Valori modali delle perifrasi aspettuali dell`italiano

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Valori modali delle perifrasi aspettuali dell`italiano
Valori modali delle perifrasi aspettuali dell’italiano
1. Nozioni preliminari: restrizioni, ausiliarizzazione e polisemia
Uno dei fronti di mutamento attivi nell’italiano contemporaneo riguarda l’espansione dell’uso delle perifrasi cosiddette “aspettuali”, in luogo delle forme sintetiche di
indicativo presente e di imperfetto1. Si tratta di un ampio numero di costruzioni, tra
cui, per ragioni di spazio e di rappresentatività, scegliamo di occuparci dei due tipi
maggiormente ricorrenti nell’uso. Si tratta dei costrutti noti agli studi come perifrasi
continua (PC), formata dai verbi andare / venire + il gerundio (1a – 1b), e perifrasi
progressiva (PP) realizzata mediante il verbo stare + il gerundio (2a – 2b); attraverso
le quali si rende, ormai di preferenza 2, l’aspetto imperfettivo del verbo:
(1a)
(1b)
(2a)
(2b)
Miccichè prende le distanze da Berlusconi che in Sicilia va perdendo consensi […]
Gregorio ci vien dicendo che, nella state seguente e nel mese di luglio […]
Stava dormendo quando un fulmine lo svegliò di soprassalto
Sto pensando a cosa fare questa sera.
In virtù dell’analisi di Bertinetto (1996) vanno annotate alcune difformità nelle
restrizioni di carattere morfologico e azionale previste dai due costrutti. Per quanto
riguarda le prime, si segnala una maggior “liberalità” della PC, che accetta, in linea
di principio, anche i Tempi perfettivi, sia pure con delle eccezioni relative a quelli
che esprimono “l’aspetto compiuto” (Bertinetto 1996). Dal punto di vista azionale, lo
studio di Squartini riferisce che non c’è tipo azionale che escluda in assoluto la possibilità di essere impiegato nella PP (Squartini 1990, 176)3; mentre la PC non ammette
1
2
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Un certo numero di contributi (tra cui è senz’altro opportuno citare Squartini 1990; Bertinetto
1990 e Cortelazzo 2007) informano su questa espansione sottolineandone: i) la diffusione
quantitativa in termini di ricorrenze dei costrutti nei corpora di italiano parlato; ii) la crescita
del numero di forme del verbo coniugato della perifrasi (i.e. stare, andare); iii) l’aumento
del numero dei verbi che possono ricorrere alle perifrasi; iv) preferenza del parlante per la
perifrasi rispetto alla forma semplice del verbo.
Dati quantitativi sull’uso della PP in italiano (da Cortelazzo 2007).
Anche da questo si evince il carattere “espansivo” della PP nell’italiano contemporaneo
dell’uso: se infatti nel corpus novecentesco di prosa narrativa utilizzato da Squartini, sussiste
una limitazione ai verbi puntuali, essa cade nel corpus d’italiano giornalistico. Cortelazzo
(2007) fa notare come tale comportamento propagatorio segua oltre alla direttrice “diafasica”
evincibile dalle osservazioni di Squartini, anche quella diacronica, dal momento che già la
prosa giornalistica ottocentesca non dà conto di PP costruite con verbi stativi e puntuali,
elenco che si estende anche ai trasformativi e agl’incrementativi in quella narrativa.
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CILPR 2013 – SECTION 1
il ricorso ai verbi stativi e non-durativi in generale, con l’eccezione di quelli intesi in
modo iterativo (durativizzazione) e dei durativi telici (vale a dire risultativi e incrementativi).
In relazione ai verbi reggenti le perifrasi (stare, andare, venire) e ai verbi modalizzanti cosiddetti ‘servili’ (potere, dovere) è stata proposta, ormai da qualche anno,
la denominazione di “semiausiliari” (Heine 1993, Giacalone Ramat 1995). Sebbene
ancora non del tutto uniformemente recepita dalla letteratura, ci sembra opportuno
esprimerci in favore dell’adozione di questa terminologia. Basandosi sull’osservazione
del carico funzionale assommato dai verbi aspettuali (altrove defi niti aspectualizers,
cf. Green 1982) emergono forti analogie, per non dire corrispondenze, con quello
dei verbi “pienamente ausiliari” (Heine 1993). In una scala di grammaticalizzazione
che potremmo defi nire di “ausiliarizzazione”, il discrimine fondamentale tra ausiliari
pieni e semiausiliari rimane lo status di variante di questi ultimi, che possono ancora
essere sostituite dalle forme semplici del verbo principale con valore imperfettivo,
lasciando il significato inalterato:
(3a)Andavano cercando qualcuno che si unisse a loro.
(3b) Continuavano a cercare qualcuno che si unisse a loro.
(3c) Cercavano qualcuno che si unisse a loro.
al contrario delle prime che rappresentano stabilmente delle varianti “obbligatorie” o “grammaticali”, rispetto alle quali la selezione della forma semplice provoca
variazione di significato, fi no all’agrammaticalità in contesti di forte connotazione
tempo-aspettuale della proposizione (dovuta, ad esempio, ad avverbi di tempo):
(4a) Aveva chiesto quando sarebbe arrivata, ma ora non lo ricordava.
(4b) *Chiedeva quando sarebbe arrivata, ma ora non lo ricordava.
Infi ne si ritiene utile riprendere la riflessione condotta da Liffredo (2011) sui fenomeni di polisemia associati all’uso delle perifrasi aspettuali, in particolar modo nel
caso della PP. Come già detto, verbi tipicamente stativi accettano il trattamento progressivo in virtù dell’attivarsi di significati secondari di natura telica:
(5)
Il bacino del Rio delle Amazzoni sta conoscendo la peggiore siccità degli ultimi 40 anni.
si danno però casi in cui sia proprio la stessa codifica aspettuale imperfettiva della
PP a indurre trattamenti polisemici del verbo.
(6)
Ho appena cominciato a leggere questo libro e mi sta piacendo tanto.
Se in (5) quindi è la semantica lessicale di conoscere ad offrire il significato (secondario) non stativo di “attraversare”, in (6)
L’uso della PP suggerisce una progressione nello stato; al tempo stesso, tale dinamicità
diminuisce la forza dell’affermazione, con l’implicita considerazione che il libro potrebbe
non piacere più con la progressione della lettura. Di nuovo, sebbene siamo sempre all’interno
del significato generale di “piacere”, si può dire che l’uso qui sia puntuale, e non stativo; tale
diverso significato è generato proprio dalla PP (Liffredo 2011, 254).
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2. Le codifiche dei significati modali in italiano
Nel panorama attuale degli studi, l’analisi della modalità sembra essere oggetto
di un robusto interesse, testimoniato da molti recenti lavori di qualità sull’argomento (Sabbadini 1996, Pietrandrea 2005, Rocci 2007, etc.). Così come molte lingue
romanze, infatti, l’italiano registra una situazione tale che i significati epistemici e
deontici non trovano codifiche morfologiche primarie, vale a dire che, per essere
espressi, necessitano di forme e costruzioni non ad essi esclusivamente dedicate.
Riferendoci a Pietrandrea 2002 possiamo elencare, ad esempio, quelle epistemiche di
natura strettamente segmentale4:
•
•
•
•
•
•
•
Semiausiliari modali (dovere, potere, volere), usati all’indicativo e al condizionale nelle
frasi principali, o al congiuntivo nelle subordinate.
Usi modali di tempi verbali (futuro epistemico).
Aggettivi modalizzanti modificatori di nomi predicativi (presunto, possibile, probabile).
Avverbi frasali epistemici (certamente, sicuramente, indubbiamente, probabilmente,
presumibilmente, forse).
Verbi modalizzanti epistemici (dedurre, credere, ritenere, supporre, presumere,
immaginare, pensare, sembrare, parere, ecc.) seguiti da complemento frasale oppure
usati parenteticamente.
Costruzioni aggettivali modalizzanti epistemiche (essere certo, indubbio, probabile,
possibile).
Sintagmi modalizzanti epistemici (può darsi, mi sa, mi pare, secondo me, e nel parlato: si
vede, capace) che possono essere seguiti da complemento frasale.
Sempre seguendo Pietrandrea, siamo in grado di distribuire queste strategie di
espressione della modalità epistemica su di una scala di grammaticalità, ottenendo
un intervallo [+ grammaticale] : [– grammaticale] in cui le sole semiausiliari modali e
il futuro epistemico polarizzano sull’estremo [+ grammaticale].
(7) Ha lavorato tutta la notte, dev’essere stanco.
(8) Ha lavorato tutta la notte, sarà per questo che è così stanco.
(9) È stanco a causa di quel suo presunto lavoro notturno.
(10)Ha lavorato tutta la notte, probabilmente è molto stanco.
(11) Avendo lavorato tutta la notte è molto stanco, penso.
(12) È logico che sia stanco, ha lavorato tutta la notte!
(13) È stanchissimo, secondo me ha lavorato tutta la notte
I criteri di grammaticalità di Lehmann (1985) permettono di classificare queste
strategie tanto sul piano sintagmatico che su quello paradigmatico5, misurandone il
4
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Scegliamo, in questa sede, di non considerare il complesso di quelle non segmentali, relative
alle dimensioni prodosiche, gestuali etc., pur costituendo esse, nella lingua orale, un importantissimo piano di variazione (quando non di micro-variazione) dei significati modali.
A questo proposito Pietrandrea specifica che: «Seguendo la proposta di Lehmann, considereremo una forma più grammaticale di un’altra se: 1) è andata incontro a fenomeni di erosione
fonologica o di opacizzazione semantica (criterio dell’integrità); 2) modifica un costituente
meno esteso (criterio della portata); 3) è dipendente o affissata ad altre unità del sintagma
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peso, la coesione e la variabilità. Quindi, (7) e (8) risulteranno più grammaticali di (9) e
(10), a loro volta più grammaticali di (10), (11), (12), (13):
Figura 1 (Pietrandrea 2002, 46)
Sviluppando questa tipologia, scegliamo di defi nire ‘grammaticale’ l’espressione
della modalità epistemica in italiano attraverso i verbi modali potere e dovere (da qui
in avanti: semiausiliari modali); relativamente grammaticali i tipi si vede che / capace
che, e poco grammaticali o non-grammaticali tutte le rimanenti strategie.
3. Perifrasi aspettuali e possibilità epistemica
Si considerino i seguenti enunciati:
(14) Spostalo, può cadere da un momento all’altro.
(15) Spostalo, altrimenti cade.
(16) Spostalo, sta cadendo!
Ipotizziamo, come contesto di riferimento di (14), (15) e (16), un bicchiere posto
in posizione precaria, come se si trovasse nella prossimità del bordo di una tavola
malferma o stesse oscillando sotto la spinta di una corrente d’aria. La possibilità che
il bicchiere cada è concreta, ed è dettata da fattori esterni a esso: il bicchiere non è
ancora caduto, ma il parlante è convinto che ciò stia per accadere. In tutti e tre gli
esempi, il tratto [+ possibile] del processo #cadere# è testimoniato dal valore preventivo di #spostare#.
Se chiamiamo ‘epistemiche’ le premesse di formulazione dell’ipotesi, vale a dire,
se riteniamo assieme a Kratzer (1991) che la possibilità che l’evento o il processo
cui appartiene (criterio della fusione); 4) è integrata in un paradigma più ristretto di opzioni
(criterio dell’integrazione); 5) ha una minore mobilità all’interno del sintagma (criterio della
mobilità); 6) non può essere sostituita da un’altra forma dello stesso paradigma o se rappresenta una categoria obbligatoria (criterio dell’obbligatorietà).» (Pietrandrea 2002, 44)
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verbale si realizzi sia determinata da fatti di conoscenza e/o credenza pienamente
integrati nella coscienza del parlante e capaci di condizionarlo, possiamo affermare
che (14) (15) e (16) rappresentano tre enunciati modali che esprimono la possibilità
epistemica che l’evento #il bicchiere cade# si realizzi.
Tuttavia, il parlante madrelingua non può fare a meno di notare che i tre enunciati, sebbene largamente intercambiabili, possono essere disposti su una scala che
misuri la prossimità dell’evento alla sua realizzazione. In virtù di ciò, (14) si adatterà
di preferenza al contesto di riferimento in cui il rischio che il bicchiere cada è meno
concreto, mente (16) rappresenta lo stato di possibilità più vicino alla certezza che il
bicchiere cascherà:
Figura 2
In effetti, possiamo trattare questa come una scala di certezza e riscontrare che
l’enunciato (14), che ricorre al semiausiliare potere – strategia di modalizzazione epistemica, secondo Pietrandrea, maggiormente grammaticalizzata nonché grammaticale – comporta un grado di certezza molto più basso di (15), dove l’avverbio altrimenti “abbassa” il valore di fattualità della forma d’indicativo cade, determinando
quello che Squartini defi nisce un valore dubitativo dell’indicativo presente (Squartini
2004: 883); mentre nel caso di (16) ci troviamo di fronte a una predizione pressoché
certa. A dimostrazione di ciò, può intervenire un test di ampliamento della portata
della modalizzazione:
(17a) Marco fi nirà per urtare il bicchiere. Spostalo, può cadere da un momento all’altro.
(17b) Marco fi nirà per urtare il bicchiere. Spostalo, altrimenti cade.
(17c) *Marco fi nirà per urtare il bicchiere. Spostalo, sta cadendo!
(18a) *La tovaglia vola via. Spostalo, può cadere da un momento all’altro.
(18b) La tovaglia vola via. Spostalo, altrimenti cade.
(18c) La tovaglia vola via. Spostalo, sta cadendo!
L’espansione di una premessa del tipo (17abc) evidenzia come nei casi in cui le
condizioni di realizzazione della possibilità siano meno stringenti, la PP non trovi un
contesto d’uso pertinente, risultando una scelta incoerente rispetto al piano temporale selezionato dalla perifrasi #fi nirà per X#. Viceversa, il tipo (18abc) proietta l’espressione della possibilità in un contesto prossimo alla certezza: la tovaglia vola via
adesso, il processo è in corso e l’uso dell’indicativo lo testimonia; in questo caso la PP
viene a costituire una variante di preferenza, mentre la semiausiliare modale sembra
regredire in termini di intensità pragmatica rispetto alla premessa.
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Ancora, si considerino questi enunciati:
(18)
(19)
(20)
(21)
Le cose vanno migliorando, me lo sento.
Le cose stanno migliorando, me lo sento.
Le cose migliorano, me lo sento.
Le cose possono migliorare, me lo sento.
Il parlante “investe” un grado elevato di certezza nei confronti del fatto che le cose
effettivamente miglioreranno, attraverso l’uso del verbo di percezione sentire. Mentre
in (18) e (19) però, le cose – che pure non sono ancora migliorate – sono percepite
come in via di miglioramento (nel primo caso, dato il valore ingressivo della PC, con
enfasi sull’esordio del processo di miglioramento, nel secondo con riferimento già al
grado di pieno svolgimento di tale miglioramento), in (20) il miglioramento c’è, ed
il “peso” della possibilità ricade sulla correttezza della percezione, ovvero sul fatto
che me lo sento sia [+ giusto] / [+ vero]. Il significato di (21) invece si discosta marcatamente dai precedenti: esiste la possibilità che le cose miglioreranno, e la certezza
di chi lo afferma si sbilancia su questa eventualità piuttosto che su quella, parimenti
plausibile, che non lo faranno.
Tanto l’evento #caduta del bicchiere#, quanto il processo #miglioramento delle
cose# non sono, da un punto di vista temporale, in svolgimento. Il discorso su queste
due realtà possibili, però, può decorrere a partire da diversi gradi d’investimento di
certezza. Considerate le forme di indicativo come le meno marcate dal punto di vista
modale, e l’uso della semiausiliare potere, come il più marcato in relazione alla possibilità epistemica, la PP e la PC “traianano” la certezza della realizzazione dei due
eventi/processi dal secondo verso le prime. Tuttavia, dal confronto di (15) con (16) e
di (20) con (18) / (19) emerge un deciso rafforzamento dei presupposti della possibilità
epistemica da parte delle perifrasi. Il valore aspettuale progressivo e incoativo dei
due costrutti sovverte il ruolo logico delle premesse di una possibilità elevandole al
rango di verità fattuali; in questo modo un’altra verità fattuale (vale a dire la richiesta
di #spostare il bicchiere# o la dichiarazione di #sentire che#, a ben vedere costituenti
l’unica fattualità logica dell’enunciato), può rapportarsi in modo sincronico con la
prima.
Il valore modale delle perifrasi aspettuali, rispetto alla possibilità epistemica,
sembra dato, insomma, dall’interazione del tratto [+ imperfettivo] con il profi lo di
consecutività temporale caratterizzante l’intervallo tra la premessa e la realizzazione
della possibilità.
4. Perifrasi aspettuali e possibilità deontica
Defi nendo con Kiefer (1987, 1994) la modalità deontica come relativa ad atti compiuti da enti moralmente responsabili e, nella fattispecie, individuando la possibilità deontica nella dichiarazione / richiesta di permesso, riscontriamo due distinti usi
modali delle perifrasi.
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Quando la possibilità deontica è espressa attraverso una dichiarativa esplicita, la
PP marca enfaticamente l’intenzione dell’agente piuttosto che il permesso concesso,
proiettando sulla fonte di tale permesso, la valenza di uno strumento:
(22) Grazie ad Andrea potrò connettermi a internet.
(23) Grazie ad Andrea mi sto connettendo a internet.
Mentre (22) ammette solo una lettura modale, in base alla quale il soggetto ha
la possibilità di connettersi a internet in virtù di una concessione di Andrea; (23)
ammette contesti in cui il soggetto è già connesso a internet (o è nell’immediato procinto di), e Andrea può svolgere il ruolo di datore di permesso così come quello di
strumento6.
Questa ambiguità o bivalenza permane anche in caso di presupposti deontici
meno circostanziati:
(24) Ora che ho fatto tutto, posso uscire.
(25) Sono pronta, sto uscendo.
Leggendo (24) come “Ora posso uscire perché ho svolto tutte le attività che, fi no
a questo momento, mi impedivano di farlo” riscontriamo che il presupposto #avere
fatto tutto# non incide sul grado di certezza espresso dalla semantica modale di #poter
uscire#; il soggetto uscirà in un tempo futuro all’enunciazione, se non sopravverranno
ulteriori cause d’impedimento e, quindi, se gli sarà permesso7. Viceversa, (25) vale
solo come “Ora che ho fatto tutto (= ora che sono pronta) mi accingo a uscire”, dove
la “fi nestra” di possibilità che il soggetto non esca è ridotta al punto da scoraggiare
una lettura modale dell’enunciato.
Nei casi di frasi negative, l’intensità del valore inibitivo risultante dalla negazione
della possibilità sembra frenata dalle perifrasi.
6
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Sarebbe più corretto, in questo caso, parlare di ‘causa complessa’. Il contributo di Andrea
all’agentività del soggetto, pur configurandosi come un ruolo causale (segnalato grammaticalmente dal “grazie a”) presuppone un “momento volitivo” a cui è subordinata l’effettiva
dazione di aiuto (Andrea sceglie di aiutare il soggetto). Ciò che, nella prospettiva dei significati modali abbiamo indicato come un “permesso”, dal punto di vista dei ruoli semantici
risulta determinato dalla presenza di un “co-agente”, che può essere letto come uno strumento non prototipico, in primis perché animato (Luraghi 2003, 30-35).
Fra i molti altri spunti, questo esempio offre la possibilità di riflettere sull’ampiezza dell’intervallo tra possibilità e necessità deontiche, in relazione alle codifiche adottate dall’italiano. L’enunciato (24) trova un corrispettivo canonico dell’espressione della necessità in: “Ora che ho
fatto tutto devo uscire”. Tuttavia l’idea di potere e quella di dovere si trovano, in questo caso,
in posizione particolarmente ravvicinata. Lo chiarisce un test di espansione della premessa:
(24a) “L’appuntamento è alle 16.00 e sono già le 15.30. Ora che ho fatto tutto posso uscire”;
(24b) “L’appuntamento è alle 16 e sono già le 15.30. Ora che ho fatto tutto devo uscire”. La
distanza tra la selezione delle due varianti è ancora condizionata dal percezione del possibile
ritardo rispetto all’orario dell’appuntamento come fonte di necessità o di possibilità (stringente) di uscire, e quindi gli enunciati rimangono funzionalmente opposti, ma questa opposizione ci sembra molto più debole di quanto non sarebbe in circostanze epistemiche.
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(26) Non andate promettendo ciò che non manterrete
(27) Non si vada dicendo che qui non c’è libertà
(28) Non potete promettere ciò che non manterrete
Tanto in (26) quanto in (27) le circostanze deontiche a cui si applica la negazione,
conferiscono all’enunciato la funzione imperativale “debole” tipica delle frasi inibitive. Al contrario di potere però, la PC sembra “tutelare” maggiormente il grado
di potenzialità espresso dalla corrispettiva possibilità positiva (#andare promettendo# / #poter promettere#): laddove in (28) la possibilità di promettere viene negata
in virtù del fatto che si dà per certo (si assume) che la promessa non verrà mantenuta,
in (26) l’aspetto imperfettivo indica una concreta realizzazione della possibilità che
la promessa (ugualmente assunta come non mantenibile) verrà contratta in un tempo
futuro.
Dove (28) ammette tanto letture inibitive quanto prescrittive, (26) e (27) non
ammettono le seconde: il tratto aspettuale [+imperfettivo] ci sembra tenda a neutralizzare quello
(26b) *Non andate promettendo ciò che non manterrete; in caso contrario sarete puniti.
(27b) *Non si vada dicendo che qui non c’è libertà; altrimenti si incorrerà in sanzioni penali.
(28b) Non potete promettere ciò che non manterrete; in caso contrario sarete puniti.
5. Perifrasi aspettuali ed evidenzialità
Nel considerare i valori modali delle perifrasi aspettuali come risultato della dilatazione che l’aspetto progressivo esercita sul legame temporale che lega premessa e
realizzazione della possibilità, è lecito chiedersi se tale incidenza abbia ripercussioni
sulla connotazione evidenziale dell’enunciato.
Nel caso di alcuni verbi intransitivi mono-argomentali, l’uso delle perifrasi sembra
legato all’esigenza di sottrarsi ad una connotazione diretta dell’evidenza, senza dover
necessariamente ricorrere ad un evidenziale riportivo.
(29) Sta succedendo tutto così in fretta.
(29b) Questo paese va perdendo dignità anno dopo anno.
(30) Succede tutto così in fretta.
(30b) Questo paese perde dignità anno dopo anno.
L’enunciato (29), appare poter occorrere in tutte le occasioni in cui occorre l’enunciato (30), salvo arricchire il significato dell’espressione con una sottintesa presa
di distanze dalle cause del processo, che rimangono implicite. In altri termini, in (30)
il #succedere così in fretta# sembra avere riscontri diretti sull’esperienza del parlante,
mentre in virtù di (29) si tende a evincere che il parlante si limiti a percepire il medesimo stato di cose. Ancora, se in (29b) il #perdere dignità anno dopo anno# vorrebbe
essere ricondotto a un “comune sentire”, in (30b) appare piuttosto essere il frutto di
una constatazione diretta di una o più cause di questa perdita.
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D’AMATO
Tenendo a ribadire il fatto che sia opinione di chi scrive una completa commutabilità d’uso tra (29) e (30) e tra (29b) e (30b), ci sembra che un ulteriore elemento
in tal senso possa essere fornito dal caso dei verbi “zero-argomentali”, vale a dire
principalmente quelli atmosferici. Qui, come più volte rilevato in letteratura per lo
più con riferimento alla lingua inglese, l’uso di forme progressive costituisce un caso
di “rapporto interrotto” sull’evidenza.
(31) Sta piovendo.
L’enunciato (31) può essere prodotto sia dal parlante colpito da una goccia di pioggia per strada, sia da quello che, all’interno di un edificio, deduce lo svolgersi di un
temporale dal rumore della pioggia battente sul tetto, o ancora da quello che vede
entrare dall’esterno persone con cappotti bagnati e ombrelli in mano.
Insomma, la considerazione dei valori modali delle perifrasi aspettuali conduce a
interrogarsi sulla relazione tra il loro uso e la caratterizzazione evidenziale dell’enunciato. Senza pronunciarci dettagliatamente sulla questione della relazione categoriale
tra modali epistemici ed evidenziali, ci limitiamo qui a registrare la possibilità che le
perifrasi progressive vengano utilizzate in italiano come segnalatrici di un grado di
evidenza intermedio tra quello diretto e quello riportato.
Figura 3
Considerazioni conclusive
Partendo dal dato dell’espansione d’uso delle perifrasi aspettuali nell’italiano contemporaneo, abbiamo messo in luce come ad esse possano essere ricondotti valori
modali la cui espressione ricade su un ampio ventaglio di forme e costrutti (cf. 1.).
Con riferimento alla gamma di valori selezionati (possibilità epistemica e possibilità
deontica) e alle due perifrasi scelte per esemplificare il fenomeno (perifrasi continua
e perifrasi progressiva), abbiamo riscontrato che la marcatura aspettuale imperfettiva delle perifrasi incide sulla lettura del significato modale, attenuando l’intensità
delle condizioni della possibilità. Questa incidenza tra valori semantici del costrutto
verbale e operatività frasale potrebbe essere ben rispecchiato dall’uso delle perifrasi come marcatura evidenziale rispetto a fonti non defi nite attraverso l’esperienza
diretta o riportate da fonti intermedie, ma soltanto percepite.
Naturalmente, non siamo i primi a notare che tra le forme del verbo marcate
dall’aspetto progressivo o imperfettivo e quelle modali sussistano forti elementi di
similarità; già molte voci si sono espresse sulle funzioni modali della progressive form
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CILPR 2013 – SECTION 1
inglese (Dowty 1977, 1979) o dei progressivi in generale (Portner 1998). Il dato che
speriamo possa risultare notevole in questa sede è soprattutto quello della correlazione tra una classe di valori semantici connotati modalmente e un costrutto sintattico costituente un fronte di espansione nell’uso della lingua italiana contemporanea.
Sapienza Università di Roma
Fabio Massimo D’AMATO
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