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Domenica 19 Febbraio 2017 Corriere della Sera
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Cultura
SETTE GIORNI DI TWEET
I consigli di Massimo Caccia, pittore, fumettista e
illustratore. Ai follower de
@La_Lettura su Twitter da
oggi quelli dello storico del
pensiero Tullio Gregory.
Domenica
Lunedì
Martedì
Mercoledì
Giovedì
Venerdì
Sabato
Jesse Jacobs,
Safari
Honeymoon.
Allucinante
luna di miele
in una natura
sconosciuta
Bill Callahan,
Dream River. Il
mantra che mi
accompagna
quando
dipingo
Don McKellar,
Twitch City.
Geniale sitcom
che ha dato
inizio alla mia
dipendenza da
serie tv
Francesco
Biamonti
Vento largo.
Un viaggio su
una linea di
confine tra
spazio e
tempo
Leos Carax,
Rosso sangue.
Sequenze che
sono rimaste
incise come
cicatrici
Serge
Gainsbourg,
L’Homme à tête
de chou.
Un genio
che racconta
la storia
di un folle
Chris Ware
Building
Stories.
Frammenti di
una vita chiusi
in una scatola.
Ancora da
aprire
Anticipazione Un quarto di secolo dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, Gaetano Savatteri coglie in un saggio edito da Laterza un radicale mutamento di prospettiva
La Sicilia che fa fuori Pirandello
Letteratura e cinema, arte e moda superano gli stereotipi nel nome di una modernità glamour
di Pierluigi Battista
G
aetano Savatteri è uno scrittore
siciliano (di Racalmuto, la patria
di Leonardo Sciascia) che ama la
Sicilia e però detesta la montagna di stereotipi sotto la cui mole imponente la Sicilia rischia di rimanere schiacciata. Ama la letteratura siciliana ma paradossalmente non ne può «più di Verga, di
Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di
Sciascia, di Guttuso». E in questo suo
pungente Non c’è più la Sicilia di una volta, pubblicato da Laterza, srotola un elenco sterminato di immagini e di luoghi comuni che dalla letteratura al cinema al
giornalismo seppelliscono la Sicilia reale
sotto quella del brand, del marchio, dell’ovvio: la Sicilia dei gattopardi, degli ominicchi e dei quaquaraquà, dei «marescialli sudati e dei baroni in lino bianco», di
Sedotta e abbandonata e di Divorzio all’italiana e del Padrino con la scena finale
al Teatro Massimo di Palermo, tra le note
della Cavalleria rusticana, dei fichidindia
e dei «quarti di manzo appesi alla Vucciria», di Ferribotte («Carmelina, ricomponiti!») e «delle lupe verghiane», dei paesi
assolati a mezzogiorno, la piazza con il
bar e il barbiere, le donne in nero, le persiane socchiuse, della lupara e della coppola, dei cannoli e dei caffè al veleno.
Ma si sente anche il bisogno, scrive Savatteri 25 anni dopo la stragi di Capaci e di
via d’Amelio dove sono stati trucidati con
le loro scorte Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino, di stabilire una distanza emotiva da un immaginario in cui sembra impossibile espungere il «piombo dei killer
mafiosi», i morti ammazzati, le infiltrazioni della mafia, le mattanze criminali, la
capitale di Cosa nostra. Non per dimenticare quella Sicilia, o per minimizzarla. Ma
perché dentro quella coazione a ripetere
si finisce con il non vedere più la Sicilia
che si affranca dal suo stereotipo. Una Sicilia nuova, agganciata alle grandi tendenze della civiltà moderna e metropolitana. Savatteri la chiama addirittura «Trinacria glam». Ovviamente un’immagine
impregnata di ironia e di autoironia ma
che pure affiora nei film, nella moda, nei
modi di mangiare, nella letteratura, nel
sentimento pubblico. E che gli stessi siciliani, spesso prigionieri dello stereotipo
oppure alfieri di un antisicilianismo di
maniera, dove il pessimismo antropologico stinge nella posa, non riescono più a
decifrare.
Una Sicilia nuova che, anche qui sem-
Visioni
Mario Staccioli
(Volterra, Pisa,
1937), La
Piramide 38°
Parallelo
(2010, acciaio
corten), Motta
d’Affermo,
Messina (foto
Mario
Laporta/Afp)
bra un paradosso, si impone con il successo dei romanzi e dei racconti di Andrea Camilleri dove il commissario Salvo
Montalbano persegue un crimine comune, semplicemente comune, e comunque
non prevalentemente o esclusivamente di
segno mafioso. «L’onorata società non è
che non esista nelle trame» di Camilleri,
ma senza indulgere nella rappresentazione, oramai consolidata e in talune espressioni più corrive persino pietrificata, di
un «totalizzante impero del male». Una
Sicilia che conserva il suo connotato tradizionale, ma esce da uno degli schemi
narrativi più prepotenti.
Così come, secondo Savatteri, il punto
di svolta della storia cinematografica siciliana coincide con il grande successo di
Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, quando il cinema cambia da essere racconto «sulla Sicilia» a racconto
«dalla Sicilia», una storia dal significato
universale che non si fa inghiottire dall’insularità culturale ma diventa messaggio che riguarda il mondo intero, come se
nel piccolo cinema narrato da Tornatore
si riflettesse la vicenda di un secolo che si
è fatto attraverso il cinema, con quel tipo
di cinematografo, con quella fauna umana, sicilianissima ma universalmente
umana. E con il piccolo Totò Cascio che
custodisce in una teca del suo ristorante
di Contrada Calcara l’Oscar conquistato
da bambino.
 Il pioniere
Diritti degli animali:
addio a Tom Regan
di Leonardo Caffo
S
econdo Tom Regan, professore
emerito alla North Carolina State
University, ogni animale è
soggetto di una vita: un’individualità
dal valore intrinseco e inviolabile.
Pioniere della filosofia animalista e
leader di un intero movimento
globale e pacifico, Regan si è spento a
78 anni: ci lascia in eredità alcuni dei
libri più importanti di etica filosofica
dell’ultimo trentennio; tra questi
Gabbie vuote (Sonda, 2004) in cui
sostiene che non basti ridimensionare il peso dello sfruttamento
sugli animali da parte degli animali
ma che sia necessario abolirlo del
tutto. Regan, con Peter Singer, ha
dato dignità accademica alla filosofia
animalista e oggi, ogni ricercatore che
lavori su questi temi, è in fondo un
suo erede.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
E in questi anni successivi alla data cruciale del 1992, ha voluto uscire dal luogo
comune siciliano anche il cinismo straordinario e terribile di Ciprì e Maresco, con
quel bianco e nero desolato, quelle canottiere unte, quel lardo umano miserabile e
triste, quel maleodore che getta sullo
spettatore un senso di sconfitta irrimediabile, arcaica eppure modernissima. O
il teatro nuovo di Emma Dante, che chissà, come suggerisce Savatteri, forse vuole
«uccidere Pirandello» e soprattutto il pirandellismo di maniera, e che con il suo
lessico incomprensibile, reinventato come nella parlata di Camilleri, parla una
lingua che alla fine capiscono tutti. E hanno fatto scalpore le narrazioni delle giovani scrittrici che parlano e scrivono spudoratamente di sesso, come Lara Cardella in
Volevo i pantaloni e i Cento colpi di spazzola della giovanissima Melissa Panarello, che fece scandalo con il suo autobiografismo erotico non solo nella Sicilia arretrata e sessuofobica, ma anche nel perbenismo ipocrita del ceto intellettuale
che alzò un muro contro la spregiudicata
intrusa.
Una Sicilia attraversata dalla politica
cruenta e dal dolore raffigurati in un libro
di Nadia Terranova come Gli anni al contrario. E uno scrittore come il palermitano Roberto Alajmo ha dovuto cimentarsi
in romanzi come Repertorio dei pazzi della città di Palermo o come È stato il figlio,
da cui Ciprì ha tratto un film con Toni Servillo, per imbattersi in figure di stravaganti, outsider ed eccentrici diversi, diversissimi da un’antropologia siciliana canonica, dove l’immaginario mafioso e
mafiologico è praticamente assente.
Savatteri cerca, con il suo fiuto di siciliano stanco della Sicilia degli stereotipi,
di intercettare frammenti, segni, indizi di
questa nuova «Trinacria glam», dove appunto il cool, il glamour prendono il posto del primitivo, del sanguinario, della
bella isola rovinata, come si racconta in
una celebre battuta di Johnny Stecchino
con Roberto Benigni, nientemeno che dal
«traffico». È la moda con Dolce e Gabbana che scelgono la Sicilia come location
della loro pubblicità, con Monica Bellucci
testimonial e le musiche di Ennio Morricone. Sono le cantine con i nuovi vini che
«fanno tendenza», la birra artigianale
«Minchia», il pane con la milza, pane ca’
meusa, che si mangia nei punti ristoro
delle librerie Feltrinelli. Una Sicilia che
esce a fatica dalla prigione dello stereotipo. Quasi moderna, addirittura «glam».
L’autore
 Non c’è più la
Sicilia di una
volta di
Gaetano
Savatteri sarà
in libreria
giovedì 23
febbraio
(Laterza,
pp. 288, e 16)
 Savatteri
(Milano, 1964:
foto di Pietro
Coccia/
Granata
Images) è
giornalista. Per
Laterza ha
pubblicato I
siciliani (2005)
e ha curato sia
Potere
criminale.
Intervista sulla
storia della
mafia di
Salvatore Lupo
(2010) sia Il
contagio di
Giuseppe
Pignatone e
Michele
Prestipino
(2012). Per
Sellerio è uscito
l’anno scorso
La fabbrica
delle stelle
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Il pamphlet «Il presente non basta» di Ivano Dionigi (Mondadori)
Più ore a scuola, più soldi ai prof, meno compiti: così si salva il latino
di Franco Manzoni
N
ell’era di Twitter, WhatsApp, Messenger e cittadini digitali, che trascorrono buona parte della
propria esistenza a colpi di like,
ha ancora senso studiare il latino?
Perché non cancellare definitivamente questa lingua «antica e
morta» dal liceo per aumentare la
spazio orario dedicato all’informatica? E poi «la lingua dei signori», come la definì Pietro Nenni,
non venne forse abolita come materia dalla scuola dell’obbligo
quale atto di democrazia e progresso?
A queste domande, frutto di
pregiudizi ideologici, fraintendi-
menti egualitaristici e miopie storiche, con vigorosa autorevolezza
risponde Ivano Dionigi nell’affascinante saggio Il presente non
basta, sottotitolo La lezione del
latino (Mondadori).
Nato nel 1948 a Pesaro, ex rettore dell’Università di Bologna, presidente della Pontificia accademia di latinità e fondatore del
Centro studi «La permanenza del
classico», acuto commentatore di
Lucrezio e Seneca, Dionigi sottolinea l’impossibilità di privarsi
del latino, memoria culturale dell’Europa intera, a meno di non
scegliere la via dell’ignoranza e la
negazione di sé: «Un capitale da
far fruttare e non già un patrimonio inerte da custodire». Resta
implicito che in Italia oggi il lati-
no debba lottare contro la dittatura delle «tre I»: inglese, Internet,
impresa. Una tirannia dettata dall’idea che il mondo contemporaneo sia polarizzato esclusivamente sulla temporalità dell’hic et
nunc, di simultaneità e sincronia.
Conservare e capitalizzare il nostro patrimonio culturale era un
chiodo fisso anche per lo scrittore
Giuseppe Pontiggia, che ricordava: «Se Roma fosse sorta in Texas,
mai gli Stati Uniti si sarebbero
comportati come fa la scuola italiana».
Alle affermazioni che il latino
sia elitario, inutile, reazionario,
Dionigi replica con la testimonianza di Parigi dopo gli attentati
del 13 novembre 2015. Sui muri di
Place de la République e proietta-
Il volume
 Ivano Dionigi
è presidente
della Pontificia
accademia di
latinità. Il suo
libro Il presente
non basta (pp.
120, e 16)
è edito da
Mondadori
ta sulla Torre Eiffel i francesi
scrissero la frase latina fluctuat
nec mergitur, vale a dire «è sballottata dai flutti ma non affonda»,
il motto della città fin dalle sue
origini. Per ritornare a vivere nella
normalità, Parigi non scelse
espressioni tratte dai filosofi illuministi o pensatori contemporanei ma parole di una lingua morta, eppur sempre vivida.
In tale senso di generazione in
generazione la continuità e la trasmissione della fiaccola della cultura è il fondamento delle grandi
istituzioni millenarie. Tutto ciò si
abbina perfettamente a un aforisma del compositore Gustav
Mahler: «La tradizione è salvaguardia del fuoco, non adorazione delle ceneri», che l’autore met-
te in epigrafe al volume. Tuttavia
la maggior parte degli italiani non
riesce più a recepire il latino e gli
autori classici quale parte essenziale dell’identità individuale e
collettiva del nostro Paese. Si osservi invece la considerazione e il
risveglio degli studi della lingua
latina in Cina, Giappone, Stati
Uniti e in particolare in Gran Bretagna. E la scuola italiana, afflitta
da incongruente riformite cronica, che privilegia a tutti i costi l’inglese veicolare?
Per Dionigi la cura sta in tre
provvedimenti: dilatare gli orari
scolastici non tralasciando come
disciplina il latino, pagare adeguatamente gli insegnanti e abolire i compiti a casa.
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