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MARCO PEDRON
Venezia non è unica
Percorsi fuori dagli itinerari
Pellestrina
Pellestrina
Ministero dell'Interno ha ufficializzato nel 2010 i "detti", cioè i soprannomi
popolarmente utilizzati per distinguere i rami di una stessa famiglia.
Finalmente le formazioni delle locali squadre di calcio saranno credibili:
l'Us Pellestrina è arrivata ad avere quindici Vianello su diciotto giocatori.
La fermata del vaporetto per Pellestrina è in fondo a Corso del Popolo,
in Rivetta Vigo. Le corse non sono frequenti, quindi è meglio consultare
prima gli orar! sul sito dell'ACTV. Durante la stagione estiva c'è sempre
ressa e, se andate in bici, ricordate che a bordo ne accettano un numero
limitato, a discrezione del comandante, ma che, comunque, sarebbe
difficile imbarcarne più di una decina. Chi arriva per tempo parte, gli altri
devono rassegnarsi ad attese anche di un'ora. Per questa ragione
preferisco andare a piedi. Se non volete rinunciare alla bici potete
noleggiarla a pochi metri dalla fermata Pellestrina, presso il distributore
Agip "nautico e stradale" (il biglietto da visita è molto preciso in questo
senso). Una decina di bici a dieci euro a giornata, quindici per due giorni.
Per prenotare telefonate allo 041-967591.
Prima di partire informatevi se il vaporetto ferma a Cà Roman (Caroman
tutto attaccato sugli orari dei battelli ACTV): alcuni proseguono
direttamente per Pellestrina e non dovete assolutamente perdere la prima
fermata e l'oasi naturalistica che occupa la parte sud dell'isola. A Cà
Roman non si può scendere con la bici, non ne ho mai capito la ragione
ma cosi è. Questa è il secondo buon motivo per andare a piedi.
Se avete problemi con il vaporetto nella stagione estiva c'è l'alternativa del
bragozzo Ulisse, un barcone con trasporto bici che, per 15 euro a testa,
porta a Caroman e Pellestrina e viceversa. Per prenotazioni: 347-8652845.
L'imbarco è a fianco del pontile del vaporetto.
La traversata dura pochi minuti ed è spesso movimentata e diversa dai
tragitti delle altre linee veneziane dove, acqua a parte, tutto è molto simile
a quel che accade su qualsiasi mezzo pubblico di qualsiasi città. La linea
11 collega due mondi, vicini e lontanissimi, dei quali uno ha il bisogno di
essere costantemente approvvigionato dall'altro delle mille cose
necessarie alla quotidianità. Qui si imbarca di tutto, ci si stringe tra cassette
di insalata, bici, parabole satellitari, tubi, motorini, scatole e sporte. In
stagione ci si mischia a turisti d'altri tempi stracarichi di ombrelloni,
frigobibite, teli da bagno, ciabattanti in infradito nella calca che,
ondeggiando, stritola le estremità.
Lasciata Chioggia, sfila poco dopo sulla destra la diga di Ca' Roman e
ciò che resta dell'antico Forte Caroman, una struttura difensiva iniziata
dalla Serenissima nel 1700, poi rafforzata e progressivamente armata
prima dai francesi e quindi dall'esercito asburgico. Il forte era di forma
irregolare e circondato da un fossato allagato largo tra i 7 e i 15 metri e
profondo 2. Nel 1912 fu installata la batteria Barbarigo con quattro cannoni
da 152mm e 12 chilometri di portata.
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Pellestrina
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Pellestrina
Pellestrina
La bocca di porto di Chioggia fu per secoli un ingresso agevole alla
laguna, poi i fondali iniziarono ad interrarsi, principalmente per la grande
quantità di sedimenti portati dal Brenta che un tempo vi sfociava. Nel 1896
la foce fu spostata a sud di Chioggia e successivamente furono costruite le
dighe foranee che, strozzando l'ingresso, aumentarono la velocità delle
correnti e quindi l'azione di pulitura del fondo che rese le acque
nuovamente navigabile anche dalle grandi imbarcazioni. Nella bocca di
porto sono in costruzione le barriere del MOSE che dovrebbero essere
terminate nel 2014.
ripulendola dalle erbe infestanti e aumentando la ricchezza floristica con
varie specie arboree e arbusti. Il bosco fu risanato e divenne capace di
perpetuarsi naturalmente e resistere agli attacchi più diffusi: funghi, insetti,
vento e salsedine. Il collegamento all'acquedotto di Pellestrina e
l'installazione di idranti consente di fronteggiare eventuali incendi.
Lontano sulla sinistra si intravede uno degli ottagoni, i bastioni di difesa
dai quali venivano colpite le navi in entrata e che erano riparati dagli
attacchi grazie ai circostanti fondali profondi pochi centimetri. L'Ottagono di
Cà Roman fu utilizzato fino alla seconda guerra mondiale. Oggi è
abbandonato e quasi sommerso dalla vegetazione.
La grande macchia verde dell'Oasi di Cà Roman occupa la parte sud
dell'isola. Durante la navigazione sono visibili tra la vegetazione gli edifici
del Villaggio Marino Oraziani. Oraziani, ufficiale sanitario e primario
dell'Istituto Rachitici di Padova, acquistò nel 1923 questi terreni e vi costruì
prima alcune baracche, poi edifici in muratura, che si svilupparono fino a
contenere 370 posti letto. Nel 1941 cedette tutto alle Canossiane che
rimasero fino al 1990. Gli edifici del villaggio ospitarono famiglie, bambini
rachitici, religiosi in cerca di quiete e spiritualità, figli di dipendenti di grandi
aziende come le Acciaierie di Bolzano, che qui organizzarono una colonia
estiva attiva fino agli anni 70. Su internet c'è un blog a cui i bambini ex
coloni affidano le proprie memorie e cercano i vecchi compagni: "era come
fare il militare, alzabandiera, divisa, prendisole di cotone grosso, tutto
rigorosamente blu scuro e con il marchio Falci?.
Scendiamo a Caroman. L'ingresso dell'Oasi della LIPU è sulla destra,
pochi metri dopo un chiosco bar su palafitta che in estate vende
svogliatamente bibite e gelati. Oltre la barriera anti moto-bici il sentiero si
inoltra nel bosco, sfiorando a destra il Villaggio Marino.
Il sentiero d'accesso ne incrocia altri perpendicolari che conducono alla
spiaggia. In pochi passi si comprende quanto quest'area sia preziosa.
Aiutata dall'isolamento e dalla cura con cui è tenuta, è diventata uno degli
ambienti dunali più integri di tutto l'Adriatico. Anche se le dimensioni sono
ridotte, poco più di 50 ettari, è situata su una delle più importanti rotte
migratone d'Italia e quasi duecento specie di uccelli la utilizzano in autunno
e primavera per riposarsi e nutrirsi prima di riprendere il viaggio.
Si cammina verso la spiaggia attraversando prima il bosco, poi le dune.
Dagli anni '30 il Corpo Forestale attuò interventi creando una prima fascia
di tamerici piantate nella fascia tra la spiaggia e la duna. Più all'interno
furono piantati pini neri e più all'interno ancora pini marittimi e pini
domestici. Dopo gli anni '50 ci fu un periodo di abbandono. Dalla metà
degli anni '80 la pineta artificiale fu migliorata, diradando le piante,
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Oasi di Co Roman
(1) - Villaggio Marino (2) - Ex Istituto Canossiane
(3) - Forte Barbarigo (4) - Bunker (5) -Areepicnic
© Oasi LIPUCà Roman
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Pellestrina
Pellestrina
Fuori dal bosco i sentieri tagliano le dune, tra le più integre
dell'Adriatico. L'abbondante vegetazione, ricca di specie, negli anni le ha
ricoperte, consolidate e rese stabili all'azione del vento, facendole
diventare elemento determinante per l'equilibrio della spiaggia e barriera
contro le onde durante le grandi mareggiate.
La spiaggia, lunga due chilometri e profonda cento metri, da
l'impressione di essere poco curata, in realtà viene accuratamente pulita a
mano da tutto ciò che porta il mare per mantenere intatto un habitat
prezioso e ospitale per molti piccoli animali. Sul posto vengono lasciati solo
i materiali organici e, in alcune stagioni, parte dell'area viene recintata per
proteggere i nidi. È un luogo che vi fa sentire naufraghi privilegiati: nessuna
barca, nessun bipede all'orizzonte, tronchi spiaggiati, tante conchiglie, solo
il rumore della risacca, gabbiani e, in estate, bagnanti d'altri tempi.
Percorriamo la spiaggia verso nord fino al murazzo. Per secoli la
Serenissima cercò di contenere l'azione del mare con argini di terra e
palizzate. Poi si decise la costruzione dei murazzi che furono realizzati tra il
1744 e il 1781. L'opera fu terminata solo quindici anni prima della caduta
della Repubblica e costò circa 20 milioni di lire venete. Una lapide lungo il
muro, posta il 26 marzo 1914 e visibile dal lungo laguna e dal vaporetto,
ricorda con petulante precisione a grandi caratteri "Ausu romano, aere
Veneto", "Volontà romana, denaro veneziano".
Murazzo di Cà Roman
Se le vertigini non sono un vostro problema, percorrete il
camminamento superiore. Da lì sopra si vede tutto l'arco che il murazzo
disegna per chilometri. Siamo nel punto più stretto dell'isola, larga qui
quanto il grande muro. Il campanile di Pellestrina è all'orizzonte, ad un paio
di chilometri.
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La striscia di pietra è larga un metro, tre metri da terra sul lato mare,
circa quattro sulla laguna. Alcuni la percorrono facendo jogging, tanti
rinunciano perché la sensazione di vertigine si sente: il vuoto da entrambi i
lati da un senso di smarrimento. In alternativa si può scegliere uno dei
percorsi alla base che volendo è possibile alternare utilizzando le scalette
che ogni tanto permettono lo scavalcamento. Ma camminare qui in cima è
imperdibile: spazio, vento e la prospettiva dell'isola che si allunga per
chilometri.
In un'ora si arriva a Pellestrina. Passato il cimitero attraversiamo
Piazzale Caduti del Giudecca, a ricordo dell'affondamento della motonave
"Giudecca", partita da Chioggia in un giorno di mercato e attaccata con tre
bombe da tre caccia anglo-americani il 13 ottobre del 1944. La nave fu
colpita all'altezza del cimitero e affondò davanti alla chiesa. A bordo c'era
un numero imprecisato di passeggeri, sicuramente oltre duecento.
imprecisato anche il numero dei morti, pare oltre settanta.
Sul piazzale fanno capolinea autobus e vaporetti e c'è il distributore di
carburanti dove affittare le bici. Entriamo in paese passando a fianco della
chiesa. Sulla piazzetta, nella casa rossa d'angolo, l'osteria bar Da Niki è
un buon punto per una sosta. Se avete preso il traghetto di metà mattina i
tempi dovrebbero essere perfetti per un aperitivo.
Ordinate un prosecco, qualche cichèto
e fate diventare i tavolini una platea e
la piazzetta il palcoscenico di un teatro
dove va in scena la locale vita
quotidiana. Donne che si danno la
voce da una finestra all'altra, una testa
bigodinata emerge dalla porta della
parrucchiera, biciclette cariche di
sporte e figli, cani che si annusano e
un gatto interessato alla vostra
polpetta.
E poi i véci, gli anziani. In laguna
solo la malattia può estrometterli dalla
vita di cortile. Stazionano dentro, fuori,
nelle vicinanze, seduti, in piedi, in ogni
stagione, a parlare di tutto e niente, a
farsi compagnia, a sconfiggere quella
solitudine che uccide i vecchi di città.
L'osteria è il luogo senza età, véci e
Ciàcole
tósi tutti insieme a parlare delle stesse
cose col bicchiere in mano, in gruppetti che si sfaldano per ricomporsi più
in là, alla ricerca di parole o patatine, di ombra o sole.
In stagione di matrimoni c'è il viavai degli invitati e l'arrivo degli sposi.
La cerimonia è pedonale, oppure col batèo che sostituisce la solita berlina
scura, ma più complicato da avvolgere nella carta igienica. Le donne
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Pel lastrina
Pellestrina
arrancano su tacchi improbabili avvolte in fodere lucide che abbattono i
costi delle sete, gli uomini si strangolano con camicie e cravatte a metà
stomaco e sfoggiano facce cotte da abbronzature marinare. Capita anche
la cerimonia internazionale: qualcuno che è tornato da chissà dove e altri
alla ricerca della location pittoresca. A Venezia e laguna sono inciampato
negli anni in una incredibile varietà di cerimonie: kilt e cornamuse, poliziotti
britannici in divisa, americani con muta di damigelle vestite uguali uguali,
francesi chic e anche no. Sposarsi qui va di moda e le casse di comuni e
parrocchie ringraziano.
Finita la cerimonia sarete probabilmente coinvolti dagli invitati maschi
che, in attesa delle foto e allentate le cravatte, attraccheranno al bancone
del bar per un po' di "riscaldamento preparatorio" prima del pranzo.
Usciti gli sposi, visitate la chiesa di Ognissanti. C'è un curioso altare, il
secondo sulla sinistra, che è un incredibile accumulo di reliquie ed ex voto.
È l'altare di tutti i santi: di qualcuno una falange, di qualcun altro un pezzo
di tibia, non si fa torto a nessuno.
Prima
di
proseguire
controllate l'ora con la
meridiana sul selciato. Basta
seguire
le istruzioni
e
posizionarsi. La vostra ombra
darà l'ora, il segnale orario
potete farlo con la bocca.
Dalla piazzetta partono i
vicoli che si infilano tra
casette piccole, due piani al
massimo, ed è un continuo
susseguirsi di vólti, calli,
campielli e osterie. A volte
davanti a qualche porta sono
in mostra balòn e fuselli, il
tombolo e capofilo per il
// Gazzettino
merletto, appoggiati sullo
scagno, lo sgabello. Sul
balòn, un cuscino pieno di
paglia fine, ci sono il ricamo in lavorazione e il disegno da riprodurre. I
fuselli sono i bastoncini di legno che portano i fili e che, fatti girare
vorticosamente, producono l'inconfondibile picchiettamento ritmico che
capita di sentire nelle calli. Più grande è il lavoro più fuselli vengono
utilizzati.
La moda del merletto risale al tardo '500 e fu in quell'epoca che la
produzione si stabilì nelle isole: l'ago a Burano, il fìlet a Chioggia e i fuselli
a Pellestrina. Le "mistre" (imprenditrici) procuravano le ordinazioni
anticipando a volte "magnanimamente" i denari. Pare ottenessero migliore
qualità, produzione maggiore e costi bassi sfruttando la povertà delle
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lavoratrici e l'isolamento che le teneva all'oscuro dei prezzi di mercato. Nel
giugno 2007 le donne dell'isola hanno stabilito il primato del merletto più
lungo: oltre 450 metri e centinaia di pezzi uniti che hanno appeso lungo i
lampioni della laguna.
Potete scegliere se percorrere la strada interna che sfila davanti alle
abitazioni, spesso con la porta aperta, intercalate a botteghe e bar, oppure
camminare lungo la laguna dove sono allineate le barche da pesca.
Negli ultimi anni l'attività è entrata in pesante crisi, ma molti ancora vanno a
pesca per lavoro o per piacere gastronomico. Qui e là, nelle calli e nei
campi e nelle aiuole, sono numerosi i barbecue più o meno di fortuna, fatti
con griglie autocostruite e cestelli di lavatrice modificati. Ogni famiglia ha il
suo barbecue, i più fortunati in giardino, gli altri lungo la strada.
Pochissime le macchine, qualche motorino, tante biciclette e tantissime
biciclette elettriche, talmente tante che pare le abbiano vendute tutte qui,
tra Chioggia e Pellestrina.
Ancora dieci minuti e
appare il tendone di Celeste,
ovviamente blu, una delle
migliori trattorie e una delle
più belle terrazze della
laguna. Quante volte ho
mangiato qui, spesso sono
venuto a Pellestrina solo per
la voglia di pranzarci. Lasciate
fare a loro, i prezzi sono
ovviamente venessiani, ma
questo è uno dei pochi posti
dove potete dire "faccia lei"
senza lasciarci lo scalpo.
Verso Celeste
Dopo tante visite mi sono stati
riconosciuti gli onori della
divisa ufficiale: la camicia bianca dei camerieri con logo ricamato sulla
schiena, la splendida lisca di pesce stilizzata dell'insegna del locale.
In tavola salta all'occhio il Bacchettino dei Busso/ai, ciantelline di pane
biscottato che vengono serviti al posto del pane in tutti i ristoranti dell'isola.
Sono prodotti da pochi forni, tra questi Vianello e Bisutto di San Pietro in
Volta e Ballarin "Malta" a Portosecco. Forma, fragranza e leggerezza li
rendono particolarmente piacevoli e poi non si resiste a portar via il
sacchetto con quelli avanzati.
Quando oggi si parla di bussola! ci si riferisce quasi sempre a
"golosessf (piccole golosità dolci), della tradizione veneziana e veneta.
Con lo stesso impasto si fanno le anche le "esse" e i bastoncini, ma il vero
bussola è fatto a ciambellina.
Ma non è sempre stato così. I bussola! hanno origine da un pane con lo
stesso nome, di antichissima tradizione. Aveva la stessa consistenza del
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Pellestrina
Pellestrina
pane biscotto, cioè cotto quanto basta per renderlo croccante anche
all'interno, e i marinai veneziani lo portavano nei lunghi viaggi che
duravano mesi. Il pan biscotto era prodotto da molti forni gestiti
direttamente dalla Serenissima. Gli ingredienti sono farina di frumento, olio
extravergine d'oliva, strutto, malto, lievito e sale; l'impasto viene "tirato" in
strisce e modellato in forma di cerchio o di ovale. Si trovano anche a
Venezia, Mestre, Chioggia e in qualche supermercato, ma sono
semindustriali. Solo qui trovate quelli totalmente artigianali, un simpatico
souvenir da portare a casa, e se ne producono ogni giorno qualche
centinaio di sacchetti da 200 grammi.
Concluso il pasto, due
passi
sono
vivamente
consigliabili. In caso di calura
estiva fate attenzione al
cocktail micidiale di sole a
picco, prosecco e digestione
in corso.
Celeste
Per un salto in spiaggia
sono solo cento metri e
nell'attraversare la Comunale
dei Murazzi non fatevi trarre
in inganno dallo scarso
traffico: le auto sono poche,
ma per nulla rassegnate alle
basse velocità. Il rischio di
investimento è concreto e ci
sono stati, da non crederci,
anche incidenti mortali.
Chi vuole dedicarsi all'abbronzatura sappia che ha a disposizione una
delle spiagge più abbronzanti a queste latitudini. Così almeno sostengono i
depliant degli alberghi di Sottomarina. La sabbia è ricca di minerali come
augite, quarzo, silicati e mica, che, uniti ad una ventilazione regolare, pare
favoriscano abbronzature rapide e durature. Dopo varie esperienze mi
sentirei quasi di dar loro ragione.
La spiaggia è lunga, stretta e sempre ricca dei residui delle mareggiate:
parabordi, frigoriferi, palloni, sandali, sedie. Ma non mi è mai riuscito di
vederla sporca; in fin dei conti non sono rifiuti ma solo relitti che il mare ha
diligentemente pulito prima di restituire al mittente. Perpendicolari alla
spiaggia si allungano i preziosi "penne///", moli ortogonali alla riva che
limitano l'erosione del mare e offrono comodi spazi per distendersi. Basta
trovare una pietra orizzontale e possibilmente liscia.
Proseguiamo lungo la laguna verso Sestiere Vianelli. Pochi minuti per
arrivare in vista della facciata abbagliante della Chiesa della Madonna
dell'Apparizione, restaurata di recente.
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"Vien qua fio - va dal
piovan e dighe che faccia
celebrar delle messe per le
anime del purgatorio, se
volerne aver vittoria - e tei
digo a ti perché ti xe
degno." (Vieni qua figliolo va dal parroco e digli di
celebrare messe per le
anime del purgatorio, se
vogliamo avere vittoria - e
lo dico a te perché sei
degno). Sarebbero queste
le parole che martedì 4
agosto 1716, verso le sei
del mattino, un ragazzo di
Pennello 14
nome Natalino Scarpa Di
Giovanni detto il Muto,
quattordici anni e mezzo di
età, si sentì rivolgere,
mentre si recava alla chiesa parrocchiale di Ognissanti, da un'anziana
sconosciuta che vestiva un abito azzurro con stelle rosse, il capo coperto
da un velo bianco, lo sguardo preoccupato. Era la predizione della vittoria
dei veneziani nella battaglia di Petervaradino in Serbia, che si svolse il
giorno dopo e che si rivelò decisiva nella guerra che la Serenissima stava
combattendo e perdendo contro i Turchi.
Ogni anno tra fine luglio e inizio agosto sul piazzale c'è la Festa
dell'Apparizione. Nel programma: processione, musica, danze, lotteria,
regata su mascarete e, l'ultimo giorno a mezzanotte, lo spettacolo
pirotecnico.
Passiamo davanti alla Coop, il più fornito supermercato dell'isola, poi la
strada della laguna si stringe bruscamente per allargarsi subito nello
spiazzo dominato dalla torre in mattoni dell'acquedotto e stringersi
nuovamente. Lungo la riva si alternano edifici di forma cubica e altri
ingentiliti dalla struttura della casa veneta, con un corpo centrale più
elevato e tetto a doppia falda. Negli ultimi anni sono stati eseguiti molti
restauri ed è raro oggi vedere edifici in cattive condizioni.
Contemporaneamente si è sviluppato un mercato immobiliare prima
inesistente, che ha reso costose semplici case di pescatori un tempo molto
abbordabili.
Quando inizia un vecchio muro in mattoni siamo arrivati alla Remiera
Pellestrina. Un grande cortile, un edificio bianco sul fondo, i rimessaggi
delle barche sul lato sinistro e di fronte, oltre la strada, lo scivolo per far
scendere le imbarcazioni in acqua. Tra i soci ci sono due veri "monumenti":
i campionissimi della Regata Storica Palmiro Fongher con dodici vittorie e
Sergio Tagliapietra, detto "Ciac?', quattordici.
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Pellestrina
Pellestrina
II muro di mattoni prosegue, interrotto da due case bianche
messicaneggianti. Quella con la croce in cima e il vecchio cancello a listoni
di legno verde è una bella cappella votiva.
Superiamo l'ennesima strettoia, ma volendo si può aggirare l'edificio rosa
che, curiosamente isolato, galleggia in mezzo al piazzale, esempio di
creatività urbanistica.
Arriviamo alla chiesa neoclassica di Sant'Antonio, anche questa
bianchissima e con un campanile in mattoni sottile sottile. A metà giugno
c'è la Festa patronale con stand gastronomici, gara di briscola, torneo di
calcio—giovani-promesse, spettacoli teatrali, saggi di danza del ventre e
karaté. Se interessati, trovate date e programma sul sito ufficiale:
www.sagrasantantonio.it.
Superata la casa-isola, poco oltre ne trovate una seconda più piccola.
Ecco una tappa per me piacevolmente fondamentale: il bar dalla Dea in
piazzale Zendrini, dove è vietato entrare "a dorso nudo", come impone
severo un cartello esposto all'interno tra le due porte. Qui trovate pizze,
tabacchi,
lotto,
ombre,
videopoker, ghiaccioli. Gestisce,
ma dovrei dire regna, la Dea:
poche parole, faccia simpatica,
materno sovrappeso.
Dopo un chilometro la strada
lungolaguna termina contro una
casa rossa con due alti camini
bianchi. Passiamo all'interno,
nella stretta calle, e proseguiamo
fin
quando
la
riva
è
definitivamente
chiusa
dal
cantiere navale De Poli, attivo già
alla fine dell'800 e annunciato da
alte gru rosse. Un tempo
spuntavano anche poppe e prue
delle navi in costruzione, poi la
crisi economica, varie vicissitudini
e una fine ingloriosa. Oggi è
dell'Actv che qui effettua le grandi
manutenzioni
delle
proprie
imbarcazioni.
Dopo lupesca a Pellestrina
Prendiamo lo stretto passaggio
pedonale che porta alla Strada
Comunale. Di qui in avanti l'accesso alla laguna è impedito da capannoni,
orti, case private recintate e vegetazione. Per San Pietro in Volta possiamo
proseguire lungo la strada, poco sicura per i pedoni e di nessun interesse,
oppure sul murazzo o la spiaggia. Sono quattro chilometri, in alternativa si
può prendere l'autobus.
A volte dopo pranzo la Dea
séra (chiude), ma se vi
avvicinate alla porta può essere
che, vedendovi, apra e rimetta
in moto il locale. Un bollente
pomeriggio estivo mi è venuta
incontro scusandosi per la porta
chiusa con un "pasiènsa fio,
stequà e xè e ore stràche"
(porta pazienza ragazzo, queste
sono le ore stanche). Quando fa
caldo il suo tendone fornisce
Bar dalla Dea - La Dea
una delle rare ombre possibili,
questa non alcolica. Sulla
laguna non tira vento, l'afa è spesso aggressiva, silenzio e calore
prepotente avvolgono tutto, la digestione sfianca. Passateci la vostra
controra, abbandonati alla fiacca sonnolenza e succhiate lentamente un
ghiacciolo, immersi in quello che sarà più di un riposo, ma uno stato dello
spirito, una propensione dell'anima o, per i poveri in spirito, solo una
tranquilla digestione.
Proseguiamo lungo la comunale, ora stretta che passa solo un'auto,
ora larga come un piazzale. Lunghe calli numerate vi sfociano
perpendicolari: la 51 detta anche della Parrocchia, più avanti la 48 detta
Chiacchierina, e altre di seguito lungo tutto il paese.
Sono le carrizzade e sembrano andare tutte verso il mare. Invece, girato
un angolo, molte terminano in piccole corti ingombre di cesti delle mollette,
malandati stendibiancheria, file di scarpe ai lati delle porte, griglie per la
polenta, biciclette arrugginite e motorini. Se cercate il mare imboccate solo
quelle in fondo alle quali vede il murazzo, ma non trascurate le altre, se
volete scoprire l'anima pellestrinota.
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Un incrocio con copertone e scritta "gommista" e la punta di Santo
Stefano, la parrocchiale di Portosecco, sono il segnale per tornare verso la
laguna. Si passa a fianco dei ruderi di Forte "Santo Stefano", costruito dagli
austriaci tra il 1859 e il 1864. All'inizio del '900 l'Esercito Italiano vi installò
la Batteria Daniele Manin. Oggi ha bottega il gommista.
Portosecco, cento abitanti o poco più, è un sobborgo di San Pietro in
Volta. L'origine del nome è interessante. L'attuale isola di Pellestrina è
l'unione di Albiola, l'attuale San Pietro in Volta, a nord e Pellestrina a sud.
In mezzo c'era il porto naturale di Albiola che corrispondeva alla foce di un
antico ramo del Brenta. I detriti portati dal fiume causarono l'interramento
del porto, portosecco appunto, e unirono le due isole.
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Pellestrina
Pellestrina
una normale abitazione, invece è una torre telemetrica. Tutto il litorale
veneziano è costellato, oltre che di fortificazioni, anche di queste torri, dette
comunemente "semafori". Sono costruzioni a più piani, a pianta circolare
o, come questa, quadrata, e furono realizzate nei pressi delle postazioni di
artiglieria, ma discoste da queste per evitarne la facile individuazione.
Costruite all'inizio del '900, facevano parte del dispositivo di difesa dagli
attacchi dal mare. Sulla sommità era collocato il telemetro che misurava
rapidamente la distanza degli obiettivi da colpire.
La chiesa di Santo Stefano,
nascosta dietro le case, ha la
facciata che sul lato sinistro si è
arresa ad una spavalda casetta
verde pallido. A metà agosto
anche qui c'è l'immancabile sagra
con processione e gastronomia.
La riva prosegue ampia fino
ad un basso edificio. Percorriamo
lo stretto passaggio pedonale
davanti al ristorante da Memo
uno dei locali storici dell'isola, e
alla
Polisportiva
Portosecco,
specializzata in voga veneta,
kayak e bocce. Una curva secca
a sinistra ci riporta sulla laguna
per entrare subito dopo in San
Pietro in Volta.
Santo Stefano a Portosecco
La tradizione dice che qui, verso la fine del primo millennio, furono
sconfitti gli Ungari mentre tentavano l'assalto a Venezia. La località prese il
nome "in volta", cioè "in fuga", per ricordarne la precipitosa ritirata. Altra
versione attribuirebbe il nome alla curvatura della costa in quel punto.
Passiamo davanti al bar da Anna, ad una bella casa con piccolo porticato,
per arrivare in pochi passi alla trattoria dal Nane, o Nane Cantòn (angolo)
vista la posizione.
In fondo alla piazzetta l'ultima delle bianchissime chiese dell'isola, la
neoclassica San Pietro in Volta; la vittoria sugli Ungari fu proprio nel giorno
di San Pietro. Il coro è in legno di mogano proveniente dalla demolizione di
una vecchia nave veneziana che, ancora nel 1943, era abbandonata in uno
squero del paese.
Dopo la chiesa il passaggio si restringe, abbandona la laguna e, per
Via Cantieri, arriva in Corte Cajari. Proseguiamo nella direzione della torre
dell'acqua in mattoni all'orizzonte e poi ancora diritto fino ad una casa
rossa con decorazioni bianche vagamente moresche che ci costringe a
uno stretto passaggio sulla destra.
Proseguiamo lungo la laguna fino a lasciarci alle spalle l'ultima casa del
borgo mentre la strada abbandona la riva e punta verso l'interno in
Carrizzada Belvedere.
Possiamo scegliere se continuare lungo la laguna oppure prendere la
Belvedere per arrivare, passato il murazzo, sulla spiaggia.
Il passaggio lungo la laguna diventa uno stretto sentiero invaso dalla
vegetazione, ma non troverete particolari difficoltà. È un angolo tranquillo di
laguna dove sono facili gli avvistamenti di uccelli nel loro habitat. In
distanza spunta un edificio rosso mattone sfiorato dal sentiero. Sembra
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Il sentiero finisce sulla strada comunale che, sospesa tra la laguna a
sinistra e i (aghetti di Santa Maria del Mare a destra, arriva all'attracco del
vaporetto.
Poco prima del piazzale sulla sinistra c'è un curioso pontile coperto in
legno. È l'approdo dell'idroambulanza: l'ammalato viene accompagnato
con l'autoambulanza fino a qui e poi fatto salire sull'ambulanza d'acqua
proveniente da Venezia. Per arrivare da Venezia ci vuole mezz'ora,
altrettanto per arrivare l'ospedale. Se le condizioni climatiche sono
avverse, la situazione può farsi seria. È uno dei problemi con i quali deve
fare i conti chi vive sull'isola.
Sul piazzale del vaporetto arrivano gli autobus di Pellestrina e qui
partono i traghetti per il Lido. Se arrivate in autobus e non desiderate
passare al Lido scendete per tempo: a volte l'autobus fa capolinea e i
passeggeri prendono il battello a piedi, altre volte prosegue direttamente
sul traghetto e potreste restare "prigionieri".
Tornando in Carrizzada Belvedere possiamo prendere il percorso
alternativo che, oltrepassato il murazzo con la comoda scalinata di fronte,
ci porta in spiaggia dove proseguire fino alla diga, che è tutta percorribile.
Sono ben visibili le strutture del MOSE della bocca di porto di Malamocco.
Di ritorno dalla diga è necessario tornare alla strada comunale. È poco
agevole proseguire lungo il Canale di Malamocco e aggirare la punta e
sarebbe necessario attraversare proprietà private.
Incuneati tra la diga e la strada comunale che arriva all'attracco del
vaporetto ci sono gli edifici del Forte di San Pietro. La Serenissima costruì
il forte nel XVII per proteggere il lato sud della bocca di porto di
Malamocco. L'esercito austriaco adeguò il forte costruendo nuove
postazioni. L'armamento era di dieci cannoni da costa da 321 mm che
erano ancora in servizio nelle prime fasi della grande guerra. Oggi resta
poco e il forte non è visitabile, ma è possibile vederne la facciata principale
entrando nell'area della Casa dell'Ospitalità Santa Maria del Mare, la casa
di riposo per anziani di fronte l'attracco del vaporetto, che attualmente
occupa alcuni edifici del Forte.
L'itinerario termina qui. Possiamo proseguire per il Lido prendendo il
ferry oppure tornare a Pellestrina con gli autobus che partono ogni 20-30
minuti.
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Le isole minori
Pellestrina
Prima di chiudere ancora un pensiero, questa volta triste, per questa
splendida terra sul cui cielo da tempo incombono nuvole scure percepite
anche da chi viene raramente: basta scambiare due parole con gli abitanti.
Da ottobre a marzo l'isola vive nella solitudine, chiudono bar e trattorie
e i turisti evaporano. Non è semplice attrarre chi ama botteghe, spiagge
bianche e locali con colonna sonora offrendo "solo" borghi di pescatori,
negozietti di paese e spiagge non proprio caraibiche. Pare che questi
dodici chilometri di spiaggia siano gli unici non utilizzati turisticamente tra
Trieste a Ravenna.
L'azienda dei trasporti ha pubblicato una curiosa statistica: in un'intera
estate sono stati venduti solo 1 Smila biglietti di vaporetto a non residenti.
Troppo pochi per richiamare investimenti.
L'orticoltura è stata abbandonata negli anni 70, la crisi ha fatto sparire il
lavoro cantieristico e la pesca regolare. Quella irregolare delle vongole
petrolchimiche pare invece sia ancora dura a morire.
Ma forse qualche cosa si muove all'orizzonte. Si sta pianificando
l'assegnazione di una serie di concessioni in spiaggia: sugli otto chilometri
di arenile, sei dovrebbero essere ripuliti e rimanere liberi, i restanti due
verrebbero gestiti da privati con piccoli chioschi, servizio di ristoro e affitto
di sdraio e ombrelloni. Ci sono poi i progetti di un camping, di un
agriturismo, di un centro di allevamento di "caparozzo//" doc e l'idea di
riconvertire le barche da pesca in battelli per escursioni turistiche. Tante
idee, ma al momento ancora pochi risultati; speriamo per il futuro.
Le isole minori della laguna
Venezia è appoggiata su 118 isole e altre quaranta sono sparse sui 550
chilometri quadrati della laguna. Di queste alcune diventarono città, altre
restarono canneto, altre ancora che furono città ridivennero canneto,
collassate dal tempo e dall'incuria. Arcipelaghi militari, religiosi e
ospedalieri allora affollati, adesso abitati dal vento in attesa che sabbia,
correnti e bassi fondali si mangino tutto al primo segno di abbandono. Isole
ripulite per diventate grandi alberghi, lucidate per essere godute da pochi,
qualcuna tornata terra di nessuno, vittima di conti che non tornano. Alcune
custodiscono ancora piccole comunità che vivono tra i disagi
dell'isolamento e il piacere di una vita dai ritmi antichi.
La laguna è vasta, scontrosa e scostante, si fa desiderare e non è
sempre facile visitarla, a volte stupisce, a volte sconforta, ma ogni suo
angolo affascina e offre una buona ragione per essere visitato. Isole poco
conosciute, qualcuna vicina, altre vicinissime eppure lontane perché fuori
dalle rotte comuni, ma tutte raggiungibili con i mezzi pubblici: Sant'Erasmo,
la Certosa, Le Vignole, il Lazzaretto Nuovo e Mazzorbo nella laguna nord e
San Servolo e San Lazzaro degli Armeni a sud.
Quando si sbarca su queste isole sembra di aver conquistato un
piccolo mondo, un dono pregiato solo per intenditori, dove tutto pare
migliore perché protetto dal dominio del tempo o perché indifferente alle
invasioni del nuovo e del tanto. I borghi sono rimasti quasi come un tempo,
le abitudini antiche e pacate, il silenzio si ascolta e si gode.
Si viaggia lenti su vaporetti semivuoti, sfiorando ruderi abbandonati su
isolotti minimi e barene che affiorano appena, verso destinazioni che
hanno la fortuna di essere vicine a Venezia e la sfortuna di esserle troppo
vicine. Fossero altrove avrebbero altra dignità, invece hanno dedicate
poche righe stanche in fondo alle guide.
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