + Ŝ(F )H T = ϕ0 (F )H T̂ (F ) + ϕ(F )DT̂ (F )[H]
e, per F = I si ha
DŜ(I)[H] = DT̂ (F )[H].
Inoltre, essendo T (F ) ∈ Sym la sua derivata è ancora una funzione simmetrica
DT̂ (I)[H] =
d
T̂ (I + sH)|s=0 ∈ Sym.
ds
Infine, mostriamo che DT̂ (I)[W ] = 0 per ogni W ∈ Skew. Data W ∈ Skew la
sua matrice esponenziale Q(t) = eW t ∈ Ort+ è una matrice ortogonale. Allora, per
3
Il requisito di isotropia equivale ad introdurre nella teoria il requisito di di invarianza del
comportamento rispetto a rotazioni fisiche del materiale
44
Fluidi
l’indifferenza materiale di T̂ –vedi (3.15)– e la condizione si sforzo residuo nullo si
ha, ponendo F = I
T̂ (Q(t)F ) = Q(t)T̂ (F )Q(t)T ,
T̂ (Q(t)I) = Q(t)T̂ (I)Q(t)T ≡ 0
da cui, derivando e valutando in t = 0 si ha
DT̂ (Q(t))[Q̇(t)] = 0,
DT̂ (I)[W ] = 0
e quindi (3.24) è dimostrata. Infine, l’ipotesi di isotropia e il requisito di indifferenza
materiale impongono che T̂ sia una funzione isotropa e quindi anche DT̂ (I) sia
(lineare) isotropa. Infatti per la (3.15) riscritta sopra
QT̂ (F )QT = T (QF ) = T (QF QT ).
Pertanto, per il teorema di rappresentazione delle funzioni isotrope lineari, esistono delle costanti λ, τ tali che
DŜ(I)[E] = 2τ E + λtr(E)I.
(3.25)
Per scrivere la versione linearizzata dell’equazione di bilancio di Cauchy (3.10) dobbiamo supporre che i) lo stress residuo sia nullo e ii) che la deformazione u sia
piccola in modo da trascurare i termini superiori al primo nello sviluppo di Taylor.
Allora
1
Ŝ(F ) ≈ DŜ(I)[E] ove E = (Grad u + Grad uT )
2
e dalla (3.25) si ha
Div Ŝ = 2τ Div(Grad u + Grad uT ) + λDiv( tr(Grad u + Grad uT )I).
Essendo
Div(Grad u + Grad uT ) = ∆u + Grad(Div u),
tr(Grad u + Grad uT ) = Div u,
l’equazione linearizzata dell’equazione di Cauchy
µ∗ x00 = b0 + Div S
si scrive
µ∗ u00 = τ ∆u + (λ + τ )Grad(Div u) + b0 .
(3.26)
Onde elastiche
Mostriamo che la (3.26) con b0 = 0 ammette come soluzioni le onde elastiche
progressive
u(X, t) = a f (X · m − ct)
(3.27)
ove a ∈ R3 è detta ampiezza, c velocità, e il versore m direzione. L’onda u è detta
longitudinale se a k m, trasversale se a ⊥ m. Cominciamo sostituendo (3.27) in
(3.26). Si ha allora che
u00 (X, t) = c2 af 00 (X · m − ct);
45
3. Dinamica dei continui
(∆u)L (X, t) = aL |m|2 f 00 (X · m − ct) = aL f 00 (X · m − ct),
L = 1, 2, 3;
Grad(Div(u)) = m ⊗ maf 00
ove (a ⊗ b)ij = ai bj . Se supponiamo f 00 6= 0, allora (3.27) è soluzione di (3.26) se e
solo se
µ∗ c2 a = τ a + (λ + τ )m ⊗ ma
ovvero
c2 a = (µ∗ )−1 [τ I + (λ + τ )m ⊗ m]a = A(m)a
i.e. a è autovettore di
A(m) = (µ∗ )−1 [τ I + (λ + τ )m ⊗ m]
detto tensore acustico, con autovalore c2 . Se scegliamo un riferimento ortonormale
(e1 , e2 , e3 ) in cui m = e1 , allora


2τ + λ 0 0
A(e1 ) =  0
τ 0
0
0 τ
che ha autovettori proprio (e1 , e2 , e3 ) con autovalori 2τ + λ, τ ,τ . Le velocità possibili
dell’onda sono quindi:
c2 =
(2τ + λ)
µ∗
c2 =
τ
µ∗
se a = e1 km (l’onda è longitudinale),
se a = e1 , e2 ⊥ m (l’onda è trasversale).
Si noti che se a ⊥ m (onde trasversali), allora m⊗m·a = 0 e l’equazione linearizzata
(3.26) si riduce all’equazione delle onde trasversali
µ∗ u00 = τ ∆u.
3.5 Formulazione variazionale delle equazioni indefinite
Enunciamo dapprima nel caso generale la formulazione, per una teoria di campo,
del principio variazionale di Hamilton della meccanica finito–dimensionale per poi
vederne l’applicazione al caso di un continuo cosiddetto iperelastico e soggetto a
forze conservative.
Sia Ω ⊂ Rn un dominio regolare (al quale applicheremo il teorema della divergenza). Data g : ∂Ω → RN , consideriamo l’insieme (varietà infinito–dimensionale)
delle funzioni su Ω che coincidono con g sul bordo di Ω:
(g)
Γ = Γ∂Ω = {u ∈ C ∞ (Ω, RN ) : u|∂Ω = g}.
Analogamente a quanto fatto nel caso finito–dimensionale, data u ∈ Γ, consideriamo
una curva liscia in Γ passante per u, w : (−c, c) → Γ, ε 7→ w(ε, ·), tale che
w(0, ·) = u(·),
46
w(ε, ·)|∂Ω = g(·) ∀ ε ∈ (−c, −c).
Formulazione variazionale delle equazioni indefinite
Il vettore tangente a Γ in u è definito come la funzione h : Ω → RN
h(·) :=
∂w
(ε, ·)|ε=0
∂ε
e verifica ovviamente la condizione
h(·) = 0
su ∂Ω.
(3.28)
Sia L(X, u, p) la funzione Lagrangiana
L : Ω × RN × M at(N, n) → R
Proposizione 3.5.1 Il punto u(·) in Γ rende stazionario il funzionale F : Γ → R
Z
∂u(X)
L(X, u(X),
)dX v
F(u(·)) =
∂X
Ω
se e solo se u(·) risolve le equazioni di Eulero-Lagrange
n
X
L=1
∂L
∂
∂L
(
= 0,
)−
∂XL ∂piL
∂ui
i = 1, . . . , N.
(3.29)
Dimostrazione. Per definizione, u rende stazionario F se e solo se, per ogni vettore
tangente a Γ in u si ha che
d
F(u(·) + sh(·))|s=0 = 0.
ds
Calcoliamo esplicitamente questa derivata
Z
d
d
∂u
∂h
F(u + sh)|s=0 =
L(X, u + sh,
+s
)
dX v =
ds
ds Ω
∂X
∂X |s=0
Z X
∂L i X ∂L ∂hi
h +
]dX v
=
[
∂ui
∂piL ∂XL
Ω
i
i,L
Essendo, per ogni i, L fissati
∂L ∂hi
∂
∂L
∂
∂L
=
( i hi ) −
( i )hi
i
∂XL ∂pL
∂XL ∂pL
∂pL ∂XL
si ha, usando il teorema della divergenza,
Z X
Z
d
∂L X ∂
∂L i
∂L
F(u + sh)|s=0 =
[
−
( i )]hi dX v +
h dσ =
i
ds
∂XL ∂pL
∂p
Ω i ∂ui
∂Ω
L
L
Z X
∂L X ∂
∂L
=
[
−
( i )]hi dX v
∂u
∂X
i
L ∂pL
Ω i
L
ove l’integrale sul bordo di Ω è nullo per la condizione (3.28) su h. La tesi segue
quindi dal Lemma fondamentale del calcolo delle variazioni.
Applicazione. Mostriamo che le equazioni del moto in forma materiale per un
continuo si possono far discendere dal principio variazionale appena visto sotto
47
3. Dinamica dei continui
opportune ipotesi. Con qualche leggera differenza rispetto alla notazione finora
impiegata, possiamo fare le identificazioni seguenti
Ω ≡ [0, T ) × B ⊂ R4
X ≡ (t, X) ∈ R4 ,
n=4
3
u(X) ≡ x(t, X) ∈ R ,
N =3
i
i
∂u
∂x ∂x
) = (v i , FiL ) = p.
≡ (
,
∂X
∂t ∂XL
La frontiera di Ω è l’insieme (cilindro in R4 ) di basi {0} × B, {T } × B, e superficie
laterale [0, T ] × ∂B
∂Ω = ({0} × B) ∪ ({T } × B) ∪ ([0, T ] × ∂B).
L’assegnazione di g : ∂Ω → R3 , g = (f0 , fT , ϕ) corrisponde all’assegnazione della
configurazione iniziale
x(0, X) = f0 (X), ∀ X ∈ B,
della configurazione finale
x(T, X) = fT (X),
∀ X ∈ B,
e della evoluzione della frontiera ∂B in tutto l’intervallo [0, T )
x(t, X) = ϕ(t, X),
∀ X ∈ ∂B,
∀ t ∈ [0, T ).
Supponiamo inoltre che per il continuo in esame (iperelastico) esista una funzione
reale, detta densità di energia interna
σ : Lin+ → R,
σ = σ(F ),
per cui il tensore degli sforzi di Piola–Kirkhhoff si possa scrivere come
SiL =
∂σ(F )
∂FiL
e che la densità di forze esterne di azione a distanza ammetta un potenziale
∂U (x)
.
∂x
Introduciamo allora la funzione (densità di lagrangiana)
b(x) = −
1
L(X, u, p) = L((t, X); x; (v, F )) = µ∗ (X)v 2 − σ(F ) − U (x)
2
di ([0, T ) × B) × R3 × (R3 × M at(3, 3)) in R. Possiamo allora trarre la seguente
conclusione
Proposizione 3.5.2 Il punto u = x(t, X), moto cinematicamente possibile per il
continuo B, iperelastico e soggetto a forze conservative, con prescritta deformazione
al bordo g, soddisfa l’equazione del moto in forma materiale
∂2x
(t, X) = Div S(t, X) + b0 (X)
∂t2
se e solo se u rende stazionario il funzionale
Z T Z
∂x
∂x
F(x(·)) =
dt L(t, X; x(t, X);
(t, X),
(t, X))dX v.
∂t
∂X
0
B
µ∗
48
Formulazione variazionale delle equazioni indefinite
Dimostrazione. Le equazioni di Eulero–Lagrange per F sono
3
X ∂
∂ ∂L
∂L
∂L
(
)− i =0
( i) +
∂t ∂v
∂XL ∂FiL
∂x
L=0
da cui
∂
(µv) − Div S − b0 = 0.
∂t
3.5.1 Il modello di D’Alembert della corda vibrante
L’argomento seguente è un classico della fisica matematica; esso permette di porre
il problema della formulazione di un modello di corpo continuo a partire da un
sistema di punti materiali soggetti a forze di mutua interazione note. Come tale,
è il prototipo per le teorie di campo della fisica teorica moderna. Nello sviluppo
del nostro corso, costituisce un esempio di densità di lagrangiana di un materiale
iperelastico.
Consideriamo un sistema di N punti materiali di eguale massa m vincolati a
muoversi sull’asse x di un riferimento ortonormale Oxyz inerziale. Indichiamo con
xi la posizione dell’i-esimo punto. Supponiamo che durante il moto sia xi ≥ xj se
i < j. Inoltre supponiamo che tra due punti consecutivi e tra l’origine O e il punto
P1 e tra il punto PN e un fissato punto Q sull’asse x siano disposte delle molle lineari
di massa trascurabile, lunghezza a riposo ε e costante elastica h/ε > 0. Detta u la
lunghezza della molla, l’energia potenziale della molla sia descritta da
U (u) =
h
(u − ε)2 .
2ε
Il sistema di punti materiali e molle introdotto intende descrivere una corda elastica
di massa M e lunghezza a riposo l capace di vibrazioni solo longitudinali. Ha senso
quindi porre la massa dei punti materiali, la lunghezza a riposo delle molle e la
densità della corda nella configurazione a riposo rispettivamente pari a
m=
M
,
N
ε=
l
,
N
µ∗ =
M
m
= .
l
ε
Le equazioni del moto si ricavano dalla Lagrangiana del tipo L = T − U del sistema
discreto ove x0 ≡ 0, xN +1 ≡ xQ
N
T =
1X
mẋ2i ,
2
i=1
U=
N
X
h
(xi+1 − xi − ε)2 .
2ε
i=0
Scrivendo le equazioni di Lagrange del moto dei punti del sistema
d ∂L
∂L
(
)−
= 0,
dt ∂ ẋi
∂xi
i = 1, . . . , N
si ha subito
mẍi = −
h
∂U
h
= − [(xi − xi−1 − ε) − (xi+1 − xi − ε)] = (xi+1 − 2xi + xi−1 ).
∂xi
ε
ε
49
3. Dinamica dei continui
Dividiamo l’equazione per ε ottenendo una equazione per la densità lineare di forza
e riarrangiamo il termine al secondo membro in modo da fare comparire la derivata
seconda spaziale discreta
h
h xi+1 − xi − ε
xi − xi−1 − ε
(xi+1 − 2xi + xi−1 ± ε) = [(
)−(
)].
2
ε
ε
ε
ε
Ora facciamo tendere contemporaneamente N → +∞ e ε → 0+ in modo che la
densità µ∗ resti costante (limite termodinamico). Euristicamente, possiamo pensare
che l’indice di particella discreto i venga ad indicare un punto materiale del corpo
continuo e che la posizione a riposo dell’i-esimo punto xi = iε diventi la coordinata
materiale X ∈ B del punto materiale nella configurazione di riferimento B = [0, l].
Una deformazione della corda elastica è quindi una mappa x = x(X), X ∈ B e
un moto la famiglia di deformazioni x = x(X, t). E’ possibile rendere rigoroso il
passaggio seguente: nel limite termodinamico
m
∂2x
ẍi → µ∗ 2 (X, t),
ε
∂t
1 xi+1 − xi − ε
xi − xi−1 − ε
∂2x
[(
)−(
)] →
(X, t)
ε
ε
ε
∂X 2
e l’equazione di Lagrange sopra scritta diviene l’equazione di D’Alembert della corda
vibrante
∂2x
∂2x
(X, t).
µ∗ 2 (X, t) = h
∂t
∂X 2
Densità di lagrangiana
Facciamo ora vedere che l’equazione di D’Alembert sopra scritta ammette formulazione variazionale, ovvero è l’equazione di Eulero-Lagrange di una opportuna densità
di Lagrangiana di un materiale iper-elastico. Ragionando euristicamente come sopra,
si ha nel limite termodinamico
m
∂x
ẋi → µ∗ (t, X),
ε
∂t
(
xi+1 − xi − ε
∂x
) →
(t, X)
ε
∂X
e la sommatoria sull’indice i nella lagrangiana diviene un integrale. Si ha allora
N
L =
N
X h
1X
Lε
mẋ2i −
(xi+1 − xi − ε)2 =
2
2ε
ε
i=1
N
X
i=0
N
X
1 ∗
(xi+1 − xi − ε)2
[µ
ẋ2i −
]ε
h
2
ε2
i=1
i=0
Z
1 ∗ ∂x
∂x
[µ ( (t, X))2 − h(
(t, X))2 ]dX
=
∂t
∂X
B 2
Z
∂x ∂x
=
L( ,
)dX
∂t ∂X
B
=
ove L indica la densità di Lagrangiana
L(
∂x ∂x
1
∂x
∂x
,
) = [µ∗ ( (t, X))2 − h(
(t, X))2 ].
∂t ∂X
2
∂t
∂X
L’equazione di D’Alembert ha quindi la forma (3.29) con l’identificazione naturale
u(t, X) = x(t, X)
50
p = (v, F ) = (
∂x ∂x
,
)
∂t ∂X
Formulazione variazionale delle equazioni indefinite
Abbiamo visto sopra, Proposizione 3.5.2, che le equazioni del moto di un continuo
iperelastico sono equazioni di Eulero-Lagrange di una densità di lagrangiana L =
µ∗ v 2 /2 − σ(F ). Si ha nel nostro caso F = ∂x/∂x e
h
∂2x
∂
∂x
= Div S =
(h
)
2
∂X
∂X ∂X
per cui
S(F ) = h
se e solo se
σ(F ) =
∂x
∂σ
=
(F )
∂X
∂F
h 2 h ∂x 2
F = (
) .
2
2 ∂X
Infine, nel nostro caso
S=h
∂x
(X, t) = det F Tm F −T = F Tm F −1 = Tm (X, t)
∂X
da cui
T (x, t) = h
∂x −1
(x (X, t), t).
∂X
51
4
Termomeccanica dei Continui
Una strategia per ottenere delle equazioni costitutive in numero sufficiente a scrivere
un sistema chiuso di equazioni di evoluzione è quella di fare ricorso ad altre Teorie
fisiche (per esempio la Termodinamica) che permettono di fare previsioni (e misure)
sul comportamento del continuo. In questo modo aumentiamo il numero di variabili
che descrivono il continuo (teoria termomeccanica) introducendo i campi scalari
della temperatura θ, dell’energia interna ε, dell’entropia η, ma possiamo disporre di
altre leggi fisiche (il primo e secondo principio della Termodinamica) che forniscono
equazioni e disequazioni che devono essere soddisfatte lungo il moto.
Primo principio della termodinamica per i continui. L’energia totale di un
continuo è la somma del contributo dovuto al moto macroscopico ‘visibile’ K e quella
(interna) dovuta al moto di agitazione microscopica E. Si postula che: la variazione
dell’energia totale è pari alla potenza delle forze esterne di azione a distanza (o
esterne di contatto) che fanno variare l’energia cinetica del moto macroscopico K
sommata al flusso di calore Q̇ che fa variare l’energia di agitazione microscopica.
Pertanto
d
(K + E) ≡ P + Q̇.
dt
Usando il Teorema delle forze vive (3.11), possiamo depurare tale bilancio del
contributo dovuto al moto macroscopico:
K̇ + Ė = P + W + Ė ≡ P + Q̇
⇒
Ė = Q̇ − W.
L’ultima relazione costituisce il Primo principio della termodinamica per i continui.
Vediamo la forma indefinita del primo principio. Si suppone che:
1. Il corpo puo’ acquisire energia interna per contatto termico con altri corpi attraverso la sua frontiera o per irraggiamento r da sorgenti esterne o interne.
Corrispondentemente, il flusso di calore per unità di tempo ha due termini1 :
Z
Z
Q̇ = −
q · n dx σ +
r dx v
Pt
∂Pt
2. L’energia interna ammette una densità di massa di energia interna ε
Z
E=
µε dx v
Pt
1
Il segno meno è dovuto alla convenzione di considerare positivo il calore che fluisce all’interno
del corpo
53
4. Termomeccanica dei Continui
Pertanto, usando la (3.12), si ha
Z
Z
Z
Z
d
µε dx v = −
q · n dx σ +
r dx v +
T · D dx v
dt Pt
∂Pt
Pt
Pt
e, per l’arbitrarietà di Pt , si ottiene il primo principio della termodinamica per i
continui in forma spaziale
µε̇ = −div q + r + T · D.
(4.1)
L’equazione che esprime il primo principio della termodinamica per i continui in forma materiale si deduce facilmente con ovvie variazioni del ragionamento precedente:
µ∗ ε̇ = −Div q + r + S · F 0 .
(4.2)
Tale equazione come si vede, contiene l’evoluzione del gradiente di deformazione F
e pertanto risulta accoppiata alle equazioni di bilancio nel caso generale.
4.0.2 Legge di bilancio associata al primo principio
Come visto in precedenza, mostriamo che il primo principio della termodinamica
puo’ assumere la forma di legge di bilancio. Si parte dall’equazione indefinita µė =
b + div T , la si moltiplca scalarmente per e (ottenendo un bilancio della potenza
analogamente a quanto fatto per dimostrare il teorema delle forze vive) e si somma
all’equazione del primo principio ottenendo
µε̇ + µe · e = −div q + r + T · D + b · e + div T · e.
Il primo membro, con facili passaggi e usando l’equazione di continuità µ̇ + µdiv e
diventa
e2
e2
e2
µ(ε + ). = [µ(ε + )]. + µdiv e(ε + )
2
2
2
mentre nel secondo usiamo l’identità (1.4) T · D + div T · e = div (T T e) = div (T e)
ottenendo
∂
e2 e2
µ(ε + ) + div µ(ε + )e + q − T · e = r + b · e.
(4.3)
∂t
2
2
2
Pertanto Ψ = µ(ε + e2 ), il termine di produzione è r + b · e, il flusso convettivo
2
è µ(ε + e2 )e, il flusso non convettivo è Φ = q − T · e e il flusso associato è Φ =
2
µ(ε + e2 )e + q − T · e.
Esempio. Dinamica dei gas unidimensionale
Consideriamo il moto di un fluido elastico (per esempio un gas) in un cilindro orizzontale, disposto lungo l’asse x. Per semplicità trascuriamo la gravità e l’effetto
delle pareti e supponiamo che il moto di tutte le particelle che si trovano sullo stesso
piano verticale sia lo stesso, in modo da ridurci ad un problema unidimensionale
nell’ unica variabile spaziale x. Supponiamo infine che la pressione sia una funzione
nota della temperatura e della densità del fluido, π = f (θ, µ). Per esempio, per un
gas perfetto π = nRθ/V = Rθµ.
54
Il secondo principio nella forma di Clausius–Duhem
Scriviamo allora, in forma spaziale, l’equazione di continuità, l’equazione di
Cauchy (bilancio della quantità di moto) e il primo principio della termodinamica
nell’ipotesi che non vi siano sorgenti (r = 0). Si ha allora, rispettivamente,

∂e
µ̇ + µdiv e = µ̇ + µ ∂x
= 0,





µė = div T = div(−πI) = − ∂π
∂x ,





∂q
∂e
µε̇ = T · D − div q = −π ∂x
− ∂x
.
Nell’ipotesi che l’energia interna sia funzione della sola temperatura ε = cv θ, abbiamo un sistema di tre equazioni nelle incognite scalari µ, e, θ. Mettiamo le equazioni
nella forma di sistema di leggi di bilancio. L’equazione di continuità si riscrive
∂µ
∂
∂µ
+ div(µe) =
+
(µe) = 0.
∂t
∂t
∂x
Moltiplicando la seconda equazione (di Cauchy) per e e sommandola alla terza
(primo principio) si ottiene l’equazione
µ
d
e2
d
e2
e2
∂(πe) ∂q
(ε + ) = [µ(ε + )] − µ̇(ε + ) = −
−
.
dt
2
dt
2
2
∂x
∂x
Ricordando la definizione della derivata molecolare
d
∂
∂
[ ]= [ ]+
[ ]e
dt
∂t
∂x
e usando ancora l’equazione di continuità si ha infine che
∂
e2
∂
e2
[µ(ε + )] = − [πe + µe(ε + ) + q].
∂t
2
∂x
2
Il sistema di leggi di bilancio per il moto adiabatico di un fluido elastico (gas) è













∂µ
∂t
∂
= − ∂x
(µe),
∂(µe)
∂t
∂
= − ∂x
(π + µe2 ),
∂
∂t [µ(ε
+
e2
2 )]
∂
= − ∂x
[πe + µe(ε +
(4.4)
e2
2)
+ q].
4.1 Il secondo principio nella forma di Clausius–Duhem
Il secondo principio della Termodinamica, nella formulazione usuale per i continui,
afferma che
Z
Z
Z
r
d
q
µη dx v ≥ −
· n dx σ +
dx v, ∀ Pt ∈ Bt
dt Pt
∂Pt θ
Pt θ
55
4. Termomeccanica dei Continui
ove η = η(x, t) e θ = θ(x, t) sono i campi2 sulla configurazione attuale della densità
di entropia e della temperatura assoluta. Il primo integrale al secondo membro
rappresenta il flusso di calore e il secondo integrale descrive la produzione di calore
dovuta a sorgenti interne di calore o a irraggiamento. Se le funzioni integrali sono
sufficientemente regolari, applicando il Teorema della Divergenza e di Localizzazione
si ottiene la forma puntuale del secondo principio
q
r
µη̇ ≥ −div( ) + .
θ
θ
(4.5)
Introducendo l’energia libera
ψ =ε−η θ
e usando il Primo principio nella forma spaziale (4.1), il secondo principio assume
la forma della disuguaglianza di Clausius–Duhem
µψ̇ + µη θ̇ − T · D +
q
· grad θ ≤ 0
θ
(4.6)
ove abbiamo fatto uso dell’identità di facile verifica
q
q
θdiv( ) = div q − · grad θ.
θ
θ
Legge di bilancio associata al secondo principio
Si tratta di elaborare in (4.5) il termine µη̇ facendo uso dell’equazione di continuità
per la massa analogamente a quanto fatto nei casi precedenti. Si ottiene un’equazione
a partire da una disequazione introducendo il termine γ che rappresenta la differenza
tra il primo e il secondo membro
q
r
∂
(µη) + div (µηe + ) = + γ,
∂t
θ
θ
γ ≥ 0.
Con l’identificazione solita, µηe è il flusso convettivo di entropia, Φ =
non convettivo, θr + γ è la produzione di entropia.
(4.7)
q
θ
è il flusso
4.1.1 Il Teorema di Clausius–Duhem. Materiali termoelastici
Il bilancio tra equazioni e disequazioni e incognite per la termomeccanica dei continui
è il seguente, espresso in forma materiale:
µm detF = µ∗
∗ 00
equazione di continuità (1)
µ x = b0 + Div S
T
(S F = SF
∗
T
bilancio q.d.m. (3)
bilancio m.q.d.m. (3))
0
µ ε̇ = S · F − Div q + r primo principio (1)
1
(µ∗ ψ̇ + µ∗ η θ̇ − S · F 0 + q · Grad θ ≤ 0 secondo principio (1))
θ
2
Introducendo i campi scalari dell’entropia e della temperatura abbiamo implicitamente assunto
che l’entropia di un continuo sia esprimibile come integrale di una densità di entropia e che quindi
per ogni punto del continuo si possa definirne l’entropia e la temperatura. Naturalmente, tale
quantità puntuali vanno intese come limite di funzioni definite su parti del continuo sempre più
piccole, che rappresentano altrettanti sistemi in equilibrio, attraverso un opportuno procedimento
di limite. Una trattazione rigorosa di queste questioni esula dagli scopi di questa presentazione.
56
Il secondo principio nella forma di Clausius–Duhem
in tutto 1 + 3 + 1 = 5 equazioni, nelle 3 + 1 + 1 + 6 + 3 + 1 + 1 = 16 incognite
x,
µ,
θ,
S,
q,
η,
ε.
(4.8)
Il bilancio è quindi decisamente insufficiente, tuttavia ora le relazioni termodinamiche intervengono a limitare la forma ed il numero delle possibili equazioni
costitutive che dobbiamo necessariamente introdurre per specificare il comportamento dei vari materiali. Per proseguire, bisogna quindi scegliere 5 grandezze da
considerare come variabili indipendenti del processo e trovare equazioni costitutive
in numero sufficiente per poter esprimere le grandezze rimanenti in funzione di quelle
prescelte. Una scelta ragionevole è di considerare (x, θ) come variabili indipendenti
e usare l’equazione di continuità per ricavare µ noto il moto.
Una scelta di equazioni costitutive è quella che definisce i materiali termoelastici
attraverso il seguente postulato:
Per un materiale termoelastico le grandezze S, η, q, ε sono funzioni Ŝ, η̂, q̂, ε̂, dette
funzioni di risposta, dipendenti da X, θ solo attraverso F , θ e G = Grad θ.
Con questa definizione consideriamo S come funzione di F attraverso la definizione stessa del tensore di Piola, inoltre per un materiale termoelastico, l’energia
libera ψ = ε − ηθ risulta essere funzione di F , θ, G, X, ovvero ψ = ψ̂(F, θ, G).
Definiamo allora processo per un continuo una assegnazione delle funzioni x(t, X),
. . . , ε(X, t) in (4.8) e coppia ammissibile una assegnazione delle funzioni x(X, t) e
θ(X, t). E’ allora evidente che, per un materiale termoelastico, una coppia ammissibile (x, θ) individua completamente un processo, detto in questo caso processo
costitutivo generato da (x, θ), attraverso le funzioni di risposta.
Riassumiamo quanto detto: per un materiale termoelastico, il moto x = x(X, t)
e l’evoluzione della temperatura locale θ = θ(X, t) si ottengono rispettivamente dal
bilancio della q.d.m. e dal primo principio della termodinamica, mentre la densità
µ = µ(X, t) segue dall’equazione di continuità noto il moto. Le altre grandezze S,
η, q, ε sono dedotte dalle funzioni di risposta, supposte note. Il secondo principio
interviene, come vedremo nel Teorema 4.1.1, a limitare le forme funzionali possibili
delle funzioni di risposta.
Teorema 4.1.1 Un processo costitutivo per un materiale termoelastico soddisfa alla
disuguaglianza di Clausius–Duhem (i.e. al secondo principio) se e solo se valgono
le condizioni seguenti:
i) ψ̂, Ŝ e η̂ sono indipendenti da G,
ii) l’energia libera ψ̂ determina Ŝ e η̂ attraverso le relazioni
Ŝ = µ∗
∂ ψ̂
∂F
η̂ = −
∂ ψ̂
,
∂θ
iii) q̂ soddisfa alla disuguaglianza (direzione del flusso di calore)
G · q̂ ≤ 0.
57
4. Termomeccanica dei Continui
Dimostrazione.(Sufficienza) Dato un processo costitutivo di un materiale termoelastico, e posto ψ = ψ̂(F, θ, G), la disuguaglianza di Clausius–Duhem (4.6) si
riscrive come
(µ∗
∂ ψ̂
∂ ψ̂
∂ ψ̂ 0 q
− S)F 0 + µ∗ (
+ η)θ0 + µ∗
G + · G ≤ 0.
∂F
∂θ
∂G
θ
Pertanto, se valgono i), ii), iii), la disuguaglianza qui sopra è soddisfatta. Viceversa,
(necessità), la disuguaglianza di Clausius–Duhem valga per un arbitrario processo
costitutivo. In particolare, possiamo considerare una coppia ammissibile del tipo
x(X, t) = x0 + (F0 + tA)(X − X0 ),
e
θ(X, t) = θ0 + αt + (G0 + ta) · (X − X0 )
con A ∈ Lin, α ∈ R, a ∈ R3 arbitrari. Allora F 0 = A, G0 = a e θ0 = α + a ·
(X − X0 ) (eventualmente possiamo porre a = 0 per qualche processo) e quindi la
disuguaglianza qui sopra implica i), ii), iii).
Corollario del Teorema di Clausius–Duhem. Capacità termica specifica
Dalla funzione energia interna specifica ε̂, che ora sappiamo essere indipendente da
G, definiamo la capacità termica specifica a volume costante (richiede F 0 = 0)
cv (θ) =
∂ε
(θ).
∂θ
Allora, derivando l’energia libera ψ̂ rispetto a θ e usando la condizione ii)2 del
teorema 4.1.1 si ha
∂ ψ̂
∂ ε̂
∂ η̂
∂ η̂
=
− η̂ − θ
= cv (θ) − η̂ − θ
= −η̂
∂θ
∂θ
∂θ
∂θ
da cui
∂ η̂
∂ 2 ψ̂
cv (θ)
=
=− 2,
θ
∂θ
∂θ
(4.9)
ovvero:
Poichè ψ̂(θ) è funzione strettamente concava di θ (cfr. Trasformata di Legendre),
si ha cv (θ) > 0.
Supponiamo ora che la capacità termica del corpo sia costante, un’ipotesi spesso
verificata nelle applicazioni. Dalla sua definizione, segue subito che l’energia interna
specifica è proporzionale alla temperatura
ε̂(θ) = cv θ + cost.
e la (4.9), integrata, permette di esprimere l’entropia specifica del sistema
∂ η̂
cv
=
∂θ
θ
58
⇒
η̂(θ) = cv ln θ.
Il secondo principio nella forma di Clausius–Duhem
4.1.2
Le equazioni della diffusione e del calore
Si noti che tale equazione alle derivate parziali di tipo ellittico, che serve per modellare molteplici fenomeni di diffusione, viene ricavata all’interno dello schema della
termomeccanica dei continui dalla sola legge di conservazione dell’energia (primo
principio), che qui usiamo nella forma materiale (4.1).
Supponamo che il corpo sia indeformabile, i.e. F 0 = 0. Da (4.1) otteniamo
l’equazione della diffusione
∂ε ∂θ
∂θ
= cv (θ)
= −Div q(θ, G) + r.
(4.10)
∂θ ∂t
∂t
In molte applicazioni è sensato ipotizzare la validità della legge fenomenologica della
conduzione del calore di Fourier
ε̇(θ) =
q(θ, G) = −KG = −KGrad θ
ove
K ∈ Sym(3).
La condizione iii) del Teorema 4.1.1
G · q = −KG · G ≤ 0
ci dice allora che K, tensore di conducibilità termica, è una matrice simmetrica semidefinita positiva, quindi diagonalizzabile, nella quale un autovalore nullo significa
che non vi è flusso di calore nella direzione corrispondente.
Nel seguito supporremo il corpo isotropo, ovvero K = kI, con k > 0 coefficiente
di conducibilità termica. L’equazione della diffusione, nell’ipotesi di conduzione alla
Fourier, si riscrive come
∂θ
∂θ
− kDiv(Gradθ) = cv (θ)
− k∆θ = r
(4.11)
∂t
∂t
e, se in particolare non vi sono sorgenti r = 0, essa porge l’ equazione del calore
cv (θ)
cv (θ)
∂θ
= k∆θ.
∂t
(4.12)
Osservazioni sull’equazione del calore.
1. Per la presenza del Laplaciano (derivata del secondo ordine spaziale) associata
alla derivata del primo ordine nel tempo, l’equazione del calore non è invariante per
inversione temporale. La dimostrazione è la stessa di quella svolta per l’equazione
dei fluidi di Navier–Stokes.
2. Unicita’ della soluzione dell’equazione del calore (richiede cv = cost.) Dato un
volume di controllo Ω ⊂ B, consideriamo la quantità integrale
Z
Z
2
2
Q(t) :=
ε dX v = cv
θ(X, t)2 dX v
Ω
Ω
e valutiamone la sua variazione nel tempo lungo la soluzione dell’equazione della
diffusione per fissate condizioni iniziali. Si ha allora
Z
Z
2 d
2
Q̇ = cv
θ dX v = 2cv
θ(k∆θ + r)dX v =
dt Ω
Ω
Z
2cv [k(Div(θGradθ) − (Gradθ)2 ) + θr]dX v =
Ω
Z
Z
q2
2cv [−
θq · νdX σ + (θr − )dX v]
k
∂Ω
Ω
59
4. Termomeccanica dei Continui
ove il primo termine rappresenta la variazione dovuta al flusso attraverso la frontiera.
In assenza di sorgenti di calore (r = 0), e per particolari condizioni iniziali, dette
condizioni di Neumann omogenee, cioè
q · ν = 0,
∀x ∈ ∂Ω, ∀t > 0
(ovvero assenza di flusso di calore attraverso la frontiera) si ha che
Z
Q̇ = −2cv k
(Grad θ)2 dX v ≤ 0
(4.13)
Ω
pertanto, la quantità Q, legata al valore globale della temperatura, non puo’ aumentare nel tempo. Tale proprietà si usa per mostrare l’unicità della soluzione
dell’equazione del calore. Consideriamo il problema di Cauchy per l’equazione del
calore in un dominio spazio-temporale Ω × [0, T ]
 ∂θ
cv ∂t = k∆θ,



θ(X, 0) = θ0 (X) ∀X ∈ Ω,
 θ(X, t) = θ1 (X, t) ∀(X, t) ∈ ∂Ω × [0, T ],


−kGradθ · ν = q · ν = h(X, t) ∀(X, t) ∈ ∂Ω × [0, T ]
e supponiamo che esistano due distinte soluzioni θa (X, t) e θb (X, t). Ma allora, la
loro differenza θ̃ = θa − θb risolve il problema di Cauchy precedente per condizioni
iniziali e al bordo nulle e condizioni di Newmann omogenee, ovvero θ0 = θ1 = h ≡ 0.
Vale allora la disuguaglianza differenziale (4.13) lungo la soluzione θ̃. Ma essendo
contemporaneamente
Q(0) = 0, Q ≥ 0, Q̇ ≤ 0
si ha necessariamente Q(t) ≡ 0. Per l’arbitrarietà di Ω si ha allora, usando il
Teorema di Localizzazione, θ̃(X, t) = θa (X, t) − θb (X, t) = 0 in Ω × [0, T ].
Evoluzione dell’entropia lungo la soluzione dell’equazione della
diffusione
Consideriamo un corpo conduttore P ⊂ B e introduciamo le quantità seguenti:
R
R
• SP (t) = P η(x, t)dv x = P cv ln θ(x, t)dv x entropia di P
R
r
• RP (t) = P θ(x,t)
dv x produzione di entropia di P
• FP (t) = −
• GP (t) =
R
R
P
1
∂P θ(x,t) q
· νdσ
γdv x = −
R
1
P θ2 q
flusso non convettivo di entropia attraverso ∂P
· Grad θ ≥ 0
generazione di entropia di P
Proposizione 4.1.1 Lungo le soluzioni dell’equazione della diffusione (4.10) vale
la seguente equazione
dSP
(t) = RP (t) + GP (t) − FP (t).
dt
60
Il secondo principio nella forma di Clausius–Duhem
Dimostrazione. Dividiamo la (4.10) per θ > 0 e usiamo la (4.9) ottenendo
0 = η̇ −
r 1
r
q
q · Grad θ
+ Div q = η̇ − + Div( ) +
θ θ
θ
θ
θ2
e integriamo su P usando il teorema della divergenza.
Come conseguenza abbiamo la seguente caratterizzazione delle soluzioni dell’equazione della diffusione
Proposizione 4.1.2 Supponiamo che
1) vi sia produzione positiva di calore, r > 0 su B,
2) il sistema sia isolato termicamente, Grad θ · ν = 0
su
∂B.
Allora, l’equazione precedente dice che
dSB
(t) = RP (t) + GP (t) ≥ 0
dt
∀t > 0
(4.14)
lungo le soluzioni del’equazione della diffusione.
Corollario. Valutiamo la generazione di entropia specifica lungo le soluzioni dell’
equazione del calore. Se vale la legge di Fourier,
Z
Z
Z
1
1
q · Grad θ =
(KGrad θ, Grad θ) ≥ 0.
GP (t) =
γdv x = −
2
2
P θ
P
P θ
Coerentemente quindi con l’irreversibilità del fenomeno in esame, abbiamo una
generazione positiva di entropia.
Osservazione. Abbiamo visto che le quantità integrali
Z
Z
Q(t) = c2v
θ2 (x, t)dv x, SB (t) = cv
ln θ(x, t)dv x
B
B
hanno entrambe un comportamento monotono lungo le soluzioni dell’equazione del
calore nel caso particolare r = 0 e q · ν = 0 su ∂B. Non è difficile dimostrare (cfr.
[Evans]) che tale comportamento si ha per ogni funzione ϕ(θ) con ϕ00 di segno costante. Qual’è allora il ruolo peculiare dell’entropia nel determinare il carattere delle
soluzioni dell’equazione della diffusione? La seguente interpretazione è contenuta in
[Evans].
Consideriamo per semplicità l’equazione del calore con k = 1, cv = 1
θt − ∆θ = 0
e interpretiamola come equazione esprimente la diffusione (con r = 0) di una quantità scalare θ(x, t). Ora supponiamo che la stessa grandezza fisica θ invece di diffondere nel mezzo B sia trasportata passivamente dal moto di B in se stesso. Il teorema
del trasporto ci dice allora che θ(x, t) soddisfa l’equazione
∂θ
+ div(θ e) = 0.
∂t
61
4. Termomeccanica dei Continui
Le due equazioni sono compatibili se θ, e soddisfano l’equazione
div(grad θ + θe) = 0
che ammette la soluzione
e(x, t) = −grad(ln θ(x, t)).
Possiamo quindi suggestivamente pensare all’equazione del calore come un’equazione
per la temperatura, pensata come una grandezza scalare, che si muove nel corpo
trasportata da un moto con una velocità pari a meno il gradiente della entropia
specifica.
Note bibliografiche
Per la parte generale di meccanica dei continui si è seguito essenzialmente il testo
M.E. Gurtin An Introduction to Continuum Mechanics Academic Press 1981; per alcuni argomenti (teorema delle forze vive, tensore di Piola–Kirkhhoff, disuguaglianza
di Clausius–Duhem) si è seguito in parte il testo T. Manacorda Introduzione alla termomeccanica dei continui Quaderni dell’Unione Matematica Italiana Ed. Pitagora,
Bologna 1979. Infine, una esposizione rigorosa e raffinata delle basi della Meccanica
dei Continui è contenuta negli Appunti di Istituzioni di Fisica matematica 1 di A.
Marzocchi, Università cattolica del S. Cuore, Brescia, disponibili sulla homepage di
A. Marzocchi.
Per il cenno del secondo principio della termodinamica si è seguito l’articolo E.T.
Jaynes The evolution of Carnots’s Principle (vedi http://bayes.wustl.edu/), mentre
Per la parte sul PME si sono utilizzati gli scritti di E.T. Jaynes, per esempio l’articolo (vedi http://bayes.wustl.edu/) E.T.Jaynes Information Theory and Statistical
Mechanics I, Physical Review 106 (1957), p.620-630, contenuto nel bel volume E.T.
Jaynes Papers on Probability, Statistics and Statistical Physics, Kluwer, e inoltre il
testo classico di E. Schrödinger Termodinamica Statistica.
Le considerazioni sull’uso dell’entropia nello studio delle P.D.E. sono tratte da L.C.
Evans Entropy and Partial Differential Equations disponibile sulla home page di
L.C. Evans.
Nota. Queste dispense sono ancora in una forma provvisoria, che deve essere
sperimentata a lezione. Probabilmente, non tutto quanto in esse è contenuto verrà
presentato, mentre sicuramente alcune parti potranno essere ulteriormente approfondite, a seconda dell’interesse degli studenti. Ringrazio fin d’ora quanti vorranno
segnalarmi errori e incongruenze in quanto scritto.
M.F.
62