L`iniziativa per la dichiarazione di fallimento

Transcript

L`iniziativa per la dichiarazione di fallimento
1
L’iniziativa per la dichiarazione di fallimento
di Vincenzo Vitalone
SOMMARIO: 1. Il ricorso del creditore. – 2. L’iniziativa del Pubblico Ministero. – 3. L’iniziativa del debitore. – 4. La competenza. – 5. La sentenza del Tribunale incompetente e la
dichiarazione di incompetenza. – 6. Il conflitto di competenza.
1. Il ricorso del creditore
Per potersi dar corso alla dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 6 l. fall. come novellato dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e successivamente dal d.lgs. n. 169/2007 (cosiddetto decreto correttivo) occorre che vi sia l’iniziativa di un soggetto che rappresenti al Tribunale l’interesse a che un imprenditore, individuale o collettivo che sia,
venga riconosciuto insolvente con le conseguenze che da tale stato discendono.
Dopo un lungo e contrastato dibattito la novella della legge fallimentare ha abolito la previsione che il fallimento possa essere dichiarato di
ufficio dal Tribunale in assenza di un soggetto terzo, privato o pubbli1
co, che assuma l’iniziativa tesa a provocarlo . Anche in questa materia
si è ritenuto inderogabile il principio ne procedat iudex ex officio collegato, evidentemente, al riconfermare la terzietà dell’organo giudiziario rispetto alle parti.
Come si vedrà l’abrogazione del fallimento di ufficio rende più pre1
Corte cost. 15 luglio 2003, n. 240, in Arch. civ., 2003, n. 1143.
2
VINCENZO VITALONE
gnante sotto l’aspetto processuale il ruolo del Pubblico Ministero, ridisegnato nella nuova formulazione dell’art. 7 l. fall.
Non vi è dubbio che l’iniziativa del creditore insoddisfatto rimarrà
quella assolutamente prevalente, sicché l’attenzione dell’interprete dovrà necessariamente soffermarsi sui rapporti processuali tra creditore
e debitore presunto insolvente durante tutta quella fase che anche la
legge chiama oramai prefallimentare.
L’atto introduttivo di questa fase è un ricorso e con esso si rivolgono al Tribunale il debitore insolvente ed i creditori. L’iniziativa del
Pubblico Ministero viene invece ancora denominata richiesta.
Già nella precedente disciplina si era discusso se il creditore istante
potesse presentare il ricorso per la dichiarazione di fallimento senza l’assistenza ed il patrocinio tecnico del legale, ed era consolidato il principio per il quale potesse avanzare anche in proprio la richiesta senza ulteriori formalità.
La norma in tal senso non è mutata, e comunque la questione non ha
mai avuto particolare rilievo in quanto ben raramente l’iniziativa del creditore è assunta personalmente da costui senza l’assistenza del legale.
La fase prefallimentare, però, appare oggi più marcatamente processualizzata rispetto alla precedente disciplina ed assume i connotati di
una vera e propria istruttoria, come ben evidenziato dalla rubrica del
nuovo art. 15 l. fall, peraltro modificato con il richiamato decreto correttivo 2.
Tale radicale mutamento impone pertanto anche una rivalutazione
delle questioni attinenti la rappresentanza e l’assistenza del creditore
istante, tanto da doversi richiamare la necessità che costui non possa
stare in giudizio autonomamente e privo della difesa tecnica.
Il creditore, infatti, dovrà necessariamente eleggere domicilio non
solo in vista della comunicazione del decreto della fissazione dinanzi
al relatore, ma anche della comunicazione dell’eventuale rigetto dell’istanza, come previsto dal successivo art. 22 l. fall.
Il discorso non appare diverso, come si vedrà, allorquando l’istanza
di fallimento è presentata dal debitore; anche in questo caso si impone che costui sia rappresentato ed assistito dal legale.
La formulazione dell’art. 6 l. fall. ripropone le note questioni ineren2
S. DE MATTEIS, Istanza di fallimento del debitore. L’istruttoria prefallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di L. Panzani e G. Fauceglia, Torino, 2009, I,
156 ss.
L’INIZIATIVA PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
3
ti la legittimazione per presentare ricorso per la dichiarazione di fallimento che appaiono più attuali con riferimento alla richiamata abolizione del fallimento di ufficio.
La prima e forse più rilevante attiene alla qualità di creditore istante ed all’ammontare del suo credito. L’art. 15, ultimo comma, l. fall.
statuisce che non può farsi luogo alla dichiarazione di fallimento «se
l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore ad euro 30.000,00»
(euro 25.000,00 nella originaria previsione della riforma).
Da tale principio – che ha formalizzato le varie prassi invalse in diversi uffici giudiziari di non procedere al fallimento allorquando l’ammontare del debito dedotto con l’istanza del creditore fosse inferiore
ad un determinata cifra, diversa però da Tribunale a Tribunale – discende la necessità di verificare se, con la nuova disciplina, l’ammontare del credito dedotto costituisca di fatto una questione di legittimazione a presentare il ricorso.
Non è da escludere l’ipotesi che possa consolidarsi l’orientamento
per il quale il ricorso proposto da un creditore il cui credito sia inferiore
ad euro 30.000,00 venga dichiarato inammissibile, ovvero respinto senza
dar corso all’istruttoria prefallimentare. Tale orientamento non può essere condiviso poiché proprio la disposizione richiamata non fa riferimento all’ammontare del debito documentato nell’istanza di fallimento,
bensì a quelli che emergono dall’istruttoria come «scaduti e non pagati».
Invero, all’esito della fase istruttoria, potrebbero emergere in capo all’imprenditore insolvente debiti ben maggiori di quelli dedotti dall’unico ricorso per fallimento e l’ammontare del credito della singola istanza non dovrebbe essere certo preclusivo all’apertura della procedura
concorsuale.
La conclusione potrebbe essere diversa allorquando ciò che viene in
contestazione è l’esistenza stessa del credito emergente dalla istanza di
fallimento.
Non è certo raro che il debitore convocato per la dichiarazione di
fallimento contesti, in via preliminare, la qualità di creditore in colui che
ha presentato l’istanza, rilevando l’inesistenza del credito o comunque
la sua inesigibilità. Solo a titolo esemplificativo può ricordarsi l’ipotesi
in cui il creditore istante richieda il fallimento del proprio debitore sulla
scorta di un decreto ingiuntivo per il quale penda opposizione.
Anche qui la prassi dei Tribunali è apparsa alquanto diversa, prevalendo però l’orientamento secondo cui anche l’eventuale inesistenza
4
VINCENZO VITALONE
del credito dell’istanza di fallimento non è preclusiva della dichiarazione di insolvenza, allorquando tale stato emerge obbiettivamente dalle risultanze dell’istruttoria prefallimentare.
Si precisava, però, che qualora il Tribunale avesse dichiarato ugualmente il fallimento, prescindendo in qualche modo dall’istanza del creditore, esso procedeva d’ufficio, utilizzando l’originaria istanza solo come mera fonte informativa per consentire la verifica dell’altrui stato di
insolvenza. Ove oggi si condivida tale opinione dovrà concludersi che
non potrà più dichiararsi il fallimento laddove l’istanza non risulti fondata, poiché colui che l’ha promossa non ha la veste di creditore.
Tale conclusione, che già nella precedente disciplina trovava fautori in coloro che ritenevano incostituzionale il fallimento di ufficio, non
può essere in ogni caso condivisa.
La nuova legge fallimentare, infatti, preclude al Giudice l’autonoma iniziativa di procedere alla dichiarazione di fallimento e, più precisamente, si vuole che l’organo giudiziario intervenga solo ed esclusivamente a fronte di un’istanza di parte.
Il Tribunale, pertanto, non ha il potere di aprire una procedura prefallimentare, ma è chiamato ad intervenire, come visto, solo su ricorso
del creditore, dell’imprenditore in proprio, ovvero su richiesta del Pubblico Ministero
Non può invece negarsi il potere di valutare l’insolvenza dell’imprenditore tutte le volte in cui, apertasi ritualmente un’istruttoria prefallimentare, l’istanza originaria abbia perso per qualsivoglia ragione la sua
valenza processuale 3.
La dichiarazione di fallimento, anche sotto il vigore della novella, non
risponde esclusivamente all’interesse del privato ma riscontra un’esigenza di carattere generale, tanto da confermarsi la facoltà del Pubblico
Ministero di richiederla al Tribunale.
Ad identica conclusione dovrà giungersi nell’ipotesi, molto comu3
Valga il principio comunque consolidato in Cass., Sez. Un., 13 marzo 2001, n. 115,
in Mass. Giust. civ., 2001, 360: «Lo stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione di
impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, mentre resta in proposito irrilevante ogni indagine sull’imputabilità o meno dell’imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all’impresa, così come sull’effettiva esistenza ed entità dei
crediti fatti valere nei suoi confronti».
L’INIZIATIVA PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
5
ne, in cui l’unico creditore istante desista dalla richiesta di fallimento.
Anche in tal caso, seppur contraria la prevalente giurisprudenza 4, si
reputa doversi confermare il principio che, ove emergano dall’istruttoria i connotati dell’insolvenza e ricorrendo le condizioni previste dalla
legge, il Tribunale non potrà esimersi dal dichiarare il fallimento, non
apparendo rilevante che colui che ha dato corso alla procedura prefallimentare vi abbia rinunciato, ove emerga l’interesse pubblico a dichiarare l’insolvenza dell’imprenditore a tutela della massa dei creditori.
Anche in questa ipotesi non è corretto parlare di “fallimento d’ufficio”, in quanto il Tribunale ha dato corso all’istruttoria prefallimentare sul ricorso di parte che legittima la pronuncia sullo status del debitore, anche a prescindere dall’interesse dell’originario ricorrente.
Per tale motivo deve contestarsi l’affermazione, peraltro comune, secondo la quale la rinuncia del creditore all’istanza di fallimento estingue il procedimento prefallimentare 5.
Non sembra, infatti, potersi ritenere nel nostro sistema, anche con
riferimento ai noti temi collegati all’applicazione dell’art. 111 Cost. sul
giusto processo, che la riforma della legge fallimentare abbia introdotto tale principio.
L’istruttoria prefallimentare, nonostante se ne voglia esaltare la natura di processo di parti, non è un processo di cognizione, bensì la fase prodromica di un processo esecutivo di natura concorsuale.
La fase preliminare del più complesso processo fallimentare non si
caratterizza per avere come fonte la lite privata tra il creditore istante
ed il debitore presunto insolvente, con la richiesta al Giudice di dirimerla mediante un provvedimento giurisdizionale, bensì per atteggiarsi
4
Cass. 26 febbraio 2009, n. 4632, in Il Fallimento, 2009, 521: «In forza del principio
costituzionale di imparzialità e di terzietà del giudice, l’istanza di fallimento che il pubblico
ministero abbia presentato su segnalazione del Tribunale fallimentare ed a seguito di rinuncia del creditore istante e di estinzione del giudizio di istruttoria prefallimentare comporta – salvo che non riguardi soggetti diversi dal debitore convenuto nel giudizio estinto –
la nullità dell’eventuale sentenza dichiarativa di fallimento».
5
Cass. 26 febbraio 2009, n. 4632, in Il Fallimento, 2009, 521 «Il tribunale investito di
un’istanza di fallimento non può procedere alla segnalazione dell’insolvenza del debitore al
Pubblico Ministero – parte del procedimento, ai sensi dell’art. 7 n. 2 legge fall. (R.D. n.
267/1942) – ponendosi tale iniziativa in contrasto con la posizione di imparzialità e terzietà che il Giudice deve assumere e che perderebbe ove tale sollecitazione si traducesse nella
richiesta di fallimento del medesimo Pubblico Ministero; ne consegue che, in caso di rinuncia del creditore all’istanza presentata, l’abrogazione dell’iniziativa d’ufficio, disposta dal
D.Lgs. n. 5 del 2006 ed estesa a tutti gli istituti concorsuali dal D.Lgs. n. 169 del 2007,
comporta l’estinzione del procedimento, divenuto a pieno titolo processo di parti».
6
VINCENZO VITALONE
a procedimento che ha come scopo quello di accertare lo status di imprenditore insolvente in capo al debitore (con le conseguenze di natura sostanziale e processuale che da esso promanano) e quindi consentire l’apertura di quel processo esecutivo sui generis che è il fallimento.
Con la sentenza di fallimento, infatti, il creditore istante non realizza un proprio diritto, che infatti risulta già garantito dalla facoltà di
attivare l’esecuzione individuale, bensì ottiene il risultato di far sottoporre l’imprenditore ad un processo esecutivo diverso, teso a garantire tutti i creditori anche mediante strumenti più incisivi (azioni revocatorie, azioni di responsabilità, esercizio dell’azione penale per le varie ipotesi di bancarotta, divieto delle azioni esecutive individuali,
ecc.) idonei a meglio realizzare l’interesse stesso del creditore istante.
Potremmo dire, richiamandoci ai padri del diritto fallimentare 6, che
il creditore istante svolge una funzione pubblica in quanto richiede al
Giudice di intervenire al fine di creare un presidio di tutela, non solo
per il suo credito, ma per tutti i creditori concorrenti.
In tale ottica deve essere ripensata anche la nozione di fallimento
d’ufficio, la cui esclusione la richiamata giurisprudenza di legittimità
sembra aver esasperato.
È ben vero, infatti, che il Giudice non può pronunciarsi in assenza
dell’iniziativa di parte; tuttavia, in presenza di un interesse generale senza sottolineare il quale perde significato lo stesso istituto della procedura concorsuale, egli è chiamato a dichiarare lo stato di insolvenza dell’imprenditore prescindendo dall’interesse del singolo creditore, fosse
anche colui che ha presentato l’originaria istanza di fallimento.
Ai fini esemplificativi, si può richiamare il processo per interdizione
che, con forti analogie con l’istruttoria prefallimentare, ha come oggetto l’accertamento di uno status che determina la condizione giuridica
del soggetto ad esso sottoposto.
Per la persona fisica si tratterà di accertare lo stato di incapacità di
attendere ai propri interessi, per l’imprenditore l’incapacità di far fronte con i mezzi ordinari alle proprie obbligazioni.
Il Tribunale non può procedere autonomamente all’interdizione di
un soggetto senza l’iniziativa di una parte ricorrente o del Pubblico Ministero; non vi è dubbio, tuttavia che l’eventuale rinuncia di costoro al
ricorso non precluda al Tribunale di pronunciarsi sull’interdizione.
Anche se nel procedimento di cui agli artt. 712 ss. c.p.c., contraria6
R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, 447.
L’INIZIATIVA PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
7
mente a quanto accade nel fallimento, l’intervento del Pubblico Ministero è obbligatorio, e ciò perché è più intenso il profilo dell’interesse
pubblico inerente lo status della persona fisica, rimane forte l’analogia
tra i due istituti.
Nella procedura concorsuale, infatti, l’intervento facoltativo del Pubblico Ministero è pur sempre il sintomo dell’emergere di interessi che
travalicano la posizione del singolo creditore istante e che giustificano
quel potere residuo del Tribunale, ontologicamente estraneo al concetto di fallimento d’ufficio come previsto dalla previgente normativa
e che tanto turba gli odierni commentatori.
Tutto ciò per ribadire l’affermazione precedente, e, cioè, che l’estinzione del giudizio non può essere collegata alla rinuncia del creditore istante.
Tale ultimo principio sorregge, invero, il processo esecutivo individuale, dove la rinuncia dei creditori fa venir meno il processo imponendo al Giudice la dichiarazione di estinzione.
Non occorre ricordare, però, che il processo esecutivo individuale
si distingue da quello concorsuale per il meridiano principio che l’uno
è posto a tutela dei singoli creditori e delle loro individuali ragioni di
credito, l’altro si legittima non solo in vista della tutela della massa dei
creditori, ma anche quale strumento di presidio del mercato che non
tollera la presenza di un imprenditore insolvente con le conseguenze
che da tale condizione discendono.
A ben vedere, infatti, e rimanendo ancorati alla pratica giudiziaria,
l’interesse del creditore istante, paradossalmente, non è quello manifestato nell’istanza di fallimento, e cioè ottenere la dichiarazione di insolvenza del suo debitore, bensì si palesa come l’ultimo tentativo, peraltro legittimo, di realizzare il suo credito.
Egli non ha nessuno stimolo a partecipare alla lunga e spesso macchinosa procedura fallimentare, ma spera di ottenere con l’istanza di fallimento ciò che fino a quel momento non è riuscito a realizzare. Tanto
è vero che se qualcuno propone di soddisfarlo egli è ben lieto di desistere dall’istanza di fallimento e di rinunciarvi.
Non è questa, però, la finalità della procedura concorsuale, tanto
che per alcuni aspetti può dirsi che il pur legittimo interesse del creditore istante ad essere soddisfatto, pure in limine, contrasta con quella
finalità generale di aprire una procedura che realizzi al contempo un
presidio di tutela per tutti i creditori dell’impresa ed elimini i nefasti
effetti dell’insolvenza.
8
VINCENZO VITALONE
Effetti che permarrebbero, anzi, come spesso accade, si aggraverebbero allorquando l’imprenditore si limitasse a soddisfare solo coloro
che minacciano di farlo fallire, puntellando un’attività imprenditoriale
che, invece, meriterebbe di essere interrotta.
Che, poi, la desistenza dall’istanza di fallimento conduca nella maggior parte dei casi il Tribunale ad archiviare il procedimento attiene
ad una valutazione empirica, ma fortemente giustificata, di non attivare procedure concorsuali laddove non ve ne sia l’effettiva necessità.
Al contrario, a fronte di una conclamata ed importante insolvenza,
non si giustifica che il Tribunale, pur sempre investito da un’istanza
legittimante la pronuncia giurisdizionale, debba esimersi dall’emetterla per il solo fatto che il creditore istante non vi abbia più interesse.
Si ribadisce che, ove si prescindesse da tale impostazione, sarebbe
arduo poter sostenere con compiutezza le ragioni che militano a giustificare l’esistenza di una procedura concorsuale, quasi preconizzando il suo trascolorare in quella individuale del processo esecutivo.
Come si vedrà nella parte del testo destinata all’istruttoria prefallimentare, non avrebbe giustificazione la pur permanente iniziativa del
Tribunale di svolgere un’istruttoria d’ufficio, anche questa sintomo, seppur più flebile di quelli sinora indicati, dell’emergere di quell’interesse
pubblico che trascende gli oneri probatori delle parti.
Le affermazioni che precedono non contrastano nemmeno con i principi di terzietà del Giudice come ridisegnati dall’art. 111 Cost., poiché, nel processo fallimentare, l’intervento della giurisdizione non ha,
come detto, come scopo principale quello di dirimere una lite, imponendosi perciò l’assoluta equidistanza del Giudice tra le parti.
Il contrasto tra il creditore istante, il Pubblico Ministero ed il debitore presunto insolvente, non coinvolge la necessità per il Giudice di
affermare l’una o l’altra delle posizioni in vista della tutela di un interesse meramente privatistico ma, pur salvaguardando il processo di parti voluto dalla riforma, di valutare una situazione obbiettiva che determini non una sentenza favorevole o sfavorevole per gli uni o per gli
altri, ma l’apertura di un processo idoneo anche a realizzare l’interesse
dell’imprenditore fallito.
Il fallimento, nella nuova configurazione che ne ha voluto dare la riforma, è sempre meno un istituto sanzionatorio per l’imprenditore insolvente, ma può prefigurarsi come una vera e propria chance per il risanamento dell’impresa, per il rilancio dell’azienda, per la valorizzazione dei suoi assets, in definitiva per la possibilità di utile collocamento
L’INIZIATIVA PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
9
sul mercato di quell’insieme di beni altrimenti destinati alla sola liquidazione nel processo esecutivo individuale.
2. L’iniziativa del Pubblico Ministero
L’art. 7 della nuova legge fallimentare ha comportato contestualmente la riformulazione della sua rubrica, originariamente indicata come
«Stato di insolvenza risultante in sede penale», e l’abrogazione del successivo art. 8 l. fall. rubricato come «Stato di insolvenza risultante in
sede civile».
Con la nuova norma (nuova solo in parte) si specifica il potere di iniziativa del Pubblico Ministero nei casi in cui: «1) l’insolvenza risulti nel
corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o
dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa,
dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore; 2) l’insolvenza risulti dalla segnalazione proveniente dal Giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile».
La disciplina così ridisegnata risulta un ibrido tra i principi che regolavano la precedente normativa e quelli che intendono fondare la
nuova procedura concorsuale. Invero la prima parte dell’articolo non
fa altro che richiamare la vecchia formulazione dell’art. 7 l. fall. che prevedeva l’iniziativa del Pubblico Ministero laddove in un procedimento
penale emergessero le circostanze sopra ricordate. La prassi ha riscontrato una scarsa applicazione di tale meccanismo di iniziativa, anche
per una certa cultura delle Procure della Repubblica, solitamente poco coinvolte negli aspetti più propriamente processualcivilistici dell’insolvenza.
Il meccanismo dell’art. 8 l. fall. vecchia formulazione (oggi abrogato) ha avuto, peraltro, scarsa applicazione nella prassi giudiziaria, poiché ben raramente il Giudice civile, che nel corso di un procedimento
riscontrava lo stato di insolvenza di una delle parti imprenditore commerciale, decideva di investire il Tribunale competente per la dichiarazione di fallimento.
L’iniziativa del Pubblico Ministero però potrebbe ricevere nuova
linfa ove si ritenga di applicare con quel rigore, qui non condiviso, il divieto di procedere ugualmente alla dichiarazione di fallimento in quei
10
VINCENZO VITALONE
casi in cui l’istanza del creditore sia ritirata (desistenza), ovvero a costui sia negata la qualità di creditore, ovvero, infine, il credito da questo vantato risulti inferiore ad euro 30.000,00 7.
In tal caso, però, si innescherebbe un inutile e gravoso meccanismo
processuale privo in sostanza di alcuna effettiva utilità.
Invero il Tribunale, dopo l’istruttoria che abbia accertato lo stato di
insolvenza dell’imprenditore commerciale, ove veda desistita l’istanza di
fallimento e non ritenendo di poter procedere alla dichiarazione, dovrebbe investire il Pubblico Ministero affinché provveda, ove ne ricorrano i presupposti, a presentare una nuova istanza, reiterando un’istruttoria da poco conclusa ed emettere, così, una sentenza già imposta dai
8
precedenti accertamenti .
Nulla giustifica tale macchinoso iter che avrebbe come unica ed ingiustificata conseguenza quella di rendere fin troppo lunga una fase
istruttoria che, invece, in vista dell’interesse dei creditori, dovrebbe evidentemente essere sollecita.
La norma però consente altre e diverse utilizzazioni. In particolare
non può escludersi che la nuova formulazione dell’art. 22 l. fall., che riguarda il gravame contro il provvedimento che respinge l’istanza di fallimento, con riferimento all’applicazione della sentenza della Corte cost.
n. 328/1999, consigli ai creditori che intendano richiedere la dichiarazione di fallimento del proprio debitore, ma che temono l’eventuale condanna alle spese nel caso in cui il loro ricorso venga rigettato, di rivolgersi al Pubblico Ministero, prospettando l’esistenza di una delle circostanze previste dall’art. 7 l. fall., quali, ad esempio, l’irreperibilità dell’im9
prenditore ovvero la diminuzione fraudolenta dell’attivo di impresa .
Costoro, pertanto, potrebbero affidare al Pubblico Ministero la loro
iniziativa senza l’onere dell’eventuale soccombenza nelle spese dell’istruttoria prefallimentare.
In egual modo può attivarsi l’iniziativa del Collegio sindacale che, nell’inerzia degli organi societari, e sul presupposto dell’esistenza di un
depauperamento non più lecito del patrimonio sociale, affidi alla valutazione del Pubblico Ministero se farsi promotore della iniziativa per
la dichiarazione di fallimento.
7
App. Brescia 7 ottobre 2009, in www.ilcaso.it, 2009.
La Corte di Cassazione, come visto, non ritiene però legittima tale procedura, pure
se è certo auspicabile un ripensamento.
9
Corte cost. 20 luglio 1999, n. 328, in Foro it., 2000, I, 3217.
8