testimonianze di stranieri vittime della repressione

Transcript

testimonianze di stranieri vittime della repressione
America latina
Cile
Quell’11 settembre del 1973
Lo stadio di Santiago
trasformato in un lager
TESTIMONIANZE DI STRANIERI
VITTIME
DELLA REPRESSIONE FASCISTA
MESSA IN ATTO
DALLA GIUNTA MILITARE IN CILE
Ci pervengono queste testimonianze, raccolte da persone non
specificamente nell'attività politica della sinistra, ma non dì meno
coinvolte dalla repressione dei militari cileni.
L'attendibilità ne è garantita dalla serietà della persona che ce le ha
trasmesse (di cui non possiamo fare il nome) e dalla coincidenza con le
informazioni di altri compagni, testimoni diretti di alcuni episodi qui
riferiti.
Le condizioni particolarmente difficili in cui queste testimonianze sono
state raccolte ne spiegano la frammentarietà e la non perfetta perspicuità
di qualche punto.
Abbiamo, peraltro, preferito astenerci da ogni tipo di intervento, lasciando
il testo così come ci è stato trasmesso.
Sono stato arrestato mercoledì 12 settembre, con cinque venezuelani, in un
appartamento situato al centro di Santiago.
I vicini avevano avvertito i militari che nella nostra casa si trovavano
stranieri e fra essi anche una coppia.
Dodici militari buttarono all'aria tutte le nostre cose. Rovesciarono tutto,
nonostante noi avessimo tutti i nostri documenti in regola.
L'ufficiale a capo della pattuglia, un maggiore dell'Aviazione (FACH),
controllava tutti i nostri documenti e ci interrogava. Fece un commento sopra
Banquil dicendo che i Capitulos de la Hisloria de Chile erano la maniera in cui i
marxisti travisavano la storia. Che interessante, dissi io. Si girò e mi diede il
primo schiaffo.
Il maggiore ordinò che portassero un veicolo e ci trasportarono al ministero
della Difesa verso le 15. Dalla porta fino al sotterraneo era tutto pieno di
militari che ci davano per lo meno una sberla. Dovunque passavamo ci
colpivano. Noi camminavamo con le mani sulla nuca. Non potevamo
neppure guardarli in faccia perché ci era stato proibito. Non potevamo fare
nulla.
Erano due piani di sotterraneo. Ci portarono al primo, quello più in basso. Lì
c'erano una dozzina di compagni che erano stati torturati. Tutti con le mani
sulla nuca e con i piedi aperti contro la parete.
Le compagne furono messe in una camera. Quindici militari le spogliarono e
contemporaneamente le toccavano e le interrogavano. Per loro era il secondo
interrogatorio. Intanto ci tenevano in una stanza contigua.
Cominciarono dapprima a colpirci alle costole. Allora un ufficiale ordinò che
ci spogliassero perché altrimenti ci avrebbero lasciato dei segni. Ci fecero
stendere al suolo e cominciarono a picchiarci più duramente: botte ai reni,
alle costole e alla testa. Intanto ci interrogavano.
Dopo mezz'ora di «interrogatorio» ci portarono al nono piano, ufficio 85 del
SIM. Dalle 3.30 fino all'una del giorno 13 (giovedì) ci tennero in un corridoio
di fronte agli uffici con le mani sulla nuca, i piedi aperti, senza poter andare
al gabinetto, né prendere acqua né mangiare.
Alle 21, un compagno, si senti male e vomitò. Non poté neppure sedersi. Se
non si manteneva dritto lo picchiavano perché si raddrizzasse.
All'una e mezza di giovedì tredici novembre, ci portarono allo Stadio Chile.
All'arrivo al ministero della Difesa a un militare scappò un colpo che
danneggiò il giubbotto ad un compagno venezuelano e ferì un militare.
All'arrivo, allo stadio Chile, ci misero un'altra volta contro la parete per
mezz'ora. Il comandante dello Stadio ci interrogò per la terza volta. Dopo
mezz'ora ci portarono al cancello dello stadio. Ci fecero mettere uno per uno,
separati, a circa quattro metri di distanza, bocconi sul suolo di pietra con le
mani sulla nuca. Non ci diedero neppure una coperta. Durante tutto il giorno
di giovedì non ci diedero nulla da mangiare e ci tennero sempre in piedi.
Ai professori dell'Università Tecnica che stavano accanto a noi permisero
solo di sedersi quando diedero loro un pezzo di pane con il caffè e solo per
un pò. Alla sera arrivarono due argentini. Alti, biondi, erano stati rapati.
Erano stati presi in uno scontro a fuoco mentre difendevano una fabbrica.
Erano accusati di aver «deriso» gli ufficiali. Per questo motivo li colpivano più
degli altri.
Sul fare della notte si avvicinarono due carabinieri e li interrogarono: gli
mettevano il calcio dei fucili mitragliatori (SIG) sulle dita dei piedi e facevano
forza con tutto il corpo, ruotando il calcio. Gli operai argentini non dicevano
una parola. Si mordevano le labbra per non gridare. Più tardi sapemmo che
questi compagni, Miguel Angel Latorre e Teodoro Bartoledo, erano stati
fucilati.
Il sabato si ammalò un compagno e lo portarono all'infermeria. Gli diedero
aspirine e ritornò subito. Raccontò che là aveva visto sei cadaveri con delle
mutilazioni. Aveva visto anche il vice direttore del Servizio delle prigioni:
Litre Quiroga. Era irriconoscibile. Aveva le labbra gonfie, gli occhi neri,
ematomi in tutto il corpo.
Il sabato, alle tre del mattino, si udirono dei gridi nel cortile interno che
dicevano: «Ammazzatemi, figli di puttana» Risuonarono dei colpi e non
sapemmo più nulla di Litre Quiroga.
I compagni che stavano nella cella più vicina al luogo dove fu fucilato Litre
Quiroga, udirono che i torturatori dicevano: «Così trattavi il mio generale
Viaux».
La domenica 16 ci portarono allo Stadio Nazionale. Eravamo più di 5000
persone. Là ci davano una tazza di caffè alle 9 o 10 della mattina. Ci facevano
alzare alle 7,30 del mattino. Alle 11 ci davano un pezzo di pane. Verso le 17 ci
davano un mestolo di fagioli o di ceci.
Il giorno 2 di ottobre uscii in libertà a mezzogiorno. Durante i giorni di
permanenza nello stadio ebbi occasione di vedere un compagno brasiliano,
Pedro Chavez do Santos, che aveva una costola fratturata e non riceveva
alcuna assistenza medica.
Un argentino, del quale non so il nome, mi raccontò che lo avevano appeso
con le mani ed i piedi legati assieme e gli avevano applicato l'elettricità.
Molti compagni stranieri furono sottoposti ad un tribunale militare. Molti di
essi non avevano mai partecipato ad attività politiche. Uno di essi, per
esempio, lo arrestarono mentre stava in automobile con un ragazzo di 15
anni. Al ragazzo, un ufficiale della FACH disse che se dichiarava che
nell'auto c'erano state due persone armate di mitra lo avrebbero lasciato in
libertà. Il ragazzo acconsentì. Dopodiché il conducente del veicolo fu portato
nell'infermeria e non si seppe più nulla di lui. Il ragazzo non fu rilasciato. In
totale restai prigioniero per 22 giorni.
Colombiano.
Ci presero nella fabbrica VINEZ e ci misero bocconi al suolo per circa un'ora.
Si presero il denaro e gli oggetti personali. Quando riconobbero il
commissario (interventor) lo colpirono con il calcio del fucile.
C'erano tre donne di fronte alla fabbrica IRT, luogo dove dicono ci sia stata
resistenza; ammazzarono una donna ed un bambino. Bastonarono un cubano
e poi lo fucilarono. Vedendo questo le operaie gridarono e furono bastonate e
messe bocconi al suolo.
Ci colpirono con il calcio del fucile. Mi spaccarono la testa e svenni.
Un boliviano che disse di essere comunista, lo bastonarono come gli altri e gli
dissero che gli avrebbero fatto fare la stessa fine del cubano.
Ci misero in fila e tornarono a colpirci con il calcio del fucile, poi ci portarono
in tre a un microbus dei carabinieri. Ci misero con il corpo contro i finestrini
per proteggersi dai franchi tiratori e da dietro ci colpivano con il calcio del
fucile. Ci dissero: «Con tutti gli stranieri faremo sapone, già che è tanto scarso».
Poi ci portarono alla Stadio Cile. Era il giorno 12.
All'entrata, tutti i militari ci prendevano a calci. Poi ci tolsero i vestiti. A
quelli che non erano già stati derubati, rubavano le loro cose lì. Quella notte,
tra le 22 e le 23, fecero uscire due argentini torturati. Li portarono nel
sotterraneo da dove potemmo udire le loro urla e infine gli spari. Vi erano
otto cubani, fra di essi una donna. Li portarono nel sotterraneo anch'essi. Si
udivano chiaramente le grida della donna e degli altri.
Quando si affievolivano le grida, si potevano sentire i militari che dicevano:
«Portateli nel gabinetto, nella tazza». Li mettevano con la testa negli escrementi
e si potevano sentire le urla, dato che nel frattempo li colpivano. Nel posto
dove stavamo noi stranieri arrivò un militare che diceva: «A me lasciano la
fogna sudamericana».
Il venerdì presero sei uruguaiani e se li portarono in cantina. Sentimmo le
stesse cose. Uno di quei giorni dalla tribuna, dove tenevano i più importanti,
un cileno gridò: «E in atto lo sciopero». Poi si gettò da lassù spezzandosi una
gamba. Quattro militari lo presero per le estremità, lo colpirono con il calcio
del fucile, e poi gli spararono un colpo. Un altro si alzò e disse: «Abbasso il
fascismo assassino». Fu fucilato anche lui sul posto.
Un altro lottava per strappare il fucile a un militare. Fucilarono sul posto
anche lui. Le botte e le torture erano opera degli ufficiali. I soldati erano più
benevoli.
Un giovane di circa 18 anni impazzì e cominciò a camminare con le mani
alzate avvicinandosi ai soldati. Gli dissero di andare indietro. Siccome non lo
fece, lo fucilarono sul posto.
Un altro ragazzo lo chiamarono di notte. Si gettò dal secondo piano, si rialzò
e cominciò a dare colpi con la testa contro il muro. Gridava che non avrebbe
risposto alla chiamata perché lo avrebbero ammazzato. Un soldato lo fece
rialzare. Lo portarono nello scantinato. Là continuò a gridare ma non tornò.
Chiedevano volontari per distribuire il cibo. La domenica 16 mi presentai
come volontario per distribuire il caffè. Scesi nella cantina per prendere i
recipienti. C'era un ragazzo alto e magro con le mani in alto contro la parete.
Vomitava sangue. Quando terminammo la distribuzione tornammo giù con i
recipienti vuoti. Lo tenevano disteso a terra e lo colpivano con cinghiate e col
calcio di fucile. Circa dieci minuti dopo che eravamo risaliti si udì un colpo di
fucile.
Sentii dire che avevano obbligato a cantare Victor Jara. Ero uscito un giorno
sulle gradinate con il volto sfigurato dai colpi. C'era una signora incinta di
otto mesi distesa sulle mattonelle. Anche lei era stata torturata. Aveva il seno
livido e alla fine abortì.
Ogni notte, in qualsiasi momento, prendevano gente e si udivano urla e
spari. In quattro giorni ammazzarono non meno di 200 persone.
Una notte ci portarono nello scantinato. C'erano militari con fruste e fucili. Ci
colpirono tutti e ci ordinarono di stenderci al suolo. Poi ci fecero alzare e
mettere con la faccia contro la parete e ci bastonarono. Restai zoppo per tre
giorni. Un tipo alla mia destra disse ad un ufficiale: «Io sono di Patria e
Libertà». Parlò del Tacna. L'ufficiale gli chiese qualcosa, come una parola
d'ordine, e poi se lo portò via.
Uno dei colombiani fu obbligato a ballare la cumba nudo mentre lo colpivano.
Fecero finta di fucilarlo sette volte. Rideva per la tensione nervosa. Poi lo
torturarono.
Stadio nazionale (racconto di una donna colombiana)
Avevo tutte le carte in regola. Borsista della Conferenza Episcopale LatinoAmericana in Cile. Fui arrestata per la strada, mentre ero diretta a casa mia.
Quando arrivammo allo Stadio, uscivano due camion. Un ufficiale disse:
«Portano il carico della notte».
La gente passava tutto il giorno e la notte sul pavimento con le gambe aperte
e le mani sulla nuca. Le donne erano perquisite totalmente dai militari. Nella
cella c'era una iugoslava che abortì. L'avevano arrestata all'aeroporto. Non
mangiò per tre giorni. La curavano con aspirine e valium.
C'erano anche sette donne incinte che ricevevano un trattamento migliore.
Una dottoressa, chiamata Elena, del «Campamento Nueva la Habana», ricevette
da un dottore militare l'incarico di occuparsi della salute dei prigionieri. Due
giorni dopo fu isolata nel carcere sotterraneo, accusata di esercitare la
professione medica illegalmente e di essere un capo sovversivo. La
bastonavano tutti i giorni. La tennero in isolamento durante i 15 giorni che io
trascorsi là.
Nancy, una cilena, fu portata nella sede dell'aviazione (FACH). Le
applicarono la corrente elettrica per una ora e mezza, al seno e ai genitali.
Siccome non disse nulla, né pianse, si accanirono contro di lei con la scusa
che doveva essere stata addestrata, il giorno seguente svenne e disse che
sarebbe ricorsa alle Nazioni Unite.
I militari dicevano che i genitori o i compagni o i dirigenti nazionali avevano
consegnato le liste.
Vera Lucia, brasiliana, arrestata prima del «golpe», fu violentata da tre
ufficiali della FACH nel sotterraneo del Ministero della Difesa. Le venne una
infezione. La curavano con aspirine.
Là non fui interrogata.
A quasi tutte le donne facevano la finta fucilazione. Molte erano state
violentate e torturate negli uffici di polizia. Alcune donne di Puente Alto
raccontavano che erano state legate mani e piedi ed esposte per otto giorni
alle intemperie. Ricevevano solo acqua.
Alcune donne furono rapate a zero. A una donna di 72 anni, dopo averla
bastonata, diedero una pistola perché si suicidasse. La chiamavamo «la
Nonna». Organizzava il gruppo e lo incoraggiava. Dopo pochi giorni la
isolarono e la misero in un gabinetto. Sulla fronte le avevano scritto due
lettere F, che significavano che sarebbe stata isolata. Questa donna si
chiamava Mercedes.
Una brasiliana, Angelina, all'interrogatorio gettò il suo documento sul tavolo;
la bastonarono con bastoni di gomma. L'ufficiale le chiese di sedersi, ma essa
rifiutò l'offerta perché aveva paura che tornassero a bastonarla. In presenza
degli altri inquirenti, quello che l'aveva fatta bastonare sostenne che nessuno
l'aveva toccata, ma che ora l'avrebbero fatto. La bastonarono brutalmente a
terra.
Una donna era stata colpita di fronte al marito ed ai figli.
Una domenica ci fu una serie di spari che durò 45 minuti. La versione che ci
diedero fu che stavano attaccando lo Stadio Nazionale. C'erano parenti nella
parte esterna e circa 30 donne che erano uscite dalle celle, dovettero stendersi
a terra per proteggersi dai colpi. Noi pensammo che era stata una manovra
degli ufficiali, giacché i soldati avevano affievolito la disciplina e ci aiutavano
e giocavano anche a carte con i prigionieri.
Gli interrogatori nella FACH li facevano durante la notte. Tutti tornavano
torturati. Una notte passò una persona incappucciata che segnalava delle
donne che poi venivano passate al Tribunale militare.
Udivamo sempre spari durante la notte, ma non sapevamo di che cosa si
trattasse.
Quattro prigioniere erano attrici di varietà. Dovemmo chiedere ad un
ufficiale che non lasciasse entrare i carabinieri poiché era frequente vederli
scherzare pesantemente con queste.
Gli ufficiali delle forze armate erano quelli che torturavano, ed anche quelli
dei carabinieri. I soldati semplici dei carabinieri erano peggiori nel
trattamento dei prigionieri che non quelli dell'esercito
L'assistenza medica era deficiente e ci davano solamente aspirine e valium
per qualsiasi tipo di malattia. Non fummo visitate da nessun medico. In molti
casi era necessario un intervento immediato. La Croce Rossa cilena ci portava
frutta e gallette come se fossero doni dell'istituzione. Poi venimmo a sapere
che i viveri erano inviati dai familiari. (Ci accorgemmo di questo, perché i
contenitori avevano dentro lettere per alcuni prigionieri).
Ad un cappellano dell'esercito, polacco, permisero di entrare, visitare le celle
e parlare con noi. All'inizio alcune provarono a proporgli i propri problemi,
ma non riusciva a risolvere nulla. Distribuiva dolci, gomma da masticare e
caramelle, che venivano rifiutate dalle prigioniere. Era un prete reazionario
ed elogiava il nuovo governo.
Erano detenute anche diverse persone del Partito Nazionale. Alcuni soldati
avvertivano che c'erano delatrici pagate fra le prigioniere. Quando
arrivarono i giornalisti, e per la visita del Cardinale, non potemmo uscire
sulle gradinate dello Stadio. Scelsero dei gruppi per mostrarli.
Quando uscivano a prendere il sole, si vedevano persone con le braccia
fratturate o con ematomi.
Dopo cinque giorni di arresto fui interrogata a causa della richiesta di libertà
presentata dall'ambasciatore di Colombia.
Altre persone restarono dodici o quindici giorni senza essere interrogate.
Nel secondo interrogatorio a cui le sottoponevano, alcune prigioniere
venivano oltraggiate, bastonate, torturate, ecc.
Colombiano (Stadio nazionale).
Nella cella c'era'un brasiliano: Sergio de Moraes, al quale si imputava di aver
costruito i «Tanquetas del Pueblo», (i carri armati del popolo). Era stato
torturato.
Un compagno malato, operaio del Parco O'Higgins, colpito alla testa e allo
stomaco, con un'ulcera ed emorragia interna, urinava e sputava sangue.
Mario Cespedes fu colpito molto, nonostante si fosse presentato
spontaneamente.
Santos Falabera Ortes, cubano di 69 anni, che era venuto in Cile per ragioni
di salute, fu anch'egli bastonato.
Un giovane di cognome Palominos, arrestato con due fratelli, fu bastonato ai
reni e alla testa; urinava sangue, non poteva camminare e dovevano
trasportarlo di peso.
Ad Andres Vanlanker, presidente del Comitato Tessile della CORFO
(Corporacion de Fomento), fratturarono la colonna vertebrale, una tibia e le
costole. Fu riportato dopo l'interrogatorio da un sottufficiale che lo mise
sopra un materassino. Un dottore boliviano (arrivato in Cile il 2 settembre) e
io provammo ad aiutarlo, ma non disponevamo di nessuna risorsa. Non
poteva muoversi e si lamentava continuamente. Facemmo pressione per
ottenere la visita di un medico militare. Quando arrivò e lo fece sedere si
sentì un rumore di ossa ed urla del compagno. Lo spedirono in infermeria ed
una settimana dopo un prigioniero che era stato là lo vide disteso in una
branda, incosciente.
Alberto Corvalan (figlio di Luis Corvalan Lepe) fu interrogato quattro volte
in 15 giorni; volevano ottenere dati sul padre. Veniva sempre bastonato.
Dopo che ebbero arrestato Luis Corvalan, lo interrogarono nuovamente
perché dicesse il luogo dove lo avevano trovato.
Lionel Vial Guzman (uruguaiano). Arrestato in una perquisizione il giorno
14, condotto al ministero della Difesa. Torturato al cavalletto (parrilla) con
elettricità. Provarono ad introdurre il filo nel pene. Non poteva muovere il
braccio destro.
Vincente Soto, con una gamba ingessata. Lo colpirono in modo speciale sulla
parte malata, cosi non poteva camminare.
Radomiro Tomic (figlio) fu bastonato e lo interrogarono sulle armi e su suo
padre.
Antonio José de Barros Lopez, brasiliano, fu torturato, e ne riportò alterazioni
psichiche. Ritornò dal secondo interrogatorio molto malconcio, con attacchi
isterici, chiedendo che lo ammazzassero.
Un funzionario di Obras Publicas, con broncopolmonite, non ricevette alcuna
cura medica.
Pedro Alvez Pillo, trasferito al Tribunale Militare per essere esiliato politico
in Cile.
Tre preti olandesi: Alejandro van der Velt, Julian Brown Kaizer e Enrique...
Quest'ultimo lo accusavano di aver ucciso un carabiniere. I primi due erano
stati arrestati nella loro parrocchia. Perquisirono la Chiesa e la casa.
Snervarono e bastonarono ambedue.
Julio Ramos: accusato di appartenere al GAP (Grupo de Amigos del Presidente).
Applicarono un pungolo elettrico specialmente nei genitali (questo fu nella
sezione investigativa). Lo colpivano con sacchi pieni di sabbia. Aveva le mani
ed i piedi distrutti. Le unghie estirpate, e applicavano le pinze, mentre gli
stritolavano le mani.
Il prete polacco, cappellano dell'Esercito, fu cacciato dalla cella perché era
fascista. In una messa elogiò la giunta militare e fece riferimento alle parole
«sacre» di Pinochet. Non si accettavano i suoi regali. Uno dei preti arrestati lo
scacciò, dicendo che non era un sacerdote ma semplicemente un fascista.
Nella cella dove stavo io si facevano tre turni per dormire. Fummo
suffumigati come misura igienica. Il mercato nero era enorme. Ricevevamo
solo un mestolo di cibo, un pane ed un caffè al giorno.
Uscimmo solamente tre volte a prendere sole in quindici giorni. Ottenemmo
da un caporale dell'esercito sapone e acqua calda. A causa di questo, il
caporale fu punito.
Alcuni compagni videro i soldati puniti nel cortile interno, scalzi, con
l'uniforme di fatica, senza armi né gradi. Ci fu un caso, riconosciuto da noi, di
infiltrazione. Una persona parlava con tutti di politica. Aveva sempre
sigarette. Lo presero insieme ad un altro per un interrogatorio. Rimase
tranquillamente a mangiare pane appoggiato al muro. L'altro compagno
ritornò con la mandibola rotta.
Non ci davano da mangiare, solamente mezzo pane. Nei 15 giorni che restai
in prigione, solamente cinque giorni mangiammo come tutti gli altri. Negli
altri giorni non mangiammo quasi niente. Non ricevevamo nemmeno le cose
che i familiari e gli amici consegnavano alla Croce Rossa.
Fra i prigionieri c'era gente che non aveva niente a che fare con la politica.
C'era anche un commerciante speculatore accusato di estremismo di sinistra.
Juan Carlos Mariti. (Sociologo della FAO: molto maltrattato).
Pedro Alves brasiliano, passò per tutte le celle ad informare che in un aereo
della Forza aerea brasiliana era arrivato lo Squadrone della Morte.
Walter Britz: legato mani e piedi sollevato per quasi 40 cm dal suolo mentre
lo colpivano con «laques» (frusta a tre cinghie). C'era un medico veterinario
che fu interrogato in questa maniera due volte e la terza non ritornò.
Un ausiliario di Comandari (vi erano più di 200 prigionieri di questa fabbrica),
lo distesero per terra e gli camminarono sopra in due. Intanto lo colpivano
alla base del cranio, ai testicoli, ai reni. Gli ordinarono di alzarsi e non poté
farlo, lo alzarono e lanciarono contro il muro, mentre continuavano a
bastonarlo. I medici prigionieri gli diagnosticarono una frattura alla base
cranica. Non ricevette cure mediche.
Un carabiniere in civile raccontò che gli spari che si erano sentiti durante i 45
minuti erano di due camionette che sparavano contro lo Stadio.
Un cittadino del Nicaragua, che aveva 50 dollari USA al momento
dell'arresto, fu accusato di estremismo, rinchiuso in isolamento e deferito al
tribunale di guerra.
Vi erano più di 20 operai tessili, che avevano fra i 15 ed i 18 anni.
Un abitante de «La Ligua» raccontò che erano stati distrutti due autobus di
carabinieri e che si era visto un carabiniere appeso ad un palo della luce.
Una compagna del MIR di Maipù si imbottì gli abiti di dinamite, salì in un
microbus di carabinieri e scoppiò: questo dopo aver saputo che suo marito e
suo fratello erano stati assassinati.
Un altro racconto di un colombiano
Fu perquisito due volte. La prima volta parlò con un tenente che disse di
essere in disaccordo con il golpe. Per la seconda perquisizione fu portato al
decimo Commissariato di polizia. Là fu insultato e nella notte di quel giorno
portato allo Stadio nazionale. Lo portarono in un autobus di carabinieri con
la bocca sul pavimento. Lo tennero due giorni senza mangiare. Diede un
recapito con telefono e indirizzo al prete polacco, ma costui non lo trasmise.
Al sesto giorno lo portarono per la prima volta al sole.
All'ottavo giorno fu interrogato con altri due colombiani. Fu torturato con
altre 180 persone. Durante l'interrogatorio lo obbligarono a correre, a gettarsi
al suolo mentre lo colpivano.
Si incontrò con un amico che era soldato nell'esercito. Questi gli raccontò che
c'era una fossa comune a Renaca dove c'erano circa 2000 cadaveri.
Pedro Chavez do Santos: due cestole rotte per la tortura. Non ottenne cure
mediche. Nella cella la gente si era organizzata. Vi era un delegato per cella.
Uccisioni all'AGUA POTABLE
Il martedì 11 alle 19 li portarono a FAMAE dove furono assassinati. Erano 12
persone.
Ebbi una conversazione con un tenente dell'esercito, che mi disse che i
carabinieri erano i più selvaggi perché era la prima volta che avevano il
permesso di sparare.
Racconto di un colombiano
Ci obbligarono a firmare un documento che diceva testualmente: «Non siamo
stati sottoposti a maltrattamenti fisici o morali».
Per un reclamo mi diedero un colpo con il calcio del fucile sulle sopracciglia.
I soldati vendevano sigarette per 500 escudos.
Un altro
I militari fomentavano le differenze fra cileni e stranieri. Fra reazionari e
sinistra e nella stessa sinistra.
Un altro
La visita dei giornalisti che ci fu allo stadio fu una farsa. Il giorno precedente
avevano selezionato la gente che fu nutrita e tenuta al sole tutto il giorno.
La visita del Cardinale fu diversa. Chiese di entrare nelle celle delle donne.
Entrò, quasi pianse e andò via dallo Stadio, rifiutandosi di tornare ancora.
Un altro
Per la visita dei giornalisti, a quelli scelti per stare sulle scalinate fu detto che
non sarebbero stati interrogati e che sarebbero stati posti in libertà nel giro di
ore. Dopo la visita, i prigionieri furono rimessi nelle celle.
Rapporto sul La Moneda
Vi erano circa 50 persone fra funzionari e GAP (Gruppo di amici del
presidente). Si ebbero poche vittime. La resistenza durò dalle 10.15 alle 15.
Alle 8 circa, con Allende, stava il direttore generale dei carabinieri Sepulveda
Galindo, Cesar Mendoza, e la Guardia del Palazzo (Carabinieri). In seguito
Mendoza si allontanò e non se ne seppe più niente fino a quando non si vide
la sua firma in calce ad uno dei primi comunicati della Giunta di Governo. (Il
primo comunicato della Giunta che fu trasmesso per radio non specificava i
nomi dei firmatari. Invece si diceva testualmente: «firmato: lI Comandante in
capo delle Forze Armate e dei Carabinieri del Cile»).
I prigionieri furono portati alla Scuola Militare e sette di essi al reggimento
Tacna. Questi ultimi erano: Arsenio Poupin, Enrique Huerta (Commissario di
Palazzo), Ricardo Pincheira (PS), Dr. Solo (Cardiologo del Presidente),
Eduardo Paredes (PS) e due Amici del presidente (GAP).
Nel Tacna li tennero tre giorni distesi sul pavimento di pietra e con le mani
sulla nuca, senza mangiare, senza bere, mentre venivano interrogati e
torturati.
Eduardo Parades fu frustato e torturato fino a quando non gli fu dato il colpo
di grazia.
Tutti questi prigionieri furono assassinati.
Perquisizione al Baraccamento (Poblacion) «Hermanos Correrà»
Si svolse dalle 5,30 alle 11 con 250 militari dell'Aviazione e appoggio di carri
armati dell'esercito.
Presero prigionieri alcune persone ed i familiari di questi furono torturati.
In Santiago, il responsabile delle operazioni è il Capitano Hallas (fu lui che
parlò alle mogli dei militari che fecero la manifestazione di fronte alla casa
del General Carlos Prats). Questo capitano ha il suo quartier generale in
«Penalolen». E’ cugino di uno degli assassini di Schneider e fratello di un
importante leader del Partito Nazionale.
Altro
Sulla resistenza nel «Cordon Vienna Mackenna». La fabbrica «Cristalerias Chile»
fu bombardata da un aereo e mitragliata da due elicotteri. Uno di questi
ultimi fu abbattuto.
Ci fu resistenza alla Ronitex, al laboratorio Ceka, alla Loncoleche, alla
Comandari, alla Electetal, alla Luchetti.
La resistenza durò varie ore fino a che non finirono le munizioni.
I militari non riuscirono ad entrare fino a che gli operai non si arresero,
mostrando una bandiera bianca.
Quaranta compagni furono assassinati dopo la resa. Tra questi Pablo Munòz
(commissario) e Marcos Viaux (Presidente del Sindacato di fabbrica).
Alla Comandari, furono presi prigionieri trecento operai e portati allo Stadio
Nazionale dove ne assassinarono 6.
Altro
Università Tecnica (UTE). C'erano circa 600 persone che avevano raggiunto
un accordo con i militari. Secondo l'accordo, queste persone si sarebbero
fermate a dormire lì per rispettare il coprifuoco ed il giorno seguente si
sarebbero consegnate ai militari. Il bombardamento cominciò di notte mentre
tutti dormivano.
Altro
Università Tecnica (UTE). La perquisizione avvenne la notte del giorno 10. Ci
fu una seconda perquisizione alle quattro che terminò alle 7.15 del giorno 11.
Alle due e 45 del pomeriggio, due civili misero due cariche di dinamite, una
negli impianti e l'altra all'antenna. Tutte e due furono fatte esplodere.
Il reattore Hirberg parlamentò per le 300 persone che si trovavano all'interno
della UTE. Molte persone che vivevano o lavoravano alla «Casa de Moneda»,
al Laboratorio e a Villa Portales entrarono a cercare protezione alle prime ore
del mercoledì.
Gli assassinii furono numerosi e premeditati. Non ci fu resistenza.
Furono arrestati a centinaia. Una donna con il figlio in braccio che passava
davanti alla UTE furono uccisi perché il bambino balbettò qualcosa.
SALUD
Alle tre cominciò lo scambio di colpi dall'edificio di approvvigionamento
dello Stato, situato di fronte all'Ospedale San Giovanni di Dio.
Dall'ospedale si vide che lasciavano uscire due persone dall'Università
tecnica per assassinarle mentre si allontanavano.
Fu possibile vedere anche che si scambiavano colpi tra gli stessi militari per
giustificare il massacro.
Il mercoledì 12, tra le 11 e le 12, portarono circa 200 persone allo Stadio Chile.
Il dottore dell'ospedale tentò di trattare con il tenente che comandava le
operazioni per portare gente fuori dell'università Tecnica. Costui rispose che
se lui o l'ambulanza passavano di un centimetro oltre la linea dei soldati
apriva il fuoco.
Yarur
La perquisizione avvenne dalle 16 di martedì 11 alle cinque di mercoledì 12.
Furono presi prigionieri centotrenta operai tra i quali c'erano 12 o 13
compagne. Gli rubarono la paga e la tessera del 18 settembre.
Le compagne furono violentate, compresa una che era incinta.
In queste tredici ore non fu trovato nessun tipo di arma.
Ospedale San Giovanni di Dio
Il martedì non arrivarono malati, il mercoledì 12 cominciarono le operazioni.
Il «Comando de Defensa de la Salud de Pueblo» che funzionava nell'Ospedale
decise di evacuare la gente. Approssimativamente 300 persone.
Il portiere Manuel Ibanez fu ucciso sulla porta stessa dell'edificio.
Jorge Caseres fu frustato e portato via dall'edificio quando era in agonia; era
ausiliario di infermeria.
Raul Gonzales Moran, barelliere della maternità, fu assassinato.
Lucio Bagas Valenzuela, ausiliario, assassinato.
Manuel Briceno ed altri due interni, frustati, morte non confermata.
Alejandro Paller e Beatriz Gilabert e la Signora Ducoz e Luis Radiila,
elettricista, scomparsi.
Tutta la gente di sinistra fu licenziata e il Comando dell'Ospedale fu preso da
un militare con la consulenza dei medici «momios» (reazionari).
Patria e Libertà mise delle armi al terzo piano, per cui poi furono accusati e
licenziati quelli di sinistra.
Nelle operazioni militari le forze armate non hanno osservato la minima
regola di umanità; non hanno rispettato né le operazioni chirurgiche, né le
sale dei neonati, né i bambini, né le incubatrici né nulla.
Consultorio periferico di LAMPA
II Dottor Sanchez, che è capitano d'aviazione, è venuto il giorno mercoledì 12
al consultorio a cercare due ausiliari d'infermeria e l'autista e se li è portati
via sulla macchina stessa del Consultorio, alla base di Colina dove li ha
trattenuti in arresto.
Ministero della Difesa
Di fronte al palazzo c'erano 4 code: una per fare denunce, l'altra per chiedere
informazioni sui prigionieri, l'altra per gli scomparsi e l'altra ancora per i
morti.
All'obitorio davano l'autorizzazione per entrare solo a quelli che potevano
identificare dei pesci grossi.
Il giorno 19 uno che entrò calcolò di aver visto circa 400 cadaveri nudi in
mucchi da cinque a sette. La maggioranza erano giovani.
Concepciòn
All'angolo del 4° commissariato una pattuglia portava un prigioniero a cui fu
dato l'ordine di scappare e quando lo fece gli spararono alle spalle.
Alle perquisizioni dei militari partecipavano anche i civili. Furono
riconosciuti dei membri del Partito Nazionale che portavano al risvolto della
giacca un distintivo che diceva volontario della patria.
Nella cella del 4° Commissariato c'erano dei diplomatici tedeschi ed un
boliviano con una costola rotta. Più tardi furono portati allo stadio e di lì alla
base navale. Là li costrinsero a correre, a gettarsi per terra dalle 14 alle 18.
Alle 19, li portarono alla isola Quiriquina dopo averli spaventati
psicologicamente che c'era molto da nuotare e cose del genere. Lì li misero in
uno stadio di pallacanestro e li interrogarono per la terza volta, mentre
poliziotti e mozzi facevano finta di fucilarli.
C'erano tra gli ottocento e novecento detenuti. C'erano mozzi molto giovani,
tra i quattordici ed i quindici anni: a due di essi scapparono dei colpi che
provocarono dei morti.
Interrogavano con liste di studenti universitari di sinistra in mano.
I fratelli Vergara furono trattenuti e non se ne è saputo più nulla.
Teatro di Concepciòn
Fu bruciato dai militari. Questi stavano proprio dietro l'edificio bruciando
libri. Ce n'era un mucchio gigantesco. Alla Quiriquina si sentivano spari nella
notte.
Due ecuadoriani sono stati uccisi. Uno è stato assassinato e l'altro si è
impiccato.
C'erano anche dei democristiani detenuti.
Case dello Studente
Perquisita la notte tra il 10 e l’11, tutti gli studenti sono stati incarcerati.
L'Ospedale regionale di Concepciòn fu perquisito e molti sono stati arrestati.
Huachipato e l'ENAP sono stati occupati militarmente la notte fra il 10 e l’11.
A Concepciòn non c'è stata soluzione di continuità fra i giorni precedenti e
quelli successivi all’11.
Per esempio, numerosi studenti sono stati arrestati e sono scomparsi tre o
quattro giorni prima. Tornavano rapati e torturati; venivano portati alla
Quiriquina. Venivano sottoposti all’«affogamento» ed al metodo delle «tazze».
Quest'ultimo consiste nell'affondare la testa negli escrementi dei cessi,
obbligando a mangiarli.
Nuble (Chillan)
Il golpe è cominciato la notte tra il 10 e l’11 con perquisizioni massicce ed
arresti.
Il Prefetto Juan de Dios Fuentes è stato preso alle 6 del giorno a casa sua.
La notte del 12 nel baraccamento Violeta Parrà diciassette marines vestiti da
civili hanno distribuito armi e sono spariti verso il Sud della Città.
A Chillan è stato assassinato Patricio Alarcòn, della Commissione agraria del
Partito Socialista, gettato nel fiume Nuble.
Sono stati arrestati tutti i dirigenti sindacali della campagna.
Nell'Asentamiento Larqui: tutti arrestati ed uno assassinato.
Nell'Asentamiento Bureo: tutti arrestati ed uno assassinato.
A Chillan i cadaveri erano portati al reggimento di fanteria n. 9; lì li
appendevano con ganci di macelleria nei tendini.
Nelle perquisizioni alle fabbriche gli operai venivano rapati. Alle donne si
proibiva di portare i pantaloni e glieli strappavano se li usavano.
Ricardo Lagos (sindaco della città) è stato ucciso a raffiche di mitra a casa
sua, insieme alla moglie e al figlio.
Assassinati anche tutti i membri di una famiglia di baraccati di sinistra di
cognome Canchino: il padre di 55 anni, la madre di 50, una figlia di 25 e tre
bambini di 3,5, 7 anni.
Victor Lavandero doveva operarsi il giorno 11. E stato arrestato perché non si
trovava a casa sua. Torturato, gli hanno rotto il polso e pestata la faccia.
Il giorno 3 ottobre in carcere c'erano 370 detenuti.
Puente Alto
Il giorno 11 e il 12 ci fu un tentativo di assalto al campo dei carabinieri.
Quattro di sinistra furono presi per essere fucilati il giorno 12. Due militari
rifiutarono di farlo e furono arrestati con l'ordine di fucilarli. A causa di
questo ci fu una ribellione. Morirono trenta fra soldati e carabinieri e circa
120 civili.
Fonte: Quaderni piacentini, n.51, gennaio 1974