diritto e superstizione", in Rivista di diritto civile, 2/2013, p

Transcript

diritto e superstizione", in Rivista di diritto civile, 2/2013, p
16.55
Abbonamenti nelle migliori librerie, presso i nostri agenti e sul sito www.cedam.com
PROPRIETÀ LETTERARIA
00140304
9!BM CF>:RQUWVU!
5!;E ; F:SOROSP!
€ 35,00
PRINTED IN ITALY
2013
FONDATA E RETTA DA
WALTER BIGIAVI
(1955-1968)
E
ALBERTO TRABUCCHI
(1968-1998)
COMITATO DI DIREZIONE
C. MASSIMO BIANCA FRANCESCO D. BUSNELLI
GIORGIO CIAN ANGELO FALZEA GIOVANNI GABRIELLI
ANTONIO GAMBARO NATALINO IRTI GIUSEPPE B. PORTALE
ANDREA PROTO PISANI PIETRO RESCIGNO RODOLFO SACCO
VINCENZO SCALISI PIERO SCHLESINGER
PAOLO SPADA VINCENZO VARANO
E
GUIDO CALABRESI ERIK JAYME DENIS MAZEAUD
ÁNGEL ROJO FERNÁNDEZ-RIO
T. A
OT N
NIO MILANI
TO
ISBN 978-88-13-32687-6
STAMPATO IN ITALIA
N. 2 MARZO-APRILE
ANNO LIX
D
1) «ADL - Argomenti di diritto del lavoro» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia
€ 167,00, Estero € 195,00.
2) «Contratto e Impresa» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 190,00, Estero
€ 231,00.
3) «Contratto e Impresa/Europa» (semestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 118,00,
Estero € 156,00.
4) «Diritto e Pratica Tributaria» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 286,00,
Estero € 380,00.
5) «Diritto e Pratica Tributaria Internazionale» (quadrimestrale - solo on-line): prezzo di
abbonamento € 97,00.
6) «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali» (bimestrale): prezzo di abbonamento
per l’Italia € 213,00, Estero € 265,00.
7) «Diritto penale XXI secolo» (semestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 75,00, Estero
€ 93,00.
8) «L’Indice Penale» (semestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 117,00, Estero € 144,00.
9) «La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata» (mensile): prezzo di abbonamento per l’Italia
€ 225,00, Estero € 289,00.
10) «Le Nuove Leggi Civili Commentate» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia
€ 193,00, Estero € 264,00.
11) «Rivista di Diritto Civile» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 173,00, Estero
€ 221,00.
12) «Rivista di Diritto Internazionale Privato e Processuale» (trimestrale): prezzo di abbonamento
per l’Italia € 149,00, Estero € 198,00.
13) «Rivista di Diritto Processuale» (bimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 178,00,
Estero € 207,00.
14) «Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia» (trimestrale): prezzo di abbonamento
per l’Italia € 154,00, Estero € 203,00.
15) «Studium Iuris» (mensile): prezzo di abbonamento a 12 numeri per l’Italia € 151,00, Estero
€ 208,00.
16) «Rassegna dell’Energia Elettrica» (trimestrale): prezzo di abbonamento per l’Italia € 120,00,
Estero € 156,00.
ISSN 0035-6093
CASA EDITRICE
ELENCO E PREZZI DEI PERIODICI «CEDAM» per il 2013
2013
20/03/13
ANNO LIX - N. 2
1
R I V I S T A D I D I R I T T O C I V I L E
DIR-CIV2-13 OK.pdf
CEDA
CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
PADOVA
Pubbl. bimestrale - Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D. L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
Vincenzo Zeno-Zencovich
Prof. ord. dell’Università di Roma Tre
IL LATO OSCURO DELLA LEGGE:
DIRITTO E SUPERSTIZIONE (*)
Sommario: 1. La legge, e il procedimento legislativo, come oggetto di superstizione. — 2. I
giuristi e l’uso superstizioso della scienza. — 3. Giustizia e superstizione. — 4. La superstizione come sistema giuridico. — 5. Una prima conclusione: La superstizione è ineradicabile. — 6. Il « bonus (et superstitiosus) pater familias ».
Comunemente, la definizione di superstizione è: « Credenza irrazionale,
spesso dettata da ignoranza o da paura, in forze occulte ritenute portatrici di
influenze per lo più negative; ogni pratica o rituale dettati da tale credenza ».
Ovvero « atteggiamento irrazionale, dettato da ignoranza, suggestione o timore, che attribuisce a cause occulte o a influenze soprannaturali avvenimenti,
specialmente negativi, spiegabili con cause naturali e conoscibili; atto, gesto,
pratica rituale cui si attribuisce il potere di scongiurare un evento negativo o
di propiziarne uno positivo ».
A tali definizioni è opportuno aggiungere la precisazione che deve trattarsi di una credenza la cui falsità può essere agevolmente verificata e dimostrata. La postilla è importante perché mira a tracciare la linea di confine fra
religione e superstizione. Non si intende, in questo scritto, infatti, discutere
uno dei più complessi e mai sopiti dibattiti culturali e sociali, quantomeno nel
mondo occidentale, e cioè il fondamento razionale delle credenze (ovvero, per
molti, della fede) religiose (1). Poiché da secoli ci si sforza — senza alcun risultato condiviso — di affermare o negare il fondamento razionale della religione, essa rimane al di fuori della definizione prima fornita.
D’altronde, oggetto di questo scritto — il quale fa riferimento alla tradi(*) Il presente scritto è destinato agli scritti in onore di Angelo Luminoso, nei confronti
del quale sono debitore non solo per tanti insegnamenti giuridici, ma anche per la straordinaria accoglienza nella Facoltà cagliaritana e per la amicizia che ha sempre voluto manifestare nei miei confronti.
( 1 ) Nel suo Trattato sulla superstizione, Plutarco la definisce come una deviazione dalle corrette credenze religiose: « L’ignoranza e la mancanza di istruzione riguardante gli dei
può essere rappresentata come un fiume diviso in due corsi, uno dei quali, nelle menti ostinate, conduce all’ateismo, l’altro, come se finisse in terreni paludosi, produce la superstizione » (De superstitione, traduz. con testo greco a fronte a cura di G. Lozza e con presentazione di D. Del Corno, Milano 1989). Ed il legame fra religione e la sua deviazione, la superstizione, è posto proprio all’inizio del Tractatus theologico-politicus di Baruch Spinoza,
pubblicato anonimo ad Amsterdam nel 1670: « Si homines res omnes suas certo consilio regere possent, vel si fortuna ipsis prospera semper foret, nulla superstitione tenerentur. (...)
Causa itaque, a qua superstitio oritur, conservatur et fovetur, metus est ».
310
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
zione occidentale come forgiata attraverso la tradizione giudaico-cristiana e il
pensiero greco e romano — non sono concezioni trascendenti, bensì quel che
si potrebbe definire il cuore della superstizione: gatti neri che attraversano la
strada, specchi che si rompono, numeri (13 o 17), oggetti (il corno, il ferro di
cavallo), persone (lo jettatore, il gobbo); fatti o accadimenti; circostanze particolari. Nonché i comuni antidoti che sono utilizzati per scacciare la mala
sorte che ad essi si associa.
Ci si occuperà non solo di mala sorte ma anche di fortuna, dagli escrementi dell’uccello in volo, al mangiare un certo cibo, all’incontro con qualcuno o il ritrovamento di qualcosa.
Dunque non si intende in alcun modo trattare quella che è una storica
accusa rivolta dagli atei alla religione (in particolare, quella cristiana): di essere una forma organizzata e formalizzata di superstizione (2).
Il giurista è naturalmente interessato alla superstizione per una serie di
ragioni sia intrinseche che storiche (3).
La tradizione giuridica occidentale si fonda su proposizioni di natura razionale, le quali sono chiaramente in contrasto con le credenze superstiziose le
quali sono, per definizione, non razionali. Il diritto moderno si è sviluppato
come risultato di una difficile lotta contro la superstizione, soprattutto nel
campo del diritto penale, e dei reati di magia e stregoneria (4). Durante l’era
dell’illuminismo la fiaccola ardente del diritto, il diritto della ragione, è stata
agitata per scacciare le tenebre della superstizione (5).
( 2 ) Questo è il leitmotiv di una parte significativa della letteratura del XVIII secolo. Per
una delle sue espressioni più accese si veda Paul Henri d’Holbach, Histoire Naturelle de la
Superstition: « Gli uomini sono superstiziosi perché vivono nella paura. E vivono nella paura perché sono ignoranti ». Il libro fu subito vietato in Francia, ma una volta pubblicato in
Inghilterra divenne uno dei manifesti del movimento illuministico. Per una vivacissima rappresentazione grafica si veda la famosa incisione di William Hogarth, « Credulità, Superstizione, Fanatismo » nella quale la scena è una chiesa all’interno della quale un prete predica
tenendo in mano strani idoli, mentre sotto di lui, fra i banchi, si svolge ogni genere di deboscia. L’estremo si raggiunge quando il rispetto della regola di superstizione porta a compiere delitti, anche efferati, prevalendo dunque sulla regola razionale della legge: per una anticipazione, nel clima della Scuola Positiva, v. A. Lowenstimm, Superstizione e diritto penale:
ricerche intorno all’influenza della superstizione sulla delinquenza (trad. it. A. Rocchi),
Cassino 1902; G. Amalfi, Superstizione e diritto penale, Napoli 1907; nonché Id. Delitti di
superstizione, Pisa 1914; V. Manzini, La superstizione omicida e i sacrifici umani con particolare riguardo alle accuse contro gli ebrei, Padova 1930.
( 3 ) Alcune delle tematiche qui esaminate si trovano nel volume di C.A. Corcos (a cura
di), Law and Magic, Durhan N.C. 2010. Senza voler entrare in discussioni di tipo terminologico, sia che si tratti di superstizioni che di magia si è di fronte ad un atteggiamento irrazionale nei confronti di fenomeni o circostanze naturali. A voler tentare di tracciare una linea di demarcazione la magia ha una dimensione prevalentemente oggettiva nel senso che
richiede l’intervento di un mago (o di una strega) o di qualche entità sovrannaturale. Mentre la superstizione è prevalentemente soggettiva nel senso che si fonda su auto-convinzioni.
( 4 ) Ex multis C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, § XXXIX.
( 5 ) La intrinseca razionalità della legge è chiaramente posta dai principali philosophes.
SAGGI
311
Vi sono dunque molte ragioni per affermare che il diritto — nelle sue
molteplici sfaccettature — è assolutamente distante dalla superstizione, e i
due concetti devono ritenersi reciprocamente incompatibili.
Quest’ultima credenza — come quelle superstiziose — può però essere
contestata sulla base di argomenti razionali.
1. — Il primo aspetto che si prende qui in considerazione è l’uso della
legge — inteso nel senso più ampio e quindi comprendente tutti gli atti normativi a portata generale emanati da un soggetto (parlamentare o amministrativo) dotato di tali poteri — come antidoto a mali sociali o come strumento di tranquillità intellettuale. Dunque la legge non è di per sé superstiziosa,
ma è il risultato, a vari livelli, di una superstizione (6).
Le società contemporanee — al pari di quelle del passato — sono soggette a numerosi eventi i quali sono considerati come mali: all’individuo, alla sua
proprietà o ai suoi beni, alla sua salute, ai suoi diritti. Oppure una minaccia
all’ordinato svolgimento di attività, alla terra, agli immobili, all’ambiente.
All’interno di un testo normativo è possibile individuare, con una certa
facilità, le disposizioni le quali hanno una funzione promozionale, e quelle
che invece hanno una funzione di prevenzione. Le prime mirano a creare ordine; le seconde a dare un senso di sicurezza.
Molte comunità sentono fortemente il bisogno di essere guidate; i singoli
hanno bisogno di sapere che ciò che fanno è corretto e temono che ciò che
stanno facendo possa contravvenire a qualche — a loro ignota — regola. La
legislazione, ma ancor più la regolamentazione, riempiono un vuoto (da cui
l’horror vacui) e creano una zona di sicurezza mentale. Vivere seguendo le regole ha un effetto rassicurante, e immunizza dal timore di reazioni negative
da parte di chi detiene il potere di sanzionare e punire.
Al tempo stesso stabilire divieti e sanzioni per la loro violazione è visto
come una risposta razionale al disordine sociale. Mentre ciò appare ovvio con
riguardo al campo tradizionale dei reati (contro la libertà, la vita, l’integrità
fisica, la proprietà) ci si può chiedere quale sia il senso dell’orgia di sanzioni
regolamentari che coprono praticamente ogni aspetto della vita quotidiana,
dal casco per i motociclisti alle deiezioni canine, dal divieto di calpestare i
prati a quello di sosta.
Vi è una ulteriore conseguenza nell’espansione del normativismo dominante: coloro i quali rispettano la legge sono « normali », mentre coloro che
Per tutti v. J.J. Rousseau, Le contrat social, cap. VIII: « Le legislateur est le mechanicien
qui invente la machine ».
( 6 ) L’argomento centrale della più importante opera di Rudolf Wietholter, Rechtswissenschaft, Fischer Bucherei, Francoforte 1968 (tradotta in italiano e pubblicata da Laterza
nel 1975 non a caso con il titolo « Le formule magiche della scienza giuridica » è che nozioni quali « ordine pubblico e sicurezza », « bene comune », « libertà ed eguaglianza », « giustizia », « buona fede » sono tutti esempi di « formule magiche » (v. in particolare i capp. 2
e 3).
312
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
non lo fanno sono « a-normali ». È facile dunque individuare chi non vive in
conformità alla legge. La conformità non è incoraggiata ma imposta, ed è rassicurante sapere che coloro i quali fanno parte della stessa comunità sono
uguali in tutti sensi, non solo nei loro diritti — ma poco importa se li esercitano — ma soprattutto nei loro doveri ed obblighi che devono essere correttamente adempiuti. Le differenze sono fonte di turbamento, in primo luogo intellettuale e, conseguentemente, sociale.
Questa tendenza può essere agevolmente colta in talune piccole comunità, lontane dal caos urbano, nelle quali la ricerca della uniformità è resa dalle
case in cui si vive, tutte costruite secondo regolamenti precisi e dettagliati.
Si potrebbe obiettare che tutto ciò ha molto più a che fare con la insicurezza sociale (7), che con la superstizione. Vale tuttavia notare come questi sistemi sono quasi interamente costruiti su una trama strettamente intrecciata
di norme — norme scritte, non norme sociali (8) — la cui effettività è garantita da misure coercitive, e non semplicemente dalla riprovazione della comunità.
La domanda è dunque se vi siano degli elementi superstiziosi in questa
forte domanda per legislazione e regolamentazione (9).
Il primo indice che si può evidenziare è il radicato convincimento che
l’efficienza della società è direttamente proporzionale al numero di norme che
la regolano. Tale modo di pensare è particolarmente diffuso nelle culture
nord-europee e nel mondo anglosassone. Assai meno nel mondo che si affaccia sul Mediterraneo. Disponiamo di elementi che ci consentono di affermare
che la regolazione, in effetti, consegue i suoi obiettivi? In taluni casi la valutazione di impatto offre dei dati significativi che corroborano l’argomento che
gli obiettivi posti dagli artefici delle norme sono stati raggiunti. Ma in molti
altri casi mancano prove convincenti degli attesi miglioramenti (10). Beninteso, è estremamente difficile fornire una prova contro-fattuale (e cioè che le
cose sarebbero andate meglio o peggio senza la frenesia regolamentare), anche perché i fattori esogeni e congiunturali sono molteplici. Tuttavia quel che
( 7 ) A. Ogus, The paradoxes of legal paternalism and how to resolve them, 30 Legal
Studies 61 (2010) ove si critica il ruolo negativo dei media nel sollecitare interventi legislativi; C.R. Sunstein, Cognition and Cost-Benefit Analysis, 29 JLS 1059 (2000): « La risposta corretta alle paure sociali non fondate su prova, e ai loro effetti a cascata, è l’educazione e la rassicurazione più che un aumento nella regolazione » (a p. 1095).
( 8 ) S. Deakin, Contracts and Capabilities: An Evolutionary Perspective on the « Autonomy-Paternalism Debate » 3 Erasmus L. Rev. 141 (2010), evidenzia come vi sia « un continuum fra norme sociali e regole giuridiche, manifeste, con queste ultime che tendono a
cristallizzare le prime » (a p. 144).
( 9 ) C.R. Sunstein, Cognition and Cost-Benefit Analysis 29JLS 1059 (2000) offre, in
maniera educata, una risposta: « La domanda del pubblico per una regolamentazione è di
solito basata sulla mancata comprensione dei fatti » (a p. 1065).
( 10 ) Dubbi simili sono espressi da A. Ogus, W.H. van Boom, Introducing, Defining and
Balancing Autonomy v. Paternalism, 3 Erasmus L. Rev. 1 (2010) (a p. 3).
SAGGI
313
interessa notare è che la creazione di regole trasferisce su un piano astratto
l’ansia individuale o sociale dando ad essa un sollievo, almeno temporaneo.
Un secondo elemento da considerare è che, all’apparenza, le norme appartengono ad un mondo quasi perfetto e sono create da organi illuminati come il Parlamento.
La ritualità che circonda il processo legislativo rafforza l’idea della legge
come prodotto di un procedimento assolutamente razionale. Si raccolgono dati statistici, si tengono audizioni, si confrontano modelli, si analizzano costi e
benefici (11), si presentano e discutono emendamenti, si pubblicano ampie relazioni illustrative.
Tuttavia, benché molti dei complessi meccanismi procedurali possono
dissolvere il rischio di processi decisionali irrazionali, il diavolo della irrazionalità si nasconde nei dettagli, a cominciare dalle premesse dell’iniziativa
normativa per finire con l’apparato sanzionatorio. Soprattutto quando le misure sono prese in momenti di crisi — internazionale, politica, finanziaria —
la spinta preminente è quella della azione-reazione sotto la pressione di gruppi coperti dal mantello della « opinione pubblica » (12). Il risultato, spesso,
non è molto diverso da quello dell’unguento portentoso che il ciarlatano della
fiera di campagna vende agli astanti assicurando che esso avrà un effetto immediato. Il riferimento alla ritualità — comune a tutti gli studi gius-antropologici — è importante per considerare il ruolo che le procedure svolgono nei
processi legislativi e decisionali. È chiaro e condiviso il convincimento che
procedure aperte, trasparenti e pre-determinate sono essenziali per evitare
sviamenti e dare legittimità al loro esito. La democrazia, nella sua mai terminata evoluzione, è, nella sostanza e in primo luogo, un sistema procedurale.
Avendo ciò bene in mente è possibile individuare alcune ossessioni procedurali, che portano ad accettare qualsiasi risultato sostanziale purché si sia rispettato il rituale. Tale critica è chiaramente rivolta alla estremizzazione della
« rule of law » (13), concetto ben diverso dall’europeo « Staatsrecht » o « État
( 11 ) Ma se l’analisi costi-benefici è la principale metodologia utilizzata per le scelte
pubbliche essa è semplicemente « stupida »: v. H.S. Richardson, The Stupidity of the CostBenefit Standard, 29 JLS 971 (2000).
( 12 ) Una delle questioni più delicate — che le democrazie europee hanno dovuto affrontare negli anni ’70 del secolo scorso e che poi si è trasferita negli Stati Uniti all’inizio del
millennio — è quella della risposta da dare agli attentati terroristici, di matrice o politica o
religiosa. Negli Stati Uniti taluni studiosi parlano di « panico morale o sociale » (v. D.M.
Filler, Terrorism, Panic, and Pedophilia, in 10 Va. J. Soc. Pol’y & L. 345 (2002)). Ciò che
qui interessa non sono tanto le circostanze quanto le reazioni. Un tipico esempio di misura
anti-terroristica superstiziosa è quella dei controlli di sicurezza sempre più invasivi nei confronti della persona, effettuati in maniera burocratica su milioni di passeggeri aerei ed accettati con rassegnato fatalismo. Questi profili sono esaminati e fortemente criticati in T.
Kuran, C.R. Sunstein, Availability Cascades and Risk Regulation, 51 Stan. L. Rev. 683
(1999).
( 13 ) Circa 80 anni fa simili concetti erano già stati espressi da T.W. Arnold, Institute
Priests and Yale Observers. A Reply to Dean Goodrich, 84 U. Pa. L. Rev. 811 (1936) (a p.
314
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
de droit », in quanto le teorie politiche che vi sono sottese sono storicamente e
sostanzialmente assai diverse. A parte la pia illusione di voler misurare l’intero mondo con un solo metro costruito a Londra o a Washington, la « rule of
law », come sovente applicata da istituzioni finanziarie internazionali (14), finisce per cancellare la banale considerazione che come un fine non giustifica i
mezzi, i mezzi utilizzati non necessariamente giustificano il risultato che è stato raggiunto.
Utilizzare procedure, e la valutazione delle procedure, come se fossero formule magiche tende a distrarre l’attenzione dell’essenza del problema e a figurare le cose come si vorrebbe che fossero (15), non come sono effettivamente.
2. — Assieme al diritto e all’educazione, la scienza fu il grande antidoto
che l’illuminismo scagliò contro l’oscurantismo dell’ignoranza e della superstizione. Dopo aver condotto nel 17o secolo una strenua battaglia contro la
teologia e la filosofia aristotelica, il pensiero scientifico entrò ufficialmente
nella cultura occidentale durante l’illuminismo come una forma — la forma
— di ragionamento corretto. La logica induttiva basata sull’esperienza contrapposta alle deduzioni scaturenti da pre-concetti. Lo sviluppo progressivo e
passo dopo passo, contrapposto a postulati immodificabili. Lo sperimentalismo contro il dogmatismo.
Non c’è dunque da stupirsi se anche i giuristi ritennero di dover stringere
una forte alleanza intellettuale con il pensiero scientifico, ed è significativo
che è proprio nel 18o secolo che l’idea di « scienza giuridica » comincia a svilupparsi. Retrospettivamente è facile cogliere la fallacia del neologismo (16),
in quanto il diritto — proprio al contrario della scienza — è, e deve essere,
fondato su pre-concezioni deontiche e ci dice non ciò che è (o è stato) ma ciò
che dovrebbe essere (17).
814): « La tradizione americana attribuisce un significato mistico alla “rule of law” piuttosto che ad una entità come simbolo dell’unità delle nostre istituzioni. Ci sentiamo più sicuri
nel pensare in questo modo. Attribuiamo alla “rule of law” un ruolo drammaturgico nel
nostro sistema giudiziario e nella nostra costituzione ».
( 14 ) Per una approfondita critica a questo utilizzo della teoria della « rule of law » v. F.
Upham, Mythmaking in the Rule of Law Orthodoxy, Carnegie Endowment Working Papers,
n. 30, 2002.
( 15 ) Amartya Sen parla, ma in termini non negativi, di « sogni ad occhi aperti » (v. The
Discipline of Cost-Benefit Analysis, 29JLS 91 (2000) a p. 952).
( 16 ) Vi furono tuttavia, è bene notarlo, dissensi nella patria della teoria della « scienza
giuridica ». J.H. von Kirchman, intitolò la sua conferenza del 1847 « Die Wertlosigkeitder
Jusrisprudenz als Wissenschaft » (La fallacia del diritto come scienza). Lo scritto ebbe
enorme successo di pubblico, ma scarso seguito nel dominante movimento pandettistico
(per una recente riedizione v. quella per i tipi della Manutius Verlag, Heidelberg 2000).
( 17 ) Si tratta di uno dei punti centrali del lavoro di R. Berkowitz, The Gift of Science.
Leibniz and the Modern Legal Tradition, New York 2010: « Una volta che il diritto cerca
di affermare la sua legittima autorità attraverso garanzie scientifiche della sua certezza, la
tecnica giuridica finisce per sopraffare la sua etica » (a p. 6).
SAGGI
315
Tuttavia, quel che si vuole mettere qui in luce non è l’auto-promozionale
rappresentazione del diritto come « scienza », ma uno dei suoi più diffusi corollari: se il diritto è una scienza, i giuristi, in quanto « scienziati », sono in
grado facilmente di comprendere ed utilizzare i ragionamenti scientifici al di
fuori dei confini loro propri, non diversamente di come un chimico comprende la medicina, o un ingegnere la fisica.
Come conseguenza di tale alta autostima (che non è mai mancata ai giuristi), i metodi scientifici, i dati o i ragionamenti scientifici sono comunemente
usati dai giuristi per sostenere o contrastare argomenti, per fondare decisioni
di carattere generale, ovvero per spiegare perché un fatto naturale determini
l’applicazione di una regola. Dunque non soltanto un uso retorico o metaforico della scienza, ma la scienza come parte integrante della decisione giuridica. I giuristi dunque « giocano » con grande naturalezza con la scienza, utilizzano la sua terminologia, ne traggono conseguenze, talvolta poggiando sulle
parole di esperti, altre volte vestendo i panni dello scienziato fai-da-te.
L’assunto sottaciuto ma implicito è che, mentre il diritto è sempre opinabile, la scienza non lo è perché è garanzia di precisione e certezza. Pertanto le
decisioni giuridiche prese sulla base di dati ed argomenti scientifici sono intrinsecamente razionali e corrette.
Chiunque abbia familiarità con lo sviluppo del pensiero scientifico e dell’epistemologia nel corso degli ultimi quattro secoli si rende conto che questa
è — nella più benevola delle ipotesi — una versione caricaturale della scienza, se non, addirittura, il suo opposto. Le « regole » scientifiche scontano
sempre un margine — più o meno ampio — di incertezza, e il dubbio, prima
di essere formalizzato in un protocollo, è una disposizione intellettuale, soprattutto quando si esaminano circostanze nuove o diverse (18). Mentre il giurista cercherà di espandere, attraverso l’analogia, una regola, in modo che abbracci un numero sempre più ampio di casi, la casistica delle leggi naturali
non costituisce qualche bizzarra eccezione ma semplicemente la conferma
della infinità di eventi che possono verificarsi e delle regole che presiedono al
loro svolgimento.
Si può dunque sostenere che i giuristi, in generale e quale che sia la loro
posizione, fanno un uso superstizioso della scienza, cercando di spiegare e governare i fatti della vita e della società attraverso teorie ed argomenti che, in
realtà, non riescono a comprendere, e che potrebbero essere facilmente smentiti.
Alcuni esempi potranno essere chiarificatori.
Il primo è l’interminabile dibattito sulla causalità (19). L’intento delle
teorie causali è nobile, come pure lo sono i loro pro-genitori. Uno dei contesti
( 18 ) Senza dover arrivare necessariamente agli eccessi denunciati da N. Ben-Yehuda,
Deviance in Science. Towards the Criminology of Science, 26 Brit. J. Crim. 1 (1986).
( 19 ) L’ovvio riferimento è a H.L.A. Hart, T. Honorè, Causation in the Law, Oxford
1985 (pp. 9 ss.).
316
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
più rilevanti è la Germania del 19o secolo e l’affermazione del principio —
fondamentale nel pensiero giuridico continentale — della responsabilità personale nel diritto penale. Per affermare la responsabilità è necessario collegare
la condotta ascritta all’imputato ad un evento, che costituisce parte integrante
della fattispecie di reato. Nella pervasiva cultura scientista di quel periodo,
quando la Germania stava emergendo come potenza industriale del mondo
occidentale, sembrava ovvio trapiantare i concetti scientifici nel corpo del sistema giuridico (20).
Non potevano esservi dubbi sulla colpevolezza del reo, ed il modo per
escluderlo era stabilire la certezza scientifica in ordine al nesso causale.
Tuttavia, come è dimostrato dalle migliaia di pagine dedicate all’argomento e che si continuano a produrre, questo espianto/impianto di teorie
scientifiche nel corpo millenario del diritto ha rapidamente portato ad un
« effetto Frankenstein », e alla scissione di identità (la sofistica distinzione fra
causalità fattuale e causalità giuridica), e alla moltiplicazione metastastica
delle teorie causali.
La situazione si è aggravata quando concetti sviluppati per affermare (o
negare) la responsabilità penale sono stati applicati alla responsabilità contrattuale o all’illecito civile, che ben poco hanno a che vedere con la responsabilità individuale e sono, invece, un modo efficiente di allocare i danni che si
verificano, spesso sulla base di criteri di imputazione oggettiva e vicaria (res
ipsa loquitur, respondeat superior, et similia).
Non è questa la sede per delineare lo sviluppo delle teorie causali. Ciò che
occorre evidenziare è quanto i giuristi si appoggino ad argomenti pseudoscientifici e a formule magiche (condicio sine qua non, adäquate Kausalität,
cause suffisante, et coetera), per giustificare le loro decisioni. Si sottolinea
« pseudo-scientifiche » perché nessuno scienziato troverebbe una qualche relazione fra tutti i produttori di un certo medicinale ed un paziente che lo ha
utilizzato, ma che non riesce a dimostrare con certezza l’identità dell’effettivo
produttore (la « market-share liability »). O stabilirebbe un nesso sulla base
dell’estremamente soggettivo principio della prevedibilità. O applicherebbe
un criterio di tutto-o-niente nel ricostruire una catena di eventi. O darebbe
dignità di regola ad una chance.
Un ulteriore esempio delle incomprensioni fra giuristi e scienziati è il cosiddetto principio di precauzione. In questo caso è proprio la mancanza di dati o conclusioni scientifici consolidati che è alla base di una decisione — legislativa o regolatoria — in una direzione (azione), oppure in quella opposta
(inazione). Il principio di precauzione porta alla luce una profonda sfiducia
nei confronti di teorie scientifiche ampiamente accettate (21), e attribuisce la
( 20 ) H.L.A. Hart, T. Honorè, Causation in the Law, Oxford 1985, p. 433 ss.
( 21 ) Ex multis v. T. Arnoldussen, Precautionary Logic and a Policy of Moderation, 2
Erasmus L. Rev. 259 (2009): « La logica precauzionaria si rivolge al senso di fragilità dell’uomo e dell’ambiente, l’incertezza della conoscenza scientifica, le tendenze distruttive del-
SAGGI
317
medesima importanza, se non una maggiore, a posizioni di minoranza le quali sono in grado di paralizzare i procedimenti decisionali e imporre misure di
sicurezza straordinarie (22).
Chiaramente, le ragioni dietro queste scelte non sono, di per sé, irrazionali ma politiche: i governi e le autorità locali devono fugare le ansie e i timori dei propri elettori e lo fanno dando corda a rumorosi movimenti antiscientifici (23). Al tempo stesso, però, le norme che vengono introdotte sono vestite
in abiti scientifici per far ritenere che esse incarnano la terapia appropriata (24). In sintesi, il giurista presenta come certezza quel che è assolutamente
incerto, e fornisce una legittimità formale a ciò che è quanto di più vicino ad
una superstizione.
Altri esempi vengono dall’uso che spesso viene fatto dei dati tratti dalle
scienze sociali. Non c’è dubbio che le statistiche sono essenziali per prendere
decisioni informate. Ma esse sono solo uno dei tanti aspetti della complessa
realtà economica e sociale e devono essere collocate nel loro corretto contesto,
a cominciare dal chi, come, quando e dove i dati sono stati raccolti. Quando
una decisione si fonda solo su delle cifre e non vi è evidenza, stabile nel tempo, che tali decisioni conducono all’effetto desiderato, è verosimile ritenere
che le statistiche vengono utilizzate per celare motivazioni che non possono
essere espresse pubblicamente.
In altri casi le stesse motivazioni vengono oggettivate attraverso sondaggi
di opinione che, in teoria, dovrebbero essere in grado di trasformare una tensione sociale irrazionale in una decisione giuridica razionale.
Ma forse il caso più evidente di (ab)uso di formule scientifiche è nel campo dei mercati finanziari e della concorrenza, nel quale la inter-relazione fra
le tecnologie (...) La logica precauzionaria si fonda su assunti simili al pensiero medievale
cristiano ».
( 22 ) L’argomento è ampiamente sviluppato da C.R. Sunstein nel suo Laws of Fear:
Beyond the Precautionary Principle, Cambridge U.P. 2005 (in part. cap. 3). Il titolo da solo dice tutto. E dietro il principio di precauzione vi è una ideologia nichilista: « Il legame
fra causa e effetto negativo è continuamente contestato. La confusione intorno alle cause
incoraggia elucubrazioni, voci infondate, sfiducia. Il risultato è che gli eventi spesso appaiono incomprensibili e al di fuori del controllo dell’uomo ». V. pure F. Furedi, Precautionary Culture and the Rise of Possibilistic Risk Assessment, 2 Erasmus L. Rev. 197 (2009) a
p. 201).
( 23 ) C.R. Sunstein, Cognition and Cost-Benefit Analysis, 29JLS 1059 (2000) parla di
« una discutibile, se non inaccettabile, concezione della democrazia, che vede nelle risposte
alle richieste dei cittadini, quale che sia il loro fondamento fattuale, il fondamento della legittimazione politica » (a p. 1074).
( 24 ) Secondo C. Vlek, A Precautionary-Principled Approach Towards Uncertain Risks:
Review and Decision-Theoretic Elaboration, in 2 Erasmus L. Rev. 129 (2009), il principio
di precauzione « è un principio razionale di sopravvivenza piuttosto che un principio normativo ideologico ». La Commissione europea nella sua Comunicazione 1/2000 sul principio di precauzione cerca di dissolvere le varie critiche affermando che esso va utilizzato
quando vi sono « ragionevoli motivi di preoccupazione », un parametro a dir poco « fumoso ».
318
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
diritto ed economia è particolarmente stretta. I modelli econometrici sono
espressi da formule matematiche le quali costituiscono il linguaggio iniziatico
degli economisti, consentendo loro di escludere dalla discussione coloro che
non appartengono a quella professione (25), in un modo non diverso da come i
giuristi usavano — e continuano ad usare — le formule latine. Ma una volta
che il giurista si impadronisce di tali formule — o, più facilmente, i loro acronimi — essi le impugnano come spade per sostenere conclusioni irrefutabili.
Ciò su cui esse si fondano ed il loro elevato livello di relatività è messo da parte. Lo sperimentalismo delle scienze sociali — come l’economia — viene trasformato in totem normativo.
3. — Quel che ora chiamiamo amministrazione della giustizia è antropologicamente intessuto, inestricabilmente, con la magia.
Questo è evidente studiando le società primitive che ancora esistono, ma
si commetterebbe un grave errore se si pensasse che si tratta di esempi lontani
ed isolati. Come tutti sanno, le origini del diritto romano o le procedure giudiziarie nel diritto germanico (26) sono impregnate di riti magici e di superstizione, le quali dunque sono alla base dei sistemi giuridici occidentali e si manifestano in molti modi.
Il primo, e più evidente, sono i rituali che presiedono alle procedure giudiziarie i quali, attraverso i secoli, si sono trasformati in regole processuali
continuando a mantenere elementi magici: le toghe, le uniformi, le parrucche,
la mazza cerimoniale indossati o usati dai vari attori della piéce giudiziaria
hanno un profondo significato simbolico che in essi viene incarnato e trasferito alle parti del procedimento e alla comunità (27).
Il rituale è rafforzato dall’organizzazione dello spazio dell’aula d’udienza:
lo scranno del giudice che sovrasta, la posizione del pubblico ministero, dell’imputato, della giuria, dei difensori. Il pretorio cui solo i difensori possono
accedere. Le frasi solenni scolpite nell’aula. Il giuramento dei testimoni. Le
formule che precedono la lettura della sentenza.
È solo nel XVIII secolo che la motivazione delle sentenze diventa comune; e nel XIX secolo un principio costituzionale. Si tratta di un tentativo es( 25 ) Riferendosi ai recenti sviluppi dell’analisi economica del diritto R.B. Korobkin, T.S.
Ulen, Law and Behavioral Science: Removing the Rationality Assumption from Law and
Economics, 88 Cal. L. Rev. 1053 (2000) (a p. 1054) osservano che « l’eleganza matematica diviene spesso l’obiettivo principale ».
( 26 ) « Gli antichi sistemi giudiziari (l’ordalia, il duello giudiziario, le varie forme di giuramento) sono considerati come privi di un elemento umano. Il giudizio è un giudizio sovrannaturale, ovvero il giudizio di Dio. Ci si rivolge alla magia o al Cielo. La decisione è la
decisione infallibile di un potere sovrannaturale » (J. Frank, Mr. Justice Holmes and NonEuclidean Legal Thinking, 17 Cornell L. Q. 568 (1931) ((at p. 582)).
( 27 ) « I simboli del diritto, sia antichi che moderni, sorgono da una serie di contesti i
quali esaltano i diversi e confliggenti ideali sottesi al termine giustizia » (T.W. Arnold, Institute Priests and Yale Observers. A Reply to Dean Goodrich, 84 U. Pa. L. Rev. 811 (1936)
a p. 813)).
SAGGI
319
senziale ai nostri occhi contemporanei, per rendere meno arcano il risultato
del meccanismo giudiziario (28). Spesso la motivazione ha come principale
scopo quello di ottenere il consenso della comunità con riguardo ad una decisione che altrimenti sarebbe inesplicabile.
Considerazioni simili si potrebbero applicare a taluni aspetti del diritto
giurisprudenziale quando il legislatore preferisce non affrontare una questione controversa e chiede al mago/maga che indossa la toga di trovare la soluzione.
Ancor più avvolto nel mistero — soprattutto nei sistemi di common law
— è il ruolo della giuria la cui decisione, nel sistema statunitense dove è un
requisito costituzionale, è semplicemente un SI o un NO che non richiede motivazione o giustificazione, ed il cui procedimento deliberatorio è protetto dal
segreto d’ufficio. Ancora una volta non è questa la sede per indagare sul ruolo
della giuria nel sistema, sia federale che statale statunitense e analizzare la
vastissima letteratura che ne studia vizi e virtù. Ciò che deve essere messo in
luce è che vi è un radicato e diffuso convincimento che si tratti della forma
più accettabile di giustizia. Essa non è per nulla razionale, è invece fatta di
sentimenti, convincimenti, passioni, i quali prendono il posto che nelle tragedie più antiche spetta al coro, collocato come un interprete fra gli dèi ed il fato del singolo (29).
La decisione giudiziale più irrazionale è rappresentata dalla pena di morte, come già denunciato più di due secoli e mezzo fa da Cesare Beccaria nel
suo Dei delitti e delle pene. Non c’è bisogno di aggiungere ulteriore parole sul
fatto che i principi di retribuzione, di pace sociale, di prevenzione generale
che dovrebbero essere garantiti dalla esecuzione del condannato hanno ben
poco a che fare con la razionalità.
Una vendetta amministrata dallo Stato è pur sempre, nella sostanza, una
vendetta conforme alla regola biblica dell’« occhio per occhio, dente per dente ». Tutto questo riporta al punto di partenza del paragrafo: nella tradizione
( 28 ) Questo profilo, strettamente legato alla linguistica, è stato ampiamente discusso e
criticato dai gius-realisti americani: v. L. Green, The Duty Problem in Negligence Cases, in
28 Colum. L. Rev. 1014 (1928) (a pp. 1016 ff); M.S. Cohen, Transcendental Nonsense and
the Functional Approach, 35 Colum. L. Rev. 809 (1935), a p. 844. Per una recente sintesi
v. J. Allen, Magical Realism, in C.A. Corcos (ed.), Law and Magic, cit. retro nt. 3, a p.
195.
( 29 ) Si consideri il caustico commento di J. Frank in Are Judges Human? Part One: The
Effect on Legal Thinking of the Assumption That Judges Behave Like Human Beings, 80
Pa. L. Rev. 17 (1931): « Il sistema della giuria popolare è come quello di un Cadi ottomano portato alla sua massima potenza. Utilizziamo dodici Cadi ignoranti e scelti a caso invece di uno solo ». Gli stessi concetti sono espressi in Mr. Justice Holmes and Non-Euclidean Legal Thinking, 17 Cornell L. Q. 568 (1931) (a p. 595). Ma si veda pure la risposta
indiretta di M.S. Cohen, Transcendental Nonsense and the Functional Approach, 35 Colum. L. Rev. 809 (1935), (a p. 843): « I giudici sono uomini di una particolare razza, selezionati secondo un modello e tenuti ad un servizio sotto un potente sistema di controllo istituzionale ».
320
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
giuridica occidentale il diritto aspira ad essere razionale. Ma la giustizia è razionale? Può essere interamente razionale? Fino a che punto essa è un prodotto etico, politico e culturale, estremamente sofisticato tipico del mondo occidentale, i cui valori trascendentali sono profondamente incorporati nella società e non si possono collocare in un sistema rigorosamente logico? (30).
4. — Finora si sono esaminati alcuni aspetti nei quali i confini fra diritto
razionale e credenze irrazionali sono estremamente sfumati, dando l’impressione che i giuristi, nonostante molti secoli di sforzi intellettuali, non siano
riusciti a dispendere le buie ombre della superstizione.
Si potrebbe però invertire la prospettiva analizzando la situazione dal
punto di vista di un ipotetico fautore della superstizione. La ragione per la
quale i giuristi sono ancora — e saranno sempre — influenzati da atteggiamenti superstiziosi è che la superstizione può essere, in termini ampi, descritta come un sistema giuridico.
Per definizione, la superstizione è irrazionale ma questo non significa che
essa non segua regole rigide. In primo luogo si tratta di un sistema fortemente
tipizzato: colori, numeri, circostanze, oggetti previamente ben definiti. Se tali
elementi fattuali cambiano, la buona o cattiva sorte non ne scaturirà: il gatto
nero sul marciapiede, il sedersi a tavola in 14, rompere il vetro di una finestra
non rientrano fra quelli accadimenti che portano sfortuna. Le regole della superstizione sono pubbliche in modo che le persone possano evitare di cadere
vittime della disgrazia, adottando le opportune precauzioni o contro-misure.
Tutto ciò è elevato alla massima potenza nella magia e nelle altre « scienze occulte »; ma senza raggiungere tali livelli anche se l’evento a contenuto
superstizioso può essere abbastanza libero nella sua struttura, la reazione ad
esso, per produrre effetto e scacciare le conseguenze negative, deve seguire un
rituale estremamente formalistico che spesso comprende formule standardizzate (31).
Il formalismo costituisce una importante similitudine con i sistemi giuridici, e porta a quel che, in taluni campi, potrebbe definirsi un numerus clausus delle superstizioni, nel senso che benché ciascuno possa avere le proprie
personali superstizioni (la prima cosa da fare la mattina, o l’ultima prima di
andare a dormire; cosa indossare in certe occasioni; scegliere un certo posto
sull’autobus o sul treno; etc) queste hanno scarsa importanza e diventano rilevanti solo quando ricevono un ampio consenso nella comunità: quante persone accetterebbero di buon grado un invito ad una tavolata di 13? Quanti
( 30 ) Gli stessi dubbi si trovano in numerosi scritti dei gius-realisti americani: v. L.
Green, The Duty Problem in Negligence Cases, 28 Colum. L. Rev. 1014 (1928) a p. 1021:
« Come impiegano i giudici quel potere che chiamiamo diritto? Come decidono? Qualcuno
lo ha mai rivelato? (...) I processi decisionali sono altrettanto oscuri di quelli intellettivi ».
V. inoltre J. Frank, Are Judges Human? Part One: The Effect on Legal Thinking of the Assumption That Judges Behave Like Human Beings, 80 Pa. L. Rev. 17 (1931).
( 31 ) « Toccare ferro » in Italia; ma « toccare legno » nel mondo anglosassone.
SAGGI
321
padroni o padrone di casa ignorerebbero la regola quando organizzano una
cena? E quante persone camminerebbero senza pensieri sotto una scala, oppure romperebbero volutamente uno specchio?
Le superstizioni sono tipiche norme sociali che si sviluppano all’interno
di una comunità e sono da questa seguite (32). Richiedono una spontanea adesione e l’intimo convincimento che rispettarle sia opportuno o, quantomeno,
prudente (« Non credo alle superstizioni, tuttavia... »), in maniera assai simile
ad una opinio iuris ac/seu necessitatis. La forte inter-relazione con una comunità offre lo spunto per quel che si potrebbe definire « superstizione comparata »: numeri, colori, circostanze cambiano da un luogo ad un altro e possono
essere fonte di imbarazzo, se non di aperto conflitto. Per stabilire un nucleo
comune delle diverse superstizioni è necessario raggrupparle con riguardo ai
fatti, alle circostanze, alle persone coinvolte, al loro livello di riconoscimento
sociale. Ciò consente di individuare gli aspetti ricorrenti di regolarità e soprattutto la funzione che svolgono nelle diverse comunità.
Si dovrebbe anche considerare il ruolo svolto da talune persone che potremmo definire i « pubblici ufficiali della superstizione ». In talune culture lo
jettatore ha una importante posizione sociale di cui il soggetto è ben consapevole (33). Lo jettatore può presentare dei difetti fisici che da soli lo (o la) aiutano ad essere ben identificabile. Ma in generale si tratta di persona vestita di
nero e il malocchio è generalmente trasmesso attraverso espressioni facciali o
gesti delle mani. Come in qualunque sistema giuridico questo ci porta alla distinzione fra atti « privati » di superstizione (rovesciare il sale, aprire l’ombrello in casa, ecc.) e atti « pubblici » di superstizione i quali richiedono un
agente ed il cui rilievo è decisamente superiore. Questo « diritto pubblico (o
amministrativo) » della superstizione definisce l’importanza della attribuzione sociale di poteri a taluni soggetti, consentendo ad essi di produrre effetti
attraverso i loro atti (presenza, sguardi, parole).
Vi è poi un ulteriore aspetto del sistema « giuridico » della superstizione
da considerare. Ancorché ad una mente razionale è agevole dimostrare la infondatezza degli elementi posti alla base della superstizione (ed è questa la
definizione dalla quale siamo partiti) occorre riconoscere che essa si fonda su
di una, sia pur rudimentale, legge causale. Le persone credono alle supersti( 32 ) Sicuramente uno degli studiosi più acuti in materia è E. De Martino, il quale in
Sud e Magia (per una riedizione, Feltrinelli 2002) analizza il ruolo della superstizione nell’Italia meridionale in contesti non solo popolari. E dello stesso A. v. pure Il mondo magico:
prolegomeni a una storia del magismo, ried. Boringhieri, 1973. Ovvio, peraltro, il riferimento letterario a C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli.
( 33 ) Ancora una volta si impone un riferimento letterario a « La patente » di Pirandello
(1934) e alla sua trasposizione cinematografica del 1954 di Giorgio Pastina. L’indimenticabile jettatore è impersonato da Totò. Per una visione sociologica della superstizione come
collante sociale v. il classico volume di J.G. Frazer, The devil’s advocate. A plea for superstition (I ed. 1927) (trad. it. a cura di C. Camporesi, L’avvocato del diavolo. Il ruolo della
superstizione nelle società umane, Roma 2008).
322
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
zioni non perché sono del tutto irrazionali, ma perché esse offrono un sistema
di razionalità limitata e simplificata, che è agevolmente compreso anche dalle
menti meno evolute. La forza della superstizione si fonda su una logica del
genere post hoc ergo propter hoc, che consente di spiegare ciò che altrimenti
sarebbe incomprensibile. Sarebbe un errore pensare che questo approccio poteva essere idoneo al mondo del passato quando era impossibile capire le ragioni di molti fenomeni (si pensi solo alle malattie), e non nell’era moderna,
dominata dalla tecnologia e dalla scienza. È sufficiente pensare all’elevato
numero di persone — spesso dotate di una solida istruzione — le quali credono negli oroscopi e nell’astrologia nonostante sia ampiamente dimostrato, e
da tempo, la loro totale carenza di fondamento scientifico.
5. — Se tre secoli dopo che l’Illuminismo ha lanciato la sua guerra contro
la superstizione, designando il diritto come uno dei suoi campioni, e la battaglia ancora continua, la ragione non sta certo nella mancanza di intelligenza e
di sforzo da parte dei giuristi.
Se qualsiasi sistema giuridico della tradizione occidentale è ancora imbevuto di elementi irrazionali (34), il frutto non può, semplicemente, essere archiviato con una alzata di spalle. Suggerisce invece che, forse, le premesse del
discorso (« il diritto è agli antipodi della superstizione ») sono state formulate
in maniera troppo rigida e non tengono conto di molte sfumature (35).
La verità è che, come in qualsiasi guerra, non vi è un totale conflitto fra
Diritto e Superstizione, e quest’ultima può vantare, dal proprio punto di vista, di essere un sistema giuridico, anche se sui generis.
Il problema principale, tuttavia, sta nel fatto che, non importa quanto il
diritto sottolinei la propria struttura razionale e, per questa ragione, la sua
superiorità su altre forme di governo della società, le persone cui il diritto si
rivolge, e prima ancora di esse, coloro i quali lo costruiscono, creano e mettono in pratica, non sono interamente fedeli alla causa. La superstizione è
una forma mentale profondamente radicata e appartiene all’essere umano.
Non può essere dispersa solo invocando la maestà del diritto. I due aspetti
— assieme a tanti altri — coesistono ed è illusorio pensare che si possa sradicare ciò che appartiene, perché è sempre appartenuta, alla storia dell’umanità.
( 34 ) « I giuristi sono abituati dalla loro lunga esperienza a credere a ciò che è impossibile »: M.S. Cohen, Transcendental Nonsense and the Functional Approach, 35 Colum. L.
Rev. 809 (1935), a p. 811 (e alla nota 7 una citazione quanto mai appropriata da « Alice
nel paese delle meraviglie »).
( 35 ) « Perché tanti giuristi e non-giuristi insistono nell’affermare che ora la certezza
giuridica esiste, o può esistere, in misura assai maggiore di quanto esista o anche solo possa? Perché questo inestinguibile desiderio per una stabilità giuridica palesemente irraggiungibile? » (J. Frank, Legal Thinking in Three Dimensions, 1 Syracuse L. Rev. 9 (1949)
(a p. 20).
SAGGI
323
La superstizione esiste perché sta nelle menti degli uomini e delle donne.Alla constatazione che (anche) il diritto è superstizioso (36), la risposta
quasi di sfida sarebbe: « E cosa c’è di strano? ».
6. — Se queste conclusioni possono forse apparire scontate, si può
tentare di vedere le cose da una diversa prospettiva. La ricerca degli elementi superstiziosi nel diritto costituisce un esercizio teorico per vedere fino
a che punto si possono espandere nozioni che appaiono essere in totale opposizione. Il giurista — che non è un sociologo — non si interessa alla superstizione e alle pratiche superstiziose in quanto tali, ma le utilizza come
un elemento esterno per meglio comprendere la propria materia, le sue
componenti, i suoi confini, le sue misure. La questione, dunque, è più profonda e meno provocatrice di quanto sembri. Fino a che punto il diritto è
un sistema razionale? Quand’è che cessiamo di considerare una regola o
un ordine intrisamente giuridico (e dunque legittimo) e lo consideriamo irrazionale, arbitrario e dunque illegittimo? E quando, invece, riteniamo giusto, e quindi naturalmente ed intrinsecamente lecito, seguire sentimenti,
passioni, istinti?
Alla domanda, la quale va alle fondamenta della civiltà occidentale (si
pensi solo all’Antigone di Sofocle) si tenta di dare risposta da secoli da parte
di filosofi e teorici del diritto. Un breve saggio può essere lo spunto per mettere a fuoco un aspetto che è oggetto di crescente indagine in altre scienze e
scienze sociali, e che di recente ha interessato anche i giuristi.
Siamo tutti abituati ad utilizzare la metafora del bonus pater familias e
le sue numerose variazioni, talvolta anche umoristiche o caricaturali. Come
tutti i cliché (la versione di common law essendo il « reasonable man on the
Clapham omnibus »), di tempo in tempo richiede di essere riesaminata per
darle un significato attuale.
L’esercizio che dunque si propone è se il « buon padre di famiglia » fosse
solo in parte « ragionevole », ed anzi fosse « irragionevole », « irrazionale » o
addirittura superstizioso, come si dovrebbe interpretare il diritto? (37).
Non si tratta di un esercizio di fantasia, in quanto è uno dei punti di partenza di quella crescente branca di studi definita « behavioral economics », e
che attira sempre maggiore attenzione da parte degli economisti. L’aspetto
( 36 ) « I concetti giuridici sono entità sovrannaturali che non hanno alcuna esistenza
verificabile se non alla luce della fede » (M.S. Cohen, Transcendental Nonsense and the
Functional Approach, 35 Colum. L. Rev. 809 (1935), a p. 821.
( 37 ) « Per riformare il nostro sistema giudiziario è necessario iniettare, per quanto possibile, più ragione e più giustizia nella sua quotidianità (...). Occorre guardare a — e non
distogliere lo sguardo da — gli elementi non-razionali e non-idealistici che svolgono un
ruolo nel governo delle corti » (J. Frank, Legal Thinking in Three Dimensions, 1 Syracuse
L. Rev. 9 (1949) (a p. 24).
324
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
più interessante di questo filone delle scienze sociali è l’intersezione con gli
studi di neuroscienze i quali, in maniera sempre più approfondita cercano di
comprendere i fondamenti biologici della natura umana e dei comportamenti
dei singoli (38).
In contrasto con la visione del tutto astratta dell’homo oeconomicus, la
quale è alla base delle teorie neo-classiche e di molte loro evoluzioni, i nuovi
studi partono dal presupposto che nelle loro decisioni economiche uomini e
donne, professionisti ed imprese sono spesso, e deliberatamente, non razionali
(nel senso classico del termine (39)) ed effettuano le loro scelte usando dei parametri che non portano alla massimizzazione dei risultati (in senso economico) ma forniscono un risultato ritenuto più soddisfacente (40).
Prima di inoltrarsi su questo cammino è necessaria una premessa metodologica. Una delle principali ragioni di incomprensione fra giuristi ed economisti è che mentre il diritto è prescrittivo, l’economia è descrittiva. Il diritto in
primo luogo è deontico, ed in secondo luogo funzionale. Pre-esiste ai comportamenti sociali anche se il suo scopo è indirizzarli o impedirli. L’osservazione
dei fatti economici e sociali è importante, ma non necessariamente — anzi assai di rado — vi è una corrispondenza fra ciò che succede e la legge che viene
emanata (41). Una regola che si limiti realisticamente e semplicisticamente —
a fotografare l’esistente è di scarsa utilità. Non utilizziamo il diritto principalmente come strumento per conoscere le cose come sono, ma per stabilire come
devono essere.
( 38 ) V. J.R. Waldbauer, M.S. Gazzaniga, The Divergence of Neuroscience and Law, 41
Jurimetrics 357 (2001). Per una presentazione delle questioni in italiano v. L. Capraro, V.
Cuzzocrea, E. Picozza, D. Terracina, Neurodiritto. Una introduzione, Torino 2011.
( 39 ) Questo l’incipit dell’articolo di C. Jolls, C.R. Sunstein, R. Thaler, A Behavioral
Approach to Law and Economics, 50 Stan. L. Rev. 1471 (1998). « L’analisi economica del
diritto solitamente procede secondo gli assunti dell’economia neo-classica. Ma l’evidenza
empirica porta a dubitare di questi assunti. Le persone dimostrano una limitata razionalità, percezione dei propri interessi, forza di volontà ». E queste le conclusioni di G.M.
Hayden, S.E. Ellis, Law and Economics After Behavioral Economics (55 U. Kan. L. Rev.
674 (2007): « L’evidenza empirica dell’economia comportamentale è sufficientemente solida per poter concludere che alcuni dei postulati della tradizionale teoria economica sono
errati ». Si potrebbe dunque adattare la famosa frase di J.H. von Kirchmanm: « Tre righe di
evidenza empirica e intere biblioteche di Law & Economics vanno al macero ». Non è un
caso che uno dei principali artefici di questa « biblioteca » esprima un parere negativo su
tale approccio: v. R. Posner, Rational Choice, Behavioral Economics and the Law, 50 Stan.
L. Rev. 1551 (1998).
( 40 ) Per una forte critica alla teoria secondo cui un tale esito può essere spiegato attraverso le neuroscienze v. M.S. Pardo, D. Patterson, Philosophical Foundations of Law and
Neuroscience, 2010 U. Ill. L. Rev. 1211 (a pp. 1235 ss).
( 41 ) Con riguardo alle neuroscienze si v. l’osservazione di J.R. Waldbauer, M.S. Gazzaniga, The Divergence of Neuroscience and Law, 41 Jurimetrics 357 (2001): « Gli argomenti
relativi all’azione individuale e alla responsabilità giuridica sono il prodotto della nostra
sensibilità giuridica, non dell’indagine empirica » (a p. 358).
SAGGI
325
Le « leggi » economiche invece descrivono il funzionamento dei mercati
e degli agenti economici e contano nella misura in cui riflettono fedelmente
ciò che normalmente accade — e dovrebbe accadere — in talune circostanze. Sono « leggi » corrette quando i dati sui quali fondano sono stati correttamente raccolti ed interpretati. Si può ragionevolmente ritenere che, data
una serie di fatti certi in ordine al comportamento dei singoli attori (governi,
imprese, famiglie, individui), qualora questi si ripresentino si produrranno
effetti simili.
L’economia, dunque, come tutte le scienze sociali, non fissa regole ma le
individua (42). Per questa ragione da un lato i giuristi sono incerti nel comprendere e descrivere fenomeni sociali, e dall’altro gli economisti non sono attrezzati, nella loro forma mentis, per stabilire regole. Queste differenze emergono chiaramente nel diritto della concorrenza, dove occorrono entrambe le
competenze (economiche e giuridiche), ma esse tendono a sovrapporsi e ciascun attore vuole prendersi il ruolo di primadonna.
Si comprende dunque che l’agente razionale nella teoria economica, non
corrisponde sempre al reasonable man o al bonus pater familias nel diritto. E
gli studi sempre più importanti che nel campo economico vengono fatti sulla
« razionalità limitata » dovrebbero aiutare a rimeditare, ad un livello generale, il significato da dare al secondo termine il quale ha una valenza essenziale
in tutti i sistemi giuridici.
Uno degli esempi più evidenti è quello dei contratti con i consumatori e
la inarrestabile legislazione che l’Unione Europea ha emanato negli ultimi 25
anni. A voler semplificare al massimo la divergenza basta confrontare i presupposti: la teoria tradizionale del contratto si fonda sulla uguaglianza delle
parti le quali sono perfettamente in grado di badare ai propri interessi e concludere qualsiasi accordo — purché non illecito o immorale — ritengono soddisfi le proprie esigenze. Il diritto offre alle parti un quadro generale di norme
e la tutela giudiziale, ma solo in casi eccezionali porrà nel nulla il contratto
che è stato liberamente stipulato fra le parti. Al contrario la teoria consumeristica postula l’ineguaglianza sostanziale fra le parti la quale richiede di essere
controbilanciata da una trama molto fitta di norme imperative le quali mirano a proteggere il consumatore dalla prevaricazione dell’impresa e dalla propria inesperienza e irrazionalità (43). Peraltro i contratti con i consumatori
( 42 ) Se si applica il principio alle neuroscienze questo implica che « le regole cognitive
di cui ci parlano le neuroscienze non costituiscono una guida per compiere delle analisi razionali, ma piuttosto sostituiscono tale analisi ». « Nell’assumere tale posizione le neuroscienze divergono irriconciliabilmente dal diritto per quanto riguarda il comportamento
umano » (J.R. Waldbauer, M.S. Gazzaniga, The Divergence of Neuroscience and Law, 41
Jurimetrics 357 (2001) a p. 362).
( 43 ) Ma v. pure S. Deakin, Contracts and Capabilities: An Evolutionary Perspective on
the Autonomy-Paternalism Debate, 3 Erasmus L. Rev. 141 (2010) secondo cui « I consumatori in generale non si comportano irrazionalmente nell’attività contrattuale, ma semplicemente essi agiscono sulla base di informazioni limitate o in un contesto di squilibrio con-
326
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
non costituiscono più un settore isolato del diritto ed espandono i loro principi di fondo alle relazioni pre-contrattuali (la disciplina della pubblicità) e agli
illeciti extracontrattuali (la responsabilità del produttore) (44).
Si guardi ora alle regole basilari della micro-economia neo-classica: a livello di mercato al dettaglio gli attori sono razionali e fanno le loro scelte liberamente sulla base di elementi obiettivi e misurabili, e dunque razionali; come il prezzo, la qualità, la convenienza. Se si parte da questo assunto si coglie
subito lo iato fra teoria economica e sistema normativo: quest’ultimo postula
che i consumatori non sono agenti razionali o che, almeno, è probabile che
compiano scelte irrazionali, dalle quali devono essere protetti. Con queste
premesse numerose direttive comunitarie fanno riferimento ad elementi estremamente soggettivi i quali vengono oggettivizzati attraverso disposizioni normative. È agevole estrarre una serie di esempi:
i. le « aspettative » del consumatore verso il prodotto (45)
ii. l’informazione economica che è « suscettibile di trarre in inganno »
il consumatore ovvero è « suscettibile di influenzare il suo comportamento
economico » (46)
iii. la pubblicità non dovrebbe « sfruttare l’inesperienza e la credulità » dei minori (47)
iv. la pubblicità « non dovrebbe sfruttare la particolare fiducia che i
minori ripongono nei genitori » (48)
v. è necessario proteggere i « consumatori i quali sono particolarmente
trattuale. Il diritto interviene per superare le esternalità e le asimmetrie informative » (a p.
142).
( 44 ) Le questioni che si pongono in un contesto extra-contrattuale possono essere significativamente diverse da quelle contrattuali: v. see M.G. Faure, Calabresi and Behavioural
Tort Law and Economics, 1 Erasmus L. Rev. 75 (2008). Se però le si vedono in una prospettiva remediale i due settori spesso si sovrappongono. Si consideri pure la crescente tendenza, nell’Unione Europea, a stabilire regole speciali di responsabilità con finalità di protezione degli interessi dei consumatori (ad es. la responsabilità del produttore, la responsabilità del vettore aereo.
( 45 ) Direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento
delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia
di responsabilità per danno da prodotti difettosi.
( 46 ) Art. 2, comma 2o, Direttiva 450/84/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di pubblicità ingannevole.
( 47 ) Art. 16, lett. a) Direttiva 552/89/CEE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive.
( 48 ) Art. 16, lett. c) Direttiva 552/89/CEE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive.
SAGGI
327
vulnerabili alla pratica o al prodotto cui si riferisce a causa della loro infermità mentale o fisica, della loro età o credulità » (49).
Tutto ciò può sintetizzarsi nella definizione: « consumatore medio che è
normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici » (50).
Questi vari aspetti possono essere ora ordinati:
a) Il diritto privato presume che tutte le persone fisiche le quali abbiano raggiunto la maggior età siano razionali, ed agiscano razionalmente. Pertanto assumono su di sé le conseguenze, giuridiche e fattuali, dei loro comportamenti, in particolare nel campo dei rapporti patrimoniali.
b) La behavioural economics, sostenuta dalle neuroscienze, ci dice invece che vi è una vasta classe di persone fisiche, qualificate come consumatori, la quale possiede una razionalità limitata (51), soprattutto perché tende a
sottovalutare i rischi connessi alle proprie azioni economiche, o perché attribuisce importanza ad elementi non razionali (52).
c) La reazione del legislatore, nell’Unione Europea, solo in parte punta a prevenire comportamenti economici irrazionali attraverso l’educazione
del consumatore e la sua informazione (53); prevalentemente, invece, dà per
acquisito il fatto che questi comportamenti irrazionali esistono e sono permanenti. Pertanto introduce apposite misure per prevenire o ridurre le conseguenze negative (per il consumatore) della sua irrazionale condotta economica (54). Per tornare al punto di partenza di questo articolo non si mira più a
( 49 ) Art. 5, comma 3o, Direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e
consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/
CE e 2002/65/CE e il regolamento (CE) n. 2006/2004 (direttiva sulle pratiche commerciali sleali).
( 50 ) 18o Considerando alla Direttiva 29/2005/CE dell’11.5.2005 sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno che giuridifica la nozione di
« buon consumatore ».
( 51 ) Solo le persone fisiche si comportano in modo non razionale? Le imprese possono
agire irrazionalmente o sono semplicemente « ingorde »? V. N. Huls, Consumer Bankruptcy: A Third Way Between Autonomy and Paternalism in Private Law, 3 Erasmus L. Rev. 8
(2010) (a p. 16 con particolare riguardo alla crisi sub-prime negli Stati Uniti); nonché A-S.
Vandenberghe, The Role of Information Deficiencies in Contractual Enforcement, 3 Erasmus L. Rev. 71 (2010) (a p. 80).
( 52 ) Vi sono tuttavia taluni autori i quali negano che l’economia comportamentale possa dirci molto di più della tradizionale teoria dei prezzi: J.D. Wright, Behavioral Law and
Economics, Paternalism, and Consumer Contracts: An Empirical Perspective, 2 NYU J.L.&
Liberty 470 (2006).
( 53 ) O. Bar-Gill, F. Ferrari, Informing consumers about them selves, 3 Erasmus L. Rev.
93 (2010) insistono in modo particolare sulla necessità di maggiori informazioni individualizzate relative all’uso del bene o del servizio. Un concetto peraltro espresso da Lord Denning 40 anni fa con i concetti di « undue influence » e di « independent advice » in Lloyds
Bank v. Bundy [1975] QB 326 (CA); e al diritto francese circa 30 anni fa con la nozione di
« devoir de conseil », che è molto di più di un generale obbligo di informazione.
( 54 ) La Direttiva 29/2005/CE dell’11.5.2005 sulle pratiche commerciali sleali nel mercato
328
RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 2/2013
sconfiggere la superstizione ma la si considera un elemento intrinseco della
nostra società, e si tenta, attraverso la legge, di proteggere tali soggetti dalla
loro creduloneria.
d) Questo porta, in conclusione, a riflettere sul paternalismo giuridico (55) che si sviluppa in Europa proprio ai tempi dell’illuminismo e trova la
sua prima espressione nei sovrani « illuminati » del XVIII secolo (56). Una
volta che le condotte non razionali sono oggettivate dalla teoria economica e
dalle ricerche neuroscientifiche, e si fornisce anche qualche modesto dato
sull’asseritamente indebito vantaggio che taluni attori economici traggono
dalla situazione, il legislatore interviene con intenzioni salvifiche (57). Alle
interno all’art. 5, comma 2o, sanziona una pratica commerciale quando è falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico. Per una approfondita analisi v. R. Caterina, Processi cognitivi e regole giuridiche, in 2007 Sistemi Intelligenti, vol. 3, p. 381.
( 55 ) Per un recente riesame della questione, con riferimento ai principali lavori teorici
sull’argomento v. A. Ogus, W.H. van Boom, Introducing, Defining and Balancing ‘Autonomy v. Paternalism’, 3 Erasmus L. Rev. 1 (2010); nonché numerosi altri scritti di A. Ogus,
tra cui The paradoxes of legal paternalism and how to resolve them, 30 Legal Studies 61
(2010). Il dibattito fra gli studiosi americani è particolarmente intenso. Nella mole di scritti
si vedano, moderatamente a favore C. Jolls, C.R. Sunstein, R. Thaler, A Behavioral Approach to Law and Economics, 50 Stan. L. Rev. 1471 (1998) (con conclusioni aperte a p.
1546); C.R. Sunstein, Boundedly Rational Borrowing, 73 U. Chi. L. Rev. 249 (2006); C.F.
Camerer, Wanting, Liking and Learning: Neuroscience and Paternalism, 73 U. Chi. L. Rev.
87 (2006); O. Bar-Gill, The Behavioral Economics of Consumer Contracts, 92 Minn. L.
Rev. 749 (2008). Nettamente contrari R. Posner Rational Choice, Behavioral Economics
and the Law, 50 Stan. L. Rev. 1551 (1998); S. Issacharoff, Can There Be a Behavioral
Law and Economics?, 51 Vand. L. Rev. 1729 (1998) (« Sarebbe davvero ironico se la maggiore conoscenza sulla complessità delle decisioni umane diventasse la giustificazione per
sottrarre ai singoli la loro, ancorché imperfetta, libertà di decidere », a p. 1745); R.A. Epstein, Behavioral Economics: Human Errors and Market Corrections, 73 U. Chi. L. Rev.
111 (2006). Un atteggiamento attendista può trovarsi in M.A. Edwards, The Law, Marketing and Behavioral Economics of Consumer Rebates, 12 Stan. J. L. Bus. & Fin. 422
(2006). Il livello altamente ideologico ed astratto del dibatitto negli Stati Uniti pro e contro
il paternalismo è messo in luce dall’incipit di S. Deakin, Contracts and Capabilities: An
Evolutionary Perspective on the Autonomy-Paternalism Debate, 3 Erasmus L. Rev. 141
(2010) (« Le giustificazioni paternalistiche costituiscono una parte, ma solo una parte,
della scelta di tutela selettiva del diritto contrattuale. Tale scelta selettiva è stata una caratteristica di tutti i moderni sistemi di diritto contrattuale, anche all’apice del laissez-faire
ottocentesco ». Concetti simili sono messi in luce, sulla base di solidi riferimenti storici al
diritto inglese da S. Waddams, Autonomy and Paternalism from a Common Law Perspective: Setting Aside Disadvantageous Transactions, 3 Erasmus L. Rev. 121 (2010).
( 56 ) Si v. ex multis Jean-Jacques Rousseau, Le contrat social, cap. VI. In termini simili
v. A. Ogus, The paradoxes of legal paternalism and how to resolve them, 30 Legal Studies
61 (2010), a p. 65.
( 57 ) Si tratta di una valutazione diffusa: v. G. Wagner, Mandatory Contract Law: Functions and Principles in Light of the Proposal for a Directive on Consumer Rights, 3 Erasmus L. Rev. 47 (2010) (Gli interventi regolamentari sono giustificati non « dal fatto che vi
è una parte “debole” ma piuttosto perché l’auto-determinazione razionale è menomata o a
rischio » (a p. 70)).
SAGGI
329
superstizioni dei singoli se ne sostituisce una nuova, la « magia legislativa » (58).
( 58 ) Una ultima considerazione. Mentre si rimane sempre ammirati guardando alla ricchezza e all’inventiva del dibattito fra gli studiosi americani e si vorrebbe possedere la stessa energia intellettuale, al tempo stesso e in contrasto si rimane colpiti da quanto provinciale sia questo dibattito, ristretto fra le mura del pur bellissimo giardino chiuso dalle undici
corti d’appello, la Corte Suprema ed alcune dozzine di prestigiose riviste giuridiche. Mentre
qualsiasi giurista europeo di un certo livello sente il dovere di almeno cercare di capire che
cosa succede al di là dell’Atlantico, raramente anche i più eminenti giuristi americani sospettano che esiste vita giuridica anche al di fuori del loro paese e che, con riguardo a taluni aspetti, ci potrebbero essere ancora delle lezioni da imparare dai sistemi giuridici europei. Il caso dei contratti con i consumatori e della regolamentazione paternalistica è un tipico esempio: anziché vivere nel dubbio se sia preferibile o no regolarli, un attento e imparziale confronto con il modello europeo potrebbe essere di un qualche aiuto. Per una significativa eccezione v. J.Q. Whitman, Consumerism versus Producerism: A Study in Comparative Law, 117 Yale L. J. 340 (2007). Ciò, ovviamente, non significa affatto che il modello
dell’UE sia preferibile, anzi (v. retro al par. 1 e, in precedenza, V. Zeno-Zencovich, N. Vardi, EU Law As a Legal System in a Comparative Perspective, in 19 Eur. Bus. L. Rev. 234
(2008); piuttosto serve ad evidenziare quanto poco la metodologia comparata sia considerata dai giuristi statunitensi.