dell`andalusia - Sindacato Nazionale Scrittori

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dell`andalusia - Sindacato Nazionale Scrittori
CORBIS (3)
LA BRUTTA ESTATE
DELL’ANDALUSIA
TRADITA DAL SOGNO
DI DIVENTARE RICCA
LA CRISI HA SCOPERCHIATO LE ILLUSIONI DELLA PIÙ GRANDE BOLLA
IMMOBILIARE DELLA STORIA SPAGNOLA. QUI, PIÙ ANCORA CHE
A MADRID, GLI «INGANNI DELLA CRESCITA» ORA MIETONO VITTIME.
CHI RESISTE? GLI ANZIANI: «DOVEVAMO VIVERE CON PIÙ GIUDIZIO»
di SALVATORE TROPEA
M
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SPAGNA
PORTOGALLO
ALAGA. Vista da questo
profondo sud dell’Europa che, da Almeria a Gibilterra, esibisce in faccia al Mediterraneo i
peggiori misfatti del ladrillo, ovvero il mattone, principio e fine
della più gigantesca bolla immobiliare
della storia spagnola, la crisi fa paura
più che altrove. Ma fa anche tanta tristezza. E quando diventa, non di rado,
disperazione, alimenta una sottile e inconfessata nostalgia che cancella il sen-
Andalusia
Siviglia
Malaga
IN ALTO, UNO DEI NUOVI EDIFICI
COSTRUITI DIETRO ALLE VECCHIE
CASE DI TORREMOLINOS, VICINO
A MALAGA, IN SPAGNA. QUI SOPRA,
LA CARTINA DELL’AREA
so di colpa per ciò che si è fatto o lasciato fare negli anni «d’oro». Era il tempo
in cui l’idea di trasformare l’Andalusia
nella Florida d’Europa armò la mano di
costruttori dissennati che passarono come Attila su questo lembo estremo di
Spagna, con la complicità di banchieri
senza scrupoli e la voracità di una classe politica senza memoria.
Paradigma della crescita tumultuosa
e della caduta rovinosa della Spagna, in
questa estate dello scontento l’Andalusia
guarda con profondo disincanto le macerie di un cataclisma annunciato. Sulle
basse sierre che dominano le spiagge di
Motril, Marbella, Torremolinos, come gigantesche torte di zucchero filato, migliaia di complessi edilizi aspettano acquirenti che non arrivano più. Molti
espongono impietosamente al cielo le armature metalliche delle costruzioni non
ultimate. Le banche che hanno finanziato a quarant’anni il 100 per cento di questa follia se la trovano adesso sul groppone e negano alle imprese i crediti che
in passato hanno elargito con insensata
generosità. Gli sfratti per morosità crescono in maniera esponenziale e la Caritas di Malaga ha visto triplicare il numero di quelli che ogni giorno bussano alle
sue porte. Sono diminuiti gli aerei stracarichi di turisti all’aeroporto Pablo Picasso di Malaga. E sul Paseo Maritimo di
Fuengirola, restano semideserti i dehors
dei ristoranti, dove appena cinque anni
fa si era fortunati a conquistare un tavolo anche dopo la mezzanotte.
«Il sogno è diventato un incubo» ammette desolatamente José Luis Vergara, titolare di una grande concessionaria di auto di Cordoba. «La grande borrachera, l’ubriacatura collettiva, è finita
in maniera traumatica. I soldi del ladrillo hanno corrotto tutto e tutti, abbiamo
bevuto anche quello che non avevamo
ordinato e ora paghiamo un amaro conto. I nipoti riportano a casa il nonno
dall’ospizio per utilizzare la sua pensione. E nonostante tutto questo, sopravvive una classe politica impresentabile,
che si muove fuori dalla realtà».
Antonio Soler, scrittore malagueño di
successo, è convinto che questa Spagna
voglia tornare a vivere come il protagonista del suo ultimo libro Il sonno del caiIL VENERDI DI REPUBBLICA
mano (Marco Tropea Editore, pp. 192,
euro 14,50), ma non sa se e quando potrà farlo. «Questa mancanza di prospettiva e di speranza genera una paura
nuova, difficile da dominare» dice. L’Andalusia delle cicale che non si sono fatte
formiche? Soler rifiuta questa immagine
e anche l’idea che la nobile terra di García Lorca, Picasso, Rafael Alberti sconti
le colpe degli anni in cui il leader socialista di Siviglia, Felipe González, l’uomo
della rinascita postfranchista, la portò
all’onore del mondo. «Gli andalusi hanno
sbagliato tanto quanto gli altri, non credo che a Madrid e a Barcellona abbiano
fatto meglio. Qui semmai c’è in più il peso di una povertà storica».
«Se non ci fossero le famiglie, che in
Andalusia sono ancora un gruppo solidale e forte, saremmo alle barricate per
le strade, alla guerra civile» avverte con
toni allarmati Jerónimo Carmona, che
lavora da anni sulla Costa del Sol come
direttore di un grande gruppo alberghiero. «Rispetto a cinque anni fa il settore turistico ha perduto il 15 per cento,
arrivano meno clienti dal nord Europa,
gli italiani si sono rarefatti e così i francesi». Il turismo si è molto involgarito
con lo sbarco di oligarchi russi che scorazzano in una Marbella che sotto la
guida di Jesús Gil, quello che aveva trasformato il cognome nell’acronimo
Gruppo indipendente liberale, ha perduto il glamour di un tempo, diventando spesso snodo del traffico di droga tra
Sud America e Europa.
Forse il ricordo ancora fresco della
«movida mediterranea», che ha imperversato sulla Costa del Golf quando
sembrava a portata di mano la sconfitta
di quella povertà, alimenta oggi la segreta nostalgia per gli anni della crescita irresistibile. Ma nessuno vuole ammetterlo. Dopo essere passati, come
spesso accade, dall’idolatria alla demonizzazione, gli andalusi hanno punito il
Psoe dimenticando il tempo in cui avevano cavalcato lo strapotere di Alfonso
Guerra, uomo forte dei socialisti all’epoca di Felipe. Hanno consegnato questa
Spagna alla destra di José María Aznar
prima e di Mariano Rajoy dopo, nell’illusione di un cambiamento che non poteva esserci e non c’è stato. E oggi acco13 LUGLIO 2012
IN ALTO, DICEMBRE 1982, IL LEADER SOCIALISTA
FELIPE GONZÁLEZ ASSUME L’INCARICO
DI CAPO DEL GOVERNO SPAGNOLO. QUI SOPRA,
L’ATTUALE PREMIER MARIANO RAJOY
munano i politici, vecchi e nuovi, in un
disprezzo cupo e rancoroso.
Non rimpiangono gli anni di Felipe,
ma ci pensano. I più accorti dicono che,
l’Andalusia come la Spagna, avrebbe
dovuto sfruttare meglio quella spinta,
evitando di consegnarsi nelle mani di
speculatori immobiliari, banche condizionate dalla politica e «illusionisti della
crescita» come li definisce un docente
universitario di Siviglia che sceglie
l’anonimato «non per timore, ma per il
desiderio di tenersi fuori dal questo triste e drammatico carnevale». Nel quale, per dirla con i versi di Federico Gar-
Antonio Soler
pensa che
la Spagna
voglia vivere
come
il protagonista
del suo libro
cía Lorca, la generazione del postfranchismo sente la nostalgia terrible de una
vida perdida e quella degli «indignados»
avverte incolpevolmente el fatal sentimiento de haber nacido tarde. Taciuta la
prima per pudore, gridato il secondo
per ribellione. Come fanno i giovani in
piazza della Mercede a Malaga e per le
vie di Granada e Siviglia.
«Avevamo ritrovato l’allegria e la
gioia e oggi abbiamo il cuore in un pugno» commenta con un velo di rimpianto Jerónimo Carmona. Eppure questa
Andalusia, stretta nella morsa di una
crisi che la ricaccia indietro nel tempo
e la costringe a calarsi sul volto la mantiglia della tristezza, sembra avere paradossalmente riscoperto quella dimensione umana spazzata via dall’inganno degli anni dello sviluppo disordinato. Non si consola pensando di avere
ritrovato qualcosa che Madrid e Bilbao
non possono avere, ma sa come apprezzarla e trasformarla in un piccolo antidoto contro la crisi. «Noi che abbiamo
visto il peggio e non abbiamo dimenticato siamo i meno spaventati» dice un
signore, tanto avanti negli anni da avere sperimentato le carceri di Franco.
Seduto davanti a un bar della piazza
centrale di Ronda non ha nostalgia né di
quel tempo «che non auguro a nessuno»
né degli anni che seguirono, «che avremmo dovuto vivere con più giudizio». E
trova anche qualche parola per rompere
il muro di silenzio e di condanna che circonda la figura di Zapatero, «un Massimiliano d’Asburgo che avrebbe meritato
migliore considerazione». Sui muri della
piazza i manifesti annunciano un final de
semana con una corrida monumental.
Perché nella città dei Romero e degli Ordonez, che ospita fin dal 1785 una delle
più belle e antiche arene di Spagna, la
tauromachia non è stata ancora consegnata agli archivi come in Catalogna. E
per l’appuntamento con la Corrida goyesca dell’8 settembre, come tutti gli anni,
qui aspettano i turisti. Che non saranno
gli americani dei tempi di Hemingway,
ma sono più che mai ospiti graditi. Per
dimenticare e ricominciare a sperare
che l’Andalusia possa diventare veramente la Florida d’Europa. Magari con
un po’ più d’ordine.
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