View Conference 2016, i segreti della fotografia de Il viaggio di Arlo

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View Conference 2016, i segreti della fotografia de Il viaggio di Arlo
View Conference 2016, i segreti della fotografia de Il viaggio di
Arlo
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La direttrice della fotografia Sharon Calahan presenta a View Conference 2016 le
meraviglie create con la luce nel film Pixar Il Viaggio di Arlo
di Irene Rosignoli 27/10/2016
A View Conference 2016 è arrivata anche la genialità pura degli universi Pixar grazie a Sharon Calahan,
responsabile delle luci e dell’illuminazione nel film Il
viaggio di Arlo.
Nel suo intervento l’artista ha illustrato come lei e il suo
team di collaboratori mettono le loro conoscenze al
servizio dei registi per raccontare una storia attraverso
la luce, un elemento spesso sottovalutato ma che è
assolutamente fondamentale per definire l’atmosfera, il
look e le emozioni che derivano dalla storia. Soprattutto
se si tratta di un racconto intimo e toccante come
quello di Il Viaggio di Arlo, che fa delle luci e dei colori
degli splendidi panorami il suo più grande punto di
forza.
Ecco cosa ci ha raccontato Sharon Calahan nel corso del nostro incontro.
Quando hai iniziato a lavorare a Il viaggio di Arlo e qual è
stato il tuo ruolo nel film?
«Ho iniziato quando il film è stato scritto da zero dopo il cambio
di regista da Bob Peterson a Peter Sohn. Siccome lui era molto
impegnato a rivedere la storia, era solito delegare a me molte
cose che riguardavano l’aspetto grafico. Per questo ho assunto
dei ruoli che sono andati oltre il mio lavoro di direttrice della
fotografia e sono stata coinvolta molto nella creazione
dell’universo e nel look generale del film».
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Come avete deciso il look del film con sfondi molto realistici e personaggi molto cartooneschi?
«Il regista Peter Sohn voleva che i personaggi fossero molto caricaturali, più carini e dolci possibile. Allo stesso
tempo voleva che il mondo fosse essere credibile e realistico, non stilizzato. Se fosse stato troppo cartoon il
pubblico non avrebbe provato le stesse sensazioni, mentre in questo modo funziona perché ci sembra che sia un
mondo contemporaneo e plausibile e non un’epoca giurassica immaginaria qualsiasi. Lo stile è anche influenzato
molto da ciò che ama il nostro direttore creativo John Lasseter, che ci guida sempre dal punto di vista artistico. Lui
ama le cose molto dettagliate, ma anche i personaggi che sono essenzialmente cartoon ben diversi dagli esseri
umani veri o dal live action».
In quali scene pensi che la luce sia stata davvero fondamentale nell’enfatizzare le emozioni?
«Spero in tutte le scene! Scherzi a parte, quella che forse mi viene in mente per prima è la scena in cui Arlo e Spot
parlano delle rispettive famiglie mentre si trovano in riva al fiume di notte. Avrei potuto utilizzare la luce per dare un
senso di tristezza, per esempio rendendola più piatta e grigia, invece ho scelto di rendere il tutto molto luminoso.
Volevo renderlo talmente bello da far venire da piangere».
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Lavori in Pixar fin dai tempi di Toy Story. Come è cambiato il tuo lavoro nel corso degli anni?
«Con gli anni ho acquisito più responsabilità. Noi facciamo i film sempre allo stesso modo, è cambiato ben poco nel
metodo di produzione. Sicuramente all’inizio c’erano molte cose che non potevamo fare e capitava spesso di dover
dire “no, non possiamo realizzarlo” o “no, con questo non ce la facciamo”. Oggi non lo diciamo quasi più, ogni volta
che ci si pone una difficoltà davanti troviamo sempre il modo di superarla. Quindi credo che una grande differenza è
che oggi i registi hanno più libertà e più mezzi per realizzare le meraviglie che immaginano e di conseguenza noi
tecnici siamo più facilitati nel nostro lavoro grazie alla tecnologia».
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