dell`andalusia - Sindacato Nazionale Scrittori
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CORBIS (3) LA BRUTTA ESTATE DELL’ANDALUSIA TRADITA DAL SOGNO DI DIVENTARE RICCA LA CRISI HA SCOPERCHIATO LE ILLUSIONI DELLA PIÙ GRANDE BOLLA IMMOBILIARE DELLA STORIA SPAGNOLA. QUI, PIÙ ANCORA CHE A MADRID, GLI «INGANNI DELLA CRESCITA» ORA MIETONO VITTIME. CHI RESISTE? GLI ANZIANI: «DOVEVAMO VIVERE CON PIÙ GIUDIZIO» di SALVATORE TROPEA M 54 SPAGNA PORTOGALLO ALAGA. Vista da questo profondo sud dell’Europa che, da Almeria a Gibilterra, esibisce in faccia al Mediterraneo i peggiori misfatti del ladrillo, ovvero il mattone, principio e fine della più gigantesca bolla immobiliare della storia spagnola, la crisi fa paura più che altrove. Ma fa anche tanta tristezza. E quando diventa, non di rado, disperazione, alimenta una sottile e inconfessata nostalgia che cancella il sen- Andalusia Siviglia Malaga IN ALTO, UNO DEI NUOVI EDIFICI COSTRUITI DIETRO ALLE VECCHIE CASE DI TORREMOLINOS, VICINO A MALAGA, IN SPAGNA. QUI SOPRA, LA CARTINA DELL’AREA so di colpa per ciò che si è fatto o lasciato fare negli anni «d’oro». Era il tempo in cui l’idea di trasformare l’Andalusia nella Florida d’Europa armò la mano di costruttori dissennati che passarono come Attila su questo lembo estremo di Spagna, con la complicità di banchieri senza scrupoli e la voracità di una classe politica senza memoria. Paradigma della crescita tumultuosa e della caduta rovinosa della Spagna, in questa estate dello scontento l’Andalusia guarda con profondo disincanto le macerie di un cataclisma annunciato. Sulle basse sierre che dominano le spiagge di Motril, Marbella, Torremolinos, come gigantesche torte di zucchero filato, migliaia di complessi edilizi aspettano acquirenti che non arrivano più. Molti espongono impietosamente al cielo le armature metalliche delle costruzioni non ultimate. Le banche che hanno finanziato a quarant’anni il 100 per cento di questa follia se la trovano adesso sul groppone e negano alle imprese i crediti che in passato hanno elargito con insensata generosità. Gli sfratti per morosità crescono in maniera esponenziale e la Caritas di Malaga ha visto triplicare il numero di quelli che ogni giorno bussano alle sue porte. Sono diminuiti gli aerei stracarichi di turisti all’aeroporto Pablo Picasso di Malaga. E sul Paseo Maritimo di Fuengirola, restano semideserti i dehors dei ristoranti, dove appena cinque anni fa si era fortunati a conquistare un tavolo anche dopo la mezzanotte. «Il sogno è diventato un incubo» ammette desolatamente José Luis Vergara, titolare di una grande concessionaria di auto di Cordoba. «La grande borrachera, l’ubriacatura collettiva, è finita in maniera traumatica. I soldi del ladrillo hanno corrotto tutto e tutti, abbiamo bevuto anche quello che non avevamo ordinato e ora paghiamo un amaro conto. I nipoti riportano a casa il nonno dall’ospizio per utilizzare la sua pensione. E nonostante tutto questo, sopravvive una classe politica impresentabile, che si muove fuori dalla realtà». Antonio Soler, scrittore malagueño di successo, è convinto che questa Spagna voglia tornare a vivere come il protagonista del suo ultimo libro Il sonno del caiIL VENERDI DI REPUBBLICA mano (Marco Tropea Editore, pp. 192, euro 14,50), ma non sa se e quando potrà farlo. «Questa mancanza di prospettiva e di speranza genera una paura nuova, difficile da dominare» dice. L’Andalusia delle cicale che non si sono fatte formiche? Soler rifiuta questa immagine e anche l’idea che la nobile terra di García Lorca, Picasso, Rafael Alberti sconti le colpe degli anni in cui il leader socialista di Siviglia, Felipe González, l’uomo della rinascita postfranchista, la portò all’onore del mondo. «Gli andalusi hanno sbagliato tanto quanto gli altri, non credo che a Madrid e a Barcellona abbiano fatto meglio. Qui semmai c’è in più il peso di una povertà storica». «Se non ci fossero le famiglie, che in Andalusia sono ancora un gruppo solidale e forte, saremmo alle barricate per le strade, alla guerra civile» avverte con toni allarmati Jerónimo Carmona, che lavora da anni sulla Costa del Sol come direttore di un grande gruppo alberghiero. «Rispetto a cinque anni fa il settore turistico ha perduto il 15 per cento, arrivano meno clienti dal nord Europa, gli italiani si sono rarefatti e così i francesi». Il turismo si è molto involgarito con lo sbarco di oligarchi russi che scorazzano in una Marbella che sotto la guida di Jesús Gil, quello che aveva trasformato il cognome nell’acronimo Gruppo indipendente liberale, ha perduto il glamour di un tempo, diventando spesso snodo del traffico di droga tra Sud America e Europa. Forse il ricordo ancora fresco della «movida mediterranea», che ha imperversato sulla Costa del Golf quando sembrava a portata di mano la sconfitta di quella povertà, alimenta oggi la segreta nostalgia per gli anni della crescita irresistibile. Ma nessuno vuole ammetterlo. Dopo essere passati, come spesso accade, dall’idolatria alla demonizzazione, gli andalusi hanno punito il Psoe dimenticando il tempo in cui avevano cavalcato lo strapotere di Alfonso Guerra, uomo forte dei socialisti all’epoca di Felipe. Hanno consegnato questa Spagna alla destra di José María Aznar prima e di Mariano Rajoy dopo, nell’illusione di un cambiamento che non poteva esserci e non c’è stato. E oggi acco13 LUGLIO 2012 IN ALTO, DICEMBRE 1982, IL LEADER SOCIALISTA FELIPE GONZÁLEZ ASSUME L’INCARICO DI CAPO DEL GOVERNO SPAGNOLO. QUI SOPRA, L’ATTUALE PREMIER MARIANO RAJOY munano i politici, vecchi e nuovi, in un disprezzo cupo e rancoroso. Non rimpiangono gli anni di Felipe, ma ci pensano. I più accorti dicono che, l’Andalusia come la Spagna, avrebbe dovuto sfruttare meglio quella spinta, evitando di consegnarsi nelle mani di speculatori immobiliari, banche condizionate dalla politica e «illusionisti della crescita» come li definisce un docente universitario di Siviglia che sceglie l’anonimato «non per timore, ma per il desiderio di tenersi fuori dal questo triste e drammatico carnevale». Nel quale, per dirla con i versi di Federico Gar- Antonio Soler pensa che la Spagna voglia vivere come il protagonista del suo libro cía Lorca, la generazione del postfranchismo sente la nostalgia terrible de una vida perdida e quella degli «indignados» avverte incolpevolmente el fatal sentimiento de haber nacido tarde. Taciuta la prima per pudore, gridato il secondo per ribellione. Come fanno i giovani in piazza della Mercede a Malaga e per le vie di Granada e Siviglia. «Avevamo ritrovato l’allegria e la gioia e oggi abbiamo il cuore in un pugno» commenta con un velo di rimpianto Jerónimo Carmona. Eppure questa Andalusia, stretta nella morsa di una crisi che la ricaccia indietro nel tempo e la costringe a calarsi sul volto la mantiglia della tristezza, sembra avere paradossalmente riscoperto quella dimensione umana spazzata via dall’inganno degli anni dello sviluppo disordinato. Non si consola pensando di avere ritrovato qualcosa che Madrid e Bilbao non possono avere, ma sa come apprezzarla e trasformarla in un piccolo antidoto contro la crisi. «Noi che abbiamo visto il peggio e non abbiamo dimenticato siamo i meno spaventati» dice un signore, tanto avanti negli anni da avere sperimentato le carceri di Franco. Seduto davanti a un bar della piazza centrale di Ronda non ha nostalgia né di quel tempo «che non auguro a nessuno» né degli anni che seguirono, «che avremmo dovuto vivere con più giudizio». E trova anche qualche parola per rompere il muro di silenzio e di condanna che circonda la figura di Zapatero, «un Massimiliano d’Asburgo che avrebbe meritato migliore considerazione». Sui muri della piazza i manifesti annunciano un final de semana con una corrida monumental. Perché nella città dei Romero e degli Ordonez, che ospita fin dal 1785 una delle più belle e antiche arene di Spagna, la tauromachia non è stata ancora consegnata agli archivi come in Catalogna. E per l’appuntamento con la Corrida goyesca dell’8 settembre, come tutti gli anni, qui aspettano i turisti. Che non saranno gli americani dei tempi di Hemingway, ma sono più che mai ospiti graditi. Per dimenticare e ricominciare a sperare che l’Andalusia possa diventare veramente la Florida d’Europa. Magari con un po’ più d’ordine. 55