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MARCO PEDRON Venezia non è unica Percorsi fuori dagli itinerari Pellestrina Pellestrina Ministero dell'Interno ha ufficializzato nel 2010 i "detti", cioè i soprannomi popolarmente utilizzati per distinguere i rami di una stessa famiglia. Finalmente le formazioni delle locali squadre di calcio saranno credibili: l'Us Pellestrina è arrivata ad avere quindici Vianello su diciotto giocatori. La fermata del vaporetto per Pellestrina è in fondo a Corso del Popolo, in Rivetta Vigo. Le corse non sono frequenti, quindi è meglio consultare prima gli orar! sul sito dell'ACTV. Durante la stagione estiva c'è sempre ressa e, se andate in bici, ricordate che a bordo ne accettano un numero limitato, a discrezione del comandante, ma che, comunque, sarebbe difficile imbarcarne più di una decina. Chi arriva per tempo parte, gli altri devono rassegnarsi ad attese anche di un'ora. Per questa ragione preferisco andare a piedi. Se non volete rinunciare alla bici potete noleggiarla a pochi metri dalla fermata Pellestrina, presso il distributore Agip "nautico e stradale" (il biglietto da visita è molto preciso in questo senso). Una decina di bici a dieci euro a giornata, quindici per due giorni. Per prenotare telefonate allo 041-967591. Prima di partire informatevi se il vaporetto ferma a Cà Roman (Caroman tutto attaccato sugli orari dei battelli ACTV): alcuni proseguono direttamente per Pellestrina e non dovete assolutamente perdere la prima fermata e l'oasi naturalistica che occupa la parte sud dell'isola. A Cà Roman non si può scendere con la bici, non ne ho mai capito la ragione ma cosi è. Questa è il secondo buon motivo per andare a piedi. Se avete problemi con il vaporetto nella stagione estiva c'è l'alternativa del bragozzo Ulisse, un barcone con trasporto bici che, per 15 euro a testa, porta a Caroman e Pellestrina e viceversa. Per prenotazioni: 347-8652845. L'imbarco è a fianco del pontile del vaporetto. La traversata dura pochi minuti ed è spesso movimentata e diversa dai tragitti delle altre linee veneziane dove, acqua a parte, tutto è molto simile a quel che accade su qualsiasi mezzo pubblico di qualsiasi città. La linea 11 collega due mondi, vicini e lontanissimi, dei quali uno ha il bisogno di essere costantemente approvvigionato dall'altro delle mille cose necessarie alla quotidianità. Qui si imbarca di tutto, ci si stringe tra cassette di insalata, bici, parabole satellitari, tubi, motorini, scatole e sporte. In stagione ci si mischia a turisti d'altri tempi stracarichi di ombrelloni, frigobibite, teli da bagno, ciabattanti in infradito nella calca che, ondeggiando, stritola le estremità. Lasciata Chioggia, sfila poco dopo sulla destra la diga di Ca' Roman e ciò che resta dell'antico Forte Caroman, una struttura difensiva iniziata dalla Serenissima nel 1700, poi rafforzata e progressivamente armata prima dai francesi e quindi dall'esercito asburgico. Il forte era di forma irregolare e circondato da un fossato allagato largo tra i 7 e i 15 metri e profondo 2. Nel 1912 fu installata la batteria Barbarigo con quattro cannoni da 152mm e 12 chilometri di portata. 122 Pellestrina 123 Pellestrina Pellestrina La bocca di porto di Chioggia fu per secoli un ingresso agevole alla laguna, poi i fondali iniziarono ad interrarsi, principalmente per la grande quantità di sedimenti portati dal Brenta che un tempo vi sfociava. Nel 1896 la foce fu spostata a sud di Chioggia e successivamente furono costruite le dighe foranee che, strozzando l'ingresso, aumentarono la velocità delle correnti e quindi l'azione di pulitura del fondo che rese le acque nuovamente navigabile anche dalle grandi imbarcazioni. Nella bocca di porto sono in costruzione le barriere del MOSE che dovrebbero essere terminate nel 2014. ripulendola dalle erbe infestanti e aumentando la ricchezza floristica con varie specie arboree e arbusti. Il bosco fu risanato e divenne capace di perpetuarsi naturalmente e resistere agli attacchi più diffusi: funghi, insetti, vento e salsedine. Il collegamento all'acquedotto di Pellestrina e l'installazione di idranti consente di fronteggiare eventuali incendi. Lontano sulla sinistra si intravede uno degli ottagoni, i bastioni di difesa dai quali venivano colpite le navi in entrata e che erano riparati dagli attacchi grazie ai circostanti fondali profondi pochi centimetri. L'Ottagono di Cà Roman fu utilizzato fino alla seconda guerra mondiale. Oggi è abbandonato e quasi sommerso dalla vegetazione. La grande macchia verde dell'Oasi di Cà Roman occupa la parte sud dell'isola. Durante la navigazione sono visibili tra la vegetazione gli edifici del Villaggio Marino Oraziani. Oraziani, ufficiale sanitario e primario dell'Istituto Rachitici di Padova, acquistò nel 1923 questi terreni e vi costruì prima alcune baracche, poi edifici in muratura, che si svilupparono fino a contenere 370 posti letto. Nel 1941 cedette tutto alle Canossiane che rimasero fino al 1990. Gli edifici del villaggio ospitarono famiglie, bambini rachitici, religiosi in cerca di quiete e spiritualità, figli di dipendenti di grandi aziende come le Acciaierie di Bolzano, che qui organizzarono una colonia estiva attiva fino agli anni 70. Su internet c'è un blog a cui i bambini ex coloni affidano le proprie memorie e cercano i vecchi compagni: "era come fare il militare, alzabandiera, divisa, prendisole di cotone grosso, tutto rigorosamente blu scuro e con il marchio Falci?. Scendiamo a Caroman. L'ingresso dell'Oasi della LIPU è sulla destra, pochi metri dopo un chiosco bar su palafitta che in estate vende svogliatamente bibite e gelati. Oltre la barriera anti moto-bici il sentiero si inoltra nel bosco, sfiorando a destra il Villaggio Marino. Il sentiero d'accesso ne incrocia altri perpendicolari che conducono alla spiaggia. In pochi passi si comprende quanto quest'area sia preziosa. Aiutata dall'isolamento e dalla cura con cui è tenuta, è diventata uno degli ambienti dunali più integri di tutto l'Adriatico. Anche se le dimensioni sono ridotte, poco più di 50 ettari, è situata su una delle più importanti rotte migratone d'Italia e quasi duecento specie di uccelli la utilizzano in autunno e primavera per riposarsi e nutrirsi prima di riprendere il viaggio. Si cammina verso la spiaggia attraversando prima il bosco, poi le dune. Dagli anni '30 il Corpo Forestale attuò interventi creando una prima fascia di tamerici piantate nella fascia tra la spiaggia e la duna. Più all'interno furono piantati pini neri e più all'interno ancora pini marittimi e pini domestici. Dopo gli anni '50 ci fu un periodo di abbandono. Dalla metà degli anni '80 la pineta artificiale fu migliorata, diradando le piante, 124 Oasi di Co Roman (1) - Villaggio Marino (2) - Ex Istituto Canossiane (3) - Forte Barbarigo (4) - Bunker (5) -Areepicnic © Oasi LIPUCà Roman 125 Pellestrina Pellestrina Fuori dal bosco i sentieri tagliano le dune, tra le più integre dell'Adriatico. L'abbondante vegetazione, ricca di specie, negli anni le ha ricoperte, consolidate e rese stabili all'azione del vento, facendole diventare elemento determinante per l'equilibrio della spiaggia e barriera contro le onde durante le grandi mareggiate. La spiaggia, lunga due chilometri e profonda cento metri, da l'impressione di essere poco curata, in realtà viene accuratamente pulita a mano da tutto ciò che porta il mare per mantenere intatto un habitat prezioso e ospitale per molti piccoli animali. Sul posto vengono lasciati solo i materiali organici e, in alcune stagioni, parte dell'area viene recintata per proteggere i nidi. È un luogo che vi fa sentire naufraghi privilegiati: nessuna barca, nessun bipede all'orizzonte, tronchi spiaggiati, tante conchiglie, solo il rumore della risacca, gabbiani e, in estate, bagnanti d'altri tempi. Percorriamo la spiaggia verso nord fino al murazzo. Per secoli la Serenissima cercò di contenere l'azione del mare con argini di terra e palizzate. Poi si decise la costruzione dei murazzi che furono realizzati tra il 1744 e il 1781. L'opera fu terminata solo quindici anni prima della caduta della Repubblica e costò circa 20 milioni di lire venete. Una lapide lungo il muro, posta il 26 marzo 1914 e visibile dal lungo laguna e dal vaporetto, ricorda con petulante precisione a grandi caratteri "Ausu romano, aere Veneto", "Volontà romana, denaro veneziano". Murazzo di Cà Roman Se le vertigini non sono un vostro problema, percorrete il camminamento superiore. Da lì sopra si vede tutto l'arco che il murazzo disegna per chilometri. Siamo nel punto più stretto dell'isola, larga qui quanto il grande muro. Il campanile di Pellestrina è all'orizzonte, ad un paio di chilometri. 126 La striscia di pietra è larga un metro, tre metri da terra sul lato mare, circa quattro sulla laguna. Alcuni la percorrono facendo jogging, tanti rinunciano perché la sensazione di vertigine si sente: il vuoto da entrambi i lati da un senso di smarrimento. In alternativa si può scegliere uno dei percorsi alla base che volendo è possibile alternare utilizzando le scalette che ogni tanto permettono lo scavalcamento. Ma camminare qui in cima è imperdibile: spazio, vento e la prospettiva dell'isola che si allunga per chilometri. In un'ora si arriva a Pellestrina. Passato il cimitero attraversiamo Piazzale Caduti del Giudecca, a ricordo dell'affondamento della motonave "Giudecca", partita da Chioggia in un giorno di mercato e attaccata con tre bombe da tre caccia anglo-americani il 13 ottobre del 1944. La nave fu colpita all'altezza del cimitero e affondò davanti alla chiesa. A bordo c'era un numero imprecisato di passeggeri, sicuramente oltre duecento. imprecisato anche il numero dei morti, pare oltre settanta. Sul piazzale fanno capolinea autobus e vaporetti e c'è il distributore di carburanti dove affittare le bici. Entriamo in paese passando a fianco della chiesa. Sulla piazzetta, nella casa rossa d'angolo, l'osteria bar Da Niki è un buon punto per una sosta. Se avete preso il traghetto di metà mattina i tempi dovrebbero essere perfetti per un aperitivo. Ordinate un prosecco, qualche cichèto e fate diventare i tavolini una platea e la piazzetta il palcoscenico di un teatro dove va in scena la locale vita quotidiana. Donne che si danno la voce da una finestra all'altra, una testa bigodinata emerge dalla porta della parrucchiera, biciclette cariche di sporte e figli, cani che si annusano e un gatto interessato alla vostra polpetta. E poi i véci, gli anziani. In laguna solo la malattia può estrometterli dalla vita di cortile. Stazionano dentro, fuori, nelle vicinanze, seduti, in piedi, in ogni stagione, a parlare di tutto e niente, a farsi compagnia, a sconfiggere quella solitudine che uccide i vecchi di città. L'osteria è il luogo senza età, véci e Ciàcole tósi tutti insieme a parlare delle stesse cose col bicchiere in mano, in gruppetti che si sfaldano per ricomporsi più in là, alla ricerca di parole o patatine, di ombra o sole. In stagione di matrimoni c'è il viavai degli invitati e l'arrivo degli sposi. La cerimonia è pedonale, oppure col batèo che sostituisce la solita berlina scura, ma più complicato da avvolgere nella carta igienica. Le donne 127 Pel lastrina Pellestrina arrancano su tacchi improbabili avvolte in fodere lucide che abbattono i costi delle sete, gli uomini si strangolano con camicie e cravatte a metà stomaco e sfoggiano facce cotte da abbronzature marinare. Capita anche la cerimonia internazionale: qualcuno che è tornato da chissà dove e altri alla ricerca della location pittoresca. A Venezia e laguna sono inciampato negli anni in una incredibile varietà di cerimonie: kilt e cornamuse, poliziotti britannici in divisa, americani con muta di damigelle vestite uguali uguali, francesi chic e anche no. Sposarsi qui va di moda e le casse di comuni e parrocchie ringraziano. Finita la cerimonia sarete probabilmente coinvolti dagli invitati maschi che, in attesa delle foto e allentate le cravatte, attraccheranno al bancone del bar per un po' di "riscaldamento preparatorio" prima del pranzo. Usciti gli sposi, visitate la chiesa di Ognissanti. C'è un curioso altare, il secondo sulla sinistra, che è un incredibile accumulo di reliquie ed ex voto. È l'altare di tutti i santi: di qualcuno una falange, di qualcun altro un pezzo di tibia, non si fa torto a nessuno. Prima di proseguire controllate l'ora con la meridiana sul selciato. Basta seguire le istruzioni e posizionarsi. La vostra ombra darà l'ora, il segnale orario potete farlo con la bocca. Dalla piazzetta partono i vicoli che si infilano tra casette piccole, due piani al massimo, ed è un continuo susseguirsi di vólti, calli, campielli e osterie. A volte davanti a qualche porta sono in mostra balòn e fuselli, il tombolo e capofilo per il // Gazzettino merletto, appoggiati sullo scagno, lo sgabello. Sul balòn, un cuscino pieno di paglia fine, ci sono il ricamo in lavorazione e il disegno da riprodurre. I fuselli sono i bastoncini di legno che portano i fili e che, fatti girare vorticosamente, producono l'inconfondibile picchiettamento ritmico che capita di sentire nelle calli. Più grande è il lavoro più fuselli vengono utilizzati. La moda del merletto risale al tardo '500 e fu in quell'epoca che la produzione si stabilì nelle isole: l'ago a Burano, il fìlet a Chioggia e i fuselli a Pellestrina. Le "mistre" (imprenditrici) procuravano le ordinazioni anticipando a volte "magnanimamente" i denari. Pare ottenessero migliore qualità, produzione maggiore e costi bassi sfruttando la povertà delle 128 lavoratrici e l'isolamento che le teneva all'oscuro dei prezzi di mercato. Nel giugno 2007 le donne dell'isola hanno stabilito il primato del merletto più lungo: oltre 450 metri e centinaia di pezzi uniti che hanno appeso lungo i lampioni della laguna. Potete scegliere se percorrere la strada interna che sfila davanti alle abitazioni, spesso con la porta aperta, intercalate a botteghe e bar, oppure camminare lungo la laguna dove sono allineate le barche da pesca. Negli ultimi anni l'attività è entrata in pesante crisi, ma molti ancora vanno a pesca per lavoro o per piacere gastronomico. Qui e là, nelle calli e nei campi e nelle aiuole, sono numerosi i barbecue più o meno di fortuna, fatti con griglie autocostruite e cestelli di lavatrice modificati. Ogni famiglia ha il suo barbecue, i più fortunati in giardino, gli altri lungo la strada. Pochissime le macchine, qualche motorino, tante biciclette e tantissime biciclette elettriche, talmente tante che pare le abbiano vendute tutte qui, tra Chioggia e Pellestrina. Ancora dieci minuti e appare il tendone di Celeste, ovviamente blu, una delle migliori trattorie e una delle più belle terrazze della laguna. Quante volte ho mangiato qui, spesso sono venuto a Pellestrina solo per la voglia di pranzarci. Lasciate fare a loro, i prezzi sono ovviamente venessiani, ma questo è uno dei pochi posti dove potete dire "faccia lei" senza lasciarci lo scalpo. Verso Celeste Dopo tante visite mi sono stati riconosciuti gli onori della divisa ufficiale: la camicia bianca dei camerieri con logo ricamato sulla schiena, la splendida lisca di pesce stilizzata dell'insegna del locale. In tavola salta all'occhio il Bacchettino dei Busso/ai, ciantelline di pane biscottato che vengono serviti al posto del pane in tutti i ristoranti dell'isola. Sono prodotti da pochi forni, tra questi Vianello e Bisutto di San Pietro in Volta e Ballarin "Malta" a Portosecco. Forma, fragranza e leggerezza li rendono particolarmente piacevoli e poi non si resiste a portar via il sacchetto con quelli avanzati. Quando oggi si parla di bussola! ci si riferisce quasi sempre a "golosessf (piccole golosità dolci), della tradizione veneziana e veneta. Con lo stesso impasto si fanno le anche le "esse" e i bastoncini, ma il vero bussola è fatto a ciambellina. Ma non è sempre stato così. I bussola! hanno origine da un pane con lo stesso nome, di antichissima tradizione. Aveva la stessa consistenza del 129 Pellestrina Pellestrina pane biscotto, cioè cotto quanto basta per renderlo croccante anche all'interno, e i marinai veneziani lo portavano nei lunghi viaggi che duravano mesi. Il pan biscotto era prodotto da molti forni gestiti direttamente dalla Serenissima. Gli ingredienti sono farina di frumento, olio extravergine d'oliva, strutto, malto, lievito e sale; l'impasto viene "tirato" in strisce e modellato in forma di cerchio o di ovale. Si trovano anche a Venezia, Mestre, Chioggia e in qualche supermercato, ma sono semindustriali. Solo qui trovate quelli totalmente artigianali, un simpatico souvenir da portare a casa, e se ne producono ogni giorno qualche centinaio di sacchetti da 200 grammi. Concluso il pasto, due passi sono vivamente consigliabili. In caso di calura estiva fate attenzione al cocktail micidiale di sole a picco, prosecco e digestione in corso. Celeste Per un salto in spiaggia sono solo cento metri e nell'attraversare la Comunale dei Murazzi non fatevi trarre in inganno dallo scarso traffico: le auto sono poche, ma per nulla rassegnate alle basse velocità. Il rischio di investimento è concreto e ci sono stati, da non crederci, anche incidenti mortali. Chi vuole dedicarsi all'abbronzatura sappia che ha a disposizione una delle spiagge più abbronzanti a queste latitudini. Così almeno sostengono i depliant degli alberghi di Sottomarina. La sabbia è ricca di minerali come augite, quarzo, silicati e mica, che, uniti ad una ventilazione regolare, pare favoriscano abbronzature rapide e durature. Dopo varie esperienze mi sentirei quasi di dar loro ragione. La spiaggia è lunga, stretta e sempre ricca dei residui delle mareggiate: parabordi, frigoriferi, palloni, sandali, sedie. Ma non mi è mai riuscito di vederla sporca; in fin dei conti non sono rifiuti ma solo relitti che il mare ha diligentemente pulito prima di restituire al mittente. Perpendicolari alla spiaggia si allungano i preziosi "penne///", moli ortogonali alla riva che limitano l'erosione del mare e offrono comodi spazi per distendersi. Basta trovare una pietra orizzontale e possibilmente liscia. Proseguiamo lungo la laguna verso Sestiere Vianelli. Pochi minuti per arrivare in vista della facciata abbagliante della Chiesa della Madonna dell'Apparizione, restaurata di recente. 130 "Vien qua fio - va dal piovan e dighe che faccia celebrar delle messe per le anime del purgatorio, se volerne aver vittoria - e tei digo a ti perché ti xe degno." (Vieni qua figliolo va dal parroco e digli di celebrare messe per le anime del purgatorio, se vogliamo avere vittoria - e lo dico a te perché sei degno). Sarebbero queste le parole che martedì 4 agosto 1716, verso le sei del mattino, un ragazzo di Pennello 14 nome Natalino Scarpa Di Giovanni detto il Muto, quattordici anni e mezzo di età, si sentì rivolgere, mentre si recava alla chiesa parrocchiale di Ognissanti, da un'anziana sconosciuta che vestiva un abito azzurro con stelle rosse, il capo coperto da un velo bianco, lo sguardo preoccupato. Era la predizione della vittoria dei veneziani nella battaglia di Petervaradino in Serbia, che si svolse il giorno dopo e che si rivelò decisiva nella guerra che la Serenissima stava combattendo e perdendo contro i Turchi. Ogni anno tra fine luglio e inizio agosto sul piazzale c'è la Festa dell'Apparizione. Nel programma: processione, musica, danze, lotteria, regata su mascarete e, l'ultimo giorno a mezzanotte, lo spettacolo pirotecnico. Passiamo davanti alla Coop, il più fornito supermercato dell'isola, poi la strada della laguna si stringe bruscamente per allargarsi subito nello spiazzo dominato dalla torre in mattoni dell'acquedotto e stringersi nuovamente. Lungo la riva si alternano edifici di forma cubica e altri ingentiliti dalla struttura della casa veneta, con un corpo centrale più elevato e tetto a doppia falda. Negli ultimi anni sono stati eseguiti molti restauri ed è raro oggi vedere edifici in cattive condizioni. Contemporaneamente si è sviluppato un mercato immobiliare prima inesistente, che ha reso costose semplici case di pescatori un tempo molto abbordabili. Quando inizia un vecchio muro in mattoni siamo arrivati alla Remiera Pellestrina. Un grande cortile, un edificio bianco sul fondo, i rimessaggi delle barche sul lato sinistro e di fronte, oltre la strada, lo scivolo per far scendere le imbarcazioni in acqua. Tra i soci ci sono due veri "monumenti": i campionissimi della Regata Storica Palmiro Fongher con dodici vittorie e Sergio Tagliapietra, detto "Ciac?', quattordici. 131 Pellestrina Pellestrina II muro di mattoni prosegue, interrotto da due case bianche messicaneggianti. Quella con la croce in cima e il vecchio cancello a listoni di legno verde è una bella cappella votiva. Superiamo l'ennesima strettoia, ma volendo si può aggirare l'edificio rosa che, curiosamente isolato, galleggia in mezzo al piazzale, esempio di creatività urbanistica. Arriviamo alla chiesa neoclassica di Sant'Antonio, anche questa bianchissima e con un campanile in mattoni sottile sottile. A metà giugno c'è la Festa patronale con stand gastronomici, gara di briscola, torneo di calcio—giovani-promesse, spettacoli teatrali, saggi di danza del ventre e karaté. Se interessati, trovate date e programma sul sito ufficiale: www.sagrasantantonio.it. Superata la casa-isola, poco oltre ne trovate una seconda più piccola. Ecco una tappa per me piacevolmente fondamentale: il bar dalla Dea in piazzale Zendrini, dove è vietato entrare "a dorso nudo", come impone severo un cartello esposto all'interno tra le due porte. Qui trovate pizze, tabacchi, lotto, ombre, videopoker, ghiaccioli. Gestisce, ma dovrei dire regna, la Dea: poche parole, faccia simpatica, materno sovrappeso. Dopo un chilometro la strada lungolaguna termina contro una casa rossa con due alti camini bianchi. Passiamo all'interno, nella stretta calle, e proseguiamo fin quando la riva è definitivamente chiusa dal cantiere navale De Poli, attivo già alla fine dell'800 e annunciato da alte gru rosse. Un tempo spuntavano anche poppe e prue delle navi in costruzione, poi la crisi economica, varie vicissitudini e una fine ingloriosa. Oggi è dell'Actv che qui effettua le grandi manutenzioni delle proprie imbarcazioni. Dopo lupesca a Pellestrina Prendiamo lo stretto passaggio pedonale che porta alla Strada Comunale. Di qui in avanti l'accesso alla laguna è impedito da capannoni, orti, case private recintate e vegetazione. Per San Pietro in Volta possiamo proseguire lungo la strada, poco sicura per i pedoni e di nessun interesse, oppure sul murazzo o la spiaggia. Sono quattro chilometri, in alternativa si può prendere l'autobus. A volte dopo pranzo la Dea séra (chiude), ma se vi avvicinate alla porta può essere che, vedendovi, apra e rimetta in moto il locale. Un bollente pomeriggio estivo mi è venuta incontro scusandosi per la porta chiusa con un "pasiènsa fio, stequà e xè e ore stràche" (porta pazienza ragazzo, queste sono le ore stanche). Quando fa caldo il suo tendone fornisce Bar dalla Dea - La Dea una delle rare ombre possibili, questa non alcolica. Sulla laguna non tira vento, l'afa è spesso aggressiva, silenzio e calore prepotente avvolgono tutto, la digestione sfianca. Passateci la vostra controra, abbandonati alla fiacca sonnolenza e succhiate lentamente un ghiacciolo, immersi in quello che sarà più di un riposo, ma uno stato dello spirito, una propensione dell'anima o, per i poveri in spirito, solo una tranquilla digestione. Proseguiamo lungo la comunale, ora stretta che passa solo un'auto, ora larga come un piazzale. Lunghe calli numerate vi sfociano perpendicolari: la 51 detta anche della Parrocchia, più avanti la 48 detta Chiacchierina, e altre di seguito lungo tutto il paese. Sono le carrizzade e sembrano andare tutte verso il mare. Invece, girato un angolo, molte terminano in piccole corti ingombre di cesti delle mollette, malandati stendibiancheria, file di scarpe ai lati delle porte, griglie per la polenta, biciclette arrugginite e motorini. Se cercate il mare imboccate solo quelle in fondo alle quali vede il murazzo, ma non trascurate le altre, se volete scoprire l'anima pellestrinota. 132 Un incrocio con copertone e scritta "gommista" e la punta di Santo Stefano, la parrocchiale di Portosecco, sono il segnale per tornare verso la laguna. Si passa a fianco dei ruderi di Forte "Santo Stefano", costruito dagli austriaci tra il 1859 e il 1864. All'inizio del '900 l'Esercito Italiano vi installò la Batteria Daniele Manin. Oggi ha bottega il gommista. Portosecco, cento abitanti o poco più, è un sobborgo di San Pietro in Volta. L'origine del nome è interessante. L'attuale isola di Pellestrina è l'unione di Albiola, l'attuale San Pietro in Volta, a nord e Pellestrina a sud. In mezzo c'era il porto naturale di Albiola che corrispondeva alla foce di un antico ramo del Brenta. I detriti portati dal fiume causarono l'interramento del porto, portosecco appunto, e unirono le due isole. 133 Pellestrina Pellestrina una normale abitazione, invece è una torre telemetrica. Tutto il litorale veneziano è costellato, oltre che di fortificazioni, anche di queste torri, dette comunemente "semafori". Sono costruzioni a più piani, a pianta circolare o, come questa, quadrata, e furono realizzate nei pressi delle postazioni di artiglieria, ma discoste da queste per evitarne la facile individuazione. Costruite all'inizio del '900, facevano parte del dispositivo di difesa dagli attacchi dal mare. Sulla sommità era collocato il telemetro che misurava rapidamente la distanza degli obiettivi da colpire. La chiesa di Santo Stefano, nascosta dietro le case, ha la facciata che sul lato sinistro si è arresa ad una spavalda casetta verde pallido. A metà agosto anche qui c'è l'immancabile sagra con processione e gastronomia. La riva prosegue ampia fino ad un basso edificio. Percorriamo lo stretto passaggio pedonale davanti al ristorante da Memo uno dei locali storici dell'isola, e alla Polisportiva Portosecco, specializzata in voga veneta, kayak e bocce. Una curva secca a sinistra ci riporta sulla laguna per entrare subito dopo in San Pietro in Volta. Santo Stefano a Portosecco La tradizione dice che qui, verso la fine del primo millennio, furono sconfitti gli Ungari mentre tentavano l'assalto a Venezia. La località prese il nome "in volta", cioè "in fuga", per ricordarne la precipitosa ritirata. Altra versione attribuirebbe il nome alla curvatura della costa in quel punto. Passiamo davanti al bar da Anna, ad una bella casa con piccolo porticato, per arrivare in pochi passi alla trattoria dal Nane, o Nane Cantòn (angolo) vista la posizione. In fondo alla piazzetta l'ultima delle bianchissime chiese dell'isola, la neoclassica San Pietro in Volta; la vittoria sugli Ungari fu proprio nel giorno di San Pietro. Il coro è in legno di mogano proveniente dalla demolizione di una vecchia nave veneziana che, ancora nel 1943, era abbandonata in uno squero del paese. Dopo la chiesa il passaggio si restringe, abbandona la laguna e, per Via Cantieri, arriva in Corte Cajari. Proseguiamo nella direzione della torre dell'acqua in mattoni all'orizzonte e poi ancora diritto fino ad una casa rossa con decorazioni bianche vagamente moresche che ci costringe a uno stretto passaggio sulla destra. Proseguiamo lungo la laguna fino a lasciarci alle spalle l'ultima casa del borgo mentre la strada abbandona la riva e punta verso l'interno in Carrizzada Belvedere. Possiamo scegliere se continuare lungo la laguna oppure prendere la Belvedere per arrivare, passato il murazzo, sulla spiaggia. Il passaggio lungo la laguna diventa uno stretto sentiero invaso dalla vegetazione, ma non troverete particolari difficoltà. È un angolo tranquillo di laguna dove sono facili gli avvistamenti di uccelli nel loro habitat. In distanza spunta un edificio rosso mattone sfiorato dal sentiero. Sembra 134 Il sentiero finisce sulla strada comunale che, sospesa tra la laguna a sinistra e i (aghetti di Santa Maria del Mare a destra, arriva all'attracco del vaporetto. Poco prima del piazzale sulla sinistra c'è un curioso pontile coperto in legno. È l'approdo dell'idroambulanza: l'ammalato viene accompagnato con l'autoambulanza fino a qui e poi fatto salire sull'ambulanza d'acqua proveniente da Venezia. Per arrivare da Venezia ci vuole mezz'ora, altrettanto per arrivare l'ospedale. Se le condizioni climatiche sono avverse, la situazione può farsi seria. È uno dei problemi con i quali deve fare i conti chi vive sull'isola. Sul piazzale del vaporetto arrivano gli autobus di Pellestrina e qui partono i traghetti per il Lido. Se arrivate in autobus e non desiderate passare al Lido scendete per tempo: a volte l'autobus fa capolinea e i passeggeri prendono il battello a piedi, altre volte prosegue direttamente sul traghetto e potreste restare "prigionieri". Tornando in Carrizzada Belvedere possiamo prendere il percorso alternativo che, oltrepassato il murazzo con la comoda scalinata di fronte, ci porta in spiaggia dove proseguire fino alla diga, che è tutta percorribile. Sono ben visibili le strutture del MOSE della bocca di porto di Malamocco. Di ritorno dalla diga è necessario tornare alla strada comunale. È poco agevole proseguire lungo il Canale di Malamocco e aggirare la punta e sarebbe necessario attraversare proprietà private. Incuneati tra la diga e la strada comunale che arriva all'attracco del vaporetto ci sono gli edifici del Forte di San Pietro. La Serenissima costruì il forte nel XVII per proteggere il lato sud della bocca di porto di Malamocco. L'esercito austriaco adeguò il forte costruendo nuove postazioni. L'armamento era di dieci cannoni da costa da 321 mm che erano ancora in servizio nelle prime fasi della grande guerra. Oggi resta poco e il forte non è visitabile, ma è possibile vederne la facciata principale entrando nell'area della Casa dell'Ospitalità Santa Maria del Mare, la casa di riposo per anziani di fronte l'attracco del vaporetto, che attualmente occupa alcuni edifici del Forte. L'itinerario termina qui. Possiamo proseguire per il Lido prendendo il ferry oppure tornare a Pellestrina con gli autobus che partono ogni 20-30 minuti. 135 Le isole minori Pellestrina Prima di chiudere ancora un pensiero, questa volta triste, per questa splendida terra sul cui cielo da tempo incombono nuvole scure percepite anche da chi viene raramente: basta scambiare due parole con gli abitanti. Da ottobre a marzo l'isola vive nella solitudine, chiudono bar e trattorie e i turisti evaporano. Non è semplice attrarre chi ama botteghe, spiagge bianche e locali con colonna sonora offrendo "solo" borghi di pescatori, negozietti di paese e spiagge non proprio caraibiche. Pare che questi dodici chilometri di spiaggia siano gli unici non utilizzati turisticamente tra Trieste a Ravenna. L'azienda dei trasporti ha pubblicato una curiosa statistica: in un'intera estate sono stati venduti solo 1 Smila biglietti di vaporetto a non residenti. Troppo pochi per richiamare investimenti. L'orticoltura è stata abbandonata negli anni 70, la crisi ha fatto sparire il lavoro cantieristico e la pesca regolare. Quella irregolare delle vongole petrolchimiche pare invece sia ancora dura a morire. Ma forse qualche cosa si muove all'orizzonte. Si sta pianificando l'assegnazione di una serie di concessioni in spiaggia: sugli otto chilometri di arenile, sei dovrebbero essere ripuliti e rimanere liberi, i restanti due verrebbero gestiti da privati con piccoli chioschi, servizio di ristoro e affitto di sdraio e ombrelloni. Ci sono poi i progetti di un camping, di un agriturismo, di un centro di allevamento di "caparozzo//" doc e l'idea di riconvertire le barche da pesca in battelli per escursioni turistiche. Tante idee, ma al momento ancora pochi risultati; speriamo per il futuro. Le isole minori della laguna Venezia è appoggiata su 118 isole e altre quaranta sono sparse sui 550 chilometri quadrati della laguna. Di queste alcune diventarono città, altre restarono canneto, altre ancora che furono città ridivennero canneto, collassate dal tempo e dall'incuria. Arcipelaghi militari, religiosi e ospedalieri allora affollati, adesso abitati dal vento in attesa che sabbia, correnti e bassi fondali si mangino tutto al primo segno di abbandono. Isole ripulite per diventate grandi alberghi, lucidate per essere godute da pochi, qualcuna tornata terra di nessuno, vittima di conti che non tornano. Alcune custodiscono ancora piccole comunità che vivono tra i disagi dell'isolamento e il piacere di una vita dai ritmi antichi. La laguna è vasta, scontrosa e scostante, si fa desiderare e non è sempre facile visitarla, a volte stupisce, a volte sconforta, ma ogni suo angolo affascina e offre una buona ragione per essere visitato. Isole poco conosciute, qualcuna vicina, altre vicinissime eppure lontane perché fuori dalle rotte comuni, ma tutte raggiungibili con i mezzi pubblici: Sant'Erasmo, la Certosa, Le Vignole, il Lazzaretto Nuovo e Mazzorbo nella laguna nord e San Servolo e San Lazzaro degli Armeni a sud. Quando si sbarca su queste isole sembra di aver conquistato un piccolo mondo, un dono pregiato solo per intenditori, dove tutto pare migliore perché protetto dal dominio del tempo o perché indifferente alle invasioni del nuovo e del tanto. I borghi sono rimasti quasi come un tempo, le abitudini antiche e pacate, il silenzio si ascolta e si gode. Si viaggia lenti su vaporetti semivuoti, sfiorando ruderi abbandonati su isolotti minimi e barene che affiorano appena, verso destinazioni che hanno la fortuna di essere vicine a Venezia e la sfortuna di esserle troppo vicine. Fossero altrove avrebbero altra dignità, invece hanno dedicate poche righe stanche in fondo alle guide. 136 137