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DONNE IN MUSICA
Sguardo retrospettivo
Almeno fino agli anni Settanta del secolo scorso (si può prendere, come data di comodo, il '68 e
la nascita del movimento femminista), la donna ha vissuto al di sotto delle proprie capacità,
vivendo in una sorta di limbo del proprio operare, con quel complesso di Cenerentola ch'è un
insieme di desideri repressi che instaura un inconscio senso d'inferiorità, il quale crea il senso
di dipendenza, il crollo delle ambizioni, una situazione conflittuale di paura e il conseguente
desiderio di essere salvate: tutto ciò in arte sta a significare necessità di riferirsi al fare
maschile, emulandolo, e prendere i prodotti di questo operare a modello per le proprie attività
creative. Fino a pochi decenni fa, alle donne è stata negata perfino l'istruzione in quanto,
quando si avvicinavano al lavoro artistico questo doveva rimane sempre a livello di hobby, era
costretto a restare confinato nell'incertezza del dilettantismo: fare arte andava e va bene se è
segno di buona educazione e di civiltà, non era e non è ammesso che all'arte si dedichi la vita,
né che con l'arte si possa vivere, se ne possa fare una professione, perché intraprendere il
lavoro artistico professionalmente vorrebbe dire cercare l'indipendenza, quell'emancipazione,
autodeterminazione e libertà che il mondo al maschile nega pro domo sua. In musica, il caso
più drammatico di esclusione dallo studio e dal mestiere ha riguardato l'ambito della
composizione, per tradizione millenaria tesaurizzato dalla mente speculativa dell'uomo. Le
compositrici che hanno intrapreso la carriera prima degli anni Settanta hanno incontrato
molte difficoltà: "c'era molta diffidenza" - dice Ima Ravinale, che ha studiato con Petrassi e che
poi diverrà la prima direttrice di Conservatorio - e le fa eco Teresa Procaccini, che otterrà una
Cattedra di composizione: "ci sono stati molti personaggi che mi hanno osteggiata", mentre
Teresa Rampazzi, grande esperta di musica elettronica, afferma che "la competitività dei
maschi l'ho sentita molto. La musica richiede anche uno studio di tipo scientifico e per loro la
donna era inadeguata" (1).
L'isolamento domestico e l'angustia dell'esperienza sociale vengono spezzati, storicamente,
solo in occasioni rare, risultano una devianza rispetto alla ratio maschile, come dice
Bathsheba: "ho le emozioni di una donna, ma solo le parole degli uomini." Le eccezioni sono
talmente poche che, almeno fino al Novecento, possiamo citare tutte quelle di rilievo. Nel
Medioevo santa Ita Killeed (vissuta fra la fine del V e l'inizio del VI secolo) raccolse Inni,
mentre santa Hildegarda von Bingen (1098-1179) scrisse Messe, Inni, Responsori e addirittura
una Sacra Rappresentazione, le sue musiche hanno anche punti di contatto con la futura
musica dei Minnesanger. Ci furono donne fra i Trovatori, come Beatrix da Dia, ed è noto che
alcune sapevano suonare strumenti a plettro o a fiato. Ma l'impossessarsi dello strumento,
come delle macchine in genere, era un campo di applicazione in cui la donna molto raramente
si poteva cimentare. Nell'ambiente nobiliare il fare musica costituiva un segno di raffinatezza,
ricordiamo: Anna Bolena (moglie di Enrico VIII, studiò con maestri francesi), Magdalena
Casulana di Mezarii (liutista e autrice di Madrigali, il poeta Molino la ricorda con lusinghiere
parole, citate nell'epigrafe di questo articolo), Leonora Orsini (autrice della nota Canzone
Pianto per la mia carne) e ancora Maria Stuarda, Margherita d'Austria, Anna Amalia von
Sachsen Weimar, Anna Amalie di Prussia, Maria Antonietta Walpurgis von Sachsen, scrissero
musiche per una o due voci con accompagnamento strumentale, qualche brano corale e perfino
delle Opere, come la von Sachsen che compose Il triofo della Fedeltà e Talestri, regina delle
Amazzoni. A proposito di Melodramma, una statura superiore, forse la prima vera musicista
della storia, assume Francesca Caccini detta "la Caccina", figlia del grande Giulio Caccini e
interprete autorevole dei primi Melodrammi della Camerata fiorentina, ai primi del Seicento.
Vanno inoltre almeno menzionate suor Isabella Leonarda di Bologna (autrice di musica sacra,
ma anche di Sonate strumentali), e, più tardi, la violinista Maddalina Lombardi e Margarethe
Danzi (che compose Sonate per violino e pianoforte). Sarà proprio col pianoforte ottocentesco
che entrarono in scena illustri interpreti che composero brani pianistici o da camera. Fra tutte
Clara Schumann (moglie di Robert, una delle prime pianiste ad ottenere un successo
internazionale), e poi Fanny Mendelsshon (sorella di Felix), Maria Szymanowska (ammirata da
Goethe e da Pushkin), Cibbini Kozeluch, Adelina Patti, Teresa Carreno, Cécile Chaminade,
Teresa del Riego e altre. Adolpha le Beau ed Ethel Mary Smythe furono compositrici di cicli di
Lieder e di Opere teatrali, mentre Maria Teresa Agnesi e Maria Teresa von Paradies composero
anche lavori orchestrali. Alma Maria Schindler fu la moglie di Mahler (che non si dimostrò mai
benevolo nei suoi confronti), mentre Lucie Vellère fu la caposcuola delle compositrici belghe.
Dal Novecento il numero aumenta considerevolmente e, in molti casi, aumenta anche la
qualità delle musiche scritte dalle donne. Nella musica liturgica cattolica la donna non poteva
cantare (nella Riforma luterana invece le si concesse d'intonare i Corali), la si sostituiva con i
pueri (le voci bianche dei bambini), con i falsettisti (uomini che cantano in falsetto, riuscendo
così a intonare note acute) e perfino con i castrati, una pratica che iniziò dalla Spagna
cinquecentesca per poi passare a Napoli e da qui a Roma e in tutta Europa, coinvolgendo il
Melodramma, dove la voce strana del castrato meravigliava e stupiva, seguendo i criteri
dell'estetica barocca. Nell'Opera teatrale però anche la donna aveva un ruolo prioritario (si crea
il mito della "primadonna") e, dal Rinascimento in poi (all'inizio in Francia, quindi in Italia e
nell'intera Europa) anche le ballerine erano molto ricercate. Il Cristianesimo aveva associato la
danza all'erotismo e alla perdizione della carne, ma con il sopraggiungere della cultura laica
delle Corti, il balletto divennne uno spettacolo assai apprezzato. Forse è il primo genere in cui
la donna riuscì a dar sfoggio del suo narcisismo, il "pezzo di bravura" divenne sempre più
richiesto, fino a quello delle "dive" romantiche (Maria Taglioni, Carlotta Grisi, Fanny Elsler,
Maria Cerrutti ecc.) che inventarono la danza sulle punte, dove la donna deve esaltare le doti di
leggerezza e di grazia, sembrare una libellula, lontana dalla realtà, in un mondo di sogni. Più
difficile trovare donne nell'ambito della musica strumentale, anche se sappiamo che alcune
erano presenti negli organici delle orchestre del Sei-Settecento. Dalla fine dell'Ottocento la
situazione migliora e sempre più la presenza femminile si fa notare, anche in campo solistico
(come abbiamo accennato per il pianoforte, ma anche per altri strumenti come l'arpa, il
violino, il flauto).
In ambito popolare le notizie sono scarse, com'è noto, la musica si trasmette per via orale e
dunque poco sappiamo delle testimonianze storiche, però è certo che, ieri come oggi, la
tradizione popolare si affida alla voce maschile per i canti sociali, politici, per il cantar storie,
per i canti d'amore, a ballo e di taverna. Nei canti della tradizione contadina e operaria, quando
si parla delle donne, esse vengono riferite ai loro uomini. La donna si aggrega solo nei canti sul
lavoro (celebri quelli delle mondine), in chiesa e, comunque, nei canti religiosi non liturgici
(come quelli processionali) oppure alla voce femminile spetta il compito dell'educazione dei
bimbi con canti e giochi per la gioventù e ninne-nanne (che spesso hanno una funzione di
sfogo: la donna alla sera, stanca, si siede un attimo per far addormentare il bambino e apre il
suo cuore ai sogni e ai bisogni, per questa ragione le ninne-nanne sono spesso melanconiche).
Nel tarantismo la donna esterna i più scottanti conflitti personali. Musicalmente, gli schemi
che poi verranno variati infinite volte, da zona a zona, di generazione in genrazione, sono
patrimonio maschile.
Le compositrici italiane attuali
Entrando nel periodo recente, il nome più importante, che ha costituito una sorta di punto di
riferimento per le generazioni successive, è quello i Germaine Tailleferre che fece parte del
Group de Six, un importante movimento dei primi decenni del Novecento della cultura
francese. Ma ancora in tutta la prima metà del secolo scorso, era considerato indecoroso per
una donna comporre musica e presentarla in pubblico (per questo, per esempio, la citata
Fanny Mendelsshon pubblicò i suoi Lieder col nome del fratello). Qualche donna iniziò anche a
insegnare musica, ma sarà soltanto dal secondo dopo-guerra in poi che la donna, fra mille
difficoltà, si potrà affermare nel campo musicale.
In Italia ci sono quattro donne, tutte nate negli anni Trenta, che costituiscono il primo
tentativo di affermazione della composizione al femminile: Barbara Giuranna (Palermo 1933),
che ha studiato con Ghedini e ha poi insegnasto composizione al Conservatorio di Roma,
autrice di musiche pianistiche e strumentali, ha anche scritto per il teatro e vinto numerosi
premi; Biancamaria Furgeri (Rovigo 1935), insegnante al Conservatorio di Bologna e autrice di
razza; le già citate Teresa Procaccini (Foggia 1934) e Irma Ravinale (Napoli 1937, da notare che
tre su quattro provengono dal Sud). Prima di loro da menzionare Matilde Capuis, napoletana
ma diplomata a Firenze, poi insegnante al Conservatorio di Milano, anche pianista concertista.
Hanno tutte sofferto di appartenere a generazioni di mezzo, operanti cioè in quei decenni nei
quali la figura della musicista doveva ancora sprecare molte energie per la sua sopravvivenza e
per la lotta per la pari dignità, piuttosto che per la creazione artistica. "I miei genitori ci
tenevano che apprendessi un'educazione musicale" - dice la Ravinale - "ma senza che questa
diventasse una professione." Queste compositrici, che provengono da classi borghesi medioalte, si sono avviate alla musica in famiglia, aiutate spesso da qualche amica, hanno poi
adeguato il lavoro musicale a quello casalingo, magari svolgendo anche un altro lavoro parttime, e al ruolo della moglie e madre, solo dagli anni Settanta lo studio delle compositrici è
diventato, fin dalle iniziali motivazioni, legato alla professione (diverso è il caso delle cantanti e
delle ballerine che, come abbiamo visto, si sono storicamente emancipate assai prima, ma
differente è anche quello delle strumentiste legate a un lavoro più pratico e funzionale che non
va a toccare i principi della ratio maschile come la composizione). "Mio padre non era
d'accordo che lasciassi gli studi magistrali, fu mia madre che s'impuntò per farmi studiare
anche la musica", dichiara la Furgeri. La stessa cosa dice la Capuis: "ho studiato privatamente
perché i miei genitori non volevano che mi dedicassi agli studi musicali ed ho lavorato per
mantenermi le lezioni".
Per gli ultimi decenni, Patricia Adkins Chiti, la più accanita ricognitrice delle donne in musica,
ha calcolato diverse centinaia di compositrice operanti. Dalla prima Rassegna mondiale di
donne compositrici, organizzata a Roma, per l'8 Marzo del 1980, la Chiti ha iniziato un lungo
lavoro di ricerca e di riproposizione dei lavori composti dalle donne, in ogni epoca e in ogni
nazione. Il 1980 è anno importante perché vede la fondazione in Germania del Centro
Internazionale "Frau und Musik" e, ancora, a Colonia, del primo festival tedesco di musiche
femminili. Rassegne che si svolsero, l'anno seguente, pure a Vienna e New York. Sempre in
questi anni la Casa editrice londinese Greenwood pubblicava tre volumi sulla problematica
delle donne compositrici (2), dando vita a un processo di divulgazione e di approfondimento
della tematica che, negli anni Ottanta, verrà affrontata in varie manifestazioni, Festival, Riviste
generiche e specializzate, arrivando, infine nel decennio successivo, a una reale e attiva
presenza delle donne nei vari settori dell'insegnamento, della creazione e della diffusione della
composizione (3).
Paola Ciarlantini
I compositori di oggi si esprimono con un tratto impeccabile, una scrittura that works, che
funziona! Però a questa creative writing, pur professionale (e spesso professorale), manca la
necessità interiore, infatti diventa sempre più difficile, soprattutto dagli anni Ottanta in avanti,
ascoltare brani che sono stati scritti perché dovevano nascere, perché era un imperativo
scriverli, pezzi composti in stato di bisogno spirituale. Dopo tanto parlare di professionalità,
sarebbe ora di parlare dell'appiattimento che tale professionalità ha comportato, della
normalizzazione verso il déjà vu, del perbenismo linguistico, della banalizzazione del prodotto
ben confezionato che tale approccio "politicamente corretto" ha (avuto) per conseguenza. C'è
chi è riuscito ad andar oltre i limiti della pagina bella e a trascendere il proprio jackstrap, per
approdare a una scrittura idiosincratica, parodica, bizzarra, ludica, onirica, non funzionale alla
flaubertiana "parola giusta", anzi stupendamente "ingiusta", eccedente il luogo comune,
innovativa, indipendente dalle strade maestre e originale nella tecnica e nell'espressione. In un
primo momento, le donne non sono state fra coloro che hanno percorso strade dalla tecnica
dolce e dalla comunicazione partecipata e profonda, perché molte di loro hanno avuto bisogno
di ancorarsi alla tecnica e al pensiero forte, per parificarsi a quello maschile. Il caso di Marcella
Mandanici (1958) è, in tal senso, esemplare. Mentre la prima che ha conquistato uno status
mentale e operativo, emancipato da quello imperante (anche se, per ovvie ragioni culturali, pur
sempre in relazione ai procedimenti tecnici imparati dalla ratio maschile), è Ada Gentile
(1947), nota a livello internazionale, in possesso di una scrittura in filigrana, ricca di giochi
timbrici, ben formata e delicatamente comunicativa (www.adagentile.it), vedi intervista più
sotto.
Roberta Silvestrini
Le compositrici più interessanti dell'attuale panorama della musica italiana sono molte, ne
citeremo alcune, pur sapendo che lo scopo non è quello di dar conto dei tanti nomi, ma di
informare su una situazione in movimento, oggi concretamente parificata a quella dei colleghi
maschi, sia nel campo dell'insegnamento, sia in quello dell'organizzazione culturale, sia in
quello squisitamente compositivo. Nell'anno scolastico 1979-80, nei Conservatori, su un totale
di poco più di cento studenti maschi che frequentavano il Corso superiore di composizione,
solo 6 erano le femmine! Quindi in quasi tutti i Conservatori non esisteva alcuna allieva che
frequentasse la classe di composizione! Ora la situazione è ben diversa. Alcune musiciste
hanno anche dei ruoli istituzionali importanti (Ada Gentile), altre dirigono delle Rassegne
(Roberta Silvestrini, vedi in questo sito il file "Autori"), altre ancora sono attive su più fronti,
oltre a quello della composizione, su quello musicologico (Paola Ciarlantini), su quello della
musica da film (Stefania Spadini), su quello concertistico (Cristina Landuzzi, Sara Torquati,
Gisella Frontero, Francesca Virgili, Loredana Totò e molte altre). E ancora, almeno da citare:
Silvia Bianchera (vedi il saggio L'alleanza delle arti), Sonia Bo, autrice di grande spessore;
Spalletti, Magnan, Simonini, Di Lotti, Benati, Campodonico, Rettagliati, Zen, Terreni,
Rocchetti (4) e Cristina Landuzzi, nella cui musica costrutto rigoroso ed espressività si esaltano
a vicenda.
Elisabetta Brusa
Elisabetta Brusa (www.elisabettabrusa.it) ha studiato, come la Bianchera, con Bettinelli ed è
attratta da uno stile neo-tonale con inflessioni minimaliste (come nella Sinfonia Nittemero del
1988) che si amalgamano a tecniche contrappuntistiche (come in Adagio del 1996). Il suo
terreno privilegiato è l'orchestra, spesso piegata a un delizioso descrittivismo (come in Favole
del 1983) e comunque ispirata a eventi (Firelights del 1993), personaggi (Florestan da
Schumann del 1997), capolavori letterari (Messidor del 1998) e a tipici stilemi musicali
(Requiescat del 1994 e altro), il tutto espresso con felicità inventiva, giochi timbrici e una
spiccata predisposizione alla trasfigurazione fantasmagorica.
Il segnale che l'emancipazione è stata compiuta, nei suoi tratti generali, è quello che, molto
spesso, le musiciste rifiutano di farsi incasellare nella tematica delle "donne", volendo porre
l'accento esclusivamente sul loro lavoro, ciò non toglie che questo (parziale) raggiungimento
della parificazione è sentito dalle nostre musiciste, in un ambiente colto e specializzato, ma in
altre situazioni i problemi relativi al riconoscimento pubblico del lavoro delle donne è assai più
problematico e relativo. Nell'ambiente della musica leggera, per esempio, la donna cantante
(più raramente strumentista) continua a fare da comparsa e le canzoni proseguono
imperterrite a presentare la donna come oggetto, come bambolina, o comunque con nomi e
aggettivi cari all'immaginario virile e anche quando è la donna che canta l'uomo sembra farlo
adeguandosi all'andazzo maschile, assumendone troppo spesso gesti e modi. Infine, nei canti
dei movimenti di liberazione della donna (nati dal Femminismo in poi), emerge sì una maniera
autonoma, ma solo nei testi, in quanto la musica ripresenta schemi usurati: "riproporre con
una stressa musica altri messaggi è un'operazione che tecnicamente prede il nome di
travestimento, il che è alquanto significativo" (5) di una fatica riuscita a metà. Potremmo
concludere, in sintesi, che c'è ancora molto da fare perché, se è vero che nell'ambiente della
musica d'arte, la donna non incontra certo più le difficoltà di una volta, è altrettanto vero che,
in ambienti meno evoluti, da quello popolare a quello dei mass media, da quello politico a
quello mercificato, la donna svolge ancora (più o meno inconsciamente) un ruolo subalterno o,
comunque, non pienamente consapevole di tutti i meccanismi sociali e culturali che possono
tenerla a latere di quella che continua a essere, per molti aspetti, la cultura dominante di una
musica tutta al maschile.
Ada Gentile
Testimonianza di Ada Gentile
raccolta da Fiorella Miracola
"Il mio primo approccio con la musica l'ho avuto sin dall'infanzia. Sono l'ultima di 10 figli; mio
padre suonava la cornetta e così a 4 anni mi ha messo davanti ad un pianoforte ed ho iniziato a
suonarlo con l'aiuto dei miei fratelli che suonavano vari strumenti come la chitarra, il
mandolino e la fisarmonica. Tutta la mia famiglia ha perciò favorito la mia inclinazione
musicale. Terminata la scuola media, mio padre mi ha iscritto a Ragioneria ma, dopo pochi
mesi, si è reso conto che questi studi non erano fatti per me e che perciò conveniva farmi
studiare musica e così mi ha iscritto al Conservatorio di S. Cecilia. Ho voluto prendere il
diploma di pianoforte al Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli perché lì c'era il Maestro
Vitale, un famoso didatta di cui ero una grande estimatrice per i risultati che aveva conseguito
con i suoi allievi. Dopo questo primo diploma ho continuato gli studi a S. Cecilia conseguendo
anche il secondo diploma, di composizione, e concludendo il ciclo formativo all'Accademia
Nazionale S.Cecilia frequentando il Corso di Perfezionamento di Composizione tenuto da
Goffredo Petrassi. Sono stata fortunata per la formazione musicale ricevuta durante i miei
studi. Al Conservatorio S. Cecilia ho avuto docenti molto validi, mi sono diplomata con
musicisti di altissimo livello ed ho avuto la fortuna di frequentare l'ultimo dei Corsi di
Perfezionamento di Composizione tenuto a Roma dal Petrassi, uno dei più grandi compositori
italiani del ‘900. Non ho avuto compagne di corso al corso di Composizione; io ero l'unica
donna ma non ne ho risentito affatto, anzi ero benvoluta e coccolata da tutti i miei colleghi
maschi. Dei miei colleghi di corso nessuno ha ottenuto risultati eclatanti come compositore;
alcuni, invece, si sono affermati come Direttori Artistici di Enti o Istituzioni musicali. Non ho
subito alcun trauma dal fatto di essere donna all'interno del Conservatorio, anche se avevo solo
colleghi dell'altro sesso. Dopo il diploma di pianoforte ho fatto varie domande per insegnare in
Conservatorio e sono risultata “idonea” al Conservatorio di Trieste dove mi ero esibita come
pianista e dove il Direttore (Orazio Fiume) aveva apprezzato molto la mia tecnica. Ho così
iniziato subito ad insegnare pianoforte in quel Conservatorio dove sono rimasta per due anni.
In seguito ho chiesto ed ottenuto il trasferimento al Conservatorio di Frosinone in quanto ero
sposata nel frattempo e mio marito lavorava a Roma. Dopo 5 anni, infine sono approdata al
Conservatorio S. Cecilia di Roma dove, per mia precisa scelta, insegno Pianoforte
complementare. Una volta conseguito il mio secondo diploma (in composizione) ho avuto un
periodo di due anni molto difficile in cui ho studiato molte partiture di autori classici e
contemporanei. Questo periodo di studio e riflessione mi è stato molto utile per l'inizio della
professione di compositrice che non è stato facile. Fortunatamente nel 1982 ho vinto il
“Gaudeamus” di Amsterdam e subito dopo mi sono affermata in altri Concorsi Nazionali di
Composizione (Terni, Imperia, Sanremo) così la strada mi è stata agevolata parecchio anche
perché sono entrata a far parte della Casa Editrice Ricordi.
Non c'è mai stata competitività con i maschi anzi, in alcune occasioni sono stata preferita a
loro.Non sono mai stata oggetto di diffidenza: a qualcuno che non mi conosceva presentavo le
mie partiture e così si rendevano conto di ciò che sapevo fare. Ho saputo conciliare facilmente
la mia vita privata con quella professionale perché mio marito mi ha sempre aiutato nel mio
lavoro facendomi anche da segretario, interprete ed autista. Ho potuto seguire così le mie
esecuzioni più importanti in Italia ed all'estero; l'unico problema che ho è quello del mio
piccolo persiano nero (Giogiò) che non sopporta di stare troppi giorni da solo quando
viaggiamo! Io non ho figli e ciò mi ha agevolato molto nella mia carriera.
Quando scrivo un pezzo non ho in mente alcun pubblico particolare: l'unica eccezione è stata
quella di qualche mese fa quando l'Accademia Nazionale S.Cecilia mi ha commissionato
un'opera per le scuole da inserire nella sua programmazione. Ho così pensato di scrivere un
“musical” sulla vita di Nerone con scopo divulgativo ma anche con il desiderio di coinvolgere i
giovani e farli divertire. Ne è venuto fuori un divertissment con contaminazioni pop e rock che
ha avuto un enorme successo, con 2 recite al Parco della Musica (Sala Petrassi) che hanno visto
il “tutto esaurito” il 14 e 15 marzo scorso. In generale, però, quando scrivo penso solo ad
esternare ciò che provo in quel momento: se poi il mio lavoro viene accolto bene dal pubblico
ciò non può che rallegrarmi ma non faccio come molti miei colleghi che scrivono solo in
funzione del pubblico e che, per ottenerne il consenso, spesso snaturano la loro creatività. La
mia professione mi piace molto perché dà libero sfogo alla creatività che è in ciascuno di noi.
L'unica cosa che non mi piace è la mancanza di “ricerca” dovuta al fatto che da alcuni anni
molti miei colleghi ricercano solo il consenso del pubblico e non esplorano più nuove vie come
accadeva negli anni '70 - '80."
Intervista di Fiorella Miracola a
Elisabetta Capurso
“Ho avuto sempre una spiccata vocazione per la musica. Da piccola andavo alla messa del
fanciullo e mi collocavo estasiata sotto l'organo e dimenticavo di tornare dalla mia famiglia,
dove tutti praticavano uno strumento musicale, dal nonno in avanti. I miei mi hanno iscritta al
Conservatorio di Padova, dove allora la mia famiglia aveva residenza. Sono stata allieva di
Carlo Vidusso per il pianoforte e di Domenico Guaccero per la composizione, a Roma, dove
intanto mi ero trasferita per seguire studi di perfezionamento.”
Che tipo di valutazione da oggi alla formazione ricevuta?
Positiva, estremamente, per la carriera professionale e per una forma mentis generale che
applico alla vita e a tutte le sue manifestazioni. Un modo di vivere…”
Può parlare del suo essere donna all'interno del Conservatorio?
“La difficoltà non è l'essere donna, ma è nella propria posizione politica /sindacale. Ad ogni
modo l'invidia c'è, purtroppo. In un paese come l'Italia le difficoltà sono relative alla pochezza
dei mezzi economici, all'esistenza di lobby di potere, al censo. Ma anche al non essere noi
donne al potere all'interno delle Istituzioni, quando impareremo a lottare per questo e a usare
del potere nel senso giusto, naturalmente, a cambiare il corso delle cose allora penso che sarà
tutto più facile. La competitività con i maschi c'è, a mio avviso, specialmente in quegli aspetti
della vita musicale che ti pongono molto in primo piano.. la direzione d'orchestra, per esempio:
ancora oggi io vengo ricordata come ‘quella che dirigeva l'orchestra', ( da studente).”
Quando compone musica ha in mente un pubblico particolare a cui rivolgersi?
“No, scrivo per l'esigenza di scrivere e l'urgenza di definire un' ‘idea' in suono.”
In quanto donna si pone il problema di comunicare con le altre donne?
“Mi piace parlare con loro di problematiche comuni: la libertà, di pensiero di idee, di
comportamento nella società.”
Esiste un modo femminile di fare musica?
“Assolutamente no, e non dobbiamo cadere nella rete..."
Intervista di Fiorella Miracola a Nelly
Li Puma
Com'è avvenuto il primo approccio con la musica ?
“Non so cosa si possa esattamente definire "primo approccio", essendo l'udito il primo (o uno
dei primi) organi che si sviluppano nell'embrione umano! Ho naturalmente dei ricordi vaghi e
belli come l'ascoltare tanta musica popolare seduta in braccio al nonno paterno o ascoltare la
Suora che suonava il pianoforte all'asilo. Fino al momento decisivo che fu lo strimpellare ad
orecchio su un pianoforte, nella scuola media che mia sorella frequentava, le canzoni che lei
imparava durante l'ora di educazione musicale e che si divertiva a canticchiare ovunque. La sua
insegnante di musica (mia futura insegnante di pianoforte) mi sentì e disse ai miei genitori che
avrei dovuto studiare pianoforte. Mio padre amava il Jazz. La sua preziosissima collezione di
LP, comprati in America, sono stati il mio primo ricchissimo e vario nutrimento musicale. Una
cosa interessante che mi piacerebbe raccontare é che allora, ai tempi di mio padre, i generi
musicali non erano così severamente divisi come adesso. Così su uno stesso LP si poteva
ascoltare una canzone di Din Martin e dopo il Preludio in Do# min. di Rachmaninoff suonato
da Rachmaninoff stesso, seguito da un Benny Goodman e poi ancora un movimento della
“Renana” di Schumann. Adesso, quando si va ad acquistare un CD, si va per reparti, e questo
crea ancora più ignoranza e scetticismo nei confronti soprattutto della musica cosiddetta
"classica". L'approccio alla musica é sempre più specifico e selettivo. Spesso, soprattutto in
Italia, mi capita di sentir dire "non mi piace la musica classica" a persone che non hanno mai in
vita loro ascoltato un solo pezzo in questo genere musicale! Buffo ma vero!”
Come hai deciso di continuare gli studi musicali?
“Ho spesso cercato di smettere, ma la musica per noi musicisti e' come una droga! Non
riusciamo a vivere senza! Una vita senza musica sarebbe così povera e noiosa! La musica mi dà
energia.”
Che tipo di valutazione dai oggi alla formazione ricevuta?
“Molto limitata, in Sicilia. Mi mancava il confronto e l'antitesi. Mi sono rifatta andando via!”
Puoi parlare del tuo essere donna all'interno del Conservatorio? “Avevo un'insegnante donna
misogina! Trovo molto strana e stupida la misognia delle donne! Lei era una grande artista, ma
spesso mi diceva: "perche' non sei maschio?" "Perché mammata mi volli accussiì", le
rispondevo indispettita e con orgoglio femminista!” Difficoltà? Una miriade! Per noi pianiste
poi é particolarmente frustrante, almeno che non si abbia la vocazione dell'insegnamento! Per
me insegnare in una scuola normale e' una vera tortura. Ci si trova classi di ragazze/i che, non
per colpa loro, ma vivono immersi nel rumore e di letteratura musicale proprio non vogliono
saperne, spesso per partito preso! Tutto ciò che studiamo al Conservatorio é, nella vita reale,
quella del lavoro, del guadagnarsi il pane, quasi inutile, pragmaticamente parlando! Al
Conservatorio non studiamo Jazz, non studiamo Rock, non studiamo Pop, non studiamo
improvvisazione, non studiamo musica di diverse culture mondiali. Tutto ciò viene richiesto,
almeno dove ho insegnato io, e fortunatamente, in quanto compositrice, ho mille interessi! Me
la son sempre cavata bene. Ritengo i programmi dei Conservatori totalmente inadeguati!
Anche per una concertista: molte non sanno neanche scriversi un curriculum decente e
ignorano i mille fattori importanti, di carattere puramente manageriale, che determinano il
successo di una carriera! E' difficilissimo per una compositrice riuscire a vedere i propri lavori
come "prodotti da vendere", da inserire nel mercato. Competitività con i maschi n essuna. In
Italia ho notato che la mentalità, in questo campo, e' ancora molto arretrata, ma, io vivo
all'estero ed ho intenzione di rimanerci! Un signore (insegnante di lettere), mesi fa,in Italia, mi
disse: " in Musica non bisogna essere donna"! Mi sembrò di sentir parlare il papa e tutta la sua
coorte di arroganti sputa-sentenze. Ma come si permette uno uomo, chiunque egli sia, di dire
ciò che una donna deve o non deve essere?”
Quando componi musica hai in mente un pubblico particolare a cui rivolgersi?
“Alle volte si, se si tratta di lavori composti su richiesta, per determinate occasioni. E' il caso
del mio Trio alla maniera classica , scritto appunto alla maniera "classica" per non "urtare"
l'orecchio di un pubblico molto scettico e restio ad accettare, nel programma della stagione,
musica di compositrici contemporanee.”
In quanto donna ti poni il problema di comunicare con le altre donne?
“Alle volte si e mi accorgo di quanto le donne sconoscano la propria storia scritta in musica,
parole e/o colori! Non esiste un modo femminile di fare musica. Trovo ridicola anche l'idea
visto che il nostro mezzo, il suono, ha l'immaterialità e la forza evocatrice del profumo e la
potenza penetrante dell'acqua. Il suono,così come il profumo,e' astratto, ma c'e', si sente,
pervade l'aere tutt'intorno. Lo respiriamo, alle volte consce, alle volte no, della sua forza e della
sua influenza sul nostro stato emotivo, mentale e fisico! Le mie colleghe coreane dicono che un
pianista coreano maschio suona diversamente da una pianista femmina! Chi vuole scorgere le
differenze lo faccia pure! La natura della Musica é così astratta che a me pare sciocco starne a
discutere! E' comunque tema per sociologhe/ci e non per me che son musicista!”
NOTE
1) L. Galanti, L'altra metà del rigo, Grafiche Galeati, Imola 1983.
2) A. Bliock e C. Bates, Women in American Music, Greenwood Press, Londra 1979.
C. Ammer, Unsung. A History of Woman in American Music, 1980.
J. Lang Zaimont e K. Femera, Contemporary Concert by Woman, 1981.
3) Per chiunque fosse interessato a visionare il sito della Fondazione Chiti ed
eventualmente prendere contatti riportiamo l'indirizzo internet: www.donneinmusica.org.
4) Cfr., Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei, 3 vol., 10 CD, a cura di R.
Cresti, Pagano, Napoli 2000.
5) M. Franco-Lao, Musica strega, Edizioni delle donne, Roma 1976.
Da Renzo Cresti, nella Rivista "Parole di donna", Avellino luglio 2002 e febbraio 2003
Cristina Landuzzi
A Elisabetta Brusa, Paola Ciarlantini, Ada Gentile, Cristina Landuzzi e Roberta Silvestrini