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SINESTESIA
Tea Papucci
“Quando guardo certi numeri, vedo sempre colori specifici. Il cinque è sempre di un particolare rosso spento,
il tre è azzurro, il sette rosso vivo, l’otto giallo, il nove verde pallido”.
Questo ha detto Susan quando le è stato chiesto di descrivere esattamente che cosa provasse alla vista di
numeri. Era il 1997 e il neuro scienziato Vilayanur S. Ramachandran e il suo studente Ed Hubbard
cominciavano uno studio sulla Sinestesia, quell’affascinante fenomeno percettivo, quella strana mescolanza
di modalità sensoriali di cui alcuni soggetti fanno esperienza a causa dell’insolita struttura delle loro
connessioni cerebrali.
Sinestesia (dal greco antico συν = insieme e αισθησις = percezione), significa letteralmente percezione
simultanea, è una mescolanza di sensazioni, percezioni ed emozioni, di cui ancora si conosce poco, ma che
potrebbe fornire indizi preziosi per la comprensione di alcuni degli aspetti più misteriosi della mente umana,
come il linguaggio, la creatività e il pensiero astratto, facoltà che ci sono così connaturate da apparirci
scontate ma che ci rendono anche così diversi dagli altri esseri viventi, così unici e straordinari. Può
manifestarsi in decine di forme diverse: lettere, numeri, suoni o emozioni possono evocare colori specifici,
sfiorare alcuni materiali può scatenare un particolare gusto o emozione, le sequenze numeriche, mesi o date
prendere forma nello spazio.
Nonostante già nel 18 secolo filosofi e scienziati come Isaac Newton( si pensa che proprio grazie alla
sinestesia riuscì a dimostrare la teoria dei colori), Erasmus Darwin o Wilhelm Wundt sembra che avessero
fatto riferimento ad esperienze sin estetiche, la prima testimonianza scientifica è del 1812 da parte del
medico tedesco Sachs, seguito dallo psicologo Gustav Fechner nel 1871 e da Francis Galton, che nel 1892
pubblicò un articolo sulla rivista “Nature”. Galton, nel suo studio sistematico del fenomeno descriveva le
due tipologie più comuni di sinestesia (quella uditivo-visiva e grafema-colore) incoraggiando altri scienziati
all’ analisi di tale fenomeno, ancora oggi spesso liquidato come pura invenzione o come un’anomalia che non
merita attenzione.
Sono pochi gli scienziati che hanno affrontato la sinestesia come fenomeno reale. Tra loro il neurologo
Richard Cytowic, che nonostante sia stato ignorato dall’estabilishment scientifico, con le sue pur vaghe
ipotesi ci ha fornito spunti per l’analisi della sinestesia. E poi Vilayanur S. Ramachandran, che dirige il Centre
for Brain and Cognition dell’Università della California, uno dei massimi esperti della struttura del cervello e
dei meccanismi di funzionamento della mente. E’ uno tra i cento personaggi che hanno più probabilità di
dare un contributo importante alla società del XXI secolo. In questa mia presentazione del fenomeno esporrò
il suo studio e i suoi esperimenti che costituiscono ad oggi quasi la totalità delle informazioni e delle scoperte
che il mondo possiede sul fenomeno della sinestesia.
Cytowic ha ipotizzato che la sinestesia fosse una sorta di regresso evolutivo a un neurostato più primitivo,
nel quale i sensi non si erano ancora separati ed erano mescolati nel nucleo emozionale del cervello.
Ramachandran osserva però che se il cervello di un sinesteta fosse tornato a uno stadio precedente non si
spiegherebbe la natura peculiare e specifica delle sue esperienze. Se Cytowic avesse ragione i sensi
dovrebbero semplicemente mescolarsi tra loro creando un confuso magma.
Una seconda ipotesi che solitamente viene avanzata è che i sinesteti, semplicemente evochino ricordi e
associazioni infantili. Forse da bambini hanno giocato con le calamite del frigo e il 5 era rosso e il 6 verde e
magari ricordano queste associazioni vividamente. Questa teoria non spiega però perché solo alcune persone
rimangano legate a ricordi sensoriali così vividi. Noi non vediamo colori quando guardiamo numeri o
ascoltiamo la musica, non sentiamo il freddo nelle ossa quando guardiamo la foto di un cubetto di ghiaccio
nonostante da piccoli abbiamo fatto esperienze con la sua freddezza.
Una terza ipotesi è che i sinesteti usino un vago linguaggio tangenziale o metafore quando parlano del do
diesis che diventa rosso o del pollo che ha un sapore acuto così come voi ed io parliamo di camicia “chiassosa”
o di formaggio “piccante”. Il linguaggio comune è pieno di metafore sinestetiche per cui forse i sinesteti sono
particolarmente dotati al riguardo. Ma, dice Ramachandran, non sappiamo come funzioni la metafora e di
come sia rappresentata nel cervello. L’idea che la sinestesia sia solo una metafora è solo un modo per
spiegare un mistero (la sinestesia) con un altro mistero (la metafora).
Ramachandran decide di capovolgere il problema ipotizzando che la sinestesia sia un processo sensoriale
concreto, di cui possiamo scoprire la base neurale e che la sua spiegazione possa fornire indizi utili a risolvere
il problema più vasto di come le metafore sono rappresentate nel cervello, di come abbiamo sviluppato la
capacità di elaborarle, perché questo fenomeno è sopravvissuto all’evoluzione, nonchè la possibile
connessione tra la sinestesia e la creatività.
Così, attraverso una serie di esperimenti e una serie di soggetti presunti sinesteti, Ramachandran si pone
come primo obiettivo quello di dimostrare che la sinestesia è un’esperienza sensoriale autentica.
La prima sinesteta è stata Susan che diceva di vedere sempre colori specifici quando guardava certi numeri.
Quando Hubbard ha disegnato un 7 su un bloc-notes lei ha dichiarato di vederlo distintamente rosso. “Ma lei
vede davvero il colore?” “E’ una domanda difficile, credo di vederlo davvero, il numero che mi ha disegnato
mi appare rosso. Ma vedo che in realtà è nero, o per meglio dire, so che è nero. Così in un certo senso lo vedo
con gli occhi della mente o qualcosa del genere. Però la sensazione non è affatto quella. La mia sensazione è
di vedere proprio il colore. E’ molto difficile da descrivere, dottore”. Se fosse solo il concetto di numero ad
evocare il colore Susan avrebbe dovuto vedere anche il numero romano VII rosso e invece così non è. Però
ancora non potevano essere certi che Susan non avesse visto il sette rosso sullo sportello del frigorifero
dell’asilo. Anche a Becky però i numeri evocavano un colore, per lei il 7 era azzurro, ma il sette in numeri
cardinali o ordinali non le faceva nessun effetto. Anche in questo caso i colori erano evocati dall’aspetto visivo
anziché dal concetto di numero.
Ma fu grazie a Mirabelle che Ramachandran e Hubbard riuscirono a dimostrare che i sinesteti (in questo caso
grafema-colore) vedono davvero il colore e non ne hanno solo una vaga immagine mentale. Quando
Mirabelle guardava davanti a sé, i numeri o le lettere che le venivano mostrati lateralmente avevano un
colore meno vivido di quelli che comparivano sull’asse centrale, benché fossero altrettanto identificabili
come numeri specifici e benché i colori veri siano altrettanto vividamente visibili nella visione fuori asse.
Ancora una volta questi risultati escludono che la fonte della sinestesia siano associazioni mnemoniche dei
centri superiori. I ricordi visivi sono spazialmente invarianti. Perché quando si impara qualcosa in una regione
del proprio campo visivo si è in grado di riconoscerlo in una localizzazione visiva completamente nuova. Il
fatto che i colori evocati siano diversi in regioni diverse rappresenta un forte elemento a sfavore delle
associazioni mnemoniche.
Mirabelle fu poi sottoposta ad un secondo test più diretto, chiamato “pop out” che gli psicologi usano per
determinare se un effetto è davvero percettivo o soltanto concettuale. Se guardate la figura 1 vedrete una
serie di linee inclinate disseminate in una selva di linee verticali. Le linee inclinate hanno un effetto “pop out”
cioè “saltano fuori”, si fanno notare. E non solo si scorgono quasi istantaneamente in mezzo alle altre, ma si
possono anche mettere insieme mentalmente in modo che formino un piano o un gruppo separato. Se lo si
fa, si vede subito che il gruppo di linee inclinate delinea la forma generale di una X. Analogamente, nella
figura 2 i punti neri sparsi tra quelli grigi saltano fuori vividamente e delineano la forma generale di un
triangolo. Nella figura 3 invece le T sparse tra le L non producono lo stesso effetto “pop out” nonostante
differiscano tra loro, per riconoscerle dovremmo impegnarci in un esame oggetto per oggetto.
Possiamo quindi concludere che solo certe caratteristiche percettive “primitive” o elementari, come il colore
e l’orientamento della linea, forniscono la base per il raggruppamento e il pop out. Segni percettivi più
complessi come lettere o numeri non lo fanno, per quanto differenti gli uni dagli altri. Anche perché il nostro
cervello è progettato per raggruppare o isolare caratteristiche percettive di livello inferiore (cioè dei primi
stadi dell’elaborazione visiva) per vedere se equivalgono a qualcosa di importante, come un leone che si
nasconde dietro una macchia screziata di fogliame verde. Se la caratteristica dà pop out e raggruppamento,
il cervello deve ricavarla all’inizio dell’elaborazione sensoriale; se pop out e raggruppamento sono silenti o
assenti, nella rappresentazione degli oggetti in questione dev’essere per forza coinvolta un elaborazione
sensoriale di ordine superiore o addirittura concettuale. I principali tratti che distinguono nella nostra mente
le T e le L allora sono fattori linguistici e concettuali. Tornando a Mirabelle, Ramachandran ideò uno schema
simile a quello della figura 4: una selva di 5 con pochi 2 sparsi al suo interno. Poiché il 5 è solo un’immagine
speculare del 2, tali numeri sono costituiti da segni identici: due linee verticali e tre orizzontali. Quando
guardiamo l’immagine è evidente che non c’è alcun effetto pop out: individuiamo i 2 solo esaminandoli a uno
a uno. E non si distingue facilmente la forma globale (un grande triangolo) raggruppando mentalmente i 2, i
quali non si separano dallo sfondo. Anche se riusciamo a dedurre logicamente che i 2 formano un triangolo
non lo vediamo come nella figura 5. Che cosa succederebbe se mostrassimo la figura 4 a un sinesteta che
afferma di esperire i 2 come rossi e i 5 come verdi? Se lei si limitasse solo a pensare al rosso (e al verde), non
vedrebbe immediatamente il triangolo; se invece la sinestesia fosse davvero un effetto sensoriale di livello
inferiore, lei potrebbe vedere letteralmente il triangolo nel modo in cui noi lo vediamo nella figura 5.
Mirabelle infatti posta davanti a schemi simili a quello della figura 4 riusciva immediatamente ad identificare
correttamente la forma, come se i numeri fossero colorati in modo diverso! I colori indotti sinesteticamente
erano altrettanto efficaci dei colori veri così da permettere di individuare e descrivere la figura globale.
(Questo risultato di base, ossia che i 2 vengono separati dai 5 più in fretta dai sinesteti che dai non sinesteti,
è stato confermato da altri scienziati, soprattutto Randolph Blake e Jamie Ward). Questo esperimento
fornisce la prova inconfutabile che i colori indotti di Mirabelle erano autenticamente sensoriali. Lei non aveva
alcun modo di barare e non era possibile che la sua capacità fosse originata da ricordi infantili o da qualcuna
delle altre spiegazioni alternative che erano state ipotizzate.
Per la prima volta, dall’epoca di Francis Galton, Hubbard e Ramachandran con i loro esperimenti avevano
avuto la prova che la sinestesia è un fenomeno sensoriale autentico, prova che era sfuggita ai ricercatori per
oltre un secolo.
Perché esiste?
Prendendo in analisi la sinestesia numero-colore che sembrava essere la più comune, Ramachandran scoprì
che l’area V4 nel giro fusiforme dei lobi temporali (che è uno dei principali centri del colore) e l’area in cui ha
luogo il riconoscimento visivo dei numeri sono una accanto all’altra nel giro fusiforme. Il cervello è composto
da aree specializzate che si occupano di compiti diversi. Il processo inizia quando segnali neurali provenienti
dalla retina si dirigono in un’area posteriore del cervello dove l’immagine viene classificata in base a semplici
categorie come colore, movimento, forma e profondità. Dopo di ciò le informazioni riguardanti
caratteristiche separate sono distribuite in molte regioni remote dei lobi temporali e parietali. Le regioni
specializzate possono essere organizzate in gerarchie, ciascun livello superiore assolve a compiti più
sofisticati. Anche il calcolo numerico pare avvenire a stadi: uno stadio iniziale nel giro fusiforme, dove sono
rappresentate le forme dei numeri, e uno stadio successivo nel giro angolare, che presiede a concetti
matematici come l’ordinalità (sequenza) e la cardinalità (quantità). E’ stato questo aspetto dell’anatomia
cerebrale (la stretta prossimità di colori e numeri nel cervello sia nel giro fusiforme sia vicino al giro angolare)
a far sospettare Ramachandran che la sinestesia numero-colore fosse causata da una reciproca interferenza
tra queste aree cerebrali specializzate, un “incrocio di fili” neurale.
Tale incrocio di fili poteva essere causato da una mutazione genetica, come era stato scoperto da vari
ricercatori tra cui Galton. Mutazione causata dalla mancata eliminazione di connessioni (di interferenze tra
aree del cervello) durante la crescita del feto. In quanto il pruning (processo di sfrondamento delle eccessive
connessioni presenti all’inizio nel feto) è governato dalla genetica, la sinestesia avrebbe potuto essere
causata da un pruning incompleto tra alcune aree contigue. Ma tale ipotesi fu scartata in quanto non avrebbe
giustificato il manifestarsi della sinestesia nei soggetti che usano droghe allucinogene come l’LSD. Infatti,
studiando anche la scomparsa temporanea del fenomeno durante l’uso di particolari antidepressivi (chiamati
“inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina”) venne ipotizzato che la sinestesia potesse essere
invece causata dal rafforzamento di connessioni preesistenti. Da un’ “attivazione incrociata” di varie aree,
causata dal rafforzamento o dalla perdita di inibizione di connessioni cerebrali, la cui normale funzione però
è ancora ad oggi sconosciuta.
L’ipotesi dell’attivazione incrociata è stata poi dimostrata grazie allo studio di soggetti con sinestesie di
diverso tipo e dall’uso del neuroimaging per l’analisi del cervello:
Francesca ad esempio aveva reazioni emotive forti toccando materiali qualsiasi. Tutti grazie alle mappe tattili
S1 e S2 che si attivano con il tatto riusciamo a percepire le sensazioni tattili sul nostro corpo che si originano
dal mondo esterno. E grazie all’insula riusciamo a percepire le nostre emozioni interne. L’insula inoltre invia
segnali ad altri centri cerebrali tra cui l’amigdala, il sistema nervoso autonomo e la corteccia orbitofrontale.
Nelle persone normali questi circuiti si attivano quando tocchiamo oggetti emozionalmente carichi (es. feci
o persona amata). In Francesca se le connessioni che collegano S2, insula, amigdala e corteccia orbito frontale
fossero rinforzate ci si aspetterebbero proprio quelle complesse emozioni tattili che prova.
Furono poi scoperte altre forme di sinestesia, ad alcune persone i giorni della settimana, i mesi dell’anno o i
suoni evocavano colori. Allora si suppose che alcuni tipi di sinestesia potessero riguardare anche il giro
angolare, il grande raccordo in cui le informazioni tattili, acustiche e visive fluiscono insieme per consentire
la costruzione di percetti di livello superiore. Il giro angolare è un grande centro cerebrale di convergenza e
integrazione sensoriale di tipo superiore. E’ ad esempio coinvolto nell’elaborazione del colore e nelle
sequenze numeriche. Se quindi il giro angolare è anch’esso coinvolto nelle connessioni anomale che causano
la sinestesia si spiega perché può essere causata sia da un concetto astratto che da un aspetto visivo. Questa
ipotesi delle connessioni reciproche tra aree cerebrali fu poi dimostrata attraverso il neuroimaging da
Ramachandran, Geoff Boynton (Salk Institute for Biological Studies di San Diego) e in Olanda da Romke Rouw
e Steven Sholte che hanno scoperto che nei sinesteti “inferiori” gli assoni (fili) che collegavano V4 con l’area
dei grafemi erano molto più numerosi che nella popolazione generale e hanno rilevato nei sinesteti
“superiori” un maggior numero di fibre nell’area generalmente vicina al giro angolare. Un ulteriore
dimostrazione di quello che era stato ipotizzato da Ramachandran e Hubbard.
Perché la sinestesia non è stata eliminata con l’evoluzione?
Ramachandran per rispondere a questa domanda ha dovuto analizzare il collegamento che la sinestesia
sembra avere con la creatività. Tra artisti, poeti, scrittori, musicisti sembra esserci una percentuale alta di
sinesteti (secondo una ricerca uno su tre). Vasilij Kandinskij, Jackson Pollock, Nabokov per esempio lo erano
e Arthur Rimbaud scrisse la poesia “Vocali” che inizia così: A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,…
Ciò che hanno in comune alcuni tipi di artisti è l’uso della metafora, che consiste nel collegare in modo non
arbitrario regni concettuali apparentemente non correlati (mentre la sinestesia consiste nel collegare in
modo arbitrario entità percettive apparentemente non correlate). Le idee e i concetti esistono sotto forma
di mappe cerebrali, quindi un eccesso di connessioni tra differenti aree cerebrali potrebbe condurre sia alla
sinestesia sia ad una potenziata capacità di collegare concetti, parole, immagini o idee apparentemente non
correlati. Gli scrittori e i poeti forse hanno connessioni in eccesso tra le aree della parola e del linguaggio; i
pittori e i disegnatori hanno forse connessioni in eccesso tra aree visive di livello superiore. Gli artisti così
sarebbero più abili nella metafora perché sinesteti. La sinestesia quindi predispone semplicemente una
persona alla creatività ma anche altri fattori sia genetici che ambientali possono essere coinvolti
nell’espressione delle facoltà creative.
Così i geni che portano ad un rafforzamento dell’attivazione incrociata tra aree cerebrali sono stati
vantaggiosi, in quanto ci hanno reso una specie creativa. Certe varianti o combinazioni insolite di tali geni
potrebbero avere l’effetto collaterale benigno di produrre la sinestesia, così l’umanità trarrebbe beneficio
dal mantenere tali geni nel pool genico nonostante la loro natura anomala, come avviene per la malaria o
per l’anemia falciforme. Questa è l’unica ipotesi avanzata fino ad oggi.
Inoltre e in ultimo la sinestesia e in particolare l’esistenza di forme “superiori” della stessa (connesse a
concetti astratti piuttosto che a qualità sensoriali concrete) può aiutarci a comprendere alcuni dei processi
di pensiero di livello superiore di cui solo gli esseri umani sono capaci, come la matematica, la più elevata
delle nostre facoltà mentali. I matematici infatti spesso dicono di vedere i numeri nello spazio, disposti in
modo anomalo, lungo linee tortuose nella loro mente. Questi sono i sinesteti numero-spazio. Ramachandran
attraverso test mnemonici dimostrò che l’immagine delle linee numeriche rimane invariata in tali soggetti
anche a distanza di mesi e che quindi è un fenomeno reale. Questo tipo di sinesteti ha dichiarato che la forma
delle linee influenzava la loro capacità di fare operazioni aritmetiche (in particolare la sottrazione e la
divisione ma non la moltiplicazione, che è imparata a memoria) e che queste erano più difficili in zone
convolute della linea che in tratti diritti. Altri affermano di poter vedere relazioni nascoste tra i numeri, che
a noi umani meno dotati sfuggono. In questo caso il giro angolare sinistro potrebbe presiedere alla
rappresentazione dell’ ordinalità, mentre il giro angolare destro potrebbe essere specializzato nella quantità.
Una mutazione del giro angolare sinistro potrebbe portare alla formazione di una linea convoluta come quella
dei sinesteti numero-spazio, soggetti quindi predisposti a quella facoltà così umana che è la matematica.
Anche altri tipi di sequenze come i mesi e le settimane sono ospitati nel giro angolare sinistro e quindi anche
la loro rappresentazione nel cervello potrebbe assumere un’immagine associata personale e particolare, nei
sinesteti spazio-temporali.
In conclusione gli studi sulla sinestesia ci forniscono preziose informazioni sul funzionamento del nostro
complesso cervello. Infatti il cervello umano è uguale a quello dei primati (da cui deriviamo) ma ci sono alcune
regioni cerebrali dell’encefalo, che si sono evolute in modo unico e radicale a livello funzionale e cognitivo.
Quando avremo chiaro il suo complesso funzionamento e la sua evoluzione potremo rispondere alla
domanda: Perché solo l’uomo ha almeno tre caratteristiche che lo rendono unico? L’autocoscienza, il
linguaggio, la creatività. La scoperta delle attivazioni incrociate ,che sono alla base della sinestesia, ci ha
aiutato e ci aiuterà ad ipotizzare risposte per questi quesiti.
FIGURA 1
FIGURA 2
FIGURA 3
FIGURA 4
FIGURA 5
BIBLIOGRAFIA:
“L’uomo che credeva di essere morto” Vilayanur S. Ramachandran 2015, oscar mondadori
http://www.scholarpedia.org/article/Synesthesia
http://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.1001205
http://www.synesthesiatest.org/causes-of-synesthesia
http://www.thefrugalgirl.com/2014/10/spatial-sequence-synesthesia/
http://www.focus.it/cultura/la-sinestesia-puo-essere-appresa