Vasellame metallico
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Vasellame metallico
Vocabolario settoriale campo OGTD della scheda RA a cura di L.M. Vigna CONTENITORI IN METALLO E LEGHE METALLICHE Anfora Bronzo, argento Recipiente di forma panciuta, fornito di anse o manici che collegano la bocca o il collo con il corpo del recipiente. Sembra che non fosse destinato a contenere solo liquidi, ma anche solidi; infatti, mentre Aristofane (Plout. v. 807) cita anfore “ piene di rosso e odoroso vino” ed Euripide parla di un’anfora di latte (Cyclop. v. 327), Senofonte allude all’anfora che contiene delfini (Anab. V, 4, 28), sicuramente in salamoia. E’ molto diffusa l’anfora (Finaroli, tipo 2) con anse a S contrapposte, la cui area di produzione si concentra nel Grossetano con attestazioni in varie aree della penisola, tranne quelle meridionali, in Grecia e, con un solo esemplare, in Francia e Spagna. Successori diretti dell’anfora in esame, con qualche diversità morfologica, sono documentati in Siria e a Chalon-sur- Saone, ma si ricordano anche gli esemplari del Museo di Toronto. Le anfore di Pompei presentano due anse verticali e imboccatura circolare, le anse tranne rare eccezioni non sono sopraelevate. Sono state suddivise tipologicamente in base alla forma del ventre (Tassinari 1993, A- che però le definisce brocche). A Pompei é diffuso un tipo a bocca rotonda di diametro pari a quello del piede. Le anse sono decorate nel punto di attacco al corpo del vaso. Si tratta di una tipologia diffusa e nota da moltissimi esemplari in area campana. In epoca tardo-antica compaiono le grandi anfore in argento con superficie interamente decorata a sbalzo con motivi ricavati dal repertorio classico, come il fregio marino e l’amazzonomachia sul noto esemplare da Concesti o il corteo di satiri e baccanti sull’esemplare del tesoro di Seuso. Le citate anfore hanno entrambe il collo leggermente rastremato, quasi cilindrico e due anse plastiche, a forma di centauro la prima e di pantera la seconda. Di forma simile, ma assolutamente unica per schema decorativo, é l’anfora, ora mancante delle anse, ripescata nel mare di Baratti. Bibl.: Daremberg- Saglio, s.v. amphora; Arias 1963, pp.8-10; Pompei 79 1979, p.235, fig.151; Collezioni Napoli 1986, p.174, n.1; Milano Capitale 1990, p.81, 1g.1e; Il Bronzo dei Romani 1990, p.281, n.107, fig.205; L’Argento dei Romani 1991, pp.101-102, figg. 247, 256; Tassinari 1993, A; Finaroli 1999, Collezione Gorga, p.39, fig. 17 Aryballos Bronzo Vasetto di piccole dimensioni con, tranne qualche rara eccezione, piccolo orlo piatto, collo iperboloidale breve, ansa minuscola e una base discontinua. In alcuni casi si trova un coperchio ad incastro, provvisto di un’appendice di presa forata per il passaggio di un’estremità di catenella, mentre l’altro capo é fissato con un anello a una delle anse. Veniva adoperato dagli atleti, durante il bagno e per prepararsi alle gare; conteneva unguenti. Con l’aryballos Atena versa ambrosia sulla testa di Demos in Aristofane (Equit. 1094); Ateneo lo indica come una coppa (XI, 783), Polluce ne illustra l’uso per la toeletta, Esichio lo paragona ad una lekythos e definisce la parola come dorica. Spesso il vasetto é riprodotto in scene figurate sia pendente dal polso degli atleti che appeso alla parete di una stanza con lo strigile ed altri oggetti della toeletta maschile, od anche mentre le donne fanno il bagno. Bibl.: Daremberg- Saglio, s. v. aryballos: E. Saglio; Arias 1963, pp. 14-15; Tassinari 1993, F Contenitori metallici – pag.1 Askos Bronzo Vaso “ a forma di otre” con ventre allungato a pareti convesse molto asimmetriche, base discontinua, collo iperboloidale, decentrato, corto e asimmetrico (nella zona posteriore presenta due lunghe pieghe verticali). L’apertura é allungata e obliqua, più alta sul lato opposto all’ansa, labbro ingrossato e orlo obliquo rientrante. Ansa obliqua impostata sul retro dell’imboccatura e nella zona superiore del ventre. Le fonti riportano scarse informazioni sull’askos. Si può ipotizzare, anche per le caratteristiche morfologiche, che venissero utilizzati per contenere e per versare liquidi, in particolare vino ed olio. La forma fu utilizzata, soprattutto nelle realizzazioni in ceramica, per riprodurre figure di uccelli e di anatre, mentre nelle versioni in bronzo la decorazione venne riservata alle anse. Il tipo caratterizzato dalla forma ad otre adagiato e da un’ansa a viticcio serpeggiante, diffuso nell’Etruria Meridionale, nell’Etruria Settentrionale, in Puglia, in Gallia e in Pannonia, é databile tra il III sec. a. C. e la prima metà del I sec. a. C. e la sua produzione é probabilmente assegnabile ad officine di Tarquinia. La forma di askos a corpo espanso schiacciato ed ansa costituita da un’unica asta volutiforme, a volte rialzata da una sbarretta verticale nella parte posteriore, é particolarmente attestata, dal I sec. a. C. al I sec. d.C., in Campania , ma é diffusa anche in Pannonia e in Dacia. Bibl.: Radnoti 1938, p.144; Il Bronzo dei Romani 1990, p.282, nn.111-112, figg.226-227; Tassinari 1993, Y 4000; Caramella 1995, Tarquinia, pp. 193-199 Attingitoio Bronzo Recipiente costituito da una parte cava (vasca) e da un manico, fabbricati insieme o separatamente. Possono avere il manico o sistema di presa corto, oppure il manico lungo. Sono tipologicamente affini ai mestoli e ai colini con i quali formano spesso delle coppie. Bibl.: Tassinari 1993, K Attingitoio da bagno Bronzo Recipiente composto da una vasca e da un manico, fabbricati in un solo pezzo. La vasca é poco profonda con ampia imboccatura e pareti convesse. La base é discontinua; il fondo interno liscio. Il manico, impostato orizzontalmente, é piatto e termina sempre con un’appendice globulare schiacciata più o meno regolare. Bibl.: Tassinari 1993, I Bacile (pelvis, labrum) Bronzo Sono riferibili a produzioni etrusche del VII-VI sec. a. C. gli esemplari con orlo perlinato o decorato a treccia, quest’ultimo con orlo a tesa e triplice treccia, é attestato, ad esempio in Abruzzo e a Lavello. I bacili decorati, oggetti di lusso destinati alle classi più abbienti e leati alla pratica del banchetto, adoperati dapprima in area centro-laziale, possono successivamente essere stati prodotti in officine situate in aree decentrate, come indicano i rinvenimenti di Pontecagnano, di Lavello ed, inoltre, nella necropoli siracusana del Fusco. Alcuni bacili, di morfologia e di decorazione semplificate, possono essere collocati nell’ambito del III secolo a. C. I bacili rinvenuti a Pompei sono recipienti molto aperti, di profondità media. Sono collocati su una base a tre piedi o ad anello il cui diametro é sempre molto inferiore rispetto a quello dell’imboccatura. Tranne alcune eccezioni sono tutti forniti di un sistema laterale di presa, costituito da placche d’attacco con anello mobile oppure da impugnature laterali fisse, in genere fissate al di sotto del livello dell’imboccatura, talvolta agganciate al labbro. La maggior parte di questi Contenitori metallici – pag.2 recipienti hanno imboccatura circolare e ventre troncoovoidale oppure più o meno sferoidale. Alcuni esemplari hanno imboccatura ellissoidale e ventre oblungo. Alcuni bacili hanno un emblema al centro del fondo. Bibl.: Tassinari 1993, S; Scarcelli, Collezione Gorga, p.31 Bacino Bronzo Recipiente costituito da una vasca a profilo emisferico, senza piede con orlo vario, provvisto raramente di anse. Si tratta di vasi molto comuni nei servizi da tavola utilizzati come contenitori di cibi liquidi e solidi, o anche come vasche per le abluzioni. Il bacino con fondo ombelicato, un tipo molto noto in Etruria (a Veio il tipo é rappresentato sia nella variante con orlo liscio, sia in quella con orlo perlinato), presenta un breve orlo a tesa ripiegato verso il basso, vasca a forma tronco-conica che trapassa bruscamente in un largo fondo piano con ombelico mediano. Accanto al tipo ombelicato, se ne conosce anche uno a fondo piano, dalla T.60 di Francavilla Marittima. L’unico esemplare proveniente da Pontecagnano, dalla T. 539, é privo del fondo. I bacini rinvenuti a Pompei sono recipienti ovoidali profondi, costituiti da due parti fissate l’una sull’altra da grossi chiodi. Il fondo é a calotta e la parete superiore troncoconica. Bibl.: P. Zancani Montuoro, in Atti MGrecia XV-XVII, 1974-1976, pp.13 s., fig.3; D’Agostino 1988, Pontecagnano, p.49, 31B, tav.15; Tassinari 1993, X 3200; Caramella 1995, Tarquinia, pp.143-162 Bicchiere Argento, stagno I bicchieri costituiscono un elemento importante nei servizi di argenteria del I secolo, come quelli della Casa del Menandro, di Boscoreale e di Hildesheim dove sono presenti bicchieri preziosamente e riccamente decorati. Varie forme, che compaiono di regola in una o due coppie, consentono di risalire a determinate abitudini nel bere e a forme destinate a particolari bevande. Nei ritrovamenti del III e del IV secolo sono, invece, rari o mancano del tutto, quando vengono sostituiti da recipienti in vetro che presentano le stesse forme dei pochi documentati in argento. La forma del bicchiere cilindrico con bassa carenatura e con pareti concave del tesoro di Chaourse é, ad esempio, ben documentata in vetro dai brillanti colori di produzione renana. I bicchieri , bassi e conici con anello di appoggio svasato, del tesoro di Kaiseraugst, lavorati in maniera simile, formano insieme un servizio da quattro. Stupisce che in questo tesoro, rispetto al gran numero di piatti, sia presente un solo servizio di bicchieri. Probabilmente altri bicchieri sono andati perduti, oppure in origine facevano parte del tesoro anche bicchieri di vetro. Bicchieri in vetro conici risultano, infatti, anche per la forma, essere i confronti più diretti per tali bicchieri in argento; in metallo sono noti solo pochi pezzi di confronto, come per esempio i bicchieri del nascondiglio di oggetti di stagno di Appleshaw. Bibl.: Il Tesoro nascosto 1987, pp.110-111; L’Argento dei Romani 1991, p.82, fig. 204 Boccale Bronzo Recipiente munito di un’ansa la cui altezza é generalmente superiore al diametro dell’imboccatura. Bibl.: Tassinari 1993, L Bollitore Bronzo Recipiente di forma varia avente la funzione di riscaldare i liquidi e di mantenerli ad una temperatura costante. I bollitori sono sia fornelli (scaldavivande) che recipienti. Tutti i vari tipi presentano un elemento tubolare centrale provvisto in fondo di una griglia, sulla quale veniva posto Contenitori metallici – pag.3 carbone di legno. Fra questo elemento tubolare e la parete esterna del recipiente c’é un vuoto dove si poneva il liquido inserito dalla parte superiore del recipiente che veniva versato attraverso un rubinetto situato alla base della parete esterna. I recipienti di questo tipo che poggiano su tre piccoli piedi sembrano essere stati fatti per essere sospesi o trasportati. Bibl.: Tassinari 1993, Y Bottiglia Bronzo, argento Recipiente per versare i liquidi; si distingue dalle brocche per la forma dell’apertura, più stretta nelle bottiglie. Fa parte del Tesoro dell’Esquilino una bottiglia in argento a forma di fiaschetta con collo lungo e stretto e bocca larga di forma slanciata. Questo tipo di bottiglia non é molto frequente nel IV sec. d.C. La decorazione, composta da medaglioni circolari formati da girali vegetali, copre interamente la superficie; all’interno alcuni geni intenti in diverse attività e alcuni animaletti che riempiono anche lo spazio tra i tondi. Nel Tesoro di Cartagine si trova una bottiglia in argento su piede quadrangolare svasato, con corpo circolare schiacciato e lungo collo, bocca svasata a becco che si restringe leggermente verso l’alto. Sul corpo sono rappresentati una testa femminile di profilo, mentre sui fianchi alcune protomi animali all’interno di girali di acanto. La bottiglia é databile tra la fine del IV ed il V sec. d.C. Bibl.: O. M. Dalton, Catalogue of Early Christian Antiquities and Objects from the Christian East in the Department of British and Medioeval Antiquities and Ethnography of the British Museum, London 1901, pp.66-67, n.306; K. Shelton, The Esquiline Treasure, London 1981, pp.82-83, n.16, fig.21, tav.30; L’Argento dei Romani 1991, pp.303-304, n.184, figg. 75-76, p.308, n.195, fig.246 Braciere Bronzo Recipiente portatile di forma rettangolare su sostegni che possono essere a forma di zampe ferine. Forma piuttosto frequente in ambiente campano: ad Ercolano, a Pompei dove ne é stato rinvenuto nelle Terme del Foro anche uno monumentale. Sempre dalla stessa area proviene un braciere di piccole dimensioni, forse per incensi, a corpo cilindrico, orlo merlato, su tre peducci a zampa leonina. Bibl.: Le Collezioni del Museo Nazionale di Napoli 1986, p.182, n.69, p.188, n.112; Il bronzo dei Romani 1990, p.279, n.100, figg.213-215, n.101, fig.206 Brocca Bronzo, argento Forma chiusa, destinata a versare i liquidi, provvista di un’imboccatura piuttosto larga e di un’ansa verticale. La brocca biconica (Finaroli, tipo 1) in bronzo é attestata oltre che in Italia centraleFiesole, Volterra, Tuscania, Tarquinia, Lavinio, Ostia- anche a Parma e a Capua. La forma, dotata di un’ansa con decorazione plastica, compare già definita prima della metà del II sec. a.C. e sembra discendere da un tipo di brocca biconica ad imboccatura larga documentata soprattutto in Italia (tipo Boesterd 273). Questa brocca, diffusissima tra la fine del IV gli inizi del III sec. a.C. nell’Italia centrale tirrenica, come nel Piceno e in Campania, raggiunge la parte settentrionale della Penisola e di qui l’Europa celtica. Il passaggio da questa alla brocca tardo-repubblicana sembra essere avvenuto, poco prima del 150 a. C. ca., in Etruria. Da quest’area i nuovi prodotti vengono esportati e poi imitati in Campania e in Italia settentrionale, raggiungendo il Danubio, la bassa valle del Caucaso e il Marocco, dove é documentato un notevole numero di rinvenimenti. A Pompei le brocche presentano un’ansa verticale e imboccatura circolare, stretta o di medie dimensioni; le brocche a ventre ovoidale, con un’ansa verticale e imboccatura rotonda di dimensioni medie o piccole, costituiscono una categoria in cui sono compresi moltissimi esemplari, di specie e tipi diversi (Tassinari 1993, B). Un altro tipo di brocca presenta un’ansa e Contenitori metallici – pag.4 un’imboccatura larga posta su un piano orizzontale e obliquo, un ventre capiente e una base molto ampia (Tassinari 1993, C). Le brocche fornite di becco (Tassinari 1993, E) hanno per lo più ventre ovoidale, regolare o troncato da una spalla o deformato (molto compresso); altre hanno ventre ellissoidale allungato, o ventre biconvesso e, infine, le più rare sono globulari. Tra il vasellame d’argento per il simposio di prima età imperiale raramente si ritrovano grandi brocche, munite di un’ansa slanciata, con corpo espanso, collo massiccio e ampia bocca. Il corpo é solo in pochi casi decorato: da Vittorie tauroctone sulle due nel tesoro di Boscoreale, derivanti da tipi ellenistici; da scene iliache, sulle due nel tesoro di Berthouville; da un combattimento di centauri e lapiti sull’esemplare da Pompei, ora conservato a Monaco. Nei servizi di IV sec. d.C. le brocche mutano di forma ed assumono grande importanza, alcune sono anche di notevoli dimensioni; diventano molto più snelle, il collo si restringe e il manico é saldato direttamente sull’orlo, in alcuni casi dopo avere formato un netto angolo retto. Il corpo é decorato da sottili e sinuose scanalature che accrescono l’eleganza della forma; a volte il corpo della brocca é a sezione poligonale, rispecchiando una certa predilezione per le forme geometriche in questo periodo con lunghe sfaccettature verticali, prive di decorazione o con raffinati motivi geometrici, animati da piccole figure di animali, resi a niello. Nel VI- VII secolo sono documentate brocche in bronzo dal collo svasato e dal corpo piriforme a spalla alta, che possono essere decorate da incisioni a linee parallele. In questo stesso periodo sono piuttosto rare le brocche con coperchio articolato. Bibl.: M. H. P. Den Boesterd, The bronze vessels: description of the Collection in the Rijksmuseum G. M. Kam at Nijmegen, Nijmegen 1956, p.76, n.273, tav. XI; L’Argento dei Romani 1991, p.122; Tassinari 1993, B-C-E; Finaroli 1999, La Collezione Gorga, p.39, figg. 15-16; Roma dall’Antichità al Medioevo 2001, p.420, II.4.1000 Caldaia Bronzo Recipiente caratterizzato, tranne rare eccezioni, da tre elementi: una base larga e fondo convesso, una strozzatura sotto l’imboccatura, un sistema di presa (anse o impugnature mobili). Spesso é dotata di coperchio. La forma può essere sferoidale, lenticolare o troncoconica. Può presentare saldati sulla spalla due attacchi provvisti di anelli, ai quali avrebbe potuto venire collegata una catenella per consentire la sospensione del recipiente sul fuoco. Le caldaie sono diffuse nel mondo romano. Bibl.: Massari 1979, p.75 ss.; Le Collezioni del Museo Nazionale di Napoli 1986, p.176, n.33; Il bronzo dei Romani 1990, p.277, n.87, fig. 194; Tassinari 1993, V Calderone (ahenum) Bronzo Vaso aperto a fondo arrotondato, disposto su treppiedi per far riscaldare l’acqua; sono caratteristici della produzione etrusca e sono attestati anche a Orvieto, Imola e in Abruzzo. Il calderone in bronzo, rinvenuto nella tomba Bernardini di Preneste, con protomi di grifo e sirene su hypokraterion troncoconico, panciuto con orlo sagomato, é documentato in Oriente , Grecia e in Etruria. Tale calderone, datato alla fine dell’VIII sec. a.C., é stato probabilmente importato dalla Siria Settentrionale. Il tipo con piccolo bordo saldato alle pareti, quello a profilo lenticolare e i tipi a parete arrotondata o a corpo cilindrico sono collocabili in varie epoche, anche in quella romana (v. anche bacile). Il tipo di piccole dimensioni a ventre espanso (Scarcelli, tipo 18), confrontabile con una situla del Cremonese, é piuttosto raro. Bibl.: Canciani- von Hase 1979, pp.46-47, n.42; Scarcelli 1999, Collezione Gorga, p.31 Calice Bronzo, argento Vasi potori caratterizzati da una vasca molto profonda, dalle pareti rastremate verso il basso e da un alto piede, noti soprattutto in ambiente etrusco, nella versione in ceramica particolarmente di Contenitori metallici – pag.5 bucchero; le riproduzioni in bronzo sono molto rare e riferibili ad un arco cronologico compreso tra la fine del VII sec. e gli inizi del VI a.C. Gli esemplari in bronzo di Pompei presentano ventre ovoidale su piede composito a base discontinua, imboccatura a labbro verticale ingrossato e orlo convesso. Nei tesori di argenteria tardo-antica compare il calice con coppa emisferica su alto stelo più o meno elaborato, con piede a disco orlato da grosse sfere come gli esemplari del tesoro di Mildenhall e di quello di Traprain Law. La forma, modificata nella struttura e nella decorazione, avrà da adesso in poi grande fortuna e sarà adoperata per uso liturgico dalla fine del V secolo. Anche in questo caso la forma compare in vetro. Bibl.: L’Argento dei Romani 1991, pp. 97-99; Tassinari 1993, L 5000; Caramella 1995, Tarquinia, p.207 Cantharus Bronzo, argento Coppa dal corpo ovoidale o emisferico, poggiante su un alto piede, con due anse verticali slanciate, che talora sormontano l’orlo. Il corpo é spesso decorato o con motivi vegetali o con scene figurate. Il cantharus in argento con Tritoni e Nereidi da Pompei, datato alla metà del I sec. a.C., provvisto in modo inusuale di una sola ansa sopraelevata con ricca decorazione, é un esempio della fioritura dell’arte della cesellatura in età repubblicana. Sempre alla metà del I sec. a. C. si datano il cantharus da Alesia decorato con tralci e i canthari, un po’ più tardi, decorati da tralci di ulivo, facenti parte del servizio della Casa del Menandro, i quali presentano due anse sopraelevate non saldate all’orlo, di forma tipicamente ellenistica. La decorazione degli ultimi esemplari menzionati é eseguita a sbalzo, la principale tecnica utilizzata per la realizzazione delle decorazioni sui recipienti più pregiati durante tutta la prima età imperiale. Il tipo in bronzo a corpo baccellato può essere datato al I sec. d. C., in base a confronti con affreschi pompeiani. Bibl.: L’argento dei Romani 1991, cat. 15, fig.8, catt. 63-64, figg. 120-121; Scarcelli, Collezione Gorga, p. 35, fig. 23 Casseruola (patera) Bronzo, argento Recipiente ad alte pareti costituito da una vasca e da un manico piatto, fabbricati in un solo pezzo. La vasca é aperta a profilo variabile, con pareti svasate che in alcuni esemplari si restringono leggermente verso l’imboccatura. Il manico é piatto, con la faccia inferiore liscia; é generalmente orizzontale, talvolta leggermente sopraelevato rispetto all’imboccatura, raramente inclinato verso il basso. Un solo esemplare, fra quelli rinvenuti a Pompei, presenta un manico verticale. Le casseruole possono presentare decorazioni sugli elementi di presa. Non si conosce esattamente la funzione di questi oggetti, sicuramente diversa da quella dei recipienti contemporanei, da cui le deriva il nome per assimilazione morfologica; su nessuna delle casseruole di Pompei o del Museo Nazionale di Napoli si riscontrano tracce di annerimento da fuoco. Questi recipienti sono praticamente gli unici stagnati e fanno parte dei pochi tipi di recipienti in bronzo bollati. Nei servizi in argento del I sec. d. C. compaiono per la prima volta le casseruole, il recipiente si diffonderà enormemente nei secoli successivi. La decorazione delle anse di questi primi esemplari presenta sottili tralci vegetali, rosette, conchiglie e animali marini, un tirso (tesoro di Boscoreale); nel servizio della casa del Menandro é rappresentata in alto una testa di Medusa, mentre un altro esemplare presenta un complesso motivo di scene di caccia con alcune parti dorate. L’ansa generalmente é unita alla coppa da un semicerchio desinente alle due estremità in teste di volatili. Bibl.: L’Argento dei Romani 1991, p.72, cat. n. 79, fig. 146; Tassinari 1993, G; Scarcelli, Collezione Gorga, p.35, fig. 14 Contenitori metallici – pag.6 Catino Bronzo, argento A Pompei sono documentati catini ellissoidali in bronzo: recipienti con fondo ovale piano poggiante su quattro piedi (a forma di pelta) o più raramente su due supporti curvilinei, ventre troncoconico svasato verso l’apertura ovale, ampio labbro a tesa, con estremità pendente a fascia. Due impugnature mobili. Coperchio ovale con faccia esterna convessa provvista al centro di un anello da presa mobile, il labbro del coperchio é piegato per l’incastro nell’imboccatura del recipiente. Questi catini presentano le pareti convesse o rettilinee. I catini in argento tardo-antichi, destinati al lavaggio delle mani, che possono a volte formare un set omogeneo con le brocche, sono a bacinella di dimensioni piuttosto ampie con le pareti decorate da scanalature, sia larghe che sottilissime, con medaglioni decorati con la sgorbia. Questi catini sostituiscono le vasche a conchiglia del I secolo d. C. e ne costituiscono un’evoluzione della forma; la fase intermedia é forse rappresentata dai bacili con parete costituita da pannelli piatti, alternati a profonde scanalature. Bibl.: Tassinari 1993, T; L’Argento dei Romani 1991, p.105, figg. 68, 71, 257, 301 Cista Bronzo Il termine cista, generalmente designante ogni tipo di scatola, sta ad indicare un contenitore di gioielli e oggetti da toeletta. Tale uso é documentato, oltre che da numerose raffigurazioni vascolari con scene di abbigliamento, dal rinvenimento all’interno delle ciste di oggetti appartenenti al mundus muliebris, come, ad esempio, specchi, alabastra, strigili e aghi crinali. La forma più diffusa é quella cilindrica, tipica sia delle ciste a cordoni, diffuse a partire dal villanoviano soprattutto nell’Italia Padana orientale, ma attestate anche nell’Italia del Sud e nell’Europa del Nord, sia di gran parte della produzione prenestina ed etrusca, comprendente recipienti decorati a traforo e graffiti o privi di decorazione. Meno numerosamente rappresentate sono invece le ciste di forma ovale e rettangolare. Bibl.: Daremberg- Saglio, I-2, p.1202 ss., s.v. cista; EAA, vol. II, p.249 ss., s.v. cista; A. Hus, Les bronzes etrusques, Bruxelles 1975, p.127 ss.; G. Bordenache Battaglia, Le ciste prenestine, I, Firenze 1979; F. Jurgeit, Le ciste prenestine, II, Studi e contributi: cistenfusse, Roma 1986; Caramella 1995, Tarquinia, pp.247-268 Ciotola Bronzo Recipiente di forma aperta, di dimensioni piccole o medie. Il diametro dell’imboccatura é superiore a 8 cm. e l’altezza é superiore a 5 cm. Fa parte di questa forma l’acetabulum ricordato dalle fonti. I tipi a parete appena svasata e fondo quasi piano e a parete svasata e ampio orlo, databili al I sec. a.C., sono attestate anche in Francia e in Italia Settentrionale. Il tipo con orlo distinto a fascia e parete arrotondata, trova confronti con esemplari del Fayum. La ciotola con con orlo non distinto e fondo arrotondato, assegnabile al III sec. d. C., é attestata nella necropoli di San Bernardo di Ornavasso. Bibl.: Tassinari 1993, L 2000; Scarcelli, Collezione Gorga, p.35, figg. 21-22 Cofano Argento Contenitore con coperchio destinato a contenere oggetti da toeletta. Due cofani fanno parte del Tesoro dell’Esquilino, che comprende oggetti omogenei per il tipo di decorazione e per la tecnica attribuiti ad un’unica bottega attiva a Roma tra il 330 e il 370 d. C. Il primo cofano é di forma rettangolare con coperchio, lavorato a sbalzo e parzialmente dorato. Presenta due maniglie sui lati brevi e quattro piedi. Sul coperchio, al centro, due eroti sostengono una corona d’alloro con i busti Contenitori metallici – pag.7 di un uomo e di una donna la cui identità é rivelata dall’iscrizione che corre lungo l’orlo del coperchio: Secundus e Proiecta. La scena rappresentata sulla parte posteriore del coperchio é stata interpretata come l’avvio della sposa al matrimonio, mentre le altre scene sono di carattere mitologico. Il carattere dell’iscrizione e le scene rappresentate fanno interpretare il cofano, come anche l’altro cofano facente parte dello stesso tesoro, come un dono di nozze. L’altro cofano da toeletta é di forma circolare con coperchio a cupola con scanalature lisce alternate a pannelli piatti decorati, incernierato al contenitore vero e proprio e fornito di tre catenelle per la sospensione. Il contenitore ha le pareti scanalate decorate a sbalzo, con la raffigurazione delle Muse, alternate a pannelli piani con uccelli ed elementi fitomorfi. All’interno si trovano cinque bottiglie cilindriche con coperchio destinate ad olii e profumi. Bibl.: Milano Capitale 1990, p.81, 1g.1d.1; L’Argento dei Romani 1991, pp.302-303, nn.180-181, figg. 34, 78-79, 80-81, 300 Colatoio Bronzo Recipiente con vasca a calotta, convessa, semiellittica: hanno tutti imboccatura molto ampia e vasca convessa relativamente profonda. Alcuni colatoi sono di piccole dimensioni, privi di manico ma provvisti di anello di sospensione. Altri colatoi sono, invece, di dimensioni molto grandi, molto aperti e di profondità media. Sono collocati su una base a tre piedi o ad anello il cui diametro é sempre molto più ristretto di quello dell’imboccatura. Bibl.: Tassinari 1993, M 2000, S Colino (colum) Bronzo, argento, piombo Recipiente frequentemente attestato nelle necropoli antiche, costituito da una parte cava (vasca) e da un manico, fabbricati insieme o separatamente, dotato di gancio per la sospensione. A volte, contrapposta al manico, é presente un’appendice formata da una linguetta sostenuta da due listelli. Le fonti letterarie, che citano frequentemente il colum anche con i nomi di hethmòs e hylistèr, spiegano che si adoperava per filtrare il vino nel versarlo dalle anfore nel cratere o dall’oinochoe e dal kyathos nelle coppe. L’operazione, nel caso in cui si trattava di recipienti dall’ampia imboccatura, era facilitata dalla linguetta che aveva la funzione di appoggiarsi all’orlo. Marziale (Mart., XIV, 103) riferisce un procedimento particolare che consisteva nel filtrare attraverso la neve, posta nella vasca del colum, chiamato nivarium, il vino per rinfrescarlo e, contemporaneamente per tagliarlo. Oltreai colini di bronzo, di cui si conservano numerosi esemplari, sono documentate anche riproduzioni in altri metalli come argento e piombo (argento v. Athen. XI, 31; piombo rinvenuti a Populonia), in ceramica e in tela. Il colum é frequentemente rappresentato, essendo un oggetto indispensabile nel rituale del vino, nelle scene simposiache delle pitture vascolari e tombali e nei bassorilievi chiusini. In tali raffigurazioni compare spesso insieme all’oinochoe o al kyathos, secondo un’associazione frequentissima anche nei corredi. Occorre distinguere dai cola gli infundibula, oggetti composti da un colum, cui é aggiunto un imbuto mobile. I cola, recipienti frequentemente attestati nelle necropoli antiche, sono stati studiati e organizzati tipologicamente dalla Kent Hill, secondo una classificazione che ha trovato scarsa applicazione negli studi successivi. Gli esemplari di Tarquinia sono stati distinti in tre tipi (Caramella 1995, Tarquinia): Tipo A, datato tra la fine del VI e la metà del V sec. a.C., con vasca a filtro distinto globulare e manico a verghetta ondulata, attestato particolarmente in aree distribuite lungo l’asse che dall’Etruria Meridionale giunge fino all’Adriatico e diffuso anche nell’Etruria Padana, nel Piceno, nel salernitano in Abruzzo e ad Aleria- Tipo B, databile dalla prima metà del V alla fine del IV sec. a. C., con vasca semplice cribrata sul fondo e manico con terminazione ad anello, molto diffuso in Etruria Padana, a Bologna, Spina, in numerosi centri etruschi, nel Sannio, nella Campania, nella Daunia e in Pannonia- Tipo C con vasca semplice cribrata e manico desinente a gancio conformato a protome animale. Questa ultima forma é quella più attestata e diffusa in tutta Contenitori metallici – pag.8 l’Etruria dalla seconda metà del II alla metà del IV sec. a.C. I tre tipi di cola individuati a Tarquinia, poiché trovano ampio riscontro col materiale proveniente da altri siti, possono considerarsi indicativi per buona parte della produzione etrusca di questa forma. Gli esemplari di Pompei presentano la vasca emisferica con labbro svasato o ripiegato, poco ingrossato, e orlo sottile rettilineo convesso. La vasca é traforata per i 2/3 o 3/4 della parte inferiore; i minuscoli fori sono disposti a formare motivi geometrici o vegetali. Alcuni colini, muniti di manico, sono piuttosto dei filtri e hanno una forma analoga ai bacili. Sono tipologicamente affini ai mestoli e agli attingitoi con i quali formano spesso delle coppie. I colini, come le casseruole, si differenziano in base alla forma dell’estremità del manico: estremità del manico con foro a staffa (Tassinari, K 3100), estremità del manico a disco con foro rotondo (Tassinari, K 3200), manico a remo o a “coda di rondine” (Tassinari, K 3300). Fra gli esemplari in argento si ricordano un colino del tesoro di Chaourse, incernierato ad un imbuto e quello rinvenuto a Londra nei resti di un mitreo all’interno di una scatoletta cilindrica decorata a rilievo con scene di caccia, databile agli inizi del III secolo, probabilmente usato per i riti del culto di Mitra. Bibl.: Radnoti 1938, , p.75, tavv. V, 23, XXIV, 4; Kent Hill 1942, p.41 ss.; A. De Agostino, Populonia (Livorno). Scoperte archeologiche nelle necropoli negli anni 1957-60 in NSA, 1957, p.49, n.56, fig.72 (esemplare in piombo); L’argento dei Romani 1991, pp.83-84, figg. 63, 207; Tassinari 1993, K 3000- 3100- 3200, S 2100; Caramella 1995, Tarquinia, pp.75-85 Coppa Bronzo, argento Forma aperta di dimensioni maggiori rispetto alle coppette. A Pontecagnano nella prima età del ferro sono documentate coppe a calotta in bronzo del tipo con vasca espansa e piede stretto e sporgente. Le coppe in argento con emblemata centrale, diffuse negli ultimi due secoli dell’ellenismo, sono ben documentate da raffinati esemplari del I sec. a. C.: la grande coppa con rappresentazione di Atena, assegnata alla produzione siriana della metà del I sec. a.C., e quella con Ercole in lotta con i serpenti del tesoro di Hildesheim, la coppa con il busto di Africa e quella con busto virile in rilievo del tesoro di Boscoreale. Tali coppe, molto ricercate dai romani abbienti, furono apprezzate ancora nella prima età imperiale, come indicano i due esemplari con busti-ritratto di privati del tesoro di Boscoreale. Gli esemplari in bronzo di Pompei presentano vasca a pareti convesse, con profondità media e imboccatura molto più ampia della base che può essere portante, su tre piedi o ad anello. Possono essere prive di manici, con manici sopraelevati o non sopraelevati. Bibl.: D’Agostino 1988, Pontecagnano, p.49, 31A; L’Argento dei Romani 1991, cat. n.91, fig. 167, cat. n. 37, figg. 43, 99, cat. n.38, fig.44; Tassinari 1993, M 1000 Coppa a conchiglia Bronzo, argento A forma di valva di conchiglia, resa in modo naturalistico oppure molto stilizzata. Gli esemplari resi naturalisticamente sono privi di piede. Queste coppe possono essere prive di sistemi di presa o sospensione, oppure possono essere provviste di due anse mobili o di un anello di sospensione. La coppa a forma di conchiglia in argento, di epoca tardo-antica, del Tesoro dell’Esquilino é decorata all’interno da una raffigurazione di Venere assisa assistita nella toilette da due amorini, alla presenza di Adone a rilievo sulla parte superiore del manico. Bibl.: L’Argento dei Romani 1991, p.104, fig. 243; Tassinari 1993, N Coppetta Bronzo Recipiente di forma aperta, di dimensioni piccole o medie. Bibl.: Tassinari 1993, L 1000 Contenitori metallici – pag.9 Cratere Bronzo La forma può essere: a campana con due impugnature laterali, spesso su alto piede composto da più elementi; ovoidale con due impugnature laterali. Bibl.: Tassinari 1993, Y Cucchiaio Bronzo, argento I cucchiai, in base alla loro forma, si distinguono in cochlearia e in ligulae. I cochlearia presentano un manico lungo e diritto con parte terminale appuntita. Cucchiai con manico diritto ed appuntito sono conosciuti sin dalla tarda repubblica (tesoro di Tivoli); sia i cucchiai di età tardo-repubblicana che i cochlearia del I sec. d. C., presentano la coppa rotonda e direttamente congiunta al manico. I cochlearia di epoca tardo-antica (Tesoro di Kaiseaugst, Canterbury, tesoro di Mildenhall e dell’Esquilino) sono caratterizzati dalla coppa di forma ovoidale e da un elemento di raccordo nel punto di congiunzione con l’asta. Questo tipo di cucchiaio nasce nel IV secolo e continua ad essere prodotto sino al VII. Gli esemplari in bronzo sono in apparenza meno numerosi di quelli in argento, ma ciò é probabilmente dovuto al fatto che essi non vennero tesaurizzati. Le ligulae degli inizi dell’epoca romana (tesoro di Tivoli), si distinguono dai cochlearia per la coppa più ampia ed ovale e per il maggior peso; esse erano provviste ancora di un manico diritto, non terminante a punta. Solo in età tardo-romana la ligula presenta il manico ad occhiello con terminazione a testa di uccello. Gli esemplari di Kaiseraugst sono attualmente gli esempi più antichi di questa forma; tutti gli altri pezzi conosciuti di questo periodo, come ad esempio le ligulae del nascondiglio di argenteria di Traprain Law (Scozia) e delle tombe di Spontin (Belgio) sono collocabili, al più presto, nella seconda metà del IV sec. d.C. I cucchiai di argento di età tardoromana a noi pervenuti sono molto numerosi, sia facenti parte di servizi da tavola, sotterrati in quell’epoca in gran quantità, sia di offerte funebri. Si possono distinguere due tipi di cucchiai in base alla forma: i cochlearia con manico diritto e forma slanciata e le ligulae con coppa più ampia e manico ad occhiello. Ambedue i tipi erano adoperati come strumento per cibarsi a tavola. Mentre il cochlear era un cucchiaio assai comune di uso giornaliero, la ligula era un particolare utensile aggiuntivo. Bibl.: Il Tesoro nascosto. Le argenterie imperiali di Kaiseraugst, Milano-Roma 1987, pp.90-93; L’argento dei Romani 1991, catt. 11-12, pp.252-254 (tesoro di Tivoli); Roma dall’antichità al Medioevo, Milano 2001, pp. 170-173 Fiaschetta Bronzo, argento Vasetto da toilette destinato a contenere oli e unguenti, indicato dalle fonti come lekythos o ampulla, di piccole dimensioni a collo stretto e corpo espanso, in genere con tappo e catenella. Le catenelle di sospensione servivano per essere allacciate al polso dell’atleta, come si vede nelle raffigurazioni, o collegate ad un anello di metallo e a corregge di cuoio insieme ad altri oggetti da palestra, come strigili e bacinelle. L’associazione con gli strigili é frequentissima ed é indicata dalle fonti letterarie con la ricorrente espressione strigilis et ampulla (Plaut., Stich., 230), anche in greco (Plato, Hipp. min., 368); tali oggetti sono presenti spesso insieme su rappresentazioni vascolari, appesi ai muri del ginnasio o dei bagni. Possono essere decorate. Fiaschette, prodotte in area etrusca, databili tra la seconda metà del III e gli inizi del II sec. a.C., sono particolarmente diffuse nell’Etruria settentrionale interna, soprattutto nell’agro di Chiusi, per cui si ritiene valida l’ipotesi di una produzione locale. La fiaschetta a corpo globulare (Finaroli, tipo 2), particolarmente attestata nei Musei di Firenze e di Volterra, generalmente priva di decorazione e di morfologia alquanto semplice, sembra essere un prodotto di serie, anche se di elevato livello tecnico, attribuibile ad un’unica officina attiva tra la metà del III e la metà del II sec.a.C. verosimilmente localizzata a Contenitori metallici – pag.10 Volterrra. Alle fiaschette é stato dedicato uno studio dalla Cianferoni che ne ha individuato due tipi appartenenti alla produzione bronzistica ellenistica: fiaschetta a ventre rastremato e alto corpo cilindrico (Cianferoni I); fiaschetta a corpo globulare e collo a profilo concavo, ornato da baccellature (Cianferoni II). Le fiaschette di epoca tardo-antica in argento presentano il corpo schiacciato a doppio disco e sono decorate a sbalzo con motivi sia pagani che cristiani, come ad esempio i due esemplari rinvenuti con altre argenterie cristiane nella casa dei Valerii sul Celio. Bibl.: Daremberg- Saglio, I-1, pp.250-251, s.v. ampulla; III-2; pp.634-638, s.v. lekythos; Artigianato artistico. L’Etruria Settentrionale interna in età ellenistica, a cura di A. Maggiani, Milano 1985, pp.148-169; L’Argento dei Romani 1991, pp.103-104, fig. 246; Caramella 1995, Tarquinia, pp. 211-221; Finaroli, La Collezione Gorga, p.38, figg. 11-12 Forchetta (fuscinula, kreagra) Bronzo La difficoltà di reperire un termine riferibile alla forchetta, ne indica l’uso poco diffuso presso gli antichi, attestato comunque dalle fonti in Grecia come utensile da cucina (Anth. pal. VI 305; ibid., XI 203). Veniva usata soprattutto in cucina, per afferrare e tagliare a pezzi la carne ardente (Vulg. exod. 27,3- 38,3), mentre non era utilizzata sulla tavola, dove i cibi venivano presi con le mani. Gli esemplari conservati nella Collezione Gorga (Lodovici, tipo 1c), databili al I-IV sec. d.C., sono caratterizzati da un manico a sezione esagonale desinente in una piastrina che richiama, spesso, uno zoccolo d’animale e la forchetta a tre o quattro rebbi. Bibl.: Daremberg- Saglio, s. v. Fuscinula; Lodovici 1999, Coll. Gorga, p.50 Graffione (kreagra) Bronzo, ferro Strumento fornito di ganci, presenta un manico orizzontale che termina in un cannone in cui si inseriva un’immanicatura di legno; il fusto si salda ad un anello centrale intorno al quale sono disposti denti ricurvi, in numero dispari. I graffioni possono essere in bronzo, ma anche in ferro. Si ritiene che si tratti di un utensile da cucina usato per infilzare e cuocere i pezzi di carne, mentre é stata quasi completamente abbandonata l’ipotesi che potessero essere adoperati come portaface. Alcuni esemplari conservati nella Collezione Gorga (Lodovici, tipi 1a-1b), databili tra il V e il III sec.a. C., sono caratterizzati da un manico vuoto, per l’immanicatura, desinente in una protome di serpente dalla cui bocca esce una forma tortile terminante in un anello circolare, dal quale si originano a raggera gli uncini, in numero dispari, sormontati da un altro, perpendicolare al manico, con due punte sormontate a loro volta da un bottone. Molti confronti si trovano nelle necropoli vicino Bologna e nell’Etruria, ed anche a Pompei. Bibl.: Daremberg- Saglio, s.v. Harpago; Finaroli 1999, Coll. Gorga, pp.49-50, figg. 17-19 Grattugia Bronzo, argento Di forma rettangolare con il bordo liscio su tre lati; i fori sono disposti secondo due diagonali che si incrociano al centro. Questo tipo di grattugia é documentata in argento nella tomba Bernardini di Preneste, a Poggio Buco ed in bronzo nella tomba 928 di Pontecagnano. Bibl.: G. Bartoloni, Le tombe da Poggio Buco nel Museo Archeologico di Firenze, Firenze 1972, p.64, n.21, fig.28, tav. 31, d; Canciani- von Hase 1979, p.42, n.33 Imbuto Bronzo Recipiente composto da una vasca con foro rotondo, di solito incastrato nell’imboccatura di un cannello. I recipienti realizzati in un solo pezzo sono rari. La coppa ha profilo continuo o Contenitori metallici – pag.11 discontinuo. Il cannello é sempre troncoconico, lungo e sottile, con diametro massimo sempre molto inferiore a quello dell’imboccatura della coppa. Bibl.: Tassinari 1993, R Kados Bronzo, argento, piombo Si intende convenzionalmente per kados la versione ovoide della situla con fondo arrotondato o a punta, esclusa dalla Giuliani Pomes dalla sua trattazione sulle situle, in quanto non derivante dalla forma troncoconica. Nelle fonti letterarie il termine indica, infatti, un oggetto di aspetto prossimo ad un casco che veniva adoperato come secchio per attingere acqua dai pozzi, oppure, opportunamente provvisto di piede o poggiante su una base, come contenitore di vino nei banchetti. Esistono due versioni di kadoi: -1) kados a fondo appuntito privo di decorazioni, di cui si hanno le prime attestazioni alla fine del VI sec. a.C., la massima diffusione nel V sec. a. C. (Populonia, Aleria, Marzabotto), anche se alcuni frammenti di kados da una tomba di Orte indicano il suo perdurare fino al IV sec. a.C.- 2) kados a fondo arrotondato a superficie decorata o liscia, compare alla fine del Vi sec. a. C., la massima diffusione si ha tra il V ed il IV sec. a. C. quando si producono, oltre alla semplice forma priva di decorazioni, attestata nell’Etruria centrale e settentrionale, kadoi a superficie istoriata attribuiti ad officine qualificate di altissimo livello con diffusione concentrata nell’Etruria meridionale costiera e interna, ma anche nei centri settentrionali di Populonia e Volterra. Nelle sue ultime attestazioni, la versione a fondo arrotondato si presenta nella forma a stretto e basso collarino, priva di decorazione, riprodotta anche in argento a Chiusi e in piombo nel centro minerario di Populonia. Bibl.: Daremberg- Saglio, IV, 2, pp.777-778, s.v. cados; A. De Agostino, Populonia (Livorno). Scoperte archeologiche nelle necropoli negli anni 1957-60 in NSA 1957, p.49, n.55, fig.72; Caramella 1995, Tarquinia, pp. 136-140 Kotyle Bronzo, argento, oro Termine generico indicante una coppa (cfr. Apoll. apd. Athen.XI, 479 a, 478 e, b, f, dove é descritta con ansa, senza, simile ad un cratere, adoperata per libagioni). Nella terminologia archeologica si indica con il termine kotyle una coppa profonda con due anse, piuttosto simile allo skyphos. In età orientalizzante sono documentate a Preneste, in Etruria e in Campania kotylai, di forma simile a quelle protocorinzie, in argento dalle tombe Barberini e Bernardini di Preneste, da Marsiliana d’Albegna e da Cuma. La kotyle d’oro della Tomba Bernardini, che richiama forme note nella produzione della fine del protocorinzio antico e dell’inizio del medio (700-675 a.C.), é probabilmente opera di artigiani greci operanti in Etruria. Le kotylai in argento delle tombe Bernardini e Barberini sono da attribuire a botteghe dell’Etruria meridionale per la presenza di motivi decorativi accessori, quali semicechi, ghirlande intrecciate di archetti, ventagli a puntini, tipici di prodotti etruschi, quali i buccheri. Bibl.: Arias 1963, p.18; Canciani- von Hase 1979, pp.5, 9, 41-42; L’oro degli Etruschi 1992, pp.253-257 Kyathos (Cyathus) Bronzo Con il termine kyathos si definisce comunemente un vasetto di varia forma con ansa sormontante, ma, secondo il significato originario tramandatoci dalle fonti, esso indica con maggiore proprietà gli utensili convenzionalmente chiamati simpula. Non conoscendosi, quindi, il nome preciso di questi piccoli recipienti provvisti di un unico manico, sussistono anche incertezze riguardo la loro utilizzazione. Sono state formulate varie ipotesi particolarmente per la forma più diffusa, cioé il kyathos a rocchetto, considerato come vaso potorio, attingitoio o modiolo. Quest’ultima interpretazione é la più accreditata, e quindi il kyathos viene considerato da alcuni studiosi, come un Contenitori metallici – pag.12 recipiente destinato a misurare la farina e il grano. Tale ipotesi é però smentita dalla presenza costante, accanto al kyathos, di altri oggetti collegati al rituale del simposio, come cola, stamnoi e situle, dimostrando che, invece, tale recipiente costituiva un elemento essenziale nei servizi per il vino. I kyathoi, allo stesso modo dei simpula, venivano presumibilmente usati come attingitoi e, contemporaneamente, anche come unità di misura, necessaria sia per la mescita che per la distribuzione del vino. Per questo motivo infatti essi sono solo raramente associati ai simpula a manico verticale e continuano a sopravvivere dopo la loro scomparsa, avvenuta alla fine del V sec. a.C., per più di due secoli fino al II sec. a. C. I kyathoi delle raccolte tarquiniesi sono stati suddivisi in tre tipi (Caramella 1995, Tarquinia), molto diffusi e attestati in tutta l’Etruria: tipo A a corpo ovoide, tipo B a rocchetto, tipo C a corpo piriforme. Il tipo A é attestato nei luoghi interessati dai traffici commerciali di matrice orvietana, che raggiunsero attraverso i centri umbri e piceni, la regione padana e da qui anche le tombe dell’Italia Transpadana. Sporadiche documentazioni sono anche in Lucania. La produzione del tipo A, attribuito probabilmente ad officine orvietane, si colloca tra la fine del VI sec. a. C. e la seconda metà del V. Il tipo B a rocchetto presenta tre varianti: La variante B1 ad orlo estroflesso e corpo quasi cilindrico, la variante B2 ad orlo estroflesso piatto e corpo a rocchetto, la variante B3 ad orlo estroflesso rovesciato in fuori e corpo a rocchetto. La variante B1, databile dalla prima metà all’ultimo quartodel V sec. a. C., si concentra nelle necropoli romagnole ed é attestata anche in area umbra e in Abruzzo. La variante B2, diffusa dalla prima metà del V sec. a. C. alla fine del IV sec. a.C., é particolarmente attestata nelle necropoli dell’Etruria Padana e nell’Etruria interna e meridionale (Vulci); va considerata a parte la versione, attribuita ad officine falische, decorata con perline ed ovuli sul bordo verticale e con fasce a guilloche o a triangolini sul ventre, non presente a Tarquinia, molto diffusa intorno alla metà del V sec. a. C. in area umbra e soprattutto a Falerii. La variante B3 é attestata dalla seconda metà del V sec. a.C. fino agli ultimi decenni del III sec. a. C. in tutta l’Etruria, con periodo di massima diffusione tra il IV ed il III sec. a. C. in tutta l’Etruria, in centri umbri, piceni e ad Aleria. Si ritiene che tale variante fosse prodotta contemporaneamente in più centri dell’Etruria. Il tipo C presenta orlo estroflesso, breve bordo obliquo, distinto dal corpo da leggera strozzatura, corpo piriforme, piede distinto a disco con piccola ombelicatura centrale. Ansa a bastoncello sormontante con attacco inferiore a forma di foglia lanceolata a profilo concavo. Il tipo C, collocabile tra la fine del IV sec. a. C. e gli inizi del II sec. a. C., é attestato nell’Etruria interna e nell’area picena, presenze sporadiche si riscontrano nell’Etruria Settentrionale, Meridionale e Padana e nell’area umbra. La produzione di questo tipo é attribuibile probabilmente ad officine attive a Chiusi. Il kyathos a corpo troncoconico e ansa a doppia curva contrapposta (Finaroli, Coll. Gorga, tipo 3) é molto diffuso a Bologna, Marzabotto, Tolentino, nei sepolcreti gallici di Montefortino di Acervia e Filottrano, a San Ginesio e a Capena. La particolare forma del kyathos, ritenuto da alcuni di fabbrica gallica, ha fatto sorgere dubbi riguardo alla sua funzione: é stata formulata l’ipotesi che il rinforzo all’esterno fosse da collegare alla necessità di cuocere cibi grossi e pesanti. Il kyathos a rocchetto (Finaroli, Coll. Gorga, tipo 4), databile fra il 120 e il secondo quarto del I sec. a.C., é stato probabilmente prodotto da officine etrusche. L’area di diffusione é molto vasta: la penisola iberica, la Francia, la Svizzera, la Grecia e l’Europa orientale; in Italia il tipo é ampiamente attestato a Ornavasso, Como, Bergamo, Varese, Marzabotto, Parma, Pitigliano, Volterra, Chieti e Pompei. Sembra probabile che questi kyathoi derivino da produzioni medio-repubblicane, mentre successori del tipo sono stati individuati in esemplari di provenienza pompeiana. Nel corso del I sec. a. C. la produzione dei kyathoi si accentra in Campania, come si desume dalle fonti antiche e dai marchi di fabbrica, dove continua fino alle soglie dell’età imperiale. Bibl.: Caramella 1995, Tarquinia, pp.101-118 ; Finaroli 1999, Coll. Gorga, pp.37-39, figg. 13, 18 Contenitori metallici – pag.13 Kylix Bronzo Coppa con due anse, costituita da una tazza bassa e aperta, e, generalmente, da un alto piede. La parola si adatta ad un vaso per bere (Pher. 108, 30 cfr. Aristoph. Plout. 1132; cfr. Athen. XI, 470 e, 478 e). Il termine kylix ricorre spesso nelle iscrizioni anche sugli stessi vasi. Tale forma vascolare potoria é diffusissima nella ceramica mentre, nella versione metallica, é documentata soltanto da uno scarso numero di ritrovamenti, per di più spesso riferibili solo alle anse. Le stesse anse, inoltre, essendo caratteristiche anche di alcuni kantharoi di produzione greca, sono difficilmente attribuibili ad una delle due forme vascolari. Bibl.: Daremberg- Saglio, s.v. calix: E. Saglio; Arias 1963, pp.18-19; Treasures of Ancient Macedonia, 1978, nn. 188-189, fig.28; Caramella 1995, Tarquinia, pp.203-206 Lanx Argento Vassoio da portata di varie dimensioni, sia ovale che rettangolare. Il recipiente fa parte nell’ambito del servizio da tavola, dell’argentum escarium, cioé piatti e vassoi da portata per cibi solidi. Un papiro rinvenuto in Egitto riporta l’inventario del servizio di proprietà di un ricco romano del I sec. d.C. ed in particolare consente di conoscere la composizione del solo argentum escarium. Nel tesoro di Hildesheim la lanx é di forma rettangolare, mentre é circolare in quelli da Pompei e da Boscoreale; tutte le lances sono elegantemente decorate nelle anse o lungo i bordi. Le anse del grande piatto da Boscoreale sono ornate da delfini; quelle della lanx dalla Casa del Menandro sono a forma di testa di Sileno, rappresentata di prospetto, circondata da due oche spennate. La lanx ovale conservata nel Museo di Torino, del II sec. d.C., presenta un fregio continuo lungo il bordo e maggiore profondità e capienza del bacino rispetto a quelle dei periodi precedenti. Nei servizi di III e IV sec. d.C. si notano variazioni, rispetto a quelli di I sec. d.C., per quanto riguarda le caratteristiche dei vassoi. I piatti diventano più rari, mentre i vassoi da portata, di misure diverse e di varia forma, sono arricchiti da una fastosa sintassi ornamentale che li occupa quasi interamente. Si tratta di oggetti di gran lusso, da parata, eseguiti da botteghe altamente specializzate sia nelle tecniche di lavorazione, che nell’impaginazione dei fregi. I soggetti sono soprattutto mitologici: sul grande vassoio ottogonale da Kaiseraugst é rappresentata la vita dell’eroe Achille; su quello rettangolare dello stesso tesoro il mito di Arianna; su quello circolare di Mildenhall é raffigurato un corteo dionisiaco. Bibl.: L’Argento dei Romani 1991, pp.113-119 Lebete (lebes) Bronzo, argento Recipiente di forma sferica, con bocca circondata da un breve orlo verticale, destinato ad essere impostato su di un sostegno variamente sagomato, o su di un tripode. Il lebete é spesso considerato come un premio concesso ai vincitori di gare; Ateneo afferma che i lebeti erano utilizzati per mescolare il vino con l’acqua (II, 38 a), mentre Omero già allude a lebeti e tripodi allestiti per i giochi funebri di Patroclo (Il. 23, 259). La forma più adoperata di questo vaso é di bronzo, infatti in un frammento di Eschilo é citato il “lebete collocato sul fuoco” (apd. Athen. II, 37 f). Col termine di dinos si suole definire la stessa forma di vaso, come indicano alcune iscrizioni attiche (IG II-III, n.1534, 280, 324). Tuttavia, sia Ateneo (XI, 467 d) che Polluce (XI, 96) ed Esichio (s.v.) sembrano indicare chiaramente la funzione di coppa che avrebbe il dinos, confermata anche da Aristofane (Vesp. 616 segg.). Tali contenitori sono presenti particolarmente in area etrusca nel VII- VI sec. a. C., ad esempio nella Tomba del Duce di Vetulonia e nella tomba 928 di Pontecagnano, e in Abruzzo. Dalla tomba Bernardini di Preneste proviene un piccolo lebete, probabilmente importato da Cipro, di forma globulare con protomi di serpente in argento dorato, facente parte di una classe, insieme alle patere d’argento rinvenute nella stessa tomba, diffusa dall’Assiria alla Grecia all’Italia, correntemente designata con il termine generico di “coppe fenicie”. Tale classe é caratterizzata da Contenitori metallici – pag.14 un repertorio in cui si mescolano elementi del Vicino Oriente, dell’Egitto e , in taluni casi, della Grecia propria Bibl.: Daremberg- Saglio, Vol. III, 2, s.v. lebes: A. De Ridder; Daremberg- Saglio, vol. V, s.v. dinos: C. Robert; Arias 1963, pp.11-12; Canciani- von Hase 1979, pp. 5, 36-37, n.16; L’Oro degli Etruschi 1992, p.256, n.16; Scarcelli, Collezione Gorga, p.31 Mestolo, v. anche simpulum Oinochoe Bronzo, argento Recipiente usato per versare e per attingere il vino. In epoca orientalizzante sono attestate oinochoai in argento con imboccatura trilobata, importate dalla Siria, a Preneste, a Cerveteri, a Cuma e a Pontecagnano. Il tipo, di uso simposiaco, caratterizzato dalla forma slanciata, spalla alta e collo stretto, con becco allungato simile a un “becco d’anatra” (Schnabelkanne), compare in Etruria alla fine del VI sec. e perdura per tutto il secolo successivo. Numerosi esemplari di questo tipo sono attestati nelle necropoli dell’Etruria Meridionale, particolarmente Vulci e Tarquinia, nelle aree etruschizzate della Campania, dell’Etruria padana e nelle necropoli medio-adriatiche. Sono molto diffuse anche nell’Italia settentrionale, soprattutto nell’area dei laghi alpini, zona da cui questi prodotti venivano esportati verso la regione renana e la Champagne. Le Schnabelkannen, infatti, si ritrovano con frequenza nei corredi delle tombe a tumulo dei principi celti. La loro diffusione copre un’area molto estesa (Cecoslovacchia, Francia, Belgio, Austria, Svizzera, Germania, Cartagine), dove, in quanto prodotti d’esportazione, indicano l’espansione etrusca nel V sec. a. C. La maggior parte degli studiosi ritiene di localizzare a Vulci il centro di produzione delle Schnabelkannen. In area etrusca, tra la fine del VI e il V sec. a.C., sono documentati vari tipi di oinochoai di cui non si conoscono con certezza i centri di produzione: a corpo ovoide (Finaroli, tipo 5) forma di transizione fra la Schnabelkanne e la Plumpekanne, a lungo becco obliquo e corpo troncoconico, olpe a corpo globulare e ansa sopraelevata, a bocca trilobata e ansa sopraelevata, olpetta a corpo biconico e ansa sopraelevata, olpetta a corpo globulare e ansa sopraelevata. L’oinochoe a rotelle c.d. rodia (Finaroli, tipo 1), caratterizzata da tecniche che non prevedono la fusione, é una produzione localizzata a Rodi e nella Ionia meridionale, riferibile al periodo compreso fra la prima metà del VII e la metà del VI sec. a.C., diffusa in tutto il Mediterraneo occidentale, a Cartagine, Malta, in Sicilia in Magna Grecia e in Etruria dove trova una vasta diffusione. A Pompei le oinochoai sono recipienti di varie dimensioni provvisti di un’ ansa verticale che, tranne rare eccezioni, non é sopraelevata. L’imboccatura può essere circolare (olpe), più o meno ampia, bilobata o trilobata, fornita di becco. Il ventre può essere ovoidale, bulbiforme, molto compresso, ellissoidale allungato, biconvesso o più raramente globulare. Base più o meno ampia. Le oinochoai presentano decorazioni sugli elementi di presa; la decorazione principale, per dimensioni e soggetto, occupa l’attacco inferiore dell’ansa. Alcune oinochoai venivano utilizzate, in coppia con patere o bacili, per le abluzioni che si effettuavano prima del pranzo. Bibl.: Canciani- von Hase 1979, p.42, n.32; L’Oro degli Etruschi 1992, pp. 253-257; Tassinari 1993, D (brocca); Finaroli, Collezione Gorga, pp.37-38, figg.1-7 Olpe Bronzo Recipiente avente la funzione di versare o di attingere il vino. Tale forma, con corpo che forma una linea continua col collo e bocca o appena trilobata o rotonda, é una variante dell’oinochoe. Nella Collezione Gorga é presente l’olpe a corpo piriforme (Finaroli, tipo 7), martellata e rifinita al tornio, che prolunga una tradizione etrusca del IV- III sec. a.C., attestata poco più tardi nei corredi funerari di Orbetello, Volterra, Chianciano, Chiusi, Tuscania, Viterbo, Todi, Montefortino, Fermignano da brocche a corpo ovoide con ansa variamente decorata. Bibl: Finaroli 1999, Collezione Gorga, pp. 38-39, fig.14 Contenitori metallici – pag.15 Padella Bronzo, argento Le padelle corrispondono probabilmente alle patellae citate nelle fonti latine, adoperate, quindi, come fanno supporre anche le stesse caratteristiche morfologiche, come vasi per cuocere. E’ un recipiente composto da una vasca, ampia e bassa, e da un manico fabbricati in un solo pezzo. La vasca può essere rotonda o ovale, aperta, bassa, con imboccatura e base continua molto larghe, provvista, tranne poche eccezioni, di un beccuccio versatoio, posto generalmente sul lato sinistro del manico, a distanza variabile da quest’ultimo. Le pareti sono basse e rettilinee, quasi verticali o leggermente svasate. Il manico é lungo orizzontale, più o meno sopraelevato rispetto all’imboccatura, con varianti nella forma della terminazione. Le padelle, contrassegnate in alcuni casi da bolli, possono essere prive di ornamenti o presentare decorazioni sull’orlo e sul manico. Per alcuni tipi di padelle (De Marinis, tipo Povegliano) é nota anche una produzione in argento. I prototipi della padella ellenistica-tardo repubblicana sono da ricercare secondo C. Rolley nella Magna Grecia, in contesti databili tra la fine del VI sec. a.C. e la metà del IV sec. a.C. Il tipo con manico terminante a protome di cigno, assegnabile all’età tardo-repubblicana (II-I sec. a.C.), é ben attestato in Italia settentrionale e nelle province centro-europee dell’Impero. Anche il tipo ad orlo ingrossato e quello a parete rettilinea, databili al III- II sec. a.C., sono presenti in Italia settentrionale. La sartago, padella dalla tipica forma trapezoidale con lungo manico orizzontale, é di cronologia incerta nell’ambito dell’età romana. I manici di padella del tipo con gancio a protome di cigno e a serpentina, sono databili tra il III e il II sec. a.C. La padella é un accessorio del servizio da banchetto. Essa veniva infatti adoperata per lavare le mani, come é rappresentato su un piatto in argento della fine del IV secolo da Cesena, che raffigura un servitore nell’atto di versare acqua da una brocca dentro la padella, mentre il convitato si sciaqua la mano. Il tipo di padella in bronzo a coppa emisferica con fondo ombelicato, presa triangolare allungata desinente con protome animale, venne prodotta sino al VII secolo. Bibl.: R. De Marinis, Le padelle bronzee del III- I sec. a.C. nell’Italia settentrionale in La vaisselle tardo-républicaine en bronze. Actes de la table-ronde CNRS, Lattes 26-28 avril 1990, Dijon 1991; C. Rolley 1991, La vaisselle tardo- rèpublicaine, p. 153; Tassinari 1993, J; Caramella 1995, pp.187191; Scarcelli, Collezione Gorga, p.35, figg.15-17; Roma dall’Antichità al Medioevo 2001, p.170, I.2.2 Patera (patera) Bronzo, argento Il vaso da libagione phiale o patera é una forma aperta costituita da una vasca poco profonda e molto ampia, a volte ombelicata, a pareti convesse, e da un manico tubolare unito alla vasca, sotto l’orlo, tramite una placca variamente conformata. La placca presenta per lo più un profilo molto articolato, terminante nella parte inferiore con due appendici a “chele di granchio” che seguono la curvatura delle pareti per quasi tutta la loro altezza. Il manico é orizzontale o obliquo, con estremità sopraelevata rispetto all’imboccatura. Elementi fondamentali per una classificazione tipologica sono la forma della base, la conformazione dell’estremità del manico, la forma dell’orlo e la presenza di un umbo. Molto spesso sono decorate sugli elementi di presa. Alcune patere hanno un emblema al centro del fondo. Sembra che la forma della patera, collegata sia con libagioni e sacrifici che con usi termali, derivi da quella della phiale. La sua utilizzazione é illustrata da rappresentazioni su moltissimi documenti figurativi con scene di sacrificio o figure di offerenti e di defunti. Il termine phiale é usato da Pindaro per indicare tazze argentee destinate a versare vino (Pind. Nem. IX, 51) e da Erodoto (II, 151) per indicare una coppa destinata alla libagione. Aristotele paragonava la phiale allo scudo con un rilievo circolare al centro (Poet. 21, 6, 8); anche Pausania paragona la phiale all’ aspìs (V, 10, 4). La phiale con parte centrale rilevata si chiama mesomphalos (Athen. XI, 501 f- 502 a; Poll. Onom. VI, 98). Questo termine si trova a volte iscritto su phialai d’argento (ad Contenitori metallici – pag.16 es. nella phiale di Boscoreale). In generale il vaso era di metallo; le phialai fittili conservano tuttavia le baccellature tipiche della tecnica della lavorazione del metallo. La patera in bronzo con digitazioni e protomi umane dalla tomba Bernardini di Preneste, probabilmente importate dalla Siria settentrionale, é documentata ad Atene in tombe dell’inizio del VII sec. a. C. e a Satricum. Alcuni esemplari ornati da baccellature più o meno aggettanti, che si rifanno a modelli orientali particolarmente assiri ma sono prodotti in Italia, sono diffusi dalla seconda metà dell’VIII sec.a. C. a Preneste, Vetulonia, Vulci, Castel di Decima, Pontecagnano. Il tipo a strettissime baccellature, di cui é noto l’esemplare in argento di Populonia, é databile fra il IV ed il III sec. a. C.: vasellame di questo genere era presente nei corredi dei principi traci, in quelli dei sovrani ellenistici ed era conosciuto in Etruria. Le patere ombelicate sono caratterizzate da una protuberanza sporgente dal centro della vasca, costituita da una rientranza del fondo stesso, che serviva a facilitarne la presa mediante l’inserzione di un dito. Tali recipienti, la cui invenzione é attribuita generalmente all’artigianato anatolico- cipriota d’età orientalizzante, sono molto diffusi in Etruria sia in contesti tombali, che di santuario. Le patere con parete svasata ed orlo rigonfio, diffuse a Pompei, sono databili tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. Allo stesso periodo sono riferibili i tipi ad orlo indistinto con bassa parete svasata ed fondo ombelicato. Alcuni tipi con manico decorato da motivi incisi sono probabilmente assegnabili al periodo fra il III e il IV sec. d.C. Le patere tardo-antiche in argento, destinate probabilmente alla mescita del vino, eseguite con la tecnica della fusione, con l’ansa piatta di tipo tradizionale o a balaustra, hanno la coppa non sempre liscia ma a volte con il fondo decorato a rilievo, come ad esempio nell’esemplare del tesoro di Cartagine dove é rappresentato un ranocchio. Bibl.: Daremberg- Saglio IV, 1, p.341, s. v. patera; RE XIX 2, coll. 2059-2062, s. v. phiala; Canciani- von Hase 1979, , pp.7, 50, n. 48, pp. 53-54, nn.55-56; L’Argento dei Romani 1991, p.104, fig.306; L’Oro degli Etruschi 1992, pp.253-257; Tassinari 1993, H; Scarcelli, Collezione Gorga, p.35, figg. 18-20 Pentola Bronzo Recipiente a larga imboccatura nel quale la profondità é uguale alla metà circa della larghezza. Presenta un’ampia base convessa, tranne un’unica specie che ha un basso appoggio anulare. Il ventre può essere cilindrico, troncoconico, composito o sferoidale. Quest’ultimo tipo presenta un’ansa mobile provvista di catenella per sospensione e poteva essere adoperato sia come pentola da fuoco che, più genericamente nella cucina, per usi che richiedevano recipienti con manico particolarmente resistente; é molto diffuso, oltre che in area campana, nell’Europa orientale. Bibl.: A. Radnoti, Die romischen Bronzegefassen von Pannonien, Budapest 1938, pp.112, 123 s.; H. J. Eggers, Der romische Import im freien Germanien, Hamburg 1951, p.163 s.; Il bronzo dei Romani 1990, p. 278, n.88, fig.195; Tassinari 1993, U Pepiera (piperatoria) Argento Dal Tesoro della “Casa del Menandro” di Pompei provengono due pepiere, databili al I sec. d.C., la prima a forma di piccola anforetta con anse a nastro e piede a bottone sul fondo a sei fori, composta da due parti che si incastrano l’una nell’altra. La seconda é di forma sferoidale, decorata da scanalature verticali ed oblique, un disco a quindici fori é saldato al fondo. L’uso del pepe indiano per condire i cibi sembra sia iniziato nel I sec. d.C., i contenitori destinati a questa spezia non avevano una forma specifica. Bibl.: L’Argento dei Romani 1991, p.269, n.86, fig. 153, n.87, fig.154 Phiale, v. anche patera Contenitori metallici – pag.17 Piatto Bronzo, argento A Pompei sono documentati piatti fondi in bronzo: recipienti con vasca molto bassa a pareti convesse e base molto larga. Hanno scarsa profondità. Il piatto di Aquileia in argento della metà del I sec. d. C., sicuramente non usato per la tavola, é interamente decorato a sbalzo con soggetto politico: nella figura principale sotto le sembianze di Trittolemo é da riconoscere Marco Antonio o un personaggio della famiglia giulio-claudia. I piatti dei servizi di argento del I secolo sono sicuramente più semplici nella decorazione rispetto ai recipienti utilizzati per le bevande. Sono generalmente rotondi, poco profondi, lisci e provvisti di due anse orizzontali “a orecchia” con la superficie superiore decorata a rilievo, e eseguite a stampo per fusione. Questo tipo di ansa andrà evolvendosi nel secolo successivo, anche per piatti ovali. Si ritrovano piatti di questo tipo nel servizio della Casa del Menandro, in un insieme composto da un recipiente di maggiori dimensioni e da sedici piattini più piccoli e in quello di Boscoreale. Nel tesoro di Hildesheim si trovano piatti e vassoi rettangolari di un tipo che rimane per ora senza confronti puntuali. I piatti in argento del II-III sec. d.C. sono rotondi ma anche ovali ed hanno caratteristiche anse ad “orecchia” come l’esemplare del I secolo presente nel tesoro della casa del Menandro; le anse, di dimensioni maggiori rispetto a quelle dei periodi precedenti, sono decorate a rilievo, a volte in parte dorato, con scene bacchiche o scene di caccia. I motivi sono a volte abbinati a quelli dei larghi bordi che corrono lungo il piatto: scene agresti, scene di caccia e simboli bacchici alternati a teste e maschere di profilo. Piatti ovali con questo tipo di decorazione sono documentati nel II e III secolo d. C. in particolare in Gallia. Gli stessi motivi compaiono sui bordi di piatti grandi e piccoli privi di anse. I piatti, a volte con lo stesso stile delle coppette, sono decorati con piccoli medaglioni a niello e orlati con perle e astragali, come é documentato nel tesoro di Chaourse. I piatti di epoca tardo-antica non sono più circolari, ma anche rettangolari o quadrati, o con bordo poligonale, con un consistente aumento delle dimensioni rispetto a quelli dei secoli precedenti; si tratta di grandi piatti da portata documentati anche su pitture e mosaici e sullo stesso piatto di Seuso nella scena del banchetto. Questi piatti non erano sicuramente tutti destinati all’uso, in particolare quelli con la superficie totalmente decorata, i quali venivano adoperati come oggetti di arredamento. Per la decorazione sia geometrica che figurata, sia limitatata al largo bordo esterno che al medaglione centrale, sia che occupi l’intera superficie, vengono adoperate le tre tecniche principali allora in uso: la decorazione a rilievo mediante intaglio sul piatto ottenuto per fusione o martellamento, l’intaglio con uso della sgorbia, il niello con doratura di alcune parti. Una forma tipica di questo periodo é il piatto circolare a fondo piatto con orlo rialzato, verticale, a larghe unghiature parallele. Questa forma é documentata sia per recipienti di uso comune con decorazione geometrica incisa che occupa tutta la superficie, come l’esemplare del tesoro di Macon, sia per piatti di largizione con una stampigliatura monetale al centro, come l’esemplare di Licinio rinvenuto in Bulgaria, sia per i pezzi completamente lisci. Bibl.: F. Baratte, Le trésor d’orfèvrerie romaine de Boscoreale, Paris 1986; Trésor d’orfèvrerie Gallo- Romains, Paris 1989, p.107, n.38, pp.161-163, n.107; L’Argento dei Romani 1991, cat. n.77, fig.145, cat. nn. 97-98, figg. 176-177, pp.105-106, figg. 250, 285; Tassinari 1993, M 3000 Piatto di largizione argento I grandi piatti di largizione, tipici della tarda antichità, venivano distribuiti dagli imperatori in occasione di particolari anniversari del loro regno, per garantirsi la fedeltà dei soldati e degli ufficiali; documentati da numerosi e pregiati esemplari, sono talvolta decorati da complesse raffigurazioni di propaganda imperiale che occupano tutta la superficie del piatto. E’ questo il caso del missorium di Teodosio rinvenuto in Spagna, presso Mérida, realizzato nel 388 d. C. per celebrare i decennalia del suo regno, come indica l’iscrizione. Piatti più semplici recano la sola immagine imperiale di tipo monetale stampigliata al centro a somiglianza di un piccolo medaglione, come gli esemplari di Licinio I e Licinio II del tesoro di Monaco. Quello che contava di più in tali Contenitori metallici – pag.18 piatti non era la decorazione, tranne in casi eccezionali come il missorium di Teodosio, ma il peso del metallo prezioso. Bibl.: EAA, vol IV, p.478, s.v. Largizioni, piatti di; L’Argento dei Romani 1991, pp.91-92 Pisside Bronzo, piombo Vasetto di forma rotonda, a scatola chiusa da coperchio, destinato a profumi e, in generale, ad oggetti di toeletta. Luciano (Erot. 39) la definisce come una scatola che contiene strumenti di toeletta femminile; secondo altre fonti (Etym. Magn. s. v.) é invece una scatola di legno contenente strumenti o medicinali, o qualsiasi altra scatola. Il rinvenimento di pissidi con evidenti tracce di rosso e di cosmetici, conferma l’uso di questo contenitore che é rappresentato molto spesso nelle scene figurate di toeletta. Piccole pissidi in metallo sono note in vari contesti di tardo VI- VII secolo. Bibl.: Daremberg- Saglio, s. v. pyxis: E. Pottier; Arias 1963, pp.22-23; Roma dall’Antichità al Medioevo 2001, p.419, II.4.992, II.4.993 Rhyton Argento, oro Vaso potorio, a forma di corno di animale, ricurvo e desinente a punta. Il termine é adoperato appunto dalle fonti per indicare una forma simile (Athen. XI, 49 a, b-e), mentre un passo si riferisce ai rhéonta in forma di grifo o di Pegaso alato. Caratteristica del rhyton, infatti, é la decorazione plastica; frequentemente la parte superiore del vaso é configurata a testa di satiro o di animale. Il vaso presentava sul fondo un foro per fare uscire il liquido; nato come vaso per bere, é anche a volte usato per le libagioni. Le rappresentazioni figurate che ornano il vaso richiamano, generalmente, il culto dionisiaco. Dal Caucaso Settentrionale proviene un rhyton in argento con tracce di doratura, datato al V sec. a.C., a corpo cilindrico con bordo ripiegato, dalla leggera curvatura e terminante con la protome del cavallo alato Pegaso; nella stessa area é stato rinvenuto un rhyton in oro a forma di imbuto, con curvatura a gomito, anch’esso datato al V sec. a.C. Dalla base delle ali sporgono le zampe protese in avanti; la parte centrale del corpo é cinta da una fascia in cui é rappresentata una Gigantomachia. La civiltà dei Traci ha prodotto numerosi raffinati corni potori in oro e in argento, anche dorato, a forma di protome di animale, collocabili nell’ambito del IV sec. a.C. I corni potori, di piena ascendenza classica, sono già rarissimi nella prima metà del I sec. d.C.; essi sono raffigurati tra gli argenti nella pittura della tomba di G. Vestorio Prisco e sullo scyphus con centauri da Berhouville. A Pompei non sono stati rinvenuti rhyta. Bibl.: Daremberg - Saglio, s.v. rhyton: E. Pottier; Arias 1963, pp.21-22; Traci 1989, p. 155, n.118/4, pp. 183- 184, nn. 144/1, 144/2, 144/3, p. 212, n.180/3, p.232, nn. 182/5-8; I tesori dei Kurgani del Caucaso Settentrionale, Roma 1990, pp.49-50, n.110; L’Argento dei Romani 1991, p.122 Salinum Argento Recipiente per contenere il sale. Nel tesoro di Boscoreale quattro piccoli oggetti cilindrici, di elegante fattura, con sostegni in forma di zampa ferina, sono stati identificati come raffinati salina. Bibl.: L’Argento dei Romani 1991, p.116, fig. 272 Salsiera Bronzo Recipiente poco profondo con becco versatoio aggettante. Possono presentare base ampia e base convessa su tre piedi. Bibl.: Tassinari 1993, Q Contenitori metallici – pag.19 Scodella Bronzo Recipiente basso, cilindrico o leggermente troncoconico, la cui altezza é uguale a 1/3 o 1/4 del diametro dell’imboccatura. Bibl.: Tassinari 1993, L 3000 Secchia, v. anche situla Simpulum Bronzo, argento In base ad una convenzione comunemente accettata, si definisce simpulum quell’oggetto corrispondente all’attuale mestolo, caratterizzato da una vasca più o meno piccola, a volte a forma di vasetto globulare, e da un lungo manico impostato verticalmente o orizzontalmente, terminante con un gancio o un anello di sospensione; si definisce, invece, kyathos un vasetto di varia forma con ansa sormontante. In origine, però, questi due termini avevano una diversa interpretazione, infatti alcune fonti letterarie paragonano il kyathos ad un cucchiaio (Suidas, s.v. kyathos; Schol. Aristoph., Acharm., 1053) e Plinio il Vecchio afferma che la sua forma é simile a quella di certi nidi d’uccelli sospesi ai rami (Plin., N.H. X, 33), indicando così che anticamente era questo il termine adoperato per definire il mestolo. Il termine simpulum in origine designava un vaso simile al kyathos, poichè anch’esso aveva la funzione di attingere, tuttavia non era equivalente, poiché Varrone afferma che nei banchetti era stato sostituito dal cyathus, mentre era restato in uso nei sacrifici (Varr., De ling. lat., V, 124). Quindi l’oggetto attualmente definito simpulum anticamente era chiamato kyathos. Veniva adoperato per attingere e trasportare i liquidi dal recipiente dove era stata effettuata la mescita, al vaso potorio o da libagioni, ma serviva anche da misura base sia per la miscela di vino e acqua, sia per la quantità di vino che veniva versata nelle coppe durante i simposi. Il kyathos era anche un’unità di misura greca per liquidi, anche se i vasi omonimi non facevano riferimento a tale capacità, né ad altra unità di misura. Nelle pitture vascolari e tombali il simpulum appare spesso rappresentato nei banchetti abbinato al colum e in alternativa all’oinochoe. Altre raffigurazioni vascolari e alcune fonti letterarie indicano che veniva adoperato anche nelle libagioni. Nelle raffigurazioni antiche il simpulum viene rappresentato esclusivamente con un lungo manico verticale, che permetteva di attingere anche da vasi con imboccatura stretta; nella documentazione archeologica, invece, sono attestati anche simpula a manico orizzontale di un tipo più tardo, verosimilmente utilizzati per attingere da vasi dalla larga imboccatura, come crateri e situle. Noto già in età neolitica, ebbe una notevole diffusione nella Grecia classica e a Roma. I mestoli di lavorazione etrusca, datati tra gli ultimi decenni del VI sec. e la fine del V sec. a. C., di probabile produzione vulcente, presentano una vasca piccola e bassa e un alto manico verticale terminante con protome animale (Caramella, tipo A con tre varianti; Lodovici, tipi 1-5). Questo tipo di simpulum , dopo la scomparsa dall’Etruria, é stato riprodotto da officine greche e magnogreche durante il IV sec. a.C. nella variante a protome i palmipede completamente ripiegata verso il basso, attestata anche in argento nei corredi di tombali della Macedonia, della Magna Grecia e del Piceno. Di probabile produzione tarquiniese sono i simpula caratterizzati da orlo più o meno ingrossato, vasca emisferica piuttosto profonda e manico nastriforme impostato orizzontalmente sull’orlo (Caramella, tipo B con due varianti), databili tra la fine del IV sec. a.C. e gli ultimi decenni del III; alcuni esemplari conservano l’originaria doratura. Un tipo di simpulum a forma di piccolo vaso tondeggiante, cui é annodata intorno al collo una lunga ansa mobile orizzontale terminante a gancio con testa di cane o di oca (Caramella, tipo C), costituisce un modello di lunga durata, dal V sec. a.C. (versione a corpo ovoide decorato da baccellature) alla prima metà del I sec. a. C., quando si ha la massima diffusione concentrata soprattutto nelle necropoli dell’Italia del Nord e della regione transalpina. Alcuni esemplari provengono da Pompei (Tassinari, tipo K 1111), da Isernia e da centri etruschi. I simpula di quest’ultimo tipo di età tardo-repubblicana sono detti a “due pezzi” perché hanno la vasca, in genere globulare, separabile dal manico (Lodovici, tipi 14 a-14b-14c). Alla tarda Contenitori metallici – pag.20 età repubblicana (II-I sec. a. C.) risalgono i mestoli con piccola vasca emisferica e manico verticale abbastanza corto, ma sempre terminante con un gancio di sospensione ornato da una protome animale (Lodovici, tipi 7a-7b-7c). Sono attestati a Pompei, nel Piemonte (Val d’ Ossola) e nei corredi della Francia meridionale. Nel I-II sec. d.C. sono diffusi simpula a manico orizzontale, i quali dovrebbero rappresentare il tipo di mestolo romano di produzione campana (Lodovici, tipi 16b-17-18), attestato anche nelle province della Gallia e della Pannonia. Questi mestoli, caratterizzati da una vasca circolare, presentano il manico con diverse terminazioni: con uno o più piccoli fori, oppure con un ampio foro al centro. Mestoli in argento con la coppa emisferica a fondo piatto si trovano nel tesoro tardo-antico di Mildenhall, caratterizzati dall’ansa a forma di delfino nella cui bocca spalancata si inserisce la coppa. Bibl.: AA. VV., Le Collezioni del Museo Nazionale di Napoli, Roma 1986, p.177, nn. 26-27; Alimentazione 1987, p.157, n.56; L’Argento dei Romani 1991, p.105, fig. 291; Tassinari 1993, K; Caramella 1995, pp.87-100; Lodovici 1999, Collezione Gorga, pp.45-49, figg. 1-11 Situla (situla) Bronzo, argento Il termine latino situla indica convenzionalmente un vaso di forma troncoconica ( sono documentate anche le varianti a campana, a kalathos, stamnoide e biconica) od ovoide, noto soprattutto nella versione metallica, ma riprodotto anche in ceramica. La sua funzione specifica era quella di attingere e contenere liquidi (Cato agr. 10.11; per bere Isid. orig. 6.4; per contenere vino Vopisc. quatt. tyr. 4.4): le raffigurazioni di alcuni specchi etruschi e della ceramica figurata, ne chiariscono l’utilizzazione come secchio per attingere acqua dai pozzi oppure, in ambito religioso, come contenitore di acqua lustrale, vaso per libagioni o per raccogliere il sangue delle vittime durante i sacrifici o nei riti bacchici. La situla é spesso presente in associazione a cola, kyathoi e teglie, nei corredi di molte tombe etrusche e diventa un elemento ricorrente nell’ambito dei servizi da vino, tipici delle delle deposizioni principesche macedoni del IV sec. a. C. In tali contesti essa viene ad avere il ruolo di contenitore per conservare il vino o anche in alternativa al cratere, tranne la situla a beccuccio la cui forma indica la funzione di versare. Alcune situle stamnoidi di piccole dimensioni sono presenti invece nei corredi di deposizioni femminili, facenti parte del servizio da toeletta, con funzione forse simile a quella della cista o, piùnormalmente, di contenitore di acqua o di altri liquidi necessari per la cura personalee muliebre. Le situle rappresentano in età protostorica, presso le popolazioni dell’ Italia del Nord, la forma più caratteristica del vaso cinerario, mentre in Etruria tale uso non é frequentemente attestato, anche se si riscontra perfino in età ellenistica. Probabilmente poiché la situla é una forma tipicamente italica, é uno dei pochi vasi bronzei che può vantare una consistente bibliografia e un’accurata analisi tipologica. La Giuliani Pomes ha preso in esame solo quella che considera la situla vera e propia, cioé la forma troncoconica nelle sue derivazioni biconica, stamnoide, a kalathos, cilindrica e a campana, tralasciando le situle a beccuccio e i kadoi. La versione stamnoide della situla (Giuliani Pomes, Tipo C) ha come caratteristica fondamentale il profilo curvilineo che determina la conformazione delle varie parti del vaso: labbro estroflesso, breve e stretto collarino, spalla rigonfia, corpo rastremato con piede svasato. Questo tipo ha una lunga durata dal VI sec. a. C. alla metà del III sec. a. C. Nelle raccolte di Tarquinia le situle di Tipo C sono state suddivise in quattro varianti: la variante C1 con manico desinente a pigna, attestata in area campana, ad Aleria, ma con massima diffusione nell’Etruria padana e in quella centrale, il centro di produzione é da identificare con un’officina dell’Etruria centrale o padana attiva nel corso del V sec. a.C.- La variante C2 con doppio manico inserito in una placca a doppio anello decorato da due conchiglie ( gli esemplari più elaborati presentano un motivo decorativo a guilloche sul labbro e presso l’orlo) diffusa particolarmente in Etruria padana, ma anche a Todi, Populonia e in centri presso Orvieto, é databile dalla fine del V sec. a.C. alla fine del IV sec. a.C.- la variante C3 con manico inserito in anelli verticali, tale versione ridotta della situla stamnoide é da annoverare Contenitori metallici – pag.21 tra il materiale da toeletta, come dimostra la sua frequente presenza nei corredi di deposizioni femminili, é diffusa tra la fine del IV e la seconda metà del III sec. a. C., quasi esclusivamente nei centri dell’Etruria Settentrionale ed interna, probabilmente prodotta a Chiusi- la variante C4 con manico inserito in anelli saldati su placche a forma di crescente lunare, é da considerare una situla di forma stamnoide anche se non é stata inclusa dalla Giuliani Pomes nel tipo C, é diffusa nell’Etruria interna, in quella meridionale, in Umbria e nel Piceno tra la seconda metà del IV e gli inizi del III sec. a. C., prodotta probabilmente da officine chiusine. Le situle dalla caratteristica forma a kalathos (Giuliani Pomes, Tipo D) presentano orlo ingrossato, bordo piatto, corpo rastremato, fondo piano, doppio manico a bastoncello, con estremità ripiegate ad uncino e desinenti a pigna, inserite in attacchi a doppio anello. Il Tipo D é stato datato dal Bouloumié tra la metà ed il terzo quarto del V sec. a.C.E’ documentata in Etruria campana e in Italia meridionale, mentre é poco presente nell’Etruria propriamente detta; si ha una notevole concentrazione nelle necropoli dell’Etruria padana e di Populonia, centro cui é attribuita la produzione. Le situle a beccuccio hanno una forma riconducibile per il profilo al Tipo C stamnoide, ma sono caratterizzate dalla presenza di un beccuccio praticato sulla parete del vaso. Tali situle ebbero una vasta diffusione concentrata soprattutto in tre zone: in Italia soprattutto in centri etruschi, umbri e magnogreci- in contesti dell’Europa Occidentale (Paesi Bassi, Germania, Francia), in numero più ridotto- un gruppo molto consistente nella Grecia del Nord e nella Russia Meridionale. Sono generalmente attestate in due versioni che si distinguono per le raffigurazioni sulle placche a doppio anello, in cui sono inserite le anse costituite da un doppio manico semicircolare a nastro: 1) placca con volto satiresco e beccuccio a protome leonina- 2) placca con testa di Minerva e beccuccio a protome satiresca. Il secondo gruppo é meno documentato. La diffusione delle situle a beccuccio si colloca tra la seconda metà del IV e la seconda metà del III sec. a.C. L’anteriorità della comparsa di tale forma in Macedonia e la diffusione in quest’area di varianti non attestate altrove, non esclude la possibilità che la situla a beccuccio venisse prodotta anche in centri dell’Italia, magnogreci ed etruschi. Nella collezione Gorga sono presenti i seguenti tipi: il tipo di forma troncoconica a fondo piatto con manico ad arco (Scarcelli, tipo 1), databile al VII- VI sec. a.C., attribuito ad ambito etrusco (Orvieto, Pienza)- la situla stamnoide (Scarcelli, tipo 2), presente in contesti di V e IV sec. a.C. dell’ Etruria meridionale- il tipo a kalathos (Scarcelli, tipo 3) diffuso nell’Etruria centrale e padana, in contesti dal V al III sec. a. C.- appartengono allo stesso ambito cronologico le situle di forma cilindrica con o senza collarino (Scarcelli, tipi 4a- 4b)- il tipo ovoide (Scarcelli, tipo 5), diffuso soprattutto in area etrusca (in particolare a Bolsena, San Giuliano e Chiusi), si data tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a. C. Gli esemplari rinvenuti a Pompei hano forma troncoconica, a pareti verticali o svasate, rettilinee o leggermente convesse, e sono dotati di manico diametrale. I recipienti di questo genere sono rari; la loro profondità é superiore a quella delle pentole. Le situle possono presentare anche forma globulare o ovoidale; hanno una base piatta o convessa. Sono dotate di manico mobile, con estremità inserite in attacchi di forma diversa. Poche situle presentano una decorazione, figurata o geometrica, limitata alla parte superiore del ventre. Fa parte del Tesoro di Chaourse una situla in argento, databile tra il II ed il III sec. d.C., di forma emisferica, su basso piede, completamente liscia tranne una fascia sotto l’orlo decorata con un fregio di foglie di acanto. La decorazione realizzata a cesello e bulino é in parte dorata; presenta un’ansa mobile. Si tratta di uno dei rari esempi di situla per il vino, dalla decorazione molto semplice, ma elegante. Tipiche del II-III sec. d. C. sono le situle in argento dalla profonda coppa emisferica che riproducono il tipo ben documentato in bronzo tra il 150 e il 250 d.C. di fabbricazione gallica o germano-occidentale, le cosidette situlae di Hemmoor. Gli esemplari in argento presentano lo stesso tipo di decorazione: una fascia lungo l’orlo con tralcio vegetale o con il consueto motivo di animali alternati a maschere. Bibl.: Daremberg- Saglio, IV, 2, pp.1357-1360, s.v. situla; H. Willers, Die romischen Bronzeimer von Hemmoor, Hannover 1901; M.V. Giuliani Pomes, Cronologia delle situle rinvenute in Etruria, in SE XXIII, 1954, pp.149-194, in SE XXV, 1957, pp.39-85; B. Bouloumié, Situles de bronze trouvées en Gaule (VII-IV sec. a. C.) in Gallia 35, 1, 1977, pp.3-38; Le collezioni del Museo Contenitori metallici – pag.22 Nazionale di Napoli 1986, p.186, n. 100, n.103; Il bronzo dei Romani 1990, p.277, n.84, figg.190191, n.85, figg.192-193; L’Argento dei Romani 1991, p.280, n. 118, fig.203, p. 84, fig. 203; Tassinari 1993, (secchie) W, X; Caramella 1995, Tarquinia, pp.119-136; M. R. Scarcelli, Bronzi. Il vasellame: le forme aperte, pp.31-36 in AA.VV., La Collezione Gorga, Milano 1999 Skyphos Bronzo, argento Recipienti con bacino emisferico o ovale, con doppie anse, per lo più ad anello impostate orizzontalmente presso l’orlo, piede largo e basso o, più raramente appena rialzato. Di questi vasi potori, diffusissimi nella versione in ceramica, sono note pochissime riproduzioni in metallo. Talvolta sono di notevoli dimensioni, come ad esempio quelli in argento con scene mitologiche da Hoby, che misurano più di 21 cm. di diametro. Sono spesso decorati: o con soggetti mitologici, come ad esempio quelli con episodi tratti dalla vita di Bacco provenienti dalla Casa del Menandro, con scene paesistiche, con allegorie o soggetti storici, come i due scyphi in argento, di grande rarità, del tesoro di Boscoreale. Bibl.: Daremberg- Saglio, s. v. scyphus; L’Argento dei Romani 1991, p.122; Caramella 1995, Tarquinia, p.201 Sostegno Bronzo Si distinguono: sostegni di patera o di brocca cilindrici con una parte superiore orizzontale e un appoggio su tre piedi; grandi sostegni di forma cilindrica con parte superiore orizzontale o leggermente concava, poggiano su tre piccoli piedi e hanno due impugnature laterali; sostegni a parte inferiore svasata e modanata e parte superiore cilindrica modanata, poggiano su tre piccoli piedi fabbricati a parte e saldati. Bibl.: Tassinari 1993, Y Stamnos Bronzo Recipiente dal collo brevissimo, ad alte spalle, e con corpo espanso, fornito di due anse orizzontali. Adoperato per contenere il vino, come indicano numerose testimonianze (Aristoph. Lysistr. 196, Ran. 22), era anche usato per l’olio e per monete. L’unico stamnos conservato nella Collezione Gorga a corpo ovoide e collo decorato da un kyma ionico, é assegnabile a officine etrusche della seconda metà del V sec. a.C. Bibl.: Daremberg- Saglio, s. v. stamnos; Finaroli 1999, Collezione Gorga, p.39, fig. 27 Tazza Bronzo, argento Vaso aperto con profilo variamente articolato e di dimensioni variabili, con vasca profonda, bassa piana o a profilo continuo, con un’ansa verticale, talora sormontante, impostata generalmente sull’orlo e sulla spalla. Nella prima età del Ferro, periodo II A, é documentato nella necropoli di Pontecagnano il tipo di tazza con ansa ad uccelli, ritenuto di produzione vetuloniese dal Camporeale e dettagliatamente studiato dal von Merhart. La vasca é ricavata da un’unica lamina lavorata al martello, mentre il piede troncoconico e l’ansa verticale a nastro sono di riporto. All’interno del labbro, in corrispondenza dell’ansa, é applicato un crescente lunare con all’interno due protomi di uccello contrapposte. Secondo le osservazioni del von Merhart, nello sviluppo di questo particolare tipo di ansa, la forma originaria a crescente lunare tende a trasformarsi a poco a poco in un anello singolo o doppio; le due protomi di uccello che sormontavano le terminazioni del crescente danno luogo a file di quadrupedi lungo il margine esterno dell’anello; il semplice schema a protomi diviene più complesso con l’inserimento al centro di una figura umana. Nell’esemplare da Veio, del periodo II Contenitori metallici – pag.23 B Toms, l’ansa é di un tipo molto avanzato, a doppio anello completamente chiuso; tipologicamente l’esemplare da Pontecagnano dovrebbe essere posto all’inizio della serie, e questa ipotesi sembra confermata da una collocazione della tomba nel periodo II A. L’esemplare di Pontecagnano risulta, quindi, molto più antico di quelli rinvenuti a Vetulonia, che non sono precedenti all’inizio del periodo orientalizzante. Nel vasellame in bronzo e in argento il calathus é una tazza a tronco di cono, priva del piede e munita di una sola ansa. Ha avuto grande favore nell’età augustea e tiberiana, mentre é meno diffusa in periodo claudio-neroniano, ed é particolarmente adatta ad accogliere la decorazione figurata: su un esemplare da Ercolano é rappresentata l’apoteosi di Omero. Nel Tesoro di Boscoreale si conserva un calathus troncoconico con le pareti leggermente concave e un’ansa a forma di ramo. La superficie del recipiente é interamente ricoperta da una decorazione incisa a piume stilizzate disposte a file alternate. Bibl.: G. Von Mehrart, Hallstatt und Italien, Mainz 1969, pp.268 ss.; F. Baratte, Le trésor d’orfèvrerie romaine de Boscoreale, Paris 1986, pp.35, 91; D’Agostino 1988, Pontecagnano, p.49, 30A, tav.15; L’Argento dei Romani 1991, p.122, figg.21-22 Tegame per uova Bronzo Tegame provvisto di anello di sospensione, di forma quadrata, con orlo modanato e lungo manico. Presenta cavità semicircolari, di numero variabile, destinate a contenere un uovo ciascuna, su un esemplare conservato al Louvre se ne riscontrano ben 17. Forma presente a Pompei. Bibl.: Pompeii- Pompeiana Suppellex, Napoli 1979, n.17; AA. VV., Le collezioni del Museo Nazionale di Napoli, Roma 1986, p.178, n.37; L’alimentazione nel mondo antico, Roma 1987, n.58; Il bronzo dei Romani, 1990, p.278, n.89, fig.198: M.E. Micheli Teglia (tegula) Bronzo Recipiente poco profondo, a base piana e parete rettilinea verticale o svasata. Hanno una base portante il cui diametro é uguale o leggermente inferiore a quello dell’apertura. Possono avere due anse diametralmente opposte o essere prive di anse. Gli elementi variabili riguardano la conformazione dell’orlo, il profilo della vasca, la presenza e il numero delle anse, da un minimo di una a un massimo di due. Non é possibile definire con sicurezza la destinazione di questi contenitori, in quanto non é nota la denominazione antica e manca, quindi, il supporto delle fonti letterarie. Il Brizio, il quale rilevò che la presenza delle teglie nei contesti tombali di Montefortino é alternativa a quella delle casseruole, considerò le teglie come vasi per cuocere. Ma, secondo un’integrazione complementare alla precedente, la teglia poteva anche avere la funzione di recipiente per abluzioni, adoperato nei banchetti, insieme all’olpe, per l’acqua. Un’altra ipotesi, elaborata in base alla disposizione degli oggetti del corredo al momento della scoperta, considera le teglie, come contenitori, nell’ambito del servizio da banchetto, degli altri recipienti che erano utilizzati nel rituale della mescita del vino. Un eventuale uso come vasi da libagione al posto delle patere é attestata, per quanto riguarda le teglie a manico configurato, da alcuni documenti figurativi e dagli esemplari rinvenuti nei santuari della Grecia arcaica, ma probabilmente va riferito anche alle teglie ad ansa a maniglia o prive di manico, le quali, spesso rinvenute in associazione a forme vascolari connesse al rituale del vino come kyathoi e cola, non potrebbero sicuramente svolgere altra funzione, come, ad esempio, quella di vasi potori. Alcuni tipi talora con decorazione plastica risalgono al V- IV sec. a. C. Bibl.: E. Brizio, Il sepolcreto gallico di Montefortino presso Acervia, in MonAL IX, 1899, col.775; Tassinari 1993, O; Caramella 1995, Tarquinia, pp.163-185; Scarcelli, Collezione Gorga, pp.34-35, figg.12-13 Contenitori metallici – pag.24 Vaso a paniere Bronzo Recipiente a ventre convesso e asimmetrico, in cui la zona superiore della parete posteriore é molto rientrante, mentre la parete anteriore é convessa e svasata in modo regolare. L’imboccatura orizzontale é molto ampia. Il labbro é svasato senza soluzione di continuità con la parete nella parte anteriore, distinto posteriormente. E’ provvisto di due anse mobili, a volte anche fisse. I vasi a paniere venivano adoperati per le abluzioni prima del pranzo. Bibl.: Tassinari 1993, P Vaso a ventre ellissoidale Bronzo Forma aperta, di dimensioni piccole o medie a ventre ellissoidale posto trasversalmente. Il diametro dell’imboccatura e quello del fondo sono uguali. Il labbro e l’orlo sono convessi, la base é ad anello. Bibl.: Tassinari 1993, L 6100 Vaso a ventre ovoidale Forma aperta, a ventre ovoidale con spalla orizzontale, di dimensioni piccole o medie. Il labbro é verticale a fascia e l’orlo convesso. La base ha il fondo leggermente rientrante. Bibl.: Tassinari 1993, L 6200 Vaso ellittico Bronzo Recipiente tipologicamente affine alle teglie a base piana e parete rettilinea svasata con base portante ovale, esistenti in varie misure, anche molto diversificate. I vasi ellittici sono più profondi delle teglie; la loro base piana é sempre portante. Bibl.: Tassinari 1993, O 2000 Vaso globulare o ovoidale Bronzo Recipiente di forma globulare o ovoidale con fondo piatto. Tipologicamente affini alle secchie di forma analoga. Bibl.: Tassinari 1993, X Vaso plastico Bronzo, argento Vasi di piccoli dimensioni (alt. media intorno ai 10 cm.), abbondantemente diffusi nelle necropoli etrusche di età ellenistica. Sono interamente fusi e per lo più conformati a testa femminile, ma anche, più raramente, a testa maschile, oppure bifronte. Sulla loro sommità é posta una piccola bocca, chiusa da un coperchio a tappo, spesso collegato ad una catenella di sospensione, che può essere sostituita, in alternativa, da una maniglia ad arco. La categoria, dettagliatamente studiata dalla Haynes e dalla Adam, presenta notevoli problemi, in particolare per quanto riguarda la sua destinazione. Se infatti la forma stessa e le dimensioni degli oggetti sembrano identificarli come balsamari, la frequente mancanza del fondo, probabilmente originaria, poiché non si rileva alcuna traccia di frattura, ha indotto la Adam a ritenerli come puri involucri, nei quali dovessero essere inserite ampolline di vetro o terracotta. Secondo un’altra teoria formulata dalla Haynes, sarebbero da interpretare come simulacri di vasi collegati esclusivamente all’uso funerario, come indicherebbe l’iscrizione suthina “appartenente alla tomba” presente su alcuni esemplari: essi non sarebbero mai stati adoperati nella vita quotidiana, ma deposti nelle tombe femminili per riprodurre la tipica parure femminile da toeletta, senza che abbiano mai contenuto profumi. La classificazione elaborata dalla Haynes divide questi vasi in tre tipi: A) teste femminili con capigliatura a melone raccolta alla Contenitori metallici – pag.25 sommità in uno chignon che costituisce il coperchio; B) teste femminili con capigliatura raccolta da uno chignon sulla nuca; C) esemplari isolati (teste maschili, vasi bifronti). L’inquadramento cronologico di questi recipienti é piuttosto problematico, anche perché di pochi sono noti i contesti tombali. In base alla derivazione da prototipi greci-ellenistici della fine del IV sec. a.C. o dell’inizio del III, a pochi dati di scavo e infine allo stile dei gioielli e delle acconciature, la Haynes e la Adam propongono una datazione compresa tra la seconda metà del III e la metà del II sec. a. C.; tuttavia un esemplare rinvenuto nella t.19 degli Scavi Mengarelli a Vulci, datata alla fine del IV sec. a.C., e uno restituito dalla t.1 della necropoli tuderte di S. Stefano, nella quale é stata recuperata una notevole quantità di bronzi, rialza il termine cronologico iniziale almeno al 300 a. C. Non si riscontrano differenze cronologiche fra i vari tipi, mentre é evidente nel loro rispettivo ambito una graduale diminuzione della cura nei particolari e nel trattamento plastico delle superfici. La produzione di questi vasi é stata attribuita a una fabbrica chiusina, sia per la concentrazione dei rinvenimenti nelle regioni interne dell’Italia (Val di Chiana, Valle del Tevere, Lazio), sia per l’iscrizione suthina , presente su molti pezzi, tipica della zona compresa tra Chiusi e Orvieto. Nella Collezione Dutuit a Parigi sono conservati balsamari plastici in bronzo a forma di testa giovanile maschile, di testa maschile grottesca (derivante da modelli di arte alessandrina), di testa di negro e un’oinochoe a forma di testa grottesca, datati dal I al III sec. d.C. Bibl.: S. Haynes, Etruskische Bronzekopfgefasse, in JRGZ, VI, 1959, pp. 115-127; J. Petit, Bronzes antiques de la collection Dutuit, Paris 1980, pp.147-165; A. M. Adam, Bronzes etrusques et italiques, Paris 1984, pp.38-41; Caramella 1995, Tarquinia, pp.269-272 Vaso troncoconico Bronzo Recipiente di forma troncoconica a pareti verticali o svasate, rettilinee o leggermente convesse. Non presentano sistema di presa. Tipologicamente affini alle secchie di forma analoga. Bibl.: Tassinari 1993, W Contenitori metallici – pag.26 Elenco abbreviazioni Arias 1963 P. E. Arias, Storia della ceramica di età arcaica, classica ed ellenistica e delle pitture di età arcaica e classica, in Enciclopedia Classica, III, vol.XI, tomo V, Torino 1963 Canciani-von Hase 1979 F. Canciani- F. W. von Hase, La tomba Bernardini di Palestrina, Roma 1979 Caramella 1995, di Tarquinia M.P. Bini- G. Caramella- S. Buccioli, I Bronzi Etruschi e Romani, a cura Finaroli 1999 G. Pianu, Materiali del Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia, XIII, Roma 1995 P. Finaroli, Bronzi. Il vasellame: le forme chiuse, pp. 37-44, in Museo Nazionale Romano, La Collezione Gorga, Milano 1999 Il Bronzo dei Romani, 1990 Il Bronzo dei Romani. Arredo e suppellettile, Roma 1990 L’Argento dei Romani 1991 L’Argento dei Romani, a cura di L. Pirzio Biroli Stefanelli, Roma 1991 Lodovici 1999 F. Lodovici, Bronzi. Il vasellame: l’ instrumentum domesticum, pp. 45-50, in Museo Nazionale Romano, La Collezione Gorga, Milano 1999 L’Oro degli Etruschi 1992 L’Oro degli Etruschi, a cura di M. Cristofani e M. Martelli, Novara 1992 Milano Capitale 1990 AA. VV., Milano Capitale dell’ Impero Romano, 286-402 d.C., Milano 1990 Radnoti 1938 A. Radnoti, Die romischen Bronzegefassen von Pannonien, Budapest 1938 Roma dall’Antichità al Medioevo 2001 Roma dall’Antichità al Medioevo, Archeologia e Storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi, Milano 2001 Scarcelli 1999 M.R. Scarcelli, Bronzi. Il vasellame: le forme aperte, pp.31-36 in Museo Nazionale Romano, La Collezione Gorga, Milano 1999 Tassinari 1993 S. Tassinari, Il vasellame bronzeo di Pompei, Roma 1993 Contenitori metallici – pag.27