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avvenimenti N. 51 | 22 dicembre 2012 left + l’unità 2 euro (0,80+1,20) da vendersi obbligatoriamente insieme al numero di sabato 22 dicembre de l’Unità Crescita, Europa, Nord, astensionismo, tv. Ecco su cosa si gioca la partita elettorale uno dei due di S. Basso, M. Bonaccorsi, D. Coccoli, L. Mazzetti, C. Tosi settimanale left avvenimenti poste italiane spa - SPED. abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB roma - ann0 XXIv - ISSN 1594-123X inchiesta è boom messico Il ritorno mosca Salviamo di sfratti degli zapatisti il museo Majakovskij la settimanaccia 2 left.it 22 dicembre 2012 left left.it left Direttore editoriale Donatella Coccoli [email protected] Direttore responsabile Giommaria Monti [email protected] vicedirettore Manuele Bonaccorsi [email protected] caporedattore cultura e scienza Simona Maggiorelli [email protected] Redazione Via Portuense 104, 00153 - Roma Sofia Basso [email protected], Paola Mirenda [email protected], Cecilia Tosi [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] progetto grafico Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GrAFICA Gianluca Rivolta [email protected] photoeditor Arianna Catania [email protected] Editrice DElL’altritalia soc. coop. Presidente CdA: Ilaria Bonaccorsi Gardini Consiglieri: Manuele Bonaccorsi, Donatella Coccoli Via Portuense 104, 00153 - Roma Tel. 06 57289406 - Fax 06 44267008 www.left.it [email protected] pubblicità [email protected] stampa PuntoWeb srl Via Var. di Cancelliera snc 00040 - Ariccia (Rm) Distribuzione SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18, 20092 Cinisello Balsamo (MiI) Registrazione al Tribunale di Roma n. 357/88 del 13/6/88 LA TESTATA FRUISCE DEI CONTRIBUTI DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250 left 8 dicembre 2012 la nota di Ilaria Bonaccorsi Gardini e Giommaria Monti Il buco nero del carcere I l vecchio leone ha avuto ragione, ancora una volta. Marco Pannella ha costretto il Paese a occuparsi di carceri. Lo ha fatto nel modo che gli è proprio da decenni, con la sua pratica nonviolenta del digiuno, in realtà più dolorosa di uno schiaffo in faccia a un’Italia che si volta sempre dall’altra parte. Mettendo sempre seriamente a rischio la sua vita. «Dò loro la forza che non hanno», ha detto. E così Monti, la Severino, i giornali hanno trovato il coraggio di guardare dentro il buco nero delle nostre galere. Noi di left due mesi fa abbiamo cominciato un lungo viaggio dentro le carceri italiane. Con i tempi necessari per le autorizzazioni siamo entrati a Volterra e a Badu ’e Carros, il carcere di massima sicurezza di Nuoro. Nel prossimo numero troverete i nostri racconti da questi due fronti, insieme a Perugia e Poggioreale a Napoli. Perché siamo andati lì? Perché 60 suicidi nel 2012 tra i carcerati e 9 tra gli agenti di polizia penitenziaria urlavano quel che accade dentro le prigioni. E che ha portato l’Italia in questi decenni a oltre duemila condanne per la violazione della Convenzione sui diritti dell’uomo. Secondi solo alla Turchia (ricordate il film Fuga di Mezzanotte?). Quando si parla di sovraffollamento bisogna capire esattamente che cos’è: 66mila e 300 persone chiuse in spazi che possono contenerne 45mila e 700. L’art.27 della nostra Costituzione dice che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Forse bisogna ricordarsi che prima dice che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Costringere a vivere in quel modo dentro le celle viola i principi ele- mentari della dignità dell’uomo. Questo non lo diciamo solo noi. Ce lo hanno spiegato durante il nostro viaggio gli agenti di polizia penitenziaria che nelle carceri lavorano da trent’anni. E poi, al solito, cercando si trova di più. Perché quegli stessi agenti di polizia, a Volterra, ci hanno spiegato che da quando «è entrato il teatro nel carcere è finita la guerra». La guerra delle guardie e dei ladri. E insieme ai detenuti ci hanno fatto vedere un pezzo di futuro che è già presente. Ci hanno fatto vedere che ridare la “libertà di essere esseri umani” è possibile anche nel carcere. Anzi è già realtà. È bastato stare in quel carcere tre giorni per capire che “arrestare” la vita di qualcuno e basta è, oltreché che contrario al senso di umanità, completamente folle. E che, invece, “riscrivere” un’altra vita è possibile. Aniello Arena, ergastolano di Volterra, attore della Compagnia della Fortezza di Armando Punzo e interprete sublime dell’ultimo film di Matteo Garrone, ci ha detto: «Io mentalmente non sono più detenuto. Ho sotterrato l’ergastolano. Sono nato due volte». Non è un miracolo, è una realtà incontrovertibile e un progetto per il presente. Perché come dice Punzo «bisogna lavorare sull’uomo, superare quell’atteggiamento cattolico o di sinistra assistenzialista capace di sfornare solo una serie di luoghi comuni, tra cui il pietismo che non produce mai azioni vere per trasformare le situazioni». Ribellarsi a una condizione materiale e ancor prima culturale. Ripartire da quella frase estrema ma universale di Punzo: «A me non interessa il carcere e i detenuti. A me interessano gli uomini». 3 [email protected] left.it Dopo la rubrica di Andrea Ranieri “Arancioni imparate da Occupy” (left del 15 dicembre) riceviamo e pubblichiamo. Mai più Nessun cappello sul movimento Sì al reato di tortura. Firma la petizione. “Cambiare si può” vuole ridare un senso alla politica, sfuggire alla rassegnazione a cui ci condanna il pensiero unico del mercato. Mi pare che la tesi sostenuta da Andrea Ranieri non regga per più di una ragione. Innanzitutto il grande movimento di Genova non è morto per troppa politica ma perché, a un certo punto, è prevalsa una politica sbagliata. Quella che abbandonava la radicalità del “Voi G8, noi 6miliardi” per infilarsi, in nome dell’antiberlusconismo, in una scelta di alleanza con il centrosinistra che si è rivelata in continuità con quelle politiche neoliberiste che il movimento contestava. In secondo luogo, nessuno vuole fare l’avanguardia del movimento. Il problema è portare nell’universo simbolico della comunicazione pubblica e nel Parlamento una posizione palesemente e dichiaratamente antiliberista. Il nodo è la messa in discussione della naturalità e della “tecnicità” delle politiche di estrema destra del governo dei professori. La messa in discussione dello stato di necessità indotto da un’informazione terrorista che punta a spaventare i popoli per annichilire le coscienze e impedire l’azione. Le elezioni politiche del 2013 non si ridurranno allo scontro Bersani-Berlusconi-Monti. Noi vogliamo porre la sfida tra il montismo variamente declinato e l’antimontismo che si basa sulla difesa dei diritti dei lavoratori, dei precari, delle donne, dello stato sociale e sui diritti civili. La nostra proposta di lista unitaria della sinistra non 4 vuole in alcun modo mettere il cappello sul movimento, ma al contrario restituire alla politica una coerenza tra ciò che si dice nelle piazze e ciò che si vota in Parlamento. Paolo Ferrero, segr. naz. Prc mai più In Italia non esiste il reato di tortura Le battaglie ignorate dal Pd Non me ne voglia Andrea Ranieri, ma mi pare proprio che il suo ragionamento non contenga alcuna novità. E potrebbe essere riassunto così: i movimenti protestino pure, l’importante è che votino Pd che comunque è sempre meglio della destra. Salvo dover poi prendere atto che le battaglie condotte dai movimenti sono state, una per una, disattese, ignorate quando non tradite dal Pd: dal rispetto della vittoria referendaria sull’acqua, al taglio delle spese militari, alla lotta al precariato, alla difesa della scuola pubblica, ecc. La questione è molto semplice: i movimenti, da Porto Alegre a Genova, non chiedono di aggiungere un +1 alle scelte del Pd, non sono semplicemente “un po’ più di sinistra” del Pd, ma propongono una differente visione del futuro da realizzarsi attraverso una fuoriuscita dal liberismo e dal pensiero unico del mercato che invece restano l’orizzonte di riferimento del Pd, pur con qualche distinguo dalla destra. I movimenti sociali devono mantenere la loro autonomia da qualunque forza politica, ma la presenza organizzata di una sinistra politica antiliberista offrirebbe un’utile sponda all’azione dei movimenti, nel rispetto delle reciproche autonomie. Vittorio Agnoletto, portavoce Genoa social forum 2001 In Italia non esiste il reato di tortura. left aderisce alla raccolta di firme promossa dai familiari delle vittime, affinché il Parlamento approvi la legge. Ogni settimana torneremo a ricordarlo. Per firmare la petizione: www.detenutoignoto.com Dietro le quinte del caso Cucchi di Fabio Anselmo* L a perizia è depositata. La situazione è strana, mentre leggo per la prima volta l’elaborato, in un bar vicino al tribunale di piazzale Clodio, ho Ilaria di fianco che ascolta insieme ad una mia collega. Si parla di Stefano. Si parla di come è stato trattato. Sul viso di Ilaria iniziano a scendere silenziose le lacrime. Mi sento in imbarazzo, non so se continuare a leggere o fermarmi. Indugio. Ilaria mi invita a continuare. È un atto d’accusa formidabile contro i medici del Pertini che non lo hanno curato. Lo hanno abbandonato in quelle condizioni. «Ma in quelle condizioni non ci si è messo da solo. Non ha fatto alcun sciopero della fame, sì ...è vero che ha provato a protestare per denunciare coloro che lo avevano aggredito il giorno prima, ma è altrettanto vero che poi aveva mangiato, aveva chiesto una cioccolata, aveva chiesto di parlare con mio marito, aveva scritto una lettera alla comunità chiedendo disperatamente di essere considerato, aveva chiesto una Bibbia». Questo dice Ilaria. «In quegli anni non era assolutamente un tossico - continua - ma faceva una vita assolutamente normale! Lavorava, faceva palestra, si occupava dei suoi nipoti! Quando è morto non è stata trovata alcuna traccia di stupefacenti nel suo sangue! Dite che era uno spacciatore ma non dite per favore che era un tossicodipendente!». Le lacrime di Ilaria sono finite. Le arrivano messaggi da Patrizia, Lucia e Domenica, da Luciano ma anche da altri. Ilaria si alza. È di nuovo lei. Determinata, composta con mille interrogativi da porre a coloro che prima o poi dovranno risponderle. Sarà un Natale triste, come lo sono stati tutti quelli dopo l’ottobre del 2009.Ma la forza per andare avanti non manca. La determinazione neppure. Suo fratello è stato messo in carcere come un albanese senza fissa dimora ed è morto come un italiano di Roma senza diritti. *avvocato delle famiglie Aldrovandi, Cucchi, Ferrulli, Uva 22 dicembre 2012 left left.it left.it sommario ianno XXIV, nuova serie n. 51 / 22 DICEMbre 2012 copertina alba dorata Cultura Le diverse ricette economiche sulla crisi di Bersani e Monti. Il tifo di Bruxelles e dei governi europei. L’enigma del voto nel Nord e dell’astensione. La guerra sulle televisioni. Si apre la campagna elettorale che ci porterà verso la Terza Repubblica. Xenofobi, omofobi, antisemiti e antisindacali. Arriva dalla Lombardia il movimento che dà il nome al partita razzista greco. L’idea è venuta ad Alessandro Gardossi, l’ex factotum triestino di Domenico Scilipoti. Si presentano alle Regionali lombarde con la svastica nel simbolo. L’opera del poeta che voleva fare la rivoluzione con i versi rischia l’oblìo nella Russia dell’impero putiniano. Il museo Majakovskij, uno dei più originali della Russia, ricchissimo di documenti, rischia di chiudere. Rampanti manager lo vogliono rendere più commerciale. corpo a corpo un brand per fascisti 14 30 la settimana società 02 03 04 04 la settimanaccia La nota LETTERE l’appello Dietro le quinte del caso Cucchi di Fabio Anselmo l’incontro 10 De Gregori: Sulla strada di un Paese abbandonato di Giommaria Monti copertina 14 Corpo a corpo di Manuele Bonaccorsi 18 Ue: provaci ancora prof di Cecilia Tosi 20 Incognita Nord di Sofia Basso 22 Caccia all’ultimo voto di Donatella Coccoli 24 Struttura Delta di nuovo in azione di Loris Mazzetti 26 30 32 34 Sfratti vostri di Ylenia Sina Alba dorata un brand per fascisti di Davide Ilarietti Registri flop di Marilena Vinci L’isola senza tesoro di Claudio Reale mondo 38 Il ritorno di Marcos di Mirko Peddis 42 Tutta la vita in colonia di Massimiliano Sfregola 48 IDEE di Adriano Prosperi 06 Il taccuino 07 la locomotiva di Sergio Cofferati 08 In punta di penna di Alberto Cisterna 09 LA LETTERA MANCANTE di Francesca Merloni 54 TRASFORMAZIONE di Massimo Fagioli RUBRICHE di Emanuele Santi a cura della redazione Interni a cura della redazione Esteri a cura della redazione Esteri cultura e scienza 48 Salviamo il “teppista” della poesia di Guido Carpi 56 Fiori Nastro: Quella falsa idea di libertà di Ilaria Bonaccorsi Gardini 58 Ingólfsson: non solo Hobbit di Gabriella Basso Ricci Fai qualcosa di sinistra. Regala left! in offerta fino al 6 gennaio la versione web a 3522 € l’anno left dicembre 2012 sos museo Majakovskij 35 Calcio mancino 36 Cose dell’altritalia 44 Metropolis 46 newsglobal 52 arte di Simona Maggiorelli 53 libri di Filippo La Porta 59 cinema di Morando Morandini 60 bazar Teatro, junior, tendenze 61 in fondo di Bebo Storti 62 appuntamenti a cura della redazione Cultura vai su www.left.it o scrivi ad [email protected] Chiuso in tipografia il 19 dicembre 2012 il taccuino di Adriano Prosperi il taccuino Promemoria per le elezioni La Chiesa spera che vinca chi fa i loro interessi. È opportuno allora approntare un decalogo per i candidati del centrosinistra: laicità, tutela del lavoro, immigrazione, diritti C i mancava solo il decalogo: quello di Monti, non quello di Mosé. Un termine che da solo basta a rendere il clima compunto e devoto di questa crisi di governo. Possiamo indovinarne il primo comandamento: «Non avrai altro governo che il mio». È solo l’ultimo segno del clima che le autorità della Chiesa stanno creando, per la nascita di un altro governo attento ai loro interessi: dopo quello di Berlusconi e quello di Monti, se ne vuole un altro che continui sulla stessa linea. Inutile che il Pd sbandieri la foto di Bersani chierichetto. Quello che si teme non sono le convinzioni delle persone ma il rischio di un governo fedele alla Costituzione e ai suoi valori: uguaglianza davanti alla legge, libertà religiosa, rispetto delle coscienze, rafforzamento della scuola pubblica come palestra dei diritti di cittadinanza e dell’incontro di culture diverse. In fondo è ancora il metodo del patto firmato nel 1912 da Giolitti col conte Gentiloni. Allora la fine del veto vaticano alla partecipazione dei cattolici alla vita politica italiana fu condizionata all’impegno dei liberali di tutelare congregazioni religiose e scuole private, garantire l’istruzione religiosa cattolica nelle scuole, impedire ogni misura ostile alla Chiesa. Oggi quel pacchetto è stato rimpolpato e aggiornato: la legge sul fine vita, la lotta contro l’aborto, il riconoscimento della condizione di privilegio della Chiesa cattolica rispetto a ogni altra religione, con tanti saluti al Concilio Vaticano II. È il seguito di Todi: appoggiare governi che facciano leggi in presa diretta col Vaticano. La campagna è ossessiva. Dalla Milano che fu del cardinal Martini, il cardinale Scola rispolvera vigorosamente l’antica teoria della “libertas Ecclesiae”: che è anche libertà di non pagare le tasse, come abbiamo visto con l’Imu, complice un governo che intanto grava la mano su ospedali e scuole (quelle statali, naturalmente). Berlusconi ieri, Monti oggi. Allora compiliamo un decalogo che dica quante sono le cose che ci saremmo aspettati da questo governo e che ora dobbiamo rimandare al prossimo. La cronaca ne suggerisce ogni giorno qualcuna: le carceri per le quali Pannella lotta fino alla morte, il lavoro e la salute (Ilva, Piombino, i mille e mille luoghi dove si muore di lavoro, gli ospedali che chiudono), l’istruzione, la ricerca, la cultura, la tutela dell’ambiente, i diritti delle donne, la lotta contro il razzismo (è passato solo un anno dall’attentato di Firenze contro i senegalesi). Il catalogo è utile perché accanto alle primarie l’elettorato dia indicazioni di programma per un governo democraticamente eletto. Il 18 dicembre è stata la giornata mondiale dell’immigrazione, per i diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. In Argentina dedicano due giorni di festa agli immigrati italiani. In Tunisia ci si chiede dove siano finiti e se siano ancora vivi i giovani tunisini che a migliaia hanno attraversato il Mediterraneo verso l’Italia. Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, scrive che non ci sono più nemmeno loculi per seppellire i corpi degli annegati. Ma funzionano ancora i Cie, dove la gente è chiusa per diciotto mesi di galera. E sul diritto di cittadinanza è ancora in vigore la legge razzista che considera italiani solo coloro che nascono da altri italiani. Accanto alle primarie l’elettorato deve dare indicazioni di programma per un governo democraticamente eletto 6 22 dicembre 2012 left la locomotiva di Sergio Cofferati il taccuino Non scordiamo i referendum Ristabilire l’articolo 18. Abrogare l’iniquo articolo 8 di Sacconi. La politica e i media non parlano più dei quesiti sul lavoro. Dai quali proviene l’unica possibile idea di uscita dalla crisi L’ agenda politica di queste settimane vive un momento di notevole effervescenza, dovuta evidentemente all’approssimarsi delle Politiche e alla poca chiarezza degli scenari politici. Una tale dinamica sta tuttavia lasciando al margine il tema del lavoro e dei diritti, proseguendo una pericolosa tendenza in atto già da diversi anni. La raccolta delle firme per i referendum che chiedono l’abolizione della norma che ha cancellato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e per l’abolizione dell’articolo 8 della manovra estiva del governo Berlusconi sembra essere decisamente caduta in questo oblio, rimanendo sostanzialmente fuori dalle agende politiche e giornalistiche. Credo invece che quei quesiti portino con sé, sia per il loro contenuto specifico che per il loro significato più generale, degli elementi non solo di enorme attualità, ma di prospettiva per il futuro. Da una lettura obiettiva sulla situazione attuale dovrebbe sembrare del tutto evidente che le conseguenze peggiori della crisi stanno gravando sulle spalle dei lavoratori, con risvolti iniqui ed economicamente recessivi. E questo accade sotto molteplici punti di vista tra loro connessi: si subiscono gli effetti della disoccupazione e della precarietà; ma si subisce anche la progressiva perdita di valore di salari e stipendi che genera nuovi e terribili fenomeni di povertà; e non da ultimo si paga anche l’arretramento sul fronte dei diritti, più invisibile e meno materiale, ma senza dubbio non meno pericoloso. Se questa è la situazione, dovrebbe risultare chiaro a tutti che rimettere al centro il tema del lavoro è l’unico modo per iniziare a tracciare una via d’uscita dalla crisi che sia equa e socialmente sostenibile. I referendum vanno esattamente in questa direzione. Il reintegro del lavoratore licenziato in maniera ingiustificata, così come previsto dallo Statuto dei lavoratori prima della modifica del governo Monti, era un argine per la difesa della dignità del lavoratore, di valore sia materiale che simbolico. La possibilità, prevista nella modifica, di riparare al licenziamento ingiustificato con il solo indennizzo economico, non solo rischia di aprire la strada a licenziamenti discriminanti, ma rappresenta nella sostanza la mercificazione e la perdita netta di valore del lavoro stesso. Il pericolosissimo articolo 8 della manovra estiva di Berlusconi e Sacconi attacca invece in maniera frontale i contratti nazionali e consente di derogare persino alle leggi. Dietro una rinvigorita logica della flessibilità si nasconde (e neanche troppo bene) un evidente attacco contro i sindacati e, più in generale, contro la rappresentanza e la solidarietà tra i lavoratori. L’abolizione di queste norme, ben lungi dall’essere difensiva, è il punto di partenza simbolico e materiale, per ricostruire un’agenda politica che rimetta al centro il lavoro. Coscienti che parlare di diritti, significa capovolgere quella logica vecchia almeno vent’anni (che ancora oggi vuole spacciarsi per nuova) secondo la quale per garantire uno spiraglio di precarietà al figlio è necessario togliere un diritto al padre, significa difendere le conquiste di ieri e aggiornarle e rafforzarle domani. Significa guardare a un futuro più giusto e dignitoso per tutti. Ecco perché occorre firmare per quei referendum e aiutare a raccogliere altre firme nelle prossime settimane. [email protected] Non sono proposte difensive. Ma il punto di partenza per un’agenda che rimetta al centro l’equità left 22 dicembre 2012 7 in punta di penna di Alberto Cisterna il taccuino Rassegne stampa al bando Tra poche settimane niente più consultazioni gratuite online dei giornali. È il risultato di un accordo tra gli editori e il Parlamento. Così muore la libera circolazione delle idee L a Federazione italiana degli editori (Fieg) e il Parlamento hanno appena raggiunto un importante accordo: dal 2013, ossia tra poche settimane, niente più rassegne stampa online. Basta con la consultazione gratuita degli articoli (poche decine in realtà, non certo le migliaia che riempiono le pagine di ogni giorno) sui siti di Camera e Senato. Chi vuol leggere, chi avverte la necessità di essere informato compri il giornale o paghi i diritti di consultazione ai siti internet delle testate. Credo che sia un fatto grave. Capisco che la rassegna stampa online corroda i diritti degli autori dei pezzi e, soprattutto, gli introiti degli editori, ma è anche un mezzo straordinario con il quale le idee circolano nel Paese e il pluralismo informativo viene garantito a tutti, anche a quelli, ai tanti, che non hanno denaro a sufficienza per permettersi un nugolo di giornali o di settimanali. Tramontata, forse per sempre, la stagione dei giornali-partito, ossia dei quotidiani e dei settimanali che venivano acquistati con spirito partigiano da chi si riconosceva in un’idea, in un progetto o in una protesta, le rassegne stampa online sono divenute il modo migliore con cui ogni cittadino può formarsi un’opinione plurale sui fatti, sulle prese di posizione, sugli eventi. In rassegna stampa Il Fatto e Libero stanno l’uno dopo l’altro. In quel luogo virtuale Travaglio e Sallusti si fronteggiano quotidianamente, con pacatezza, senza la ridicola pantomima degli show televisivi. Che i principali consessi della democrazia, la Camera e il Senato appunto, privino i cittadini della consultazione online delle principali testate giornalistiche del Paese è un vulnus alla libertà di pensiero e alla libertà di voto, soprattutto quando si prepara una stagione politica che, mai come ora, esige donne e uomini consapevoli dei complessi scenari in gioco. L’invasione della Rete genialmente compiuta da Grillo e quella che si appresterebbe a realizzare il rinato Berlusconi, esigono che ciascuno abbia la possibilità di potersi formare un’opinione completa e dialettica. Cancellare l’accesso maturo alla Rete che le rassegne stampa garantiscono è, quindi, un favore alla propaganda e alla demagogia. Non tutte le testate online e non tutti i blog garantiscono qualità delle idee e pacatezza delle proposte, spesso sono solo megafoni di un chiacchiericcio superficiale. Provvedano i presidenti di Camera e Senato a ridurre una quota dei rimborsi elettorali ai partiti e versino alla Fieg quanto le spetta affinché possano gli editori sopportare, senza troppi danni, i costi che la divulgazione “libera” dei propri articoli (di una parte di essi, invero) comporta sul volume delle vendite di carta stampata. È una battaglia che coinvolge il pluralismo democratico, quello in cui una testata pur piccola ha diritto di tribuna accanto ai potentati dell’editoria e del giornalismo, quello in cui una voce “fuori dal coro” è messa accanto ai maggiorenti dell’informazione politica. Rassegne, appunto, e non parate. Negare a ciascuno il diritto di formarsi un’opinione in campagna elettorale, significa fare un favore alla demagogia 8 22 dicembre 2012 left la lettera mancante di Francesca Merloni il taccuino Acqua del mio mare È l’orribile fine anno che arriva ogni anno. Il momento dei bilanci. Dove andiamo davvero? Siamo mai partiti? Il viaggio è solitario. Dove sono i fili che stringiamo per sentire gli altri? «O rmai ho imparato che non bisogna idealizzare nessuno e che molte scelte sono di solitudine...» dice una mia sorella d’anima e mi accorgo di quanto tutto questo sia essenziale. È la nostra essenza e il momento è adesso. Sono i giorni dell’anno in cui è più facile parlare di solitudine. È quasi doveroso farlo. La sentiamo forte, e di più, amplificata dallo stordimento di lucine e melassa. La sentiamo come un dolore, un disperato amore che perforando arriva più in fondo e ci sentiamo, noi, quasi sbagliati, fuori luogo, dissonanti. Dove sono i fili, quelli del cuore, quelli che stringiamo per sentirci parte, per sentire gli altri all’altro capo? E l’andamento ad onde e i cerchi concentrici, dove? I movimenti del cuore assenti, adesso. È tempo di bilanci, è l’orribile fine d’anno che arriva ogni anno. E chissà perché, poi. Ma non è il tempo un fluire necessario? Perché cesure? Chi l’ha detto che l’anno debba finire proprio adesso e che adesso per convenzione ci si debba fermare e riflettere. Oppure fermarci e sentire il vuoto. Ma non è troppo vuoto? Non è che siamo così abituati al pieno da non tollerare l’assenza? Non è che il vortice ci ha preso nell’illusoria visione e “con-fusione” a tutti i costi, tampone analgesico all’incapacità di sopportare la nostra costitutiva solitudine? Ma non è solitudine, è identità. Veniamo al mondo soli, soli moriamo. Allora ci si sente più soli tra le voci, nel convulso muoversi che può apparire senza senso. E dove andiamo davvero? E siamo mai partiti? Il viaggio è solitario. Ognuno capitano del proprio mare. Ci governiamo, scegliamo, e Senza nessuna ragione qualcosa si rompe in me questo forse vuol dire umanità. Essere e mi chiude la gola un uomo. Capace di scelte individuasenza nessuna ragione sobbalzo ad un tratto li e solitarie. Per definizione. Le scelte lasciando a mezzo lo scritto richiamano l’essenza, l’identità, la vesenza nessuna ragione nella hall di un albergo rità, irrinunciabile. Ecco, queste posogno in piedi che righe sono per te amica mia, e per senza nessuna ragione l’albero sul marciapiede i tanti cuori conosciuti in questa pagimi batte in fronte na, per i tanti che compongono la mia vita di oggi e che attraverso left sono senza nessuna ragione un lupo urla alla luna diventati il mio mare adesso. Andiairoso infelice affamato mo, insieme. Ci guardiamo, accostiasenza nessuna ragione le stelle scendono a dondolarsi mo. Facciamo un tratto di mare. Un sull’altalena del giardino pezzo di strada. Un attimo di vita. Sosenza nessuna ragione vedo come sarò nella tomba li, ma no. Insieme. Proprio perché sapsenza nessuna ragione nebbia e sole nella mia testa piamo essere soli. E stare in piedi sensenza nessuna ragione mi attacco al giorno che inizia za appoggio. E proprio perché soli e in come se non dovesse finire mai più piedi possiamo guardare dritti. Incone ogni volta sei tu trare altro sguardo senza confonderci. che sali dalle acque. Abbiamo chiara la nostra identità. E non la perdiamo più. Nazim Hikmet, 1961 [email protected] left 22 dicembre 2012 9 l’incontro 10 left.it 22 dicembre 2012 left l’incontro left.it francesco de gregori. «Ho fatto un disco e sono felice di esserci, che ci sia gente che lo ascolti, senta la vitalità artistica e creativa». Il cantautore romano parla del suo ultimo lavoro. E dell’Italia al tempo dei tecnici: «Tornare alla politica per dare uno scatto alla crescita» Sulla strada di un Paese abbandonato di Giommaria Monti Illustrazione di Alessandro Ferraro G iro per la mia terra abbandonata, abbandonato e solo». “Passo d’uomo”, la seconda canzone del nuovo lavoro di Francesco De Gregori Sulla strada, racconta la solitudine e la marginalità difficile di chi cammina ai bordi della strada. De Gregori usa la chiave del viaggio per accompagnarci dentro pezzi di realtà di un Paese disorientato. Sulla strada è un racconto di «quel che vedi dai finestrini di questa macchina usata». Lo sguardo è il suo? è un disco molto piantato su me stesso, queste nove canzoni parlano di cose vissute, immaginate o ricordate da me. L’uomo sulla strada sono io, ma mi sento parte di una comunità: quelli che incontro, la politica, il destino di ognuno è una quotidianità basata sul mettersi in gioco, sull’uscire da casa, sullo smarrirsi anche tra conoscenze, incontri, ripudi, delusioni, ansie. Sono sempre stato attratto dalla strada, dal gusto del viaggio. Che vuol dire incontro, anche se non è necessariamente l’avventura di Ulisse. Il suo viaggio dura da quarant’anni. Quanto ha visto l’Italia cambiare? Non vedi di più stando su un palco. Lei, come altri, pensa che chi fa il mio mestiere percepisca in modo più profondo i cambiamenti del Paese. Vedo quello che vedono tutti: un’Italia che attraversa un momento di drammatica inconsapevolez- left 22 dicembre 2012 za, che non sa bene da che parte andare. Mi sembra un Paese più abbandonato a se stesso di prima. Chi è stato eletto ha una responsabilità maggiore rispetto al cittadino, e ha il dovere di non abbandonare l’Italia. C’è un grande bisogno di tornare alla politica, che ha il dovere di dare uno scatto di crescita. Ma non solo quella economica di cui si parla. Non si può prescindere dalla crescita culturale, dalla progettazione di un Paese più colto, più consapevole, più informato, tecnologicamente più avanzato. è quel «futuro che è un dovere» di cui parla in un’altra canzone? Sì. La politica deve fare il suo dovere, deve assumersi le sue responsabilità. Come la “Ragazza del ’95”, appunto quando si sente dire: «Il futuro è un dovere». Credo che sia un messaggio forte perché si è sempre parlato di diritto al futuro. Che è intoccabile, ma ai giovani bisogna anche raccontare che va coniugato con l’impegno, i sacrifici, che affrontare l’incertezza e l’ambiguità del futuro lo si fa esponendo il petto alla mitraglia, altrimenti non si esce dalla trincea. Credo però che loro lo sappiano, ne siano consapevoli. Chi ha vent’anni va incontro a un mondo che non è risolto. Va verso l’incognito, un futuro in qualche misura preoccupante, carico di opportunità ma anche di rischi. Ma si affronta meglio con la consapevolezza che è anche nelle nostre mani la possi11 l’incontro left.it Per affrontare l’incertezza e l’ambiguità del futuro bisogna esporre il petto alla mitraglia, altrimenti non si esce dalla trincea bilità di dare un indirizzo alla nostra vita e al luogo in cui viviamo. Poi, la ragazza della canzone sale su un aereo e «rimette a posto il cellulare». Vuole chiudere le comunicazioni col mondo che si lascia alle spalle? La metafora è esattamente questa. Questo gesto obbligatorio che dobbiamo compiere in aereo nella canzone si trasforma in un atto liberatorio: rompo la comunicazione e in questo momento sono io che sto viaggiando, sono io che passo sopra le colonne d’Ercole, non mi mandate messaggini, non mi cercate. Il viaggio durerà due o tre ore, ma in questo spazio sono solo con me stesso. Questa facilità di viaggiare che hanno oggi i ragazzi con i voli a basso costo è augurabile che si trasformi in libertà intellettuale, in conoscenza, in capacità di apprendere, di crescere, di capire le cose. Non ha paura che l’idea di dovere venga concepita come un concetto di destra? Mi spiace per chi lo pensa. Se parlare del futuro in termini di dovere è considerato di destra me ne assumo le responsabilità, ma non penso sia così. Non credo che la sinistra possa negare che il futuro sia un dovere. Non so se Kennedy quando diceva «non chiederti quello che la nazione può fare per te, chiediti quello che tu puoi fare per il tuo Paese» esprimesse un concetto di destra. Il viaggio è anche dentro la storia. In “Belle Époque” inizia con una citazione molto forte. Sì, in quel «Van le troie illuminando il cammino sgangherato» c’è Dino Campana, che nei Canti Orfici racconta una sua nottata con quelle che lui chiama «le ciane». Io uso la stessa metrica, ma non 12 è che vado a rileggermi i Canti Orfici. Mi viene l’idea, mi ricordo di questa cosa, la uso, diventa materiale narrativo, metrico. Io lavoro così, andando a riacchiappare nella memoria, nella biblioteca. La torre Eiffel, l’esposizione universale, la tecnologia, la dichiarazione contro la schiavitù dal lavoro e dalle guerre: il Novecento nacque su questi mandati culturali. Che poi vennero subito smentiti: dalla rivoluzione russa alle guerre mondiali. Io scrivo una canzone come “Belle Époque” e pretendo di parlare del Novecento. Dopo averla scritta mi rendo conto che un verso come «Fischia il sasso fischia il vento sta arrivando il Novecento» è una sintesi formidabile. Non me lo devo dire da solo, però... Allora glielo dico io: c’è dentro il sasso del Balilla e del fascismo e fischia il vento della lotta partigiana... Sì. È chiaro che nessuno capirà mai cosa sono stati il fascismo e la Resistenza collegando queste due idee, però per uno che deve dirlo con una pennellata lo può fare in quella sintesi che la canzone ti concede e che è difficile altrove. Il viaggio con “La guerra”. Racconta una storia piccola dentro la grande storia, come in “Generale”? È un vecchio trucco, Manzoni ci ha scritto un libro di successo... Però “Generale” finiva con la parola «amore» («è quasi giorno, è quasi casa, è quasi amore»), ma anche con un sentimento di mestizia: è un ritorno a casa in mezzo ad altri soldati su un treno, è passata una guerra da cui si esce con una ferita, un ritorno dove l’uomo è sconfitto. Ne “La guerra”, invece, anche se il soldatino si è visto passare la morte vicino finisce con una nota di rinascita: si ricomincia a fare l’amore. Fa parte di una mia visione un po’ più serena: fate pure tutte le guerre che vi pare, però alla fine ci sarà sempre un soldato che troverà una ragazza in un campo, magari la vedova di un nemico, come è sottinteso nella canzone. Tutte le guerre dovrebbero finire così. O finiranno così. Questa canzone è una provocazione nei confronti della guerra: siamo più forti noi. Però parliamo troppo di testi e di parole... Ha ragione, allora mi racconti come inizia la scrittura di una canzone. Le faccio l’esempio proprio de “La guerra”. Sono partito da una frase musicale: tàta tàta tatatà (ride mentre batte il tempo sul tavolino, ndr). Me la 22 dicembre 2012 left l’incontro left.it sono suonata per un po’, poi mi è venuta una frase che ho cantato sopra: «C’è un soldato in mezzo al campo». Nasce un fatto ritmico, verbale e se quello che mi viene in testa mi affascina, si apre come una sequenza cinematografica che si sviluppa come una storia: che ci fa questo soldato in mezzo al campo? Che ora sarà? C’è il tramonto? Dove sarà il tramonto? Alle spalle? Allora deve stare attento, perché risulta proprio un bersaglio... E così diventa «C’è un soldato in mezzo al campo. E una casa nella valle. Attenzione soldatino c’è il tramonto alle tue spalle». Quando comincia a suonarla con i musicisti, quanto cambia l’idea iniziale della canzone? Prende forma, ed è il momento più delicato. Lì devi stare attento a non perdere nulla della forza originale che è nella tua testa, sei tu che sai dove vuoi arrivare. E sei torturato dal dubbio mentre questo avviene: che la canzone non valga. Sì, a me piace ma adesso i musicisti che la devono suonare con me, che sono miei amici da tempo e che amano tutte le cose che ho scritto come reagiscono? Temo che magari non me lo dicano, che facciano una faccia così che sembra dire «ma questa volta cosa ci hai portato?» È un momento molto delicato. Affascinante, ma è il momento che forse nella registrazione di un disco mi fa soffrire di più. Dopo tanti anni ha ancora la paura di deluderli? È la paura peggiore perché ho molta stima di loro, sono dei musicisti ed è un giudizio non dico che temo, ma devo fargliela piacere. Io vado en- left 22 dicembre 2012 tusiasta e se poi invece fosse brutta? In “Guarda che non sono io” racconta il rapporto complicato con chi segue il suo lavoro, i fan. Lì racconto l’incontro con uno mentre sto facendo la spesa che mi fa pensare: ma che ci stiamo dicendo? Chiedergli: ma chi credi che io sia, che idea ti sei fatto di me, perché pensi di conoscermi se in realtà conosci quattro, cinque, venti canzoni mie? È un incontro avvenuto davvero, non ho inventato una scena. Un po’ come il fan che fa cento chilometri per incontrare “Omero al Cantagiro”? È l’altra faccia della medaglia, il rapporto divistico con lo spettacolo. Io lo percepisco di riflesso, ma mi ricordo di averlo vissuto quand’ero giovane dalla parte del fan. Ascoltavo tutte le canzoni di Morandi: ero piccolissimo ma “In ginocchio da te”, “Non son degno di te” e “Se non avessi più te” sono tre canzoni che hanno molto influenzato la mia immaginazione di adolescente che vedeva questo bel ragazzo che era Gianni Morandi innamorato di quella bellissima ragazza che era Laura Efrikian, andavo a vedere i film. Ho fatto il fan e lo farei ancora se incontrassi qui Bob Dylan o... bèh, pochi altri insieme a lui. Paolo Conte e altri che stimo. Avrei un atteggiamento se non di devozione comunque di un interesse che forse loro giudicherebbero ipertrofico. In una canzone descrivo l’incontro casuale, realmente accaduto, con un fan. Avrei voluto chiedergli: perché pensi di conoscermi? Quando sente che dei suoi colleghi, come Fossati, decidono di non suonare più, che impressione le fa? Fossati è molto onesto. Se lui pensa di non avere più nulla da dire fa bene a smettere. Non c’è niente di più faticoso per chi fa questo mestiere di continuare a scrivere senza avere più niente da dire, a cantare senza avere più la voce che lo convince. Fossati spero che cambi idea, non è detto che non la cambi. So che la tentazione di farlo c’è spesso, l’ho avuta anche io ma è durata poco. Adesso ho fatto un disco dove sono felice di esserci, felice che ci sia gente che lo ascolti, senta la vitalità artistica, creativa. E che il giudizio degli altri corrisponda al mio. 13 copertina left.it M onti e Bersani. Che è come dire due mondi paralleli. La pompa di benzina e la Goldman Sachs. L’economia reale e la finanza. L’austerity e la crescita. Il socialdemocratico e il liberista. Berlino e Parigi. Merkel e Holland. Eppure, gli unici due uomini che potranno guidare il futuro governo - Berlusconi prova ancora a mordere, ma si fa battere 44 a 7 nell’audience da Benigni - è difficile definirli nemici. Per un anno sono stati fianco a fianco nell’esperienza di governo, uno a Palazzo Chigi a far tagli, l’altro in Parlamento a tentare di lenire i dolori procurati dal primo. Il governo riduce sul lastrico gli esodati, le Camere cercano soluzioni. Il prof cancella l’articolo 18 il segretario prova a reinserirlo, almeno parzialmente. Il tecnico taglia i fondi ai Comuni, il politico chiama a raccolta i sindaci. Uniti, con tanti distinguo, fino a ieri. Avversari, forse, domani. Nei progetti politici e nelle prospettive personali, nei rapporti internazionali ed europei. L’agenda Monti o quella Bersani? Se il professore guadagna l’investitura di Bruxelles e Wall street, il politico dialoga coi fratelli socialisti europei e si sbraccia per rabbonire i mercati preoccupati dal pericoloso ritorno della sinistra al potere. Una poltrona per due, co- me nel vecchio film americano. Tutti gli altri Grillo, Berlusconi, gli arancioni - saranno comprimari. Il governo della delicata transizione alla Terza Repubblica dovranno invece dirigerla il tecnico liberista o il politico democratico. Per molti dovrebbero andare a braccetto. Il rigore ma anche lo sviluppo, più liberismo ma anche più welfare. Per tanti Bersani dovrebbe semplicemente dare continuità all’agenda Monti, con un po’ di «odore di sinistra» (il copyright è di Vendola), ma sulla stessa strada tracciata dai tecnici, ritenuta l’unica possibile. Per troppi il centrosinistra dovrebbe semplicemente fare meglio ciò che la destra vorrebbe già fare. Liberalizzare il mercato del lavoro, tagliare la spesa pubblica, privatizzare. Il nuovo Washington consensus all’europea darebbe ragione a chi dice “sono tutti uguali”, e forse fiato al popolo del non voto. Invece la sfida è Bersani contro Monti: due leader pronti contendersi con le loro diverse ricette il consenso della maggioranza degli italiani. La partita vera tra i due si gioca ovviamente sull’economia, che poi è anche il campo nel quale i contendenti sono più preparati, il loro pallino e la loro passione. Dopo un anno di governo tecnico, l’infausta previsione di Draghi e Trichet sembra essersi in gran parte verificata. La lettera dal linguaggio sobrio ma minaccioso, inviata il 5 agosto del 2011 dall’allora presiden- La sfida per palazzo Chigi è tra Monti e Bersani. Due idee diverse di governo ed economia. E una rappresentanza sociale diversa. Le grandi imprese col tecnico. Le piccole e il lavoro col leader Pd. La partita della campagna elettorale si gioca tutta sulla crisi Corpo a 14 22 dicembre 2012 left copertina left.it te della Bce e dal suo successore, è già in gran parte realtà. Basta confrontare quel testo con i provvedimenti del governo. L’esecutivo tecnico ha già reso «più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico» (riforma Fornero); il governo ha «ridotto significativamente i costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turn over e, se necessario, riducendo gli stipendi» (ecco la spending review); ha «introdotto una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese» (pareggio di bilancio in Costituzione); infine ha «adottato una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti» (riforma del mercato del lavoro). L’agenda Monti non è esattamente una primizia, stava già lì, scritta nero su bianco nella lettera inviata a Berlusconi quattro mesi prima che cedesse il posto al professore. E rimasta a lungo segreta. Manca solo «la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali attraverso privatizzazioni su larga scala», ma solo perché la Consulta ha preteso il rispetto dei referendum sull’acqua del 2011. Mentre su crescita e occupazione la Bce non diceva nulla. Silenzio. cura “Monti-Draghi”, li fotografano in un bianco e nero tragico gli scenari del Centro studi di Confindustria di questo 11 dicembre. Dopo un 2012 col Pil al -2,1, il 2013 ci riserverà un ulteriore -1,1. La ripresa economica arriverà solo nel 2014, +0,6. La disoccupazione sarà in crescita, fino al 12,4 per cento. Anche i conti pubblici hanno sofferto dell’aggravarsi della crisi. Il pareggio di bilancio il prossimo anno sarà raggiunto solo in termini congiunturali. E nel 2014, vaticina l’Ocse, potrebbe seguire una nuova manovra di tagli consistenti. Secondo Bankitalia circa la metà della recessione è causata dalle stesse manovre di austerity, con tagli a tutto spiano alla spesa pubblica e una pressione fiscale che sfiora ormai il 60 per cento, appena lenita da un moderato recupero dell’inflazione. Niente patrimoniale, pagano i soliti noti, lavoratori dipendenti e pensionati, il cui potere d’acquisto è stato già falcidiato da un’inflazione superiore al 3 per cento. La conseguenza si chiama spirale austerity-recessione. Più taglio, meno cresco, più devo tagliare: così all’infinito. Il Nobel per l’Economia Paul Krugman la mette così: «È come la medicina del medioevo: salassavano i pazienti per curarli e quando il sanguinamento li faceva stare peggio, li salassavano ancora di più». Di questo passo anche gli scenari attuali potrebbero inverarsi. Basti pensare che il governo stimava a dicembre del 2011 per quest’anno un modestissimo -0,4 per cento, un quinto della recessione che si è poi avverata. Su questo punto i programmi tra i due contendenti non potrebbero essere più diversi. «La Il professore ha messo in pratica la lettera della Bce su pensioni, lavoro, pareggio di bilancio È nient’altro che il programma dell’austerity europea, in cambio del quale l’Italia, esposta all’attacco della finanza internazionale, ha ricevuto la difesa, per ora solo potenziale, della Bce. La stessa medicina riservata a Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, solo con un dosaggio meno indigesto. I risultati, dopo un anno di corpo left 22 dicembre 2012 di Manuele Bonaccorsi 15 copertina © borgia/ap © quilici/imagoeconomica left.it differenza è semplice», spiega Stefano Fassina, animatore del programma economico del Pd, candidato a Roma alle parlamentarie di fine mese. «Noi metteremo al centro l’economia reale perché non consideriamo lavoro e impresa un sottoprodotto dei vincoli di bilancio e della finanza pubblica», spiega l’esponente democratico. Certo, i vincoli europei valgono per chiunque vinca, non solo per Monti, e Bersani si è impegnato a rispettarli. «Ma noi ci siamo dati l’obiettivo di cambiare la rotta dell’Europa, perché l’austerità è insostenibile e solo la crescita può permetterci di ridurre il debito pubblico. Bisogna ripartire dal sostegno alla domanda e ai consumi». La centralità data alla crescita è l’arma che il Pd vuole usare in una campagna elettorale dove, nel mondo reale della crisi, sono saltati tutti i punti di riferimento. Fassina (Pd): «Noi metteremo al centro l’economia reale, l’austerity è insostenibile» Qualche esempio? La piccola e media impresa, i commercianti, le partite Iva, storica base di Berlusconi: non credono più nel tycoon milanese, nonostante il tardivo tentativo di riallacciare i rapporti coi vecchi elettori messa in campo con gli slogan antitasse delle ultime settimane. I piccoli non possono neppure sostenere Monti: «ci ha sommerso di nuove tasse, ha depresso i consumi e non ci ha mai ascoltati», spiega Filippo Donati, esponente di Confesercenti (presiede gli albergatori di Asshotel). Tra gli aderenti a Rete impresa Italia, l’associazione che riunisce Cna, Confcommercio, Confesercenti e Confar16 tigianato, Monti è tutt’altro che amato. Chi voteranno, i piccoli, che rappresentano la colonna vertebrale dell’economia italiana? Nel Nord la Lega potrebbe tenere botta e il non voto è destinato a crescere. Ma anche a chi mai avrebbe pensato di votare a sinistra sta balenando qualche dubbio. Il Pd non si è tirato indietro e ha iniziato a corteggiare i piccoli, organizzando con loro numerosi incontri e iniziative. Le grandi aziende, invece, sembrano orientate nettamente in direzione del professore. L’endorsement più netto lo ha fatto Luigi Abete, presidente dell’Assonime, l’organizzazione confindustriale delle società per azioni ed ex presidente dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana: «Chi si candida a governare deve restare nel solco tracciato dal governo Monti. Le forze politiche si impegnino ad attuare i provvedimenti che mancano». Ed è stato emblematico il risultato di un sondaggio svolto questa estate tra i grandi manager e i banchieri riuniti a Cernobbio per il tradizionale meeting: 81 per cento delle preferenze per Mario Monti e un bis del suo governo. Poi c’è Montezemolo in prima fila nel partito di Monti. E gli Agnelli, i quali nonostante l’emigrazione in America, hanno preso dai tecnici solo qualche svogliato rimbrotto. Ma Confindustria non è fatta solo dai grandi imprenditori. Ed è facile intravedere la pressione del ventre molle dell’associazione nelle durissime dichiarazioni che questa estate il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi riservò al governo. Prima, accanto a Susanna Camusso, accusò Monti di fare «macelleria sociale». E poi, ancora, a ottobre: «Non c’è nessuna misura incisiva per la ripartenza». E di 22 dicembre 2012 left copertina © monaldo/lapresse left.it nuovo, a novembre: «Va bene un Monti bis, ma solo con la legittimazione del voto». Molto complesso il campo anche sul fronte sindacale. Dove lo scontato appoggio della Cgil ai democratici non è poi così netto. Pesa la distanza della Fiom, messa in scena questa estate coi fischi riservati a Bersani da una platea di delegati operai chiamati a raccolta da Landini. I metalmeccanici della Cgil dividono le proprie simpatie tra Sel e gli arancioni. Attenzione, nessun endorsement ufficiale, il capo della Fiom ci tiene a ripetere che il sindacato non fa politica e che i metalmeccanici voteranno con la propria testa. Non è detto che sia un fattore positivo: cercando di indagare sul voto dei lavoratori, in Cgil hanno scoperto che il Pd resta il primo partito, seguito però, a brevissima distanza, dai 5 stelle di Grillo. Qualche diatriba tra i cugini di Pd e Cgil l’ha messa anche la recente firma dell’accordo sulla produttività, aspramente contestata da Susanna Camusso e invece sostenuta, seppure criticamente, dai democratici. Nel mondo cislino la questione è ancor più complessa. Il sindacato guidato da Bonanni è tradizionalmente visto come un punto di riferimento dai cattolici del Pd (in cui militano ex segretari di peso come Franco Marini, Sergio D’Antoni, Pier Paolo Baretta). L’attuale leader non ha però nascosto le sue simpatie per il nascituro Terzo polo e si è fatto immortalare in prima fila accanto ai cattomontiani Riccardi e Oliviero alla convention “Verso la Terza repubblica”. Ma il dirigente sindacale ha smentito l’ipotesi di una sua candidatura diretta e di un impegno della Cisl nell’agone politico. «A differenza della Cgil non parteciperemo alla campagna elettorale. Il nostro statuto è molto chiaro: è vietato il cumulo di cari- left 22 dicembre 2012 Bentivogli (Cisl): «Non ci schieriamo. Ma Bersani ha una linea cerchiobottista» che sindacati e politiche. La Cisl rivendica la sua autonomia formale e sostanziale», spiega Marco Bentivogli, componente della segreteria nazionale della Fim Cisl. La distanza tutta sindacale dalla Cgil, per i dirigenti del sindacato bianco, si traduce politicamente in un moderato montismo e in una profonda antipatia per il Pd. «Nei luoghi di lavoro Monti gode di una certa popolarità, perché si caratterizza per la sobrietà e il rigore», spiega il sindacalista. Nonostante il tecnico abbia portato avanti una politica impopolare e abbia più volte ribadito il suo rifiuto della concertazione («che in ogni caso non può essere come in passato un rito inconcludente», specifica Bentivogli). «Noi della Fim Cisl siamo invece arrabbiati coi democratici: non hanno detto neppure una parola sul contratto dei metalmeccanici», firmato senza la Cgil. «Quel testo - continua Bentivogli - vale per 1,6 milioni di metalmeccanici ed è stato riconosciuto dall’Ig Metal, il sindacato tedesco, ma non dal Pd. Se il futuro governo sarà caratterizzato da questa linea cerchiobottista, Dio ce ne scampi». Nello scontro Cgil-Cisl, dunque, Bersani rischia di rimanere scottato, e prova a smarcarsi proponendo una legge sulla rappresentanza sindacale. «Si può fare, ma solo se c’è prima un accordo tra di noi. E la Cgil ha fatto di tutto per evitarlo», spiega Bentivogli. E chiosa con una battuta, tutt’altro che morbida: «Se il prossimo sarà un esecutivo Bersani, con dentro Vendola e Camusso, chiederemo asilo politico in Germania». In queste pagine, sconti anticipati nel periodo natalizio a Roma. Manifestazione della Fiom Cgil per il contratto dei metalmeccanici. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi 17 copertina left.it Provaci ancora Prof T ecnocrate chiama tecnocrate. Se la Commissione europea dovesse votare alle elezioni italiane non avrebbe dubbi: il suo uomo è Mario Monti. Chi meglio del professore in loden, col suo capello brizzolato e l’occhiale d’ordinanza, così austero da non sembrare neanche italiano? Sarà per questo che piace a Bruxelles, dove lo scetticismo verso i mediterranei cresce allo stesso ritmo della disoccupazione. Il commissario agli Affari economici Olli Rehn ha parlato col Financial Times mentre Monti dava le dimissioni, elogiando i successi del primo ministro italiano. Poi, alla riunione dell’Eurogruppo del 18 dicembre ci ha tenuto a precisare: «È essenziale che l’Italia rimanga fedele al programma di risanamento delle finanze pubbliche e che ci sia continuità nella politica finanziaria». L’Italia è un convalescente sotto osservazione e senza il professore rischia di ricadere in malattia. E non c’è incubo che atterrisca più l’Europa della possibilità di contagio: con Roma in crisi, l’eurozona potrebbe trasformarsi in un lazzaretto. Monti è stato in grado di ridurre lo spread, dice il Financial Times, e ha messo in sicurezza il Paese, anche se con l’aiuto della Bce. Ma se Draghi dovesse effettivamente passare dalle promesse ai fatti, la finanza si demoralizzerebbe gravemente. E Bruxelles non vuole rattristare la finanza. Tifa per un Monti 2.0, che unifichi il fronte moderato come fece Prodi col centrosinistra. Si augura che il professore ingaggi un coach che lo aiuti a tradurre il suo linguaggio accademico in facili slogan elettorali. Gli euro burocrati non ce l’hanno con Bersani, e pensano che sia un candidato più che ragionevole, ma temono che lo schieramento di centrosinistra sia vittima di diatribe interne e, soprattutto, subisca l’influenza negativa di Cgil e «ali estreme». 18 Per i leader europei il problema si chiama Berlusconi. E tra Bersani e Monti, a Bruxelles si fidano più del tecnico che del politico. Anche i socialisti europei, che governano in soli 6 Stati, sono divisi tra il sostegno al Pd e il desiderio di continuità di Cecilia Tosi Fin qui le istituzioni comunitarie. Ma in un’Europa che è sempre meno Unione, sono i governi nazionali a dire dove il vento deve soffiare. Lo hanno fatto all’ultima riunione del Partito popolare europeo, che rappresenta 21 formazioni di maggioranza su 27 Stati, visto che solo 6 nazioni della Ue sono in mano al centrosinistra. E il messaggio dei conservatori è stato chiaro: Monti è la persona più adatta a mandare in pensione Berlusconi. Non è certo che la Merkel abbia chiesto al professore di candidarsi, ma sicuramente Barroso ha cercato di arginare il Cavaliere, incontrandolo in privato per ricordargli «l’importanza delle stabilità». E la sinistra dov’è finita? Il Partito socialista europeo, di cui il Pd non fa parte - pena i turbamenti della sua anima cattolica - ha confermato il suo sostegno a Bersani il 14 dicembre, per bocca del bulgaro Sergei Stanishev: «È Pierluigi che può dare all’Italia la direzione e la guida necessaria per un futuro di progresso». Un endorsement un po’ moscio per la più antica famiglia politica europea. «Non credo che i partiti di sinistra vogliano abbandonare Bersani», sostiene Patrick Diamond, ricercatore di Policy Network ed ex consigliere a Dow- copertina left.it Monsieur Hollande, porta sulle spalle la responsabilità di un asse franco tedesco che non funziona più. E negli ultimi tempi è stato additato per il suo presunto sostegno a Mario Monti. «Come si fa a dire che Hollande è contro Bersani?», sbotta Valerio Motta, vicedirettore Comunicazioni del Partito socialista francese. «Il nostro partito sostiene totalmente il leader del Pd. L’abbiamo invitato al congresso di Tolosa e questa settimana il nostro segretario è a Roma. Se Hollande non fa appelli al voto è perché non vuole seguire l’esempio dei leader europei di centrodestra, che alle ultime elezioni francesi sostennero in tutti i modi Sarkozy». Però la sinistra europea non riesce ancora a conciliare le sue due anime, una fedele ai diktat europei, l’altra ansiosa di riformare il sistema. La tendenza più diffusa sembra quella della doppia morale: «Lottare contro l’austerity a casa propria, e accettare che venga imposta agli altri», sostiene Cuperus. «Tanti partiti progressisti si stanno radicalizzando», aggiunge Diamond. «Anche i laburisti inglesi, che negli ultimi decenni erano diventati centristi, adesso sono in prima linea per la redistribuzione delle risorse. Eppure hanno manifestato tutta la loro stima a Monti». Due pesi e due misure che solo Hollande sta cercando di compattare, con risultati per ora deludenti. «È vero che non è facile, perché non si può procedere alla velocità ideale, soprattutto a livello europeo», dice Motta. «Ma la gente capisce che c’è bisogno di uno sforzo per tutti. Ora si vota in Italia e in Germania, nel 2014 ci saranno le primarie per il candidato socialista alla presidenza della Commissione: molte cose potrebbero cambiare». Ma secondo un rapporto di Nomura, Credit suisse e Rbs citato da Linkiesta, una vittoria di Bersani potrebbe giovare ai mercati. Un po’ perché gode un di un forte consenso popolare, un po’ perché si allontana lo spettro della richiesta di aiuti alle istituzioni europee, un po’ perché è già stato ministro nel governo Prodi. Ma soprattutto, come ci dice Giovanni Zanni di Credit suisse, perché «i mercati preferiscono un governo che prometta di seguire, nelle sue linee principali, la politica economica voluta da Monti. Mi sembra che finora sia questo ciò che indica il Pd». © mayo/ap ning Street. «Ma senz’altro tutti sono concentrati su quale sia la migliore coalizione possibile per mantenere l’Italia solida. E Monti viene visto come l’alternativa più credibile a Berlusconi». I tempi cambiano ma i dubbi restano: a Bruxelles la sinistra italiana si chiama ancora Massimo D’Alema e l’unica coalizione progressista che ricordano è quella che collassò facendo cadere il governo. «Quei pochi partiti socialisti che oggi sono al potere - prosegue Diamond - hanno grande interesse alla stabilità. In più, hanno già collaborato con l’entourage di Monti, trovando partner seri e affidabili». Chi ha responsabilità di governo, dunque, accarezza un’idea di continuità. Chi resta all’opposizione, invece, vorrebbe più coraggio dalla sinistra italiana. Lo conferma René Cuperus, direttore della Wiardi Beckman Foundation, il think tank dei laburisti olandesi: «L’immagine che abbiamo dell’Italia è quella dei titoloni su Berlusconi. Abbiamo l’incubo che lui torni al potere. Sicuramente Bersani deve riempire l’enorme spazio lasciato vuoto all’estremismo populista di Berlusconi e dall’estremismo tecnocratico di Monti. Ma è poco conosciuto all’estero, non è stato molto attivo a livello internazionale, specialmente qui nel nord. Forse l’Europa del sud gli è più familiare». Quindi «dovrebbe prendere posizioni più forti sulle riforme e più radicali in termini di equità sociale e coesione, per dimostrare che ha un’agenda diversa da quella neoliberista della destra». Anche in Europa, dunque, i socialdemocratici non hanno le idee tanto chiare. Il più noto tra loro, Il presidente della Commissione europea Manuel Barroso e il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy 19 copertina In Lombardia e in Veneto si gioca la partita del Senato. Un territorio dove morde la crisi economica. E che, archiviato Berlusconi, si scopre senza rappresentanza © Capra /Imagoeconomica left.it Incognita Nord U n gigante economico in cerca di rappresentanza. Dopo quasi due decenni di berlusconismo, il Nord è politicamente orfano: deluso dal centrodestra, guarda al centrosinistra senza troppa convinzione. Eppure è proprio in Lombardia e in Veneto che alle prossime elezioni si giocherà la decisiva partita per la maggioranza in Senato. Il quadro è fluido, perché ancora non si sa se Lega e Pdl torneranno alleati oppure correranno separati, né se il professore scenderà in campo o resterà super partes. I sondaggi, però, evidenziano già alcune novità nelle regioni chiave del Nord: il sorpasso del Carroccio di Maroni sul Pdl allo sbando e il fiato sul collo del movimento di Grillo al Pd, ormai primo partito anche sopra la linea gotica. Una crisi d’identità di un territorio in profonda trasformazione che non è solo politica ma anche sociale ed economica. Perché la recessione morde dappertutto e se la disoccupazione settentrionale ha ancora tassi tedeschi (6,8 per cento contro il 10 nazionale), solo un anno fa era al 5,1. Così, anche nell’area del Paese che produce circa il 50 per cento del Pil, precarietà, calo dei consumi e diminuzione del potere d’acquisto sono ormai di casa. 20 di Sofia Basso Lombardia, Ohio I sondaggi di metà dicembre confermano il crollo verticale del Pdl, che in molte regioni è nettamente sotto la Lega. Se in Lombardia il Carroccio veleggia attorno al 18 per cento e il partito di Berlusconi si ferma al 14, in Veneto lo spread è ancora più ampio: 17 contro 10. Il Pd è costantemente in testa ma non sfonda: a livello nazionale i democratici superano il 30 per cento, ma al Nord oscillano dal 30 della Liguria al 22 del Veneto. Ed è proprio nella “Vandea verde” che il partito di Bersani potrebbe trovarsi a dividere il primo posto con il M5S. La partita decisiva, comunque, sarà quella lombarda. Perché perdere nella più popolosa regione d’Italia, per il Pd significherebbe maggioranza a rischio in Senato. Effetto del Porcellum. Da qui il paragone con l’Ohio, Stato decisivo per la corsa alla Casa Bianca. Tra l’altro in Lombardia è in palio anche il governo della Regione, in mano a Roberto Formigoni dal 1995. Al momento la sfida per il Pirellone vede in campo Umberto Ambrosoli, l’avvocato appena incoronato dalle primarie del centrosinistra, il leader del Carroccio Roberto Maroni e l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini (Pdl), sedotto dal montismo. Uno schema 22 dicembre 2012 left copertina left.it Questione settentrionale «Maroni ha come modello la Csu della Baviera. Sta facendo piazza pulita delle liturgie pagane e si sta concentrando sugli interessi del Nord. Se il Pd non affronta veramente la questione settentrionale, tra 5-10 anni potremmo trovarci la Lega primo partito del Nord», avverte il professore della Luiss, che però non esclude lo scenario opposto di un Carroccio spazzato via da scissioni insanabili. Rimane il fatto che oggi l’erede del senatùr mantiene il suo zoccolo duro di voti: «Maroni beneficia del fatto di essere stato coerentemente contro Monti, contro l’Imu e contro la Germania della Merkel». E dopo le grandi aspettative, il governo più nordico della storia ha seminato rabbia e delusione anche sopra la linea gotica. «Sono 20 anni che la Lega parla di Nord, secessione e federalismo. L’occasione per realizzare la sua proposta l’ha avuta», fa notare Pippo Civati, consigliere lombardo del Pd. L’ex rottamatore è uno dei pochi democratici che parla esplicitamente di questio- left 22 dicembre 2012 Civati: «L’emergenza è la precarietà. Che accomuna lavoratori e imprenditori» ne settentrionale: «Se la risposta leghista è sbagliata, non significa che la domanda non esista. Sono convinto che i Nord, molto diversi tra loro, impongano questioni che debbano essere affrontate, a cominciare dalla pressione fiscale e dalla redistribuzione delle risorse». Ecco perché proporrà al suo partito un viaggio attraverso il Settentrione per «dare un po’ di articolazione» al progetto politico democratico. Secondo Civati, l’emergenza oggi è soprattutto la precarietà, che accomuna il lavoratore precario e l’imprenditore: «Chi fa impresa assume su di sé un rischio al ribasso, è costretto a reinventarsi continuamente e soffre perché il sistema non lo aiuta, a cominciare dalle banche». Da qui la necessità di pensare ad ammortizzatori sociali diversi dalla cassa integrazione. Di una specificità settentrionale parla anche Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre: «Le parole per vincere nel Nordest non sono quelle abituali della sinistra: sono piccola impresa e credito. La crisi è come la marea, quando sale travolge tutti. Bisogna capire meglio le difficoltà di quel mondo: dalla tassazione eccessiva alla stretta che c’è stata». Non solo: «Da noi l’operaio e il padrone lavorano assieme per salvarsi, e quando vedono che non ci riescono se la prendono con chi comanda. Conquistare questo popolo per la sinistra non è facile, ma quei voti fanno la differenza». In mezzo c’è il fenomeno Grillo, voto di protesta senza etichette territoriali: «Anche al Nord alligna una lettura della crisi profondamente critica rispetto a quello che sta facendo la politica italiana ed europea», aggiunge Civati. «Pesa la grande crisi di credibilità del centrodestra e, in parte, del centrosinistra. Dobbiamo recuperare non solo dal punto di vista elettorale ma anche politico, dando risposte più precise su temi come l’Europa». Simile l’analisi di Bortolussi: «Il voto a Grillo rappresenta la ribellione a un sistema che non funziona. Molti qui votano M5S come gesto intermedio: magari non hanno il coraggio di votare Bersani, perché non sono di sinistra. Anche se il Pd, in rilancio anche grazie al traino delle primarie, ha posizioni moderate». L’unica certezza oggi al Nord è che quello che sino a pochi anni fa era un feudo incontrastato del centrodestra adesso è un’incognita. Dall’alto, Giuseppe Civati, consigliere Pd in Lombardia e Roberto D’Alimonte, politologo ©Imagoeconomica (2) a tre che avvantaggia il figlio dell’eroe borghese. Ma un eventuale accordo Pdl-Lega metterebbe in difficoltà il centrosinistra. Con il rischio di consegnare anche il Pirellone al Carroccio, che già governa Veneto e Piemonte. «Se Albertini rimane in pista, Ambrosoli vince tranquillo e questo avrebbe un effetto positivo sulle politiche, perché si spaccherebbe il Pdl», spiega il politologo Roberto D’Alimonte. «Ma bisogna vedere cosa succede tra Maroni e Berlusconi: se ci fosse un accordo anche per le politiche, i leghisti veneti potrebbero rompere, perché loro vogliono andare da soli. A quel punto Bersani strapperebbe il premio di maggioranza anche in Veneto». D’Alimonte, però, non ha dubbi: «Se il Pd vince in Lombardia e in Veneto, non è perché ha conquistato nuovi ceti sociali, ma perché gli altri non si sono organizzati». Una cosa sono le percentuali, un’altra i voti. Malgrado il centrosinistra governi ormai in tutti i capoluoghi del Nord, la debolezza della coalizione, secondo il politologo, sta nella mancanza di una proposta convincente per la piccola e media impresa: «Non mi riferisco solo agli imprenditori, ma anche agli operai che nel Nordest stanno con il padrone». Per D’Alimonte l’offerta politica in grado di sottrarre quel mondo all’egemonia della destra si chiama “questione settentrionale”. E qui, archiviati Chiamparino e Cacciari, il Pd arranca. 21 copertina left.it Tutti a rincorrere l’astensionismo. Oltre 16 milioni di potenziali elettori: delusi della sinistra, nostalgici di Silvio, qualunquisti e anti austerità Caccia all’ultimo voto © dbbent/flickr di Donatella Coccoli è un’area grigia dalle diverse anime, il popolo dell’astensione. Magmatica e sfaccettata. Ci sono i delusi della sinistra da anni confinati fuori dal Parlamento e coloro che a destra non si riconoscono più in Berlusconi. Poi quelli del “son tutti uguali, rubano e basta”. E infine, la massa indistinta di cittadini colpiti dalla crisi, schiacciati dalle tasse (ultima l’Imu), umiliati dalla disoccupazione: quel ceto medio il cui “smottamento” è stato ben fotografato qualche giorno fa dal Censis. Oltre sedici milioni di persone senza bandiere che non scendono in piazza né si recano al seggio. È questo il cuore pulsante dell’area grigia: il partito dell’astensione. Una parte “viva” su cui si giocherà la campagna elettorale. «Il partito del non voto si sta riducendo, oggi è al 35 per cento, qualche mese fa era al 45 . Certo, non si arriverà al 20 per cento delle Politiche del 2008, ma l’astensione sarà inferiore a quel- 22 la stimata sei mesi fa», dice Nando Pagnoncelli presidente dell’Istituto di sondaggi Ipsos. «Da una parte, la prospettiva elettorale spinge alcuni di quelli che nei mesi scorsi si erano rifugiati nell’astensione a precisare le proprie posizioni, considerando il voto ancora come un dovere. Dall’altra, le primarie del centrosinistra hanno favorito una maggiore mobilitazione, facendo rientrare un certo astensionismo nel Pd», aggiunge Pagnoncelli descrivendo le caratteristiche del non voto degli ultimi due anni. Che, «a differenza del passato non è caratterizzato solo da persone distanti dalla politica anche dal punto di vista sociodemografico (prevalentemente donne, di età avanzata, poco istruite, residenti in piccoli centri). Il nuovo astensionismo annovera una parte importante di ceti scolarizzati, della classe elettiva del Paese, della piccola e media imprenditoria», continua il presidente di Ipsos, evidenziando anche 22 dicembre 2012 left copertina left.it A sinistra di voci critiche ce ne sono. «Io non vado a votare perché semplicemente non c’è nessun partito di riferimento da appoggiare». Maurizio, lavoratore dipendente all’università di Firenze, si è recato alle urne una volta negli anni 70, poi qualche referendum, quindi stop. «La ragione è che nessun partito ha messo al centro del suo programma la classe operaia e il lavoro dipendente. Non lo ha fatto allora il Pci né i partiti successivi». Maurizio, super informato, segue la politica con passione e si spende in altre direzioni «come in alcune lotte delle organizzazioni sindacali». Invece Giuseppe, giornalista calabrese, tutte le domeniche alle 8 andava a votare, perché pensava che fosse «un diritto dovere, un atto di responsabilità». Tra due mesi non lo farà. Perché? «Questo è un sistema di voto malato», spiega. «Dal 2008 in poi l’Italia è sprofondata in un bipolarismo parossistico, un pensiero unico a destra e a sinistra che nuoce alla politica. Non c’è più una rappresentanza politica. È un falso mito della democrazia l’idea che andando a votare si possa cambiare qualcosa». Come soluzione Giuseppe propone «la resistenza civile, l’azione collettiva non violenta, la ribellione individuale». L’area grigia si tinge anche di rosa. L’astensionismo infatti è maggiore nella componen- left 22 dicembre 2012 te femminile dell’elettorato. Un po’ per ragioni anagrafiche, visto che le donne sono più longeve degli uomini, un po’ per motivi culturali e sociali. La scarsa istruzione e la lontananza dal mondo del lavoro hanno come risultato la disaffezione alla politica. Negli ultimi anni le giovani sembrano però più agguerrite nella partecipazione. «Il trend della maggiore presenza delle giovani sembra confermato», afferma la sociologa Francesca Zajczyk che sul rapporto tra donne e politica insieme ad Assunta Sarlo ha scritto per Laterza il saggio Dove porta il cuore delle donne. «Soprattutto nelle aree urbane dove c’è una maggior concentrazione di persone che hanno studiato e che lavorano: due fattori che hanno sempre spostato verso valori progressisti e a sinistra». Ma c’è anche una componente femminile dell’elettorato che continuerebbe a votare Berlusconi, se decidesse di tornare in campo, perché «coinvolta psicologicamente dal personaggio», aggiunge Zajczyk. Pagnoncelli (Ipsos): «Il partito dell’astensione annovera oggi una parte importante dei ceti scolarizzati e imprenditoriali» Come riconquistare il popolo astensionista? Antonio Longo è presidente del Movimento di difesa del cittadino, l’associazione che ha presentato ricorso al Consiglio di Stato sulla data delle elezioni nel Lazio, contestando la governatrice Polverini. Longo elenca tre riforme che potrebbero riavvicinare i cittadini. Al primo posto propone «una legge elettorale che dia davvero la possibilità di scegliere le candidature». Poi la riduzione dei costi della politica con l’eliminazione del parassitismo e infine «la riforma del sistema di redistribuzione del reddito». Perché, continua Longo «non è più sostenibile che ci sia una massa di cittadini a reddito fisso che assistono alle note di spesa dei politici, o alle pensioni accumulate per decine di migliaia di euro al mese o agli alti stipendi di un capo della Polizia o di un presidente dell’Inps». Alla fine però quello che conta, conclude Antonio Longo, «è un cambiamento sostanzioso e sostanziale della classe politica: se ci saranno i soliti arnesi che stanno in video nei talk show, molti si allontaneranno ancora». © imagoeconomica un’asimmetria: è nel centrodestra che si contano le maggiori defezioni. Nei prossimi due mesi l’area grigia potrebbe cambiare. «Per certi versi un’offerta Monti potrebbe riportare al voto una parte degli elettori delusi dalla politica tradizionale. Anche se c’è una correlazione forte tra la volontà di astenersi e il disagio economico vissuto» di cui l’agenda Monti per molti è responsabile. Sulla richiesta di proposte nuove, secondo Pagnoncelli, Monti e Grillo rappresentano «due modi diversi di rispondere alla stessa domanda». A sinistra del Pd l’incognita è quella della lista arancione. «Se sarà in grado di coagulare aree diverse che si richiamano allo stesso progetto, potrebbe nascere una forza politica in grado di ottenere un discreto consenso. Bisognerà vedere se la loro è una logica che aggrega o enfatizza le differenze», conclude. Nando Pagnoncelli presidente dell’Istituto di sondaggi Ipsos 23 copertina left.it Struttura Delta di nuovo in azione di Loris Mazzetti È bastata una battuta di Luciana Littizzetto a commento della sesta discesa in campo di Silvio Berlusconi, «una pragmatica sensazione di aver rotto il cazzo», che in Rai il clima, tornato sopportabile dopo anni di pressioni, si guastasse nuovamente. I pasdaran del Cavaliere si sono messi in moto arrivando a portare in Parlamento le parole di una comica con relativa interrogazione. Forse il ricordo di Roberto Benigni ospite del Fatto di Enzo Biagi in Berlusconi è ancora vivo. Nel caso l’avesse dimenticato glielo ha ricordato lo stesso Benigni il 17 dicembre con uno straordinario show su Rai1 dedicato alla Costituzione. Così l’esordio: «Due brutte notizie in questo mese, una è la fine del mondo, l’altra è terrificante, s’è presentato per la sesta volta, la settima si riposa. È come i sequel dei film: lo Squalo 6, la Mummia, Godzilla contro Bersani». La coppia Fazio e Littizzetto condurrà il prossimo Festival di Sanremo che, grazie alla sfiducia di Alfano al governo Monti, sta rischiando di andare in onda in piena campagna elettorale. Ma qualcuno ha già proposto lo spostamento della trasmissione più popolare della tv italiana a dopo il voto: «Per il bene degli italiani». Per fortuna che ai vertici dell’azienda non ci sono più certi personaggi asserviti alla cau- 24 © Monaldo / LaPresse La tv è ancora terra di conquista per Berlusconi. Lo strapotere mediatico ha di nuovo imposto la presenza del Cavaliere in tv da tutti gli schermi. E anche La7 rischia di finire nelle sue mani. Lerner intanto va a dirigere la televisione di Feltrinelli sa Mediaset, altrimenti apriti cielo. Il direttore generale Gubitosi ha liquidato la vicenda Littizzetto con un invito a Rai3 «a una maggiore attenzione nei confronti di tutti gli esponenti politici evitando gli eccessi». In altri tempi sarebbero arrivate lettere, sospensioni e perché no anche la chiusura del programma. Per una volta un po’ di lungimiranza non guasta, ma, trattandosi di Sanremo, il futuro non sarà fatto di sole rose e fiori. Quarantacinque giorni prima del voto, cioè all’inizio di gennaio, scatterà la famosa legge della par condicio, voluta da D’Alema per mettere fine allo strapotere mediatico del Cavaliere. Le emittenti tv hanno l’obbligo di assicurare a tutti i soggetti politici imparzialità e equità. Che la legge non sia in grado di sostituire quella sul conflitto d’interessi è dimostrato da ciò che sta accadendo in questi giorni. Il 12 dicembre è partita l’offensiva mediatica di Berlusconi: prima trasformando la presentazione dell’ultimo libro di Vespa in una sua conferenza stampa trasmessa a reti unificate, poi Il pomeriggio di Canale 5 con una finta intervista di Barbara D’Urso, La telefonata di Belpietro sempre su Canale 5, Quinta Colonna di Del Bebbio su Rete4, ancora Porta a porta su Rai1. L’ordine è partito 22 dicembre 2012 left copertina left.it direttamente da Arcore: «Dobbiamo saturare la tv prima che scatti la par condicio». Ed è stata avviata anche la trattativa per la partecipazione del Cavaliere a Sevizio pubblico di Santoro. Cosa accadrà invece a La7 durante la campagna elettorale? Gad Lerner non sarà della partita dopo l’addio alla prima serata del lunedì, e avrà il ruolo di presidente del comitato editoriale della nuova tv multipiattaforma in onda sul digitale terrestre a partire dalla prossima primavera, costituita dal 70 per cento di Effe2005-Gruppo Feltrinelli e 30 per cento di La7. Pare che Santoro, dopo la richiesta di Bernabè che la par condicio venga applicata alla lettera, stia minacciando di non andare in onda nei quarantacinque giorni canonici prima del volto. Servizio pubblico non in onda sarebbe uno schiaffo al pluralismo. Purtroppo La7, tra il 2011 e il 2012, ha investito eccessivamente nel palinsesto, i risultati di ascolto non hanno rispettato la previsione e il debito ha superato i 200 milioni di euro. Il contratto capestro per la pubblicità con la società di Cairo ha fatto scappare alcuni concreti acquirenti, sul piatto rimangono solo due “offerte vincolanti”: quelle di Clessidra-Equinox e quella dello stesso Cairo, il più accreditato all’acquisto. Siamo certi che dietro all’amico non ci sia sempre lui, sua Emittenza? Berlusconi ha la necessità di risalire nei sondaggi e con le prime apparizioni in tv il Pdl è cresciuto di tre punti, assestandosi al 17,5 per cento. Ad Arcore da un po’ di tempo sono aumentate le cene tra Berlusconi e i suoi fidi: Confalonieri, il direttore generale dell’informazione del Gruppo Crippa, il direttore del Tg4 e di Studio Aperto Toti e Giordano (Tgcom24). Non si può escludere che qualche sorpresa arrivi dalla Commissione di vigilanza, che è sempre la stessa che per le elezioni Regionali 2010 decretò che i politici potevano andare in onda solo nelle tribune elettorali. Il Consiglio d’amministrazione Rai votò a maggioranza (5 contro 4) la chiusura di Annozero, Ballarò, Porta a porta e L’ultima parola. Alla decisione della Commissione si opposero Sky e La7. Il Tar del Lazio diede ragione alle tv ma in Rai nulla cambiò e gli approfondimenti furono sostituiti con tribune elettorali che fecero bassissimi ascolti. Per l’azienda fu un dramma economico per la perdita di pubblicità e per i telespettatori di spazi informativi. Che la Rai sia stata per anni subalterna a Mediaset lo sanno anche i bambini in età pre- left 22 dicembre 2012 scolare, questo spiega perché la tv di Stato ha poco più di 500 clienti che investono in pubblicità rispetto ai 1.100 di Mediaset e agli oltre 800 di Sky. In una recente intervista il dg Gubitosi ha dichiarato che nei quattro anni in cui è stato amministratore delegato di Wind mai una volta è stato contattato dalla Sipra, la concessionaria della Rai. Con l’avvento di un professionista capace come Fabrizio Piscopo alla direzione generale commerciale della concessionaria la musica potrebbe cambiare, ma attenzione la struttura Delta è sempre lì al suo posto. La struttura è la conseguenza del macroscopico conflitto d’interessi che nessuno ha mai tentato di risolvere, permettendo così a Berlusconi di far diventare la tv italiana il mercato del consenso con l’obiettivo di manipolare i telespettatori. Una struttura che ha operato, come dimostrano le tante intercettazioni telefoniche, alle spalle dei consigli di amministrazione, della Commissione di vigilanza, dei vari appelli sul pluralismo dell’informazione dei Presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano. Se La7 applicherà alla lettera la par condicio Santoro potrebbe non andare in onda Le intercettazioni sono la dimostrazione dell’intreccio tra la Rai e Mediaset nelle quali sono stati coinvolti top manager, direttori di tg e di reti, con scambi di informazioni strategiche, in cui sono state concordate variazioni di palinsesto per attenuare l’impatto pubblico di notizie elettorali politicamente sfavorevoli a Berlusconi. Clamorosa fu la strumentalizzazione della morte di papa Giovanni Paolo II. In una intercettazione la responsabile del Marketing strategico, Deborah Bergamini (oggi parlamentare del Pdl) chiama una persona molto vicina a Berlusconi per pianificare la strategia mediatica per gestire al meglio le elezioni regionali che si annunciano una sconfitta per il centrodestra. Quando lo scandalo diventò pubblico l’Agcom aprì un’istruttoria e il suo presidente Calabrò dichiarò: «Il duopolio ha favorito lo scambio di informazioni con legami informali tra le due parti e una simmetria che ne ha facilitato la collusione». Compito dei nuovi vertici è quello di vigilare sulla correttezza dell’informazione. Nel frattempo godiamoci un Natale purtroppo scarso di regali sotto all’albero, ma ricco di Berlusconi in tv. In apertura, Silvio Berlusconi ospite a Porta a Porta su RaiUno 25 società left.it Livorno, Modena, Rimini. L’emergenza abitativa diventa drammatica nelle città del centro nord produttivo. Dove crescono gli interventi degli ufficiali giudiziari e si impennano i pignoramenti. E i Comuni, ridotti al lastrico dai tagli, hanno le mani legate. Viaggio nell’Italia che ha perso casa Sfratti vostri di Ylenia Sina 26 22 dicembre 2012 left società left.it S duttivo, piegato da cassa integrazione e licenziamenti. Il governo è corso ai ripari, inserendo nella legge di stabilità l’ennesima proroga agli sfratti. Ma è un provvedimento tampone che riguarda solo gli sfratti per finita locazione e non coinvolge i provvedimenti emessi per morosità, che rappresentano quasi il 90 per cento del totale. Nessuna risposta a breve termine invece per le 650mila domande per una casa popolare, mentre sono 20mila gli alloggi pubblici inutilizzati in assenza di fondi per la ristrutturazione. E per i Comuni, strozzati dalla riduzione dei trasferimenti e dal patto di stabilità, è impossibile dare seguito alle 300mila richieste di contributo all’affitto. Dopo un decennio nel quale, grazie alla facilità di accesso al credito, gli italiani hanno pensato di poter diventare tutti proprietari, ora esplodono i pignoramenti. © Stavrakis/lapresse essantamila sfratti. Al termine di un anno di crisi e austerità, il bilancio delle condizioni abitative degli italiani è impietoso. Mentre stenta a decollare il piano per l’edilizia “sociale” avviato nel 2008 dal governo Berlusconi che avrebbe dovuto favorire la realizzazione di alloggi “a prezzi accessibili” e, causa tagli, spariscono dalle mappe i programmi per le case popolari, esplode l’emergenza sfratti. Il fenomeno, in Italia, non è una novità. Ma dal 2008 c’è stata una vera e propria impennata. Aumentano quelli per morosità, ovvero causati dall’incapacità di continuare a pagare il canone d’affitto. Negli ultimi cinque anni in Italia sono oltre 200mila gli sfratti emessi per questo motivo e altri 250mila sono attesi per i prossimi tre anni. In cima alla lista ci sono le medie e piccole città del centro nord pro- left 22 dicembre 2012 27 società left.it Un Paese senza fissa dimora Elaborazione dati del ministero dell’Interno relativi agli sfratti del 2011 miglie sotto sfratto, lo slogan di sindacati e movimenti per il diritto all’abitare è “Perdi il lavoro, perdi la casa”. Anche in provincia di Bergamo si ripete il binomio. «Gli sfratti sono aumentati soprattutto nei Comuni più piccoli dove l’occupazione è strettamente legata alle industrie e a piccole aziende disseminate sul territorio», racconta Fabio Cochis, dell’Unione inquilini Bergamo. «E se prima si parlava quasi solamente di sfratti, con la crisi, sono aumentate a dismisura le famiglie con case messe all’asta». L’inutile proroga © infografica martina fiore Il governo ha deciso l’ennesima proroga. Ma difende solo il 10 per cento delle famiglie a rischio Senza lavoro niente casa In Italia si eseguono un centinaio di sfratti al giorno. Il ministero dell’Interno, nell’ultimo dossier annuale, conta 63.846 nuove sentenze nel solo 2011. Che vanno ad aggiungersi alle 65.664 dell’anno precedente. L’87 per cento di questi è per morosità. In altre parole, quasi il 90 per cento delle persone è sotto sfratto perché non può permettersi di pagare l’affitto della casa in cui vive. Quasi 30mila famiglie, 28.641 per la precisione, nel 2011 sono state cacciate dalle proprie case con l’uso della forza pubblica. «Se prima del 2008 le sentenze emesse ogni anno erano circa 40mila, con l’inizio della crisi sono cresciute a 65mila, proprio a causa della morosità», spiega Walter De Cesaris, segretario nazionale di Unione inquilini. E se i numeri assoluti nelle grandi città restano alti, oltre 5mila sfratti a Milano, 6.686 a Roma, 3.696 a Napoli, sono le province più piccole ad avere una maggiore incidenza nel rapporto tra numero di sfratti e famiglie residenti: al primo posto c’è Livorno, seguita da Lodi, Novara, Modena, Pistoia, Trieste, Pavia, Rimini. Roma è al decimo posto. Poi ci sono Biella, Brescia, Prato e Cremona. Quasi tutte mediepiccole città del centro nord colpito dalla crisi. Non a caso a Livorno, dove ci sono circa mille fa- 28 Anche quest’anno il governo ha predisposto la proroga degli sfratti, che si ripete da più di dieci anni, inserita in extremis all’interno del decreto stabilità. Con una differenza: sei mesi al posto del “tradizionale” anno. Un provvedimento che però copre solo le famiglie sotto sfratto per finita locazione, nel 2011 poco più del 10 per cento del totale. Le sentenze per morosità rimangono escluse da questo paracadute. «Un provvedimento che riguarda meno di 20mila famiglie su una stima di 250-300mila sotto sfratto. Per questo nei mesi scorsi avevamo espresso al governo l’urgenza di estendere la proroga anche alla morosità incolpevole che riguarda quelle famiglie che smettono di pagare perché il reddito non glielo permette più», spiega Daniele Barbieri segretario generale del Sunia, Sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari. Troppo poco, per risolvere una malattia italiana diventata ormai cronica. Il Paese dei proprietari di casa si sta trasformando in un Paese di senza casa. Pignoramenti La difficoltà a rimanere nella propria casa, infatti, vale anche per quanti, negli anni scorsi, hanno acceso un mutuo. I numeri parlano di un vero e proprio boom di pignoramenti. Se da un lato, complice il credit cruch, sono crollate le compravendite immobiliari e i mutui concessi, dall’altro aumentano le case messe all’asta dalle banche per insolvenza. Secondo uno studio di Federconsumatori e Adusbef, dal 2008 al 2012, le case di circa 100mila famiglie sono state messe all’asta dalle banche. L’unica ancora di salvataggio è il “Percorso famiglia”, un pacchetto di interventi messo in campo dall’Associazione bancaria italiana (Abi), in collaborazione con il governo e le associazioni dei con22 dicembre 2012 left società sumatori. Tra gli strumenti previsti c’è la possibilità di sospendere le rate dei mutui per un anno in seguito a eventi particolari come la perdita del lavoro o la cassa integrazione. Fino al settembre scorso ne hanno usufruito circa 77mila famiglie, per un valore totale di 9 miliardi di debito residuo. Ma la crisi non accenna a diminuire: «Siamo alla quarta proroga dal 2010 e per questa nuova edizione del provvedimento il termine ultimo di presentazione della domanda scade il 31 gennaio 2013», spiegano dall’Abi. Ma secondo l’Adusbef, «questi protocolli non bastano, i numeri si commentano da soli», afferma Elio Lannutti, senatore dell’Italia dei valori e presidente dell’associazione. Una città come Udine o Ancona è stata pignorata negli ultimi cinque anni. La percentuale aumenta insieme all’avanzare della crisi. Dal 2008 al 2012 si è avuto un incremento del 100 per cento. Sfratti previdenziali Un’ondata di occupazioni e di sgomberi, mentre migliaia di famiglie sono alle prese con le dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali privatizzati. Nella situazione generale di crisi Roma resta la capitale dell’emergenza casa. Almeno 30mila appartamenti, nelle mani delle casse sono stati messi in vendita o hanno subito aumenti dei canoni di affitto. Fondazioni come Enasarco, Enpaia, Enpam, Cassa Forense, Cassa ragionieri, proprietarie di ingenti patrimoni edilizi investiti negli affitti, dal lontano 1994 si sono trasformate in “persone giuridiche private”. Oggi hanno l’obiettivo è quello di “fare cassa”, aumentando la redditività dei loro investimenti: vendendo gli immobili o facendo salire gli affitti agli insostenibili valori di mercato. Secondo quanto dichiarato da diversi enti, il loro patrimonio edilizio, affittato a canoni agevolati non rende abbastanza. La questione è nazionale, ma a Roma si concentra l’85 per cento delle dismissioni. Un giro di soldi da far girare la testa se si considera che nel 2010 l’Adepp, l’Associazione degli enti previdenziali privati, stimava il valore complessivo del loro patrimonio immobiliare in 10 miliardi di euro. Si tratta di appartamenti affittati fin dagli anni settanta a prezzi “agevolati” con la doppia funzione di calmierare il mercato immobiliare e di dare una risposta agli sfrattati e alle fasce di popolazione più deboli: negli anni Ottanta gli enti previdenziali di medici, commercianti o commercialisti erano ob- left 22 dicembre 2012 © d’errico/lapresse left.it bligati a vincolare la metà degli alloggi a famiglie in emergenza abitativa. Oggi invece a Roma la dismissione degli enti previdenziali cancella centinaia di alloggi a canoni ribassati. Per coloro che hanno messo da parte qualcosa, può essere l’opportunità per acquistare l’immobile in cui vivono a un prezzo basso. Ma secondo Angelo Fascetti, del sindacato inquilini Asia-Usb «circa la metà di queste famiglie ha problemi con la dismissione». A far salire la tensione tra gli inquilini degli enti previdenziali sono gli sfratti che colpiscono quanti non hanno accettato l’aumento degli affitti. Una situazione che ha spinto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a scrivere una lettera al prefetto Giuseppe Pecoraro per chiedere di bloccare questi provvedimenti. Tra le casse previdenziali che, dopo aver raddoppiato gli affitti in scadenza, hanno chiamato l’ufficiale giudiziario per buttare fuori i propri inquilini c’è la Cassa di previdenza dei ragionieri e dei periti commerciali, la Cnpr, che nell’ultimo anno ha conferito tutti gli immobili a destinazione residenziale nel fondo “Scoiattolo” gestito da Bnp Paribas Reim Italy sgr che si occuperà della dismissione. Anche l’Ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura, l’Enpaia, è pronta agli sfratti per 210 gli inquilini che non hanno accettato rinnovi con aumenti degli affitti che vanno dal 60 all’80 per cento. L’Enpaia si difende: «C’è l’accordo con la maggior parte delle sigle sindacali, comprese le tutele per le fasce più deboli. Inoltre, nonostante gli aumenti, gli affitti rimangono mediamente inferiori del 30 per cento rispetto al mercato». Eppure l’aria che tira tra gli inquilini è diversa. Spiega Angelo Fascetti: «Nel solo mese di novembre sono più di dieci i picchetti anti sfratto che gli inquilini hanno organizzato per difendersi. Di media, uno ogni tre giorni. Sono stati tutti rimandati ai primi mesi del prossimo anno». Roma, manifestazione per il diritto alla casa società left.it Alba Dorata un brand per fascisti di Davide Illarietti Xenofobi, omofobi, antisemiti, antisindacali. Arriva dalla Lombardia il movimento che prende nome dal partito razzista greco. L’idea è venuta all’ex factotum triestino di Scilipoti. Un marchio con una svastica gialloblu. E un candidato alle Regionali 30 X enofobi: «Gli stranieri li andiamo a prendere, dove lo Stato non arriva, con la forza». Omofobi: «Ma non abbiamo niente contro i gay: certo, niente esibizioni». Antisemiti: «Diciamo solo che le banche sono governate da una congrega di vampiri sionisti». I seguaci lombardi di Alba dorata, il partito neonazista greco «copiato» e ricucinato in salsa italiana («Ma guardate bene il nostro simbolo - protestano i militanti - è la svastica gialloblu, non rossonera. È completamente diverso»), nel giro di un mese hanno aperto cinque sedi provinciali a Varese, Milano, Lodi, Brescia e Cremona. E si preparano al22 dicembre 2012 left società left.it le elezioni regionali. Chi sono? Cosa vogliono? Giorgio Borghesi, 51 anni, proprietario di un bed & breakfast a Milano, è tra gli ultimi iscritti. Nessuna esperienza politica, nessuna tessera. «Se mai posso dire di essere stato, da ragazzo, uno studente di sinistra, anche se non ho mai partecipato a manifestazioni», dice. Un «cittadino qualunque». Vegano con il pallino della meditazione, Borghesi ha sempre «guardato con diffidenza alla politica. Poi ho conosciuto Alba dorata, tramite internet», spiega. «Ho letto prima il programma greco, quindi quello del movimento italiano. Mi hanno convinto». Così Borghesi si è trovato a fare il candidato al Pirellone di Alba dorata Lombardia. «Il progetto - gli hanno spiegato - è quello di fare della Lombardia un Cantone, come in Svizzera. Avremo anche una moneta complementare, poi una Nuova Lira». Perché, naturalmente, «l’obiettivo è uscire dall’Euro, nazionalizzare tutto». Su facebook, l’account del partito (oscurato più volte per contenuti «razzisti e xenofobi» contrari alle regole del social network) è stato aperto, chiuso, riaperto, richiuso. Al momento, è di nuovo online. Certo, ci sono le rievocazioni del Ventennio e i riferimenti alla svastica nel simbolo. «Ma volete capirlo che i colori sono diversi», spiega Borghesi. «Quanto al nome, Alba dorata è un brand, e importarlo è stata solo una trovata pubblicitaria, molto efficace, da parte del nostro fondatore». Bella trovata, non c’è che dire. L’intuizione è di Alessandro Gardossi, classe 1968, ex factotum triestino di Domenico Scilipoti ed ex segretario in Friuli dei neofascisti di Forza nuova: è lui che detiene i diritti del nome, registrato il 25 ottobre scorso presso l’Agenzia delle entrate di Trieste. «Fu quando Grillo disse: se falliamo noi, arriverà Alba dorata», ricorda il candidato. «Ed eccoci qua». Ma Gardossi, dov’è? Ospite del bed & breakfast di Borghesi nei suoi soggiorni milanesi, il leader trottola da una sede all’altra del partito, fomenta, organizza. «Oggi andava a Varese, poi a Brescia». E a Brescia incontriamo Antonio Di Domenico, 45 anni, un diploma in ragioneria, autista di autobus nella società di trasporti del Comune. «Vogliamo la dittatura dell’intelligenza, la scuola va ripulita dai comunisti, così come la magi- left 22 dicembre 2012 Alessandro Gardossi: «Siamo incostituzionali? Il nostro statuto è copiato paro paro da quello dei Cristiani democratici europei» stratura». È emozionato, Antonio, fa parte della “cellula” bresciana, ed è finito sul giornale «per favore, però, non dite anche voi che siamo razzisti...». E oggi incontrerà per la prima volta il gran capo. Alessandro Gardossi è un omone alto quasi due metri, caviglie sottili, volto stanco. Arriva per pranzo, preoccupato: «In Regione il Pd ha fatto un esposto contro la nostra candidatura, dicono che siamo incostituzionali». Embé? «Guardino pure lo statuto: è copiato paro paro da quello dei Cristiani democratici europei». Sorride, Gardossi. «Mica siamo fessi». Però niente cortei, niente bandiere, pochi soldi: «Quelli della banca si sono rifiutati di farci aprire un conto con il nome del partito. Del resto, le banche sono in mano agli ebrei», spiega il leader. Quella di Alexandros (così si fa chiamare su internet) Gardossi, è una carriera travagliata: insegnante, poi infermiere all’Asl di Trieste. Licenziato a suo dire «da un’azienda sanitaria dominata dai comunisti», vive «grazie alla liquidazione». Ex leghista, sogna di fare il rinnovatore dell’ultradestra. «Vengono da noi da tutte le parti», si vanta. «Lega, Pdl, Fiamma tricolore: io cerco di tenere tutti insieme, il programma è il nostro faro». Antonio, in tuta da autista gli illustra le proprie idee. «Divieto di manifestare». Si vedrà. «Abolizione dei sindacati». Certo. «È già nel programma, online», conferma Gardossi. E per la raccolta firme, come si fa? Per presentarsi ne servono 1.700 per provincia, 3mila solo a Milano. «Speriamo bene», dice Antonio. «No corregge Gardossi - speriamo un corno: noi vinciamo e basta». Poi, in separata sede, confessa: «E se non vinciamo, prima o poi si arriverà alla guerra civile. E allora andremo a prenderli a casa, i politici e compagnia bella». In apertura, una manifestazione dei neofascisti greci di Alba dorata. In alto, l’home page del sito internet del movimento dell’estrama destra lombarda 31 società left.it Registri flop Gli elenchi delle unioni civili, istituiti da 86 Comuni, di Marilena Vinci non funzionano. Poche iscrizioni, specialmente tra gli omosessuali. Colpa della carente informazione sui pochi diritti che concedono, ribattono le associazioni Lgbt A ll’inizio del nuovo millennio dovevano essere i Pacs (Patto civile di solidarietà); poi vennero i Dico (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi); infine ci si accontentò dei registri per le unioni civili, ovvero di un elenco comunale su cui compaiono i nomi delle coppie di fatto. Peccato però che in Italia, dove sono 86 i Comuni ad averli adottati, si siano rivelati un flop. Sarà perché sono poco conosciuti o forse perché i diritti che ne derivano non sono poi così significativi, di sicuro i registri sono stati quasi ovunque un fallimento. Semplicemente, la gente non li usa. Per le coppie etero sono solo un primo passo verso il matrimonio, mentre per gli omosessuali sono 32 l’unica forma di ufficializzazione del rapporto. Eppure proprio per questi ultimi si rileva la partecipazione più bassa. L’unione civile è un negozio giuridico, diverso dal matrimonio, che comporta il riconoscimento giuridico della coppia di fatto, al fine di stabilirne diritti e doveri. Uno strumento del genere esiste nella maggioranza dei Paesi dell’Europa occidentale (tra cui Francia, Germania e Regno Unito). Mentre in Spagna, Paesi Bassi, Islanda, Belgio, Norvegia, Svezia, Portogallo e Danimarca le coppie omosessuali possono accedere direttamente al matrimonio. In Francia il governo ha approvato un ddl per istituire i matrimoni omosessuali ma l’avvio dell’iter parlamenta22 dicembre 2012 left società left.it re è previsto per l’inizio del 2013. La scelta di Parigi ha fatto andare su tutte le furie la Chiesa, coi cattolici scesi in piazza a protestare. Anche il pontefice è stato molto chiaro: «I matrimoni gay sono una ferita alla giustizia e alla pace», ha dichiarato Joseph Ratzinger il 14 dicembre. Lo scontro tra favorevoli e contrari alla regolarizzazione delle unioni omosessuali è ancora molto aspro, anche in Italia, ed è trasversale alle aree laiche e cattoliche dei vari partiti. Il problema, insomma, è tutto aperto. Secondo l’ultima rilevazione dell’Istat, relativa al 2010-2011, le coppie conviventi nel nostro Paese sono il 6,6 per cento. Eppure, secondo i dati che left ha raccolto in molte città, sono rare le coppie che decidono di ricorrere ai registri delle unioni civili. A Empoli, prima città a introdurli nel lontano 1993, sono solo 6 le coppie a essersi registrate di cui 2 omosessuali. A Pisa, dal 1997, i registri comprendono 53 coppie di cui solo 4 omosessuali. E ancora, flop a Firenze (dal 2001, 91 coppie di cui 17 omosessuali) e Siena (5 dal 2011). Va un po’ meglio a Pesaro, dove alle coppie di fatto che lo richiedano viene rilasciato uno speciale stato di famiglia: 580 famiglie iscritte, di cui però solo una formata da persone dello stesso sesso. Anche a Roma, dove i registri sono autonomamente istituiti dai municipi, non si può parlare di successo. Ad esempio nel decimo municipio, che ha quasi 200mila abitanti, dal 2006 sono iscritte 28 coppie di cui 7 omosessuali. Nel 2012 ad adottare il registro sono state città come Cagliari (5 le coppie attualmente iscritte), Napoli (7 di cui 1 omosessuale) e Milano, indubbiamente il caso di maggior successo in Italia con 138 coppie di cui 39 omosessuali e 220 prenotazioni per i prossimi mesi. Per l’assessore ai Servizi civici di Milano, Daniela Benelli «questo registro ha soprattutto un forte valore simbolico. La maggior parte degli iscritti, più che per un fatto economico, lo fa perché vuole poter utilizzare l’attestato in caso di necessità, per esempio se uno dei due conviventi finisce in ospedale. Adesso stiamo lavorando anche sul regolamento funebre, per equiparare il trattamento dei conviventi a quello dei coniugi». Perché Milano ha risposto meglio di altre città? «Perché la città ha uno stile di vita più europeo con un orientamento laico, anche se non laicista. I milanesi si left 22 dicembre 2012 sentono “europei” e non possono che apprezzare uno strumento che nel resto del continente utilizzano ormai tutti i Paesi a eccezione dell’Italia». Ma a spingere le “nuove famiglie” milanesi in fila davanti a Palazzo Marino è anche la vastità dei diritti legati ai registri. Il Comune di Milano s’impegna infatti a tutelare le unioni civili in otto aree tematiche: casa, sanità e servizi sociali, politiche per i giovani, genitori e anziani, sport e tempo libero, formazione, scuola e servizi educativi, diritti e partecipazione, trasporti. In pratica gli atti dell’Amministrazione prevedono condizioni non discriminatorie di accesso agli interventi. Chi si iscrive al registro del Comune di Milano è equiparato «al parente prossimo del soggetto con cui si è iscritto». L’Amministrazione comunale rilascia inoltre su richiesta l’attestato di «unione civile basata su vincolo affettivo» che corrisponde al più convenzionale stato di famiglia. Unico caso positivo, Milano: in pochi mesi 138 coppie registrate e 220 prenotazioni Ma da cosa deriva il flop dei registri? Ha una tesi precisa in proposito Franco Grillini veterano delle lotte per i diritti civili degli omosessuali e presidente onorario dell’Arcigay: «I registri sono una battaglia simbolica. Il nostro obiettivo da vent’anni è conquistare le unioni omosessuali tramite una legge. I registri sono nati per fare pressione sul governo», spiega l’attivista. «Non funzionano per un duplice motivo. Uno, a livello locale i Comuni non fanno conoscere questa opportunità e non incoraggiano a iscriversi; secondo i cittadini non riconosco l’utilità pratica di questi registri. Il problema è che non hanno alcun effetto pratico». Diversa la situazione a Milano e Napoli: «Nelle due città vengono concessi diritti più ampi, realmente utili». Lo scarso numero di registrazioni potrebbe anche essere dovuto al disinteresse verso il matrimonio? «È possibile ma il punto non è questo. A prescindere da tutto i diritti devono essere uguali per tutti. Molti dicono che non si sposeranno mai, ma questo non vuol dire che non ci debba essere la possibilità di farlo. È come accadde in passato per il divorzio o l’aborto: il fatto che esistano non vuol dire che uno scelga di farlo». 33 società left.it L’Isola senza tesoro Dipendenti senza stipendi, auto a secco di benzina, strade senza illuminazione, milioni di debiti fuori bilancio. In Sicilia 60 Comuni rischiano il default di Claudio Reale A Catania si rivolgono al governo. A Messina invocano la Regione. A Cefalù contano semmai in un intervento della Madonna. Ma tutti, proprio tutti, sono in difficoltà. Benvenuti in Sicilia, l’isola che il tesoro non ce l’ha più da un pezzo: qui quasi ogni Comune ha consumato giorni e notti a cercare nelle pieghe della matematica un artificio per cacciar via quella parola proibita che significa più tasse, licenziamenti, servizi bloccati: default. I numeri sono impietosi: su 390 Comuni, una sessantina è all’anticamera del dissesto, ha approvato i bilanci in ritardo o si trova a fronteggiare buchi milionari. Ma secondo Giacomo Scala, presidente dell’Anci Sicilia, la situazione è ancora più nera. Almeno guardando le condizioni della cassa: «Sessanta Comuni in difficoltà? Macché - taglia corto - i Comuni in crisi di liquidità sono 390. Sì, il 100 per cento». La causa? «I trasferimenti del governo sono stati tagliati drasticamente, così è impossibile far quadrare i conti». Anche se una luce in fondo al tunnel si intravede: la giunta Crocetta, appena insediata, ha sbloccato 180 milioni. Una goccia nel mare, ma un inizio. In attesa che arrivino quei fondi, in Sicilia si gestisce l’esistente. Con casi paradossali come quello di Messina. Qui, il 9 novembre, il commissario straordinario Luigi Croce si è presentato davanti alla Corte dei conti con una relazione che calcolava il buco in 243 milioni. Di fronte ai magistrati contabili il commissario ha scoperto che dal suo Comune era arrivata anche la relazione del ragioniere generale Ferdinando Coglitore. Che era stato più ottimista: “appena” 60 milioni di buco. Intanto il Comune, fino all’estate guidato dal Pdl Peppino Buzzanca, ha tagliato quasi tutto, ha alzato le aliquote e ha ottenuto un finanziamento di 40 milioni dalla Regione per mettere una toppa. Una toppa l’hanno messa anche a Catania. Dove il bilancio è stato approvato alla vigilia dell’Immacolata: il Comune, oggi guidato da Raffaele Stancanelli (Pdl), si è salvato grazie ai 90 milioni da restituire in 10 anni che il governo dovrà versargli attraverso il “fondo Salva-Comuni”. Per farlo, pe34 © arianna catania rò, le aliquote dovranno rimanere a lungo al massimo. A Palermo, invece, l’incubo del sindaco Leoluca Orlando (Idv) è solo in parte legato ai conti dell’ente. La bomba a orologeria qui si chiama Gesip: la società comunale che ha assorbito i precari si è vista negare dal governo i 5 milioni utili a sopravvivere un altro mese e ha chiesto la cassa integrazione per i suoi 1.800 dipendenti. Centinaia di famiglie senza certezze nel Natale della crisi. La crisi, però, più che i grandi Comuni mette in difficoltà quelli medi. E qui l’elenco si fa lungo: Bagheria, Cefalù, Milazzo, Modica, Noto, Monreale, Sciacca, Avola, Pachino, Favara. Quello più in crisi è senz’altro Cefalù: il centro turistico in provincia di Palermo è stato dichiarato in dissesto dalla Corte dei conti: 12 milioni di debiti fuori bilancio, cioè quasi mille euro per ciascuno dei 14mila abitanti. Bambini compresi. E il sindaco si rifugia nella fede: «Solo la Madonna può aiutarci». Il problema, nell’isola senza tesoro, è sempre più la quotidianità. Gli stipendi: a Scicli le buste paga dei comunali sono rimaste ferme per 4 mesi, a Ispica per tre, a Noto e Monreale per due. E poi le forniture, anche quelle essenziali: a Milazzo stop ai mezzi pubblici, manca il carburante; a Bagheria il sindaco Vincenzo Lo Meo, strozzato da 28 milioni di debiti, è in difficoltà con le bollette. «Il debito con la ditta che fornisce l’elettricità è di 1,7 milioni», ha ammesso. Così qualche sindaco si è dato alla creatività. «Per fare cassa - ha spiegato Nicola Bonanno, sindaco di Caltagirone - abbiamo messo i nostri veicoli in vendita su eBay». All’asta sono finiti anche il carro funebre, uno scuolabus e un’autobotte. «Così guadagniamo qualcosa e non paghiamo più il bollo». 22 dicembre 2012 left calcio mancino società left.it Benito Lorenzi, uno dei calciatori più violenti e sleali del campionato italiano Veleno in campo di Emanuele Santi L orenzi o come dicevan tutti... Veleno era nato in Toscana a Borgo a Buggiano nel 1925. Il nome di battesimo, Benito, era colpa del nonno materno che vistosi chiudere il forno e la panetteria per ordine del podestà, reagì costringendo la figlia Ida a chiamare il nipotino proprio come il duce. Il soprannome Veleno, invece, non era merito dei giornalisti testimoni di infinite scorrettezze in campo, ma della stessa madre rassegnata a un carattere che oltrepassava la sana vivacità. Iniziò la carriera dopo la guerra, durante la quale aveva aderito alla Repubblica di Salò ed era stato ferito dai partigiani jugoslavi. L’Empoli lo acquistò nel ’47 per 100mila lire dalla squadretta del paese natio rivendendolo l’anno dopo all’Inter per 12 milioni sulla garanzia di quindici reti nel campionato cadetto. Nella partita d’esordio in nerazzurro rimediò un cartellino rosso. Dopo un brutto infortunio sul campo della Pro Patria che gli costò la frattura del perone e diversi punti in testa, rimase a San Siro per undici stagioni segnando 138 reti e vincendo due scudetti nel ’53 e nel ’54. Nel ’58, si trasferì all’Alessandria e, l’anno dopo, chiuse la carriera a Brescia di nuovo ti della Juve, con apprezzamenti nei confronti di Elisabetta II d’Inghilterra, si vide rispondere con un sorriso: «Io gallese, non è mia regina». Lorenzi alzava le mani anche sui compagni di squadra. Un giorno, a Firenze, il suo partner d’attacco Nyers sbagliò un gol già fatto e pagò l’ira di Veleno con un pugno. L’ungherese laBenito Lorenzi, detto “Veleno” sciò il campo risentito e lo stesso Lorenzi gli ordinò di rientrare minacciandolo di dargli il resto. Nyers rientrò, segnò con un bel colpo di testa e si prese la rivincita rincorrendo Veleno che se la diede a gambe. La sua scorrettezza più famosa resta quella mostrata in occasione di una stracittadina di campionato tra Inter e Milan. L’arbitro Lo Bello aveva concesso un rigore al Milan con i nerazzurri in vantaggio per 1-0. Senza che nessuno se ne accorgesse, Lorenzi aveva raccolto un mezzo limone piovuto dagli spalti e lo aveva posizionato a trappola tra il dischetto e la palla. Tito Cucchiaroni, l’ala sinistra, partì convinto di spiazzare Ghezzi, ma vide il suo tiro superare la traversa di oltre un metro e l’Inter vinse la partita. Eppure Benito Lorenzi detto Veleno era un cattolico esemplare, osservante e praticante. Tanto che si è sempre vantato di aver perso la messa della domenica una sola volta nell’arco di tutta la carriera. In un celebre colloquio con Carlo Maria Martini, all’epoca Arcivescovo di Milano, rassicurò il porporato dicendogli che «Il corpo pecca, ma lo spirito cattolico rimane nello spogliatoio». [email protected] Cattolico praticante non saltava una messa. Ma sul terreno di gioco era manesco e insultava gli avversari left 22 dicembre 2012 in serie B. Ha vestito la maglia della Nazionale dal ’49 al ’54, stesso anno in cui, ai mondiali di Svizzera, venne espulso per un calcio rifilato all’arbitro proprio nel match contro i padroni di casa. Benito Lorenzi era un giocatore estremamente sleale, sia nei contrasti fisici, sia negli scambi verbali. Il suo colpo preferito consisteva nello stringere i testicoli del difensore avversario per impedirgli di colpire di testa e poi si gettava nella rissa che spesso ne seguiva. Altra specialità erano gli insulti, volgarissimi, rivolti sia agli avversari (pare che sia stato proprio lui ad inventare il soprannome Marisa per Giampiero Boniperti) sia alle madri e alle mogli. Quando volle provocare John Charles, il gigantesco centravan- 35 cose dell’altritalia società left.it 1 PALERMO Regione Sicilia, arriva il primo indagato per mafia. È dell’Udc Il primo indagato è già arrivato. A pochi giorni dall’inizio della nuova legislatura al Parlamento regionale siciliano, è stato recapitato il primo avviso di garanzia: destinatario Pippo Sorbello dell’Udc, accusato di voto di scambio con il clan Nardo di Lentini in un’inchiesta coordinata dalla procura di Catania. Alla notizia, Sorbello ha deciso di dimettersi dall’incarico di vicecapogruppo dell’Udc all’Ars e si è autosospeso da ogni ruolo di partito. Con lui è indagato anche l’ex deputato regionale Nunzio Cappadona, che, secondo l’accusa, sarebbe stato aiutato da un altro clan, la cosca Bottaro-Attanasio, per le elezioni regionali del 2006 e nel 2008 avrebbe invece fatto ricorso al sostegno del clan Nardo. Entrambi, però, si difendono: «Siamo estranei alle accuse». Intanto, la conta degli indagati all’Ars è già arrivata a quota nove: se infatti Sorbello è il primo a essere iscritto nel registro degli indagati dopo l’inizio della legislatura, altri otto parlamentari si erano ricandidati nonostante inchieste o processi in corso: nell’elenco tre deputati del Pdl (Francesco Cascio, Salvino Caputo e Mimmo Fazio) tre del Partito dei siciliani (Pino Federico, Giovanni Di Mauro, Giuseppe Picciolo), uno del Pd (Giuseppe Laccoto) e uno del movimento di Micciché Grande Sud (Michele Cimino). Bazzecole in confronto alla scorsa legislatura, quando su novanta deputati regionali il numero degli indagati era arrivato a quota 29, quasi uno su tre. 6 2 l’Aquila Gran Sasso senza sci Visto che anche il turismo delle macerie sta passando di moda, L’Aquila aveva riposto grande fiducia nel business della neve, grazie agli impianti da sci di Campo Imperatore, in cima al Gran Sasso. Incredibilmente però la Ctgs, società di gestione comunale, ancora non riesce ad aprire gli impianti, a causa dei ritardi nella manutenzione della seggiovia. Addirittura il gasolio necessario agli impianti non sarebbe stato trasportato in quota in tempo utile. Gli operatori turistici sono sull’orlo di una crisi di nervi, se non del fallimento. Si preparano a una class action contro il Comune, chiedono la testa del sindaco Massimo Cialente, accusano la ditta che ha eseguito i lavori di aver giocato sporco, visto che è la stessa che gestisce gli impianti concorrenti. Il sindaco ha dato le colpe e il benservito al suo ex pupillo, il presidente dell’ente Alessandro Comola, che respinge le accuse. Intanto si apre il toto nomine per il prossimo Cda. In palio ci sono milioni di euro di appalti per nuove infrastrutture. Fondi, accusano le associazioni, che potevano essere destinati alla ricostruzione delle case per i terremotati. 36 4 3 LECCE Frane ed ecomostri Il cemento è l’effetto o la causa dei crolli? A questa domanda dovrà rispondere la procura di Lecce, che deve verificare se l’intervento di consolidamento sul costone di Porto Miggiano, a Santa Cesarea Terme, un pezzo di paradiso nel Salento, si sia svolto secondo le regole. Sulla carta i lavori di messa in sicurezza hanno ottenuto tutte le autorizzazioni. Ma insieme alle opere di consolidamento sono stati realizzati anche due lussuosi resort con vista sulla scogliera, uno dei quali è finito nell’elenco degli “ecomostri” di Legambiente. L’accusa dei pm è danneggiamento aggravato di beni ambientali. L’obiettivo delle indagini è stabilire se i crolli del costone si siano verificati per cause naturali o siano legati proprio alle megastrutture. 22 dicembre 2012 left cose dell’altritalia left.it società 4 CAGLIARI Il Real Madrid prende il sole tra i Nuraghi L’impianto termodinamico più grande d’Europa verrà costruito a Sa Nuxedda, nei pressi di Cagliari. E sarà pronto tra due anni e mezzo. Lo ha annunciato Alberto Scanu, proprietario della Sardinia Green Island, impresa capofila di un investimento complessivo di oltre 250 milioni di euro. Dietro il megaprogetto, però, c’è l’Acs Cobra di Florentino Perez. Proprio lui, il presidente dei “galacticos” la società calcistica Real Madrid che «fornirà il know how necessario e le garanzie alle banche finanziatrici del progetto», ha spiegato Scanu. La megaopera prevede 100 GWh l’anno di potenza elettrica installata su 137 ettari occupati da 3.500 specchi, a cui si aggiungono gli edifici ausiliari e una torre di 200 metri. Sebbene a qualche centinaio di metri dall’area sorga l’importate complesso nuragico conosciuto come “Su Casteddu de Fanari” e nonostante Sa Nuxedda venga considerata zona alluvionale. In cambio il Comune di Vallermosa riceverà una nutrita compensazione, oltre alla ricaduta occupazionale. Ma quanti posti di lavoro creerà l’impianto non è ancora chiaro. Si parla di centinaia di posti di lavoro. Un documento sottoscritto con l’assessorato all’Industria lo scorso 15 giugno impegna la società ad assorbire nell’impianto i cassintegrati dell’ex Ineos di Macchiareddu, fabbrica chimica ormai chiusa. 5 5 ferrara La luce è troppo cara 2 I ferraresi potrebbero risparmiare quasi 2 milioni di euro all’anno. Come? Cambiando il fornitore dell’illuminazione pubblica. Grazie alla spendig review, infatti, i Comuni possono recedere i contratti nei quali il fornitore non consenta la riduzione del prezzo. Grazie a questa norma il Comune guidato da Tagliani potrebbe decidere di rescindere il contratto per la pubblica illuminazione stipulato con Hera, la multiutility emiliana, che ha il suo centro nel Comune di Bologna e di cui è socio anche il Comune estense. Dati alla mano, la rescissione del contratto in favore di un altro fornitore, Enel, sarebbe ancora più vantaggiosa. Valentino Tavolazzi, di Progetto per Ferrara, attacca: «Il sindaco revochi subito il contratto». Anche il primo cittadino aveva in più occasioni espresso perplessità sul contenuto economico del contratto finito 3 nell’occhio del ciclone. 6 LIVORNO Quei fusti tossici, ancora in fondo al mare La ricerca continuerà, almeno fino a tutto il 2014. L’assessore all’Ambiente della Provincia di Livorno, Nicola Nista, ha promesso di non interrompere la ricerca dei bidoni tossici caduti nel mare livornese un anno fa, sbalzati dall’eurocargo Venezia in pieno “santuario dei cetacei” a ridosso dell’isola di Gorgona. A causa del mare grosso e del libeccio, 198 fusti d’acciaio contenenti catalizzatori a base di nichel e moblideno, sostanze tossiche usate per la lavorazione del petrolio, caddero dalla motonave della compagnia Grimaldi. Il comitato Togliete quei bidoni ha già raccolto 4mila firme per la rimozione dei 72 fusti ancora sul fondo del mare. 1 left 22 dicembre 2012 37 mondo left.it L’Esercito zapatista di liberazione non è scomparso. I suoi attivisti hanno messo da parte la formazione militare per impegnarsi in progetti sociali e comunitari. Oggi sono pronti a rientrare in campo. Per porre fine alle violenze della sanguinosa guerra alla droga 38 22 dicembre 2012 left mondo © Castillo/AP/lapresse left.it I l ritorno del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) al governo del Messico ha risvegliato un attore rimasto in disparte per lungo tempo: l’Esercito zapatista di liberazione nazionale, universalmente conosciuto come Ezln. Il gruppo guerrigliero è tornato a pubblicare un comunicato dopo circa un anno di silenzio assoluto, proprio in occasione dell’elezione del nuovo presidente, Enrique Peña Nieto. Lo ha fatto lo scorso otto dicembre, una settimana dopo l’insediamento del governo. Appena entrato in carica, il nuovo presidente aveva già represso violentemente una manifestazione di protesta organizzata proprio da tutte le forze antagoniste. Dalle pagine di Enlace Zapatista, il sito web di Ezln, è arrivata la denuncia della «spudoratezza con il quale il governo ha represso le mobilitazioni di protesta contro l’insediamento di Enrique Peña Nieto». Al di là del nuovo comunicato, sono in molti ora a chiedersi quale sarà il ruolo degli zapatisti in Messico. Già nel 1994 i seguaci del subcomandante Marcos avevano dichiarato guerra al Pri, il Partito che dal 1929 al 2000 ha monopolizzato il Paese spacciandosi per progressista ma realizzando una politica autoritaria. I suoi esponenti, però, non sono stati scalzati dai guerriglieri, bensì da un Partito ancora più di destra, il Pan, che dal 2000 a oggi ha conservato la presidenza del Messico. Nel 2008, esaurito lo slancio rivoluzionario, gli zapatisti hanno vissuto quasi completamente isolati tra le montagne del Chiapas. Ma l’Ezln non è scomparso. Ha mantenuto la sua organizzazione di gruppo armato, pur concentrandosi sull’impegno politico e comunitario. Nel territorio sotto il suo controllo ha stabilito un sistema autonomo di Il subcomandante Marcos il ritorno di marcos di Mirko Peddis left 22 dicembre 2012 39 mondo © Zuniga/AP/lapresse left.it Militanti dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale. A destra, l’ultima manifestazione contro il governo messicano amministrazione basato sulle Giunte di buon governo (Jbg), formate da delegati e rappresentanti delle popolazioni indigene, cui si aggiunge un’intensa attività internazionale portata avanti principalmente dal suo leader storico e portavoce, il subcomandante Marcos. Le manifestazioni contro il governo segnano l’inizio di un nuovo percorso politico Già nel maggio del 2011, l’Esercito zapatista ha partecipato alle proteste che hanno dato vita a una massiccia ondata di manifestazioni in diverse città messicane. Chiedeva al governo di porre un freno alla violenza scaturita dalla guerra frontale al narcotraffico, un conflitto che ha già causato oltre 35mila vittime in tutto il Paese. Non è un segreto che da gennaio dello stesso anno il subcomandante Marcos abbia avuto un intenso scambio di missive con numerose personalità della cultura messicana, per denunciare apertamente il business della guerra alla droga e la distruzione del tessuto sociale nazionale. Una presa di posizione importante rispetto a uno dei problemi endemici del Messico che gli zapatisti intendono affrontare attivamente, nel contesto di quello che sembra il loro rientro alle attività su larga scala. Secondo molti, inoltre, la partecipazione dell’Ezln alle manifestazioni contro il governo è il primo passo verso un nuovo progetto d’opposizione che andrebbe a sostituire la tradizionale intransigenza della via militare. Il movimento zapatista, insomma, si starebbe trasformando definitivamente in un attore politico a tutti gli effetti, che chiede di rispondere alla violenza non con altra violenza ma con tattiche pacifiche. Se così fosse si capirebbe meglio anche l’atteggiamento delle istituzioni, tendente a criminalizzare ogni sorta di mobilitazione, come confermato dalla repressione del primo dicembre alle manifestazioni contro Peña Nieto. La storia del movimento zapatista comincia nel 1983 in Chiapas, con alcuni attivisti indigeni di questa regione meridionale che si appoggiavano al movimento guerrigliero delle Forze di liberazione nazionale, attivo fin dagli anni 70 nel nordest e nel sud del Paese con l’obiettivo di redistribuire alla popolazione le terre in mano a possidenti e alle organizzazioni vincolate proprio al Partito rivoluzionario istituzionale. Secondo un racconto del subcomandante Marcos: «Il 17 novembre del 1984 festeggiammo il primo anniversario di Ezln. Eravamo nove. Credo fosse in un accampamento chiamato Margaret Thatcher, perché avevamo catturato una ragazza che, lo giuro, era il clone della Lady di Ferro». Ufficialmente, però, il nome Ezln appare solo nel 1994 quando, entrato in vigore il Trattato di libero commercio tra Messico, Canada e Stati Uniti, gli zapatisti occuparono diversi edifici governativi e attaccarono le truppe di stanza nel Chiapas. Gli scontri durarono diversi giorni e terminarono solo quando l’allora presidente Carlos Salinas de Gortari annunciò unilateralmente il cessate il fuoco. Da quel momento, l’Ezln e il governo messicano intavolarono dei negoziati che si interruppero definitivamente solo nel 2001, quando il Congresso respinse una serie di riforme costituzionali proposte dagli zapatisti assieme ad altre associazioni civili. Nel mezzo successe un po’ di tutto, compreso il cosiddetto “Piano Chiapas 94” che, secondo alcuni documenti venuti alla luce di recente, puntava all’annichilimento tota22 dicembre 2012 left mondo © Meneghini/AP/lapresse left.it le di Ezln da parte dell’esercito messicano già nel 1994, attraverso la creazione di gruppi paramilitari, la sospensione dei diritti individuali in Chiapas e la censura ai mezzi di comunicazione. Nel 2002, poi, in occasione dell’anniversario della “scoperta” dell’America, il subcomandante Marcos si rifece vivo scrivendo una lettera ad Ángel Luis Lara, ricercatore spagnolo che vive a New York e oggi membro del movimento Occupy Wall street. Nella lettera Marcos definì «un pagliaccio grottesco» il giudice spagnolo Baltasar Garzón, per aver ritenuto infondate le accuse contro il dittatore Pinochet riguardo a possibili violazioni dei diritti umani contro cittadini spagnoli in Cile. Marcos definì il giudice spagnolo anche «campione di provocazioni fasciste» per aver sciolto e dichiarato fuori legge il Partito indipendentista basco Batasuna. Il subcomandante attaccò anche il re spagnolo Juan Carlos I e l’allora del capo del governo José María Aznar, provocando un vero e proprio incidente diplomatico che generò un profondo dibattito interno al movimento zapatista. Il territorio controllato dall’Ezln è stato relativamente accessibile tra il 2001 e il 2008: all’epoca arrivavano in Chiapas persone da tutta l’America Latina e dai Caraibi, ma anche dall’Europa e dagli Stati Uniti, tutti simpatizzanti o attivisti. Centinaia di persone interessate alle lotte degli zapatisti, gruppi di studenti, persone che volevano realizzare una ricerca o semplicemente conoscere una comunità di guerriglieri. Poi le popolazioni del Chiapas hanno dato avvio a una fase di riflessione interna che ha praticamente reso la zona inaccessibile agli estranei, anche per la crescente attività di disturbo messa in atto da gruppi paramilita- left 22 dicembre 2012 Il Chiapas è stato meta di simpatizzanti fino al 2008, poi la zona è diventata inaccessibile a causa dei gruppi paramilitari ri antizapatisti finanziati dal governo fin dal 1994, come testimoniato dalla ong Centro diritti umani Fray Bartolomé de las Casas. In più, il movimento ha perso prestigio a causa di posizioni che in molti casi hanno frammentato il fronte dei suoi simpatizzanti, come la campagna del 2006 contro il candidato presidente di centrosinistra Andrés Manuel López Obrador. Tutte questioni che, secondo le voci critiche, avrebbero allontanato gli zapatisti dalle loro prerogative iniziali, ovvero la lotta in difesa delle comunità indigene e delle loro esigenze, da sempre inascoltate. Narcotraffico, emigrazione, tratta di persone e nuovi conflitti sociali, del resto, stanno cambiando la fisionomia del Messico e di, conseguenza, anche la strategie del movimento guerrigliero. Negli ultimi anni i cosiddetti Municipi autonomi zapatisti hanno scelto di non concentrarsi più sulla preparazione militare dei guerriglieri, ma sullo sviluppo di progetti di produzione, educazione e salute. In silenzio, lontano dalla propaganda, l’Ezln ha continuato a lavorare per tutti questi anni con organizzazione e disciplina. Gli zapatisti vivono, lavorano e si organizzano in una realtà fatta di sottrazione e di carenze, cui suppliscono con dedizione e creatività. Mantengono chiari i loro obiettivi e i le loro convinzioni che sono stati e sono un fondamentale insegnamento per milioni di messicani. Non è ancora chiaro se Marcos e l’Ezln assumeranno il comando di un movimento sociale contro il narcotraffico, o un ruolo politico ancora più attivo contando, magari, sull’appoggio di “amici” internazionali. L’unica cosa sicura, per il momento, è che l’Esercito zapatista ha ripreso a far sentire la sua voce. E non sarà facile zittirlo. 41 mondo left.it tutta la vita in colonia di Massimiliano Sfregola da Amsterdam Li chiamano “territori non autonomi”, e l’Onu chiede un referendum che metta fine alla loro ambiguità giuridica. Ma per molte piccole nazioni restare un protettorato è meglio che essere indipendenti. Questione di prestigio. E di soldi A ttaccati alle gonne di mammà, anche se avrebbero l’età per l’indipendenza e soprattutto si trovano a migliaia di chilometri di distanza dagli amati “genitori”. Nonostante le Nazioni unite più di mezzo secolo fa li abbiano dichiarati autonomi, a ben 16 territori (sugli 80 individuati dal Comitato Onu per la decolonizzazione) non è possibile applicare la risoluzione 1514: quella che mise fine, sul piano del diritto internazionale, a quattro secoli di politica coloniale. Secondo il Comitato, nel 2011 solo 2 milioni di 42 abitanti vivevano ancora in territori “non indipendenti”. Ma la lista stilata a Palazzo di Vetro, secondo alcuni, sarebbe stata “aggiustata” grazie al peso politico e diplomatico di alcune ex potenze, interessate a non cedere il controllo sulle minuscole ma strategiche terre agli antipodi. Molto spesso con il pieno appoggio delle popolazioni locali che, intimorite delle catastrofiche conseguenze sociali ed economiche dei processi di decolonizzazione degli Stati africani, hanno scelto di non recidere i legami con il proprio passato. Così è stato per i Dipartimen22 dicembre 2012 left mondo left.it ti francesi d’Oltreoceano, che sono a tutti gli effetti territori dell’Unione europea, però sparsi in tre continenti. Qui circola l’euro, i cittadini hanno in tasca il passaporto francese e mandano propri parlamentari all’Assemblée nationale di Parigi. Ci sono poi i Caraibi olandesi, dove le isole di Bonaire, Sint Eustasius e Saba, geograficamente contigue al Venezuela, hanno eletto alle ultime elezioni politiche dei Paesi Bassi i loro primi deputati. Sono incastonate nell’Oceano pacifico e nell’organizzazione statale francese - anche se in una posizione di maggiore autonomia rispetto ai Dipartimenti d’Oltreoceano - la Polinesia francese e la Nuova Caledonia. Quest’ultima entra ed esce dalla famosa lista: vorrebbe essere Francia, ma non può perché il Comitato per la decolonizzazione non gliene riconosce il diritto, e la obbliga a convocare un referendum sul proprio destino. In questo caso Parigi non è riuscita a far valere il proprio peso politico all’interno della commissione di 24 nazioni che stila l’elenco dei “territori non indipendenti” da includere o escludere dalla lista. Lista che attualmente è quasi integralmente occupata dai “Territori d’oltreoceano” del Regno Unito, ossia le ultime testimonianze dell’ex Impero britannico nei Caraibi, nell’Oceano Indiano e nel Pacifico, ma che include anche il promontorio di Gibilterra - l’ultimo lembo “coloniale” europeo - e le isole Falkland/Malvinas, teatro dell’interminabile contesa tra Inghilterra e Argentina. una bozza di accordo che avrebbe garantito autonomia al minuscolo arcipelago all’interno del sistema neozelandese. Ma la Commissione delle Nazioni unite non ha apprezzato e ha patrocinato per ben due volte, nel 2006 e nel 2007, una consultazione popolare bocciata poi dalla popolazione locale. La colonia di Tokelau resta così nel mirino delle Nazioni unite, così come accade per il possedimento britannico delle isole Pitcairn. Rese celebri dalla vicenda degli ammutinati del Bounty, il processo di autodeterminazione dovrebbe in questo caso riguardare una popolazione censita di 50 anime, un quarto delle quali membri del parlamento locale. Il Comitato per la decolonizzazione è accusato di favorire gli interessi di grandi potenze come Francia e Gran Bretagna Anche le isole Vergini americane, Samoa e l’isola di Guam (un antico bastione iberico, strappato alla Spagna dagli Stati Uniti dopo la vittoria nel conflitto ispano-americano), sono considerate dall’Onu “colonie”. Di fronte a un quadro complesso e contraddittorio, il vessillo dell’autodeterminazione, innalzato in alcuni casi con fermezza dalla Commissione per la decolonizzazione, ha dato anche vita a situazioni al limite del grottesco. Come nel caso di Tokelau, tre atolli nel cuore del Pacifico, popolati da 1.400 abitanti, dotati di relativa autonomia ma sotto la supervisione della Nuova Zelanda. Nel 2004 le autorità locali e il governo di Wellington avevano stilato left 22 dicembre 2012 I detrattori del lavoro della Commissione puntano spesso il dito contro il “doppio standard” usato fino a oggi nel distinguere un territorio coloniale da uno indipendente: nella vaghezza delle linee guida tracciate dalla Risoluzione n.1541 del 1961, la Francia riuscì a sfilarsi dall’elenco, ideando il sistema dei Dipartimenti e delle Collettività; al Portogallo, che voleva integrare nel proprio territorio metropolitano le ex colonie dell’Angola e del Mozambico, un’analoga richiesta fu respinta dall’Assemblea. E caso simile è quello di Gibilterra, una storica rivendicazione territoriale spagnola nonostante Madrid sia oggetto, a sua volta, della pressione delle autorità del Marocco che da sempre chiedono che le città di Ceuta e Melilla, enclavi dell’Unione europea in terra africana, vengano considerate territori “non indipendenti”. L’elenco aggiornato del Comitato finisce quindi per trasformarsi da importante documento a tutela del principio di autodeterminazione in una incompleta ed incomprensibile lista di “cattivi”, dominata dall’ultimo ex Impero coloniale della storia (l’Inghilterra) e dalla sua più nota ex colonia, gli Stati Uniti; succede allora di trovarci dentro chi lotta per l’indipendenza, come il movimento Polisario e altri, come le isole Bermuda, che dalla vetta di un’altra lista (quella dei più alti redditi pro capite al mondo) si godono senza tante storie la propria condizione di territorio “non autonomo”. In apertura, un’immagine di Curaçao, isola al largo del Venezuela che dal 2010 è alle dipendenze del Regno dei Paesi Bassi. In precedenza era parte delle Antille olandesi 43 metropolis mondo left.it parigi Liberté, fraternité, maternité Hanno sfidato l’aria rigida della capitale, dribblato i parigini indaffarati negli acquisti di Natale, sorpassato i nuovi treni metropolitani inaugurati il giorno prima, evitato con eleganza le code davanti ai grandi magazzini e fatto sfoggio di tutta la loro ironia: i sostenitori del “matrimonio per tutti” hanno così dimostrato che manifestare a Parigi sotto le feste - era il 16 dicembre - non è affatto «causa di problemi». Certo, il traffico ne ha risentito, ma non è tutta responsabilità loro: nella stessa giornata si è aperto il Trocadero on ice, la pista di ghiaccio per pattinatori di fronte alla Tour Eiffel, i magazzini Lafayette hanno lanciato le vendite di Natale, e il Crédit municipal de Paris (il banco dei pegni, detto familiarmente Ma tante, mia zia) ha fatto un’asta straordinaria di orologi e gioielli. Eppure la capitale francese se l’è cavata egregiamente, gli unici a essere ar- rabbiati erano i cattolici oltranzisti, che volevano vietare al corteo di sfilare «nel mese dedicato a Gesù e alla Madonna». Impossibile, se- condo loro, che nel periodo natalizio si possa chiedere di autorizzare i matrimoni tra persone delle stesso sesso, o peggio ancora la procreazione assistita per le coppie non eterosessuali. Ma nell’allegro corteo che ha sfilato alla Bastiglia i manifestanti che difendevano la libertà di scelta hanno risposto con simpatia: nei cartelli e negli adesivi c’era scritto “Meglio un matrimonio gay che un matrimonio triste”, oppure “Manif à l’Avent, mariage au printemps” (manifestazione all’Avvento, matrimonio a primavera). E poi, in tempi di crisi, ricordano che “le liste di nozze gay rilanciano l’economia”. Sarà questo l’argomento vincente? Mavi Caporali Losanna Inferno ferroviario L’orologio svizzero sarà ancora puntuale, ma i treni del Paese non riescono a seguirne le lancette. I giornali elvetici hanno definito l’inizio di dicembre “la settimana d’inferno delle ferrovie” e così davvero è stata per le migliaia di pendolari del cantone francese che ogni giorno si spostano da Losanna per andare a lavorare a Ginevra. I gestori del trasporto danno tutta la colpa al maltempo, che ha flagellato la Confederazione, con ghiaccio e neve, bloccando due terzi dei convogli. Una situazione normale in Italia ma non in Svizzera, il 90 per cento dei treni è solitamente puntuale. Quando i mezzi arrivati in ritardo hanno superato il 25 per cento, la contestazione è diventata inevitabile. Soprattutto perché la causa non è il freddo, secon- do i pendolari: responsabile è il nuovo orario dei treni, modificato per la prima volta dopo 12 anni. Le Ferrovie svizzere si vantano di aver aumentato i convogli da e per Ginevra, ma i viaggiatori sostengono di non aver visto nessun beneficio: «Viaggiamo in piedi come prima», affermano delusi. E a farli ancor più arrabbiare ci pensa la destra elvetica: Ulrich Giezendanner, dell’Unione di centro, vuole un dibattito parlamentare sul prezzo dei trasporti. Troppo caro? Macché, troppo economico, sostiene. «Sarà il caso che comincino a pagare, mica possiamo dargli il treno gratis». Insomma, per viaggiare puntuali, mettete mano al portafogli. Marianna Di Marzio 44 22 dicembre 2012 left mondo left.it stoccolma La festa inizia all’Abba È la seconda meta selezionata dalla Rough guide per il 2013. Dopo Cipro del nord, Stoccolma è il miglior luogo da visitare nel prossimo anno, dicono gli autori della famosa guida per turisti “zaino in spalla”. L’evento che renderà unica la capitale svedese è l’apertura del museo dedicato agli Abba, il celebre gruppo musicale di “Dancing queen” e “Mama Mia”, nella bellissima music hall of fame dell’isola davanti a Stoccolma, Djurgarden. Con l’inaugurazio- ne del museo la città si riempirà di feste “in costume” ed eventi in pieno stile revival anni 70. Chi non volesse aspettare i fan degli Abba per vi- sitare Stoccolma, può comunque approfittare di un altro grande personaggio che ha dato fama e lustro alla città: Stieg Larrson. Il grande giallista svedese ha ormai milioni di fan in tutto il mondo, molti dei quali sono disposti ad affrontare un lungo viaggio per ripercorrere le strade attraversate da Lisbeth Salander e Mikael Blomkvist, i protagonisti della sua Trilogia del Millennio. Nel quartiere trendy di Södermalm (Söder), ex rione operaio, è già possibile farsi guidare nei luoghi più citati del romanzo, per poi raggiungere anche Kungsholmen, Vasastan, e Sandhamn, l’isola del cottage di Blomkvist. A organizzare il tour ci pensa Elisabeth Daude, esperta della Trilogia del Millennio, capace di raccontare ai turisti gli aneddoti più sconosciuti su Larrson, un ragazzo povero del nord della Svezia trasformatosi in giornalista di Anita Magri inchiesta e autore di un libro da 65 milioni di copie. Bucarest Uomo avvisato, non salvato Il terremoto sarà pure un evento imprevedibile, ma per salvarsi dal peggio basta abitare in un solido edificio anti sismico. Oppure, se vivi a Bucarest, puoi contare sulle tue gambe: saper scappare rapidamente dai luoghi più pericolosi può costituire la tua salvezza. Le autorità rumene hanno deciso di aiutare i potenziali velocisti con dei segnali di avvertimento, più precisamente con un bollino rosso. La mu- nicipalità ha infatti deciso di segnalare le strutture a maggiore rischio di crollo con un grande segnale circolare accanto al portone di ingresso. La scritta sul segnale è inequivocabile: «Questo palazzo è stato classificato dagli esperti tecnici sotto la classe 1 di rischio sismico». In centro, dove abbondano gli edifici in left 22 dicembre 2012 stile modernista, ci sono alcune strade che si sono ormai riempite di cerchi rossi. La più pericolosa sembra essere Calea Victoriei, un largo viale che attraversa isolati pieni di negozi affollati e di teatri importanti. Ma i cittadini di Bucarest non si lasciano impressionare, facendo poco caso ai bollini rossi e sperando semplicemente che non si verifichi nessuna scossa. Nessuno, ad esempio, abbandona gli appartamenti negli edifici segnalati, soprattutto perché gli affitti nei palazzi più vecchi sono molto più economici. Purtroppo l’Istituto nazionale romeno di fisica della terra sostiene che tre placche tettoniche si incontrino nella regione di Vrancea, nel centro del Paese, e che dopo il fragoroso terremoto del 1977 è probabile che se ne verifichino di nuovi. Uomo avvisato. Livia Lazzeri 45 newsglobal mondo left.it referendum farsa ©ap/lapresse Le 10 province egiziane andate al voto il 15 dicembre hanno approvato, con il 56 per cento dei consensi, il progetto di Costituzione (che include la sharia tra le sue fonti) voluto dai Fratelli musulmani e dal presidente Morsi. Gli islamisti hanno festeggiato, ma la loro vittoria è solo parziale: alle urne si è recato appena il 32 per cento degli elettori. E l’astensione mostra che la protesta si è spostata dalle piazze ai seggi. Media cinese Si chiamerà China Daily Africa Weekly, sarà per adesso in lingua inglese - a breve arriverà anche l’edizione in francese - e avrà come compito quello di favorire lo scambio di informazioni tra Pechino e le sue “colonie economiche”. Visto l’impegno profuso dagli eredi di Mao in Africa, al governo cinese è parso opportuno favorire la nascita di un giornale che metta in comunicazione i due mondi e che serva anche da veicolo pubblicitario per le sue iniziative. Entusiasta l’Unione africana, che vede di buon occhio l’interesse di Pechino per lo sviluppo del continente, visto che la crisi economica ha “ristretto” gli investimenti di Usa e Ue. Del resto, dal 2009, la Cina è diventata il primo partner dell’Africa e nel 2011 gli scambi sono aumentati dell’83 per cento, raggiungendo 166 miliardi di dollari. 256 I seggi conquistati dal Partito liberal democratico giapponese (Ldp, conservatori) alle elezioni del 16 dicembre. Il centrosinistra, tornato da 3 anni al potere dopo 50 anni di dominio Ldp, ottiene appena 65 seggi contro i 308 che aveva nel precedente Parlamento «Samaras non è Babbo Natale, ma Erode». 11,1 L’aumento medio della speranza di vita nel mondo dal 1970 al 2010, secondo uno studio pubblicato questo mese dalla rivista Lancet. Il posto dove si vive più a lungo è il Giappone (89,5 la media per le donne) quello dove si muore prima Haiti (appena 32,5 anni l’aspettativa di vita per gli uomini) 46 Alexis Tsipras, leader di Syriza, criticando la politica economica del primo ministro greco Antonis Samaras. Il 13 dicembre scorso l’Eurogruppo ha accordato alla Grecia un prestito di 52,5 miliardi di euro, di cui 16 destinati alla ricapitalizzazione delle banche «Gli economisti? Bisognerebbe fucilarli, o quantomeno mettergli paura». Jean-Luc Godard, cineasta francese, intervistato dal settimanale economico svizzero Bilan 22 dicembre 2012 left museo 48SOS Majakovskij malata 56Quella “normalità” solo 58Non Tolkien cultura Le poetiche acrobazie di Victoria Chaplin (figlia di Charlie Chaplin) e Jean-Baptiste Thierrée trasformano il palcoscenico dell’Auditorium di Roma in un mondo incantato. Dove tutto può accadere. E con leggerezza. Antesignani dell’arte teatrale sotto lo chapiteau, iniziatori della grande scuola francese, i due artisti sono in scena il 22 e il 23 dicembre a Roma, con il loro Cirque invisible. cultura Salviamo il “teppista” della poesia di Guido Carpi P L’interno del Museo Majakovskij a Mosca. Nella pagina accanto, Lilija Brik con Vladimir Majakovskij a Pietroburgo nel 1915 48 er tutto il Novecento, Majakovskij ha incarnato la sintesi fra avanguardia e rivoluzione: l’idea - tradotta in un vissuto concreto, profondamente partecipato - che la ricerca di nuove forme espressive debba rinunciare a descrivere il mondo, debba ambire a trasformarlo. Di tale idea, il Museo Majakovskij di Mosca, istituito nel 1937, ha costituito una sorta di reincarnazione espositiva: almeno questo lascito, pensavamo, sarebbe sopravvissuto al crollo dell’utopia realizzata, magari come stimolo per una sua futura e diversa realizzazione. Unico museo di Mosca a rimanere aperto per tutta la durata della seconda guerra Mondiale (nelle pause, il personale lavava le divise dei piloti militari), oggi il museo Majakovskij è minacciato dai giovani manager sguinzagliati dalla nuova giunta moscovita e dal suo assessorato alla Cultura che intende “ristrutturare” unità museali non conformi ai dettami del mercato e, come nel nostro caso, all’ideologia imperiale dominante nella Russia di Putin. Dopo essersi occupati dell’appartamento-museo Bulgakov, della sala espositiva del Maneggio, e del Teatro Gogol’, sollevando la protesta del collettivo di attori, tecnici e amministratori che vi lavorano (vedi http://gogol-theatre.ru/) adesso tocca a Majakovskij, proprio a ridosso del 120esimo anniversario dalla nascita: la direttrice storica e cofondatrice del museo Svetlana Strižneva viene “affiancata” da Nadežda Morozova, una funzionaria dell’assessorato che - almeno stando ai documenti pubblicati sul sito del museo Majakovskij sarebbe stata appena licenziata dal museo Puškin (fortunatamente sotto la responsabilità del mini22 dicembre 2012 left © bartunov/flickr cultura Giudicato non conforme alle logiche commerciali e alla grandeur imperiale di Putin, il “futuristico museo” di Majakovskij, a Mosca, rischia la chiusura. Un patrimonio da difendere stero della Cultura, non della giunta) «per la sistematica negligenza dei compiti professionali». Scopo di tutto ciò: liquidare al prezzo più basso possibile le installazioni d’avanguardia e trasformare in una “normale” galleria d’arte «il futuristico museo» (come lo definisce un membro del personale in una lettera privata in lingua italiana). Il noto storico dell’arte Grigorij Revzin ha recentemente scritto sul Kommersant (l’analogo del nostro Il Sole 24 ore): «A Mosca ci sono molti buoni musei, ma solo uno geniale, il museo Majakovskij». Trasferito nel 1967 nel palazzo dove Majakovskij occupava la «stanzetta-barchetta» evocata nel poema Bene! (la stanza in cui il 14 aprile 1930 si sparò) durante gli anni della perestrojka, in un clima di ritrovato fervore sperimentale left 22 dicembre 2012 e di riscoperta degli ideali rivoluzionari, il museo fu radicalmente trasformato da un ampio collettivo di artisti. Come si può vedere anche attraverso una visita virtuale del museo andando sul sito www.mayakovsky.info/virt, l’impianto espositivo tradizionale fu sostituito (fin dal guardaroba!) da una rutilante catena di scenografie-installazioni che si susseguono in spazi interni privati di “piani” riconoscibili e organizzati per gradini, in una spirale di cemento, vetro e metallo (materiali “poveri”, tipici sia del periodo rivoluzionario che di quello della perestrojka) che ricorda le architetture costruttiviste di Rodcenko e di El’ Lisickij quanto la struttura “a scaletta” dei versi majakovskiani. In questo spazio vorticoso, che trova il proprio culmine all’ingresso della «stanzetta-barchetta», l’unico spazio lasciato intatto, trovano 49 cultura left.it posto e acquistano nuova vita i documenti dell’avventura del poeta e scrittore, fase dopo fase. A cominciare dal suo rapporto con le avanguardie artistiche europee. L’esplosione figurativa postimpressionista, fauvista, cubista e primitivista d’inizio Novecento, era ben presente in Russia grazie a facoltosi mecenati. E quella ricerca si legarono particolarmente Majakovskij, studente di belle arti espulso per - si direbbe oggi - “comportamento antisociale”, e in genere i futuristi russi. Molti termini del loro vocabolario tecnico sono presi dalla pittura: ad esempio lo sdvig, o “smottamento”, il frangersi improvviso delle linee per svolgere il volume in superficie bidimensionale. Analogamente, la “fattura” (faktura), che in pittura indica la scabra rozzezza della superficie dell’opera, la densità grumosa del colore in contrapposizione alle tecniche tradizionali, è applicata dai cubofuturisti al materiale verbale. Disseminate per i gradini del museo sono le tipiche plaquettes futuriste, ossia il risultato sinestetico della collaborazione con pittori “d’area”. Il libro, proprio in quanto oggetto materiale, corrispondeva all’ideale di un’arte sintetica, onnicomprensiva e dinamica che permetteva la collaborazione fra poeti e pittori. Un’analoga interazione riguardava anche la realizzazione di coreografie e di costumi per i testi teatrali futuristi e suscitò - soprattutto in Majakovskij - un forte interesse nei confronti del cinema. Guido Carpi, fra letteratura e marxismo © bartunov/flickr Docente di Lingua e letteratura russa all’università di Pisa, Guido Carpi ha curato Poesie di Majakovskij (Bur, 2008). Fra i molti titoli che ha pubblicato, merita ricordare qui la sua Storia della letteratura russa Da Pietro il Grande alla Rivoluzione d’ottobre edita da Carocci due anni fa. Per lo stesso editore poi nel 2011, è uscita la sua antologia Lirici russi dell’Ottocento, realizzata con Stefano Garzonio. E ancora: quest’anno ha pubblicato Dostoevskij economista per la casa editrice moscovita Falanster e sta ultimando una storia del marxismo russo dalle origini all’epoca staliniana che uscirà sia in russo che in italiano. 50 Un altro momento importante nel percorso di Majakovskij, che il museo di Mosca ripercorre, è la nascita del gruppo cubofuturista Gileja (da Hylaea, la semi mitica terra nordica secondo i Greci), che dal 1912 al 1915 fu un’impressionante fucina di talenti ed esperimenti. Alla parola straniera futuristy, i glejani preferiscono il neologismo creato da Velimir Chlebnikov: budetljane, ossia, suppergiù, “gli abitanti del sarà” (da budet, futuro del verbo essere). L’unico modo per rappresentare il futuro è costruire quest’ultimo: usare la poesia come leva per la trasformazione della realtà, come già - pur in un contesto mistico-religioso ben diverso - avevano predicato i simbolisti russi della generazione precedente. Ciò è possibile portando alla luce le radici profonde della creatività umana, restituendo al linguaggio la sua primordiale forza evocativa, sepolta sotto secoli di razionalità: di qui l’interesse dei futuristi russi per le culture preistoriche, per i rituali arcaici, per il 22 dicembre 2012 left cultura left.it Majakovskij fatto a strisce mondo dell’infanzia e del folklore. Di qui le tematiche affrontate sia nei testi che nelle illustrazioni dal Majakovskij prerivoluzionario e dai suoi accoliti: la guerra, l’apocalissi imminente, un satanismo più o meno folkloricamente edulcorato, un cupo primitivismo e un urbanesimo che, a differenza delle fanfare marinettiane, è intriso di orrore e di senso di rovina. Ma è a questo punto che interviene la cesura rivoluzionaria. Se nei primi anni Majakovskij si era atteggiato a istrione, bellimbusto, teppista in chiave neoromantica, intriso di erotismo visionario, di compiaciuto immoralismo e di superomismo anticristiano, già l’esperienza della guerra gli aveva dettato una nuova sensibilità civile, la necessità di cercare un nuovo umanesimo, una vena tribunizia e, a tratti, messianica (vedi ad esempio il poema Guerra e universo e la violenta invettiva antimilitarista A voi!). Con la rivoluzione, agli elementi già consolidati del suo stile e alla consueta simbologia parareligiosa si aggiunge un pathos militante ormai del tutto politicizzato: «Basta vivere secondo le leggi \ dateci da Adamo ed Eva. \ La rozza della storia sfiancheremo, \ A sinistra! \ A sinistra! \ A sinistra!». Majakovskij partecipa a numerosissime iniziative artistiche e culturali, in questo periodo; tutte assai ben documentate nel museo: letture pubbliche, produzione di manifesti di propaganda, attività pubblicistica e polemica letteraria. Persuaso che l’arte debba esprimere e stimolare la costruzione organizzata della vita da parte delle masse, Majakovskij si orienta sempre più verso le forme monumentali, i grandi affreschi cosmici: ne costituisce il culmine il poema Di questo (1923) dove è lo stesso Io lirico ad attraversare una catena di metamorfosi per resuscitare nell’amore che «si espande in tutto l’Universo». Noi non dobbiamo chiederci cos’abbia ancora da darci la poesia di Majakovskij - e Majakovskij tutto intero, così come il suo museo ce lo restituisce - piuttosto dobbiamo chiederci: cos’abbiamo noi, oggi, da dare a lui? Quali sono le nostre idee, ragioni, i nostri punti di riferimento, le forti motivazioni da nutrire con la sua poesia? Abbiamo qualcosa da dire a Majakovskij? «Risuscitami, \ non foss’altro perché \ da poeta \ t’ho atteso, \ Ripudiando le assurdità di ogni giorno!». (Dal poema: Di questo). Rispondiamogli... left 22 dicembre 2012 La vita di Majakovskij raccontata per immagini. Dalle tinte forti. In sequenze quasi cinematografiche di disegni che hanno il ritmo vorticoso e vitale dei suoi versi rivoluzionari. Nel graphic novel Majakovskij il disegnatore e storico dell’arte Pablo Echaurren, emulando lo stile futurista, è riuscito a realizzare un’opera che fonde linguaggi diversi: disegno, poesia e narrazione romanzesca. Creando un libro cult. Che è già un piccolo grande classico. Uscito per la prima volta nel 1986 in una collana di libri edita da Serraglio e ideata dal cantautore Francesco De Gregori, quest’anno l’editore Gallucci di Roma l’ha meritoriamente pubblicato in nuova edizione (insieme a Caffeina d’Europa, il graphic novel che Echaurren ha dedicato a Marinetti). Con uno stile grafico, ardito, dinamico, imprevedibile, Echaurren cerca di ricreare le novità proposte dalle avanguardie russe d’inizio Novecento, mescolando futurismo, raggismo, suprematismo e costruttivismo. Il risultato è un “pastiche” visivo letterario di grande impatto visivo. Ma sintetica ed incisiva è anche la “sceneggiatura” che accompagna le tavole. Uno script che ripercorre le fasi cruciali della vita di Majakovskij fino al tragico epilogo finale che Echaurren evoca attraverso le parole dell’ultimo biglietto che il poeta ci ha lasciato e in cui si legge: «Io continuerò a parlare ai vivi!». Le sue poesie, visionarie e potenti, continuano a parlare ai lettori di oggi. La casa editrice Pgreco ora ci offre l’occasione per tornare a leggerle in due volumi che raccolgono tutte le opere di Majakovskij . Mentre Einaudi ripropone La nuvola in calzoni il capolavoro della stagione prerivoluzionaria di Majakovskij, ma anche uno dei testi più sorprendenti del futurismo russo e della letteratura russa del Novecento. s.m. Usare la poesia come leva del cambiamento. E l’arte per scuotere le coscienze. Questa fu la sua rivoluzione futurista Una pagina del libro Majakovskij di Pablo Echaurren e la copertina dell’edizione Gallucci di questo graphic novel che uscì in prima edizione nel 1986. Nella pagina accanto, l’interno del museo Majakovskij a Mosca 51 arte cultura left.it Un montaggio che, secondo Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, avrebbe dovuto mettere in evidenza la mano di Caravaggio nei disegni del Fondo Peterzano. A sinistra, I bari (1594) di Caravaggio In un nuovo libro Tomaso Montanari smonta la bufala dei disegni del Merisi. E offre un’appassionata requisitoria contro le truffe ai danni del patrimonio italiano L’ esempio del sindaco di Firenze Matteo Renzi che, “novello Michelangelo”, vorrebbe completare la facciata della chiesa San Lorenzo lasciata incompiuta dal maestro del Rinascimento non è che uno dei tanti esempi di cattiva politica che sfrutta il patrimonio artistico nazionale per auto promozione e mero ritorno di immagine. E se Renzi usa gli Uffizi come location per sfilate e, sordo ai moniti degli studiosi, insiste nel martoriare gli affreschi del Vasari per cercare i resti della Battaglia di Anghiari di Leonardo, quando era ministro della Cultura Sandro Bondi la fece anche più grossa, facendo acquistare allo Stato un crocifisso ligneo per più di tre milioni di euro, salvo poi “scoprire” che si tratta solo di una scultura di scuola, come ce ne sono tante a Firenze. Per denunciare quello scandalo Tomaso Montanari, docente di storia dell’arte all’università Federico II di Napoli, nel 2011 ha pubblicato lo sferzante A che cosa serve Michelangelo? (Einaudi). Ora lo studioso e giornalista fiorentino torna alla carica con un incisivo pamphlet La madre di Caravaggio è sempre incinta (Skira) continuando nel suo importante lavoro di pronto intervento civile che smaschera 52 Si fa presto a dire Caravaggio gestioni incompetenti, critica l’assenza di progettualità culturale del ministero, e gli effetti dell’insensata separazione fra tutela e valorizzazione imposta dal governo Berlusconi. Ma non solo. Questa volta Montanari, con piglio brillante, da storico dell’arte e da giornalista, stigmatizza anche l’ignoranza che regna sovrana sui giornali e le operazioni truffaldine di sedicenti esperti che propagandano attribuzioni senza riscontri scientifici e filologici e annunciano al mondo sensazionali ritrovamenti. A tutto vantaggio di interessi economici privati. Accade così che il catalogo delle opere di maestri come Michelangelo, Leonardo e Caravaggio subisca nuovi ingressi numericamente vistosi quanto imbarazzanti. Come l’improbabile autoritratto di Leonardo scovato a Salerno nel 2009 e appartenente ad una famiglia di Acerenza in Lucania. O come la Visione di Ezechiele attribuita a Raffaello e, guarda caso, anch’essa di proprietà privata che - secondo l’Espresso spodesterebbe la versione autografa conservata nella Galleria Palatina. Un trend di miracolose epifanie di capolavori ed epocali agnizioni che di recente (a volerci credere) avrebbe letteralmente stravolto il sistema delle opere di di Simona Maggiorelli Caravaggio. Al ritmo di teste di Medusa, Sant’Agostini e tradimenti di Cristo che spuntano da tutte le parti. Ultimo in ordine di tempo il caso dei cento disegni del Fondo Peterzano che due studiosi, Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, attribuiscono con granitica certezza al Merisi. La notizia, come è noto, è stata battuta lo scorso 5 luglio dall’Ansa che l’ha lanciata senza contraddittori, senza analisi critica della fonte e, con tutta evidenza, ignorando che Caravaggio non ci ha lasciato alcun disegno. Se l’Ansa avesse fatto le verifiche necessarie sarebbe emerso che quei disegni - presumibilmente copie accademiche di opere classiche - sono noti da tempo al mondo accademico e che i due “scopritori” non risulta si siano mai recati a studiarli dal vivo a Milano, nel Castello sforzesco, dove sono conservati. E dove ora, in modo opportuno, l’assessorato alla Cultura di Milano promuove una mostra che rilancia gli studi sul Fondo Peterzano. A scanso di bufale. Come quella propalata dai due neofiti caravaggisti anche sul sito www.ilgiovanercaravaggio.it. «Potere dell’inconscio - chiosa Montanari nel libro - lo sfondo del sito è occupato dai Bari... quelli di Caravaggio». 22 dicembre 2012 left libri cultura left.it Fuori dai pregiudizi e dai cliché, il nuovo viaggio inchiesta di Sacchetti Il vero volto dell’Iran di Filippo La Porta N egli anni 50 Levi Strauss parlava della scomparsa dell’altrove nell’epoca dei viaggi organizzati. Eppure c’è un luogo che ancora per noi occidentali potrebbe incarnare un “altrove” - sconosciuto, indecifrabile, continuamente equivocato - ed è l’Iran (sì, c’è anche la Corea del Nord, che però è banalmente misteriosa). L’Iran è un Paese che si crede al centro del mondo e il resto del mondo lo considera periferico, è un Paese multietnico e molto ospitale, che ha una vocazione per la poesia, una attitudine alla digressione (a volte estenuante) e una inclinazione al rituale, alla insincerità teatralizzata (il tassista all’inizio deve dirvi che non vuole nulla per la corsa...). Queste informazioni le ricavo da un reportage di Antonello Sacchetti, TransIran (edizioni Infinito, con interventi di B. Karimi e A. Vanzan), pieno di osservazioni acute e insolite. “Trans” perché l’autore vi si propone di andare oltre pregiudizi e cliché, e anche oltre la facile ricerca dell’esotismo, per relazionarci puntigliosamente sull’Iran ordinario, ma non perciò privo di fascino. Accennavo alla poesia: anche il popolano più umile sa a memoria centinai di versi dei poeti classici (spesso oscuri, difficilissimi, ma memorizzabili grazie alla loro geometria prosodica). E poi l’amore feticistico dei persiani per il libro, perfino per la sua fisicità, per la calligrafia dei titoli: tanto che le librerie sono bellissime e colorate. Quanto al gusto delle digressioni, di preamboli e incisi, provate a leggere i primi articoli della Costituzione: per complessita e articolazione sintattica andrebbero studiati in una scuola di scrittura. Inoltre, a proposito dei molti equivoci il libro si sofferma sulla famigerata dichiarazione di Ahmadinejad relativa alla distruzione di Israele, che in realtà, pur non essendo un biglietto di auguri, non intendeva affatto dire questo. La lingua persiana, che ha per metà vocaboli arabi è antica, luminosa e, a giudicare da quanto si legge qui, non proprio facilissima. Un modo di dire in persiano: se non sei andato a un evento e chiedete a chi c’era come è andata, vi risponderà: «Era vuoto senza di te». Ecco uno di quei formalismi che addolciscono la convivenza. Sacchetti si innamorò dell’Iran con Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi anche se poi ne ha preso in parte le distanze (un po’ furbo). E, assai saggiamente, sottolinea il valore assoluto del film La separazione di Farhadi, vincitore dell’Oscar, mentre diffida del cinema di Kiarostami. Sacchetti ci propone infine una utilissima playlist di libri, film e siti sull’Iran. Il libro si conclude su una malinconica passeggiata a Teheran sotto la neve, in un paesaggio che sembra appartenere a una infanzia mitica. Qualcuno potrebbe obiettare a Sacchetti di non aver enfatizzato abbastanza la questione dei diritti umani. Ma d’altra parte la sua non è un’inchiesta di Amnesty, e poi, soprattutto, nel finale ci mostra (tornando in Italia) come il nostro Paese, ipermoderno e semifeudale, sradicato da ogni tradizione, impoetico e spesso razzista, omologato nel peggio agli Stati Uniti, in preda a caste e corporazioni, uniformato a uno stile di comportamento cafone, non può davvero permettersi di condannare chicchessia. left 22 dicembre 2012 scaffale «Giorgio nutriva un’avversione di pelle per Berlusconi. In lui vedeva la sintesi dei peggiori vizi nazionali», ricorda Marco Revelli nella prefazione di questo appassionato libro del partigiano Bocca, uno dei suoi migliori. Oggi, più che mai, libro fondamentale, necessario. Storia dell’italia partigiana 1943-1945 di Giorgio Bocca, Feltrinelli, 593 pagine 19 euro Con un saggio di Mario Vargas Llosa escono oggi in Italia le memorie cubane di Cabrera Infante. Storia di un incontro con una donna che fu un terremoto di passione nella vita del protagonista. E di un’arte della narrazione che sa fa rivivere esperienze passate come fossero scintille vive nel presente. La ninfa incostante di Guillermo Cabrera Infante, Sur, traduzione di G. Lupo, 267 pagine 15 Euro Erano brillanti e colti. Giustificarono l’eliminazione di 20 milioni di persone. Il direttore dell’Institut de l’histoire du temps présent indaga il ruolo degli intellettuali che dettero man forte a Hitler e alle SS. Ingrao scava nella biografia di gregari, insospettabili, portando alla luce un’agghiacciante verità. Credere, distruggere di Christian Ingrao, Einaudi, 404 pagine 34 Euro 53 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra Soltanto Lucrezio, forse, ha composto la poesia con il rapporto cosciente con la natura PENSO comprendo e conosco S pesso tornano alla mente le parole: condurre il linguaggio articolato ad indicare e dare un nome a realtà umane mai pensate: non è stato mai fatto. Ed è semplice dire perché. Non sono soggette a percezione. E così, scrivo l’osservazione che i termini pensati parlano di una realtà umana non materiale. I termini: linguaggio articolato parlano di una realtà umana materiale e percepibile. E giunge un terzo pensiero che ha, in sé, il mistero che dice: il movimento che conduce la realtà non materiale del pensiero, alla realtà materiale del corpo che ha un comportamento. Ed anche se il mistero resta, non vedo avvicinarsi l’angoscia di cadere nell’astrazione simile a quella di coloro che hanno perduto nel rapporto interumano, la vitalità. Perché il non umano è l’idea che la realtà non materiale sia, nel tempo, precedente alla realtà materiale. Come se ciò che chiamano “spirito” fosse altro e, più che diverso, opposto ed incompatibile con la realtà biologica. Esso non avrebbe, diversamente dal corpo, un tempo finito di nascita e morte. Pensai, al contrario, che la realtà non materiale concludesse la sua esistenza con la morte del corpo. E, poi, nel 1968, stabilirono che la morte era “cerebrale” ovvero quando cessava il funzionamento della sostanza cerebrale. Anche se è certezza che, in quel tempo, avevo già elaborato la realtà della dinamica della nascita con le parole: fantasia di sparizione e memoria-fantasia dell’esperienza avuta, non so quanto tempo prima avevo pensato la parola pulsione, e come sia venuta l’idea dell’emergenza della realtà non materiale dalla realtà materiale. Poi vennero le parole, letteralmente note, cui detti una identità nuova dal momento che si legarono alle realtà non materiali dell’essere umano. E pensai che l’inizio ha, con sé, la parola fine, e venne l’idea del tempo finito dell’individuo. Sono brani di memoria dell’elaborazione di un rapporto con la realtà umana nascosta oltre la coscienza, il comportamento, ed il linguaggio articolato. Riguardo le prime righe scritte e vedo che la prima colonna è spesa per riprendere la ricerca sul linguaggio articolato, che è caratteristica specifica dell’essere umano. L’usignolo cinguetta e canta, ma non ha linguaggio articolato. Come se fosse un poeta che fa la sua propria libera espressione senza comunicare con gli altri. Sono suoni, non c’è alfabeto comune ad altri individui. E l’osservazione ben nota a tutti è utile per pensare che la percezione del suono che esce dall’apparato vocale non è sufficiente per comprendere il linguaggio umano della coscienza. E se aggiungiamo la seconda osservazione del fatto palese che il bambino riesce a scrivere soltanto a sei anni di età, è lecito domandarsi cosa accade nella mente dopo che, riuscendo a camminare, inizia ad imparare i termini verbali che indicano le cose. Allora con la memoria intelligente che non è ricordo ripensiamo al 20 agosto 1999 quando dissi che la linea è creazione esclusiva della specie umana. Ed in secondo luogo, che la linea è l’espressione della fantasia di sparizione. Evidenzio così l’origine delle caratteristiche che differenziano la specie umana dagli animali. Con la deduzione che la nascita umana è diversa da quella animale. E penso che, certamente, è necessario un processo mentale che distrugga il significato del termine: regressione. E viene la parola ricreazione che, immediatamente, chiede che si comprenda, che essa non ha il significato della parola ripetizione. E non è facile perché da migliaia di anni è dato come dogma che il bambino non è un essere umano, ma una specie di bestia. Poi venne l’illuminismo che, rivendicando la separazione e l’autonomia dalla religione, non riuscì a fare scienza della mente e cadde nell’oscurità della convinzione che la malattia mentale è soltanto lesione cerebrale o disordine degli umori… come diceva Ippocrate. Hanno fatto sparire dalla ricerca quanto avevano detto artisti e poeti, che sono coloro che più hanno avuto la sensibilità di intuire la realtà invisibile dell’essere umano. E la parola pazzia rimase a loro con i loro racconti del pensiero e del La parola carenza non è mancanza 54 22 dicembre 2012 left left.it comportamento dell’essere umano che era caduto nel… male dell’inconscio. I medici che vollero diventare psichiatri, ovvero medici della psiche, ignorarono Aiace, Macbeth, Riccardo III e rimasero a guardare la sostanza cerebrale. E non videro nulla che parlasse di malattia della mente. Tale identità non riuscì mai a rendere comprensibili le alterazioni del pensiero, del linguaggio articolato e del comportamento dette, dal pensiero popolare: pazzia. La storia del selvaggio dell’Aveyron è il tentativo di dimostrare che il linguaggio articolato è linguaggio imparato, che è l’adulto razionale che plasma il corpo del bambino. E così pensando, vedo che sono sempre mancate le basi del pensiero che permettessero l’elaborazione del movimento che conduce l’immagine, che non è ricordo, a giungere a quella scrittura fatta dai segni che non hanno immagine definita, ma diventano identità nei pensieri scritti con caratteri propri. Ed io pensai che, nel momento in cui si fa, con la pulsione, il falso dell’inesistenza del mondo non umano, si realizza la verità della memoria-fantasia dell’esperienza avuta. Forse perché avevo visto la verità del termine negazione che era alterazione del rapporto con la realtà umana mediante la formazione di immagini oniriche che non esprimevano la verità della realtà percepita. La negazione è patologia della realtà mentale che non è coscienza. Guardo, di nuovo, le prime righe scritte e penso che, se se formulai il pensiero verbale, dicendo fantasia di sparizione, avevo, evidentemente, un linguaggio articolato che non era ecolalia, ovvero ripetizione di quanto mi era stato insegnato. Erano miei pensieri che avevano assunto la veste della lingua italiana. Non era, quindi ripetizione meccanica di quanto udito e letto. Era una libera espressione che andava oltre e più a fondo rispetto all’immagine indefinita creata dalla memoria fantasia. Ed alcuni anni fa affiorò alla mente la memoria di quel periodo di tempo in cui il neonato sembra “non nato”. Li chiamai «venti secondi». Poi giunge il vagito ed il respiro. E ricomparve la piccola parola “poi” che, ora, aveva un senso completamente diverso. Costringeva a pensare, ma forse lo avevo sempre pensato, all’inizio della vita umana per lo stimolo luminoso. Emerge la realtà mentale quando ancora il corpo, inerte e silenzioso, non ha attività. Come se la capacità di immaginare avesse assorbito completamente la capacità di reagire del corpo. E ricordammo che, alla nascita, la circolazione del sangue cambia perché, da placentare che era, diventa polmonare. E viene la domanda: è necessaria questa modificazione per poter respirare? Ma occorre ugualmente per vagire? Per avere una scrittura propria a se stessi come i poeti, è necessario ricreare il silenzio e l’immobilità del primo momento della vita quando il movimento è soltanto mentale La comparsa del vagito è fatto fisico che è mente umana. Se così non fosse non diventerebbe voce umana che parla il linguaggio articolato. Non ci sarebbero poeti che usano il linguaggio imparato per dire la loro libera espressione in cui i termini verbali hanno perduto il significato che indica le cose. Sarebbe soltanto il canto dell’usignolo. C’è, prima del vagito, un’immagine interiore di se stessi. E respiro e vagito sono la realtà della fusione della mente con il corpo. Ma la mente, abbiamo scritto, è prima che il corpo sia attivo. Ma è esistente nella sua realtà nuova che ha il pensiero. Non c’è, quindi, scissione. Sono tornato a fare le interpretazioni dei sogni e la ricerca, dopo una sospensione per una malattia, ora risolta. Ma il pensiero si ferma di fronte ad una strada non percorribile. Lo scontro vita-morte nel rapporto con la natura non umana, ed il confronto interumano in cui la violenza è invisibile perché è anaffettività e negazione. Ed anche odio silenzioso che influenza il pensiero che ha sempre il fine di distruggere l’identità umana. Porta ad un comportamento non vero che manifesta amore falso. Non spinge alla realizzazione altrui. Usano il termine desiderio ed, in verità, è negazione sostenuta dall’anaffettività e dall’odio. ...con il linguaggio articolato si ricrea... left 22 dicembre 2012 55 scienza L’ennesima strage assurda in America. «Il problema serio è che viene completamente svilita la gravità dell’alterazione del pensiero, tanto della madre quanto del figlio». Parla il professor Paolo Fiori Nastro, docente di Psichiatria alla Sapienza di Roma V © goldman/ap left.it Quella falsa i enti bambini, sei insegnanti. E Adam Lanza. Questo il bilancio dell’ultima strage di Newtown, in Connecticut. La quarta in tre anni (dopo Fort Hood, Tucson e Aurora in Colorado). Le vittime questa volta sono più giovani che mai e le armi il ragazzo omicida non ha avuto bisogno di comprarsele. Le ha prese dall’armadio domestico di sua madre. In America la polemica è sempre la stessa, quella tra repubblicani allineati con le lobby delle armi e democratici che al contrario vogliono la loro messa al bando. Più in là non si va. Sul perché la storia americana sia segnata da queste assurde sparatorie mortali nessuno si interroga. Professore, ci risiamo? Perché succedono sempre in America queste tragedie? Per l’ennesima volta accade un evento drammatico negli Stati Uniti e la cosa paradossale è proprio questa, che accada per l’ennesima volta negli Stati Uniti. Nel senso che se uno cerca di documentarsi su cosa ci potrebbe essere dietro, scopre che il ragazzo era profondamente disturbato. Era uno schizofrenico gravissimo, si bruciava con l’accendino, aveva comportamenti autoaggressivi, si chiudeva in casa, era completamente asociale. Un nerd nel senso che in alcune materie dello studio era molto bravo ma completamente privo di relazioni sociali. E questo fatto che la strage sia stata compiuta da una persona profondamente sofferente, disturbata, direi malata, almeno taglia la testa al toro di quella disputa stupida tra chi pensa ad un omicida e chi a un malato di mente. Dobbiamo pendere atto che, anche se in un numero molto esiguo, la malattia mentale può portare a comportamenti profondamente violenti nonché insensati. In questo caso poi il ragazzo cresce e si nutre in un ambiente sconcertante, è evidente. La mamma è una prepper. Cos’è una prepper? In America ci sono tre milioni di prepper, sono un gruppo di persone che si prepara alla catastrofe, nel senso che ritengono imminente la possibilità che succeda qualcosa di talmente grave che lo Stato non potrà provvedere a ogni singolo cittadino, per cui ognuno di loro pensa di dover difendere sé e i suoi cari nel caso in cui la catastrofe avvenisse. Le forme di questa catastrofe vanno dall’asteroide che casca sulla terra alla rovina economica Per questo motivo accumulano cibo in casa in quantità sufficiente a garantirgli la sopravvivenza per mesi, addirittura anni. Uno, per esempio, ha riempito la sua piscina di pesci, dopo aver calcolato la quantità di calorie che gli era necessaria per vivere. Un altro si è ritirato in una foresta e da lì anima un blog che ha 300mila iscritti. Quindi Adam è il risultato di un ambiente di folli? Voglio arrivare a dire che la mamma era questo e che per questo motivo riempiva la casa di pistole, nonostante all’apparenza fosse una tipica mamma americana, impegnata, insegnava a scuola, dedita - come dichiara lei stessa - a ridurre l’asocialità del figlio. Questa donna coltivava queste convinzioni e questi pensieri che, col senno del poi, assumono un peso specifico nell’escalation che ha portato alla strage, anzi assumono un peso enorme. E, secondo me, questa storia dei prepper assume un peso nel tentativo di leggere perché accade in America. Il problema allora non sono le troppe armi in circolazione? Delle armi non me ne importa nulla, certo già l’accettazione sociale del culto della pistola - 88 cittadini americani su 100 posseggono una pistola -, è una cosa spaventosa, una vera follia, di per sé nasconde un’ideazione con forti tratti persecutori. Ma la cosa che mi dicevo e pensavo è che dietro all’accettazione sociale del prepper, c’è una falsa idea di libertà. Si ha un culto della libertà pericolosamente distorto: invece di «essere liberi di essere esseri umani» come ha più volte sostenuto il professor Fagioli, in questo caso si è liberi di essere quello che gli pare. E questo nasconde, a mio avviso, un’indif22 dicembre 2012 left scienza © ruttle/ap left.it a idea di libertà di Ilaria Bonaccorsi Gardini ferenza, una anaffettività totale nei confronti di atteggiamenti, comportamenti, pensieri che alla luce dei fatti di cronaca assumono una drammaticità, ma che anche senza, sono di una gravità enorme. Perché se mi capitasse di cenare con una persona che mi racconta di accumulare cibo per paura dell’asteroide io non riuscirei mai ad ignorarlo. La cosa era nota, la gente sapeva sia della mamma che di Adam. Così come i giornali scrivevano dei prepper da tempo... sul Telegraph puoi trovare anche tutta l’aneddotica su di loro. Ma mai nessuno che rispetto a questa realtà di pensiero esprima una preoccupazione, una riflessione tra ciò che è ancora compatibile con una libertà di pensiero e ciò che invece travalica questa libertà ed è espressione di malattia. Direi che la psichiatria americana ha fallito. Non un singolo episodio, ma tanti. Questo, per lei, dimostrerebbe il fallimento di quella psichiatria americana, tutta imperniata sul manuale di diagnostica DSM IV (a breve il V). Ci spiega cosa c’è che non va? Il capo di accusa è sicuramente l’attenzione smisurata alla realtà materiale. La considerazione innegabile è che la realtà materiale vada tenuta ben presente, che a tutti deve essere garantito un livello di vita dignitoso ma che questo voglia dire benessere oltre che fisico anche mentale, è una grave lacuna nella teoria psichiatrica americana. Il benessere materiale è il punto di partenza per la ricerca di una salute mentale. Se invece la realizzazione di una realtà materiale diventa l’unico obiettivo della vita e l’attenzione degli psichiatri si concentra solo sul comportamento, allora la mamma di questo ragazzo non aveva nulla che potesse dare adito a preoccupazione. Mentre proprio la mamma (al di là che il ragazzo manifestava apertamente un malessere grave) e quindi l’ambiente nel quale si è nutrito il malessere (oltre tre milioni di persone come lei) vengono considerate al mas- left 22 dicembre 2012 In apertura, il professore Paolo Fiori Nastro. In alto, il dolore dei familiari delle vittime e Adam Lanza simo con ironia (a volte) ma non certo con preoccupazione. E invece è gente il cui pensiero funziona male. Adam Lanza le ricorda Anders Breivik? Di questo ragazzo conosciamo molto meno, di Breivik sappiamo che aveva un delirio sistematizzato. Nel caso di Adam, per quanto ci è dato sapere, emerge un disordine gravissimo, che lascia pensare a un disfacimento totale della realtà umana. Perché sono sempre così giovani? Perché giovanissimi? Perché la malattia inizia molto presto e se prende pieghe così gravi non lascia molto tempo fino a che questa cosa si realizzi, fino a che avvenga questa esplosione. Prima o poi quando è così grave, ed è così grave anche perché è misconosciuta, viene considerata semplicemente un comportamento anomalo (passa la giornata davanti al computer…), esplode. Il problema serio è che viene completamente svilita la gravità dell’alterazione del pensiero, tanto della madre quanto del figlio. In ordine: prima il pensiero e poi il comportamento. Giusto? La questione fondamentale è che il comportamento si altera quando il soggetto non è più in grado di sopportare il proprio malessere che deriva da un pensiero distorto nel rapporto con la realtà. Per cui mette in atto dei comportamenti che riescono a salvaguardare la sua integrità. Cioè, per esempio, A. si chiude in casa perché ha una difficoltà nella socialità, ma questa difficoltà è legata al fatto che lui pensa che gli altri ce l’abbiano con lui. Si sente perseguitato. Quindi A. ha cominciato con un pensiero e poi è finito in un comportamento perché a un certo punto era talmente sicuro che gli altri ce l’avessero con lui che a scuola ha smesso di andarci. Da qui ad uccidere venti bambini e sei insegnanti la strada è costellata di mille segnali che vanno riconosciuti. La mamma era una prepper. Riempiva la casa di armi in attesa di una catastrofe 57 cultura left.it l’intervista Mentre al cinema e in libreria dilagano le saghe di cartapesta, modello Tolkien, il noir L’enigma di Flatey fa scoprire le radici dei miti nordici. Parla lo scrittore Viktor A. Ingólfsson Non solo Hobbit di Gabriella Basso Ricci U no studioso alla ricerca di un manoscritto, del “libro di Flatey”, preziosa raccolta medievale delle gesta dei Vichinghi, e un villaggio islandese che ancora oggi conserva tradizioni antichissime. È un viaggio nelle saghe nordiche L’enigma di Flatey (Iperborea. Traduzione di Alessandro Storti), raffinato noir dell’islandese Viktor Arnar Ingólfsson. Autore molto noto all’estero e che con questo libro si presenta al pubblico italiano. Ambientato nei primi anni Sessanta, in un piccolo arcipelago all’estremo nord ovest dell’Islanda, il libro affresca un luogo affascinante e remoto, quasi senza tempo, una regione fra terra e mare dove hanno radici le più antiche saghe nordiche, (che nulla hanno a che fare con le fantasmagorie di cartapesta alla Tolkien che sotto Natale impazzano al cinema). «Nella baia del Breiðafjörður ci sono centinaia di isole deserte. Conosco la zona molto bene. I miei nonni vivevano a Flatey e da bambino passavo l’estate da loro», racconta Ingólfsson a left. «Verso la metà del Novecento la comunità di Flatey era ancora viva e autonoma, ma negli anni Settanta l’isola ha iniziato a spopolarsi e oggi solo un paio di famiglie ci vivono tutto l’anno. Per lo più le vecchie case sono 58 Una veduta dell’isola di Flatey. Un ritratto di Viktor A. Ingólfsson e la copertina del suo noir diventate residenze estive. L’Islanda è una terra famosa per i suoi climi estremi». Com’era la vita a Flatey? Allora la vita sull’isola era bella, ma piuttosto primitiva. L’elettricità c’era solo per poche ore al giorno. Fino agli anni Sessanta non esistevano trattori, si coltivava tutto a mano. Avere memorie di quell’epoca lo sento come un privilegio. Aver conosciuto persone che appartenevano a un altro tempo: ho potuto usare l’esperienza diretta come sfondo per la mia storia. Che importanza hanno ancora le saghe nella cultura islandese di oggi? Le saghe islandesi sono le radici della nostra cultura: iniziamo a leggerle a scuola e quasi tutti gli islandesi le amano anche da adulti. Ogni lettore ha le sue storie e i suoi personaggi preferiti. I programmi di formazio- ne continua dell’università islandese offrono corsi di lettura e analisi critica delle saghe, che sono sempre al completo, con partecipanti di tutte le età. Il libro di Flatey, al centro della trama, esiste davvero, ed è conservato a Reykjavík, che cosa l’ha colpita di quel testo antichissimo? A sei anni mio nonno mi portò nella piccola biblioteca dell’isola di Flatey: là, in una teca, c’era una copia del libro di Flatey. Solo dopo molti anni ho capito che quello non era il manoscritto originale, che il libro non era stato scritto sull’isola e non parlava dei suoi abitanti. Ma quella copia mi è sempre rimasta mente. Il manoscritto originale di Flatey, invece, è famoso perché è un’opera d’arte molto bella e ben conservata. È più una biblioteca che un libro, in realtà, rac- coglie le gesta dei re norreni che regnarono per secoli in Scandinavia. Alcune di queste storie si trovano unicamente in quel manoscritto per questo è un libro fondamentale per conoscere la storia della Scandinavia. L’enigma di Flatey, è il suo primo romanzo pubblicato in Italia, ma lei ha alle spalle una carriera ben più lunga. Com’è nato il suo interesse per la scrittura? Sono sempre stato un lettore appassionato di letteratura di ogni genere. In effetti mi considero più lettore che scrittore, più ascoltatore che oratore. Mi sono avvicinato molto presto alla scrittura, quando ho intuito di avere idee abbastanza buone per trarne un libro. Da allora non ho più smesso di raccontare e sono sempre alle prese con una nuova storia. 22 dicembre 2012 left cinema cultura left.it Due immagini del film di Daniele Segre Storia di Luciana, comunista di Morando Morandini Tra documentario e ritratto d’autore il film che Daniele Segre ha dedicato alla Castellina, straordinaria figura di donna impegnata in politica e nel giornalismo. Un racconto appassionato della storia del Novecento Q uando era una bimbetta le domandano che cosa avrebbe voluto fare da grande. «Il facchino», disse. Risposta balorda, pensarono, e le spiegarono che non era un mestiere per donne, ma per maschiacci robusti. Mezzo secolo dopo il nipotino Vito le domandò: «Nonna, ma davvero sei comunista?». Sono due degli aneddoti che Luciana Castellina racconta a Daniele Segre nel suo documentario/ritratto d’autore, condito con l’ironia. Nata nel 1929 in una famiglia della media borghesia romana, racconta, sfogliando album di fotografie che lo spettatore non vede mai, che rimase bambina fino ai sedici anni: senza tette, ma con molta testa e un’arroganza verbale con cui (mal)trattava i maschietti coetanei. «Ho sempre fatto parte di una tribù più che di una famiglia» con i vantaggi e gli inconvenienti dell’appartenenza. Era totalmente fascista la cultura di cui furono impregnate l’infanzia e l’adolescenza. Già rivela a posteriori il suo futuro di scrittrice quando rievoca il 25 luglio 1943, parlando di «caduta del fascismo». Per lei, quattordicenne borghese (e per i suoi familiari) «il fascismo cadde». Come e perché “cadde”, chi e che cosa lo fece cadere? L’ignoranza storico-politica l’aveva trasformato left 22 dicembre 2012 in un evento naturale, una tempesta, un ciclone. Daniele Segre (nato nel ’52 ad Alessandria) ha un passato sportivo di rilievo (salto triplo) e comincia a lavorare nel cinema dal basso, come fotografo di scena sui set di Nessuno o tutti e La macchina cinema. Esordisce col mediometraggio Perché droga, seguito da Il potere dev’essere bianconero e da Ragazzi di stadio, sul fenomeno del tifo ultras negli stadi di calcio. Rari i suoi lungometraggi di fiction come Testa dura (1983, titolo che è anche un autoritratto), presentato alla Mostra di Venezia e nel 1992 Manila Paloma Bianca, ritratto dell’attore alla deriva Carlo Colnaghi che vi fa la figura di un «extraterrestre con un’oliva in mano». Nel cinema narrativo è il suo risultato più riuscito anche se nove critici su dieci non se ne accorgono. Prodotto e distribuito dalla sua società I cammelli di Torino come gli innumerevoli documentari, Luciana Castellina, comunista (2012) è un altro notevole esempio di quel “cinema della realtà” che Segre pratica da sempre. In questo dvd il contributo della Castellina è più vicino a una sim- biosi più che a una normale collaborazione tra interprete e regista. Il 17 ottobre 1947, compiuti i diciott’anni, la Castellina si iscrive alla federazione romana del Pci. È quasi una contraddizione. Nonostante l’insistenza sulla propria natura borghese, aveva già raggiunto la chiarezza delle idee. Sapeva già chi era e che cosa voleva. Lo si sente il 18 aprile 1948 quando nelle elezioni politiche il Pci subisce una netta sconfitta che, tra l’altro, i massimi esponenti del partito non avevano previsto. Era cominciata la “guerra fredda” un po’ dappertutto in Europa, non soltanto in Italia. Il resoconto della Castellina diventa appassionato e concitato con la fondazione de Il Manifesto nel 1969 in forma di mensile. Ne fanno parte, oltre a lei, Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri. Il mensile diventa quotidiano nel 1971, organo del Pdup nel quale il movimento era confluito, rendendosi poi indipendente. Daniele Segre ha curato anche il montaggio, affidando la fotografia a suo figlio Emanuele. Suono, musiche originali, postproduzione grafica, sono di Maria Teresa Soldani. Tra regista e protagonista c’è una forte simbiosi. Un esempio di “cinema della realtà” 59 bazar cultura left.it teatro di Anna Fava Il cuore di Napoli è collettivo Non è una struttura gestita dal Comune e nemmeno un’occupazione: all’Ex Asilo Filangieri, nel cuore di Napoli, sta succedendo qualcosa di completamente nuovo. Da marzo scorso, quando il collettivo di lavoratori dell’arte, dello spettacolo e della cultura la Balena ha occupato la sede della fondazione Forum universale delle culture, in città si sta sperimentando un nuovo tipo di istituzione pubblica per governare i beni comuni. Incrociando un’interpretazione innovativa dell’istituto giuridico degli usi civici, che regola la gestione collettiva dei terreni, con l’articolo 43 della Costituzione, che consente l’affidamento di strutture pubbliche a comunità di lavoratori, la Balena ha creato una formula efficace: lo spazio è di proprietà pubblica, la gestione collettiva. Con una delibera di giunta, promossa dall’assessore ai Beni comuni, Alberto Lucarelli, il Comune di Napoli ha accolto l’idea. E il processo innescato dalla Balena ha avuto inizio: la creazione di un palco e di un teatro con amplificatori e casse, laboratori teatrali di alta qualità, come quelli di Salvatore Cantalupo e Napoli, l’Ex Asilo Filangieri Claudio Morganti, spettacoli, concerti e apertura al territorio con cineforum per i bambini del quartiere. I lavoratori condividono gli strumenti di lavoro, si autogovernano e finanziano l’allestimento dello spazio con sottoscrizioni volontarie. L’obiettivo è quello di creare un centro di produzione indipendente. Intanto, in nove mesi la struttura dell’Ex Asilo Filangieri è stata attraversata da artisti, studiosi, gruppi e cittadini che, attraverso assemblee pubbliche, hanno programmato insieme le attività. Con numeri impressionanti: 15mila artisti, as- sociazioni e ricercatori, 100 giorni di laboratori e formazione, 70 compagnie teatrali, gruppi musicali e singoli artisti, 80 presentazioni di libri, documentari, proiezioni cinematografiche e mostre. E per il 2013 sono già 4 gli spettacoli in produzione. Tra i prossimi eventi in calendario ricordiamo il Laboratorio sul gusto e la narrazione condotto dal Teatro dei Sensi Rosa Pristina il 21 e 22 dicembre e gli incontri di fotografia con Mario Spada, tutti i giovedì (16:30-18:30). Il programma completo sul sito: http://labalena.wordpress.com tendenze di Sara Fanelli L’abito fa il personaggio A Londra vale il paradosso: “Non c’è nulla di più profondo di quanto appaia in superficie”. Si parte dal 1912 per arrivare al 2012, in Hollywood Costume, una mostra allestita fino al 27 gennaio 2013. Presso il Victoria and Albert Museum, la storia del cinema in oltre cento costumi: Fight Club, Marie Antoinette, Dangerous Liaisons, Shakespeare in Love. La mostra raccoglie anche i costumi indossati dai personaggi dei venti film campioni d’incassi 60 22 dicembre 2012 left cultura left.it di Bebo Storti il taccuino Junior di Martina Fotia Libertà vo cercando In fondo. È il momento che tutti i genitori temono di più, quel delicato passaggio verso l’indipendenza e la maturità che chiamano adolescenza. Insicurezze e sentimenti turbolenti legati alla costruzione di sé e della propria identità rendono gli “adorati cuccioli” improvvisamente incomprensibili e le dinamiche familiari subiscono uno scossone simile a un terremoto. Preziose come gemme risultano in questo contesto operazioni come quella portata a termine dall’autrice Luisa Mattia, che nel suo libro Noi siamo così edito da Sinnos, riesce ad aprire un varco nell’universo dei teenager. Come dice l’autrice stessa, Noi siamo così è «un romanzo nato per ostinazione, avviato con cautela, cresciuto con allegria e concluso con entusiasmo». È un libro dalla genesi fuori dal comune, ci mette di fronte a un coraggioso progetto di scrittura collettiva, dopo l’incontro tra l’autrice e un gruppo di ragazzi dell’Istituto comprensivo di via Casale del Finocchio a Roma. Un quartiere periferico, “terra di mez- Era una bigia mattina nella campagna vicino a Verghera di Sammarate. Nevischio freddo cadeva sui campi già innevati di quella profonda provincia lombarda, così aspra fredda incolore e solitaria ma tanto cara a tutti coloro che ci vivevano. Anche perché andar via di lì è complicato, c’è sempre nebbia o acquerugiola diaccia e diventa quasi impossibile ritrovare la strada. Ma agli uomini delle ’ndrine quel posto piaceva... Perché lì, prima che Maroni si accorgesse che la ’ndrangheta esiste grazie a Fazio e Saviano, ci si poteva nascondere per anni e perdersi fra il Bergamasco e il Lecchese “come a non esser mai nati” per citare il Manzoni. In quelle lande desolate e boschive, vive un uomo, ma più che un uomo un ragazzo, ma più che un ragazzo un mantenuto, per un po’ dalla Regione, poi dalla famiglia e chissà, se la memoria della gente aspra di quelle terre non dovesse reggere, anche dal Parlamento del popolo italiano. Ma si vedrà. Quello che ci interessa è sapere perché un ragazzo che aveva tutto - la paghetta da Belsito, i cd di Moscagiuro da ascoltare e le tette della Minetti da guardare - abbia fatto un passo così estremo e doloroso. Il ritirarsi dalla vita pubblica e dedicarsi alla vanga, al letame, per altro suo destino di sempre. Un badile e della merda, quale occupazione migliore per un giovane che per prendere un congiuntivo gli devi dare un Devoto Oli sulla faccia. Perché ora è lì, in abiti da contadino con gli stivali di gomma ben affondati nella boassa di mucca? lo saprete la prossima puntata... di tutti i tempi, tra cui Avatar, Guerre stellari, Titanic, Via col vento, Harry Potter, I predatori dell’arca perduta, L’uomo ragno, I pirati dei Caraibi. La mostra nasce da Deborah Nadoolman Landis, costumista di professione. «Il compito più arduo - racconta - è stato quello di dover recuperare i pezzi da esporre». In molti casi dopo la produzione di un film gli abiti vengono abbandonati, oppure nella peggiore delle ipotesi danneggiati, distrutti, perduti, portati via da qualche attore. Come nel caso di Robert De Niro che ha prestato cinque abiti da lui indossati in vari film e che aveva tenuto per sé, inclusa la mantella-accappatoio leopardata di Toro scatenato. Spesso i costumisti sono nar- left 22 dicembre 2012 zo” in cui la vita si svolge come un mondo a parte rispetto alla metropoli. La sfida lanciata a questi ragazzi è stata quella di provare a raccontare chi sono e questa avventura li ha portati ad esprimere esperienze di vita, pensieri, desideri, pareri, in lunghi mesi di dibattiti e incontri. Luisa Mattia ha conferito a questo prezioso materiale “umano” una cornice narrativa e ha tessuto la storia di Arianna, 14 anni e tanta voglia di libertà. Ma che cosa è la libertà? Arianna non lo sa bene, scappa di casa per impulso, farà nuove conoscenze, che in qualche modo la cambieranno definitivamente. Il gesto di Arianna trasforma e mette in discussione anche la vita di amici e familiari, i cui dubbi e pensieri vengono annotati a margine della storia e fedelmente riportati così come i ragazzi li hanno scritti. Non ci sono pregiudizi in questa narrazione collettiva, c’è il desiderio forte di raccontare il modo di vivere i rapporti, i conflitti e i sentimenti, in un’età difficile e molto spesso troppo etichettata in modo semplicistico. ratori, storici, commentatori sociali o antropologi, Quando un personaggio di un film riesce a catturare l’immaginazione del pubblico allora è fatta, i costumi possono infiammare le tendenze della moda in tutto il mondo. Ci sono vestiti che raccontano meglio di una scena ed entrano nel mito: «Arriverei a dire che la lunghezza di una gonna, sopra o sotto il ginocchio, a volte è più importante di un’idea di sceneggiatura», raccontava il maestro Bertolucci. Hollywood Costume si pone il compito di approfondire l’importanza del costumista, forse artista, che per poter rendere indimenticabili i personaggi, deve riuscire a esaltarne l’anima attraverso l’abbigliamento. Nebbie 61 [email protected] cultura roma Genova Fringe italiano Sguardi sull’America No global Dopo le retrospettive di Ansel Adams ed creativi Edward Weston (ora al Ciac di Foligno fino Il porto degli acrobati Acrobati, giocolieri, clown, funamboli invadono il Porto antico, portando fantasia e meraviglia. Sabato 22 dicembre debutta GenovAccesa suggestivo spettacolo di luci, colori, sfavillanti effetti pirotecnici che colorerà il cielo della città su melodie natalizie. Sabato 29 dicembre, invece, si parte con il Circumnavigando festival. Roma firenze I monelli di Erwitt Il mago di Oz Fino al 5 maggio la mostra Vino fra mito e storia. Anfore vinarie etrusche, brocche ritrovate negli antichi corredi funerari, buccheri all’Enoteca Italiana. 62 Nei suggestivi spazi affacciati sul Canal Grande della Galleria Workshop, fino al 22 gennaio, va in scena Urbicide una collettiva in cui installazioni, video e suoni interagiscono con un ambiente davvero unico. Curata dall’artista Usa Diann Bauer, la mostra racconta la globalizazazione in chiave caustica e graffiante. al 17 febbraio), continua il viaggio nella migliore fotografia Usa del ’900 avviato dalla Fondazione Fotografia con la mostra Flags of America. Fino al 7 aprile nell’ex ospedale di Sant’Agostino, con autori di primo piano come Diane Arbus. Stephen Shore (in foto una sua opera del ’73), Robert Frank, Irving Penn, Richard Avedon e altri. SIENA Vino etrusco Venezia © Erwitt/Magnum Photos Fino al 30 dicembre il quartiere San Lorenzo diventa teatro di una versione inedita del Roma Fringe Festival inglese, la più grande vetrina del Teatro Off che nell’estate 2012 ha portato in scena 54 spettacoli con oltre 20mila presenze. Il 22 dicembre, in particolare, vanno in scena i Presi Per Caso con lo spettacolo Nella Mia Ora di Libertà. Il giorno dopo grande festa per grandi e piccini cone Celestina Je l’emo (nella foto). Modena Sabato 22 e domenica 23 dicembre al Nuovo Teatro dell’Opera di Firenze, uno spettacolo composto da due atti unici, il balletto Il Mago di Oz, nuova creazione di Francesco Ventriglia, dalla celebre fiaba di di Lyman Frank Baum e ispirato al celebre film di Victor Fleming del 1939 che vedeva protagonista Judy Garland. Dopo l’intervallo, senza soluzione di continuità gli spettatori potranno assistere anche al Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, in versione semi scenica. Ambientato a Firenze nel 1299, è i mescola suggestioni dal XXX canto dell’Inferno dantesco e dalla commedia Le Testament du père Leleu di Roger Martin du Gard. Cinquanta scatti. Ovvero Fifty Kids di Elliott Erwitt: una mostra, un libro, un progetto. Una raccolta delle più belle immagini di bambini scattate dal grande fotografo nato a Parigi nel 1928 in oltre mezzo secolo di storia. Un evento dedicato ai bambini per aiutare altri bambini. Organizzata da Civita, la mostra nelle sale di Palazzo Incontro resterà aperta fino al 17 marzo 2013. Come ha detto Cartier-Bresson, che è stato uno dei suoi maestri, «Elliott ha ottenuto il massimo proponendo una gamma di immagini rubate e sprigionanti un aroma, un sorriso dal suo intimo più profondo». Questo aroma e questo sorriso attraversano tutta la sua produzione. I bambini sono da sempre uno dei suoi soggetti preferiti e talvolta sono proprio i suoi: Elliott Erwitt ha 6 figli e 5 nipoti. Roma Brueghel e Bosch Con 20 opere in più, alcune delle quali mai prima esposte in Italia, nel Chiostro del Bramante, dal 18 dicembre viene riproposta una importante mostra di arte fiamminga. Con il titolo Brueghel le meraviglie dell’arte va in scena un confronto fra il talento dei pittori della famiglia dei Brueghel e quello di Bosch. 22 dicembre 2012 left 200x280+10 nuova LEFT.indd 1 14/12/12 10.43