testimonianze di stranieri vittime della repressione
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testimonianze di stranieri vittime della repressione
America latina Cile Quell’11 settembre del 1973 Lo stadio di Santiago trasformato in un lager TESTIMONIANZE DI STRANIERI VITTIME DELLA REPRESSIONE FASCISTA MESSA IN ATTO DALLA GIUNTA MILITARE IN CILE Ci pervengono queste testimonianze, raccolte da persone non specificamente nell'attività politica della sinistra, ma non dì meno coinvolte dalla repressione dei militari cileni. L'attendibilità ne è garantita dalla serietà della persona che ce le ha trasmesse (di cui non possiamo fare il nome) e dalla coincidenza con le informazioni di altri compagni, testimoni diretti di alcuni episodi qui riferiti. Le condizioni particolarmente difficili in cui queste testimonianze sono state raccolte ne spiegano la frammentarietà e la non perfetta perspicuità di qualche punto. Abbiamo, peraltro, preferito astenerci da ogni tipo di intervento, lasciando il testo così come ci è stato trasmesso. Sono stato arrestato mercoledì 12 settembre, con cinque venezuelani, in un appartamento situato al centro di Santiago. I vicini avevano avvertito i militari che nella nostra casa si trovavano stranieri e fra essi anche una coppia. Dodici militari buttarono all'aria tutte le nostre cose. Rovesciarono tutto, nonostante noi avessimo tutti i nostri documenti in regola. L'ufficiale a capo della pattuglia, un maggiore dell'Aviazione (FACH), controllava tutti i nostri documenti e ci interrogava. Fece un commento sopra Banquil dicendo che i Capitulos de la Hisloria de Chile erano la maniera in cui i marxisti travisavano la storia. Che interessante, dissi io. Si girò e mi diede il primo schiaffo. Il maggiore ordinò che portassero un veicolo e ci trasportarono al ministero della Difesa verso le 15. Dalla porta fino al sotterraneo era tutto pieno di militari che ci davano per lo meno una sberla. Dovunque passavamo ci colpivano. Noi camminavamo con le mani sulla nuca. Non potevamo neppure guardarli in faccia perché ci era stato proibito. Non potevamo fare nulla. Erano due piani di sotterraneo. Ci portarono al primo, quello più in basso. Lì c'erano una dozzina di compagni che erano stati torturati. Tutti con le mani sulla nuca e con i piedi aperti contro la parete. Le compagne furono messe in una camera. Quindici militari le spogliarono e contemporaneamente le toccavano e le interrogavano. Per loro era il secondo interrogatorio. Intanto ci tenevano in una stanza contigua. Cominciarono dapprima a colpirci alle costole. Allora un ufficiale ordinò che ci spogliassero perché altrimenti ci avrebbero lasciato dei segni. Ci fecero stendere al suolo e cominciarono a picchiarci più duramente: botte ai reni, alle costole e alla testa. Intanto ci interrogavano. Dopo mezz'ora di «interrogatorio» ci portarono al nono piano, ufficio 85 del SIM. Dalle 3.30 fino all'una del giorno 13 (giovedì) ci tennero in un corridoio di fronte agli uffici con le mani sulla nuca, i piedi aperti, senza poter andare al gabinetto, né prendere acqua né mangiare. Alle 21, un compagno, si senti male e vomitò. Non poté neppure sedersi. Se non si manteneva dritto lo picchiavano perché si raddrizzasse. All'una e mezza di giovedì tredici novembre, ci portarono allo Stadio Chile. All'arrivo al ministero della Difesa a un militare scappò un colpo che danneggiò il giubbotto ad un compagno venezuelano e ferì un militare. All'arrivo, allo stadio Chile, ci misero un'altra volta contro la parete per mezz'ora. Il comandante dello Stadio ci interrogò per la terza volta. Dopo mezz'ora ci portarono al cancello dello stadio. Ci fecero mettere uno per uno, separati, a circa quattro metri di distanza, bocconi sul suolo di pietra con le mani sulla nuca. Non ci diedero neppure una coperta. Durante tutto il giorno di giovedì non ci diedero nulla da mangiare e ci tennero sempre in piedi. Ai professori dell'Università Tecnica che stavano accanto a noi permisero solo di sedersi quando diedero loro un pezzo di pane con il caffè e solo per un pò. Alla sera arrivarono due argentini. Alti, biondi, erano stati rapati. Erano stati presi in uno scontro a fuoco mentre difendevano una fabbrica. Erano accusati di aver «deriso» gli ufficiali. Per questo motivo li colpivano più degli altri. Sul fare della notte si avvicinarono due carabinieri e li interrogarono: gli mettevano il calcio dei fucili mitragliatori (SIG) sulle dita dei piedi e facevano forza con tutto il corpo, ruotando il calcio. Gli operai argentini non dicevano una parola. Si mordevano le labbra per non gridare. Più tardi sapemmo che questi compagni, Miguel Angel Latorre e Teodoro Bartoledo, erano stati fucilati. Il sabato si ammalò un compagno e lo portarono all'infermeria. Gli diedero aspirine e ritornò subito. Raccontò che là aveva visto sei cadaveri con delle mutilazioni. Aveva visto anche il vice direttore del Servizio delle prigioni: Litre Quiroga. Era irriconoscibile. Aveva le labbra gonfie, gli occhi neri, ematomi in tutto il corpo. Il sabato, alle tre del mattino, si udirono dei gridi nel cortile interno che dicevano: «Ammazzatemi, figli di puttana» Risuonarono dei colpi e non sapemmo più nulla di Litre Quiroga. I compagni che stavano nella cella più vicina al luogo dove fu fucilato Litre Quiroga, udirono che i torturatori dicevano: «Così trattavi il mio generale Viaux». La domenica 16 ci portarono allo Stadio Nazionale. Eravamo più di 5000 persone. Là ci davano una tazza di caffè alle 9 o 10 della mattina. Ci facevano alzare alle 7,30 del mattino. Alle 11 ci davano un pezzo di pane. Verso le 17 ci davano un mestolo di fagioli o di ceci. Il giorno 2 di ottobre uscii in libertà a mezzogiorno. Durante i giorni di permanenza nello stadio ebbi occasione di vedere un compagno brasiliano, Pedro Chavez do Santos, che aveva una costola fratturata e non riceveva alcuna assistenza medica. Un argentino, del quale non so il nome, mi raccontò che lo avevano appeso con le mani ed i piedi legati assieme e gli avevano applicato l'elettricità. Molti compagni stranieri furono sottoposti ad un tribunale militare. Molti di essi non avevano mai partecipato ad attività politiche. Uno di essi, per esempio, lo arrestarono mentre stava in automobile con un ragazzo di 15 anni. Al ragazzo, un ufficiale della FACH disse che se dichiarava che nell'auto c'erano state due persone armate di mitra lo avrebbero lasciato in libertà. Il ragazzo acconsentì. Dopodiché il conducente del veicolo fu portato nell'infermeria e non si seppe più nulla di lui. Il ragazzo non fu rilasciato. In totale restai prigioniero per 22 giorni. Colombiano. Ci presero nella fabbrica VINEZ e ci misero bocconi al suolo per circa un'ora. Si presero il denaro e gli oggetti personali. Quando riconobbero il commissario (interventor) lo colpirono con il calcio del fucile. C'erano tre donne di fronte alla fabbrica IRT, luogo dove dicono ci sia stata resistenza; ammazzarono una donna ed un bambino. Bastonarono un cubano e poi lo fucilarono. Vedendo questo le operaie gridarono e furono bastonate e messe bocconi al suolo. Ci colpirono con il calcio del fucile. Mi spaccarono la testa e svenni. Un boliviano che disse di essere comunista, lo bastonarono come gli altri e gli dissero che gli avrebbero fatto fare la stessa fine del cubano. Ci misero in fila e tornarono a colpirci con il calcio del fucile, poi ci portarono in tre a un microbus dei carabinieri. Ci misero con il corpo contro i finestrini per proteggersi dai franchi tiratori e da dietro ci colpivano con il calcio del fucile. Ci dissero: «Con tutti gli stranieri faremo sapone, già che è tanto scarso». Poi ci portarono alla Stadio Cile. Era il giorno 12. All'entrata, tutti i militari ci prendevano a calci. Poi ci tolsero i vestiti. A quelli che non erano già stati derubati, rubavano le loro cose lì. Quella notte, tra le 22 e le 23, fecero uscire due argentini torturati. Li portarono nel sotterraneo da dove potemmo udire le loro urla e infine gli spari. Vi erano otto cubani, fra di essi una donna. Li portarono nel sotterraneo anch'essi. Si udivano chiaramente le grida della donna e degli altri. Quando si affievolivano le grida, si potevano sentire i militari che dicevano: «Portateli nel gabinetto, nella tazza». Li mettevano con la testa negli escrementi e si potevano sentire le urla, dato che nel frattempo li colpivano. Nel posto dove stavamo noi stranieri arrivò un militare che diceva: «A me lasciano la fogna sudamericana». Il venerdì presero sei uruguaiani e se li portarono in cantina. Sentimmo le stesse cose. Uno di quei giorni dalla tribuna, dove tenevano i più importanti, un cileno gridò: «E in atto lo sciopero». Poi si gettò da lassù spezzandosi una gamba. Quattro militari lo presero per le estremità, lo colpirono con il calcio del fucile, e poi gli spararono un colpo. Un altro si alzò e disse: «Abbasso il fascismo assassino». Fu fucilato anche lui sul posto. Un altro lottava per strappare il fucile a un militare. Fucilarono sul posto anche lui. Le botte e le torture erano opera degli ufficiali. I soldati erano più benevoli. Un giovane di circa 18 anni impazzì e cominciò a camminare con le mani alzate avvicinandosi ai soldati. Gli dissero di andare indietro. Siccome non lo fece, lo fucilarono sul posto. Un altro ragazzo lo chiamarono di notte. Si gettò dal secondo piano, si rialzò e cominciò a dare colpi con la testa contro il muro. Gridava che non avrebbe risposto alla chiamata perché lo avrebbero ammazzato. Un soldato lo fece rialzare. Lo portarono nello scantinato. Là continuò a gridare ma non tornò. Chiedevano volontari per distribuire il cibo. La domenica 16 mi presentai come volontario per distribuire il caffè. Scesi nella cantina per prendere i recipienti. C'era un ragazzo alto e magro con le mani in alto contro la parete. Vomitava sangue. Quando terminammo la distribuzione tornammo giù con i recipienti vuoti. Lo tenevano disteso a terra e lo colpivano con cinghiate e col calcio di fucile. Circa dieci minuti dopo che eravamo risaliti si udì un colpo di fucile. Sentii dire che avevano obbligato a cantare Victor Jara. Ero uscito un giorno sulle gradinate con il volto sfigurato dai colpi. C'era una signora incinta di otto mesi distesa sulle mattonelle. Anche lei era stata torturata. Aveva il seno livido e alla fine abortì. Ogni notte, in qualsiasi momento, prendevano gente e si udivano urla e spari. In quattro giorni ammazzarono non meno di 200 persone. Una notte ci portarono nello scantinato. C'erano militari con fruste e fucili. Ci colpirono tutti e ci ordinarono di stenderci al suolo. Poi ci fecero alzare e mettere con la faccia contro la parete e ci bastonarono. Restai zoppo per tre giorni. Un tipo alla mia destra disse ad un ufficiale: «Io sono di Patria e Libertà». Parlò del Tacna. L'ufficiale gli chiese qualcosa, come una parola d'ordine, e poi se lo portò via. Uno dei colombiani fu obbligato a ballare la cumba nudo mentre lo colpivano. Fecero finta di fucilarlo sette volte. Rideva per la tensione nervosa. Poi lo torturarono. Stadio nazionale (racconto di una donna colombiana) Avevo tutte le carte in regola. Borsista della Conferenza Episcopale LatinoAmericana in Cile. Fui arrestata per la strada, mentre ero diretta a casa mia. Quando arrivammo allo Stadio, uscivano due camion. Un ufficiale disse: «Portano il carico della notte». La gente passava tutto il giorno e la notte sul pavimento con le gambe aperte e le mani sulla nuca. Le donne erano perquisite totalmente dai militari. Nella cella c'era una iugoslava che abortì. L'avevano arrestata all'aeroporto. Non mangiò per tre giorni. La curavano con aspirine e valium. C'erano anche sette donne incinte che ricevevano un trattamento migliore. Una dottoressa, chiamata Elena, del «Campamento Nueva la Habana», ricevette da un dottore militare l'incarico di occuparsi della salute dei prigionieri. Due giorni dopo fu isolata nel carcere sotterraneo, accusata di esercitare la professione medica illegalmente e di essere un capo sovversivo. La bastonavano tutti i giorni. La tennero in isolamento durante i 15 giorni che io trascorsi là. Nancy, una cilena, fu portata nella sede dell'aviazione (FACH). Le applicarono la corrente elettrica per una ora e mezza, al seno e ai genitali. Siccome non disse nulla, né pianse, si accanirono contro di lei con la scusa che doveva essere stata addestrata, il giorno seguente svenne e disse che sarebbe ricorsa alle Nazioni Unite. I militari dicevano che i genitori o i compagni o i dirigenti nazionali avevano consegnato le liste. Vera Lucia, brasiliana, arrestata prima del «golpe», fu violentata da tre ufficiali della FACH nel sotterraneo del Ministero della Difesa. Le venne una infezione. La curavano con aspirine. Là non fui interrogata. A quasi tutte le donne facevano la finta fucilazione. Molte erano state violentate e torturate negli uffici di polizia. Alcune donne di Puente Alto raccontavano che erano state legate mani e piedi ed esposte per otto giorni alle intemperie. Ricevevano solo acqua. Alcune donne furono rapate a zero. A una donna di 72 anni, dopo averla bastonata, diedero una pistola perché si suicidasse. La chiamavamo «la Nonna». Organizzava il gruppo e lo incoraggiava. Dopo pochi giorni la isolarono e la misero in un gabinetto. Sulla fronte le avevano scritto due lettere F, che significavano che sarebbe stata isolata. Questa donna si chiamava Mercedes. Una brasiliana, Angelina, all'interrogatorio gettò il suo documento sul tavolo; la bastonarono con bastoni di gomma. L'ufficiale le chiese di sedersi, ma essa rifiutò l'offerta perché aveva paura che tornassero a bastonarla. In presenza degli altri inquirenti, quello che l'aveva fatta bastonare sostenne che nessuno l'aveva toccata, ma che ora l'avrebbero fatto. La bastonarono brutalmente a terra. Una donna era stata colpita di fronte al marito ed ai figli. Una domenica ci fu una serie di spari che durò 45 minuti. La versione che ci diedero fu che stavano attaccando lo Stadio Nazionale. C'erano parenti nella parte esterna e circa 30 donne che erano uscite dalle celle, dovettero stendersi a terra per proteggersi dai colpi. Noi pensammo che era stata una manovra degli ufficiali, giacché i soldati avevano affievolito la disciplina e ci aiutavano e giocavano anche a carte con i prigionieri. Gli interrogatori nella FACH li facevano durante la notte. Tutti tornavano torturati. Una notte passò una persona incappucciata che segnalava delle donne che poi venivano passate al Tribunale militare. Udivamo sempre spari durante la notte, ma non sapevamo di che cosa si trattasse. Quattro prigioniere erano attrici di varietà. Dovemmo chiedere ad un ufficiale che non lasciasse entrare i carabinieri poiché era frequente vederli scherzare pesantemente con queste. Gli ufficiali delle forze armate erano quelli che torturavano, ed anche quelli dei carabinieri. I soldati semplici dei carabinieri erano peggiori nel trattamento dei prigionieri che non quelli dell'esercito L'assistenza medica era deficiente e ci davano solamente aspirine e valium per qualsiasi tipo di malattia. Non fummo visitate da nessun medico. In molti casi era necessario un intervento immediato. La Croce Rossa cilena ci portava frutta e gallette come se fossero doni dell'istituzione. Poi venimmo a sapere che i viveri erano inviati dai familiari. (Ci accorgemmo di questo, perché i contenitori avevano dentro lettere per alcuni prigionieri). Ad un cappellano dell'esercito, polacco, permisero di entrare, visitare le celle e parlare con noi. All'inizio alcune provarono a proporgli i propri problemi, ma non riusciva a risolvere nulla. Distribuiva dolci, gomma da masticare e caramelle, che venivano rifiutate dalle prigioniere. Era un prete reazionario ed elogiava il nuovo governo. Erano detenute anche diverse persone del Partito Nazionale. Alcuni soldati avvertivano che c'erano delatrici pagate fra le prigioniere. Quando arrivarono i giornalisti, e per la visita del Cardinale, non potemmo uscire sulle gradinate dello Stadio. Scelsero dei gruppi per mostrarli. Quando uscivano a prendere il sole, si vedevano persone con le braccia fratturate o con ematomi. Dopo cinque giorni di arresto fui interrogata a causa della richiesta di libertà presentata dall'ambasciatore di Colombia. Altre persone restarono dodici o quindici giorni senza essere interrogate. Nel secondo interrogatorio a cui le sottoponevano, alcune prigioniere venivano oltraggiate, bastonate, torturate, ecc. Colombiano (Stadio nazionale). Nella cella c'era'un brasiliano: Sergio de Moraes, al quale si imputava di aver costruito i «Tanquetas del Pueblo», (i carri armati del popolo). Era stato torturato. Un compagno malato, operaio del Parco O'Higgins, colpito alla testa e allo stomaco, con un'ulcera ed emorragia interna, urinava e sputava sangue. Mario Cespedes fu colpito molto, nonostante si fosse presentato spontaneamente. Santos Falabera Ortes, cubano di 69 anni, che era venuto in Cile per ragioni di salute, fu anch'egli bastonato. Un giovane di cognome Palominos, arrestato con due fratelli, fu bastonato ai reni e alla testa; urinava sangue, non poteva camminare e dovevano trasportarlo di peso. Ad Andres Vanlanker, presidente del Comitato Tessile della CORFO (Corporacion de Fomento), fratturarono la colonna vertebrale, una tibia e le costole. Fu riportato dopo l'interrogatorio da un sottufficiale che lo mise sopra un materassino. Un dottore boliviano (arrivato in Cile il 2 settembre) e io provammo ad aiutarlo, ma non disponevamo di nessuna risorsa. Non poteva muoversi e si lamentava continuamente. Facemmo pressione per ottenere la visita di un medico militare. Quando arrivò e lo fece sedere si sentì un rumore di ossa ed urla del compagno. Lo spedirono in infermeria ed una settimana dopo un prigioniero che era stato là lo vide disteso in una branda, incosciente. Alberto Corvalan (figlio di Luis Corvalan Lepe) fu interrogato quattro volte in 15 giorni; volevano ottenere dati sul padre. Veniva sempre bastonato. Dopo che ebbero arrestato Luis Corvalan, lo interrogarono nuovamente perché dicesse il luogo dove lo avevano trovato. Lionel Vial Guzman (uruguaiano). Arrestato in una perquisizione il giorno 14, condotto al ministero della Difesa. Torturato al cavalletto (parrilla) con elettricità. Provarono ad introdurre il filo nel pene. Non poteva muovere il braccio destro. Vincente Soto, con una gamba ingessata. Lo colpirono in modo speciale sulla parte malata, cosi non poteva camminare. Radomiro Tomic (figlio) fu bastonato e lo interrogarono sulle armi e su suo padre. Antonio José de Barros Lopez, brasiliano, fu torturato, e ne riportò alterazioni psichiche. Ritornò dal secondo interrogatorio molto malconcio, con attacchi isterici, chiedendo che lo ammazzassero. Un funzionario di Obras Publicas, con broncopolmonite, non ricevette alcuna cura medica. Pedro Alvez Pillo, trasferito al Tribunale Militare per essere esiliato politico in Cile. Tre preti olandesi: Alejandro van der Velt, Julian Brown Kaizer e Enrique... Quest'ultimo lo accusavano di aver ucciso un carabiniere. I primi due erano stati arrestati nella loro parrocchia. Perquisirono la Chiesa e la casa. Snervarono e bastonarono ambedue. Julio Ramos: accusato di appartenere al GAP (Grupo de Amigos del Presidente). Applicarono un pungolo elettrico specialmente nei genitali (questo fu nella sezione investigativa). Lo colpivano con sacchi pieni di sabbia. Aveva le mani ed i piedi distrutti. Le unghie estirpate, e applicavano le pinze, mentre gli stritolavano le mani. Il prete polacco, cappellano dell'Esercito, fu cacciato dalla cella perché era fascista. In una messa elogiò la giunta militare e fece riferimento alle parole «sacre» di Pinochet. Non si accettavano i suoi regali. Uno dei preti arrestati lo scacciò, dicendo che non era un sacerdote ma semplicemente un fascista. Nella cella dove stavo io si facevano tre turni per dormire. Fummo suffumigati come misura igienica. Il mercato nero era enorme. Ricevevamo solo un mestolo di cibo, un pane ed un caffè al giorno. Uscimmo solamente tre volte a prendere sole in quindici giorni. Ottenemmo da un caporale dell'esercito sapone e acqua calda. A causa di questo, il caporale fu punito. Alcuni compagni videro i soldati puniti nel cortile interno, scalzi, con l'uniforme di fatica, senza armi né gradi. Ci fu un caso, riconosciuto da noi, di infiltrazione. Una persona parlava con tutti di politica. Aveva sempre sigarette. Lo presero insieme ad un altro per un interrogatorio. Rimase tranquillamente a mangiare pane appoggiato al muro. L'altro compagno ritornò con la mandibola rotta. Non ci davano da mangiare, solamente mezzo pane. Nei 15 giorni che restai in prigione, solamente cinque giorni mangiammo come tutti gli altri. Negli altri giorni non mangiammo quasi niente. Non ricevevamo nemmeno le cose che i familiari e gli amici consegnavano alla Croce Rossa. Fra i prigionieri c'era gente che non aveva niente a che fare con la politica. C'era anche un commerciante speculatore accusato di estremismo di sinistra. Juan Carlos Mariti. (Sociologo della FAO: molto maltrattato). Pedro Alves brasiliano, passò per tutte le celle ad informare che in un aereo della Forza aerea brasiliana era arrivato lo Squadrone della Morte. Walter Britz: legato mani e piedi sollevato per quasi 40 cm dal suolo mentre lo colpivano con «laques» (frusta a tre cinghie). C'era un medico veterinario che fu interrogato in questa maniera due volte e la terza non ritornò. Un ausiliario di Comandari (vi erano più di 200 prigionieri di questa fabbrica), lo distesero per terra e gli camminarono sopra in due. Intanto lo colpivano alla base del cranio, ai testicoli, ai reni. Gli ordinarono di alzarsi e non poté farlo, lo alzarono e lanciarono contro il muro, mentre continuavano a bastonarlo. I medici prigionieri gli diagnosticarono una frattura alla base cranica. Non ricevette cure mediche. Un carabiniere in civile raccontò che gli spari che si erano sentiti durante i 45 minuti erano di due camionette che sparavano contro lo Stadio. Un cittadino del Nicaragua, che aveva 50 dollari USA al momento dell'arresto, fu accusato di estremismo, rinchiuso in isolamento e deferito al tribunale di guerra. Vi erano più di 20 operai tessili, che avevano fra i 15 ed i 18 anni. Un abitante de «La Ligua» raccontò che erano stati distrutti due autobus di carabinieri e che si era visto un carabiniere appeso ad un palo della luce. Una compagna del MIR di Maipù si imbottì gli abiti di dinamite, salì in un microbus di carabinieri e scoppiò: questo dopo aver saputo che suo marito e suo fratello erano stati assassinati. Un altro racconto di un colombiano Fu perquisito due volte. La prima volta parlò con un tenente che disse di essere in disaccordo con il golpe. Per la seconda perquisizione fu portato al decimo Commissariato di polizia. Là fu insultato e nella notte di quel giorno portato allo Stadio nazionale. Lo portarono in un autobus di carabinieri con la bocca sul pavimento. Lo tennero due giorni senza mangiare. Diede un recapito con telefono e indirizzo al prete polacco, ma costui non lo trasmise. Al sesto giorno lo portarono per la prima volta al sole. All'ottavo giorno fu interrogato con altri due colombiani. Fu torturato con altre 180 persone. Durante l'interrogatorio lo obbligarono a correre, a gettarsi al suolo mentre lo colpivano. Si incontrò con un amico che era soldato nell'esercito. Questi gli raccontò che c'era una fossa comune a Renaca dove c'erano circa 2000 cadaveri. Pedro Chavez do Santos: due cestole rotte per la tortura. Non ottenne cure mediche. Nella cella la gente si era organizzata. Vi era un delegato per cella. Uccisioni all'AGUA POTABLE Il martedì 11 alle 19 li portarono a FAMAE dove furono assassinati. Erano 12 persone. Ebbi una conversazione con un tenente dell'esercito, che mi disse che i carabinieri erano i più selvaggi perché era la prima volta che avevano il permesso di sparare. Racconto di un colombiano Ci obbligarono a firmare un documento che diceva testualmente: «Non siamo stati sottoposti a maltrattamenti fisici o morali». Per un reclamo mi diedero un colpo con il calcio del fucile sulle sopracciglia. I soldati vendevano sigarette per 500 escudos. Un altro I militari fomentavano le differenze fra cileni e stranieri. Fra reazionari e sinistra e nella stessa sinistra. Un altro La visita dei giornalisti che ci fu allo stadio fu una farsa. Il giorno precedente avevano selezionato la gente che fu nutrita e tenuta al sole tutto il giorno. La visita del Cardinale fu diversa. Chiese di entrare nelle celle delle donne. Entrò, quasi pianse e andò via dallo Stadio, rifiutandosi di tornare ancora. Un altro Per la visita dei giornalisti, a quelli scelti per stare sulle scalinate fu detto che non sarebbero stati interrogati e che sarebbero stati posti in libertà nel giro di ore. Dopo la visita, i prigionieri furono rimessi nelle celle. Rapporto sul La Moneda Vi erano circa 50 persone fra funzionari e GAP (Gruppo di amici del presidente). Si ebbero poche vittime. La resistenza durò dalle 10.15 alle 15. Alle 8 circa, con Allende, stava il direttore generale dei carabinieri Sepulveda Galindo, Cesar Mendoza, e la Guardia del Palazzo (Carabinieri). In seguito Mendoza si allontanò e non se ne seppe più niente fino a quando non si vide la sua firma in calce ad uno dei primi comunicati della Giunta di Governo. (Il primo comunicato della Giunta che fu trasmesso per radio non specificava i nomi dei firmatari. Invece si diceva testualmente: «firmato: lI Comandante in capo delle Forze Armate e dei Carabinieri del Cile»). I prigionieri furono portati alla Scuola Militare e sette di essi al reggimento Tacna. Questi ultimi erano: Arsenio Poupin, Enrique Huerta (Commissario di Palazzo), Ricardo Pincheira (PS), Dr. Solo (Cardiologo del Presidente), Eduardo Paredes (PS) e due Amici del presidente (GAP). Nel Tacna li tennero tre giorni distesi sul pavimento di pietra e con le mani sulla nuca, senza mangiare, senza bere, mentre venivano interrogati e torturati. Eduardo Parades fu frustato e torturato fino a quando non gli fu dato il colpo di grazia. Tutti questi prigionieri furono assassinati. Perquisizione al Baraccamento (Poblacion) «Hermanos Correrà» Si svolse dalle 5,30 alle 11 con 250 militari dell'Aviazione e appoggio di carri armati dell'esercito. Presero prigionieri alcune persone ed i familiari di questi furono torturati. In Santiago, il responsabile delle operazioni è il Capitano Hallas (fu lui che parlò alle mogli dei militari che fecero la manifestazione di fronte alla casa del General Carlos Prats). Questo capitano ha il suo quartier generale in «Penalolen». E’ cugino di uno degli assassini di Schneider e fratello di un importante leader del Partito Nazionale. Altro Sulla resistenza nel «Cordon Vienna Mackenna». La fabbrica «Cristalerias Chile» fu bombardata da un aereo e mitragliata da due elicotteri. Uno di questi ultimi fu abbattuto. Ci fu resistenza alla Ronitex, al laboratorio Ceka, alla Loncoleche, alla Comandari, alla Electetal, alla Luchetti. La resistenza durò varie ore fino a che non finirono le munizioni. I militari non riuscirono ad entrare fino a che gli operai non si arresero, mostrando una bandiera bianca. Quaranta compagni furono assassinati dopo la resa. Tra questi Pablo Munòz (commissario) e Marcos Viaux (Presidente del Sindacato di fabbrica). Alla Comandari, furono presi prigionieri trecento operai e portati allo Stadio Nazionale dove ne assassinarono 6. Altro Università Tecnica (UTE). C'erano circa 600 persone che avevano raggiunto un accordo con i militari. Secondo l'accordo, queste persone si sarebbero fermate a dormire lì per rispettare il coprifuoco ed il giorno seguente si sarebbero consegnate ai militari. Il bombardamento cominciò di notte mentre tutti dormivano. Altro Università Tecnica (UTE). La perquisizione avvenne la notte del giorno 10. Ci fu una seconda perquisizione alle quattro che terminò alle 7.15 del giorno 11. Alle due e 45 del pomeriggio, due civili misero due cariche di dinamite, una negli impianti e l'altra all'antenna. Tutte e due furono fatte esplodere. Il reattore Hirberg parlamentò per le 300 persone che si trovavano all'interno della UTE. Molte persone che vivevano o lavoravano alla «Casa de Moneda», al Laboratorio e a Villa Portales entrarono a cercare protezione alle prime ore del mercoledì. Gli assassinii furono numerosi e premeditati. Non ci fu resistenza. Furono arrestati a centinaia. Una donna con il figlio in braccio che passava davanti alla UTE furono uccisi perché il bambino balbettò qualcosa. SALUD Alle tre cominciò lo scambio di colpi dall'edificio di approvvigionamento dello Stato, situato di fronte all'Ospedale San Giovanni di Dio. Dall'ospedale si vide che lasciavano uscire due persone dall'Università tecnica per assassinarle mentre si allontanavano. Fu possibile vedere anche che si scambiavano colpi tra gli stessi militari per giustificare il massacro. Il mercoledì 12, tra le 11 e le 12, portarono circa 200 persone allo Stadio Chile. Il dottore dell'ospedale tentò di trattare con il tenente che comandava le operazioni per portare gente fuori dell'università Tecnica. Costui rispose che se lui o l'ambulanza passavano di un centimetro oltre la linea dei soldati apriva il fuoco. Yarur La perquisizione avvenne dalle 16 di martedì 11 alle cinque di mercoledì 12. Furono presi prigionieri centotrenta operai tra i quali c'erano 12 o 13 compagne. Gli rubarono la paga e la tessera del 18 settembre. Le compagne furono violentate, compresa una che era incinta. In queste tredici ore non fu trovato nessun tipo di arma. Ospedale San Giovanni di Dio Il martedì non arrivarono malati, il mercoledì 12 cominciarono le operazioni. Il «Comando de Defensa de la Salud de Pueblo» che funzionava nell'Ospedale decise di evacuare la gente. Approssimativamente 300 persone. Il portiere Manuel Ibanez fu ucciso sulla porta stessa dell'edificio. Jorge Caseres fu frustato e portato via dall'edificio quando era in agonia; era ausiliario di infermeria. Raul Gonzales Moran, barelliere della maternità, fu assassinato. Lucio Bagas Valenzuela, ausiliario, assassinato. Manuel Briceno ed altri due interni, frustati, morte non confermata. Alejandro Paller e Beatriz Gilabert e la Signora Ducoz e Luis Radiila, elettricista, scomparsi. Tutta la gente di sinistra fu licenziata e il Comando dell'Ospedale fu preso da un militare con la consulenza dei medici «momios» (reazionari). Patria e Libertà mise delle armi al terzo piano, per cui poi furono accusati e licenziati quelli di sinistra. Nelle operazioni militari le forze armate non hanno osservato la minima regola di umanità; non hanno rispettato né le operazioni chirurgiche, né le sale dei neonati, né i bambini, né le incubatrici né nulla. Consultorio periferico di LAMPA II Dottor Sanchez, che è capitano d'aviazione, è venuto il giorno mercoledì 12 al consultorio a cercare due ausiliari d'infermeria e l'autista e se li è portati via sulla macchina stessa del Consultorio, alla base di Colina dove li ha trattenuti in arresto. Ministero della Difesa Di fronte al palazzo c'erano 4 code: una per fare denunce, l'altra per chiedere informazioni sui prigionieri, l'altra per gli scomparsi e l'altra ancora per i morti. All'obitorio davano l'autorizzazione per entrare solo a quelli che potevano identificare dei pesci grossi. Il giorno 19 uno che entrò calcolò di aver visto circa 400 cadaveri nudi in mucchi da cinque a sette. La maggioranza erano giovani. Concepciòn All'angolo del 4° commissariato una pattuglia portava un prigioniero a cui fu dato l'ordine di scappare e quando lo fece gli spararono alle spalle. Alle perquisizioni dei militari partecipavano anche i civili. Furono riconosciuti dei membri del Partito Nazionale che portavano al risvolto della giacca un distintivo che diceva volontario della patria. Nella cella del 4° Commissariato c'erano dei diplomatici tedeschi ed un boliviano con una costola rotta. Più tardi furono portati allo stadio e di lì alla base navale. Là li costrinsero a correre, a gettarsi per terra dalle 14 alle 18. Alle 19, li portarono alla isola Quiriquina dopo averli spaventati psicologicamente che c'era molto da nuotare e cose del genere. Lì li misero in uno stadio di pallacanestro e li interrogarono per la terza volta, mentre poliziotti e mozzi facevano finta di fucilarli. C'erano tra gli ottocento e novecento detenuti. C'erano mozzi molto giovani, tra i quattordici ed i quindici anni: a due di essi scapparono dei colpi che provocarono dei morti. Interrogavano con liste di studenti universitari di sinistra in mano. I fratelli Vergara furono trattenuti e non se ne è saputo più nulla. Teatro di Concepciòn Fu bruciato dai militari. Questi stavano proprio dietro l'edificio bruciando libri. Ce n'era un mucchio gigantesco. Alla Quiriquina si sentivano spari nella notte. Due ecuadoriani sono stati uccisi. Uno è stato assassinato e l'altro si è impiccato. C'erano anche dei democristiani detenuti. Case dello Studente Perquisita la notte tra il 10 e l’11, tutti gli studenti sono stati incarcerati. L'Ospedale regionale di Concepciòn fu perquisito e molti sono stati arrestati. Huachipato e l'ENAP sono stati occupati militarmente la notte fra il 10 e l’11. A Concepciòn non c'è stata soluzione di continuità fra i giorni precedenti e quelli successivi all’11. Per esempio, numerosi studenti sono stati arrestati e sono scomparsi tre o quattro giorni prima. Tornavano rapati e torturati; venivano portati alla Quiriquina. Venivano sottoposti all’«affogamento» ed al metodo delle «tazze». Quest'ultimo consiste nell'affondare la testa negli escrementi dei cessi, obbligando a mangiarli. Nuble (Chillan) Il golpe è cominciato la notte tra il 10 e l’11 con perquisizioni massicce ed arresti. Il Prefetto Juan de Dios Fuentes è stato preso alle 6 del giorno a casa sua. La notte del 12 nel baraccamento Violeta Parrà diciassette marines vestiti da civili hanno distribuito armi e sono spariti verso il Sud della Città. A Chillan è stato assassinato Patricio Alarcòn, della Commissione agraria del Partito Socialista, gettato nel fiume Nuble. Sono stati arrestati tutti i dirigenti sindacali della campagna. Nell'Asentamiento Larqui: tutti arrestati ed uno assassinato. Nell'Asentamiento Bureo: tutti arrestati ed uno assassinato. A Chillan i cadaveri erano portati al reggimento di fanteria n. 9; lì li appendevano con ganci di macelleria nei tendini. Nelle perquisizioni alle fabbriche gli operai venivano rapati. Alle donne si proibiva di portare i pantaloni e glieli strappavano se li usavano. Ricardo Lagos (sindaco della città) è stato ucciso a raffiche di mitra a casa sua, insieme alla moglie e al figlio. Assassinati anche tutti i membri di una famiglia di baraccati di sinistra di cognome Canchino: il padre di 55 anni, la madre di 50, una figlia di 25 e tre bambini di 3,5, 7 anni. Victor Lavandero doveva operarsi il giorno 11. E stato arrestato perché non si trovava a casa sua. Torturato, gli hanno rotto il polso e pestata la faccia. Il giorno 3 ottobre in carcere c'erano 370 detenuti. Puente Alto Il giorno 11 e il 12 ci fu un tentativo di assalto al campo dei carabinieri. Quattro di sinistra furono presi per essere fucilati il giorno 12. Due militari rifiutarono di farlo e furono arrestati con l'ordine di fucilarli. A causa di questo ci fu una ribellione. Morirono trenta fra soldati e carabinieri e circa 120 civili. Fonte: Quaderni piacentini, n.51, gennaio 1974