Inchiostro di Galla o Ferro-gallico

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Inchiostro di Galla o Ferro-gallico
INCHIOSTRO DI GALLA O FERROGALLICO
di Gabriele Sanguin
Cenni storici
II termine inchiostro deriva dal greco enckauston, (encaustum in latino) che significa bruciato, cotto,
forse accostandolo al nerofumo, principale fonte antica di pigmento nero, che si produce nella
combustione di legni resinosi o di scarti vegetali e animali. Tale combustione veniva effettuata in
recipienti di ceramica sormontati da coperchi di terracotta (più tardi metallici), che raccoglievano i fumi e
condensavano il carbonio in essi contenuto, sotto forma di polveri di carbone.
Esistono cenni dell’utilizzo dell’inchiostro di galla o ferrogallico fin dall’età romana; le più antiche ricette
conosciute, per la sua preparazione, sono greche e sono contenute nei papiri di Leida e di Stoccolma;
ebbe una grandissima diffusione nel Medio Evo per la facilità della sua preparazione ed il suo costo
ridotto.
Nel XII secolo il monaco Teofilo, nel trattato “De diversis artibus”, fa riferimento ad un inchiostro a
base di ferro. Egli prescrive, per la preparazione dell'encaustum, un estratto disseccato e polverizzato
della corteccia di alcune piante, mescolato con vetriolo verde (solfato ferroso) o una miscela di ferro
metallico in polvere e tannino; consiglia inoltre di preparare gli inchiostri di oro, di argento e di rame,
versando i metalli polverizzati in decotti di noci di galla, di aceto, di vino, di gomma arabica in acqua.
Teofilo conosce inoltre un “nero di Spagna” adoperato per una specie di lacca simile all'inchiostro di
China; per il rosso ricorre al minio (ossido di piombo) ed al carminio (cinabro, solfuro di mercurio) e per il
bianco alla biacca (carbonato di piombo). Queste sostanze sciolte in albume d'uovo, in gomme
addensanti vegetali (gomma adragante, linfe gommose, gomma arabica ecc.), in vino o aceto, o in
succhi vegetali (con funzioni mordenzanti, utili per migliorare l’adesione), dovevano entrare anche nella
composizione di colori per le miniature.
Alberto Magno (Sant’Alberto Magno AD 1193-1280) che raccolse, attraverso una paziente ricerca, tutto
il materiale scientifico dell'antichità greca, latina e degli Arabi contemporanei ed in molti casi comunque
non si accontentò dell'autorità dei predecessori ma volle controllare le loro affermazioni con esperimenti,
ci riferisce della preparazione di un inchiostro con vetriolo verde nel suo trattato “De Rebus Metallicis
et Mineralibus”. Riporta che gli scritti di Plinio illustravano un inchiostro a base di fuliggine di carbone e
di una gomma, anche se egli omette di indicare il tipo di gomma. Tuttavia annota che in genere
l'aggiunta di acido acetico o aceto come legante per l'inchiostro evita di danneggiare il papiro.
L’uso dell’inchiostro ferrogallico in Occidente fu quasi universale: esistono infatti moltissime ricette,
soprattutto a partire dal XV secolo. L’inchiostro ferrogallico è stato utilizzato per la scrittura di un'enorme
quantità di manoscritti, sia pergamenacei, sia cartacei e, nella sua formulazione a base acquosa, è stato
usato anche per la stampa di xilografie.
Con l’introduzione della stampa tipografica si ebbero invece problemi di applicazione in quanto, essendo
un inchiostro a base acquosa, non si depositava uniformemente sulle matrici metalliche, per cui
Gutenberg dovette inizialmente ricorrere all’uso di oli, che vennero addizionati all’inchiostro ferrogallico.
La diffusione di questo inchiostro nell’uso comune si ridusse, all’inizio del XX secolo, fino a scomparire
con l’introduzione dei pennini metallici, che venivano corrosi dall’inchiostro, in quanto a base acida. Si
preferirono in questa occasione gli inchiostri di china (basati su pigmenti).
Composizione e caratteristiche
L'inchiostro di galla o ferrogallico è un inchiostro nero, generalmente a base acquosa, il nome deriva da
uno dei componenti utilizzati per la sua composizione e cioè la galla, un’escrescenza ricca di tannini che
si sviluppa su alcuni alberi a seguito della puntura di un insetto parassita, che poi ne ricava il proprio
nido (la noce di galla della quercia, ad esempio). Questo inchiostro penetra profondamente nelle fibre
della carta, risultando praticamente indelebile.
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L’inchiostro ferrogallico si otteneva mescolando, in varie proporzioni, le galle, decorticate e polverizzate
con un pestello, assieme al solfato di ferro e aggiungendo poi gomma arabica (quest’ultima estratta da
alcune varietà di acacia e solubile in acqua, era usata come addensante per mantenere in sospensione
il gallato di ferro che si otteneva dalla reazione chimica).
La colorazione dell’inchiostro era dovuta al suo principale componente, il gallato di ferro, ottenuto, come
sopra descritto, dalla reazione del tannino contenuto nelle galle con il sale ferroso. La reazione chimica
avveniva però lentamente e, se l’inchiostro era usato subito dopo la sua preparazione, si comportava in
realtà da colorante, divenendo così indelebile. Per ottenere la completa ossidazione del ferro nel
composto (ed il relativo annerimento) occorreva qualche tempo di esposizione all’aria; pertanto per
abbreviare i tempi di utilizzo si tendeva ad aumentare l’apporto del solfato di ferro. Questo però, se da
un parte rendeva immediato l’annerimento dell’inchiostro, dall’altra rendeva instabile il composto che, a
causa delle aumentate proprietà ossidanti, virava quasi immediatamente dal colore nero al marrone più
o meno rossiccio, effetto della “ruggine” che si formava appunto con l’ossidazione dell’eccesso di sale di
ferro. Infine l’aumento di acidità nell’inchiostro, parallelamente all’aumentare del solfato di ferro nella
soluzione, innescava un processo, nel lungo periodo, di deterioramento del supporto, fosse esso stato
carta o pergamena.
Ricette per inchiosto di galla
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Questa è una delle tante ricette che nel corso dei secoli sono state scritte e modificate per
ottenere il risultato migliore. E’ considerata “economica”, in quanto vengono utilizzate le comuni
noci di galla delle querce locali, anziché le molto più preziose “noci di galla di Aleppo”.
“Si lasciano macerare per 3 giorni 125 parti di noci di galla frantumate in 2 litri di acqua piovana
(oggi si utilizza l’acqua distillata che è sicuramente più neutra dell’attuale acqua piovana) e, a
parte, si fanno sciogliere 50 parti di gomma arabica e 50 di solfato di ferro in 100 di acqua
piovana (v. sopra). rimescolando le due soluzioni. Dopo qualche giorno, agitando spesso, si porta
la soluzione ad ebollizione e quindi, una volta raffreddata la sospensione si filtra con una tela e si
imbottiglia”.
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Una ricetta contenuta in un codice del 1412, invece, consiglia di stemperare in acqua o in birra
della polvere di noce di galla, e di sottoporre quindi la miscela alla reazione del vetriolo (solfato
ferroso). Questa formula rimase quasi immutata nei secoli successivi e fu applicata spesso
empiricamente, senza cioè un dosaggio uniforme delle varie sostanze.
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Il “Liber illuministarum pro fundamentis auri et coloribus ac consimilibus”, contiene una
ricetta per inchiostri, che riassume la formula in una strofa di due versi (distico):
“Integra sit galle, media sit uncia gummi
vitrioli quarta. Apponas octo falerni”
Occorrevano cioè: noci di galla (un’oncia intera), gomma arabica (mezza oncia); vetriolo di ferro
(un quarto di oncia), e otto once del vino Falerno.
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Bibliografia:
Les encres noires au Moyen Âge
di Monique Zerdoun-Bat Yehouda
Pubblicato da CNRS éditions -1983
Medieval Ink
di David N. Carvalho
Pubblicato da Lightning Source Inc, - 2004
Documenti citati nel testo:
Papiro di Leyda - Questo papiro risale al III secolo d.C. e fu trovato a Tebe; contiene una grande
raccolta di ricette per operazioni alchemiche e chimiche, fra le quali quelle per l’argentatura, per la
doratura, per la purificazione dei metalli e delle leghe, per la tintura della porpora, ecc. Queste ricette
sono un punto di partenza per la chimica degli inchiostri e delle pitture.
Il Papiro Holmiense di Stoccolma è un papiro egizio risalente al tardo III secolo o ai primi anni del
IV secolo d. C., scritto in greco e conservato a Stoccolma. Questo documento è particolarmente
importante perché si tratta della più antica testimonianza pervenutaci di testo alchemico e di
ricettario tecnico nel campo dei procedimenti pratici. Il papiro fu scritto probabilmente a Tebe, venne
rinvenuto nel XIX secolo in un'antica tomba e in seguito trasferito a Stoccolma.
“De diversis artibus” del monaco Teofilo (in realtà, la storiografia contemporanea suppone si tratti
del monaco Ruggero di Helmershausen, vissuto tra la fine dell’XI secolo e la prima metà del XII. Si
tratterebbe, pertanto, di un orafo-artista benedettino, tedesco, operante nel convento di
Helmershausen nella Sassonia inferiore, che sarebbe “morto tra il 1125 e il 1152). Il documento si
caratterizza per le acute osservazioni dell’autore e per la puntualissima descrizione delle tecniche di
produzione dei manufatti d’arte (dalla pittura su parete, tavola e pergamena, al ricettario per la
preparazione del colore e dei pigmenti; dalla fabbricazione del vetro alla tecnica di produzione delle
vetrate, alla loro costruzione e montaggio; dalle tecniche metallurgiche della fusione dei metalli alla
loro lavorazione; dalla lavorazione del ferro a quella dell’oro, ecc.). Il “De diversis artibus” è
generalmente considerato il primo completo trattato sulle tecniche artistiche, una vera e propria
enciclopedia. Esso ha rivestito certamente un notevole ruolo didattico ad uso e consumo degli artisti
medievali e si presta tuttora a ricoprire un altrettanto e importante ruolo didattico per gli studiosi di
storia dell’arte, gli studenti delle nostre università e per gli specialisti del restauro.
“De rebus metallicis et Mineralibus” di Alberto Magno, teologo, filosofo, santo, detto Doctor
universalis (Lauingen, Svevia ca. 1200 - Colonia 1280). Nato nella famiglia dei conti Bollstädt,
appartenne all'ordine domenicano, rivestendo anche l'ufficio di padre provinciale. Compì i suoi studi
a Padova e insegnò successivamente in vari conventi; fu poi maestro di teologia a Parigi, dove
ebbe come discepolo San Tommaso d’Aquino, e infine insegnò presso l'Università di Colonia. Nel
suo “De Rebus Metallicis et Mineralibus”, che è la summa della conoscenza scientifica mondiale
per l’epoca, racconta, tra l’altro, come egli aveva personalmente testato alcuni pezzi d’oro che
erano stati prodotti da un alchimista, e che avevano resistito al tentativo di fusione. E, che questa
storia sia vera o no, appare evidente che Alberto è stato certamente un abile scienziato, con una
formazione scientifica molto ampia.
“Liber illuministarum pro fundamentis auri et coloribus ac consimilibus” è un manoscritto
redatto a Tegernsee vicino a Monaco, intorno al 1500 e conservato a Monaco di Baviera, nella
Staatsbibliothek. Descrive tecniche e materiali utilizzati per la produzione di antichi manoscritti e
codici miniati.
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