Attacco al virus
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Attacco al virus
Market Report ECONOMIA &MERCATO Attualità: What’s On Influenza A Attacco al virus Nerviano Medical Sciences La ricerca non si spezza Virus Vaccini vs big killer Genomica L’evoluzione del Dna ATTUALITÀ - PERSONAGGI - TRENDS Influenza A Attacco al virus La campagna d’informazione e prevenzione sulla malattia e sulla somministrazione delle dosi è partita contestualmente al picco del contagio e della pandemia, creando però più confusione che informazione. Infatti, i pro e i contro si alternano e intanto la paura tra la gente comune cresce Il 2 novembre scorso è stato attivato uno specifico numero verde per rispondere alle domande dei cittadini sulla vaccinazione per l’H1N1 e fugare dubbi e perplessità. Nobile fine dal risultato però poco confortante. Il call center ha accolto una media di 500 telefonate al giorno, soprattutto da parte degli anziani, che chiedono come fare per assicurarsi la loro dose di vaccino contro il temuto virus. E’ difficile convincerli che loro sono gli ultimi della lista ad averne bisogno, mentre invece sono i medici e gli operatori sanitari che dovrebbero correre per primi a vaccinarsi, secondo le indicazioni del Ministero del Welfare e della Salute. Tuttavia, secondo le ultime stime, il 60 % dei medici italiani non intende sottoporsi alla vaccinazione. In Lombardia hanno aderito solo 8 mila operatori sanitari (il 3%). Anche se, questo rifiuto, paradossalmente potrebbe tornare utile, data l’attuale insufficiente disponibilità del vaccino. Intanto, il panico dilaga con il rischio di trasformarsi in psicosi. Le contraddizioni sembrano caratterizzare tutto ciò che ruota attorno a questa pandemia. Agli esperti allarmisti si contrappongono quelli che tranquillizzano. C’è chi insiste per vaccinare i bambini, prima quelli a rischio poi gli altri; e chi invece lo sconsiglia (circa il 50% dei pediatri del Lazio per esempio) perché, sui piccoli, non lo ritiene sicuro. E ancora, chi pensa che i timori siano infondati. Sempre dal 2 novembre, è iniziata in Italia la terza distribuzione del vaccino Focetria (Novartis) alle regioni. La pandemia è in forte crescita, con un virus che dimostra la sua alta contagiosità ma che, d’altro canto, continuano a dirci non sia più ‘letale’ della ‘normale’ influenza. Negli ultra 65enni i casi sono 0,64 ogni mille. Mano a mano che crescono i contagi aumenta la confusione. Le risposte sono molto contradditorie tra loro generando ansia, soprattutto nei genitori dei bimbi più piccoli. I sintomi nei più piccoli sono: febbre improvvisa, di norma superiore a 38 °C, difficoltà respiratorie, tosse, mal di gola, raffreddore, talvolta laringotracheite o bronchite, inappetenza, pianto (sotto i 2 anni di età). Gianni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive all’Istituto superiore di sanità rassicura ed è pro-vaccino. Pur ammettendo che nessun vaccino è totalmente privo di effetti collaterali, afferma che in questo caso è sicuro. La sua componente più soggetta a dubbi, l’adiuvante squalene, un estratto di grasso di squalo che potenzia la risposta immunitaria, è in uso da anni nei vaccini contro l’influenza stagionale, e dato a milioni di anziani. La differenza è che ora viene utilizzato per produrne uno destinato a giovani e bambini (sui quali è stato testato senza reazioni avverse di rilievo, tranne bruciori e arrossamenti). Di rado, una volta su centinaia di migliaia di vaccinati, può verificarsi una reazione grave, come uno shock o collasso, che necessita di una terapia cortisonica o adrenalinica. Non va dato a chi è allergico alle uova essendo coltivato su particelle di uovo di pollo. Non esiste però evidenza scientifica tra l’uso di squalene e l’insorgere di patologie come la sindrome di GuillainBarré e il lupus eritematoso sistemico; anche se, su milioni di vaccinati, qualche caso raro non può essere escluso. Gli Usa hanno scelto vaccini senza adiuvanti, ma anch’essi hanno possibili complicazioni. Gli adiuvanti non sono usati per una sorta di paura, derivante da una vaccinazione di massa per l’influenza suina, disposta dalle autorità americane nel 1976, in previsione di una pandemia che poi non avvenne. Vi furono reazioni avverse, circa 25 morti. Ma non è stato mai provato il nesso relazione tra lo squalene e questi eventi. Va detto che i vaccini di oggi sono più raffinati, e i controlli maggiori. Questo, inoltre, è molto efficace: garantisce un’immunità, anche in monodose, dell’85 % nei ragazzi, del 60 nei più piccoli. Per le donne incinte l’Italia ha deciso di vaccinarle solo dopo il 5° mese, per un principio di precauzione. Il vaccino non è stato testato sulle donne gravide, ma la casistica conferma la mancanza di pericolo per madre e feto in fase di gravidanza avanzata. Luisella Grandori, responsabile vaccinazioni per l’Acp, Associazione culturale pediatri, esprime invece tutto il suo scetticismo in proposito. I vaccini contro l’H1N1 autorizzati dall’ Emea sono tre. Due, Focetria della Novartis e Pandemrix della Glaxo Smith Kline, contengono adiuvanti, l’Mf59 e l’As03, a base di squalene. Sostanze che aumentano la risposta immunitaria, per rendere più efficace il vaccino, e permettere di utilizzare minori quantità di antigene per ogni dose, con risparmio di costi. Ricevere meno principio attivo sarebbe un vantaggio anche per chi si vaccina. Resta il dubbio, se pure quasi solo teorico, che gli adiuvanti interferiscano sui meccanismi del sistema immunitario favorendo risposte paradosse di tipo autoimmune. Sarebbe il motivo delle resistenze dell’Fda a utilizzare vaccini con adiuvanti: quelli approvati negli Usa ne sono privi. Dubbi sulla sicurezza a distanza sono sollevati da vari scienziati. Sarà necessario che la sorveglianza tenga conto anche di questa ipotetica reazione, tutt’altro che facile da monitorare. E viene da chiedersi se sia il caso di somministrare vaccini adiuvati a bambini e donne incinte, senza un’adeguata sperimentazione clinica. Sulle schede dei due vaccini disponibili in Italia si dice che «non si dispone attualmente di dati sull’uso in gravidanza» e «la loro somministrazione può essere presa in considerazione in gravidanza se si pensa sia necessario, tenendo conto delle raccomandazioni ufficiali». L’Mf59 è usato da anni in un vaccino Novartis ma solo dai 65 anni in su. Gli studi sui bambini sono scarsi e su piccoli numeri. Una revisione Novartis del 2008 conclude che i dati per questa età sono ancora insufficienti. La stessa Oms dichiara che «l’esperienza con vaccini contenenti squalene è stata condotta fondamentalmente in anziani e raccomanda che, se usati in altri gruppi di età, occorre un’attenta sorveglianza post-marketing per rivelare eventi avversi». Anche sull’efficacia è difficile esprimersi. I dati sulla risposta immunitaria nei bambini riguardano un altro vaccino (contro l’H5N1) e virus diversi possono dare risposte diverse. LAB IL MONDO DEL LABORATORIO nov./dic. 2009 11 ATTUALITÀ Vaccini vs big killer Protagonista mediatico dei nostri giorni, mai come adesso, il vaccino varca nuove soglie medico-scientifiche e si propone come valida alternativa alle terapie per malattie croniche come l’ipertensione, l’obesità o la dipendenza da fumo e droghe a cura della redazione Il vaccino è un preparato contenente materiale costituito da microrganismi o parti di essi, opportunamente trattato per perdere le proprietà infettive, ma non quelle antigeniche, per essere utilizzato nel conferimento di immunità attiva al soggetto cui viene somministrato. L'immunità deriva dalla stimolazione, nel soggetto ricevente, alla produzione di anticorpi neutralizzanti il microrganismo stesso. Il nome, ancora oggi utilizzato per indicare tale strumento di lotta alle malattie, fu proposto da Louis Pasteur ad un congresso internazionale di Medicina a Londra «al merito e agli immensi servizi resi da uno dei più grandi uomini dell'Inghilterra: il vostro Jenner», il primo ad aver fatto uso di vaiolo vaccino (da qui appunto vaccino) nella prevenzione del vaiolo umano, dando vita alle prime vaccinazioni secondo criteri scientifici riconosciuti dalla Royal Society. Il preparato deve possedere requisiti essenziali quali l'innocuità, l'efficacia, la facilità di somministrazione, il basso costo di produzione. La differenziazione tra vaccini è legata alle modalità della loro creazione: vaccini da germi vivi, attenuati (resi cioè meno virulenti, vaccini da germi uccisi (inattivati), vaccini da anatossine (tossoidi), vaccini da subunità (frazioni di microrganismi), vaccini da prodotti microbici. Tra quelli vaccini maggiormente conosciuti, vi 12 LAB nov./dic. 2009 IL MONDO DEL LABORATORIO sono l’antivaiolo, l’antirabbico, l’antitetanico, antipoliomielitico, antitubercolare, antinfluenzale, vaccino anti morbillo/parotite/rosolia. In Italia esistono dei vaccini obbligatori per legge e vaccini raccomandati. Dal 2008 la Regione Veneto (come capofila) ha eliminato la così detta obbligatorietà dei vaccini, proponendo tutte le vaccinazioni come raccomandate e/o consigliate e non più obbligatorie. Entrambi seguono un calendario vaccinale ben definito. Esistono anche delle vaccinazioni consigliate da effettuare in caso di viaggi all'estero in zone con situazioni di alta endemia per determinate patologie infettive. Nuove frontiere Viene definita la ‘seconda rivoluzione dei vaccini’ ed è l’appellativo di un fenomeno che vede il vaccino protagonista non più soltanto nella prevenzione e/o nella cura di malattie infettive molto gravi, come la poliomenite o il vaiolo (com’è accaduto nel secolo scorso) ma anche di patologie frequenti e croniche, dei giorni nostri, come l’obesità, l’ipertensione, la dipendenza da fumo e droghe, malattie cardiovascolari. In particolare, nel mondo della ricerca privata, infatti, c'è grande movimento attorno alla possibilità di sviluppare nuovi vaccini 'non convenzionali' oppure anche contro condizioni che, pur non essendo vere e proprie malattie, possono comunque compromettere seriamente la qualità della vita, come la dipendenza da cocaina. Tra i teorici maggiormente favorevoli a questa ‘seconda rivoluzione’ c'è lo svizzero Martin Bachmann, proveniente dal laboratorio del premio Nobel per la medicina Rolf Zinkernagel e attualmente responsabile scientifico della Cytos Biotechnology, azienda di primo piano del settore, con diverse novità in pipeline. "La popolazione mondiale sta invecchiando e, specie nei paesi industrializzati, le principali minacce alla salute non vengono più da virus e batteri, ma da patologie croniche, quali le malattie cardiovascolari o le malattie legate all'invecchiamento, come il morbo Alzheimer", afferma: "Spesso, queste malattie sono legate a fattori di rischio noti, per esempio l'ipertensione, il colesterolo elevato e l'aterosclerosi, l'obesità o l'abitudine al fumo, molti dei quali sono associati a stili di vita deleteri, ma difficilissimi da eliminare. Dato il consolidato successo dei vaccini nei confronti delle malattie infettive, è parso logico provare ad utilizzare lo stesso approccio anche per questi fattori di rischio e, in generale, per le moderne epidemie di malattie croniche". Sono ormai decine le ricerche centrate su nuovi vaccini specifici per sostanze esogene che creano dipendenza (nicotina, cocaina, metanfetamine) o molecole endogene coinvolte nella modulazione del peso corporeo, dei livelli di colesterolo o della pressione del sangue. Nella maggioranza dei casi, i test condotti su animali modello hanno dato risultati molto incoraggianti. E buone notizie sembrano arrivare anche dai primi casi di sperimentazione nell'uomo. Bachmann afferma con sicurezza: "Sono molto ottimista sul fatto che, entro 4-5 anni, almeno alcuni di questi vaccini potranno arrivare sul mercato". Tutto è nato da una maggiore comprensione del sistema immunitario: "Negli ultimi 20-30 anni, abbiamo fatto passi da gigante nella conoscenza dei meccanismi dell'immunità", spiega l'immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Istituto Humanitas di Rozzano e docente di Patologia generale all'Università di Milano: "Due le Immunologia ricadute fondamentali di questi progressi: da un lato, la scoperta che anche malattie insospettabili, come l'Alzheimer o l'infarto, hanno una concausa di tipo immunitario o infiammatorio; dall'altro, la messa a punto di nuovi strumenti per intervenire quando qualcosa non funziona". Ne sono un esempio gli anticorpi monoclonali, una delle categorie di farmaci più innovative, impiegate nel trattamento di alcune forme di tumori e di alcune malattie autoimmuni come l'artrite reumatoide. "Il trattamento con gli anticorpi monoclonali si basa sul concetto di vaccinazione passiva, in cui si somministrano al paziente anticorpi 'già pronti' ad attaccare alcune molecole specifiche. Ora, invece, vogliamo puntare alla vaccinazione attiva, come quella per l'influenza o il morbillo, in cui il vaccino stimola l'organismo del paziente a produrre da sé gli anticorpi di cui ha bisogno per sconfiggere una malattia o una dipendenza", spiega Bachmann. Nel caso di vaccinazioni contro droghe come la nicotina o la cocaina questo è relativamente semplice, perché in entrambi i casi si tratta di sostanze estranee all'organismo. La difficoltà principale sta nel fatto che le loro molecole sono troppo piccole per attivare da sole la risposta immunitaria e devono quindi essere legate ad altre molecole (per esempio proteine di varia natura o particelle di tipo virale) per raggiungere una massa sufficiente. Una volta indotta la produzione di anticorpi con il vaccino, il sistema immunitario rimarrà attivo anche nei confronti delle molecole isolate. Nicotina e cocaina verranno intercettate dal sistema immunitario al loro ingresso nella circolazione sanguigna (subito dopo l'assunzione): si formerà così un complesso troppo grande per consentire allo stupefacente di attraversare la barriera ematoencefalica e raggiungere il cervello. Questo significa che non potranno essere attivati quei meccanismi cerebrali di gratificazione che sono alla base della dipendenza: cercare e assumere la droga diventerà solo una perdita di tempo e di denaro. Se invece il bersaglio del vaccino è una molecola endogena, per esempio il colesterolo nel caso dell'aterosclerosi, l'ormone grelina o il peptide inibitore gastrico per l'obesità, l'angiotensina I o II per l'ipertensione e la proteina beta-amiloide per l'Alzheimer, la situazione è più complicata. A partire dal fatto che bisogna indurre il sistema immunitario a riconoscere come nemiche molecole che è abituato a considerare sicure. I ricercatori affrontano il problema in vari modi: alla Cytos Biotechnology, per esempio, combinano la molecola contro la quale si vuole indurre l'immunità a particelle di tipo virale, che funzionano come bandierine segnalatrici per il sistema immunitario. Tuttavia la vaccinazione contro bersagli endogeni pone il grande problema della reversibilità. "Consideriamo l'ipertensione: benissimo disporre di un trattamento che abbassi la pressione, ma ci sono condizioni in cui vorremmo che l'organismo possa comunque modularla. Questo è possibile con i farmaci, perché basta sospenderli. Ma con un vaccino?", si chiede Mantovani. Difficilmente, inoltre, gli ormoni (come sono molte delle molecole bersaglio di questi nuovi vaccini) svolgono una sola funzione e bisogna essere certi che la loro inattivazione da parte del vaccino non abbia effetti collaterali indesiderati su altre funzioni, magari visibili solo a lungo termine. Di recente, per esempio, si è scoperto un coinvolgimento della grelina nei meccanismi della memoria e dell'apprendimento. Quale potrebbe essere l'impatto sulle funzioni cognitive di un vaccino antigrelina? Senza dubbio i vantaggi derivanti dall’utilizzo di un vaccino contro dipendenze o patologie croniche sarebbero notevoli. "Intanto, avremmo a disposizione un'arma in più; un'arma per la quale esistono già reti globali di distribuzione e somministrazione, che gode di una diffusa accettabilità sociale e per- fettamente sostenibile dal punto di vista economico", afferma Bachmann. Senza trascurare l'impatto positivo sulla vita dei pazienti. "Consideriamo il caso dell'ipertensione: è vero che esistono trattamenti farmacologici di provata efficacia. Ma è anche vero che molti pazienti non li seguono nel modo corretto, per il disagio di dover prendere troppi farmaci in un giorno, magari in assenza di sintomi evidenti. E lo stesso accade anche per il colesterolo elevato. In questi casi, disporre di un vaccino che preveda solo poche somministrazioni all'anno renderebbe più semplice seguire la terapia". Una volta verificata la funzionalità dell'approccio, poi, all'orizzonte si staglierebbe la straordinaria possibilità di curare anche molte altre malattie causate da sostanze endogene attraverso una semplice modulazione del sistema immunitario. La sperimentazione a lungo termine su un gran numero di pazienti, deve ancora essere raggiunta. Mantovani fa notare che "per ora, sappiamo che questi vaccini sono utili in animali da laboratorio e, al massimo, che sono sufficientemente sicuri per l'uomo, ma non abbiamo dati sulla loro reale efficacia nei pazienti". La sorprendente mole di conoscenze messe a disposizione negli ultimi vent'anni dall'immunologia e dalla biologia molecolare, ha aperto una nuova strada, impensabile fino a pochi anni fa. L'idea di ‘aggiustare’ il sistema immunitario dell’uomo e correggere le malattie croniche con un vaccino è la nuova frontiera, fatta di molecole, persone che le sperimentano, e aziende che ci investono con grande convincimento. PATOLOGIE NEL MIRINO Sono cinque le malattie croniche sulle quali gli immunologi stanno concentrando sforzi e attenzione per creare vaccini adeguati. Ipertensione - Il bersaglio è il sistema ormonale coinvolto nella regolazione dell'equilibrio idrico e salino, la cui iperattività è una delle cause principali di ipertensione (si chiama sistema della renina-angiotensina). Due vaccini, l’Atv’ prodotto dalla Protherics, e l’AngQb’ prodotto dalla Cytos Biotechnology, inducono la produzione di anticorpi contro l'angiotensina che porta a una riduzione della concentrazione di ormone attivo. Entrambe le sostanze si sono dimostrate sicure e in grado di ridurre la pressione in piccoli campioni di pazienti con ipertensione da lieve a moderata. Aterosclerosi - Il bersaglio è il colesterolo, colpito con due possibili approcci: ridurre quello 'cattivo' (Ldl) con anticorpi specifici (la ricerca è ancora agli inizi) oppure aumentare quello 'buono' (Hdl). In questo caso si lavora per perfezionare vaccini in grado d’indurre la formazione di anticorpi diretti contro la proteina responsabile della conversione delle molecole Hdl in Ldl. Obesità - Il bersaglio sono gli specifici ormoni del tratto digerente, come la grelina (coinvolta nella modulazione dell'appetito e nella regolazione a lungo termine del peso) e il peptide inibitorio gastrico (Gip: una proteina secreta dopo i pasti che promuove il deposito cellulare di zuccheri e grassi). Un vaccino antrigrelina è stato di recente sperimentato sui topi, rivelandosi in grado di attenuare, pur con qualche limite, la crescita di peso. Per quanto riguarda la vaccinazione anti-Gip, uno studio condotto sui topi dalla Cytos Biotechnology e pubblicato a settembre su 'PLoS One' ne ha dimostrato la notevole efficacia nel ridurre il peso di animali nutriti con una dieta a elevato contenuto di grassi. Alzheimer - L'obiettivo è quello di ridurre le placche di proteina beta-amiloide che si accumulano nel cervello dei pazienti attraverso vaccini che inducano la produzione di anticorpi contro questa proteina. I primi risultati ottenuti sugli animali e sull'uomo con il primo vaccino di questo tipo (sviluppato dalla Wyeth/Elan) sono stati molto incoraggianti, ma è stato necessario interrompere un trial clinico di fase II perché alcuni pazienti avevano sviluppato una grave infiammazione del sistema nervoso centrale. Si sta cercando di ridurre il rischio di questi effetti modificando la composizione chimica del vaccino. Tabagismo - Il bersaglio è la nicotina: gli anticorpi indotti dalla vaccinazione dovrebbero legare le molecole della sostanza, sequestrandole nel sangue e impedendo loro di raggiungere il cervello. Alcuni vaccini sono già in sperimentazione clinica (nella fase che valuta la sicurezza e la tollerabilità nell'uomo): TA-NIC (della Celtic Pharma), NicQb (della Cytos Biotechnology-Novartis), NicVAX (della Nabi Biopharmaceuticals) e Niccine (della svedese Independent Pharmaceutica). LAB IL MONDO DEL LABORATORIO nov./dic. 2009 13 ATTUALITÀ - Ricerca Alessia Montagnoli, allieva del premio Nobel Hershko Laura Raddizzoni, ricercatrice capo-progetto del Laboratorio di La ricerca non si spezza Nerviano Medical Sciences è un polo importantissimo, alle porte di Milano, fiore all’occhiello della ricerca farmaceutica italiana, luogo di scoperta e realizzazione d’importantissimi farmaci antitumorali. Purtroppo sta vivendo un momento di crisi con bilanci in rosso e circa 650 ricercatori a rischio licenziamento. Ma c’è già un progetto di rilancio Nel corso di un incontro tenutosi in Regione Lombardia, lo scorso novembre, la proprietà del Nerviano Medical Sciences - che dal 2004 è la Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione - ha illustrato alle organizzazioni sindacali il piano industriale per il rilancio del centro di ricerca. Il progetto presentato è stato valutato positivamente il suo valore strategico e il fatto che - dopo la vendita da parte di Pfizer - contiene i presupposti per un rilancio competitivo sul mercato del Centro stesso. Proprietà e sindacati, dunque, svolgeranno degli approfondimenti su alcuni punti specifici. Anche la Regione Lombardia ha confermato il proprio impegno ad accompagnare lo sviluppo del Piano, garantendo una collaborazione strutturata per i prossimi tre anni con il sistema sanitario lombardo, a partire da una collaborazione con la rete oncologica Lombarda. Tra i punti qualificanti del piano e' prevista la nascita di un centro universitario (Nms Accademia) che garantisca una partnership stabile con il sistema universitario per rendere piu' competitivo il Centro, contribuendo alla crescita occupazionale. Il piano industriale illustrato non prevede l'attivazione di alcuna procedura di mobilita'. Inoltre, è stata ribadita la necessità che tutti i soggetti coinvolti facciano la propria parte per contribuire, ciascuno nell'ambito della proprie prerogative, alla definizione puntuale del piano nonche' alla sua attuazione. L’NMS, una 14 LAB nov./dic. 2009 IL MONDO DEL LABORATORIO delle punte di diamante della ricerca oncologica ‘made in Italy' soffocato dai debiti (si parla di perdite per 60 milioni di euro nel 2008), ha davvero rischiato di chiudere i battenti lasciando a casa circa 650 dipendenti, ricercatori e scienziati compresi. Ma, appena comunicata la notizia, è partita la mobilitazione dei lavoratori. Hanno chiesto l'aiuto del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, che ha dato la sua disponibilità per arrivare al più presto a una soluzione che salvi questo ‘patrimonio straordinario’, e hanno scritto una lettera indirizzata alla Congregazione, alle principali istituzioni ecclesiastiche e al Governo. "Vorremmo ricordare che dal maggio 2004 oltre 900 pazienti con cancro sono stati trattati nei migliori centri clinici oncologici del mondo con i nostri farmaci - sottolineano i ricercatori dell'Nms -. Farmaci da noi scoperti e caratterizzati con competenza e passione. Si tratta di 900 pazienti con cancro avanzato e metastatico e senza possibilità di cure. Molti di loro sono vissuti più a lungo grazie ai nostri farmaci e hanno avuto una qualità di vita migliore. Molti di loro sono ancora oggi in trattamento con i nostri farmaci. Anche gli oncologi Umberto Veronesi e Gianni Bonadonna, il farmacologo Silvio Garattini e il presidente della Fism (Federazione delle società medico-scientifiche italiane) Pasquale Spinelli, hanno dato un notevole supporto per far si che l’NMS non chiudesse. Un premio per le ricerche farmacologiche E’ un giovane ricercatore del Nerviano Medical Sciences, Paolo Cappella, il vincitore di uno dei ‘Premi per ricerche farmacologiche’ indetto da SIF e Farmindustria. Paolo Cappella, ricercatore senior presso l’unità di Citometria a Flusso del dipartimento di Biologia NMS, si è visto assegnare il premio per i suoi studi nel campo dell’analisi multiparametrica che hanno portato all’identificazione di una originale metodica di diagnostica in vitro delle cellule. “Con questo premio, afferma il Prof. Umberto Rosa Presidente NMS, viene riconosciuto il valore della ricerca industriale svolta dal NMS e la sua capacità di innovare”. Una caratteristica peculiare delle cellule tumorali è la loro capacità di proliferare in maniera incontrollata. Il metodo classicamente utilizzato nei laboratori di ricerca per studiare la proliferazione cellulare quantifica la duplicazione del DNA nelle cellule proliferanti ma i reagenti utilizzati distruggono le proteine cellulari, rendendo impossibile l'analisi multiparametrica, cioè l'analisi simultanea di diversi parametri nella stessa cellula. Il metodo messo a punto da Paolo Cappella nei Laboratori del Centro Ricerche di Nerviano consente di superare i limiti del metodo classico di determinazione della proliferazione cellulare. Grazie all'utilizzo di un reagente, detto ‘5ethynyl2'deoxyuridine’, e di un anticorpo specifico è ora possibile a livello di singola cellula determinare simultaneamente e in maniera semplice non solo la proliferazione cellulare ma anche altri parametri utili alla caratterizzazione delle cellule tumorali, come la presenza di marker tumorali o di altre proteine cellulari che non potevano essere studiate con il metodo classico. Il metodo di quantificazione della proliferazione cellulare perfezionato da Paolo Cappella, ha apportato un contributo scientifico di particolare rilievo, infatti, tale metodo è superiore a quello classico non solo perchè consente un'analisi multiparametrica ma anche perchè più sensibile e affidabile. Il metodo può essere applicato non solo allo studio delle cellule tumorali ma in tutte le patologie nelle quali è utile studiare la proliferazione cellulare, come, ad esempio, le malattie immunitarie e infiammatorie, nel trapianto d'organo e nelle patologie delle cellule del sangue. Gli studi sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Cytometry e su ‘Current Protocols of Cytometry’. Genomica L’evoluzione del Dna Chi desidera leggere, nel suo Dna, il rischio di ammalarsi di infarto o di diabete, di Alzheimer o di schizofrenia, deve comunque attendere: l'analisi genetica delle malattie più comuni (e la possibilità quindi di avere test attendibili) si è rivelata, molto più complessa di quello che ci si aspettava. La mappazione genetica rimane, almeno per ora, un ‘oroscopo’ imperdibile veramente sul serio. Da quando è stato decodificato il genoma umano nel 2003, i ricercatori si sono messi al lavoro per cercare alterazioni di geni che potessero predisporre alle malattie, soprattutto a quelle più diffuse. Ne hanno trovate moltissime. Parallelamente sono nate, come funghi, aziende che continuano a propagandare test per il Dna capaci di predirne la comparsa in ogni individuo: un vero e proprio boom anche in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti (per mille dollari si può conoscere, nei dettagli, il proprio genema: basta un po' di saliva) e in Internet dove siti, come www.23andme.com o www.decodeme.com, offrono persino servizi specializzati in cardiologia o in oncologia. La più nota rivista medica americana, il New England, ha deciso di prendere posizione con una review sugli studi finora condotti e ben tre editoriali di commento. E la notizia è stata ripresa dal New York Times, secondo il quale l'era della medicina su misura è ancora lontana. «Per chiarezza è importante fare un passo indietro -commenta Paolo Vezzoni, genetista al Cnr presso l'Istituto Humanitas di Milano-. Nell'ultimo decennio sono stati compiuti enormi progressi nella scoperta di singoli geni responsabili, da soli, di specifiche malattie. Sono le cosiddette malattie mono-geniche, come la talassemia, che sono per lo più rare. Nella review si parla, invece, di un enorme studio sui polimorfismi, cioè su tutte quelle variazioni genetiche che sono legate a malattie complesse. Di frequente numerose riviste riportano di scoperte di geni legati alle varie patologie. E alla possibilità di mettere a punto un test per individuarne il rischio». Ecco però il problema. Anzi i problemi. Se è vero che alcune variazioni genetiche sono correlate alla probabilità di sviluppare una certa malattia, per esempio un infarto, è altrettanto vero che la loro presenza, nel genoma di un individuo, spesso indica un rischio molto basso, 2-3%. Inoltre, una malattia può anche essere provocata dalla combinazione di più varianti e spesso da varianti rare, non da varianti comuni. Le malattie cardiovascolari, per esempio, riconoscono almeno una quindicina di varianti di predisposizione e se un test è basato soltanto sulla ricerca di una o due di queste, avrà una capacità predittiva bassa. A questo punto vale molto di più la pena valutare altri fattori di rischio dell'infarto, questa volta ambientali, come lo stress o la sedentarietà o il fumo che sono, al momento più attendibili. Sul piano pratico, nella prevenzione di malattie multifattoriali, la genetica non dice granché. Rimane, invece, importantissima quando deve identificare, attraverso test già in uso (ce ne sono in commercio circa un migliaio), malattie ereditarie come appunto la talassemia, l'emofilia o la fibrosi cistica. La mancanza di una reale applicabilità pratica delle ultime ricerche sulle malattie comuni pone ancora molte domande.