Internet centuplica le nostre dipendenze
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Internet centuplica le nostre dipendenze
Corriere del Ticino 06/11/2012 2 Copia ridotta al %d%% del formato originale letter della pagina Corriere del Ticino PRIMO PIANO QUESTIONI APERTE MARTEDÌ 6 NOVEMBRE 2012 Nuovi media DA SAPERE L’ESPRESSIONE «IAD» «L’espressione Internet addiction disorder (IAD) – spiega la psicologa Anna Fata sul sito www.psiconline.it – è stata introdotta nel 1995 dal dottor Ivan Goldberg. Da allora si è scritto molto a tale proposito, ma non si è ancora giunti ad una definizione univoca del fenomeno. In inglese, ad esempio, esistono due termini per definire la dipendenza: «dependence», per riferirsi ad una dipendenza da sostanza chimica e «addiction», quando tale condizione non è presente». UNA MALATTIA? Tale patologia non è stata ancora introdotta nel «Diagnostic and statistical manual of mental disorder» (anche se dovrebbe entrarvi nella prossima edizione). Alcuni studiosi ritengono che dovrebbe essere collocata tra i «disturbi del controllo degli impulsi non classificati altrove», come il gioco patologico d’azzardo». FUORI DI TESTA? Secondo alcuni studiosi, il computer è una forma di cocaina elettronica. Internet centuplica le nostre dipendenze Gli esperti lanciano l’allarme: la grande Rete ci rende pazzi Ma per lo studioso Thomas Gaon il vero problema è a monte Internet ci fa impazzire? A porsi la domanda in termini tanto drammatici (qui, infatti, l’espressione «fare impazzire» non è intesa come modo di dire, ma nel suo senso letterale) è Tony Dokoupil che in un vasto servizio giornalistico scritto per la rivista USA «Newsweek» dedicato al lato oscuro delle nuove tecnologie, passa in rassegna i risultati di numerose ricerche scientifiche degli ultimi anni e deduce che post, tweet, chat ed e-mail ci fanno sentire sempre più soli e depressi. E qualcuno diventa matto. Ma siamo sicuri che il vero problema sia la tecnologia? CARLO SILINI ❚❘❙ Il direttore dell’istituto Semel di neuroscienze a Los Angeles, Peter Whyborw, citato da «Newsweek», sostiene che «il computer è una forma di cocaina elettronica», mentre per l’autore del saggio «Internet ci rende stupidi?» Nicholas Carr «la rete ci spinge a comportamenti che sappiamo essere negativi e che ci rendono ansiosi, facendoci agire in modo compulsivo». Larry Rosen, autore del libro «iDisorder», studiando un campione di 750 persone, adolescenti e adulti rappresentativi della popolazione della California, ha appurato che la maggior parte degli intervistati controlla gli SMS, la posta elettronica o il suo social network continuamente oppure ogni quarto d’ora. Non si tratterebbe di una libera scelta, spiega «Newsweek», in realtà siamo attirati dal potenziale di gratificazioni a breve termine delle tecnologie. «Ogni squillo potrebbe segnalare un’occasione sociale, sessuale o professionale e quando rispondiamo otteniamo una minigratificazione, un rapido rilascio di dopamina». Un altro studioso di Los Angeles, Gary Small, ha sottoposto a risonanza magnetica utenti esperti e principianti del Web scoprendo che «il cervello degli Internetdipendenti somiglia a quello dei tossicodipendenti e degli alcolisti». Seguono numerosi altri esempi di ricerche in varie parti del mondo, ma il succo è sempre lo stesso: Internet ci sta modificando il cervello. L’osservatorio parigino Fin qui l’inchiesta di «Newsweek». Ma siamo sicuri che la colpa di certe dipendenze sia di Internet? È questo il dubbio che Thomas Gaon insinua dal suo osservatorio privilegiato sul mondo delle nuove tecnologie. Da sette anni infatti Gaon, psicologo clinico, lavora all’Observatoire des mondes numériques en sciences humaines (OMNSH) di Parigi, un’associazione che si occupa di temi modernissimi da tempi antichissimi, essendo stata fondata nel lontano 1901. L’osservatorio oggi studia la tecnologia numerica, ovvero «gli ambienti e gli strumenti tecnologici basati sull’informatica che offrono un’interattività ai Copyright © 06/11/2012 Corriere del Ticino loro utilizzatori» e cerca di farlo creando una piattaforma informativa tra la ricerca universitaria, i professionisti, i media e il pubblico. E Gaon è un esperto delle cosiddette dipendenze generate dalle nuove tecnologie. In questa intervista al «Corriere del Ticino» ci invita a non demonizzare troppo frettolosamente Internet, cellulari ed affini. Thomas Gaon, la dipendenza da Internet è riconosciuta dalla ricerca scientifica attuale? «Il dibattito sulla cyber-dipendenza non è consensuale nel mondo scientifico. Per alcuni esperti esistono delle condotte considerate dipendenze da Internet paragonabili ad altri problemi psicologici, in particolare a condotte come il gioco d’azzardo. Le classificano tra le dipendenze comportamentali. Un’altra parte degli scienziati, invece, sostiene che non esiste nessuna specificità di questo tipo Rifugio elettronico La vera causa dei problemi non è il Web o lo Smartphone: molti giovani si rifugiano nei videogiochi online perché almeno in quell’ambiente riescono a sentirsi bene Pagina : 2 di dipendenza. Ritengono che non sia pertinente parlare di dipendenza, così come non è pertinente parlare, ad esempio, di dipendenza dalla televisione». Ma c’è gente che trascorre numerosissime ore al computer o davanti alla Tv. «Vero. Ci sono persone che soffrono perché surfano su Internet in modo eccessivo, ma il problema non è tanto Internet. È il contenuto, non il contenitore, a creare il problema. Per esempio, se qualcuno frequenta troppo i siti pornografici probabilmente è dipendente dal sesso, non da Internet». Nessuna colpa alla Rete, quindi. «No. Anche se tutti concordano nel dire che Internet accelera la dipendenza. Perché è accessibile in qualsiasi momento e in tutte le condotte di dipendenza più il prodotto è accessibile, più ci sarà un uso importante e probabilmente eccessivo. Inoltre c’è un’immediatezza della risposta, 24 ore su 24, sette giorni su sette. E questo per prodotti come la pornografia, i videogiochi o i giochi d’azzardo». È dunque la potenza del mezzo a facilitare le condotte malate. «Sì, permette che si istallino più rapidamente e che si amplifichino. Ciò non toglie, sostiene una parte degli autori, che Internet non è la causa del problema. Ci sono persone che trovano in Internet delle soluzioni intermedie. Molti giovani, ad esempio, si rifugiano nei videogiochi online, perché almeno lì si sentono bene». Come si esce da questi problemi? «Francamente bisogna porsi di fronte a questi problemi come di fronte a qualcuno che emigra da un’altra parte. Bisogna chiedersi perché se ne va in un altro Paese. Bisogna chiedersi non tanto perché finiscono a passare un sacco di tempo tra le nuove tecnologie, ma perché partono, perché emigrano. Cercare la causa, non l’effetto. Non bisogna mai dimenticare la totalità della persona». «Newsweek» ha citato l’esperto americano Peter Whybrow, secondo il quale «il computer è una forma di cocaina elettronica». Cosa ne pensa? «È un ragionamento problematico. Paragonare il computer alla cocaina è porre tutta la responsabilità su un oggetto che è utilizzato da milioni e milioni di persone. Il computer è paragonato alla droga e quindi il problema è la droga. Ma è assurdo pensare di sopprimere i computer! Mentre le persone possono effettivamente cessare di acquistare la droga e vivere meglio, oggi è molto complicato rinunciare ai computer. Se si devono fare paragoni è meglio farli con dei comportamen- LE FORME L’Internet addiction disorder consta di diverse forme di dipendenza: - da gioco d’azzardo patologico online, - da cyber-relazioni, - da cyber-sesso, - da giochi di ruolo online, - da eccesso di informazioni. LE FASI «Le fasi che conducono alla vera e propria patologia sono: 1. Fase tossicofilica: caratterizzata dall’incremento delle ore di collegamento, con conseguente perdita di ore di sonno, da controlli ripetuti di e-mail, siti preferiti, elevata frequenza di chat e gruppi di discussione, idee e fantasie ricorrenti su Internet, quando si è offline, accompagnati da malessere generale. 2. Fase tossicomanica: con collegamenti estremamente prolungati, al punto da compromettere la propria vita socioaffettiva, relazionale e lavorativa o di studio». PERSONE A RISCHIO «I soggetti maggiormente a rischio hanno un’età compresa tra 15 e 40 anni, con un elevato livello di conoscenza degli strumenti informatici, isolati per ragioni lavorative (es. turni notturni) o geografiche, con problemi psicologici, psichiatrici o familiari preesistenti. Il tipo di personalità predisposto a sviluppare tale disturbo è caratterizzato da tratti ossessivo-compulsivi, inibito socialmente, tendente al ritiro, per il quale la Rete rappresenta un modo per fuggire dalla realtà». LE CAUSE «L’abuso di Internet sarebbe determinato da un senso di vuoto, da un vissuto di solitudine e dalla difficoltà di investire nella realtà offline. In casi estremi, la partecipazione alla realtà online è finalizzata alla negazione di quella concreta, quotidiana, avvertita come minacciosa. La realtà online offre il vantaggio di fornire gratificazioni immediate, per la sua disponibilità pressoché continua. Inoltre, l’universo virtuale rappresenta una fonte di attrazione per coloro che sono predisposti allo sviluppo anche di altre forme di dipendenza comportamentali o da sostanze». ti che con degli oggetti. Non so, con la bulimia o con la sessodipendenza». Quella di Whybrow era una provocazione, probabilmente. «Sì, ma rischia di oscurare il vero problema: perché certe persone si sentono così male da avere il bisogno di dimenticare le proprie vite andando su Internet? Certo, esistono degli studiosi che ritengono la dipendenza una malattia cronica del cervello. E questa posizione è problematica perché ci sono persone che dopo due o tre anni di dipendenza da Internet smettono di navigare, perché non sono più depressi, per esempio. Insomma, bisogna evitare di fare inutili allarmismi. Il numero delle persone che oggi frequenta Internet è enorme. Che cosa dobbiamo dire: che sono tutti cocainomani?». Ma sono posizioni espresse anche da una parte del mondo scientifico. «Ci sono due persone che hanno promosso la questione delle dipendenze da Internet: una per criticarla, l’altra per sostenerla. Il primo è il dottor Ivan Goldberg, lo psichiatra americano che per primo ha proposto l’espressione di Internet addiction disorder (leggi box a lato, n.d.r.), ma Dicembre 20, 2012 1:37 pm / Powered by TECNAVIA