Solitudine - Fantasio Festival

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Solitudine - Fantasio Festival
Solitudine di Mar ia Chiar a Dal Cer o U
U N giovedì di settembre, Pietro, un uomo magro e cupo, si alzò presto alla mattina e come tutti i giorni salì sulla sua auto per andare al lavoro. Faceva l’operaio in fabbrica vicino a Parma ed rimasto solo senza genitori all’età di trentacinque anni. Tutti in fabbrica lo chiamavano l’eremita, e per il grande dispiacere provato alla perdita dei genitori, a cui era molto legato, si chiuse in se stesso rifiutando ogni amicizia. Per lunghi mesi soffrì in silenzio e una domenica, in piena solitudine, si trovò a fantasticare passeggiando per le vie del suo paese. Tutti quelli che lo conoscevano di vista si chiedevano a cosa pensasse un uomo vuoto come lui. Ma Pietro non era vuoto, era solitario e reprimeva con fatica la sua sensibilità. Tra gli abitanti correva voce che fosse un pazzo, così tutti badavano bene di stargli alla larga. Pietro viveva male nella sua infelicità. Pensava a come sarebbe stato di conforto avere accanto una persona con cui condividere anche quei momenti. Questa idea gli sfiorava spesso la mente soprattutto quando vedeva gruppi di amici chiacchierare, ridere o anche solo ragazze che portavano a passeggiare il proprio cane. Gli anni passarono tristemente e Pietro cominciò a sentire la vecchiaia. Così, non essendo più in grado di sopportare la fatica del duro lavoro di fabbrica, andò in pensione prima del previsto. Fin da giovane era stata una persona assai particolare che aveva manifestato problemi d’inserimento ancora quando frequentava la scuola elementare. Da ragazzo si distingueva dai suoi coetanei perché non aveva mai staccato una coda ad una lucertola, non
aveva mai messo l’acqua calda nella boccia di un povero pesciolino rosso, non aveva mai tagliato i baffi ad un gatto. E da uomo maturo si era distinto dagli altri perché non era mai andato a caccia. Pietro amava gli animali e mai avrebbe potuto ucciderne uno solo per sport. A volte, immerso nella sua solitudine, pensava ai canili affollati, agli sguardi impauriti e agli infiniti latrati carichi di tristezza. Quando giunse l’estate, rovistando fra gli attrezzi da giardinaggio, Pietro scorse, in un angolo, la sua vecchia bicicletta ancora munita del cesto di vimini che usava quando sua mamma chiedeva di andare a comprare cibo e provviste. Della madre teneva ancora una viva memoria. Spolverò la bicicletta, aggiustò il cestino, provò i freni un po’ arrugginiti e poi salì in sella e pedalò. Dopo un bel po’, immerso nei più fitti pensieri d’infanzia, si accorse che aveva percorso parecchia strada. Improvvisamente udì un sottile guaito che lo turbò. Scese cautamente dalla sua bicicletta e tornando indietro di qualche passo vide una cagnolina abbandonata dentro il fosso. Era ridotta male. Mosso da compassione la prese in braccio e la portò a casa. Pietro sentì un forte calore dentro il cuore, forse proveniva dalla sua anima. Curò amorevolmente quella bestiola tanto dolce che lo stava cambiando profondamente nei sentimenti. “Ti chiamerò Laika”, disse sorridendo. Pietro cominciò ad uscire di casa per passeggiare con Laika, la sua nuova compagna. Un giorno andarono al parco e si fermarono all’ombra di un salice piangente. D’un tratto Laika avvistò un altro cane ed in un lampo riuscì a togliersi il guinzaglio per raggiungerlo. Era un maschio di piccola taglia ed apparteneva ad un bambino di nove anni che se ne stava solo e triste. Pietro si avvicinò al bimbo e i due cominciarono a chiacchierare. Tra loro ci fu subito intesa. Pietro provava simpatia per quel piccolo che lo chiamava affettuosamente “nonno”.
Il bambino non aveva nessun amico con cui stare e i suoi genitori lavoravano sempre. Pietro rivide la sua solitudine in quella del bambino. Rivide la sua giovinezza. I giorni passarono e tra i due nacque una bellissima amicizia. Nessuno dei due ora era più solo. Maria Chiara Dal Cero Nata nel 1993