SOMMARIO n. 95-96 - Centro Studi Cinematografici

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SOMMARIO n. 95-96 - Centro Studi Cinematografici
SOMMARIO
n. 95-96
Anno XIV (nuova serie)
n. 95-96 settembre-dicembre 2008
Bimestrale di cultura cinematografica
Agente Smart – Casino totale ................................................................
32
Air I Breath (The) ....................................................................................
25
Edito
dal Centro Studi Cinematografici
Alexandra ...............................................................................................
54
Babylon A.D. ..........................................................................................
18
00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6
tel. (06) 63.82.605
Sito Internet: www.cscinema.org
E-mail: [email protected]
Aut. Tribunale di Roma n. 271/93
Be Kind Reading – Gli acchiappafantasmi ............................................
21
Boogeyman 2 – Il ritorno dell’uomo nero ...............................................
35
Cambio di gioco .....................................................................................
43
Changeling .............................................................................................
41
Abbonamento annuale:
euro 26,00 (estero $50)
Versamenti sul c.c.p. n. 26862003
intestato a Centro Studi Cinematografici
Classe (La) – Entre les murs .................................................................
2
Dr. Plonk .................................................................................................
57
-2- Livello del terrore ..............................................................................
44
Spedizione in abb. post.
(comma 20, lettera C,
Legge 23 dicembre 96, N. 662
Filiale di Roma)
Fidanzata di papà (La) ...........................................................................
14
Grace is Gone ........................................................................................
50
Hancock .................................................................................................
12
Hellboy: The Golden Army .....................................................................
28
Hurt Locker (The) ...................................................................................
45
Incredibile Hulk (L’) .................................................................................
30
In viaggio per il College ..........................................................................
40
Invincibile ...............................................................................................
23
Joshua ....................................................................................................
52
Ken il guerriero – La leggenda di Hokuto ..............................................
13
Kun Fu Panda ........................................................................................
8
Si collabora solo dietro
invito della redazione
Direttore Responsabile: Flavio Vergerio
Direttore Editoriale: Baldo Vallero
Cast e credit a cura di: Simone Emiliani
Segreteria: Cesare Frioni
Redazione:
Marco Lombardi
Alessandro Paesano
Carlo Tagliabue
Giancarlo Zappoli
Hanno collaborato a questo numero:
Veronica Barteri
Elena Bartoni
Gianluigi Ceccarelli
Chiara Cecchini
Fabio de Girolamo Marini
Davide Di Giorgio
Silvio Grasselli
Elena Mandolini
Maria Luisa Molinari
Fabrizio Moresco
Francesca Piano
Manuela Pinetti
Valerio Sammarco
Giuliano Tomassacci
Tiziana Vox
Stampa: Tipostampa s.r.l.
Via dei Tipografi, n. 6
Sangiustino (PG)
Nella seguente filmografia vengono
considerati tutti i film usciti a Roma e
Milano, ad eccezione delle riedizioni.
Le date tra parentesi si riferiscono alle
“prime” nelle città considerate.
Lezione Ventuno .....................................................................................
5
Mamma mia! ..........................................................................................
33
Mio sogno più grande (Il) .......................................................................
17
Miracolo a Sant’Anna .............................................................................
4
Mist (The) ...............................................................................................
39
Morti di Ian Stone (Le) ...........................................................................
47
No problem ..............................................................................................
51
Notte dei girasoli (La) .............................................................................
55
Parigi ......................................................................................................
15
Quantum of Solace ................................................................................
20
Redbelt ...................................................................................................
48
Resto della notte (Il) ...............................................................................
10
Riflessi di paura ......................................................................................
34
Savage Grace ........................................................................................
53
Segreto tra di noi (Un) ............................................................................
9
Sfiorarsi ..................................................................................................
36
Tadpole – Un giovane seduttore a New York .........................................
24
Vicky Cristina Barcelona ........................................................................
37
Wall-E .....................................................................................................
26
Wanted – Scegli il tuo destino ................................................................
7
Tutto Festival Cannes 2008 ....................................................................
59
Film
Tutti i film della stagione
LA CLASSE - ENTRE LES MURS
(Entr les murs)
Francia, 2008
Interpreti: François Bégaudeau (François), Nassin Amrabt
(Nassim), Laura Baquela (Laura), Cherif Bounaidja Racheli
(Cherif), Juliette Demaille (Juliette), Dalla Doucoure (Dalla),
Arthur Fogel (Arthur), Damien Gomes (Damien), Louise Grinberg (Louise), Qifei Huang (Qifei), Chien-wei Huang (Wei), Franck Keita (Souleymane), Henriette Kasaruhanda (Henriette),
Lucie Landrevie (Lucie), Agame Malembo-Emene (Agame),
Rabah Nait Oufella (Rabah), Carl Nanor (Carl), Esmeralda
Ouertani (Sandra), Burak Ozyilmaz (Burak), Eva Paradiso
(Eva), Rachel Régulier (Khoumba), Angelica Sancio (Angelica), Samantha Soupirot (Samantha), Boubacar Touré (Boubacar), Justine Wu (Justine), Atouma Dioumassy, Nitany Gueyes
(rappresentanti degli studenti), Jean-Michel Simonet (preside),
Julie Athenol (consulente pedagogica), Fatoumata Kanté (madre di Souleymane)
Durata: 128’
Metri: 3550
Regia: Laurent Cantet
Produzione: Carole Scotta, Caroline Benjo, Barbara Letellier,
Simon Arnal per Haut et Court/France 2 Cinéma
Distribuzione: Mikado
Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di François Bégaudeau
Sceneggiatura: Laurent Cantet, François Begaudeau, Robin
Campillo
Direttore della fotografia: Pierre Milon, Catherine Pujol,
Georgi Lazarevski
Montaggio: Robin Campillo, Stephanie Leger
Scenografia: Sabine Barthelemy, Hélène Bellanger
Costumi: Marie Le Garrec
Direttore di produzione: Michel Dubois
Aiuti regista: Aurelio Cardenas, Mathieu Danielo
Operatore: Georgi Lazarevski
Suono: Olivier Mauvezin, Agnès Ravez, Jean-Pierre Laforce
F
rançois è un giovane professore
di francese in una IV classe di
collège (la nostra terza media)
nel 20° arrondissement, nella difficile
banlieu multietnica parigina. L’anno
scolastico inizia con il rito delle presentazioni fra colleghi in sala professori.
Molti tornano al lavoro con stanchezza
e scarse motivazioni. Poi, il direttore distribuisce l’orario delle lezioni. F. “affronta” gli alunni che entrano disordinatamente in classe e ottiene a fatica il
silenzio. Subito inizia il contendere con
i ragazzi, adolescenti svogliati e sfidanti, a partire dalla durata reale delle lezioni. Anche la richiesta del “prof” di
scrivere il proprio nome su un foglietto,
per farsi riconoscere, viene accettata di
malavoglia, se non dopo che F. ha scritto il proprio alla lavagna. Poi, alcuni
alunni immigrati gli contestano il fatto
che nel costruire alcune frasi a scopi didattici usi “nomi di bianchi ricchi” e non
di etnie diverse. In sala professori F. concorda con il collega di Storia il libro da
leggere in comune (il Candide di Voltaire). In una lezione successiva F. cerca di
insegnare l’uso del congiuntivo, ma
Esmeralda (un’alunna intelligente, ma in
perenne atteggiamento di controdipendenza) giudica le frasi usate troppo formali e, seguita dai compagni, chiede un
linguaggio più “quotidiano”. Il rapporto con gli alunni è sempre problematico:
2
un giorno i ragazzi interpellano F. sulla
sua supposta omosessualità, un altro lo
trova “troppo duro”. Il clima difficile
della scuola si manifesta in sala professori ove alcuni colleghi si sfogano per il
disimpegno dei ragazzi. F. fa leggere in
classe una pagina del Diario di Anna
Frank come stimolo per gli alunni a scrivere il proprio autoritratto, ma alcuni si
rifiutano di descrivere la propria vita.
Fra questi Souleymane, un ragazzo nero
perennemente distratto e attaccabrighe.
Un’alunna africana, Khoumba, è particolarmente insofferente alle proposte didatiche di F. e quando questi la richiama gli scrive lamentando di non essere
“rispettata”. In un consiglio dei docenti, viene proposta l’introduzione di una
“patente a punti” per ottenere un maggiore rispetto delle regole comportamentali, ma poi ci si attarda a discutere del
distributore del caffè. Il preside introduce nella classe un nuovo alunno di colore, Carl, espulso da un’altra scuola.
Gli incontri con i genitori degli alunni
sono un rito molto formale, che poco
serve a creare anche solo una reciproca conoscenza. F. scopre dal fratello
maggiore di Souleymane, proveniente
dal Mali, che i genitori non sanno nulla
del comportamento del figlio, anche perché non conoscono la lingua francese.
Gli “autoritratti” degli alunni si limitano a un elenco delle proprie preferenze
in campo calcistico o musicale. Souleymane invece di un lavoro scritto presenta un sorprendente “collage” fotografico della sua famiglia. Giunge notizia che
la madre del cinese Wei, clandestina, è
Film
stata arrestata e gli insegnanti fanno una
colletta per le spese del processo. Si discute della Coppa d’Africa di calcio e
l’arabo Nassim commenta la vittoria del
Marocco sul Mali, facendo infuriare Souleymane che offende un compagno antillano. In consiglio di classe si discutono
i giudizi da attribuire agli alunni, alla
presenza di Esmeralda e Louise, rappresentanti di classe che, con continue risatine, si prendono beffa dei professori.
Quando, il giorno dopo, F. le rimprovera di essersi comportate da stupide
(“pétasses” nell’originale) Esmeralda
riferisce di converso che il “prof” ha
giudicato Souleymane “limitato”, mentre F. intendeva evitare un giudizio totalmente negativo. Souleymane esce dall’aula furibondo, ferendo con lo zainetto la compagna Khoumba, malgrado i
tentativi di trattenerlo di F. Le due ragazze cercano di vendicarsi del “prof”,
accusandolo pubblicamente di averle
offese. Viene convocato il consiglio di disciplina e malgrado la difesa della madre, viene decisa l’ espulsione del ragazzo, a seguito della quale il padre lo rimanderà in Mali.
Negli ultimi giorni di scuola, F. chiede ai suoi alunni cosa hanno imparato
di significativo durante l’anno. Fra le diverse risposte, sorprendente la descrizione di una ragazza africana della triangolazione commerciale nell’800 schiavimaterie prime fra Europa e America.
Esmeralda giudica nulle le proposte didattiche di F. e noiosi i libri suggeriti.
Esprime invece il suo interesse per La
Repubblica di Platone, letto casualmente per conto suo, in cui ha colto la capacità di Socrate di creare il “bisogno di
domande”. L’ultima alunna che lascia
l’aula confida a testa bassa a F. di non
aver imparato niente e di non voler proseguire gli studi.
L’ultimo giorno di scuola si svolge una
partita di pallone fra alunni e insegnanti.
L
a classe è un film spiazzante
nella sua drammatica problematicità. Nessuno spazio concesso
alle certezze e alle consolazioni, nessuna identificazione con un personaggio
“porta-parola”, nessuna progressione narrativa e drammaturgica. Il punto di vista
fondante sembra appartenere al professore, ma esso viene continuamente interrotto, spostato, negato da una rappresentazione fatta di episodi frantumati e da un
uso inquieto, quasi nevrotico della macchina da presa. L’insegnante cerca inutilmente di imporre la propria linea didattica (nascosta dietro una illusoria disponi-
Tutti i film della stagione
bilità al dialogo), gli alunni gli contrappngono la loro cieca vitalità, la loro furiosa
ricerca di identità. Ciascuno ha la sua verità, ma tutto si esaurisce nel conflitto distruttivo.
Il titolo originale, Tra i muri, mutuato
dal libro dell’ex-insegnante François Bégaudeau, che presta la propria immagine parimenti inquieta al protagonista, fa
riferimento al tentativo delle istituzioni di
“sacralizzare” e isolare la scuola dal mondo. Il riduttivo titolo italiano non coglie lo
spirito critico dell’originale, appiattendo
a stereotipo il “luogo” e la natura del racconto. Scrittore e regista hanno invece
tentato di mostrare la scuola “come una
cassa di risonanza, un luogo traversato
dalla turbolenze del mondo, un microcosmo in cui si giocano molto concretamente le questioni d’uguaglianza o d’ineguglianza delle opportunità, di lavoro e di
potere, d’integrazione culturale e sociale, d’esclusione”. In effetti Laurent Cantet ha cercato di dare una struttura narrativa alla raccolta di miniepisodi del libro, una sorta di teatrino degli orrori di
vita scolastica, sempre in bilico fra il grottesco e il tragico. Il nucleo narrativo principale sviluppato dalla sceneggiatura
ruota attorno al consiglio di disciplina e
all’espulsione di Souleymane, situazione che denota il fallimento della funzione sociale della scuola. Altri nuclei si
condensano sulle figure delle alunne “ribelli” Khoumba ed Esmeralda, ragazze
dotate di intelligenza e creatività, con cui
l’insegnante non riesce a entrare in relazione. Contro le “buone” intenzioni di
denuncia sociale di Cantet il film finisce,
forse inaspettatamente, per imporsi proprio in questa direzione. I faticosi e un
poco patetici tentativi di François di trasmettere una qualche conoscenza fanno emergere la sua assoluta incapacità
di creare buona relazione con gli alunni,
rinunciando alla propria autorevolezza e
al proprio sapere per piegarsi ai bisogni
elementari e all’inquietudine degli stessi. Il docente cerca ossessivamente di
applicare un metodo maieutico, a mio
avviso senza riuscirvi, anche se talvolta
si manifestano momenti di grazia e di
intelligenza dei ragazzi.
Quanto il film sia produttivamente
ambiguo e problematico è testimoniato
dalla diversa interpretazione e accoglienza critica. Ad esempio, Patrizia Canova
nel quaderno di “proposte didattiche”
della Mikado vede nel comportamento di
François addirittura un modello pedagogico: “È un professore che guida con arte
e ironia i processi di apprendimento, sapendo dosare giustamente i momenti di
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spiegazione con quelli di ascolto dei punti di vista dei propri alunni”. Feroce all’opposto il giudizio di Marco Lodoli (Quei
docenti nelle trincee, La Repubblica, 14
ottobre ‘08): “La figura dell’insegnante
appare nella sua versione più desolata
(...), il povero Bégaudeau è davvero uno
sciagurato, quasi un inetto, che non ne
fa una giusta neanche per sbaglio. Tutto
l’anno scolastico perduto dietro una sola
idea, far scrivere a ogni strudente il suo
autoritratto. Mai osa proporre ai ragazzi
(...) qualcosa di alto e nobile che possa
modificare le loro sensibilità (...): si accontenta di aderire timorosamente alla
vita degli studenti, di certificare l’esistente, lo status quo, la vita così com’è, ed è
una brutta vita”.
A me pare che il film descriva anche
e soprattutto l’angoscia di un insegnante in lotta con se stesso e con la propria
incapacità di modificare la povertà morale e culturale dei suoi alunni e del
mondo di cui sono espressione. Non per
nulla il film inizia con un primissimo piano sulla nuca di F:, alla Dardenne, quasi a invitarci a penetrare nella sua mente e nella tensione psichica che lo accompagna per tutto il film nella sua azione educativa. Tutto il film si costituisce
coerentemente come una riflessione
sulla solitudine dell’insegnante, sulle
sue fragili utopie, sui suoi limiti e incapacità. La sua fede ingenua nel dialogo
con gli alunni viene continuamente frustrata dal mancato rispetto di regole di
vita comunitaria e di strumenti culturali
condivisi. La sua azione, a causa della
sua incompetenza si conclude inevitabilmente nel fallimento dei suoi rapporti
con Esmeralda e Khoumba e nella sanzione disciplinare che rimanda agli inferi Souleymane.
Parimenti mi sembrano significative le
due inquadrature finali del film, la partita
di pallone fra insegnanti e alunni, di cui non
si capisce nulla e di cui non si conoscerà il
risultato; e l’immagine desolata della classe vuota, con le sedie abbandonate in disordine, spazio inutilizzato di un rapporto
mancato.
La grande qualità estetica e morale del
film risiede anche e soprattutto nella costruzione di un’indagine sul rapporto fra
verità e finzione del gioco attorale. Bègaudeau e i suoi (veri) allievi, invitati a mettere in scena personaggi diversi da quello
che sono nella vita reale, riflettono su se
stessi e sui fantasmi degli altri, facendosi
strumento di conoscenza di una realtà
complessa e contradditoria.
Flavio Vergerio
Film
Tutti i film della stagione
MIRACOLO A SANT’ANNA
(Miracle at St. Anna)
Stati Uniti/Italia, 2008
Acconciature: Brian Badie
Coordinatore effetti speciali: Renato Agostini
Supervisore effetti visivi: Grady Cofer
Supervisore costumi: Giovanni Casalnuovo
Interpreti: Derek Luke (Sergente Aubrey Stamps), Michael Ealy
(Sergente Bishop Cummings), Laz Alonso (Caporale Hector Negron), Omar Benson Miller (soldato Sam Train), Pierfrancesco
Favino (Peppi Grotta), Valentina Cervi (Renata), Matteo Sciabordi (Angelo Torancelli bambini), John Turturro (detective Antonio Ricci), Joseph Gordon-Levitt (Tim Boyle), John Leguizamo
(Enrico), Kerry Washington (Zana Wilder), D.B. Sweeney (Colonello Driscoll), Robert John Burke (Generale Ned Almond), Omari
Hardwick (Comandante Huggs), Omero Antonutti (Ludovico),
Sergio Albelli (Rodolfo), Lidia Biondi (Natalina), Matteo Romoli
(Gianni), Massimo Sarchielli (Franco), Giselda Volodi (Iole), Giulia
Weber (Ida), Max Malatesta (Maggiore Gerhard Bergmann),
Ralph Palka (Tenente Claussen), Massimo De Santis (Don Innocenzo Lazzeri), Livia Taruffi (Anna), Michele De Virgilio (Paolo), Michael K. Williams (soldato spaventato), Laila Petrone (Pina),
Luigi Lo Cascio (Angelo Torancelli adulto), Alexandra Maria Lara
(Axis Sally)
Durata: 160’
Metri: 3960
Regia: Spike Lee
Produzione: Roberto Cicutto, Spike Lee, Luigi Musini per 40
Acres & A Mule Filmworks/On My Own/Rai Cinema/Touchstone Pictures
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 3-10-2008; Milano 3-10-2008)
Soggetto: dal romanzo omonimo di James McBride
Sceneggiatura: James McBride. Con la collaborazione di Francesco Bruni
Direttore della fotografia: Matthew Libatique
Montaggio: Barry Alexander Brown
Musiche: Terence Blanchard
Scenografia: Sarah Frank, Tonino Zera
Costumi: Carlo Poggioli
Produttori esecutivi: Jon Kilik, Marco Valerio Pugini
Direttori di produzione: Luca Fortunato Asquini, Alessandro Manni, Attilio Moro, David Pomier
Casting: Kim Coleman, Beatrice Kruger
Aiuti regista: Gwyn Sannita, Fabrizio Bava, Mike Ellis, Iolanda Greci, Franco Basaglia, Luca Padrini, Leopoldo Pescatore, Michael A. Pinckney
Operatore: Fabrizio Vicari
Arredatore: Christina Onori
N
ew York, 1983. Hector Negron,
impiegato delle poste prossimo
alle pensione, spara in pieno petto con una Luger della seconda guerra
mondiale a un cliente dallo sportello francobolli. Il caso viene seguito da un giovane giornalista, che, durante la perquisizione nella casa dell’uomo, scopre insieme a due poliziotti la testa di una statua originariamente presente su un ponte
di Firenze e sparita proprio durante gli
anni della guerra. Avvicinato in carcere,
Negron torna con la memoria all’estate
del ’44, quando, insieme a tre commilitoni della 92° Divisione Buffalo Soldier (interamente composta da soldati di colore),
riesce dapprima a evitare il fuoco nazista, attraversa il fiume Serchio e raggiunge i monti della Garfagnana, trovando riparo in un borgo oltre le linee nemiche.
Lontani dal resto dell’esercito, in attesa
che i superiori inetti (e naturalmente bianchi) impartiscano loro degli ordini, i quattro soldati entrano in contatto con gli abitanti del luogo e, soprattutto, con un bambino di 8 anni, Angelo, che continua a parlare rivolgendosi ad Arturo, amichetto immaginario. Preso sotto l’ala protettiva del
gigante Samuel Train (che continua a portarsi dietro la testa di una statua), il bambino è in realtà depositario di una tremenda verità, che comincerà a emergere
quando – nella casa delle persone dove i
soldati hanno trovato rifugio, abitata da
un vecchio ma non troppo convinto fascista e dalla figlia di questi, Renata, ragazza sin da subito pronta ad accoglierli –
dai nascondigli delle montagne faranno
ritorno alcuni partigiani, tra i quali Peppi e Rodolfo. Leader indiscusso il primo,
fratello di un fascista ucciso proprio da
Peppi il secondo, faranno più tardi prigioniero un nazista. Questi, incontrando
Angelo, sembra riconoscere il bambino e
si felicita del fatto che sia ancora vivo.
Conteso tra i partigiani e i quattro soldati americani, che avvertiti i superiori potrebbero rientrare sani e salvi portando
con loro il prigioniero, il nazista viene
però ucciso a tradimento da Rodolfo.
Proprio lui, infatti, promettendo tempo
prima ad alcuni generali delle SS di fornire le giuste coordinate per individuare
Peppi, aveva fatto scatenare la rappresaglia nazista a Sant’Anna di Stazzema,
dove vennero fucilati oltre 500 civili, tra
cui donne e bambini. Miracolosamente
scampato all’eccidio, nel quale morì anche il suo amico Arturo, Angelo era stato aiutato a fuggire proprio da quel soldato che, disertore, è finito poi nelle mani
dei partigiani. Scoperto anche da Peppi, Rodolfo prima uccide il vecchio compagno, poi rende possibile l’arrivo delle
truppe naziste anche nel paesino dove
sono nascosti gli americani. Muoiono tut-
4
ti; a salvarsi saranno solamente Negron
e il bambino, al quale il soldato ferito regalerà la collana appartenuta al padre.
Quarant’anni più tardi, Negron viene rilasciato grazie a una cauzione di 2 milioni di dollari, pagata proprio da Angelo,
ora potente imprenditore che l’ex soldato
potrà riabbracciare su una spiaggia alle
Bahamas.
A
ccompagnato nelle sale italiane
da polemiche a non finire, scaturite dall’ipotesi – quantomeno di
scutibile – secondo cui l’eccidio nazista di
Sant’Anna di Stazzema sia scaturito dal tradimento di un partigiano, l’ultimo film di
Spike Lee mette in evidenza tanti e tali problemi di natura più spiccatamente cinematografica da nascondere – quasi paradossalmente – quello che in molti hanno ritenuto il più grave dei delitti. Partendo dall’omonimo best seller di James McBride,
autore poi della sceneggiatura con la consulenza di Francesco Bruni, Spike Lee si
misura per la prima volta con la guerra, esce
dagli States e confeziona un’opera forse
troppo lontana dalle caratteristiche che, in
maniera a volte diversissima (si pensi al
grande salto che l’ha portato dal periodo
“nero” a La 25° ora, poi Inside Man fino al
monumentale When the Levees Broke: A
Requiem in Four Acts, documentario sull’uragano Katrina), hanno contraddistinto il
Film
suo cinema: Miracolo a Sant’Anna, già dal
titolo, rivela una programmaticità che nel
corso del racconto – 144’, a tratti estenuanti
– si appella all’enfasi (il ralenti della tazzina
di caffé che cade dalle mani di Lo Cascio,
lo sguardo di Antonutti sul profilo del soldato morto) e alla didascalia per arrivare dove,
in altri contesti, sarebbero bastati spontaneità e meno ghirigori. È pacifico, questo
sì, che il regista di Atlanta insista ancora
molto sulla “questione nera”, spostando il
suo occhio sulla difficile condizione dei soldati di colore mandati allo sbaraglio dai superiori e all’epoca ancora tremendamente
discriminati in patria, ma eccede nel misticismo e nel sentimentalismo (la figura di
Angelo, il bambino, intorno cui ruota il miracolo in questione, l’esordiente Matteo
Sciabordi, è sintesi poco riuscita tra il Pinocchio di Comencini e il figlio di Benigni in
La vita è bella), sembra non totalmente a
suo agio nella direzione degli attori (gli italiani Favino, Albelli, Cervi, Antonutti, Lo
Cascio così come i tedeschi Christian Berkel e Waldemar Kobus), lontani da lui sia
per ragioni geografiche che professionali,
Tutti i film della stagione
trasformando spesso in macchiette i vari
personaggi e, soprattutto, non riuscendo a
evitare alcuni sfondoni nelle scene d’insieme come, ad esempio, la sequenza della
fucilazione di massa di fronte alla Chiesa
di Sant’Anna di Stazzema.
Valerio Sammarco
LEZIONE VENTUNO
Italia, 2008
Regia: Alessandro Baricco
Produzione: Domenico Procacci per Fandango, Simon Channing Williams, Gail Egan per Potboiler Productions. In collaborazione con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Alessandro Baricco
Direttore della fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Giogiò Franchini
Musiche: Mario Brunello
Scenografia: Marta Maffucci
Costumi: Carlo Poggioli, Tanino Liberatore
Co-produttori: Simon Channing Williams, Gail Egan
Direttore di produzione: Elia Mazzoni
Casting: Leo Davis
Aiuto regista: Fabrizio Bava
N
el pomeriggio del 7 maggio 1824,
dopo dieci anni di infelice isolamento sociale e acustico, Beethoven presenta a Vienna la Nona sinfonia. Il
pubblico sventola candidi fazzoletti in segno di gradimento, l’accoglienza è trionfale, la Nona è da subito nell’Olimpo dei
capolavori dell’umanità. O forse no: a distanza di un secolo e mezzo, l’eccentrico
professore inglese Mondrian Killroy ammalia i suoi studenti smontando durante
le sue celebri lezioni le opere d’arte – a
Trucco: Fabrizio Sforza
Effetti speciali: Pasquale Catalano
Supervisore effetti speciali: Fabio Traversari
Effetti visivi: Nicola Sganga, Francesco Spadoni
Supervisore effetti visivi: Rodolfo Migliari
Suono: Bruno Pupparo
Interpreti: John Hurt (Mondrian Killroy), Noah Taylor (Peters),
Leonor Watling (Marta), Clive Russell (Hoffmeister), Rasmus
Hardiker (Broderip), Live Riche (Imbault), Matthew T. Reynolds (Goetz), Tim Barlow (Simrock), Natalia Tena (Thomson),
Andy Gathergood (Schott 1), Daniel Tuite (Schott 2), Phyllida
Law (Boheme), Adrian Moore (Piggot), Franco Pistoni (Weigl), Chiara Paoli (ragazza del Lago), Daniel Harding (direttore
d’Orchestra)
Durata: 92’
Metri: 2600
suo avviso – sopravvalutate, ricollocandole
nella giusta mediocrità dell’assolutamente convenzionale. Intravediamo, nelle stanze della sua casa genialmente caotica, una
copia dell’Ulisse di Joyce, ma anche dell’Opera da tre soldi, e dell’immancabile
Gioconda.
Nell’inverno del 1824, su un lago
ghiacciato a una trentina di chilometri da
Vienna, viene trovato il corpo assiderato
di un giovane maestro di musica, Hans
Peters. La storia non si ricorda di lui né
5
per la sua bravura, né per qualche altra
particolare caratteristica, ma perché fu
seppellito con il suo violino. Ed è con queste parole che si apre il film, subito seguite
dall’immagine di quattro uomini di nero
vestiti che, leggeri ed eleganti, scivolano
sul lago ghiacciato trasportando a spalla
una bara di legno scuro. Consci della sua
fine, vediamo finalmente il giovane Hans
che arranca nella neve, posa la sua valigia rigida sul ghiaccio, ci si siede sopra e
inizia a muovere dita e archetto sul violi-
Film
no. Cerca la morte, Hans, e trascorrerà gli
ultimi istanti della sua vita suonando:
quando lo troveranno non riusciranno più
ad aprirgli la mano destra, da quanto è
stretta sul manico del violino.
Il professor Killroy aveva sempre amato molto questa storia, tanto da usarla nella
più famosa e condivisa delle sue lezioni,
la Lezione 21. Lezione 21 è la storia dell’ultimo istante di Hans Peters, raccontato dal professor Mondrian Killroy. Lezione 21 è la cronaca di quel pomeriggio viennese in cui Ludwing Van Beethoven fece
ascoltare la sua ultima composizione, narrata da chi c’era, senza pietismi o falsi
entusiasmi. Ai posteri è stato fornito un
resoconto partigiano, avverte il professore, (ri)costruito minuziosamente per consegnare alla storia un trionfo inesistente,
di cui, lascia intuire Killroy, perfino il maestro era al corrente. Curiose figure si palesano ai nostri occhi: indossano candide
parrucche e portano molta cipria sul viso,
come usava al tempo. Ma il trucco è in via
di scioglimento, l’immagine è decadente e
spesso questi uomini e queste donne sono
nudi. Narrano la realtà dei fatti, parlano
di persone del pubblico del teatro che non
rimasero ad ascoltare l’intera sinfonia,
svelano di un numero piuttosto esiguo di
quei famosi fazzoletti bianchi, agitati soltanto dai più intimi amici di Beethoven. La
Nona sinfonia, conclude Killroy, è soltanto musica vecchia prodotta da un vecchio:
fuori moda, altro che rivoluzionaria.
Martha, giovane pupilla di Killroy, è
in un locale con i colleghi d’università.
Parlano delle splendide lezioni del professore. “All’inizio c‘era sempre un gran silenzio”, ricorda “poi lui andava via senza
voltarsi indietro”. Ora che non insegna più,
ha scelto di vivere in un bowling abbando-
Tutti i film della stagione
nato, insieme ai senzatetto. Inutilmente la
ragazza proverà a legarlo a sé: “Prima che
io riesca a dimenticare la differenza d’età
che ci separa, tu ti sarai già stufata e rivestita”, commenta laconicamente lui, a mo’
di risposta.
Solitario senza alcuna motivazione apparente è anche Hans Peters. Intento a suonare il violino in una foresta innevata e nel
mezzo di un lago ghiacciato, quando vede
comparire davanti ai suoi occhi un bambino che gli chiede se sia morto. Il piccolo
non solo non è un’apparizione, ma non è
neanche l’unico abitante della foresta: tra
gli alberi e la neve c’è un minuscolo villaggio, abitato sì e no da una quindicina di
persone. Scopriremo inaspettatamente che
questi individui, seppur con indosso altri
abiti e in tutt’altro contesto, sono gli stessi
che dividono il bowling-dimora con Killroy.
Le occupazioni di questa gente sono strampalate e quanto mai varie: c’è chi controlla
la superficie ghiacciata del lago e chi si
occupa di volatili, chi ha il compito di misurare le distanze a suon di passi o il tempo
grazie ai topi e chi si cura di fuochi pirotecnici. Dopo qualche perplessità iniziale,
Hans entra a far parte della piccola comunità, impegnatissima nell’organizzare un
importante evento, in cui la precisione gioca un ruolo fondamentale. Nulla ci viene
detto a riguardo, possiamo soltanto intuire
qualcosa da frasi smozzicate: “Il ghiaccio
reggerà, ne sono certo”, oppure “I fuochi
saranno visibili anche da molto lontano, lei
non potrà non vederli”.
Il gran giorno arriva. Vediamo Hans
Peters posizionarsi al centro del lago, il
violino ben stretto nella mano. Lo spettacolo pirotecnico è abbagliante, il ghiaccio
fa il proprio dovere. Ed ecco, come se seguisse una partitura non scritta, una figu-
6
ra femminile che avanza. Indossa un abito
sontuoso, compie il percorso che la separa dal giovane maestro secondo il numero
di passi prestabiliti. Hans non aspettava
altro che il suo arrivo.
U
na struttura filmica che lo stesso
scrittore torinese Alessandro
Baricco definisce acrobatica, per
fondere quattro storie lontane e diverse che
però affrontano tematiche non dissimili.
Impresa non facile, in particolare se si è
all’opera prima. L’ambizione del regista si
respira ad ogni fotogramma, ma non siamo sicuri che sia esattamente un male:
quel che è certo è che ogni scena rivela
una cura sincera e puntuale del dettaglio.
Tuttavia, l’arricchimento figurativo tende
all’eccesso baroccheggiante (bariccheggiante, ha detto qualcuno) e porta alla conclusione che qualche buona intuizione visiva, di discreto impatto poetico, non può
bastare a tenere insieme il film.
Ed ecco che l’antica e ben più conosciuta risorsa si fa avanti prepotentemente. Raccontare per immagini non è né facile né automatico e, quando il meccanismo non è scorrevole, giunge in soccorso
la parola, anzi, una valanga di parole: per
descrivere, per raccontare, per supplire a
quel che il solo mostrare pare insufficiente. Una sovrastruttura ingombrante, che si
scontra con l’imperativo segreto del cinema, riassumibile nell’esortazione a togliere, in quel di meno! di meno! che è quasi
la formula magica dei film più riusciti.
Un tempo non troppo lontano, Sant’Anselmo provava l’esistenza di Dio a partire
dall’affermazione dello stolto che dichiarava “Dio non esiste”, che equivaleva, di fatto, a gridare la sua presenza, la sua stessa
esistenza, più forte che mai. Hans Peters si
ritrova in una comunità in cui il nome dell’Altissimo non si può pronunciare davanti
ai bambini e in cui tutti sono certi della non
validità artistica della Nona di Beethoven.
Per buttare giù i totem della cultura occidentale, pare suggerire a mezza voce l’autore, bisogna dimostrare in qualche modo
che esistono e che la loro presenza genera
scompiglio e necessaria regolamentazione
nell’uso. Qualcosa inizia a sfuggire, eppure
è una questione affascinante. Forse ai più
sfuggirà il perché della missione di Killroy,
ma la sua bizzarra figura viene accettata. È
come se Baricco riuscisse nella parte più
complessa, ovvero provocare un’affezione
verso uno strambo personaggio, e poi si
perdesse nel bicchier d’acqua dell’autocompiacimento estetizzante.
Cultura popolare, arte elitaria, certezze e altrettante menzogne di secolare respiro, dunque. Ma, soprattutto, ambizione
Film
alla bellezza come legittimo desiderio, che
dovrebbe appartenere a chiunque, da realizzare, da ricevere come premio almeno
una volta nella vita, foss’anche un istante
esatto prima di morire. Forse, semplificando, si potrebbe riassumere così l’esordio
raffinato – e vagamente asfittico nel contenuto – di Alessandro Baricco, spinto a
realizzare questo lungometraggio dall’abituale stimolatore di talenti nascosti Domenico Procacci, che produce per Fandango
– in collaborazione con Rai Cinema e con il
contributo del MiBAC. È una storia scritta
appositamente per il cinema, quella di Lezione ventuno, tutta giocata su sfasamenti
temporali e spaziali, con personaggi che ri-
Tutti i film della stagione
tornano incarnandosi in nuovi contesti, per
lo più ambientata in un non-tempo che è
luogo del pensiero puro, dello spirito.
È l’ideale congiungersi di arte e morte
– ripresa con coerenza da una sorta di circolarità del film stesso – a dare il via alla
storia: una scritta in sovrimpressione informa della morte del giovane maestro di
musica Hans Peters. Poi accade qualcosa, l’istante estremo si dilata fino a mostrare il giovane maestro, in vita, alle prese con gli abitanti di un villaggio immerso
nella neve. Insieme prepareranno con cura
maniacale un avvenimento dai contorni
misteriosi – ma non incomprensibili.
Ma veniamo al Ludovico Van di kubri-
ckiana memoria. Un ultimo, grandioso tentativo di dimostrare la propria grandezza e
spezzare la propria solitudine, è ciò che ha
tentato di fare Beethoven con la sua Nona
sinfonia. Senza riuscirci, secondo la tesi
espressa nella ventunesima delle lezioni del
professor Killroy, che racconta come l’anziano e non udente duellante perse, in realtà, la sua sfida aperta verso quel mondo
che lo stava dimenticando. Ben pochi rimasero fino alla fine dell’esecuzione, dimostra
il professore, e quel che rimane è, come
per Hans Peters, l’attesa per l’incontro estremo con una fatale figura femminile.
Manuela Pinetti
WANTED – SCEGLI IL TUO DESTINO
(Wanted)
Stati Uniti/Germania, 2008
Regia: Timur Bekmambetov
Produzione: Jim Lemley, Jason Netter, Marc E. Platt, Iain Smith
per Universal Pictures/Spyglass Entertainment/Marc Platt Productions/Kickstart Productions/Top Cow Productions/ Relativity Media/Bazelevs Production/Ringerike Zweite Filmproduktion
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 2-7-2008; Milano 2-7-2008) V.M.: 14
Soggetto: Michael Brandt, Derek Haasdal dai personaggi dell’omonima miniserie a fumetti ideata da Mark Millar con disegni di J. G. Jones
Sceneggiatura: Michael Brandt, Derek Haas, Chris Morgan
Direttore della fotografia: Mitchell Amundsen
Montaggio: David Brenner
Musiche: Danny Elfman
Scenografia: John Myhre
Costumi: Varvara Avdyushko
Produttori esecutivi: Gary Barber, Roger Birnbaum, Jeff Kirschenbaum, Geyer Kosinski, Adam Siegel, Marc Silvestri
Co-produttori: Sally French, Jared LeBoff, David Minkowski,
Matthew Stillman
Direttori di produzione: Mark Kamine, Vaclav Mottl
Casting: Mindy Marin
Aiuti regista: Luc Etienne, Olda Mach, Andy Howard, Aiman
A. Humaideh, Matthew Sirianni, Robin Tierney, Frank Tignini,
Darin Rivetti, Michael Espinosa, Vojta Hlavicka, Veronica Brtova, Marketa Tomanova
Operatori: Greg Baldi, Miro Gabor, George Richmond, David
Emmerichs
Operatore steadicam: George Richmond
W
esley Gibson è un giovane consulente dalla vita apparentemente anonima: un capo petulante, una fidanzata infedele, un amico
bugiardo e continui attacchi di panico.
Un giorno, in un drugstore, viene rapito da una donna, Fox, che lo informa
della morte del padre per mano di un uomo
che sta cercando di uccidere anche lui.
Wesley è sorpreso perché non aveva
Supervisore art direction: Tomas Voth
Art directors: David Baxa, Patrick M. Sullivan jr., Martin Vackar
Arredatore: Richard Roberts
Trucco: Maya Hardinge, Frances Hannon, Suzi Oston, Stephanie Pasicov, Ailie Smith, Bobo Sobotka
Acconciature: Rose Chatterton, Frances Hannon, Dominc
Mango
Effetti speciali trucco: Rene Stejskal
Supervisore effetti speciali: Dominic Tuohy
Supervisori effetti visivi: Jamie Dixon (Hammerhead Productions), Evgeny Barulin (Ulitka), Dmitry Tokoyakov (Bazelevs), Arman Yahin (Main Road Post), Stefen Fangmeier, Jon
Farhat, Boris Lutsyuk, Craig Lyn
Coordinatori effetti visivi: Alexandra Daunt Watney (Framestore CFC), Matt Magnolia (Universal), Kyle Ware
(Hydraulx), Kelly Rae Kenan, Zuzana Mesticova
Supervisore costumi: Giovanni Casalnuovo
Supervisore musiche: Kathy Nelson
Interpreti: James McAvoy (Wesley Gibson), Morgan Freeman
(Sloan), Angelina Jolie (Fox), Terence Stamp (Pekwarsky), Thomas Kretschmann (Cross), Common (Gunsmith), Kristen Hanger (Cathy), Marc Warren (il riparatore), David O’Hara (Mr.X),
Konstantin Khabensky (lo Sterminatore), Dato Bakhtadze (il
macellaio), Chris Pratt (Barry), Lorna Scott (Janice), Sophiya
Haque (Puja), Brad Calcaterra (assassino Max Petridge), Brian
Caspe (il farmacista), Mark O’Neal (collaboratore), Bridget
McManus (cassiera), Scarlett Sperduto (Fox giovane),
Durata: 101’
Metri: 2770
notizie del padre dalla nascita. Fox inizia
a raccontargli che il padre lavorava per
una organizzazione, “La Confraternita”,
di cui anche lei fa parte, che sopprime gli
uomini pericolosi per l’umanità.
Il ragazzo è sempre più impaurito e
Fox, allora, lo porta al quartier generale,
dove Sloan, capo della Confraternita, gli
spiega minuziosamente in cosa consiste il
loro lavoro. Gli mostra un telaio da dove
7
escono i nomi delle vittime e gli dice che
la scelta è governata dal Fato e che loro
devono eseguire i comandi senza porsi delle domande, perché nelle loro mani c’è la
salvezza di tanta gente. Sloan continua dicendo che ora che suo padre è morto tocca a lui prendere il suo posto e vendicarlo.
Wesley, dopo qualche titubanza, decide
di mandare all’aria la sua vecchia vita e abbracciare gli ideali della Confraternita. Ini-
Film
zia un duro allenamento sotto la guida di Fox;
gli viene insegnato a sparare, accoltellare e
far fuori un uomo in qualsiasi circostanza.
Wesley dopo la preparazione vorrebbe
andare subito alla ricerca del suo bersaglio,
ma gli viene detto che prima dovrà uccidere diverse persone. L’impatto con le missioni reali, però, non è dei più semplici; è
solo grazie all’incitamento di Fox che il
ragazzo riesce a mettere a tacere la sua coscienza e a compiere il suo dovere di killer.
Finalmente, un giorno, gli viene dato
il permesso di uccidere l’assassino del padre. Wesley lo rincorre in un paesino nascosto e dopo una lotta serrata riesce a
sparargli. L’uomo prima di morire gli confessa di essere lui suo padre e di diffidare
della Confraternita. Il ragazzo frastornato si gira e chiede spiegazioni a Fox . La
donna conferma le parole dell’uomo e gli
dice che hanno scelto lui per ucciderlo proprio perché un padre non ucciderebbe mai
un figlio. Detto questo gli dice che dal telaio è uscito il suo nome e gli spara.
Wesley, però, non muore, viene salvato da un amico del padre che gli dice che il
telaio da diversi anni era manipolato da
Sloan e che ogni nome che ne usciva era
deciso da lui e non dal Fato. Suo padre
aveva scoperto l’imbroglio ed è per questo che è stato ucciso.
Wasley, allora, corre al quartier generale e inizia una carneficina, Sloan, a un
certo punto, lo blocca al centro di una stanza e convoca i restanti killer dicendo che il
ragazzo non mente, ma che dal telaio sono
usciti i loro nomi e lui per proteggerli ha
manipolato le informazioni. Prima di scappare propone, loro due opzioni per salvare il tutto: un suicidio collettivo o l’assassinio di Wesley. I killer non ci pensano troppo puntano tutti le loro pistole sul ragazzo, tranne Fox che con un abile colpo uccide tutti, inclusa se stessa.
Wesley, salvo, decide di non ritornare
alla sua vecchia vita e di continuare l’operato della Confraternita e come prima vittima punta proprio su Sloan.
D
alla Russia con... effetti speciali
arriva il nuovo lavoro del regista
principe dei blockbuster Timur
Bekmambetov.
Nell’ambiente cinematografico è conosciuto per aver definito il suo modo di
dirigere “realista”, ma a ben guardare il
suo ultimo film, Wanted, di realismo ce
n’è veramente poco a cominciare dai proiettili dalla traiettoria curvata che toglierebbero il sonno a qualsiasi insegnante
di fisica!
Probabilmente il realismo di cui parla
il regista è l’immersione in un contesto no-
Tutti i film della stagione
stop di azione che coinvolge lo spettatore
fino a fargli salire l’adrenalina alle stelle.
Wanted, infatti, è uno di quei film che
inchioda alla poltrona e, attraverso immagini veloci, acrobazie e violenza, riesce a
mantenere costante l’attenzione anche
dell’astante più distratto.
Ciò che balza subito all’occhio è che
Bekmambetov ha fatto sua la lezione americana (impossibile non notare i vari riferimenti ai classici del genere come Matrix o
Terminator ) e ha confezionato un action
movie veramente strabordante che, non ci
sono dubbi, avrà schiere di estimatori, ma
altrettanti detrattori, primi fra tutti, forse, i
fan di Mark Millar, autore della graphic
novel ispiratrice del film, da cui il regista
ha preso nettamente le distanze riadattando il tutto a suo uso e consumo.
La storia, nonostante sia elemento marginale, è, però, abbastanza intrigante. Un
ragazzo ipocondriaco e sfortunato viene introdotto in una confraternita adibita ad assassinare i cattivi, scelti da un arcano telaio,
sotto il motto “ne uccidi uno ne salvi mille”.
Un po’ come accadeva in Minority Report di Spielberg anche in Wanted ritorna l’affascinante questione dell’intromissione umana nel destino. È giusto? Sbagliato? Si vi-
vrebbe meglio? E giù tutta una serie di interrogativi che giocano a nascondino nel cervello dello spettatore mentre sullo schermo
schizzano le immagini mozzafiato di inseguimenti e improbabili sparatorie dominate
da una Angelina Jolie crudele e sensuale,
semplicemente perfetta nel ruolo di Fox.
Millar, nel suo fumetto, aveva dato a
questo personaggio le sembianze di un’altra attrice, Halle Berry, ma il regista ha avuto la felice intuizione di scritturare la Jolie
che, seppur diversa dall’originale cartaceo,
dà la sua personalissima impronta dark,
caratteristica di cui il film beneficia non poco.
Protagonista James McAvoy, giovane
star in ascesa, disinvolto nel doppio ruolo di
ragazzotto imbranato prima e killer spietato
poi sotto la tutela di uno ieratico Morgan Freeman.
Difficile poter trovare un target di riferimento per questa pellicola poiché risulterebbe
strutturalmente troppo debole per i cultori del
filone ed eccessivamente caotica per i più
generalisti. Chi, però, ama la spettacolarizzazione, gli effetti speciali e lo stile “videogames”,
troverà nel film del vulcanico regista kazako
un piacevole diversivo alla calura estiva.
Francesca Piano
KUNG FU PANDA
(Kung Fu Panda)
Stati Uniti, 2008
Regia: Mark Osborne, John Stevenson
Produzione: Melissa Cobb per DreamWorks Animation/Pacific Data Images
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 29-8-2008; Milano 29-8-2008)
Soggetto: Ethan Reiff, Cyrus Voris
Sceneggiatura: Jonathan Aibel, Glenn Berger
Direttore della fotografia: Yong Duk Jhun
Montaggio: Clare De Chenu
Musiche: John Powell, Hans Zimmer
Scenografia: Raymond Zibach
Produttore associato: Kristina Reed
Co-produttori: Jonathan Aibel, Glenn Berger
Direttori di produzione: Mary Bills, Jeff Hermann
Art director: Tang Kheng Heng
Supervisori effetti visivi: Markus Manninen
Responsabile personaggi animazione: Dan Wagner
Supervisori animazione: Alessandro Carloni, Rodolphe Guenoden, Jason Reisig,
William Salazar
Voci: Jack Black (Po), Dustin Hoffman (maestro Shifu), Angelina Jolie (Tigre), Ian McShane
(Tai Lung), Jackie Chan (Scimmia), Seth Rogen (Mantide), Lucy Liu (Vipera), David
Cross (Gru), Randall Duk Kim (Oogway), James Hong (Mr. Ping), Dan Fogler (Zeng),
Michael Clarke Duncan (comandante Vachir), Wayne Knight (boss della Gang), Kyle
Gass (KG Shaw), JR Reed (JR Shaw), Laura Kightlinger (ninja), Tanya Haden (coniglietta), Stephen Kearin (maiale/coniglio grazioso), Mark Osborne (cliente maiale),
John Stevenson (rinoceronte guardia), Riley Osborne (Tai Lung baby), Melissa Cobb
(mamma coniglio), Emily Robison, Stephanie Harvey (fans coniglio), Jeremy Shipp
Durata: 92’
Metri: 2500
8
Film
P
o è un panda gigante che sogna
di diventare un maestro del kung
fu mentre il padre lo vorrebbe
continuatore della tradizione di famiglia
come cuoco. Quando la Valle della Pace viene minacciata dal ritorno del perfido guerriero Tai Lung, il saggio maestro Oogway
indice una solenne cerimonia per scegliere
il Guerriero Drago, l’unico in grado di sconfiggere Tai Lung. Po si reca alla cerimonia
per assistervi, ma, per una serie di coincidenze, Oogway designa proprio lui, anziché
uno dei cinque allievi del maestro Shifu. Questi è costretto ad accettarlo nella sua scuola
di arti marziali, cerca in tutti i modi di scoraggiarlo, con l’aiuto dei suoi allievi, ma Po
riesce a farsi benvolere da tutti per la sua
determinazione e il suo buonumore contagioso. Il maestro Shifu scopre, infine, in Po
straordinarie capacità e inizia quindi il suo
addestramento come Guerriero del Dragone. Intanto Tai Lung è arrivato nella Valle
della Pace e si prepara a combattere contro
Shifu, il suo antico maestro che a suo tempo
gli impedì di diventare Guerriero Drago. In
un scontro, l’anziano maestro ha la peggio
ma alla fine arriva Po che sconfigge il malvagio. La sua vittoria riporta la pace nella
Valle e Po corona finalmente il suo sogno,
diventare un vero maestro di kung fu.
L
a Dreamworks Animation ripete
il miracolo di Shrek (anche se il
terzo capitolo della serie aveva
Tutti i film della stagione
un po’ perso di smalto pur avendo raggiunto una resa tecnica ineccepibile) e conquista ancora una volta pubblico e critica con
Kung Fu Panda, la storia di un panda gigante goffo e sovrappeso che nell’antica
Cina riesce a diventare un grande guerriero. A partire dal logo della casa di produzione, rifatto ad hoc per l’occasione (veramente splendido), il film restituisce in
pieno l’atmosfera, la magia dell’Oriente coniugandolo con la migliore tradizione del
kung fu movie all’orientale, senza esserne peraltro una parodia del genere, quanto piuttosto un omaggio. La sceneggiatura
non sbaglia un colpo, riproponendo il modello classico dell’allievo che parte svantaggiato ma che, grazie alla propria forza
e determinazione, riesce a raggiungere il
suo sogno e a salvare i propri amici dal
pericolo imminente. Gli autori hanno scelto, giustamente, di rinunciare per una volta al citazionismo estremo preferendo lasciare la storia al suo livello, già notevole
di per sé, senza aggiungervi elementi
estranei che ne allontanassero il senso da
parte degli spettatori più piccoli, per i quali
il film è espressamente consigliato, mentre il pubblico adulto sicuramente si ritroverà nelle pillole di filosofia zen che sono
disseminate nel corso del film. Kung fu
Panda diverte, commuove ed emoziona in
ogni momento; la morale esplicita e diretta che sta alla base del film non lo appesantisce, anzi. L’animazione dei personag-
gi è ovviamente perfetta, la caratterizzazione profonda e attuale e la loro umanizzazione strabiliante, in particolare nelle
sequenze d’azione che si rifanno al genere wuxiapan. Come raramente accade nel
cinema d’animazione odierno, il film unisce una grandissima perizia tecnica, ancora più notevole in quanto non fine a se
stessa, con una narrazione scorrevolissima, dopo un inizio di presentazione un po’
lento, estremamente coinvolgente e mai
banale, in grado di infondere nuova linfa a
una materia magari già sfruttata, come
quella dei sogni irraggiungibili che poi diventano realtà. La scelta degli animali è
geniale, i cinque guerrieri istruiti dal maestro Shifu sono uno meglio dell’altro, complice anche la realizzazione a partire dal
cast dei doppiatori. Po è modellato sull’attore Jack Black, sulla sua pinguedine e fisicità, mentre Dustin Hoffman ha portato,
anche in fase di sceneggiatura, un notevole contributo alla nascita del personaggio del maestro Shifu. Angelina Jolie,
Jackie Chan e Lucy Liu completano il cast
all star in sala di doppiaggio. La versione
italiana si affida alla voce di Fabio Volo per
il personaggio di Po, scelta infelice che appiattisce il personaggio e marca la differenza con le altre voci, di bel altro calibro,
a cominciare da Eros Pagni per il maestro
Shifu.
Chiara Cecchini
UN SEGRETO TRA DI NOI
(Fireflies in the Garden)
Stati Uniti, 2008
Acconciature: Terri Ewton, Charmaine Richards, Melizah Schmidt
Effetti speciali trucco: Clinton Wayne
Supervisore effetti speciali: Everett Byrom III
Supervisori effetti visivi: Thomas Tannenberger, Olcun Tan
Supervisore musiche: Nic Harcourt
Supervisore costumi: Jenna Kautzky
Interpreti: Julia Roberts (Lisa Waechter), Ryan Reynolds (Michael Waechter), Willem Dafoe (Charles Waechter), Emily
Watson (Jane Lawrence), Carrie-Anne Moss (Kelly Hanson),
Hayden Panettiere (Jane Lawrence giovane), Ioan Gruffudd
(Addison), Shannon Lucio (Ryne Waechter), George Newbern
(Jimmy Lawrence), Cayden Boyd (Michael Waechter bambino), Chase Ellison (Christopher Lawrence), Brooklynn Proulx
(Leslie Lawrence), Peter Cornwell (professore), Frank Ertl
(Duncan Morgan), Gina Garza (passeggera aereoporto),
Spencer Greenwood (studente di college), Molly McCann
(migliore amica di Ryne), Grady McCardell (poliziotto), Tiger
Sheu (commensale), John C. Stennfeld (Reverendo Beyers),
Scott A. Stevens (professore)
Durata: 120’
Metri: 3300
Regia: Dennis Lee
Produzione: Sukee Chew, Vanessa Coifman, Marco Weber per
Senator Entertainment/Kulture Machine
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 26-9-2008; Milano 26-9-2008)
Soggetto: dalla poesia di Robert Frost
Sceneggiatura: Dennis Lee
Direttore della fotografia: Daniel Moder
Montaggio: Dede Allen, Robert Brakey
Musiche: Javier Navarrete
Scenografia: Robert Pearson
Costumi: Kelle Kutsugeras
Produttori esecutivi: Jere Hausfater, Milton Liu
Co-produttore: Philip Rose
Casting: Ferne Cassel
Aiuti regista: Michael A. Allowitz, Cleta Elaine Ellington, Kayse Goodell
Operatore: Darin Moran
Art director: Timmy Hills
Arredatore: Carla Curry
Trucco: Kara Sutherlin
9
Film
M
ichael scrittore di successo, sta
andando insieme a sua sorella
alla laurea della madre Lisa.
Mentre è al volante, però, gli comunicano
che c’è stato un incidente stradale e che
sua madre è morta, suo padre è ferito in
ospedale.
La festa di famiglia, programmata per
la laurea, si trasforma in un funerale. Tutti
amavano molto Lisa, una donna dolce e
affabile, in particolare i due figli perché
l’esatto contrario del padre Charles, un
uomo dispotico e arrogante che li terrorizzava con tremende punizioni corporali
e psichiche. A subirne più di tutti, proprio Michael che, col tempo, ha alimentato un odio inarrestabile nei suoi confronti.
Durante il funerale, il ragazzo confessa a sua zia, sua amica e complice, di aver
scritto un libro autobiografico e di aver
raccontato nei minimi particolari i comportamenti scorretti del padre. La donna
gli consiglia vivamente di non pubblicarlo, ma Michael è irremovibile, vuole far
conoscere al mondo chi è l’uomo che tanti
stimano.
Intanto, tutta la famiglia è riunita sotto lo stesso tetto per sbrigare le formalità
burocratiche e darsi conforto. Con il passare delle ore, però, le tensioni iniziano a
crescere: ciascuno ha qualcosa da ridire
sull’altro e la parvenza di coesione crolla
velocemente. Non facilita la situazione il
ritorno dall’ospedale di Charles che coglie ogni occasione per punzecchiare Mi-
Tutti i film della stagione
chael. Quest’ultimo, a ogni critica, rafforza il suo volere di pubblicare il libro.
Poi, però, accade una cosa insolita:
Charles mostra a tutti un vecchio video di
famiglia e dalle immagini traspare un padre affezionato e un figlio felice fra le sue
braccia. Quei fotogrammi toccano il cuore
di Michael che decide di bruciare il libro e
dare una seconda possibilità al padre.
N
on si dovrebbe mai vedere un film
se è già cominciato. Sicuramente si riuscirebbe a capirne il senso, la trama e anche ad apprezzarlo, ma
si rischierebbe di perdere il meglio.
Questo consiglio vale sempre in generale, ma non potrebbe essere più indicato
che per il film Fireflies in the Garden (Lucciole in giardino) ribattezzato da noi con il
titolo meno evocativo di Un segreto tra noi.
La primissima scena, infatti, oltre che
molto bella, ha la capacità di racchiudere
in sé tutto il film ed è emotivamente e tecnicamente a un livello superiore rispetto
ai fotogrammi che la seguiranno.
La situazione è apparentemente banale: una famigliola in macchina che nervosamente litiga. Il tragitto da percorrere
ancora non è tanto, ma si intuisce il livello di stress di ciascun personaggio, in particolare del bambino che non urla, non
strepita, ma fa delle smorfie isteriche che
lasciano inequivocabilmente immaginare
un passato di soprusi e dolore. Poi la portiera si apre di scatto, il ragazzino scende
dalla macchina correndo e si lascia ba-
gnare da una pioggia scrosciante, catartica. Molto toccante.
Purtroppo, nonostante la bella premessa, il resto del film, firmato da Dennis Lee,
è irrimediabilmente deludente, un esercizio di stile che doveva rimanere tale in attesa di una maturità ancora lontana.
Tutto si svolge nell’arco di un week-end
nato per festeggiare una laurea e trasformatosi tragicamente in un funerale. La
morte, però, non diviene mai protagonista.
È piuttosto un orpello, una trovata utile a
giustificare un clima mesto che nasce da
conflitti non risolti, da parole mai dette e
da ricordi confusi che riprendono vita diventando presente con la tecnica del flashback.
La regia “accoglie” questi momenti e li
trasforma in singolari parallelismi fra i
membri della famiglia. Eppure qualcosa
non torna. Nonostante una rigorosa ricerca formale, una buona scrittura ed un’ottima interpretazione attoriale (e non solo
delle guest-star “specchietto per le allodole” Julia Roberts e Willem Defoe), infatti, il
film non funziona. Scivola sulla pelle dello
spettatore senza lasciar traccia del suo
passaggio, quasi fosse rarefatto come la
sua (bella) fotografia.
La verità è, che pur attingendo da un
fatto biografico, il film non ha anima, passionalità, vive di sottintesi che alienano lo
spettatore fino a portarlo a un completo
isolamento empatico con i personaggi.
Francesca Piano
IL RESTO DELLA NOTTE
Italia, 2008
Fonico: Stefano Campus
Interpreti: Sandra Ceccarelli (Silvana Boarin), Aurélien Recoing (Giovanni Boarin), Stefano Cassetti (Marco Rancalli),
Laura Vasiliu (Marja), Victor Cosma (Victor), Costantin Lupescu (Jonuz), Veronica Besa (Anna Boarin), Valentina Cervi
(Francesca), Teresa Acerbis (Eusebia), Susy Laude (Mara),
Bruno Festo (Luca), Giovanni Morina (Davide), Maurizio Tabani (Vincenzo), Simonetta Benozzo (operatrice Sert), Giovanni Tormen (Mario), Corrado Vernisi (carrozziere), Antonio
Rosti (Zulata), Francesca Rizzotti (maestra)
Durata: 100’
Metri: 2760
Regia: Francesco Munzi
Produzione: Donatella Botti per Bianca Film. In collaborazione
con Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 11-6-2008; Milano 11-6-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Francesco Munzi
Direttore della fotografia: Vladan Radovic
Montaggio: Massimo Fiocchi
Musiche: Giuliano Taviani
Scenografia: Luca Servino
Costumi: Valentina Taviani
Aiuto regista: Berenice Vignoli
N
ell’odierna Brescia, città multietnica con ancora qualche contraddizione in seno, basta poco perché l’equivalenza romeno uguale ladro
prenda corpo, anche nell’(apparentemente)
illuminata famiglia Boarin, che vive in una
villa bella e lussuosa che domina dall’alto
della collina l’intera città. Silvana Boarin,
pericolosamente in disequilibrio sul crinale
della depressione, non trova più in casa i
10
preziosi orecchini di perle ereditati dalla
madre ed è certa che la colpevole sia
Marja, collaboratrice domestica di origine romena che vive con loro. Forse a scatenare i sospetti sarà stata la (fugace) ag-
Film
gressione sotto i portici del centro di un
gruppetto di bambini rom (ed ecco l’altro
facile stereotipo romeno uguale rom), oppure il furto c’è stato davvero, chissà. Giovanni, suo marito, si rifiuta di credere a
questa ipotesi, ma licenzia ugualmente la
ragazza pur di accontentare la moglie.
L’uomo, un industriale dal ricco presente
e dall’ancor più solido avvenire, è spesso
assente per lavoro, ma anche per i frequenti
incontri con la giovane amante Francesca,
di cui è sinceramente innamorato. Anna,
la figlia adolescente, viziata quanto basta,
in Marja ha anche una preziosa complice
per i suoi innocenti sotterfugi di ragazzina
e accusa senza mezzi termini i genitori di
razzismo. Ma la piccola tempesta familiare passa in fretta: una nuova colf prende il
posto di Marja, Silvana si trastulla stancamente all’idea di aprire una boutique,
Giovanni rientra nel solito tran tran lavoro/amante/famiglia e la figlia parte per un
campeggio con gli scout. Marja, senza lavoro e senza casa, trova accoglienza tra le
amiche connazionali, per poi riavvicinarsi all’ex-fidanzato Ionut, a suo tempo abbandonato per i suoi traffici non propriamente cristallini. Tra i due il terzo incomodo è Victor, fratello minore di Ionut che
si arrangia – onestamente – alla giornata
facendosi sfruttare da italiani senza scrupoli e che divide con l’amato fratello un
minuscolo appartamento in una vecchia
casa di ringhiera affittata esclusivamente
a stranieri di ogni etnia.
Ionut “lavora” in combutta con Marco, un tossicodipendente inutilmente in
cura presso il Sert, che vivacchia di furti e
che smercia la refurtiva nei campi nomadi
di periferia. La sua condizione personale
è un mezzo disastro: l’ex-moglie si è rifatta una nuova vita con un altro uomo e non
è mai troppo propensa a fargli vedere il
figlio, un bambino di otto anni che Marco
ama con tutto se stesso, ma in un modo
anticonvenzionale e inadeguato agli occhi
della donna.
Quando Ionut e Marco decidono di svaligiare l’isolata villa della famiglia Boarin, Marja offre loro il suo supporto; d’altronde a stimolare i due uomini è stata proprio lei, quando dalla sua borsa ha estratto dei preziosissimi orecchini di perle non
tacendone la provenienza né nascondendo
l’astio verso la famiglia. La sera prestabilita, Ionut, Marco e il giovane Victor si
inerpicano tra i tornanti che portano verso la villa; all’interno, mentre i genitori
trascorrono la serata in città, Anna consuma la sua prima notte d’amore con il fidanzatino, una storia sbocciata durante il
campeggio. Quando Marco, assolutamente non in sé, inizia a maneggiare malamente
Tutti i film della stagione
una pistola, i contorni della tragedia iniziano a definirsi senza pietà. Rientrati in
anticipo per un malessere di Silvana, i coniugi Boarin arrivano in casa a rapina in
corso; anche Giovanni ha una pistola e una
breve sparatoria si consuma tra il giardino e l’interno della casa. Nulla viene mostrato al pubblico, se non il volto sconvolto e impotente di Victor, rimasto al cancello a fare da palo. I corpi senza vita di Giovanni, Ionut e del ragazzo di Anna vengono mostrati senza eccessiva morbosità,
mentre Victor e Marco (gravemente ferito)
si danno alla fuga tra la vegetazione della
collina. Della famiglia Boarin resta ora un
rapporto da recuperare tra le due donne
sopravvissute, mentre Victor, rimasto solo,
torna da Marja con la refurtiva e con lei si
allontana all’alba di un nuovo giorno in
una Brescia che sembra non abbia più
molto da offrire.
D
opo la storia quasi eroica del giovane Saimir, Francesco Munzi
torna a esplorare le vite affatto
scontate di chi, straniero, tenta una nuova esistenza in Italia, incontrando talvolta accoglienza, più spesso ostilità, quasi
sempre pregiudizi difficilmente cancellabili. A differenza del precedente lungometraggio, in Il resto della notte c’è poco
spazio per il riscatto – umano, sociale – e
nessuna soddisfazione buonista per lo
spettatore: ogni personaggio è attraversato da pulsioni oscure che non permettono mai di avere completamente a fuoco la totalità del suo pensiero e, meno che
mai, di lasciare intuire le azioni che compierà. La complessa scala dei grigi che
caratterizza ugualmente uomini e donne,
indipendentemente dalla personale con-
11
dizione economica, è efficacemente inserita in un contesto assimilabile al noir sociale, che il regista dimostra di saper maneggiare con maestria, nonostante qualche caduta nel banale dei luoghi comuni.
Dal quadretto familiare altoborghese –
moglie depressa insoddisfatta, marito
pronto a rifugiarsi tra le braccia di una
donna più giovane, figlia capricciosa e
pseudoribelle – ci si aspettava qualcosina in più, mentre l’animo inevitabilmente
disonesto degli emigrati romeni – Marja il
furto l’ha commesso davvero, e Victor non
si tira indietro all’idea del facile guadagno
da rapina – provoca un fastidioso prurito.
Non è invece affatto convenzionale il
gioco di sfumature sui personaggi maggiormente “maledetti”: Munzi suggerisce
più di quanto effettivamente mostri,
aprendo un sottile squarcio nostalgico su
un passato che si immagina quanto
meno migliore del complicato presente:
le suppellettili della cameretta di bimbo
in cui si è rifugiato Marco dopo il divorzio, tornando a vivere dalla madre, si
caricano di tristezza sotto lo sguardo ormai rassegnato dell’anziana signora,
mentre i rapidi accenni a parenti e amori
del passato nei dialoghi tra Victor e Ionut lasciano intuire la serenità di una vita
ormai passata.
Una necessità sotterranea accomuna
questo campione di varia umanità: come in
un videogame, ogni personaggio si troverà
a dover ricominciare da zero, da un nuovo
punto di partenza, anche più volte, raccogliendo il poco che rimane. Per Marja, l’ennesimo capolinea è un ragazzino scorbutico e il risultato di una rapina, per Victor è
l’odiata intrusa amata dal fratello, per Silvana e Anna è il rapporto madre-figlia, l’uni-
Film
co a sopravvivere dopo la morte violenta
del marito-padre e del fidanzatino; infine,
per Francesca è il ricordo di un amore vissuto di nascosto con un uomo sposato.
Assistiamo a una sorta di spoliazione, di purificazione, anche stilisticamente: dall’iperdettaglismo, accentuato dalla macchina a mano delle prime sequenze; si arriva, via via, a fuggevoli sguardi
sempre meno di insieme, con inquadrature che quasi costringono i personaggi,
incorniciandoli nei luoghi in cui compiono azioni minime. Non è un caso che,
prima di far confluire in contemporanea
e nello stesso luogo – e vedremo in che
modo –, tutti i protagonisti delle tre storie variamente parallele, il regista ci mostri Silvana e Giovanni “rinchiusi” nel
palchetto del teatro, Anna e il fidanzato
nel letto, i tre ladri nel buio dell’abitacolo
dell’auto, Marja sola in ansiosa attesa.
La commistione tra mondi così diversi è
impossibile: Munzi arriva nel finale a inserire tutti i personaggi nella medesima
scena, senza mostrarli mai insieme nella stessa inquadratura, lasciando addirittura che l’azione che si presuppone
Tutti i film della stagione
essere il clou dell’intero film – la sparatoria tra Giovanni e i ladri – si svolga fuoricampo. Allo spettatore non resta che
qualche bagliore nel buio, il sonoro delle
esplosioni, le grida di Silvana, mentre la
macchina da presa non stacca dal volto
atterrito di Victor. La mediazione onnipresente – allo spettatore non è mai concessa un’opinione personale per l’intero
film – giunge qui al suo apice, lasciando
alla visione della sola reazione emotiva
di un singolo personaggio il carico dell’intero film.
Il percorso del regista viaggia spedito sul doppio binario italo-romeno, con
una triplice storia di vari disagi esistenziali e famiglie al tracollo emotivo, trincerate da paure presunte e reali che si
traducono in – peraltro inutili – bunker
tecnologici per i ricchi e violenti desideri
di riscatto per chi ha poco o nulla. Brescia, ricca città del nord dalle architetture lisce e squadrate, è mostrata in tutte
le sue diversità: il verde lussureggiante
delle colline, i portici e le piazze spoglie
del centro, la bruttura della periferia, declinata in campi nomadi, affollate case
di ringhiera, anonimi palazzoni nel niente, polverosi capannoni, in cui si fatica
tutto il giorno per pochi spiccioli. L’occhio
del regista si sofferma nei poveri interni
arrangiati alla bell’e meglio da Ionut e
Victor con una curiosità per il disagio e
un’esibizione del dignitoso squallore che
non stonerebbe in un film dei fratelli Dardenne, anche se l’integrità morale di
Victor, che inizialmente potrebbe ricordare la caparbietà vista in Rosetta, si
arrende senza troppi giri di parole all’idea
del guadagno senza fatica.
La compattezza del film arranca senza un vero perché nella diramazione sentimentale tra Giovanni e Francesca, un’apposizione quasi inutile che sembra avere
la sua unica motivazione nel rendere più
borghesemente a tutto tondo il personaggio di lui, altrimenti vaga meteora all’interno dell’economia narrativa del film. Senza
una sbavatura invece la scelta del cast e
le interpretazioni di tutti gli attori, ognuno
latore di una personale ed efficace idea di
nera tristezza.
Manuela Pinetti
HANCOCK
(Hancock)
Stati Uniti, 2008
Effetti speciali trucco: Richard Redlefsen
Supervisore effetti speciali: Ian O’Connor
Coordinatore effetti speciali: James D. Schwalm
Supervisori effetti visivi: Vincent Girelli (Luma Pictures),
Matthew Gratzner (New Deal Studios Inc.), Mark Larranaga
(X1FX), Carey Villegas, John Dykstra, Richard Kidd
Coordinatori effetti visivi: E.M. Bowen (New Deal Studios
Inc.), Jennifer Middleton, Beth Tyszkiewicz
Supervisore costumi: Dan Bronson
Supervisore musiche: George Drakoulias
Suono: Norman Durance, Peter Hansen
Interpreti: Will Smith (John Hancock), Charlize Theron (Mary
Embrey), Jason Bateman (Ray Embrey), Jae Head (Aaron
Embrey), Eddie Marsan (Kenneth ‘Red’ Parker Jr.), David
Mattey (uomo montagna), Maetrix Fitten (Matrix), Thomas
Lennon (Mike), Johnny Galecki (Jeremy), Hayley Marie Norman (Hottie), Dorothy Cecchi (donna nel Bar), Martin Klebba
(condannato), Akiva Goldsman, Michael Mann, Brad Leland,
Trieu Tran (executives), Darrell Foster (sergente), Liz Wicker
(Poliziotta), Taylor Gilbert (ostaggio), Barbara Ali (donna sotto
la macchina di Ray), Ryan Radis, Elizabeth Dennehy, Darren
Dowler (folla che attraversa le rotaie ), John Frazier (ingegnere del treno), Daeg Faerch (Michel), Matt King, Martin Magdaleno (ragazzini del quartiere), Ronald W. Howard (uomo
sulla strada), Gregg Daniel (capo della polizia), Nancy Grace
(se stessa), Pritam Singh Biring (Sikh), Cher Calvin (reporter), Caroll Tohme
Durata: 92’
Metri: 2500
Regia: Peter Berg
Produzione: Akiva Goldsman, James Lassiter, Michael Mann,
Will Smith per Columbia Pictures/Blue Light/Weed Road Media/Overbrook Entertainment/Forward Pass/GH Three. In associazione con Relativity Media
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 12-9-2008; Milano 12-9-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Vincent Ngo, Vince Gilligan
Direttore della fotografia: Tobias A. Schliessler
Montaggio: Colby Parker jr., Paul Rubell
Musiche: John Powell
Scenografia: Neil Spisak
Costumi: Louise Mingenbach
Produttori esecutivi: Ian Bryce, Jonathan Mostow, Richard
Saperstein
Produttore associato: Michelle McGonagle
Direttore di produzione: Allegra Clegg
Casting: Denise Chamian, Francine Maisler
Aiuti regista: Eric Heffron, David Sardi, Chris Castaldi, Eugene Davis, Giselle Gurza, Saleena Lockett, Michael J. Moore,
Richard Oswald, Andrew Ward
Operatori: Lucas Bielan, David Luckenbach, Darin Moran
Operatore steadicam: David Luckenbach
Art directors: William Hawkinms, Dawn Swiderski
Arredatore: Rosemary Brandenburg
Trucco: Martha Callender, Debra Denson, Rocky Faulkner, Gilbert A. Mosko
Acconciature: Melissa Forney, Kathrine Gordon, Pierce Austin, Richard De Alba, Rhonda O’Neal
12
Film
J
ohn Hancock è un supereroe alcolizzato e maleducato. È odiato
dai malviventi, ma ancor più dai
suoi concittadini perché i suoi salvataggi arrecano più danni che benefici all’umanità.
Un giorno come tanti Hancock salva la
vita a Ray Embrey, dirigente di una società
di pubbliche relazioni che, per ringraziarlo, decide di curargli l’immagine pubblica.
Hancock in un primo momento rifiuta
l’idea, poi, però, spronato dai continui insulti ricevuti dalla gente e dai media, comincia un percorso riabilitativo sotto la
sua guida.
Inizia a radersi la barba e a vestirsi in
maniera appropriata, smette di bere e dire
parolacce, paga con la reclusione i danni
arrecati alle strutture pubbliche, ma, soprattutto, si rende irreperibile per far sentire alla popolazione la sua mancanza.
Gli effetti sono positivi la gente, impaurita per il crimine dilagante, acclama a
gran voce il suo ritorno che avviene durante una pericolosa rapina conclusasi con
un’ovazione popolare.
Solo una persona sembra scontenta del
rientro in scena di Hancock: Mary, la moglie di Ray.
Una sera, però, rimasta sola con lui,
inizia a baciarlo e gli confessa di essere
anche lei dotata dei suoi stessi poteri. Hancock sorpreso le chiede altre spiegazioni e
la donna gli racconta che loro sono gli ultimi esemplari di una stirpe di supereroi
generati in coppia, la cui immortalità è
data dalla lontananza con la propria metà.
Lei, parecchi anni prima, si è separata da
lui, approfittando della sua perdita di memoria, per permettergli di vivere e aiutare
molte vite umane.
Hancock, inizia a ricordare, ma non
vuole credere che la sua unica salvezza,
Tutti i film della stagione
così come quella della sua donna, sia vivere lontano da lei.
Qualche giorno dopo la rivelazione,
durante un furto, Hancock viene colpito
all’addome e per la prima volta inizia a
sanguinare. Nell’ospedale dove lo ricoverano i medici fanno l’impossibile per salvarlo, ma le speranze sono poche. Mary,
mentre cerca di convincerlo ad allontanarsi
da lei per guarire, viene colpita brutalmente da dei malviventi e cade in coma.
Hancock, allora, aiutato da Ray, raduna tutte le sue poche forze e per evitarle la
morte vola via.
Passa un mese, Mary è guarita e felice
con suo marito e Hancock continua a salvare il mondo lontano dalla donna che ama.
D
imenticate per un attimo i supereroi con cui siete cresciuti. Scordatevi l’agilità di Spiderman, la
virilità di Batman o la sicurezza di Superman.
Hancock è diverso, molto diverso da loro.
Vive su una panchina come un barbone, è
perennemente attaccato a una bottiglia di
whisky e usa un linguaggio che con un eufemismo si potrebbe definire “colorito”. Hancock è, in definitiva, politicamente scorretto
sotto ogni aspetto. Come supereroe, poi, non
è un granché; fa il suo dovere, certo, ma dopo
ogni suo intervento sono più i danni da contare che i benefici tanto che i cittadini di Los
Angeles, stanchi e arrabbiati, quotidianamente lo invitano a prestare i suoi servigi in
un’altra città. Tutti tranne uno, Ray Embry, il
classico “brav’uomo”, idealista e convinto di
salvare il mondo con i cuoricini. Proprio lui
convince Hancock a cambiare immagine, a
conformarsi all’iconografia classica del supereroe al fine di farsi amare dalla gente.
Questo percorso di cambiamento, con
relativo lieto fine è solo il primo tempo del
film diretto da Peter Berg. I successivi quarantacinque minuti offrono allo spettatore
una pellicola completamente diversa con
una discontinuità narrativa e linguistica
veramente audace. Si passa dallo strombazzare di effetti speciali, battute a raffica
e risate a una storia d’amore drammatica
con un forte impronta metaforica.
Hancock, infatti, nella seconda parte si
innamora di Mary, la bella moglie di Ray che
in realtà è un suo vecchio amore, o meglio, è
la sua anima gemella costretta a star lontana da lui per poterlo rendere invulnerabile.
È facile intuire l’evolversi di questa situazione: il dilemma fra amore e morte, il bene
comune (l’invulnerabilità permette ad Hancock di salvare molte vite) per quello personale ed il sottile gioco dei sentimenti che,
quando troppo forti, “uccidono” la coppia.
Un plot interessante, forse, ma per un
altro film.
È troppo netto il distacco fra le due parti
per creare omogeneità, viene a mancare del
tutto il momento di passaggio che crea spigolosità narrative dure da smussare. Questo rende il lavoro di Berg piuttosto inconsistente, o
meglio, lo trasforma in un prodotto “ruffiano”
atto ad accontentare il gusto di tutti, ma a non
soddisfare completamente nessuno.
Difficile, invece, criticare le interpretazioni dei protagonisti Will Smith e Charlize
Theron. Il “Fresh Prince” è ormai una garanzia per produttori e pubblico, buca lo
schermo e risulta perfetto sia nei ruoli drammatici che in quelli brillanti e in Hancock
non smentisce la sua fama. E Charlize Theron, nonostante una sceneggiatura ingrata, non è da meno, bella, anzi bellissima e
con un carisma recitativo che fa passare la
sua avvenenza in secondo piano.
Francesca Piano
KEN IL GUERRIERO-LA LEGGENDA DI HOKUTO
(Shin kyuseishu densetsu Hokuto no Ken: Rao den Jun’ai no sho)
Giappone, 2006
Regia: Takahiro Imamura
Produzione: Naoki Miya, Kiminobu Sato, Hideki Yamamoto per
North Star Pictures
Distribuzione: Mikado
Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008)
Soggetto: dai personaggi della serie animata Ken il guerriero
ispirata all’omonimo fumetto creato da Buronson e Tetsuo Hara
Sceneggiatura: Nobuhiko Horie, Yoshinobu Kamo, Katsuhiko
Manabe
Direttore della fotografia: Masato Sato
Montaggio: Jun Takuma
Musiche: Yuki Kajiura
L
o scoppio di una guerra atomica
ha distrutto il mondo e costringe
l’umanità a vivere nel deserto in
Scenografia: Nobuto Sakamoto
Animation Department: Tsukasa Hojo
Voci: Hiroshi Abe (Kenshirô), Takashi Ukaji (Raoh), Kou Shibasaki (Reina/narrazione), Akio Otsuka (Souther), Hochu Otsuka
(Shû), Kenyu Horiuchi (Toki), Unsho Ishizuka (Sôga), Daisuke
Namikawa (Bat), Maaya Sakamoto (Lin), Miyu Irino (Shiba),
Yuzuru Fujimoto (Yo), Masuo Amada (Meio), Seiko Fujiki (Martha Toyo), Eiji Hanawa (Kenshiro giovane), Shigeru Shibuya
(Raoh giovane), Keiichi Sonobe (Rizo), Tomoko Ishimura (Ryo),
Takafumi Kawakami (padre di Ryo)
Durata: 90’
Metri: 2780
balia di predoni senza scrupoli secondo la ‘legge del più forte’. Al mondo esistono però due
potentissime scuole di arti marziali, la scuola
13
di Hokuto e quella di Nanto. Il giovane Kenshiro è discepolo della prima di queste scuole, insieme ai fratelli Raoul, Toki e Jagger.
Film
Durante uno scontro organizzato da Raoul e
Sauzer, il più potente guerriero della scuola
di Nanto, Kenshiro affronta e viene sconfitto
da Shu che, però intuisce nel ragazzo il futuro
salvatore dell’umanità e offre a Sauzer, in cambio della vita di Ken, la sua vista. Kenshiro
sarà scelto poi proprio come successore della
scuola di Hokuto, al posto di fratello Raoul,
troppo ambizioso, e di Toki, potentissimo ma
malato terminale dopo essere stato esposto a
una nube radioattiva per salvare Ken e un
gruppo di bambini. Furioso, Raoul uccide il
suo maestro e, approfittando della confusione
generata dalla guerra atomica, decide di partire alla conquista del potere con ogni mezzo,
mentre Toki utilizza le tecniche sui punti di
pressione di Hokuto per guarire le persone,
diventando una specie di venerato santone.
Raoul riesce a espandere sempre di più il suo
potere sulle bande di ribelli, grazie anche all’aiuto del suo luogotenente Souga e della sorella di lui, Reina, guerriera spietata e invincibile, ma anche donna innamorata segretamente di Raoul. Nel frattempo Kenshiro è cresciuto e nel corso dei suoi viaggi, nei quali
affronta numerosi avversari e si fortifica sempre più, incontra di nuovo Shu. Quest’ultimo
si trova a fronteggiare da solo il malvagio
Sauzer che, divenuto nel frattempo Imperatore di Nanto dopo aver ucciso il suo amato
maestro Ogai, sta erigendo un Mausoleo per
celebrare la sua opera di conquistatore del
mondo utilizzando migliaia di bambini ridotti
schiavi. Ken si unisce a Shu nella lotta contro Sauzer, ma al primo scontro ha la peggio, perché tutti i colpi di Hokuto non sembrano aver alcun effetto contro l’Imperatore. Aiutato ancora da Shu e da suo figlio Shiba (che si sacrifica per salvarlo), Kenshiro
ritorna più forte di prima e affronta di nuovo
Sauzer, dopo aver scoperto il suo segreto: l’Imperatore ha il cuore nella parte destra del petto, come tutti gli altri organi. Per accrescere
il potere e il prestigio di Raoul davanti ai suoi
uomini, Souga, malato terminale, decide di inscenare un finto litigio con il suo capo e di
farsi uccidere per tradimento, ma Reina, all’oscuro della verità, rimane sconvolta dalla
morte del fratello per mano dell’uomo che ama
e si unisce a Kenshiro e Toki, che si preparano a scontrarsi con il fratello maggiore.
K
en il guerriero – La leggenda di
Hokuto è il primo di cinque nuove storie animate (in gergo tecnico OAV, original anime video) facenti parte del progetto Shin Kyûseishu Densetsu
(Hokuto no Ken - La leggenda del nuovo salvatore) che hanno visto la luce in Giappone
tra il 2006 e il 2008 per celebrare i venticinque anni dalla nascita del personaggio creato da Tetsuo Hara e Buronson (al secolo Yoshiyuki Okamura, il soprannome deriva dalla sua somiglianza con l’attore Charles Bronson). In questi cinque OAV si racconta la storia dello scontro epico tra le due scuole di
Tutti i film della stagione
Hokuto e di Nanto attraverso i punti di vista
dei personaggi più importanti: a questo primo film, seguiranno infatti La leggenda di
Julia, La leggenda di Raoul, La leggenda di
Toki e La leggenda di Kenshiro. Questa riedizione della mitica saga, un vero e proprio
cult per un’intera generazione di ragazzi, grazie al suo constante passaggio sulle varie
televisioni locali in pieno boom anni ’80, si
concentra, quindi sui personaggi, approfondendone le caratteristiche psicologiche e le
storie personali. Accanto al protagonista
Kenshiro Kasumi, giganteggia infatti la figura del fratello maggiore Raoul (Raoh nel
manga originale), guerriero tra i più forti delle due scuole e personaggio complesso e
affascinante. Per dare più risalto a Raoul, oltre a Souga, Testuo Hara ha creato ex-novo
proprio per questi OAV il personaggio di
Reina, il cui desing è affidato a Tsukasa Hojo
(altro nome storico dell’animazione giapponese, creatore tra l’altro di City Hunter e
Occhi di Gatto). Oltre a questi, grande spazio è dato alla contrapposizione tra il perfido
Zauser (nato sotto la Stella della Tirannia e
quindi destinato ad esercitare brutalmente il
suo potere e la sua brama di possesso) e
l’altruista Shu (protetto dalla Stella della Benevolenza), mentre non mancano le apparizioni di personaggi minori, ma altrettanto
amati dai fan come i giovani Lynn e Bart. È
naturale che un film come questo risulti maggiormente appassionante e comprensibile al
pubblico degli storici aficionados ma gli autori si sono enormemente impegnati per colmare il gap di conoscenze tra i cultori della
materia e i neofiti, che rimarranno comunque conquistati dall’epicità della storia e della
complessità dei personaggi, sebbene ci siamo comunque alcuni passaggi oscuri per chi
non abbia pratica con la serie televisiva. Nonostante le nuove tecniche, l’animazione non
pare migliorata di molto rispetto a quella dell’anime originale, invero non eccelsa, e risente ancora della staticità delle prime versioni. I pregi maggiori del film sono più o
meno simili a quelli dell’anime. In primo luogo, l’ambientazione apocalittica alla Mad
Max (“Siamo alla fine del ventesimo secolo,
il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni
atomiche. Sulla faccia della terra gli oceani
erano scomparsi e le pianure avevano
l’aspetto di desolati deserti... tuttavia la razza umana era sopravvissuta” recitava la voce
all’inizio di ogni episodio) e la grandezza dei
personaggi, il loro lottare e sacrificarsi per
gli ideali in cui credono, la complessità di
quelli più negativi, che tali sono in seguito a
grandi dolori patiti tempo prima (come Sauzer e Raoul, figure terribili, ma, al contempo,
affascinanti). Soprattutto altro grande pregio
del film è il forte simbolismo che ne domina
la rappresentazione, l’etica del sacrificio, il
coraggio estremo, i valori dell’amicizia e dell’amore, il fascino della solitudine del samurai, pronto a compiere il proprio destino. L’efferata violenza che caratterizzava la serie
animata degli anni ’80 (impossibile non ricordare le aspre polemiche per la sua messa in onda nelle fasce pomeridiane in quegli
anni) è stata stemperata nell’OAV, assumendo caratteristiche decisamente meno splatter. Nel film si riascoltano le notevoli BGM
(BackGround Music), tra le migliori della storia degli anime e il lavoro di doppiaggio è
stato eseguito con perizia e accortezza, anche se al fan più accanito non potranno non
mancare le voci dell’originale.
Chiara Cecchini
LA FIDANZATA DI PAPÀ
Italia, 2008
Regia: Enrico Oldoini
Produzione: Bruno Altissimi, Fabio Boldi per Medusa. In collaborazione con Sky
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 14-11-2008; Milano 14-11-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Enrico Oldoini, Paolo Costella
Direttore della fotografia: Gianlorenzo Battaglia
Montaggio: Mauro Bonanni
Musiche: Alessandro Molinari
Scenografia: Paola Riviello
Costumi: Giuseppe Tramontano
Aiuto regista: Fedeico Marsicano
Interpreti: Massimo Boldi (Massimo Bondi), Simona Ventura (Angela), Enzo Salvi
(Eros), Biagio Izzo (Maria), Nino Frassica (Nino), Loredana De Nardis (Lara), Martina Pinto (Barbara), Elisabetta Canalis (Felicity), Max Cavallari (Max), Bruno Arena
(Bruno), Teresa Mannino (Luminosa), Davide Silvestri (Matteo), Aurora Quattrocchi
(Zi Carmelina), Natalia Bush (Gloria), Alessandra Barzaghi (Jenny)
Durata: 95’
Metri: 2600
14
Film
M
assimo, vedovo, ha un albergo
a Cortina D’Ampezzo assieme
alla figlia Lara; ad aiutarlo nella gestione c’è Luminosa, con la quale ha
una relazione da molto tempo, ma che ancora non ha il coraggio di ufficializzare.
Eros, fratello di Massimo è il cuoco. L’altro figlio, Matteo, vive a Miami con la compagna Barbara che è ormai prossima al
parto. Solo ora il ragazzo trova il coraggio di rivelare al padre che sta per diventare nonno. Matteo si giostra fra le avances di Felicity e la gelosia nei confronti di
Tommy, amico di colore d’infanzia di Barbara. Nel mentre, da New York, Angela
madre di Barbara, chiama a Cortina per
invitare tutti a Miami per la futura nascita. Eros, sempre al telefono, conosce così
Maria, segretaria tuttofare di Angela, di
cui si innamora senza sapere la verità:
Maria è un ex attore di teatro travestitosi
da donna pur di poter lavorare. Massimo
Lara ed Eros, partono così per Miami. All’aeroporto, Massimo ha uno scontro con
Angela; i due litigano senza sapere chi siano in realtà. Maria si innamora a prima
vista di Lara. Nella villa di Angela, il gruppo cresce con la presenza di Nino e Carmela, detta Carmelina, rispettivamente il
papà separato e la nonna di Barbara. Angela e Massimo finalmente si presentano;
lui tenta di rimediare alla brutta figura
fatta in aeroporto combinando però ulteriori disastri. Angela è costretta a partire
per lavoro; Barbara l’accompagna all’aeroporto. Rimasta sola, la ragazza partorisce. Con sorpresa di tutti il bambino è di
colore. L’immensa gioia di Matteo sfuma
all’istante, nonostante la ragazza continui
a dire di non averlo mai tradito. Eros e
Maria aiutano Massimo a scambiare le
culle per dare a Barbara una bambina di
pelle chiara. Nessuno crede alla farsa e
Massimo viene arrestato. Sarà Angela con
i suoi aiuti politici a farlo uscire. Matteo è
scappato con Felicity, la quale ha subito
approfittato della situazione. I due nonni
si avvicinano e Angela si confida: il papà
di Barbara è in realtà un importante uomo
di colore di cui non può rivelare il nome.
Massimo escogita un piano per evitare la
verità. Intanto Luminosa giunge a Miami
per via di un sospetto tradimento di Massimo con Angela a causa di un malinteso.
Ritrova così Nino il suo primo grande amore; lascia Massimo, con sua gioia, e si rimette con lui. Maria, per sfuggire all’ennesimo approccio di Eros, si ritrova nella
camera di Lara, alla quale si rivela. Barbara riceve la notizia dell’imminente matrimonio di Matteo con Felicity; arrivata
in chiesa scopre che il ragazzo non si è
sposato perché ancora innamorato di lei.
Tutti i film della stagione
I due si sposano spinti anche da Felicity
stessa. Tutti festeggiano e fra Massimo e
Angela sembra nascere qualcosa.
C
on La fidanzata di papà, il regista Enrico Oldoini e Massimo
Boldi tentano un balzo in avanti
rispetto ai precedenti film. Tentano, ma non
riescono. Tutta l’idea di base, che di per sé
poteva anche reggere, viene completamente sopraffatta e distrutta da gag al limite della
decenza e della demenza. Viene così da
chiedersi: dov’è finita tutta la storia? La verità, che dovrebbe essere riparatrice, non
viene mai detta; ma bensì coperta dall’ennesima bugia con una nonna che deve essere corrotta per aiutare la nipote. Quindi
niente morale né moralità in un film dove si
preferisce continuare a mentire invece di
rivelare una verità che potrebbe, si, distruggere se stessi, ma aiutare la propria figlia a
ritrovare una meritata felicità. Senza contare che ormai Angela è già separata da anni
dal marito; allora perché non dire niente?
Mah. Un film slegato dove in molte scene
sembra che gli attori inizino a muoversi e
parlare subito dopo il ciak. La Ventura riesce in parte a convincere, mentre Boldi cade
sempre nella stessa decennale recitazione
Le uniche risate le strappano la brava
Teresa Mannino (Luminosa) e Biagio Izzo
(Maria) il cui triangolo amoroso fra Lara
ed Eros è una continua citazione al bellissimo A qualcuno piace caldo (1959). Sempre con Izzo vi sono vari riferimenti a Matrimonio all’italiana (Maria si lancia in un
monologo di Filumena Marturano) e Quando la moglie è in vacanza (il vestito bianco
di Maria si solleva sopra una grata da cui
fuoriescono folate d’aria calda). Altra citazione si riscontra con Boldi e Salvi (Eros),
quando tentano di scrivere una lettera per
Maria, che richiama Totò, Peppino e... la
malafemmina (1959). Naturalmente non
c’è confronto.
Trascurabile la presenza dei Fichi d’India, nei panni di due improbabili poliziotti
italoamericani; praticamente assente la
Canalis (Felicity). Le musiche, come sempre in questi film di genere, sono ben scelte dalla prima all’ultima.
A chiudere il film, la rivelazione di Angela all’orecchio di Massimo circa l’identità del papà di Barbara, che, secondo indizi sparsi, dovrebbe essere proprio il neopresidente degli Usa.
Elena Mandolini
PARIGI
(Paris)
Francia, 2008
Regia: Cédric Klapisch
Produzione: Ce qui me meut motion pictures/Studio Canal/France 2 Cinema/Studio
Canal Image. Con la partecipazione di TPS Star/Canal+
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 26-9-2008; Milano 26-9-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Cédric Klapisch
Direttore della fotografia: Christophe Beaucarne
Montaggio: Francine Sandberg
Musiche: Robert ‘Chicken’ Burke, Loic Dury, Christophe Minck
Scenografia: Marie Cheminal
Costumi: Anne Schotte
Direttori di produzione: Khadija Alami, Jacques Royer, Anne Ferignac
Casting: Noureddine Aberdine, Jeanne Millet
Effetti: Seb Caudron
Aiuto regista: Euric Allaire
Trucco: Flore Masson, Delphine Jaffart
Suono: Cyril Moisson
Interpreti: Juliette Binoche (Elise), Romain Duris (Pierre), Fabrice Luchini (Roland
Verneuil), Albert Dupontel (Jean), François Cluzet (Philippe Verneuil), Karin Viard
(La fornaia), Gilles Lellouche (Franky), Melanie Laurent (Laetitia), Zinedine Soualem (Mourad), Julie Ferrier (Caroline), Olivia Bonamy (Diane), Maurice Benichou (lo
psichiatra), Annelise Hesme (Victoire), Audrey Marnay (Marjolaine), Xavier Robic
(Arthur Delamare), Suzanne Aichinger (Susy), Joffrey Platel (Remy), Nelly Antignac (Rachel), Emmanuel Quatra (Grand Nanar), Kingsley Kum Abang (Benoit),
Renée Le Calm (sig.ra Renée), Sabrina Ouazani (Khadija), Farida Hhelfa (Farida),
Judith El Zein (Mélanie Verneuil)
Durata: 130’
Metri: 3220
15
Film
S
ullo sfondo di Parigi si intrecciano diverse storie. Il giovane Pierre, ex ballerino, è malato di cuore: ha appena saputo che gli resta poco da
vivere; dovrà sottoporsi a un trapianto ma
l’intervento avrà solo un 40% di possibilità di riuscita. Il ragazzo si confida con la
sorella Elise, quarantenne separata e con
tre figli che lavora come assistente sociale. Pierre passa le sue giornate a guardare
fuori dalla finestra del suo appartamento
e le persone che vede diventano eroi delle
storie che immagina. Tutti i giorni Elise
va a fare la spesa al mercato, al banco di
frutta di Mourad, Caroline e del suo ex
marito Jean, che è affascinato da Elise.
Nello stesso mercato, al banco del pesce,
lavora Franky, amico di Jean che è attratto da Caroline.
Roland Verneuil è un professore universitario specializzato in storia di Parigi che ha appena ricevuto una vantaggiosa offerta per girare alcuni DVD sulla storia della città. Il fratello di Roland è Philippe, affermato architetto, sposato e in
attesa del suo primo figlio. Durante una
lezione, Roland è stregato da Laetitia, una
bellissima studentessa. Preso da un irrefrenabile impulso, il professore inizia a
corteggiare la ragazza tempestandola di
messaggi telefonici anonimi. Anche Pierre, per strada, è colpito da Laetitia che
abita di fronte a lui.
Madame Muyard è la proprietaria di
una panetteria che è in cerca di una nuova
commessa per servire al banco. La donna
è gentile con i clienti, ma razzista con le
sue dipendenti.
Benoit è un ragazzo africano che decide di partire per Parigi. Il giovane ha conservato il numero di telefono di Marjolai-
Tutti i film della stagione
ne, una ragazza conosciuta in un villaggio
turistico quando faceva l’istruttore di nuoto. Una notte, Benoit si imbarca su un gommone carico di clandestini.
Passano i giorni ed Elise si trasferisce
con i bambini da Pierre. Roland, vittima
di ansie e attacchi di panico, inizia la terapia con uno psicanalista. Le sedute lo
aiutano a capire molte cose di sé e lo spingono a cercare un dialogo più profondo
con il fratello. Roland finisce per dichiararsi alla giovane Laetitia che cede alle
sue avances. Anche Caroline intreccia una
relazione con Franky ma, proprio quando
sembra aver trovato un po’ di serenità, la
donna muore in un incidente in moto. Intanto Laetitia si lega a Remy, un suo compagno di studi, ed esce allo scoperto mostrandosi insieme al giovane davanti agli
occhi del professore. Nel frattempo, Pierre decide di fare una festa invitando tutti i
suoi amici: durante la serata il giovane
torna a ballare dopo tanto tempo. Quella
notte, Benoit, appena sbarcato, telefona a
Marjolaine ma la ragazza, a una sfilata di
moda con le amiche, tronca subito la conversazione. Durante la stessa notte, Franky
e Jean, ai mercati generali, abbordano
Marjolaine e le sue amiche, ma non riescono a essere del tutto spensierati. All’alba, Elise va al mercato e incontra Jean che
trova il coraggio di dichiararsi. Di prima
mattina, Pierre riceve una telefonata che
lo informa che l’ospedale è pronto per il
trapianto. Quella stessa mattina, Philippe
diventa padre mentre Pierre sale su un taxi.
Percorrendo le strade di Parigi, il ragazzo
osserva la vita intorno a lui, pensa che la
gente spesso non sa quanto è fortunata solo
per il fatto di poter vivere, camminare, correre, respirare. Guardando la sua città dal
16
finestrino, sorride e va serenamente incontro al suo destino.
L
a vita. Nient’altro. Un cuore che
batte. Nient’altro. Un giovane
uomo che osserva la vita da una
finestra da cui si apre un panorama mozzafiato e una città, Parigi, e le sue mille
anime che pulsano, vive. Il cuore del giovane, invece, non si sa per quanto tempo continuerà a battere. E la vita assume un significato diverso, quasi assoluto. Il film di Klapisch ha due cuori: quello debole del giovane Pierre, ex ballerino costretto a una vita
ritirata in attesa di un trapianto rischiosissimo, e quello forte di Parigi che batte in ogni
suo angolo, dal grigio ferro della Tour Eiffel
al candore del Sacre Coeur di Montmartre.
E, a proposito di Parigi e dei suoi cambiamenti, Baudelaire scriveva “più veloce d’un
cuore cambia l’aspetto di una città”.
La capitale francese dipinta da Klapisch è come una grande madre che abbraccia i suoi “figli”, nelle sue strade, nelle sue
piazze, nei suoi mercati, nei suoi caffè,
nelle sue case.
Parigi ti avvolge, ti sostiene, ti culla
quando è sera e le mille luci si accendono
sulla Tour Eiffel.
Parigi è “dentro” le storie narrate nel
film, è “dentro” i suoi personaggi: il professore specializzato in storia della città sta
girando un DVD, proprio negli angoli più
nascosti della metropoli svelandone storie e segreti, suo fratello architetto sta ridisegnando una fetta della rive gauche. E
ancora, “dentro” la città è la folla di un
mercato, dove lavora un gruppo di venditori e “dentro” la città arriva un giovane africano inseguendo il desiderio di una vita
migliore.
E gli occhi del giovane ex ballerino che
non può più danzare (ballava al Moulin
Rouge, altro luogo emblematico della Ville Lumière), rintanato in casa in attesa di
un trapianto, sono proprio gli occhi del regista che, attraverso la macchina da presa, osserva la città di cui è innamorato e
la sua gente.
Evidente il filo rosso che lega questo
film alla precedente opera del regista,
maestro in storie corali: se, in Ognuno cerca il suo gatto, Klapisch focalizzava la sua
attenzione nella zona dell’11° arrondissement parigino, in cui ogni vicolo nascondeva una storia, qui lo sguardo è ampliato
all’intera città, in cui si muovono le vite di
una piccola folla di personaggi dei quartieri e dei ceti più disparati.
Il dramma e l’ironia sono in equilibrio,
dispensati in dosi mai eccessive dalla
mano del regista. E gli attori? Tutti perfetti.
Un stuolo di talenti utilizzati al meglio: da
Film
una malinconica Juliette Binoche che dà
vita a una fascinosa quarantenne separata con tre figli “scottata” dall’amore, a un
intenso Romain Duris (che con Klapisch
ha già girato altri cinque film tra cui L’appartamento spagnolo e Bambole russe),
nei panni del giovane malato di cuore che
osserva la vita da una finestra, da un grande Fabrice Luchini spassoso nel ruolo del
professore universitario innamorato di una
studentessa (imperdibile il suo numero di
ballo), a un misurato François Cluzet, ele-
Tutti i film della stagione
gante architetto di successo quasi troppo
perfetto (quando la vita non lo è mai) agli
occhi del fratello dalla vita “incasinata”. Per
continuare con Karin Viard panettiera xenofoba, Gilles Lellouche pescivendolo dai
modi grevi ma dall’animo sentimentale,
Albert Dupontel fruttivendolo dal cuore ferito, Mélanie Lambert studentessa dalla
bellezza così prepotente in cui c’è “qualcosa di osceno”. Che classe!
Complessità e semplicità, malinconia
e allegria, lacrime e sorrisi, quante sono
le contraddizioni della vita! E questa vita il
regista mette in scena, anche nelle situazioni più banali.
L’amore, la paura, il dolore, l’allegria,
la tristezza, e, infine, la speranza su cui
chiude il film. Un universo fatto di rapporti:
fratelli e sorelle, madri e figli, mariti e mogli, docenti e allievi. Parigi è questo. La vita
è questo. E forse è bello credere ancora in
Babbo Natale. Bravo Klapisch.
Elena Bartoni
IL MIO SOGNO PIÙ GRANDE
(Grace)
Stati Uniti, 2007
Acconciature: Peggy Nicholson,
Coordinatore effetti speciali: J.C. Brotherhood
Supervisore effetti visivi digitali: Dion Hatch (Digiscope)
Supervisore musiche: John Houlihan
Interpreti: Jesse Lee Soffer (Johnny Bowen), Christopher
Shand (Kyle Rhodes), Carly Schroeder (Grace Bowen), Karl
Girolamo (Curt), Vasilios Mantagas (Craig), Donny Gray (Donny), Emma Bell (Kate Dorset), Dermot Mulroney (Bryan
Bowen), Hunter Schroeder (Mike Bowen), Trevor Heins (Daniel Bowen), Josh Caras (Peter Wicker), Elisabeth Shue (Lindsay Bowen), Madison Arnold (nonno), Jophn Doman (coach
Colasanti), Andrew Shue (coach Owen Clark), Julia Garro
(Jena Walpen), Karl Schellscheidt (arbitro Jay Gavitt), James
Biberi (agente Sal Famulari), Lou Sumrall (buttafuori), Peter
McRabbie (Preside Enright), Chris Heuisler (Rob), Charles
Jack Walker (Adam), C.C. Loveheart (assistente della presidentessa), Leslie Lyles (Presidentessa Connie Bowsher), Tashya Valdevit (Maryellen Connors), Robens Jerome (Rodney),
Dan Metcalfe (coach Kingston), Christopher Allen, Teddy Van
Beuren, Gustavo Mora (giocatori)
Durata: 95’
Metri: 2450
Regia: Davis Guggenheim
Produzione: Davis Guggenheim, Andrew Shue, Elisabeth Shue,
Lermore Syvan per Elevation Filmworks/Ursa Major Films LLC
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 18-7-2008)
Soggetto: Andrew Shue, Ken Himmelman, David Guggenheim
Sceneggiatura: Lisa Marie Petersen, Karen Janszen
Direttore della fotografia: Chris Manley
Montaggio: Elizabeth Kling
Musiche: Mark Isham
Scenografia: Dina Goldman
Costumi: Elizabeth Caitlin Ward
Produttori esecutivi: Cindy Alston, Jeff Arnold, Dustin Cohn,
Tom fox, Mead Welles
Co-produttori: Chris Frisina. John Shue, Andrew Wiese
Direttori di produzione: Abimael Jackson, Lemore Syvan
Casting: Ali Farrell, Laura Rosenthal
Aiuti regista: Jude Gorjanc, Annie Tan, John Tyson, Thomas
K. Lee
Operatore steadicam: Jeff Muhlstock
Art director: Jennifer Dehghan
Arredatore: Melanie J. Baker
Trucco: Brian Abbott
G
race, una ragazza di sedici anni,
vive in una famiglia con la passione sfrenata per il calcio. Suo
fratello maggiore, Johnny, gioca nella
squadra della scuola ed è l’orgoglio dei
suoi genitori. Fra i due c’è un rapporto
molto speciale, cementato dalla passione
comune per lo sport.
Una sera, dopo una partita, Johnny è
vittima di un incidente mortale.
La famiglia è sconvolta dal dolore e
Grace per poter avverare il sogno del fratello defunto, battere la squadra rivale,
decide di prendere il suo posto in squadra.
Il padre alla notizia deride la figlia che,
per spirito di ribellione, inizia a marinare la
scuola e ad avere comportamenti pericolosi.
Vista la situazione, il genitore, decide
di assecondare la ragazza e fa richiesta
all’allenatore di un provino per la figlia.
Dopo una riunione del consiglio studentesco particolarmente accesso, a Grace viene data la possibilità di fare la selezione
insieme agli altri aspiranti giocatori.
In attesa del fatidico giorno, la ragazza, aiutata dal padre, inizia ad allenarsi
duramente con ottimi risultati.
Arriva il giorno del provino, ma Grace, nonostante un’ottima prestazione, viene presa solo come riserva.
Delusa, vorrebbe mollare, ma suo padre la convince a portare avanti il suo progetto in attesa di mostrare il suo talento in
una vera partita.
L’occasione arriva presto. A causa dell’infortunio di un giocatore, infatti, Grace
viene messa in campo proprio contro la
squadra che suo fratello voleva battere.
17
Dopo qualche errore, la ragazza segna
il goal decisivo per la vittoria e viene accolta con un’ovazione dal pubblico e dalla squadra che prima la snobbava.
I
l dolore per la perdita spesso sceglie i canali più strani per essere
elaborato. L’arte e il cinema in particolare permettono di trasformare la sofferenza in pulsante energia operativa che,
pur non essendo garanzia di risultato, ha
comunque innumerevoli benefici terapeutici per chi ne è protagonista .
A tal proposito, curiosando fra le biografie dell’intero cast di Il mio sogno più
grande è facile intuire che sia stata più
una “questione personale” piuttosto che
una velleità artistica mettere in cantiere
questa pellicola. Quasi tutti, direttamente
Film
o indirettamente, infatti, sono legati alla
tragica vicenda raccontata nel film: gli
sforzi di una ragazzina per prendere il
posto di suo fratello, morto in un incidente, nella squadra di calcio locale e nel
cuore del padre.
È la storia dell’attrice Elisabeth Shue
(che qui si è ritagliata per questioni anagrafiche il ruolo della madre) e della sua
famiglia in un’America maschilista e ottusa, incapace di andare oltre il pensiero
comune che vede la donna costretta a realizzarsi solo in ambiti prestabiliti.
Sarebbe, però, erroneo soffermarsi
Tutti i film della stagione
troppo sul lato femminista della pellicola,
poiché il vero fulcro è invece il difficile rapporto padre-figlia.
Grace, la protagonista, vuole fortemente far parte della squadra di calcio maschile
non per un suo desiderio personale, ma
per guadagnarsi l’affetto di un padre con il
cuore saturo d’amore per il fratello.
È una richiesta d’attenzione attraverso l’emulazione che nessuno comprende,
soprattutto i suoi genitori, e che ha poco a
che vedere con un campo verde da calcio,
o con una rivendicazione protofemminista.
C’è dell’altro, e traspare dai numerosi e
intensi primi piani del regista Davis Guggenheim (premio Oscar per Una scomoda verità, nonché marito di Elisabeth Shue)
che accompagnano un’interpretazione attoriale tanto naturale quanto credibile.
Il mio sogno più grande, nonostante le
premesse, è un film lontano dagli schemi
“sbanca botteghino”, ma sicuramente è ricco di tanti piccoli momenti, tante piccole
emozioni che non chiedono soltanto di
essere viste, ma, soprattutto, di essere
condivise.
Francesca Piano
BABYLON A.D.
(Babylon A.D.)
Francia/Stati Uniti, 2008
Arredatori: Francesca Cross, Michel Pagès
Trucco: Gabriela Polakova, Jeremy Woodhead, Christien Tinsley
Acconciature: Barbara Kichi, Ivo Strangmuller, Jeremy Woodhead
Effetti speciali trucco: Megan Flagg, Brian Hillard, Nik Williams
Coordinatore effetti speciali: Christian Kitter
Supervisore effetti visivi: Stephane Ceretti (BUF),
Coordinatore effetti visivi: Beatrice Ronte-Cassard, Julie
Verweij
Supervisore musiche: Jerome Hadey
Interpreti: Vin Diesel (Toorop), Mélanie Thierry (Aurora), Michelle Yeoh (Suor Rebecca), Lambert Wilson (dott. Arthur
Darquandier), Mark Strong (Finn), Jérôme Le Banner (Killa),
Charlotte Rampling (sacerdotessa della Neolite), Gérard Depardieu (Gorsky), Joel Kirby (dott. Newman), Souleymane
Dicko (Jamal), Radek Bruna (Karl), Jan Unger (organizzatore
dei combattimenti), Abraham Belaga (assistente della sacerdotessa), Gary Cowan (executive Neolite), Lemmy Constantine (executive marketing Neolite), Lou Jenny, Kristyna Kingsley (gemelle), Filip Matejka (ragazzo giovane), Curtis Matthew (capitano sottomarino), Peter Thias (Neolite MIB), David
Belle, David Gasman, Robert Polo, Drew Harding Smith, Jeff
Smith, Magda Vavrusova
Durata: 90’
Metri: 2470
Regia: Mathieu Kassovitz
Produzione: Alain Goldman, Mathieu Kassovitz, Eiffel Mattson per Canal +/Légende Films/MNP Enterprise/Okko Productions/Twentieth Century Fox Film Corporation
Distribuzione: Moviemax
Prima: (Roma 24-10-2008; Milano 24-10-2008)
Soggetto: dal romanzo Babylon Babies di Maurice G. Dantec
Sceneggiatura: Eric Besnard, Mathieu Kassovitz
Direttore della fotografia: Thierry Arbogast
Montaggio: Benjamin Weill
Musiche: Atli Örvarsson
Scenografia: Sonja Klaus, Paul Cross
Costumi: Chattoune, Fab
Produttori esecutivi: Benoît Jaubert, Marc Jenny, Avram ‘Butch’ Kaplan, Gary Ungar, David Valdes
Co-produttore: Selwyn Roberts
Direttori di produzione: Michaela Flenerova, Jiri Husak, Marc
Olla, Paul Sarony, Patrick Sobieski
Casting: Gigi Akoka, Nancy Bishop, Jina Jay
Aiuti regista: Otto Requette, Dusan Vodak, Charlie Watson,
Alex Oakley, Kieron Phipps, Shakir Hafoudh, Jonas Overton,
Philip A. Patterson, Trevor Puckle
Operatori: François Daignault, Martin Grosup, Martin Maryska
Supervisore art direction: John King
Art directors: Claudio Campana, Robert Cowper, Ora Ito, Peter
James, Jindrich Koci, Milena Koubkova, Olivier Raoux, Stephen Wong
I
n un prossimo futuro, un mercenario di nome Toorop accetta
l’offerta di un gangster russo,
Gorsky, di scortare dalla Mongolia a New
York, nel giro di sei giorni, una giovane
donna, Aurora. Toorop e il magnate Gorsky si accordano per mezzo milione, oltre
a una nuova vita per il mercenario in America.
Per far sì che porti a termine l’obbiettivo, Gorsky rifornisce Toorop di un vasto
arsenale e di un passaporto elettronico, da
iniettare sotto la pelle del collo. Toorop si
fa recapitare in un convento in mano alla
setta dei Noeliti, dove incontra Suor Rebecca, ombra fedele di Aurora, che accompagnerà anche in questa avventura fino a
New York.
Paesi e città russe sono diventate
ghetti sovrappopolati e pericolosi a causa della guerra e del terrorismo. Il che
costringe Toorop, Aurora e Rebecca a
fronteggiare mille pericoli nel viaggio
fino a Vladivostok, incluso un gruppo di
mercenari che affermano di essere mandati dal padre di Aurora, da lei fino a
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quel momento creduto morto. Aurora si
comporta in modo strano, qualcosa che
né Toorop nè Rebecca sanno spiegarsi.
Prima di prendere il treno, in preda a una
crisi isterica, la ragazza scappa dall’androne della stazione ferroviaria poco
prima che salti in aria a causa di
un’esplosione, come se fosse riuscita a
prevederla.
Giunti allo stretto di Bering grazie a
un mercenario amico di Toorop, emerge
dai ghiacci un sottomarino russo vecchio
di trent’anni. A causa del numero ecces-
Film
sivo di profughi, l’equipaggio del sottomarino è costretto a partire lasciandone
alcuni fuori, anche a costo di sparargli.
Aurora è infuriata e sconvolta per le perdite umane, si intrufola nell’abitacolo e
comincia a usare i comandi del vecchio
sommergibile, senza aver mai saputo utilizzarlo. Toorop riesce a immobilizzarla
e calmarla prima che la situazione con
l’equipaggio si metta male. Rebecca spiega a Toorop che Aurora è in grado di parlare 19 linguaggi diversi dall’età di due
anni e sa da sempre cose che non ha mai
imparato da nessuna parte. Ma negli ultimi tre mesi ha spasmi e reazioni schizofreniche, dovute probabilmente a una pillola somministratale da un medico. Un
virus che può essere usato da arma, come
conferma l’amico mercenario di Toorop
che ha sentito di un caso analogo in Uzbekistan.
Nei pressi del confine fra Russia e
Alaska, dopo uno scontro con dei droni
volanti, Toroop uccide il compagno di viaggio che lo stava tradendo. Ferito gravemente, viene soccorso da Rebecca e Aurora; con quest’ultima il rapporto diviene più
intimo dopo l’iniziale diffidenza. Attraversato il Canada ed entrati negli Stati Uniti
d’America, i tre, in poco tempo, si ritrovano a New York, dove continuano martellanti le notizie di una nuova era, un nuovo
miracolo. Qui scoprono che il convento di
Noeliti da cui erano partiti è stato distrutto da un missile lanciato da alcuni ipotetici terroristi.
Nell’appartamento di New York, un
dottore viene a visitare Aurora che scopre di essere incinta di due gemelli, pur
essendo ancora vergine. Dalla finestra,
Toorop vede sia gli uomini di Gorsky che
il gruppo dei Noeliti, armati fino ai denti
e in attesa che scendano. La sacerdotessa Noelita chiama Toorop, chiedendogli di portare giù Aurora. I tre scendono. All’ultimo momento, Toorop cambia idea, dando inizio a una sanguinosa
sparatoria. Rebecca muore, Toorop è
gravemente ferito e contro di lui viene
lanciato un potente missile collegato
elettronicamente al passaporto che ha
iniettato nel collo. “Ho bisogno che tu
viva” sono le ultime parole di Aurora a
Toorop, prima che lei gli spari ed entrambi finiscano avvolti tra le fiamme
dell’esplosione.
Il suo corpo viene trafugato dall’obitorio e trasportato in New Jersey, dove
il dottore Darquandier, il padre di Auro-
Tutti i film della stagione
ra, lo riporta in vita e spiega come stanno le cose in realtà. Quando Aurora era
ancora un feto, lui la modificò geneticamente tramite un super computer per installarle una intelligenza artificiale nel
cervello. Il gruppo dei Noeliti aveva incaricato di creare Aurora perché divenisse incinta in una certa fase della sua
vita, e fosse mostrata al mondo come
“vergine” simbolo della loro religione.
Ma Darquandier si ribellò, per lui Aurora era ormai una figlia vera e propria.
Lo scienziato collega Toorop a un macchinario in grado di recuperare la memoria vissuta perduta: grazie a esso scopriamo che Toorop, colpito da Aurora,
si è abbassato appena in tempo per evitare il missile, che ha proseguito la sua
marcia verso Aurora, per poi infrangersi contro una barriera misteriosa intorno a lei. “Torna a casa”, mormora la
ragazza a Toorop. In breve il mercenario si ritrova con una nuova missione:
tornare in un vecchio ranch di sua proprietà prima che scappasse dagli States,
per reincontrare Aurora che lo attende
lì. Nel frattempo, Darquandier viene ucciso dalla gran sacerdotessa e, dopo l’ennesimo inseguimento, Toorop e Aurora
si mettono in salvo. Aurora, prima di
morire durante il parto, chiede a Toorop
di proteggere i suoi figli e di fargli da
padre.
Tempo dopo, Toorop, ormai non più
mercenario e in candidi abiti civili, si trova di fronte a una casa con due bambine, una dalla pelle nera e una bianca.
Le prende per mano e si dirigono verso
casa.
D
ifficile liquidare in due parole Babylon A.D., film che sulla carta (si
perdoni il pregiudizio) non sembrava necessitare di un maggiore dispendio verbale. L’intento di intrattenere è prioritario, indiscusso, manifesto:
ma Kassovitz, memore dell’aura di culto raggiunta in giovane età a Cannes con
La Haine (L’odio), poi diluita in produzioni mainstream di altalenante fattura,
decide di puntare alto e rielabora, insieme con lo sceneggiatore Eric Besnard,
il difficile romanzo culto di Maurice Dantec con un occhio al pubblico e l’altro
all’impegno: quello di raccontare, attraverso una struttura avventurosa classica, un mondo futuribile ma ormai prossimo, diretta conseguenza del nostro
pensiero e delle azioni dell’oggi, che
19
hanno generato una deriva di matrice
terroristica e un’assoluta incapacità,
nelle grandi come nelle piccole cose, di
pensare e agire in termini di collettività.
Nel mondo del mercenario Toorop, degno protagonista della vicenda, tutti
sono abbandonati a se stessi e la sopravvivenza è una questione personale, a meno che non paghi qualcuno perché badi a te. Il rimedio è un recupero
morale di valori ormai perduti, ma anche qui c’è il rovescio della medaglia:
un mondo così concreto, corrotto in ogni
singolo elemento, non può forgiare che
una religione da laboratorio, per mero
tornaconto personale. La rilettura “messianica” dell’intera vicenda, con un finale
tra il beffardo e l’incongruo che accosta
il nerboruto Vin Diesel nientemeno che
a San Giuseppe (ma vestito di un completo bianco che dovrebbe definitivamente precludergli il regno dei cieli), è
un azzardo affascinante e un tentativo
di uscire dagli schemi che avvince, e
forse convince.
Poca tecnologia e molto action,
come usava un tempo, prima che nel
mondo dei sci-fi movies la tecnologia del
presente si evolvesse a sufficienza per
simulare un’efficace virtualizzazione del
mondo a venire: Kassovitz sembra avere le idee molto chiare dal punto di vista
tecnico, come è logico aspettarsi da un
regista dotato qual è. Il risultato è quasi
un b-movie, degno dal punto di vista registico in termini di azione e adrenalina, un po’ meno sul fronte narrativo: la
trama, esile nei fatti ma complessa e impalpabile nei suoi continui richiami e collegamenti, necessita sempre di troppe
spiegazioni a visione in corso, e questo
toglie ritmo e vivacità. Anche la continuità, talvolta, va a farsi benedire, con
scene troppo slegate le une dalle altre
(su tutte l’ellissi dal sommergibile ai pack
innevati dell’Alaska, dove i protagonisti
montano veicoli presi chissà dove). Errori forse voluti per conferire alla confezione uno status definitivo di “basso prodotto”, che dice più di quanto mostra,
ma anche così troppo calcolati per passare inosservati. Un sospetto di ricostruzione a tavolino che tuttavia non pregiudica un’ora e mezza scarsa di intrattenimento migliore di tante altre viste ultimamente.
Gianluigi Ceccarelli
Film
Tutti i film della stagione
QUANTUM OF SOLACE
(Quantum of Solace)
Gran Bretagna/Stati Uniti, 2008
Acconciature: Zoe Tahir
Coordinatori effetti speciali: Chris Corbould, Lynne Corbould
Supervisori effetti visivi: Angela Barson (MPC), John
Lockwood, Steve Street (Machine), Jon Thum (Framestore),
Alen Wuttke (Double Negative)
Coordinatore effetti visivi: Jon Keene, Danielle Morley
(Framestore), Anna Panton
Supervisore costumi: Lindsay Pugh
Interpreti: Daniel Craig (James Bond), Olga Kurylenko (Camille), Mathieu Amalric (Dominic Greene), Judi Dench (M),
Giancarlo Giannini (René Mathis), Gemma Arterton (agente
Fields), Jeffrey Wright (Felix Leiter), David Harbour (Gregg
Beam), Jesper Christensen (sig. White), Anatole Taubman
(Elvis), Rory Kinnear (Tanner), Joaquin Cosio (Generale Medrano), Jesus Ochoa (tenente Orso), Glenn Foster (Henry
Mitchell), Paul Ritter (Guy Haines), Simon Kassianides (Yusef), Stana Katic (Corinne Veneau), Lucrezia Lante Della Rovere (Gemma), Neil Jackson (sig. Slate), Oona Chaplin (receptionist Perla de las Dunas), Rufus Wright (agente del Tesoro), Tim Pagott-Smith (segretario esteri), Kari Patrice Coley
(commesso Hotel Dessalines), Sarah Hadland (receptionist
Ocean Sky), Jake Seal (barista), Peñarandam Felix (tassista),
Mark Wakeling (agente MI6), Elizabeth Arciniega (ragazza del
sig. White), Daniel da Silva (facchino Andean Grand Hotel),
Emiliano Valdés (receptionist Andean Grand Hotel), Karine
Babajanyan (Floria Tosca), Sebastien Soules (Scarpia), Brandon Jovanovich (Mario Cavaradossi), Martin Busen (Sciarrone)
Durata: 106’
Metri: 2900
Regia: Marc Foster
Produzione: Barbara Broccoli, Michael G. Wilson per MGM/
Columbia Pictures/Danjaq/Eon Productions/United Artists
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 7-11-2008; Milano 7-11-2008)
Soggetto: dai personaggi creati da Ian Fleming
Sceneggiatura: Paul Haggis, Neal Purvis, Robert Wade
Direttore della fotografia: Roberto Schaefer
Montaggio: Richard Pearson, Matt Chesse
Musiche: David Arnold
Scenografia: Tennis Gassner
Costumi: Louise Frogley
Produttori esecutivi: Callum McDougall, Brian Miller, Anthony Waye
Direttore di produzione: Victor Barriga, Mally Chung, Leonhard Gmur, Matt Jones, Angus More Gordon, Anel E. Moreno, Omar Veytia
Casting: Debbie McWilliams
Aiuti regista: Michael Salven, Michael Lerman, Ben Dixon,
Toby Hefferman, Terence Madden, Michael Michael, Jeff Taylor,
Gorge Walzer, Joe Barlow, Tom Browne, Glen Carroll
Operatori: Graham Hall, George Richmond, Robert Binnall,
Frank Buono, Mark Moriarty, Shaun O’Dell, Stefan Stankowski,
David Worley
Operatore steadicam: George Richmond
Supervisore art direction: Chris Lowe
Art directors: James Foster, Mark Harris, Paul Inglis, Marco
Rubeo, Mike Stallion
Arredatore: Anna Pinnock
Trucco: Naomi Donne, Paul Engelen, Chloe Meddings, Clare
Ramsey, Norma Webb
J
ames Bond, il suo capo M e un
paio di colleghi stanno interrogando White, che 007 ha consegnato dopo averlo sottratto ai suoi complici con un inseguimento mozzafiato sui
tornanti della riviera toscana. Il prigioniero però non parla, ammette soltanto
l’esistenza di un’organizzazione segreta
della cui forza nessuno si è ancora reso
conto. Uno degli agenti comincia a sparare, White è ucciso; Bond elimina il traditore dopo scontri a ripetizione tra tetti
e palazzi e dà il via alla sua ennesima missione: risalire fino al capo di questa società criminale che vuole ancora una volta
tenere in scacco il mondo. Si tratta di
Dominic Greene, in trattativa ad Haiti con
il generale Medrano, disposto a concedere al criminale una larga parte del territorio della Bolivia in cambio dell‘appoggio a un colpo di stato nel Paese sudamericano. Sulle tracce di Medrano e
quindi di Greene è anche Camille, resa
un tempo orfana di tutta la famiglia, massacrata dal generale e decisa ora a vendicarsi. Si delinea, intanto, il piano di
Greene, impadronirsi delle risorse idriche di più paesi possibili per mettere
l’umanità in ginocchio, grazie alle lucrose alleanze strette con una serie di uomini d’affari di tutto il mondo. 007 deve
agire, così, su due fronti: riprendere le fila
delle sue conoscenze spionistiche di qua
e di là dell’Atlantico per arrivare alla
verità e sventare il piano del terrore; contemporaneamente evitare che il suo agire
venga solo inteso da M come il modo per
vendicarsi di chi gli uccise Vesper (Casinò Royale), anche se responsabile di tradimento.
Il percorso è quello immaginabile: gli
omicidi, gli inganni, gli agguati, le esplosioni sono le stazioni di posta di un viaggio (Austria, ancora Italia, Sud America)
che porta Bond e Camille in Bolivia per
eliminare Greene, Medrano e dimostrare
ancora una volta a M la propria lealtà.
V
endicare la sua donna morta due
volte in quanto macchiata di tradimento in Casinò Royale e dimostrare a M di non avere mai abbando-
20
nato il servizio segreto di Sua Maestà, di
cui aveva continuato a proteggere gli interessi, pur nell’ambito di un suo personale
cammino è la giustificazione introspettiva
che lo sceneggiatore Paul Haggis offre in
partenza a 007; l’intenzione però non mitiga la violenza, ma anzi la accelera, la rende bestiale, trasforma l’agente in una ossessiva macchina di morte che non risparmia nessuno, nemmeno qualche collega
della sua stessa bandiera che per sbaglio
gli taglia la strada; l’agente che abbiamo
più amato diventa così un assassino impazzito alla Jason Bourne, che affonda la
rabbia e il rancore sotto un mare di colpi
che lo illividiscono e gli lordano di sangue
la faccia, la camicia plissettata, lo smoking.
E quando mai è successo? Come è stato
possibile ridursi così quando perfino sotto
una muta da sub lo smoking di Bond risultava perfetto, gonfio di seduzione, ricco di
promesse.
Ora invece è malfatto, tagliato male
(non certo a Savile Row, forse a Hong
Kong) e ancora peggio indossato. Questo
è James Bond? No, non lo è. Ma non pos-
Film
siamo pretendere di fermare il tempo: il
Bond nato con il cinema quasi cinquant’anni fa’ e basato sui racconti di Fleming scritti
ancor prima non c’è più, non c’è più il piacere per quel tipo di agente col doppio
zero, elegante, ironico, snob, anche se non
privo di durezza e violenza, lontano ormai
delle ere, come la vita di allora, come tutto, come tutti.
Daniel Craig va bene, è perfetto, è lo
007 di oggi, proletario, inelegante, cupo,
cinico, senza scrupoli, indifferente al dolore procurato e ricevuto, nel bere attento
piuttosto alla quantità (tracanna cocktail
uno dopo l’altro come aranciate) e così
come per le donne che, in fin dei conti, non
gli interessano e non perde tempo a sedurre.
Di pari passo è la conduzione parossistica dell’inquadratura e il ritmo dato al
susseguirsi di tagli e raccordi di montaggio che dimostrano una peculiarità uniforme, cioè quella di essere incomprensibili, sempre e comunque; nulla di diverso forse si proponeva il regista Mark Forster se non quello di fare un action movie
come i tanti che vediamo al cinema e in
televisione. Tardivo e ingiustificato, come
una cosa appiccicata apposta in un momento qualsiasi, l’omaggio a Goldfinger
con la ragazza uccisa con la pelle cosparsa di petrolio: dall’oro al petrolio! Forse
neanche gli autori si sono resi conto dell’autogol!
Tutti i film della stagione
Buona la scelta della star francese
Mathiew Amarlic come cattivo di turno:
il suo sguardo tiroideo alla Peter Lorre
conferisce equivocità, doppiezza e quella stralunata crudeltà sufficienti a non
farsi schiacciare dalla velocità dei passaggi e dalle tonnellate di effetti speciali
che occupano lo schermo. Altrettanto
positiva la bond-girl Olga Kurylenko,
portatrice di una naturalezza d’altri tempi, davvero bondiani, fuori dalle bellezze gonfiate e messe su in serie. Non ci
soffermiamo invece sulla partecipazio-
ne di Giancarlo Giannini, manifestamente a disagio e fuori luogo, di cui spesso
ci sembra di scorgere sui suoi occhi un
interrogativo tipo “ma che ci sto facendo io qui?” e glissiamo sul passaggio
volgare e orrorifico della Lante della
Rovere che avvilisce la sua seduttiva
simpatia al servizio non si sa bene di
chi né di che cosa.
Perché continuiamo a chiamare tutto
questo “un’altra avventura di 007”?
Fabrizio Moresco
BE KIND REWIND – GLI ACCHIAPPAFILM
(Be Kind Rewind)
Stati Uniti, 2007
Regia: Michel Gondry
Produzione: Georges Bermann, Julie Fong per Partizan
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 23-5-2008; Milano 23-5-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Michel Gondry
Direttore della fotografia: Ellen Kuras
Montaggio: Jeff Buchanan
Musiche: Jean-Michel Bernard
Scenografia: Dan Leigh
Costumi: Kishu Chand, Rahel Afiley
Produttori esecutivi: Toby Emmerich, Guy Stodel
Produttore associato: Raffi Adlan
Co-produttore: Ann Ruark
Casting: Mellicent Dyane
Aiuti regista: Michael Hausman, David Fischer, Jesse Nye
Art director: James Donahue
Arredatore: Ron von Blomberg
Trucco: Marjorie Durand
Acconciature: Suzy Mazzarese-Allison
Suono: Pawel Wdowczak
Coordinatore effetti speciali: Tim Rossiter
Supervisore effetti visivi: Fabrice Lagayette
Coordinatore effetti visivi: Pierre Escande
Supervisore costumi: Tonya Huskey
Supervisore musiche: Linda Cohen
Interpreti: Jack Black (Jerry), Mos Def (Mike), Danny Glover
(Elroy Fletcher), Mia Farrow (Miss Falewicz), Melonie Diaz
(Alma), Irv Gooch (Wilson), Chandler Parker (Craig), Arjay Smith
(anny), Quinton Aaron (Q), Gio Perez (Randy), Basia Rosas
(Andrea), Tomasz Soltys (Carl), David Slotkoff (Jack), Frank
Heins (Patrick), Heather Lawless (Sherry), Karolina Wydra (Gabrielle Bochenski), Allie Woods jr. (dott. Bent), Kishu Chand (sorella di Alma), Ann Longo, Parrie Hodges (amiche di Miss Falewicz), P. J. Byrne (sig. Baker), John Tormey (capo demolizione), Frank Girardeau (agente Gary), Matt Walsh (agente Julian), Paul Dinello (sig. Rooney), Sigourney Weaver (sig.ra Lawson), McKinley Page, Marcus Carl Franklin, Blake Hightower,
Amir Ali Said, Harvey Hgan, Ted McElwee, Walter Helbig
Durata: 102’
Metri: 2790
21
Film
P
assaic, New Jersey. L’anziano
Mr. Fletcher ha una videoteca
nello stabile dove, a suo dire, un
centinaio di anni prima viveva il grande
Fats Waller, autentica leggenda del jazz ed
eroe locale. La cosa affascina da sempre
il giovane Mike, che lavora nel negozio;
molto meno gli amministratori cittadini, i
quali vorrebbero demolire l’edificio perché non rispetta le norme di sicurezza: al
suo posto verrà innalzata una struttura più
moderna, mentre al povero Fletcher verrà
assegnata una casa popolare.
Per cercare di prevenire il disastro e
raccogliere il denaro necessario a fare i
lavori per rendere la struttura conforme
alla legge, Fletcher si allontana per un
periodo e va a spiare le strategie commerciali di una grande catena di noleggio
home video, lasciando le sorti del negozio
a Mike. Prima di partire l’uomo si premura anche di avvisare il ragazzo affinché non
faccia entrare nella videoteca il suo amico
Jerry, un tipo un po’ svitato che vive in un
deposito di rottami e che ha l’innata capacità di distruggere tutto quello che gli capita a tiro. In effetti, Jerry ha la tendenza
a imbarcarsi in imprese folli; ad esempio,
adesso si è messo in testa di dover sabotare la centrale elettrica per salvare il quartiere dall’inquinamento magnetico, ma, nel
portare a compimento il suo piano, riceve
una scarica di grande intensità che lo rende un’autentica calamita vivente!
Tornato alla videoteca di Mike, Jerry,
ancora stordito per l’accaduto, smagnetizza con la sua sola presenza tutte le videocassette, cancellando quindi i film registrati: una volta resosi conto di quanto è successo, Mike è disperato, anche perché Miss
Falewicz vuole a tutti i costi noleggiare il
film Ghostbusters e, non vedendo esaudita
la sua richiesta, potrebbe informare Mr.
Fletcher, dal quale ha avuto il compito di
sorvegliare la videoteca. Così, in preda al
panico, Mike ha un’idea folle: armatosi di
videocamera e coinvolgendo anche Jerry,
gira una versione “amatoriale” di Ghostbusters sulla cassetta cancellata e poi la
consegna alla donna. L’impresa viene raddoppiata quando un altro cliente arriva a
chiedere una copia di Rush Hour 2.
Apparentemente Mike sta solo prendendo tempo e il bizzarro trucco non dovrebbe tardare a essere scoperto, ma inaspettatamente queste copie amatoriali (ben
presto ribattezzate dai due “versioni maroccate”) ottengono un successo enorme
che procura alla videoteca una lunga lista
di nuovi tesserati e costringe, al contempo, Mike, Jerry e Alma (una ragazza che i
due hanno coinvolto nelle riprese dei film)
Tutti i film della stagione
a ri-girare altre celebri pellicole. Arriva
così il turno di RoboCop, Il Re Leone,
2001: Odissea nello spazio e tanti altri
capolavori.
Il business si dimostra ben presto fiorente, ma l’arrivo di Mr. Fletcher sembra
smorzare ogni entusiasmo: l’uomo infatti
intende piegarsi alle logiche del mercato e
rimpiazzare tutto il suo catalogo con copie in DVD. Inoltre i film “maroccati”, per
quanto abbiano successo, non riusciranno ad assicurare il denaro utile a realizzare le riparazioni dell’edificio nel poco tempo concesso dalle autorità. Ma Mike, Jerry e Alma non si perdono d’animo e decidono di coinvolgere la gente del quartiere
per realizzare ancora più film, in modo da
guadagnare la cifra necessaria. Il piano si
rivela un autentico successo e tutto sembra volgere al meglio, fino a quando un
avvocato degli studios di Hollywood non
arriva a presentare una salatissima multa
per i due registi, accusati di plagio e violazione dei diritti d’autore. Come se non
bastasse, anche tutto il catalogo dei film
“maroccati” viene distrutto.
È la fine di un sogno. Jerry però non si
arrende e convince Mike a girare un film
originale, sulla vita di Fats Waller. Il proposito non si ferma di fronte alla confessione di mr. Fletcher che in realtà il grande jazzista non è affatto vissuto in quel
palazzo: il film infatti si farà carico di raccontare la versione da sempre divulgata
dall’uomo e coinvolgerà tutto il quartiere,
che poi, partecipando alla proiezione finale, riuscirà a mettere insieme il denaro
necessario. I lavori si svolgono in un clima di grande entusiasmo, ma, alla fine, il
denaro raccolto non è sufficiente. Resta
soltanto il tempo per godere della proiezione del film, come atto finale di questa
bella avventura. L’amore riversato da tutti gli abitanti del quartiere nel progetto,
però, compie il miracolo: attratti dalle
immagini, tutti gli abitanti della città si riuniscono fuori dal negozio, ivi comprese le
autorità finora ostili. E perciò la videoteca non verrà abbattuta.
A
rrivato al quarto lungometraggio,
Michel Gondry dimostra di essere uno dei nomi più importanti
della scena cinematografica contemporanea, capace di pensare a un cinema materico e in grado di recuperare gli elementi
utili a rinnovarne la forza aggregante e
meravigliosa: l’idea stessa alla base di un
film come Be Kind Rewind è in fondo proprio quella di “strappare” il cinema alle logiche del commercio e dell’industria per
farne materia da omaggiare e da restituire
22
alla gente, quella che ne decreta il successo e che dà forma alla passione. In
questo senso, è già evidente come il divertimento di Gondry vada di pari passo
con la sua umiltà, quella di chi è capace di
unire al gusto per l’originalità anche una
immediatezza e una riconoscibilità che
rende l’opera transitiva nei confronti degli
spettatori.
Non è in fondo Gondry ad aver inventato il “re-enactment”, ovvero il rifacimento amatoriale di film (o parti di film) celebri, molto praticato anzi nell’era di YouTube, ma è lui a ricontestualizzarlo nell’ottica più giusta, che è quella dell’omaggio al
passato e al piacere della realizzazione
fisica, artigianale, illusionistica dell’immagine in movimento. Si respira per questo
aria da pre-cinema, o da pioniere, come
un George Meliès che si reincarni ai nostri giorni per perpetrare i suoi spettacoli,
dove il piacere dell’illusione va di pari passo con il gusto per l’invenzione più o meno
spettacolare, in grado di costituire veicolo
per il divertimento dello spettatore.
In questo senso Be Kind Rewind è un
film che, al di là di ogni possibile lettura
teorica, è semplicemente divertente: lo
spettatore ride e si sente partecipe di un
processo creativo basato sul rifacimento
di opere che conosce, ma, allo stesso tempo, resta affascinato da una fiducia nella
settima arte come potere in grado di muovere il mondo, reinventare le storie e, alla
bisogna, anche riscrivere il passato, non
come forma revisionista, ma come potere
ludico che afferma la proprietà comune di
ogni racconto.
La ricostruzione del mondo secondo
Gondry passa, quindi, per una scomposizione e ricomposizione degli elementi che
costituiscono la memoria e la realtà: gli
oggetti del quotidiano fanno assumere al
cinema la sua forma e, dalla distruzione,
può nascere un qualcosa di nuovo se a
guidare la mano c’è la voglia e l’interesse.
La passione è in fondo quella che realmente fa la differenza tra l’asettica realtà della
catena di videonoleggi e il calore del negozio di Mr. Fletcher, che potremmo inserire in un ipotetico percorso fra i luoghi che
respirano dell’umanità di chi li gestisce e
custodisce, insieme allo store di Clerks e
al negozio di dischi di Alta fedeltà.
La nostalgia, in questo senso, diventa
non un restare ancorati al passato, ma una
virtuosa forma di riscoperta delle qualità
precipue dell’arte, tanto da sfociare nell’utopia, con un finale che chiede la piena
partecipazione dello spettatore.
Davide Di Giorgio
Film
Tutti i film della stagione
INVINCIBILE
(Invincibile)
Gran Bretagna/Germania/Irlanda/Stati Uniti, 2001
Regia: Werner Herzog
Produzione: Werner Herzog, Gary Bart per Werner Herzog
Filmproduktion/Tatfilm/Film Four/Fine Line Features. In associazione con Little Bird/Jan Bart Productions. In coproduzione
con WDR/BR/Arte. Con il supporto di Filmstiftung NordrheinWestfalen/Filmforderungsanstaly/BKM
Distribuzione: Ripley’s Film
Prima: (Roma 25-7-2008; Milano 25-7-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Werner Herzog
Direttore della fotografia: Peter Zeitlinger
Montaggio: Joe Bini
Musiche: Klaus Badelt, Hans Zimmer
Scenografia: Ulrich Bergfelder
Costumi: Jany Temime
Produttori esecutivi: James Mitchell, Christine Ruppert, Simone Stewens, Lucki Stipetic, Paul Webster, Michael André
Co-produttore: Robertas Urbonas
Direttori di produzione: Markus Brinkmann, Mark Popp, Walter Saxer, Ramona Mohren
Casting: Tanja Schwichtenberg
Aiuti regista: Herbert Golder, Rudolph Herzog
Operatore steadicam: Roman Zednicek
Art director: Markus Wollersheim
G
iovane e possente, il fabbro ebreo
Zishe Breitbart è costretto un
giorno a sfoderare la sua notevole forza per difendere l’amato fratello
minore. Chiamato poi a cimentarsi con un
lottatore da circo nel suo villaggio in Polonia, si fa notare da un impresario proveniente da Berlino, che gli offre una carriera nella grande città come attrattiva senza
pari. La famiglia, nonostante le reticenze,
lo lascia libero di partire e arrivare al cospetto del famoso occultista Erik Jan Hanussen, direttore di una casa d’intrattenimento, principalmente rinomata per un
numero di chiaroveggenza da lui stesso
eseguito. Zishe viene scritturato come l’imbattibile Siegfried l’Ariano, ma infine si
rifiuta di continuare a interpretare quel
ruolo, vista la sua origine, e lo dichiara di
fronte alla sala gremita. Nonostante l’ira
di Hanussen, che non vuole scontentare la
sua clientela nazista, la dichiarazione del
giovane ha un effetto contrario e accresce
l’affluenza di pubblico. Il suo rapporto con
il principale è comunque destinato a deteriorasi e l’astio tra i due raggiunge il culmine quando Zishe, durante una festa in
barca organizzata da Hanussen, difende la
compagna di quest’ultimo, della quale si è
nel frattempo innamorato e con cui è già
nata una relazione. Portati di fronte alla
giustizia, Hanussen viene prima smascherato in merito alle sue supposte doti di veg-
Arredatore: Karl-Heinz Hahnel
Trucco: Katharina Gütter
Acconciature: Bruny Ruland
Supervisori effetti speciali: Mike Kelt (Artem Ltd.), Alan
Marques
Interpreti: Tim Roth (Hersche Steinschneider/Erik Jan Hanussen), Jouko Ahola (Zishe Breitbart), Anna Gourari (Marta Farra), Max Raabe (Maestro di Celrimonie), Gustav-Peter Wöhler
(Alfred Landwehr), Udo Kier (conte Helldorf), Herbert Golden
(Rabbi Edelmann), Gary Bart (Yitzak Breitbart), Renate Krößner (madre Breithbart), Ben-Tzion Hershberg (Gershon), Rebecca Wein (Rebecca), Raphael Wein (Raphael), Daniel Wein
(Daniel), Chana Wein (Chana), Klaus Stiglmeier (direttore circo), James Reeves (Colosso di Rodi), Ulrich Bergfelder (uomo
di Carter), Guntis Pilsums (locandiere), Torsten Hammann (capobanda), Jurgis Karsons (attaccabrighe), Jakov Rafalson
(uomo che ride), Ieva Aleksandrova (Delilah), Rudolph Herzog
(mago), Les Bubb (Rothschild), Tina Bordihn (Hedda Christiansen), Silvia Vas (sig.ra Holm), Hans-Jugen Schmiebusch (sig.
Peters), Alexander Duda (Heinrich Himmler), Klaus Händl (Joseph Goebbels), André Hennicke (detective)
Durata: 128’
Metri: 3450
gente e poi accusato di tradimento, avendo celato dietro un nome tedesco le sue
origini ebree. Prima che la sua condanna
venga eseguita, il truffatore ha modo di
chiarirsi con Zishe, confidandogli il suo
rispetto. Al giovane non resta che ripartire per il suo villaggio e avvisare i suoi compatrioti dell’imminente minaccia nazista,
ma solo uno sparuto gruppo sembra prendere sul serio le sue parole.
C
ircondato da un alone di “americanità” senz’altro conferitogli dalla partecipazione degli Stati Uniti alla coproduzione, dalla presenza della
star Tim Roth e da sparute collaborazioni
di respiro internazionale (la coppia musicale Hans Zimmer/Klaus Badelt), Invincibile si dimostra un Herzog a tutto tondo.
La distribuzione italiana enormemente
posticipata rispetto all’uscita originale e
alla presentazione veneziana del 2001
potrebbe trarre in inganno sulla coerenza
formale dell’opera nel contesto poetico
dell’autore di Monaco, venendo a cozzare
anacronisticamente con la diluizione narrativa e la libertà estetica dei successivi
L’ignoto spazio profondo e Grizzly Man,
forse molto più “d’oltreoceano” rispetto a
questa parabola nuovamente antropocentrica sulle forze del destino umano e la consequenziale, beffarda svolta del fato sugli
sforzi terreni. Tipicamente radicato sulle
23
basi etiche fondanti il discorso cinematografico del regista, senza però alcuna preclusione all’ironia velata di elegante sarcasmo, il film si dà in un impianto decisamente rispettoso della leggenda pre-nazista portata sullo schermo, forgiato in un
racconto eminentemente antiretorico, alla
cui resa partecipa la risaputa lucidità storica e di messa in scena del cineasta, unita a un andamento rappresentativo declinato alla scansione di montaggio essenziale – a tratti finanche insistita e ieratica –
che guarda complessivamente al modello
drammaturgico di illustri precedenti come
L’enigma di Kaspar Hauser e Woyzeck. Se,
da un lato, in particolare nella sua affinità
formale al Kaspar, la vocazione allegorica
e fatalistica del testo si compie in una tale
elaborazione sintattica, la matrice sognante e astratta, che trova nuovamente ragion
d’essere nell’affezione del regista per la
pratica ipnotica, non guadagna interessanti
ribalte, raffreddandosi a pochi passi dall’iniziale evocazione di una traccia narrativa raramente risolta con il vigore e la capacità di spiritismo inanellati in passato.
Pur evidenziati i limiti di campo della tematica rispetto alla ben più pregante ingerenza realizzativa in Cuore di vetro (qui l’ipnosi è argomento di sceneggiatura, lì metodologia recitativa), al lungometraggio
sembrano mancare i lampi di possessione e deriva mistica del cinema herzoghia-
Film
no migliore. Elementi che certo il ‘nemico
più caro’ dell’autore, Kinski, avrebbe probabilmente servito all’occultista Hanussen
con la sola presenza fisica, fermo restando l’incompletezza (e, in ultima battuta,
l’approssimazione) di scrittura del personaggio, a cui nemmeno la connaturale
ambiguità fisionomica di Roth riesce a
porre rimedio. Restano, in concordanza
naturale con l’universo herzoghiano, l’accenno alla palingenesi risolutrice, la tensione ciclica (che ben si concretizza nel
Tutti i film della stagione
meccanismo presagente delle dicotomie
impossibili: Sigfrid l’Ariano/ebreo polacco e
Hanussen filo-nazista/ebreo sotto mentite
spoglie), l’importanza dell’elemento acquatico, con risonanze filosofiche quasi tarkovskiane, il senso del tempo che si approssima alla duplicazione dell’accezione semio-cinematografica di Deleuze (esplicitato in una delle pagine di sceneggiatura più
intense attraverso il monologo di Hanussen
sull’ascesa di Hitler) e il rimando simbolico,
accresciuto da una visualizzazione onirica
che termina con il sogno tipico dall’interpretazione più vaga per la prima scuola freudiana, il volo dell’uomo. Forse perché lo
stesso Zishe, per quanto profetico e volenteroso, non potendo immaginare l’inumana violenza della stagione nazista a venire,
o non potendola anche solo tollerare in previsione, si abbandona a una fantasia di libertà completamente effimera. Ipnotizzato da se stesso.
Giuliano Tomassacci
TADPOLE-UN GIOVANE SEDUTTORE A NEW YORK
(Tadpole)
Stati Uniti, 2002
Art director: Sara Parks
Trucco: Marilyn Carbone
Acconciature: Anthony Veader
Effetti visivi: Luke Di Tommaso
Supervisore musiche: Linda Cohen
Interpreti: Aaron Stanford (Oscar Grubman), Kate Mara (Miranda Spear), Robert Iler (Charlie), Peter Appel (Jimmy),
Bebe Neuwirth (Diane Lodder), Ron Rifkin (Professor Tisch), Alicia Van Couvering (Daphne Tisch), John Ritter
(Stanley Grubman), Sigourney Weaver (Eve Grubman), Paul
Butler (professor Sherman), Michael Connors (l’uomo nel
bar), Theo Kogan (la donna del bar), Adam LeFevre (Phil),
Hope Chernov (Samantha Steadman), Debbon Ayer (Jean),
Harry Kellerman (cameriere), Reade Kelly (sig. Smith),
Danielle Di Vecchio (sig.ra Smith), John Feltch (Sig. Bob
Spear), Henry Haile (cameriere Le Gardin), Lee Brock (madre di Charlie)
Durata: 78’
Metri: 2200
Regia: Gary Winick
Produzione: Alexis Alexanian, Dolly Hall, Gary Winick per Miramax Films/InDigEnt/IFC Productions. In associazione con
Dolly Hall Productions
Distribuzione: Mikado
Prima: (Roma 17-1-2003; Milano 17-1-2003)
Soggetto: Heather McGowan, Niels Mueller, Gary Winick
Sceneggiatura: Heather McGowan, Niels Mueller
Direttore della fotografia: Hubert Taczanowski
Montaggio: Susan Littenberg
Musiche: Renaud Pion
Scenografia: Anthony Gasparro
Costumi: Suzanne Schwarzer
Produttori esecutivi: Caroline Kaplan, Jonathan Sehring,
John Sloss
Produttore associato: Jake Abraham
Direttori di produzione: Seth Burch
Casting: Marcia DeBonis, Jennifer Euston, Ellen Lewis
Aiuti regista: Michael Johnson, Elaine Kavanagh, John Kaufmann
I
l quindicenne Oscar Grubman torna a New York, dal padre, per il
giorno del ringraziamento. Giovane dal temperamento romantico, Oscar
legge Voltaire e disdegna le ragazze della sua
età, troppo superficiali per i suoi gusti. Come
confida al suo amico Charlie, Oscar è alla
ricerca del vero amore, che crede di trovare
solo nelle donne più grandi di lui. Oscar, infatti, è segretamente innamorato di sua matrigna Eve, la seconda moglie di suo padre
Stanley, la quale, ignara della vera natura
dei sentimenti del figliastro, interpreta le sue
attenzioni per lei per amore filiale. Il rapporto tra Eve e Stanley non si può dire dei
più passionali, Stanley è sempre concentrato sul suo lavoro, un libro di argomento storico, Eve si consola dedicandosi alle sue ricerche di cardiologia. Così Oscar nel suo
delirio romantico crede di poter dare ad Eve
tutto l’amore che suo padre non riesce a darle. Dopo la cena per il ringraziamento, Oscar
è spinto da suo padre ad accompagnare a
casa la figlia di un amico di famiglia, sua
coetanea. Appena in strada, però, Oscar met-
te la ragazza su un taxi e passeggia da solo
per le vie dell’Upper East Side di New York,
meditando sul suo amore per Eve; si ritrova
in un bar. Diane, la migliore amica di Eve, lo
incontra per strada, ubriaco e lo invita a salire da lei per offrirgli un caffè. Eccitato dall’alcool e dal profumo di una sciarpa di Eve,
che Diane ha ricevuto in prestito, Oscar, pensando a Eve finisce a letto con Diane. Il mattino dopo, Oscar conosce il compagno di
Diane, il quale le chiede se Diane le è piaciuta, ma non si tratta di una coppia aperta,
Diane è una massaggiatrice e Oscar pensa
che il ragazzo sia un cliente della donna.
Prima di tornarsene a casa, Oscar si fa promettere da Diane che non racconterà a nessuno di quel che è successo, tantomeno ad
Eve. I due si danno appuntamento per l’ora
di pranzo. Oscar fa credere al padre di aver
passato la notte con la giovane ragazza con
cui era uscito di casa, mentre Diane racconta alle sue amiche della notte di sesso col
giovane Oscar, così, quando la raggiunge per
l’appuntamento, il giovane si ritrova corteggiato dalle amiche di Diane e può fare sfog24
gio della sua sensibilità e della sua cultura,
parlando anche in francese.
Quella sera, Diane invita Stanley, Eve
a lui a cena, Oscar cerca di sottrarsi all’invito, ma è obbligato da suo padre. Temendo che Diane racconti a Eve cosa è
successo tra loro, Oscar si comporta nervosamente. A complicare le cose ci si mette Diane, la quale, offesa di timori del ragazzo, lo provoca sfacciatamente, davanti
a Stanley ed Eve finché Diane annuncia
che lei e Oscar sono diventati amanti. Eve
è negativamente colpita dall’accaduto e
biasima di più la sua amica che l’inesperienza del suo figliastro. Il giorno dopo,
approfittando di essere rimasto solo in casa
con lei, Oscar racconta a Eve come sono
andate le cose con Diane e le fa capire di
essere innamorato di lei. Poi, in cucina, i
due si danno un bacio, ma niente di più.
Quando Oscar deve ripartite, Eve e Stanley lo accompagnano alla stazione. Prima
di accomiatarsi, Eve dice a Oscar che lei è
innamorata di suo padre. In treno, col suo
amico Charlie, Oscar si lascia corteggia-
Film
re dalla stessa compagna di scuola che
aveva respinto nel viaggio di andata
D
i film che parlano di una storia
d’amore dove lui è giovanissimo
e lei una signora, se non matura,
non altrettanto giovane, il cinema è sempre
stato parco. Ricordiamo un mediometraggio,
Lover Boy (Australia, 1988) di Geofrey Wright, presentato al festival di Venezia del 1989,
il lungometraggio francese Le bar des rails
(Francia, 1991) di Cèdric Khan, oppure, il
più recente Sposami Kate (Germania/Gran
Bretagna/Usa, 2001) di John McKay, distribuito nel circuito commerciale. Quel che accomuna questi film è il tono drammatico della storia, che si conclude (quasi) sempre con
la morte del giovane innamorato. Un modo
sbrigativo, ma efficace, col quale l’industria
cinematografica affronta temi scabrosi, fingendo prima di mostrare come la felicità (e
una normalità) siano possibili anche per queste coppie, per cancellare loro, subito dopo,
ogni diritto a esistere con la morte improvvisa e cruenta del giovane innamorato, come
se la Natura in persona decidesse di rimettere ordine nelle umane vicende.
Non è il caso di Tadople, che racconta di
un amore adolescenziale (anche se l’attore
che interpreta Oscar ha 23 anni...) con i toni
leggeri della commedia. Ma è troppo presto
per riconoscere onore al merito al regista
Gary Winick e agli sceneggiatori del film.
Tadpole, infatti, non si discosta affatto dalla
parabola discendente dei suoi predecessori, con l’unica differenza che questa volta il
Tutti i film della stagione
protagonista maschile non muore, ma, più
semplicemente, si ravvede, e, dopo un’esperienza sessuale, non con la donna che
“ama”, ma con l’amica di questa (guai a confonder sesso con amore!), torna più opportunamente a interessarsi alle sue coetanee.
Una conclusione che non poteva essere più banale. Non si tratta solamente di
un’impostura moralisicheggiante, lascia
perplessi la fine repentina e ingiustificata
dell’amore che Oscar prova per Eve, al quale è sufficiente dichiarare il suo sentimento
per lei, per passare subito dopo a qualcos’altro (con una superficialità tipica del
teeen-ager medio, che però non parla francese o cita Voltaire e l’esistenzialismo...).
Dà fastidio come viene ritratto il personaggio di Diane, una donna strabordante, fuori
ruolo, che se ne “approfitta” del giovane
quindicenne per il suo tornaconto (ovviamente sessuale), che la accomuna a molte
delle sue amiche, che non vedono l’ora di
“provare” Oscar, attratte dal giovane che,
oltre alle prestazioni sessuali, garantisce
loro anche ottime conversazioni “colte”.
È evidente che le donne ritratte in Tadpole siano più affini a certo sentire maschile che a quello pensano le donne nella realtà... Così quelle convenzioni borghesi (Oscar è figlio di un professore universitario) che il film sembra voglia, timidamente, mettere in discussione, vengono surrettiziamente riconfermate, lasciando però
allo spettatore la convinzione di aver visto
qualcosa di diverso.
Ma forse stiamo dando troppa importan-
za alla trama di un film (che dura “appena”
78 minuti) che ,prima ancora di essere fragile, è inconsistente e superficiale. Nessuna
delle situazioni affrontate viene minimamente approfondita, persino i film per la tv impiegano strategie e ritmi narrativi più corposi.
La pochezza di questa produzione indipendente (della InDigEnt production, specializzata in film a basso costo) non è solo nelle
idee ma anche nella realizzazione: Tadpole,
girato in digitale (non per qualche motivo
estetico o poetico, come vuol far credere il
pressbook del film, ma, più semplicemente,
perché costa molto meno), presenta una fotografia sbiadita, con i colori “metallici” come
quelli, mutatis mutandis, di una stampa tratta da una diapositiva, che tradiscono il riversamento da digitale in pellicola, con un effetto di opacità in tutte le scene, che fa rimpiangere l’era della celluloide e maledire per
sempre quella informatica.
Però, nonostante i suoi limiti, Tadpole
è un tentativo, non importa quanto poco
riuscito, di sottrarsi alle regole hollywoodiane, e di impiegare degli attori del calibro di Sigourney Weaver e Bebe Neuwirth, in dei ruoli, almeno sulla carta, interessanti. Quel dommage!, verrebbe da dire
con Oscar, anche perché, lo scarso successo di Tadpole in sala contribuirà, temiamo, a diminuire il numero di pellicole offHollywood coraggiosamente distribuite nel
nostro paese da un sempre più esiguo
numero di case di distribuzione.
Alessandro Paesano
THE AIR I BREATHE
(The Air I Breathe)
Messico/Stati Uniti, 2007
Acconciature: Lourdes Delgado
Supervisori effetti visivi: Mat Beck, Marty Taylor (EntityFX),
Kent Johnson, Jaison Stritch
Coordinatori effetti visivi: Rizza Go (EntityFX), J. David
Everhar
Supervisore costumi: Monica Neumaier
Supervisore musiche: Julianne Jordan
Interpreti: Kevin Bacon (Amore), Julie Delpy (Gina), Brendan
Fraser (Piacere), Andy Garcia (Fingers), Sarah Michelle Gellar
(Pena), Clark Gregg (Henry), Emile Hirsch (Tony), Forest Whitaker (Felicità), Kelly Hu (Jiyoung), Evan Parke (Danny), Taylor
Nichols (Padre di Pena), Victor Rivers (Eddie), Cecilia Suarez
(Allison), Todd Stashwick (Frank), Jon Bernthal (intervistatore),
William Maier (Signor Parks), Eduardo Victoria, Salvador Garcia, John Cho (banchieri), Jason Dolley (Piacere giovane), Sasha
Pieterse (Pena giovane), Alex Terminel (Markie), Fervio Castillo (Amore giovane), Kari Wuhrer (corrispondente), Josh Flaum
(assistente di Gina), Norma Angelica (donna negozio abbigliamento), Lenny Zundel (proprietario negozio abbigliamento), Jake
Koenig (uomo anziano squallido), Tomas Goros, Joan Seudra
Morales, Alejandro de la Peña (gangsters)
Durata: 95’
Metri: 2480
Regia: Jieho Lee
Produzione: Darlene Caamano, Emilio Diez Barroso, Paul Schiff
per NALA Films/Paul Schiff Productions
Distribuzione: CDI
Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Jieho Lee, Bob DeRosa
Direttore della fotografia: Walt Lloyd
Montaggio: Robert Hoffman
Musiche: Marcelo Zarvos
Scenografia: Bernardo Trujillo
Costumi: Michele Michel
Produttori esecutivi: Tai Duncan, Bill Johnson, Christopher
S. Pratt, Jim Seibel
Produttori associati: Paul F. Bernard, Vance Owen
Co-produttore: Jose Ludlow
Direttori di produzione: Mariano Carranco, Ernesto Garrabito
Casting: Carla Hool, Mary Vernieu
Aiuti regista: Paul F. Bernard, Joaquin Silva, Marina Filippelli,
Hiromi Kamata
Operatore steadicam: Gerardo Manjarrez
Art director: Rafael Mandujano
Trucco: David DeLeon, Eduardo Gomez
25
Film
F
elicità: un consulente finanziario,
insoddisfatto della sua vita e
stanco della routine quotidiana,
perde tutti i suoi risparmi scommettendo
su una corsa di cavalli truccata. Dita, boss
mafioso, proprietario anche della sala
scommesse, lo minaccia pesantemente affermando che gli taglierà le dita se non gli
darà tutto il denaro dovuto. Felicità tenta
la fuga, ma viene bloccato da un sicario di
Dita, che, a sorpresa, gli dona una pistola
e lo lascia andare. Rapina una banca ma
viene rintracciato dalla polizia, anche grazie a una macchina che lo investe e ne rallenta la fuga. Rifugiatosi su un tetto, lancia la borsa coi soldi dal palazzo. Viene
ucciso. Finalmente sorride. È felice.
Piacere: il sicario di Dita ha poteri
premonitori. Questo gli consente di essere
il fidato braccio destro del boss. Dita gli
affida il giovane nipote, in visita per qualche giorno e gli confida che ha intenzione
di diventare il manager di Trista, giovane
promessa pop, della quale il sicario non
riesce a vedere il futuro. Uscito di ronda
assieme al ragazzo, il sicario vede che il
giovane morirà inseguito da alcuni uomini. Tenta di impedirlo, ma il futuro sta per
compiersi, quando, a sorpresa, il giovane
riesce a fuggire andando contro alla visione di Piacere, che viene catturato e picchiato a sangue. Ora prova una nuova sensazione; piacere nel sapere che il futuro è
incerto.
Dolore: Trista,è in tv per un’intervista,
dove fra l’altro dice di avere un rarissimo
gruppo sanguigno. In seguito, scopre che
il suo agente l’ha venduta per sanare i debiti di gioco al boss Dita, il quale la pone
subito sotto minaccia: dovrà fargli fare
tanti soldi, pena la distruzione. Trista sconvolta si ubriaca, ricordando così la tragica morte del padre a seguito di un incidente. Il sicario decide di aiutarla a fuggire da Dita; la nasconde a casa propria. I
due si innamorano. Tutto sembra andare
bene, ma per un errore di Trista, Dita scopre la verità. Irrompe in casa e uccide Piacere davanti agli occhi di Trista, la quale
gli sussurra all’orecchio il suo vero nome.
Amore: un medico è da sempre innamorato di Gina, ora sposa del suo più caro
amico Harris. Gina è una ricercatrice biologica che sta lavorando sul veleno di alcuni serpenti da cui ricavare importanti
cure. Viene accidentalmente morsa. Le occorre una trasfusione di sangue, poiché in
ospedale non hanno l’antidoto giusto. Gina
però ha un rarissimo gruppo sanguigno,
che il medico scopre avere anche Trista.
Deciso a salvare il suo amore corre dalla
cantante prima di un concerto; i due hanno uno scontro in quanto la cantante stava
Tutti i film della stagione
tentando nuovamente la fuga. Trista finisce in ospedale dove scopre d’essere incinta; Dita le ordina di abortire. La ragazza
tenta il suicidio, ma viene fermata in tempo da Amore. Gina viene così salvata; il
medico aiuta Trista, ancora incinta, nell’ennesimo tentativo di fuga, dandogli la
sua macchina. Distratta, la ragazza investe Felicità che sta scappando dalla polizia. I soldi lanciati dall’uomo dal tetto cadono sopra la macchina della cantante.
Trista è all’aeroporto; quei soldi l’aiutano nella fuga, finalmente riuscita.
I
l gioco della vita, i suoi scherzi, le
sue analogie, le sue coincidenze.
Il neoregista Jieho Lee ci mostra
sei personaggi in quattro episodi che rappresentano un vecchio detto asiatico, in cui
si racconta la vita attraverso quattro emozioni: Felicità, Piacere, Dolore e Amore. I
loro destini sono legati indissolubilmente
l’uno all’altro, incastrandosi alla perfezione.
La macro struttura dei quattro episodi
racchiude al loro interno un’altra microstruttura, in cui tutti i personaggi, tranne Dolore,
raccontano in prima persona la loro storia,
partendo sempre dalla loro infanzia. Man
mano che passiamo al racconto successivo, cambia la durata, facendo si che ogni
episodio duri più a lungo del precedente.
Particolarità degli episodi è che le leggende che girano attorno al nome Dita del
boss cambiano nel corso degli episodi: le
schiocca, le agita mentre parla, le taglia a
chi vuole fregarlo. Così, anche i nomi dei
personaggi principali interpreti dei quattro
episodi, non vengono mai rivelati, incarnando il sentimento stesso che essi rappresentano col loro racconto. Anche qui a
fare eccezione è Dolore, la quale porta il
nome d’arte Trista durante il corso del film;
nonché l’unica a rivelare il suo vero nome;
ossia a Piacere prima di morire.
Come aumenta il tempo dei racconti,
così aumentano le emozioni raccontate e,
di conseguenza, ne scaturisce maggiore
coinvolgimento emotivo da parte di chi
guarda.
Gli attori ci regalano tutti una bella interpretazione: da Forest Whitaker (Premio
Oscar per L’ultimo re di Scozia) a Kevin
Bacon (Footloose; Mystic River), Sarah
Michelle Gellar (la Buffy della tv) e Brendan Fraser (la saga dil La mummia) fino al
grande Andy Garcia.
Buon ritmo e bella fotografia. Un film
dignitoso ma che è privo di un qualcosa in
più, che possa fargli fare un salto di qualità,
che sarebbe stato sicuramente meritato.
Elena Mandolini
WALL-E
(Wall-E)
Stati Uniti, 2008
Regia: Andrew Stanton
Produzione: Jim Morris per Pixar Animation Studios/Walt Disney Pictures
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008)
Soggetto: Andrew Stanton, Pete Docter
Sceneggiatura: Andrew Stanton, Jim Reardon
Montaggio: Stephen Schaffer
Musiche: Thomas Newman
Scenografia: Ralph Eggleston
Produttore esecutivo: John Lasseter
Produttore associato: Thomas Porter
Co-produttore: Lindsey Collins
Direttori di produzione: Joshua Hollander, Andrea Warren
Casting: Natalie Lyon, Kevin Reher
Trucco: Gretchen Davis
Supervisori animazione: Alan Barillaro, Steven Clay Hunter
Responsabile animazione: Angus MacLane
Coordinatore animazione: David Park
Ingegnere suono: Ben Burtt
Suono digitale: Chris Barron
Storyboard: James S. Baker, Brian Fee, Angus MacLane, Kevin O’Brien, Justin Wright
Voci: Ben Burtt (WALL-E/M-O), Elissa Knight (EVE), Jeff Garlin (Il Capitano), Fred
Willard (Shelby Forthright-Bnl CEO), MacInTalk (Auto), John Ratzenberger (John),
Kathy Najimy (Mary), Sigourney Weaver (Computer di Ship), Kim Kopf
Durata: 98’
Metri: 2670
26
Film
F
uturo prossimo. La Terra è un
cumulo di immondizie. Nessun
essere vivente organico è più in
grado di viverci. È rimasto solo un piccolo
robot, denominato Wall-E, costruito molti
secoli prima per compattare e accatastare
ogni forma di rifiuto. Ligio alle proprie
direttive, Wall-E continua imperterrito a
far pulizia e a costruire altissimi grattacieli di scorie. Ha inoltre imparato a mettere da parte i pezzi di ricambio per mantenersi sempre efficiente e a collezionare
oggetti strani trovati in giro. Il tutto è conservato in un deposito che funge anche da
rifugio durante le numerose tempeste. Suo
unico compagno è uno scarafaggio. Durante una normale giornata di lavoro, WallE raccoglie un oggetto mai visto prima:
una pianta.
Sempre durante la raccolta di rifiuti
viene attratto da una luce rossa, che continua a sfuggirgli. Si tratta del puntatore di
una astronave che sta atterrando. Dal mezzo fuoriesce un robot ultramoderno a forma di uovo. L’astronave riparte subito.
Ripresosi dallo chock, Wall-E segue i movimenti del nuovo arrivato, che registra coi
propri sensori ogni dettaglio della Terra.
Wall-E tenta in tutti i modi di avvicinarsi
al robot, anche se deve guardarsi dalle sue
potenti armi. Gli viene in aiuto la solita
tempesta, che coglie alla sprovvista la sofisticata macchina. Wall-E accompagna
Eve (questo il nome del robot, anzi della
robot) nel suo rifugio e gli mostra la sua
strana collezione di oggetti, compresa una
videocassetta di un musical hollywoodiano di cui il robot è estasiato.
Le due macchine convivono fino a
quando Wall-E non decide di mostrare a
Eve la sua pianta. Improvvisamente il robot si apre e ingloba il vegetale. Poi si richiude e non dà più segni di vita. Wall-E è
disperato, tenta in tutti i modi di rianimare la nuova compagna, senza risultati. Di
lì a poco torna l’astronave a riprendersela. Wall-E non ne vuole sapere di lasciarla
andare e si ancora alla parte esterna del
velivolo.
L’astronave fa rotta verso una stazione spaziale gigantesca, all’interno della
quale ci sono gli uomini, ormai ridotti a
obesi invertebrati in grado di muoversi solo
grazie a particolari sedie volanti. Tutto a
bordo è automatizzato. Gli esseri umani
inoltre non comunicano più fra di loro tanto
sono circondati da monitor di ogni foggia.
Eve viene esaminata e poi spedita d’urgenza al comandante, dato il suo importante
carico. In teoria dovrebbe iniziare la procedura per il rientro sulla Terra ma, aperta Eve, la si scopre vuota di contenuti. Tutto torna alla normalità. Il comandante
Tutti i film della stagione
però, incuriosito dal termine Terra che non
aveva mai sentito prima, chiede lumi al suo
computer. Eve intanto viene portata in riparazione. Wall-E, che continua a seguirla ovunque, viene anche lui spedito in manutenzione, dato il suo pietoso stato.
Il robot, costretto ad assistere dentro
una gabbia allo smontaggio degli arti di
Eve, si libera d’impulso dalla prigione e
la difende dalle macchine per la riparazione. Nel trambusto che segue tutti i robot internati escono dalle celle e cominciano a girare per la base creando scompiglio. Ormai Wall-E e Eve sono ricercati
e inseguiti da speciali macchine-gendarmi. Eve trascina l’amico nella stazione
delle navette per rispedirlo sulla Terra, ma
Wall-E non vuole saperne di andarsene
senza di lei. Mentre discutono sopraggiunge un robot con la pianta in mano e la carica su una navicella programmata per
autodistruggersi. Wall-E si precipita sul
vegetale e viene espulso insieme a esso. Eve
si getta al suo inseguimento volando nello
spazio.
Wall-E riesce a liberarsi prima dell’esplosione e insieme a Eve ritorna alla
base. Sono decisi a consegnare la pianta
al comandante, che nel frattempo, però, ha
saputo abbastanza delle gradevolezze della Terra da convincersi a farvi ritorno. All’arrivo dei due robot con la pianta non
sta più nella pelle e comincia a dare ordini al suo computer per le procedure di rientro. La macchina, però, si rifiuta di procedere, mettendo in luce un complotto per
evitare il ritorno degli uomini sul pianeta
d’origine.
Il comandante viene chiuso nella sua
cabina e i due eroici robot spediti con la
27
pianta nel deposito rifiuti per essere distrutti. Mentre Wall-E e Eve si liberano
dall’ennesima prigione e portano il vegetale nell’apposita macchina per la procedura di rientro, il comandante, camminando per la prima volta sulle proprie gambe,
riesce ad avere la meglio sul suo computer e guida la base spaziale sulla Terra.
Gli uomini ricominciano a prendere
confidenza con il luogo. Wall-E, invece,
semidistrutto dopo gli sforzi per far partire la base spaziale, viene ricostruito da Eve
con i pezzi di ricambio rimasti e, dopo un
periodo di amnesia, torna quello di prima.
M
olta carne al fuoco in questo ambizioso progetto della Pixar, su
cui aleggiano, a mo’ di numi tutelari, i fantasmi di Matrix e 2001: odissea
nello spazio.
Del film di Kubrick ritroviamo il discorso
sul ribaltamento di ruoli tra uomo e macchina e sul completo e ottuso affidarsi del primo alla seconda nella vita quotidiana e non
solo. Per gran parte del film sono i robot ad
avere reazioni umane, a mostrare stati emotivi (Wall-E che soffre di solitudine sulla Terra deserta, Eve determinata a portare a termine la propria missione, il computer del
comandante che non esita a usare le maniere forti per far tornare nei ranghi il suo
“padrone”; – in questo parente stretto dell’HAL 9000 di Kubrick), a sviluppare capacità relazionali (basta citare l’evoluzione del
rapporto tra Wall-E e Eve), a prendere decisioni. Il tutto a fronte di un essere umano
così perennemente distratto da attività inutili
da non essere più in grado di usare il proprio fisico e di accorgersi di avere una coscienza e di essere circondato dagli “altri”.
Film
Agghiacciante, a questo proposito, è la radicale mancanza di coscienza storica del comandante e, di conseguenza, di tutti gli altri.
Nessuno sulla Axiom saprebbe rispondere
a semplici domande come: Chi sono? Da
dove vengo?; e proprio questa lacuna culturale è la causa della sudditanza dell’uomo rispetto alla macchina, alla quale chiede di rispondere al posto suo (lo fa il comandante quando consulta il computer per
conoscere il significato del termine Terra).
A questo punto, entriamo nel secondo
tema, in cui il riferimento a 2001 si intreccia
con quello a Matrix. L’uomo è talmente abituato a demandare alle macchine le funzioni che dovrebbero essere sue da non poterne più fare a meno. Il riferimento classico, a
questo proposito, è alla hegeliana dialettica
Tutti i film della stagione
servo-padrone, dove l’uomo/padrone declina sistematicamente ogni attività faticosa al
servo/macchina fino a diventarne dipendente
e quindi a sua volta schiavo. Un confronto
con Matrix rende evidente una differenza che
mostra in Wall-E una radicalità ancora più
esplicita. Mentre nel film dei Wachowski gli
uomini non possono raggiungere una coscienza della loro sudditanza rispetto ai computer senza un aiuto esterno, in questo c’è
una latente, forse inconscia consapevolezza. Di conseguenza, siamo portati a credere che gli uomini di Wall-E scelgano di essere succubi, compiano una scelta di comodo:
sudditanza in cambio di benessere. Terrificante, se pensiamo a quanto ci siamo vicini
oggi! Per questo il regista filma i primi passi
degli uomini sulla Terra come una specie di
rinascita, con gli uomini che devono imparare a camminare, cioè tornare all’infanzia, ripartire da zero (l’equivalente del feto astrale
di Kubrick).
Interessante anche il discorso sull’audiovisivo e la sua funzione. Il principale
mezzo per il controllo delle menti da parte
delle macchine è il video, che inonda gli
occhi degli umani con un flusso continuo
di intrattenimento (ogni riferimento alla realtà italiana attuale è puramente casuale).
D’altra parte, sotto forma di cinema o di
documentario, l’audiovisivo assume anche
una funzione liberante (vedi Wall-E con
Hello Dolly! e il comandante con il filmato
sul “vecchio mondo”).
Fabio de Girolamo Marini
HELLBOY: THE GOLDEN ARMY
(Hellboy II: The Golden Army)
Stati Uniti/Germania, 2008
Kiss, Tim Larsen, Bart Mixon, Ian Morse, Steve Painter, Anthony Parker, Monte Ribé, Hiroshi Yada
Supervisori effetti speciali: Leo Burton (Solution Studios),
Joss Williams
Coordinatori effetti speciali: Jess Lewington, Csaba Bagossy
Supervisori effetti visivi: Andrew Morley (LipSync Post),
Michele Sciolette (Cinesine), Val Wardlaw (Baseblack), Mike
Wassel, Jeppe N. Christensen
Coordinatori effetti visivi: Jane Ellis, Edward Randolph
(Baseblack), Antonella Ferrari, Darryl Li (Double Negative),
Paul Ladd (Universal), Noemi Somoskovy, Szvak Antal (Cube
Effects), Claire Stewart, Lucy Tanner (LipSync Post)
Supervisore musiche: Kathy Nelson
Interpreti: Ron Perlman (Hellboy), Selma Blair (Liz Sherman),
Doug Jones (Abe Sapien), James Dodd (Johann Krauss), Jeffrey Tambor (Tom Manning), John Alexander (Johann Krauss/
Gobelin di Bethmoora), Luke Goss (Principe Nuada), Anna Walton (Principessa Nuala), Seth MacFarlane (voce di Johann
Krauss), John Hurt (Trevor ‘Broom’ Bruttenholm), Brian Steele
(Wink/Cronie/capo cattedrale/Fragglewump), Andrew Hefler
(agente Flint), Ivan Kamaras (agente Steel), Mike Kelly (agente
Marble), Jeremy Zimmerman (banditore), Roy Dotrice (Re Balor), Aidan Cook (proprietario del negozio ‘Due Teste’), Jeanne
Mockford (barbona), Montse Ribe (Hellboy giovane), Ferenc
Elek (‘Fat Slob’), Alex McSweeney, Justin Pierre (poliziotti),
Matthew O’Toole (commerciante di arti), Jamie Wilson (commerciante di Gatti), Kevin Hudson (suonatore d’organetto), Clive Llewllyn (commerciante di girini), Sandor Svigelj (suonatore
di cornamusa), Brian Herring (Silkard), Palma Pasztor (commerciante di mummie), Jimmy Kimmel (se stesso)
Durata: 120’
Metri: 3280
Regia: Guillermo del Toro
Produzione: Lawerence Gordon, Lloyd Levin, Mike Richardson, Joe Roth per Dark House Entertainment/Internationale
Filmproduktion Eagle/Lawrenca Gordon Productions/Mid Atlantic Films/Relativity Media/Universal Pictures
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 16-7-2008; Milano 16-7-2008)
Soggetto: dai personaggi del fumetto creato da Mike Mignola
Sceneggiatura: Guillermo del Toro
Direttore della fotografia: Guillermo Navarro
Montaggio: Bernat Vilaplana
Musiche: Danny Elfman
Scenografia: Stephen Scott
Costumi: Sammy Sheldon
Produttore esecutivo: Chris Symes
Co-produttori: Mike Mignola, John Swallow
Direttori di produzione: Jo Burn, Chris Patterson, Miklos
Toth, Gabor Ujhazy
Casting: Zsolt Csutak, Jeremy Zimmerman
Aiuti regista: Cliff Lanning, Matthew Baker, Rob Burgess, Ben
Lanning, Dénes SAjgal, Kati Magenheim, Matthew Sharp, Nick
Starr, Tamas Lukacs
Supervisione art direction: Peter Francis
Art directors: Anthony Caron-Delion, John Frankish, Paul Laugier, Mark Swain, Judit Varga
Arredatori: Elli Griff, Zsuzsa Mihalek
Trucco: Lesley Smith, Mike Elizalde
Acconciature: Mélanie Gerbeaux, Lesley Smith, Diana Yun Soo
Yoo, Sylvia Nava
Effetti speciali trucco: Russell Lukich, Kevin McTurk, Jordi
Morera, Pablo Perona Navarro, Cliff Fallace, Roz Abery, Orso
Balla, Dave Bonneywell, Thomas Floutz, Andy Garner, Louis
N
atale 1955. Un ancor giovane ma
già inquieto Hellboy ascolta dal
professor Bloom, suo padre adottivo, una antica leggenda, che l’uomo gli
racconta come favola della buonanotte: in
un tempo antico, gli uomini mossero guer-
ra agli elfi per il possesso del mondo. Fu
un conflitto lungo e sanguinoso, al punto
che il sovrano elfico Balfor, sconvolto dalle gravi perdite e sofferenze patite dai suoi
soldati, accettò il consiglio di uno dei suo
ingegneri, disposto a costruire per lui una
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invincibile Armata d’Oro, formata da poderosi guerrieri meccanici. Il nuovo esercito mantenne le promesse, ma la sua spietatezza fu causa di ulteriori violenze in un
conflitto che sembrava non avere fine; per
questo, infine, uomini ed elfi firmarono una
Film
tregua spartendosi il mondo: i primi edificarono città, i secondi rimasero nascosi
nelle foreste. I guerrieri meccanici furono
invece messi a riposo, mentre la corona che
permetteva di comandarli venne divisa in
tre parti. L’unico a non condividere questa tregua fu il giovane principe Nuada,
incredulo circa le capacità degli uomini di
osservare un futuro di pace, che per questo si allontanò in esilio, promettendo però
di tornare qualora il suo popolo avesse
avuto bisogno di aiuto.
New York, oggi. Uno dei tre pezzi in
grado di formare la magica corona che
permette di comandare l’Armata d’Oro
viene messo all’asta. La seduta è interrotta dall’improvviso ingresso del principe
Nuada, che reclama il pezzo della corona
come suo e, dopo essersene impossessato,
libera nell’edificio delle voraci creature
perché abbiano ragione di tutti gli umani
presenti. Pertanto, viene allertato l’Ufficio per la Difesa e la Ricerca sul Paranormale (BPRD) che invia sul luogo Hellboy,
Liz Sherman e Abe Sapiens, mentre il direttore, Tom Manning, cerca di far sì che
nulla trapeli all’esterno circa i suoi agenti
mutanti. La lotta contro le voraci creature
(che si riveleranno essere delle “fate dei
denti”, così chiamate perché in grado di
rosicchiare un intero organismo iniziando
proprio dai denti) è complicata dai malesseri che serpeggiano nella coppia formata
da Hellboy e Liz: la ragazza infatti non
sopporta la vita in comune e inoltre ha
appena scoperto di essere incinta!
Alla fine, l’operazione ha successo,
anche se Hellboy non riesce a impedire che
la sua presenza venga notata dai media,
consacrando lui e i suoi partner come personaggi pubblici, con grande scoramento
di Manning! In considerazione del nuovo
ruolo assunto dagli agenti del BPRD, il
governo invia a guidare la squadra uno
scienziato, il professor Johann Krauss, che
si rivela essere un puro spirito in una speciale tuta di contenimento. Ligio al dovere, ma dotato di ottime capacità di decisione, Krauss analizza una delle fate dei
denti e scopre che la sua provenienza è il
magico Mercato dei Troll che si svolge di
nascosto, nelle vicinanze del ponte di Brooklyn.
Intanto il principe Nuada è giunto al
cospetto di suo padre Balfor, il Re degli
elfi, al quale annuncia di voler guidare il
suo popolo contro gli umani, risvegliando
l’Armata d’Oro: il suo scopo infatti è punire gli abitanti delle città che hanno distrutto il pianeta e stanno conducendo la
razza elfica a una lenta estinzione. Di fronte al rifiuto del padre, Nuada lo elimina
appropriandosi del secondo pezzo della
Tutti i film della stagione
corona. La sua diletta sorella gemella Nuala, alla quale il principe è unito da un legame simbiotico che porta entrambi a provare le stesse sensazioni e a ricevere le stesse ferite se il corpo di uno solo dei due viene colpito, è però ostile ai voleri del fratello e perciò fugge con l’ultimo pezzo, raggiungendo il Mercato dei Troll.
Qui viene tratta in salvo da Abe Sapiens, Hellboy e Krauss. Nuada però non
intende lasciarla andare via e scatena contro i nemici un elementale, un mostro vegetale di grande potenza che Hellboy è
costretto ad affrontare fra le strade di New
York! La vittoria sulla creatura ha un sapore amaro: l’essere è infatti l’ultimo della sua specie e non fa altro che seguire la
propria natura. Hellboy lo capisce, ma non
può non eliminarlo e l’unico risultato che
ottiene è quello di essere paradossalmente
insultato degli umani, che lo ritengono
l’unico responsabile dei disastri provocati
dalla battaglia. Una situazione che peraltro Nuada gli aveva preannunciato, offrendogli di unirsi alla sua causa.
Amareggiato da questo insieme di fatti
che lo vedono sempre più isolato, Hellboy
presta comunque conforto anche ad Abe,
che nel frattempo si è innamorato di Nuala. L’idillio è di breve durata, perché la
principessa viene raggiunta da suo fratello Nuada che la rapisce e, dopo un breve
combattimento con Hellboy, ferisce quest’ultimo con la punta della sua lancia.
Prima di andare via Nuada ordina a Abe
di portargli l’ultimo pezzo della corona,
nascosto da Nuala nel BPRD, se vuole che
la vita di Hellboy e della stessa principessa sia risparmiata.
L’azione si sposta quindi in Irlanda,
dove è custodita l’Armata d’Oro: qui Liz,
Abe, Hellboy e Krauss (che capisce i patimenti amorosi di Abe e Liz perché gli ricordano un amore lontano) dovranno incontrare Nuada per la resa dei conti. Prima di questo, però, il gruppo riceve aiuto
da Goblin, l’ingegnere che tanto tempo
prima aveva creato l’Armata e che li accompagna da una sua amica in grado di
estrarre la punta di lancia dal petto di
Hellboy. La creatura, che si presenta come
la Morte stessa, prima di compiere l’operazione mette in guardia Liz, spiegandole
che un giorno il suo amato demone causerà la distruzione del mondo e le procurerà
un dolore infinito, ma la ragazza è pronta
a tutto per salvarlo e, nell’occasione, gli
rivela anche di essere incinta.
Lo scontro finale fra un ristabilito Hellboy e Nuada può avere luogo, ma, a questo punto, Abe consegna inaspettatamente
al principe il terzo frammento della corona che aveva con sé, affinché non faccia
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del male a Nuala. Per tutta risposta il gruppo si ritrova quindi a dover lottare contro
l’Armata d’Oro! La battaglia è impari e
Hellboy si offre per sfidare Nuada a un
duello che metta in palio il possesso della
corona del comando. I soldati meccanici
restano a guardare la lotta, che si rivela
lunga e avvincente e, alla fine, vede Hellboy vincitore: Nuada però non vuole accettare la sconfitta e così lo ferma trafiggendosi il petto e condannando in questo
modo anche il fratello. Abe la sorregge
prima della morte, svelandole i suoi sentimenti.
Quindi l’Armata d’Oro viene nuovamente messa a riposo e Liz distrugge la
corona del comando. Fatto questo, il gruppo viene raggiunto da Tom Manning, al
quale tutti gli agenti, uno per uno, rassegnano le dimissioni. Hellboy infatti intende restare con Liz in Irlanda dove far crescere suo figlio. O meglio, i suoi figli, dal
momento che la ragazza gli confessa di
attendere due gemelli!
A
quattro anni di distanza dall’ottimo capostipite e forte del successo internazionale raggiunto con
il precedente Il labirinto del fauno, Guillermo Del Toro riporta sullo schermo il diavolo rosso creato da Mike Mignola per l’eponima collana a fumetti della Dark Horse
Comics. Il passaggio dei diritti dalla Sony
alla Universal permette al regista di accentuare la natura poetica di un fantasy che si
compiace di mettere in scena creature incredibili, dando fondo a un immaginario
inesauribile e connotato da una vena a
metà strada fra il dark alla Goya e l’epica
alla Tolkien. Al fondo c’è infatti sempre la
fiaba, l’avventura e il folklore, dal quale già
il fumetto pescava avidamente; il risultato
è un film sontuoso e visivamente appagante, nel quale il senso estremamente corposo dell’immagine, garantito anche dall’ottima fotografia del sodale Guillermo
Navarro, crea un universo credibile che il
regista si diverte (e lo spettatore con lui) a
esplorare in tutta la sua ricchezza e complessità.
La sceneggiatura (realizzata sempre
da Del Toro, a partire da un soggetto pianificato a quattro mani con lo stesso Mike
Mignola) si preoccupa poi di infondere vitalità ai caratteri, adottando una forma narrativa che illustra le normali scaramucce
fra i protagonisti, la loro capacità di provare emozioni vicine a quelle di un qualsiasi
spettatore e dona pertanto al film un ritmo
scanzonato, capace di istillare ironia nella
trama action-fantasy. A questo si aggiunga anche una forte spinta poetica, evidente in alcuni passaggi particolarmente com-
Film
moventi (ad esempio durante la morte dell’elementale).
In fondo, nel cinema di Del Toro i legami affettivi sono sempre il motore primo delle
sensazioni in grado di guidare i personaggi
e, in questo caso, il tema è condotto attraverso una serie di intrecci sentimentali che
uniscono i destini di Hellboy e Liz, Abe e
Nuala, Nuada e Nuala, annullando, di fatto,
ogni possibile ruolo di “buono” e “cattivo”:
ogni personaggio ha infatti delle motivazioni alle spalle e quindi la classica dicotomia
narrativa fra bene e male si ritrova principalmente nel confronto fra i desideri istigati
dal cuore e i doveri imposti dalla missione.
Paradigmatica, a questo proposito, è ancora una volta la già citata scena in cui Hellboy si vede costretto a eliminare l’elementale, scoprendo a sue spese quanto il suo
ruolo di paladino dell’umanità manifesti con-
Tutti i film della stagione
traddizioni non ripagate dalla gente che lo
disprezza. Allo stesso modo, lo spirito guerriero di Nuada è fomentato dall’amore per
il mondo e dal senso di giustizia nei confronti del proprio popolo, anche se poi questo lo costringe a opporsi ai voleri dell’amato
padre e della sorella.
La dicotomia si riflette, a sua volta, nello
scontro fra il regno della fantasia e quello
della realtà, che Del Toro eleva a livello
metanarrativo ponendo in essere due filosofie (quella che vuole credere nella fantasia e quella che invece la disprezza e la
teme), auspicando una conciliazione fra
due diversi modi di guardare il mondo: la
fantasia, per il regista messicano, esattamente come accadeva in Il labirinto del
fauno, è in sé vivificatrice e consente di
comprendere la bellezza insita negli interstizi del reale, diventando un modo nuovo
di guardare la realtà (fatto simboleggiato
dagli speciali visori che permettono di individuare le creature mostruose che vivono nascoste tra gli uomini).
In questo senso, Hellboy the Golden
Army è un film che mira a far re-imparare
allo spettatore a vedere il mondo e ne arricchisce l’immaginario esaltando la qualità mitopoietica insita in ogni elemento della macchina cinema, attraverso un’operazione sincretica che unisce diverse fonti,
stili e stilemi narrativi che vanno dal cinema orientale a quello occidentale, mentre
quello delle origini si unisce mirabilmente
a quello del presente.
Anche per questo Hellboy the Golden
Army è un film semplicemente indispensabile.
Davide Di Giorgio
L’INCREDIBILE HULK
(The Incredible Hulk)
Stati Uniti, 2008
Coordinatore effetti speciali: Arthur Langevin, Laird McMurray
Supervisori effetti visivi: Berj Bannayan (Soho VFX), Robin Hackl (Image Engine), Mark Larranaga (X1FX), Edson
Williams (Lola Visual Effects), Allan Magled, Betsy Paterson,
Colin Strause, Greg Strause, Chris Wells, Kurt Williams
Coordinatori effetti visivi: Vanessa Joyce (Rhythm &
Hues), Paul King, Vera Zivny (Image Engine), John Polyson,
Kyle Ware, (Hydraulx), Neha Sharma, William H.D. Marlett,
James Michael Miller, Steve Carter, Monette Dubin
Supervisore animazione: Andy Arnett
Supervisore musiche: Dave Jordan
Supervisore costume: Karen Lee
Interpreti: Edward Norton (Bruce Banner), Liv Tyler (Dr. Elizabeth ‘Betty’ Ross), Tim Roth (Mag. Emil Blonsky), William Hurt
(Gen. Thaddeus ‘Thunderbolt’ Ross), Robert Downey jr. (Tony
Stark), Tim Blake Nelson (dr. Samuel Sterns), Ty Burrell (dr.
Lennord Samson), Christina Cabot (Mag. Kathleen ‘Kat’ Sparr),
Peter Mensah (Gen. Joe Greller), Lou Ferrigno (voce dell’incredibile Hulk/guardia), Paul Soles (Stanley), Débora Nascimento
(Martina), Greg Bryk, Chris Owens, Al Vrkljan, Adrian Hein,
John MacDonald (Commando), Shaun McComb (soldato nell’elicottero), Simon Wong (studente laureato), Pedro Salvin (leader dei duri), Julio Ceasar Torres Dantas, Raimundo Camargo
Nascimento, Nick Alachiotis (duri), Jason Burke (funzionario
delle comunicazioni), Grant Nickalls (pilota dell’elicottero), Joris Jarsky, Arnold Pinnock (soldati), Tig Fong, Jason Hunter (poliziotti), Maxwell McCabe-Lokos (tassista), David Collins (tecnico medico), Nicholas Rose (McGee), P. J. Kerr (Wilson), Lee
Jee-yun (reporter), Russell Yuen (agente FBI)
Durata: 112’
Metri: 2900
Regia: Louis Leterrier
Produzione: Avi Arad, Kevin Feige, Gale Anne Hurd per Marvel Enterprises/Marvel Studios/Valhalla Motion Pictures
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 20-6-2008; Milano 20-6-2008)
Soggetto: dal personaggio dei fumetti creato da Jack Kirby e
Stan Lee
Sceneggiatura: Zak Penn, Edward Norton
Direttore della fotografia: Peter Menzies Jr.
Montaggio: Rick Shaine, Vincent Tabaillon, John Wright
Musiche: Craig Armstrong
Scenografia: Kirk M. Petruccelli
Costumi: Renée Bravener, Denise Cronenberg
Produttori esecutivi: Ari Arad, Stan Lee, David Maisel, Jim
Van Wyck
Produttori associati: Stephen Broussard, Michael J. Malone, John G. Scotti
Direttore di produzione: Michael J. Malone. D. J. Carson,
Valeria Costa Amorim, Stewart Bethune
Casting: Robin D. Cook, Laray Mayfield
Aiuti regista: John G. Scotti, Ashley Bell, Michael T. Burgess,
Tim Cushen, Stephen P. Del Prete, Travis McConnell, Jayson
Merrill, Lawrence Ng, Jennifer Zabawa, Andrew Pritchard, Tim
Singh, Karen Young
Operatori : Maritza Caneca, Gilles Corbeil, Gustavo Hadba
Supervisore art direction: Daniel T. Dorrance
Art directors: Page Buckner, Andrew M. Stean
Arredatore: Carolyn ‘Cal’ Loucks
Trucco: Jordan Samuel, Beate Eisele, Iantha Goldberg, Randy
Westgaste
Acconciature: Paul R. J. Elliot, Sondra Treilhard, Paula Fleet
D
opo essere stato esposto alle radiazioni dei raggi Gamma, il fisico nucleare Bruce Banner ha
subito una mutazione genetica. Quando è
sottoposto a intensi stress emozionali, si tra-
sforma in un gigantesco essere verde dalla
forza sovrumana, Hulk. Dal momento dell’incidente, la vita di Bruce si è trasformata
in un inferno. Egli è costretto a vivere in clandestinità, da tempo sulle sue tracce c’è l’in30
flessibile generale Ross che vorrebbe utilizzare Hulk come prototipo di un battaglione
di “supersoldati”. Da qualche anno, il giovane vive in una favela brasiliana, lavora in
un fabbrica di bibite al guaranà e intrattiene
Film
una fitta corrispondenza telematica con un
misterioso Mr. Blue che sta lavorando per
lui alla ricerca di un antidoto. Ma la notizia
della sua presenza in Brasile giunge al Pentagono. Immediatamente il generale Ross
invia in Brasile una squadra speciale capitanata dal comandante Emil Blonsky. Dopo
una rocambolesca fuga nella favela, Bruce
riesce a seminare i suoi cacciatori e a riparare prima in Guatemala e poi in Messico.
Giunto negli Stati Uniti, Banner si reca in
Virginia presso la Culver University dove
lavora la sua ex fidanzata, la dottoressa Elizabeth Ross, figlia del generale e biologa
cellulare. Bruce la segue fino a farsi riconoscere. Elizabeth riabbraccia Bruce e lo porta a casa sua. Ma il generale Ross vuole il
DNA di Bruce per codificarlo e farne un’arma di distruzione. Intanto il generale fa iniettare delle basse dosi di raggi Gamma a Blonsky per testarne gli effetti. Subito dopo Blonsky parte con una squadra alla caccia di Bruce. Trasformatosi in Hulk combatte con l’intera squadra dell’esercito: durante lo scontro Elizabeth viene ferita. Hulk la porta in
salvo. Blonsky è ricoverato in gravi condizioni ma il cuore è salvo. Bruce ed Elizabeth
scappano. Da un internet point, Bruce riesce a inviare per e-mail i dati del suo DNA a
Mr. Blue. La mail è intercettata dal Pentagono che riesce così a rintracciare Mr Blue.
Bruce ed Elizabeth arrivano a New York e si
precipitano nello studio di Mr Blue, pseudonimo sotto il quale si nasconde il Dottor Sterns, il quale con delle scariche elettriche porta Bruce a trasformarsi in Hulk. Un attimo
dopo il dottore gli inietta un antidoto e Bruce torna in se stesso. Ma il problema non è
stato risolto definitivamente. Il dottore parla
di altri soggetti sottoposti ai test e mostra un
laboratorio pieno di provette di sangue. Bruce vorrebbe distruggere tutto ma è troppo
tardi: Blonsky fa irruzione nel laboratorio e
minaccia il dottore per avere ciò che ha tirato fuori da Banner. Blonsky si fa iniettare la
pozione e si trasforma in un mostro, Abominio, che semina il panico per le strade di New
York. Bruce è convinto che solo lui possa affrontare quel mostro. Dopo un violento scontro finale, Hulk ha la meglio. Qualche tempo
dopo, Bruce controlla lo stress emotivo con
esercizi yoga. Ma il generale non ha abbandonato il progetto “Supersoldato” e ne parla con il magnate Tony Stark.
Tutti i film della stagione
dal volto e dal fisico comune, il secondo gigantesco essere dalla stazza e dalla muscolatura sovrumana dall’inconfondibile colore
verde (attenzione nei primi episodi del fumetto era grigio!). L’estetica del mito del gigante verde ritrova corpo (in tutti i sensi) in
questa modernissima, ipertecnologica e frastornante versione di L’incredibile Hulk.
La metamorfosi del timido scienziato è
davvero spaventosa. Niente a che vedere
con la vecchia serie televisiva che tra il 1978
e il 1982 fece la fortuna del culturista italo
americano Lou Ferrigno (che nel film appare in un cameo). Niente a che vedere neanche con l’unica versione per il grande
schermo che risale a pochi anni fa: nel 2003
Ang Lee firmò un blockbuster che non ebbe
il successo sperato con il muscoloso Eric
Bana, senza dubbio molto più “in parte” dello smilzo Edward Norton, ma in fatto di
espressività quest’ultimo non ha eguali tra
i suoi coetanei. E poi, per il mostro alto 272
centimetri, ora c’è la tecnologia CGI che fa
miracoli. Anche di espressività! Dietro la
macchina da presa questa volta c’è Louis
Leterrier, un esperto di film d’azione che ha
firmato pellicole roboanti come Danny the
Dog o Transporter 2 - Extreme.
L’operazione è ben condotta e questa
volta si coglie nel segno: si controlla oculatamente il dosaggio degli ingredienti mixando scoppiettati sequenze da action movie
pieno di effetti al computer (uno per tutti il
procedimento di cattura del movimento
chiamato MoCap) e scene in cui i sentimenti
umani hanno la meglio (il tormento dell’eroe
solitario prigioniero di una orrida mutazione, l’amore per la sua bella, il conflitto padre-figlia) o per temi intinti nell’attualità (primi fra tutti la caccia allo sfruttamento bellico del DNA dello scienziato mutato grazie
a una contaminazione radioattiva).
U
omini e mostri. Due parti in lotta.
Legame indissolubile ed eterno.
L’identità e il Superego di freudiana memoria. Tutti abbiamo due volti, dall’archetipo “Dottor Jekyll e Mr Hyde” in poi la
letteratura, i fumetti, il cinema sono pieni di
eroi a due facce. Così Mister Bruce Banner
e l’incredibile Hulk. Il primo timido scienziato
31
Ma il fascino del colosso verde è intimamente legato alla particolare storia della
sua nascita letteraria. Nel 1962 la casa
editrice di fumetti Marvel Comics pubblica
il primo albo di una nuova serie incentrata
sulle gesta di un antieroe capaci di trasformarsi in un gigante dalla forza sovrumana, Hulk, creato dallo scrittore Stan Lee e
dall’artista Jack Kirby. I primi numeri del
fumetto non hanno successo e il mostro
viene riciclato come supporto per altri titoli famosi. Solo nel 1968 l’eroe verde torna
come protagonista di una collana a lui intitolata. La vera novità e insieme il vero fascino del personaggio risiede nel suo essere un “eroe incompreso”, un personaggio triste e goffo, prigioniero della sua stazza. Nell’invenzione di Hulk, Lee si ispirò in
parte a Frankenstein, in parte a Dottor
Jekyll e Mr. Hyde. Ed ecco il risultato, una
creatura dall’animo gentile che passa dalla condizione di essere umano a quella di
mostro. Egli è in lotta con sé stesso e con
quella parte così stranamente forte di se,
non riesce a controllare la sua forza, è raro
che decida quando restare Bruce o quando trasformarsi in Hulk, ma è proprio qui
che risiede la sua forza, trasformare quella sua maledizione in eroismo.
Non la cieca rabbia, non lo scatenamento della forza bruta. Ma allora, come
usare il potere che è dentro di noi? Qualcosa che è più forte di noi stessi e che, se
gestito nel modo giusto, può essere utile
per far trionfare il bene? Bella domanda.
Bella lezione.
Tutti forse abbiamo dentro di noi qualcosa di potente, forte, sovrumano .... Senza bisogno di assumere un colorito verdastro!
Elena Bartoni
Film
Tutti i film della stagione
AGENTE SMART - CASINO TOTALE
(Get Smart)
Stati Uniti, 2008
Regia: Peter Segal
Produzione: Michael Ewing, Alex Gartner, Andrew Lazar, Charles Roven per Warner Bros. Pictures/Village Roadshow Pictures/Mosaic Media Group/Mad Chance/Road Rebet
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Prima: (Roma 9-7-2008; Milano 9-7-2008)
Soggetto: dall’omonima serie tv ideata da Mel Brooks e Buck Henry
Sceneggiatura: Tom J. Astle, Matt Ember
Direttore della fotografia: Dean Semler
Montaggio: Richard Pearson
Musiche: Trevor Rabin
Scenografia: Wynn Thomas
Costumi: Deborah Lynn Scott
Produttori esecutivi: Bruce Berman, Steve Carell, Dana Goldberg, Jimmy Miller, Brent O’Connor, Peter Segal
Co-produttore: Alan Glazer
Direttori di produzione: Daniel Auclair, Patricia Anne Doherty, Richard J. Gelfand, Cherylanne Martin
Casting: Roger Mussenden
Aiuti regista: John Hockridge, Joseph J. Kontra, Margot Coleman, Efrain Cortes, Bryan Cox, Eugene Davis, Renato De
Cotiis, Larry D. Katz, Cyndi Martin, Shawn Pipkin
Operatori: Stephen S. Campanelli, Andrew Rowlands, Robert
Stecko
Supervisore art direction: James Hegedus
Art directors: Caroline Alder, Christopher Burian-Mohr, Martin Gendron
Arredatori: Suzanne Cloutier, Paul Hotte, Leslie E. Rollins
Trucco: Rick Sharp, Kim Collea, Nicki Ledermann, Nathalie Trepanier
M
axwell Smart lavora come analista per un’agenzia di spionaggio, la Control. Il suo più grande sogno è di abbandonare la scrivania e
diventare un agente operativo.
L’occasione si presenta quando il quartier generale dell’agenzia viene attaccato
da un’organizzazione criminale russa,
Kaos, e l’identità dei suoi vecchi agenti
compromessa.
Maxwell diviene così agente 86 e insieme alla bellissima agente 99 inizia la
ricerca di Siegfried, capo di Kaos, che vuole diffondere armi nucleari nel mondo e distruggere Los Angeles.
Tra giri di valzer, gag, sparatorie e
gadget da vere spie, i due agenti riescono
a trovare dove Kaos produce le armi atomiche. Solo l’agente 86 però scopre questo dettaglio.
La parola di Smart viene messa in discussione dall’agente 23. A questo punto,
Maxwell verrà accusato di essere una spia
doppiogiochista e messo in prigione.
Grazie all’aiuto di due amici, riesce a
Acconciature: Emanuel Millar, John Isaacs Rachel Solow
Effetti speciali trucco: Brian Hillard, Dave Snyder
Supervisori effetti speciali: Louis Craig, Michael Lantieri
Supervisori effetti visivi: Tony Clark, John Dietz (Rising
Sun Pictures), Alexandre Ethier (elementFX), Patti Gannon,
Randy Goux (Zoic Studios), Ray McIntyre Jr. (Pixel Magic),
Fred Pienkos (Eden FX), Joe Bauer
Coordinatori effetti visivi: David Langtry (Zoic Studios),
Phillip Palousek (Amalgamated Pixels Inc.), Nathalie Joyal
Supervisori costumi: Mitchell Ray Kenney, Catharine Fletcher
Incaprera
Coreografie: Jamal Sims
Interpreti: Steve Carell (Maxwell Smart), Anne Hathaway
(agente 99), Dwayne ‘The Rock’ Johnson (agente 23), Alan
Arkin (capo della Control), Terence Stamp (Siegfried), Terry
Crews (Agente 91), David Koechner (Larabee), James Caan
(il Presidente), Bill Murray (agente 13), Patrick Warburton
(Hymie), Masi Oka (Bruce), Nate Torrence (Lloyd), Ken Davitian (Shtarker), David S. Lee (Ladislas Krstic), Dalip Singh
(Dalip), Geoffrey Pierson (vice Presidente), Kelly Karbacz
(Judy), Arthur Darbinyan (russo cattivo), Mark Ivanir (ragazzo russo nel bagno), Lindsay Hollister (compagna di ballo di
Max), Dimitri Diatchenko (russo subordinato), Richard V. Licata (leader russo), Greg Joung Paik (generale nordcoreano), Joey Yu (soldato nordcoreano), Mike Akrawi, John
Abiskaron (arabi ), Kerry Lai Fatt (guida), David A. Parker
(agente 50), Bonnie Hellman (Karen), John Farley (agente
38), Bill Romanowski
Durata: 110’
Metri: 2900
evadere e a raggiungere il capo di Control, che insieme all’agente 99 e all’agente 23 sta andando a Los Angeles. Smart
smaschera agente 23: è lui il vero doppiogiochista. Iniziano una serie di inseguimenti, e, alla fine, hanno la meglio i due agenti di Control facendo esplodere la macchina di Agente 23.
Ma le corse dei due agenti non sono
ancora finite. Devono infatti disinnescare
la bomba atomica di Siegfried, situata all’interno di un pianoforte durante un concerto. I due ovviamente riescono nell’impresa: Los Angeles è salva e loro possono
finalmente abbandonarsi a un lungo bacio.
R
ipreso dalla serie televisiva di Mel
Brooks e Buck Henry, il film cita
anche molti film di spionaggio
come The Bourne Identity, I tre giorni del
condor, Entrapment, solo per citarne alcuni.
Con delle battute non esilaranti, ma
mai volgari, le due ore del film passano
32
con una lenta piacevolezza, a tratti annoiando, a tratti divertendo.
Steve Carrell non riesce a dare abbastanza vis comica al suo personaggio, si è
molto distanti dall’ispettor Closeau di Peter Sellers. Se a quest’ultimo bastava la
sua presenza per riuscire a creare situazioni divertenti, Carell fatica e si attacca al
copione disperatamente facendo sorridere e mai ridere.
La mancanza di battute veramente divertenti, unita a una trama banale e alquanto scialba, rendono il film adatto ai
bambini e non degno di nota, se non fosse per la bellezza di Anne Hathaway che
veste la sexy e intelligente Agente 99.
Il film, va riconosciuto, riesce a scherzare anche sull’attualità prendendo in giro
la rivalità CIA-FBI e rendendo Bush un vero
stupido, intento solo a leggere fiabe per
bambini e a ridere di ogni cosa.
Un film semplice, forse troppo; un inno
al puro relax estivo.
Maria Luisa Molinari
Film
Tutti i film della stagione
MAMMA MIA!
(Mamma Mia!)
Gran Bretagna/Stati Uniti/Germania, 2008
Midnight)” di Benny Andersson, Björn Ulvaes; “Money, Money,
Money”, “Mamma Mia”, “The Winners Take It All” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Meryl Streep), “Chiquita” di Benny Andersson,
Björn Ulvaes (Julie Walters, Christine Baranski); “Super Trouper”,
“Dancing Queen” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Meryl
Streep, Julie Walters, Christine Baranski); “Our Last Summer” di
Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Pierce Brosnan, Stellan Skarsgård, Colin Firth); “Lay All Your Love On Me”
di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Dominic
Cooper); “Gimme! Gimme! Gimme (A Man After Midnight)”, “Voulez-vous”, “I Do, I Do, I Do, I Do, I Do”, “When All Is Said and
Done”, “Mamma Mia”, “I Have A Dream”, “Waterloo” di Benny
Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Julie Walters, Christine Baranski, Meryl Streep, Pierce Brosnan, Stellan Skarsgård,
Colin Firth, Dominic Cooper); “SOS” di Benny Andersson, Björn
Ulvaes (Meryl Streep, Pierce Brosnan); “Does Your Mother Know”
di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Christine Baranski, Philip
Michael); “Slipping Through My Fingers” di Benny Andersson,
Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Meryl Streep); “Under Attack”,
“Knowing Me, Knowing You” di Benny Andersson, Björn Ulvaes;
“Take a Chance On Me” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Julie
Walters, Stellan Skarsgård); “The Name of the Game” di Benny
Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Stellan Skarsgård)
Interpreti: Meryl Streep (Donna Sheridan), Amanda Seyfried
(Sophie Sheridan), Pierce Brosnan (Sam Carmichael), Colin
Firth (Harry Bright), Stellan Skarsgard (Bill Anderson), Dominic Cooper (Sky), Julie Walters (Rosie), Christine Baranski
(Tanya), Ashley Lilley (Ali), Nancy Baldwin (segretaria di Sam),
Heather Emmanuel (governante di Harry), Colin Davis (autista di Harry), Ricardo Montez (Stannos), Mia Soteriou (Arina), Enzo Squillino Jr. (Gregoris),Rachel McDowall (Lisa), Philip
Michael (Pepper), Chris Jarvis (Eddie), George Georgiou (Pannos), Hemi Yeroham (Dimitri), Maria Lopiano (Ione), Juan Pablo Di Pace (Petros), Norma Atallah (Irini), Myra McFadyen
(Elena), Leonie Hill (Ariana), Jane Foufas (Elpida), Niall Buggy (padre di Alex), Benny Andersson (pianista)
Durata: 108’
Metri: 2820
Regia: Phyllida Lloyd
Produzione: Judy Craymer, Gary Goetzman per Universal Pictures/Littlestar Productions/Playtone/Internationale Filmproduktion Richter
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 3-10-2008; Milano 3-10-2008)
Soggetto: dall’omonimo musical di Catherine Johnson
Sceneggiatura: Catherine Johnson
Direttore della fotografia: Haris Zambarloukos
Montaggio: Lesley Walker
Musiche: Benny Andersson
Scenografia: Maria Djurkovic
Costumi: Ann Roth
Produttori esecutivi: Benny Andersson, Tom Hanks, Mark
Huffman, Bjorn Ulvaeus, Rita Wilson
Direttori di produzione: Bruno Cassoni, Kathy Sykes
Casting: Priscilla John
Aiuti regista: Yann Mari Faget, Christopher Newman, Richard
Goodwin, Emmanuela Fragiadaki, Carly Taverner, Michael Michael, Christos Houliaras, James Chasey
Operatore: Philip Sindall
Operatore steadicam: Simon Baker
Supervisore art direction: Nick Palmer
Art directors: Dean Clegg, Rebecca Holmes
Arredatore: Barbara Herman-Skelding
Trucco: Amy Byrne, Louise Coles, J. Roy Helland, Sophie Slotover, Belinda Hodson, Sophie Slotover, Nana Fischer
Acconciature: Francesca Crowder, Eithne Fennel, J. Roy Helland, Zoe Tahir
Supervisore effetti speciali: Paul Corbould
Supervisore effetti visivi: Mark Nelmes
Coordinatori effetti visivi: Jon Keene (Framestore), Paulina Kuszta
Supervisore costumi: Lindsay Pugh
Supervisore musiche: Becky Bentham
Canzoni/Musiche estratte: “I Have A Dream”, “Honey, Honey”, “Thank You for the Music” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried); “Gimme Gimme Gmme! (A Man After
T
rasposizione cinematografica di
uno dei più longevi musical di
Broadway, Mamma Mia!, è la
storia favolosa e improbabile della giovane
Sophie che, prima delle nozze, vuol incontrare il padre che non ha mai conosciuto.
Nata e cresciuta su un’insola greca dai
contorni pittoreschi, Sophie è frutto della
condotta spensierata della madre nell’epoca dell’amore libero.
Al seguito della scoperta di essere incinta, Donna (madre di Sophie) decise di
non tornare a casa e restare sull’isola per
gestire lì un albergo.
Contrariamente all’esempio della madre,
anticonformista e indipendente, Sophie non
solo ha deciso di giurare amore eterno a soli
20 anni, ma vuole addirittura che ad accompagnarla all’altare sia, come da tradizione,
il padre. Quel padre senza cui Donna l’ha
cresciuta e di cui Sophie non osa chiedere.
È leggendo un vecchio diario di Donna, che la ragazza scopre chi potrebbe essere suo padre e il fatto che ci siano tre
possibili candidati non le impedisce di invitarli, a nome della madre, al suo matrimonio...
Arrivano quindi sull’isola una serie di
personaggi eccentrici: le coriste del gruppo di Donna (sue grandi amiche di sempre), le amiche inglesi di Sophie e i tre uomini in inconsapevole odore di paternità
(Harry, Eddie e Sam).
L’incontro inaspettato di Donna con i
suoi vecchi amori getta lei nell’ansia di
proteggere la figlia (che crede ignara dell’identità dei tre) e Sophie nell’imbarazzo
di indovinare chi sia il vero genitore.
Contrariamente a quanto pensava, infatti, non è possibile capire a prima vista
quale sia suo padre e le cose si complicano.
Mentre la ragazza osserva le somiglianze
33
con ciascuno di loro, senza però trovare la
prova definitiva di un legame genetico, in
Sam, Harry ed Eddie si fa strada l’idea di
poter essere il padre della giovane sposa.
Così e tutti e tre, all’insaputa l’uno
dell’altro, si propongono per portarla orgogliosamente all’altare.
Imbarazzata dalle tre proposte e non
volendo ferire nessuno, Sophie capisce di
aver fatto un grosso sbaglio e si rifugia
nella madre: al suo braccio attraverserà
la navata.
L’improvvisa paternità fa sì che Eddie,
Harry e Sam affrontino i nodi irrisolti delle proprie vite: Eddie ha paura di impegnarsi, Harry è attratto dagli uomini e Sam
non ha mai smesso di amare Donna. E in
fondo anche Donna, dopo averlo rivisto,
capisce di aver sentito la sua mancanza
per tutti quegli anni...
Se la presenza di ben tre padri, felici
Film
di “condividere” la figlia, dà il coraggio a
Sophie di rimandare e partire con il fidanzato alla scoperta del mondo, un matrimonio ci sarà comunque: quello tra Donna e
Sam, che resterà ad aiutarla con l’albergo
che insieme da ragazzi avevano romanticamente sognato.
Tutti i film della stagione
U
n musical su grande schermo.
Eccessivo, colorato, pieno di ritmo, paillettes e lustrini. Questo è
la pellicola di Phyllida Lloyd, regista (evidentemente) teatrale, per la prima volta a
dirigere dietro la macchina da presa.
La storia è ovviamente labile e a tratti
farraginosa, più un espediente per cantare
e ballare le contagiose hit degli Abba, che
un dipanarsi delle vicende dei personaggi.
I caratteri sono abbozzati e possono
solo accennare ai temi complessi.
Così sullo schermo i personaggi si
esprimono platealmente, e affidano i propri sentimenti alla musica.
La sorpresa di un incontro insperato,
la malinconia o il batticuore si cantano in
struggenti assolo, l’allegria dell’amicizia e
la gioia delle nozze prendono corpo nelle
travolgenti coreografie di gruppo.
Pur inverosimile in ogni suo aspetto, il
film è strutturato ad arte, secondo le regole auree dei musical americani e sa essere coinvolgente e pieno di energia.
Una particolare nota di merito agli attori (Maryl Streep in primis), giusti nelle parti
assegnate e capaci di un’interpretazione
naturalistica a dispetto del fisiologico effetto straniante di “cantati” e “recitativi”.
Ritocchi al computer per i fondali per
rendere il paesaggio magico della Grecia esotica, costumi oltre il limite del
buongusto e tanto ritmo fanno viaggiare
lo spettatore in un lontano mondo da favola. Sempre che voglia lasciarsi trasportare.
Tiziana Vox
RIFLESSI DI PAURA - MIRRORS
(Mirrors)
Stati Uniti/Romania, 2008
Regia: Alexandre Aja
Produzione: Alexandre Aja, Gregory Levasseur, Alexandra Milchan, Marc Sternberg, Moritz von der Groeben per Castel
Film Romania/New Regency Pictures/Regency Enterprises
Distribuzione: 20th Century Fox
Prima: (Roma 3-10-2008; Milano 3-10-2008) V.M.: 14
Soggetto: dalla sceneggiatura del film Into the Mirror
Sceneggiatura: Alexandre Aja, Grégory Levasseur
Direttore della fotografia: Maxime Alexandre
Montaggio: Baxter
Musiche: Javier Navarrete
Scenografia: Joseph C. Nemec III
Costumi: Michael Dennison, Ellen Mirojnick
Produttori esecutivi: Marc S. Fisher, Andrew Hong, Kiefer
Sutherland, Tim Van Rellin
Direttore di produzione: Eugene Dinca, Marc S. Fischer,
Giovanni Lovatelli, Steve Rose, Elena Valeanu
Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood
Aiuti regista: Nick Heckstall-Smith, Cristina Iliescu, Ed Licht,
Michael R. Melamed, Tim Riley, Richard Graysmark, Carolyn
Milner, Lincoln Myers, Walter W. Parry jr., Stefan Petcu
Operatore steadicam: Bogdan Stanciu
Supervisore art direction: Malcolm Stone
Art directors: Stephen Bream, Vlad Roseanu
Arredatori: Liz Griffiths, Ian Whittaker
Trucco: Gabi Cretan, Donald Mowat, Suzanne Jansen, Robert
Maverick
Acconciature: Corina Brailescu, Catalin Ciutu, Michael Marcellino, Cristina Temelie, Su zanne Jansen
Effetti speciali trucco: Jaremy Aiello, Gino Crognale, Mike
McCarty
Supervisori effetti speciali: Alan E. Lorimer, Jason Troughton
Supervisori effetti visivi: Jamison Scott Goei (Rez-Illusion),
David Isyomin (& Company), Stephane Bidault (Autre chose),
David Fogg, Rocco Passionino
Coordinatori effetti visivi: Michael Early (Rez-Illusions),
Harrison Marks, Sk Nguyen
Interpreti: Kiefer Sutherland (Ben Carson), Paula Patton (Amy
Carson), Cameron Boyce (Michael Carson), Erica Gluck (Daisy
Carson), Amy Smart (Angela Carson), Mary Beth Peil (Anna
Esseker), John Shrapnel (Lorenzo Sapelli), Jason Flemyng
(Larry Byrne), Tim Ahern (dr. Morris), Julian Glover (Robert
Esseker), Josh Cole (Gary Lewis), Ezra Buzzington (Terrence Berry), Aida Doida (Rosa), Ioana Abur (sorella), Darren
Kent (Jimmy Esseker), Roz McCutcheon (madre di Jimmy),
Adina Rapiteanu (Anna giovane), William Meredith (dottore
giovane), Bart Sidles (Ispettore), Cai Man, Jingdong Qin (vicini), Anca Damacus (donna bruciata), Tudor Stroescu (fattorino), Liliana Donici, Aurelia Radulescu, George Dumitrescu,
Irina Saulescu, Valeriu Pavel (persone allo specchio)
Durata: 110’
Metri: 3050
34
Film
B
en Carson, poliziotto sospeso dal
NYPD per avere provocato accidentalmente la morte di un collega, tocca il fondo della propria esistenza: cade nell’alcolismo, nella depressione
ed è allontanato dalla famiglia. Ben trova
così rifugio in casa della sorella a cui è
molto legato e un’occupazione come guardiano notturno dei vecchi magazzini Mayflower: un palazzo devastato anni prima
da un terribile incendio con morti e feriti e
rimasto in spettrale abbandono in quanto
oggetto di un contenzioso assicurativo senza fine. Durante i giri d’ispezione notturna Ben si accorge presto che l’edificio nasconde delle presenze inquietanti che popolano una realtà parallela dietro gli specchi di cui gli ambienti sono ancora disseminati. Immagini insanguinate, figure bruciate da quell’incendio lontano non solo
pretendono attenzione, ma cominciano presto a minacciare il poliziotto e la sua stessa famiglia dagli specchi di casa (la sorella è la prima vittima); così era accaduto
con il precedente guardiano, costretto al
suicidio e con l’incendiario autore del disastro, dichiaratosi colpevole perché spinto
da presenze oscure che reclamavano l’ipotetica consegna di qualcuno chiamato
Eseker. Ben approfondisce le indagini dopo
avere scoperto, tra i piani del palazzo, un’
inquietante sala circolare con specchi alle
pareti e al centro una sedia di contenzione: grazie a un collega rimastogli amico
che può accedere agli archivi della città,
scopre che il Mayflower era stato edificato sulle rovine di un vecchio ospedale psichiatrico, il St. Matthew, il cui direttore
cercava di curare la schizofrenia obbligando il paziente di turno a confrontarsi con
la propria immagine di dolore riflessa negli specchi della stanza famosa. Era avvenuto, poi, che i pazienti del reparto fossero tutti morti prima della chiusura, meno
una, dimessa due giorni avanti e riconsegnata alla famiglia, Anna Esseker, appunto. È facile per Ben ritrovare la donna, ora
suora presso un convento agostiniano, convincerla a ritornare in quel luogo di orrore per sottoporsi a una specie di esperimento al contrario: legata alla sedia di
contenzione sarà riconquistata e distrutta
dai mostri che l’avevano abbandonata anni
prima che porranno così fine alle persecuzioni della famiglia di Ben. Il quale, fortunosamente sopravvissuto al cataclisma
della lotta contro il male che ha distrutto
il palazzo, si rende conto che non sarà mai
più libero, in quanto la realtà che lo circonda e a cui non appartiene è riflessa al
contrario: è diventato anche lui abitante,
o prigioniero, di quel’altra dimensione,
fantasma tra fantasmi, dietro uno specchio.
Tutti i film della stagione
S
arebbe stato più giusto mantenere per questo remake di un horror coreano il titolo originale, cioè
quel “Mirrors” che nell’unicità del termine
avrebbe immediatamente presentato la
forza del male come proveniente dal ripetersi di immagini speculari. Comunque,
nulla toglie al gioco piacevolmente intellettualistico che tra immagini e definizioni
si può trarre secondo un procedimento circolare infinito: il male proviene da specchi
in cui noi stessi ci riflettiamo a guardarlo,
in quanto proprio a noi appartenente; nello stesso tempo ne siamo vittime perché il
male da noi liberatosi diventa di noi più
forte fino a distruggerci.
Questo rimbalzo senza fine potrebbe
poi continuare ancora perché trova riscontro e propellente proprio nel mezzo con cui
viene comunicato, cioè un film, cioè lo
“specchio” per eccellenza dei nostri incubi
personali e di questi mestatore fino a diventarne interprete e padrone. Il film è proprio questo e ce ne dà atto sia il finale con
la distruzione apparentemente catartica
della religiosa, sia il sottofinale, in cui il
bene si trova raggelato in una nuova posizione speculare che bene non può più
essere.
Dà forza a questo assunto la costruzione del film che si avvale di una serie di
punti fermi. La scelta di utilizzare per i fatiscenti magazzini Mayflower un vecchio
palazzo in abbandono della Bucarest di
Ceausescu risulta felice in una somma inquietante di brivido a brivido. Ugualmente
giusta l’opzione narrativa di mantenere il
racconto scisso in due piani separati, ma
anch’essi specularmente riflessi, cioè il
dramma personale del protagonista e della sua famiglia e il mistero nascosto dietro
gli specchi che vivono e parlano.
Kiefer Sutherland, coinvolto qui anche
come produttore, tiene professionalmente
a bada i demoni del protagonista e la realizzazione della pellicola, senza esagerare mai nel truculento e nell’effetto terrore
che sono le vere trappole di ogni horror.
Fabrizio Moresco
BOOGEYMAN 2-IL RITORNO DELL’UOMO NERO
(Boogeyman 2)
Stati Uniti, 2007
Regia: Jeff Betancourt
Produzione: Gary Bryman, Steve Hein, Sam Raimi, Robert G. Tapert per Ghost
House Pictures
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008) V.M.: 14
Soggetto: dai personaggi creati da Eric Kripke
Sceneggiatura: Brian Sieve
Direttore della fotografia: Nelson Cragg
Montaggio: Jeff Betancourt
Musiche: Joseph LoDuca
Scenografia: John Collins
Costumi: Elaine Montalvo
Produttori esecutivi: Joseph Drake, Nathan Kahane
Co-produttori: Matthew Milam, Jennie Yamaki, J.R. Young
Direttori di produzione: Kelli Konop, Jack Shuster
Casting: Lauren Bass, Karen Meisels
Aiuti regista: Nicholas Lee, Elion Olson, Sam Nainoa
Arredatore: John Philpotts
Trucco: Rocky Faulkner, Eleanor Sabaduquia
Acconciature: Tijen Osman, Tina Sims
Effetti speciali trucco: Danielle Noe, Justin Raleigh, Jill Rockow
Effetti speciali: Christian Beckman, Joe Gomez, Joe Reader
Supervisore effetti visivi: Dave Codeglia
Interpreti: Danielle Savre (Laura Porter), Matt Cohen (Henry Porter), Chrissy Griffith (Nicky), Michael Graziadei (Darren), Mae Whitman (Alison), Renée O’Connor
(dott.ssa. Jessica Ryan), Tobin Bell (dr. Mitchell Allen), Johnny Simmons (Paul),
David Gallagher (Mark), Lesli Margherita (Gloria), Tom Lenk (Perry), Sammi Hanratty (Laura da piccola), Jarrod Bailey (Henry da piccolo), Lucas Fleisher (Mr. Porter), Suzanne Jamieson (Mrs. Porter), Christopher John Filed (Detective), Claude
Shires, Kelly Walker (analisti)
Durata: 93’
Metri: 2538
35
Film
L
aura compie 8 anni. Accanto a lei
ci sono i genitori e il fratello undicenne Henry. Durante la festa
i genitori vengono uccisi davanti agli occhi
della bambina che reputa responsabile dell’omicidio l’Uomo Nero. Sono passati dieci
anni. Henry è appena uscito da una clinica
psichiatrica, dopo una cura di circa tre mesi.
Con grande sorpresa di Laura, la informa
che andrà a sostenere un colloquio per un
lavoro a San Francisco. A seguito dell’ennesimo incubo sull’Uomo Nero, Laura si convince a entrare in clinica. Ad accoglierla c’è
la psicologa e coordinatrice del progetto
“Studio sulle fobie”, Jessica. I suoi compagni delle sedute di gruppo, sono la bulimica
Nicky, Paul il germofobo, Allyson che è dedita a tagliuzzarsi il corpo poi Darren, affetto da agorafobia e Mark che soffre ancora
la paura del buio. Il responsabile del reparto è il ferreo Dott. Allen. Laura dormirà nella stessa stanza del fratello, dove trova un
quadro fatto dal ragazzo stesso: Laura che
accende la luce per illuminare un armadio;
alle sue spalle, nel buio, c’è Henry.
La prima sera Mark, sceso nel seminterrato per fumarsi una canna passata di
nascosto dall’infermiere, viene ucciso dall’Uomo Nero dopo un improvviso blackout.
Il gruppo và in crisi. Laura chiama il fratello, che promette d’andare a prenderla il
giorno seguente. La ragazza tenta di fare
amicizia con gli altri, col risultato di avere solo un breve dialogo con Nicky, che le
confida il suo amore per Darren. Jessica
resta a dormire nella clinica.
Paul è il secondo a morire: viene ritrovato dopo aver ingerito del detersivo, mentre numerosi insetti circolano nella stanza.
Jessica, scopre che qualcuno ha manomesso la corrente che controlla le porte e
telefoni: sono bloccati. Non vedendo tornare
l’infermiera scesa per resettare il sistema,
la psicologa decide di scendere. L’uomo
Nero la colpisce con la scossa elettrica.
Laura ritrova il cadavere di Allyson legata al suo letto, piena di vermi che escono dai
tanti tagli sul suo corpo. Darren allontana
Nicky: ha paura delle persone, non vuole attorno una donna che lo ami. I tre scoprono
che Allen è un medico che segue metodi non
molto ortodossi e che non ha firmato il foglio
d’uscita. Darren morirà con la cassa toracica divaricata ed il cuore strappato; mentre il
corpo di Nicky esplode dopo che le hanno
pompato grasso nelle vene. Laura, inseguita
dall’Uomo Nero, si rifugia nel seminterrato
dove trova sia Jessica ancora viva, ma completamente svanita, che Allen. Il medico e
Laura vengono inseguiti dall’Uomo Nero che
alla fine si rivela. È Henry; in un flashback
vediamo che dopo esser stato rinchiuso da
Allen in un armadio al buio, ha completamente perso il senno diventando lui stesso la sua
nemesi. Allen muore. Laura si ritrova nel laboratorio segreto di Henry dove c’è un altro
quadro, identico all’altro solo con l’Uomo
Tutti i film della stagione
Nero al posto di Henry. Laura uccide il fratello, che indossa nuovamente la maschera. Con
l’arrivo della polizia apprende d’aver ucciso
Jessica, messa da Henry al suo posto. Nessuno crederà alla storia raccontata da Laura.
L
’Uomo Nero. In ogni cultura e paese esiste una sua versione con un
nome differente (Bau Bau, Baboulas, Bubak etc), ma con lo stesso obbiettivo
da perseguire: materializzare le nostre paure e incubi per spaventarci e ucciderci.
Purtroppo, in questo film, c’è ben poco
da spaventarsi. Il regista Jeff Betancourt è
qui alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa. E si vede: non c’è crescendo di suspence e le inquadrature ricordano
molto, quelle di Balaguerò nel film Fragile
(2005). Senza scordare che l’ospedale psichiatrico è uno scenario già affrontato da un
grande e, riuscitissimo, mostro del cinema:
Freddy Krueger. In Nightmare 3- I guerrieri
del sogno (1987), un gruppo di ragazzi si
ritrova in clinica, perché perseguitati nel sogno da un mostro che vuole ucciderli; naturalmente, nessuno all’inizio vuole crederci.
In Boogeyman manca quell’unità di gruppo,
data dalla paura comune legata allo stesso
spauracchio; qui, tranne Laura, nessuno crede all’uomo nero. Nessuno prova veramente la paura, quella con la p maiuscola. Viene
quindi a cadere il primo passo per creare un
legame fra lo spettatore e i personaggi. Laura, alias Danielle Savre, che dovrebbe essere la protagonista, sembra quasi un personaggio secondario, talmente è stato delineato in maniera superficiale. È privo di quel
carisma che servirebbe a farci immedesimare in lei e farci tifare per la sua salvezza; non
ha nessuna particolarità che possa farcela
amare. Cosa invece che accadeva con Patricia Arquette in Nightmare 3, dove la protagonista aveva il potere di far entrare le persone nei propri sogni. Gli altri ragazzi della
clinica, quindi, risultano di gran lunga più interessanti di lei. La parte finale poi, specialmente dopo la scoperta dell’identità di Boogeyman, risulta troppo prolissa e noiosa.
Una domanda: chi ha ucciso i genitori
di Laura? Lei che ha assisto all’omicidio
ricorda un uomo alto, non un piccolo essere che dovrebbe essere il fratello. Un
assassino di passaggio? Oppure il vero
Uomo Nero? Se l’obiettivo di Betancourt,
era quello di instillare un minimo di dubbio, non c’è riuscito. Sembra solo una falla
della sceneggiatura.
Un elemento interessante è la presenza
del primo quadro, quello con Laura al centro
ed Henry nel buio, che avrebbe l’obbiettivo
do farci intuire la vera identità di Boogeyman,
a circa mezzora dall’inizio del film.
Al di là di tutti i discorsi psicoanalatici, triti
e ritriti, alla fine il nocciolo è solo uno: la vera
ombra è quella dentro di noi. Tant’è vero che
è un umano a compiere i delitti e non un essere ultraterreno. Ottima idea, ma dal trailer e
dalla locandina ci aspetterebbe ben altro.
La pena riservata ai malcapitati richiama le atmosfere di “La Divina Commedia” e
il contrappasso dantesco. I ragazzi vengono
uccisi in base alla loro paura o per analogia,
ad esempio Paul che per pulire la sua bocca beve il detersivo o per antitesi, con Darren a cui viene sventrato il torace e strappato il cuore; proprio lui che aveva paura di
donare il suo cuore ad una donna.
L’unico vero guizzo rilevante di tutto il film.
Elena Mandolini
SFIORARSI
Italia, 2006
Regia: Angelo Orlando
Produzione: Alessandro Verdecchi per Veradia Film. In collaborazione con MIBAC
Distribuzione: Atalante Film
Prima: (Roma 9-5-2008; Milano 9-5-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Angelo Orlando, Valentina Carnelutti
Direttore della fotografia: Massimiliano Trevis
Montaggio: Erika Manoni
Musiche: Saro Cosentino
Scenografia: Massimo Santomarco
Costumi: Paola Ronco
Aiuto regista: Andrea Caccia
Suono: Alessandro Bonomo, Maricetta Lombardo
Interpreti: Angelo Orlando (Paolo), Valentina Carnelutti (Céline), Giorgio Caputo (Armando), Mimosa Campironi (Vanessa), Alessandro Procoli (Andrea), Bianca Stella Bagnoli
(Teresa), Ettore Belmondo (Federico), Giampiero Judica (Nico), Beatrice Maione (Lisa),
Alessandro Riceci (Francesco), Bernarda Reichmut (Monica), Anna Foglietta (Anna), Valentina Russo (Fabiana), Francesco Carnelutti (regista), Martine Brochard (Odette)
Durata: 99’
Metri: 2750
36
Film
P
aolo è Celine incrociano per la
prima volta i loro destini d’estate, su una spiaggia: Celine è appena una bambina e Paolo, il bagnino, la
vede senza guardarla, senza distinguerla
dai bagnanti riuniti in riva al mare.
Anni dopo, Paolo è diventato un apprezzato fotografo, un uomo rinchiuso nella sua incapacità di crescere, ancora in
difficoltà di fronte alle irruenti visite della
mamma, perso dietro a una sua studentessa poco più che maggiorenne. La sera dell’inaugurazione d’una sua mostra, la storia di Paolo torna a intrecciarsi con quella di Celine, ormai trentenne, attrice teatrale con figlia, appena abbandonata dal
suo compagno; altra figura d’uomo non
più giovane ma ancora grandemente immaturo. L’incontro però è ancora uno sfiorarsi distratto e inconsapevole. Passano i
giorni, Paolo perde la sua ninfa, sedotta
da un amico di lui, Celine cerca un nuovo
equilibrio nella solitudine, aiutata dalla
mamma e dagli amici. All’uscita da una
festa, finalmente i loro sguardi s’incontrano e per la prima volta reciprocamente si
scoprono. I due iniziano un lento appassionato avvicinamento; dopo la passeggiata notturna, la scusa d’un servizio fotografico è l’avvio d’una consuetudine che presto diventa amore. Per Celine Paolo è lo
stupore d’una nuova, inaspettata occasione poco dopo la dolorosa rottura con il
compagno, un’insperata occasione d’essere amata ancora e per davvero. Paolo invece dimostra definitivamente la sua adolescenziale volubile incertezza, facendosi
Tutti i film della stagione
trovare da Celine a letto con la diciottenne. La separazione è inevitabile. Celine
parte per Parigi dove è stata chiamata per
un’interpretazione cinematografica; Paolo, pentito e disperato, la segue col progetto di trovarla e riconquistare la sua fiducia. I due tornano a sfiorarsi per le strade parigine, ma i loro sguardi stavolta non
riescono a incontrarsi.
T
erzo lungometraggio di Angelo
Orlando – regista, attore, sceneggiatore, autore per il teatro e la
tv, nonché scrittore – il film figura nella
sempre più lunga lista di titoli italiani che,
prodotti in modo indipendente, approdano
alla sala grazie a una strategia di promozione “dal basso”. Forse è inutile ricordare
precedenti come Le ferie di Licu o L’estate
di mio fratello (gli esempi, anche solo nella stagione ormai agli sgoccioli, sono molti di più), lungometraggi estromessi dal circuito della produzione e della distribuzione tradizionali – o main stream, se si preferisce – che hanno ottenuto pubblico, visibilità e riconoscimenti solo in grazia di
attente e acute strategie di autopromozione e finanziamento. Il film, scritto insieme
all’attivissima attrice coprotagonista Valentina Carnelutti, ha seguito un percorso simile seppure con risultati di minor rilevanza. Vistosi rifiutare dal ministero il sostegno finanziario alla distribuzione (ma non
quello alla produzione, concesso invece in
seguito al riconoscimento del canonico “interesse culturale nazionale”), e quello ancor meno plausibile dei privati (sempre
poco, troppo poco disposti a scommettere
su linee alternative al già fatto e al già visto) Angelo Orlando, con la sua piccola società “Atalante Film” ha scelto di distribuire il film comunque, e per questo ha trovato l’appoggio strategico dello storico cineclub romano Filmstudio e della rivista “Sentieri Selvaggi”; prevendita dei biglietti (compresa l’asta su Ebay), concorso per cortometraggi a tema, e festa (ingresso a sottoscrizione) in occasione del ventennale
della rivista, le tre “iniziative collaterali”
concepite per tentare d’assicurare una vita
distributiva più lunga alla pellicola.
Fin qui la cronaca dell’intorno. Venendo invece all’analisi del risultato di tanti e
tali sforzi, il film è una delicata commedia
romantica che nell’ingenua originalità di
Orlando, interprete e autore, trova la sua
cifra migliore. La sceneggiatura però mostra non pochi punti deboli, incertezze e
imperizie che rendono esile e sfilacciato
l’impianto narrativo, e tolgono forza alle
idee migliori dei due protagonisti. Pur evitando le facili scorciatoie dei cliché comuni a molto cinema italiano contemporaneo,
la scrittura del film non riesce mai a raggiungere lo spessore e la sostanza sufficienti. Se la prova degli interpreti è in linea
di massima soddisfacente, il progetto nel
complesso mostra una certa generale superficialità. Alla fine si esce dalla sala con
più “appetito” di prima, dimenticando in fretta le immagini troppo anonime dell’ennesimo film “vorrei ma non posso”.
Silvio Grasselli
VICKY CRISTINA BARCELONA
(Vicky Cristina Barcelona)
Spagna/Stati Uniti, 2008
Regia: Woody Allen
Produzione: Letty Aronson, Stephen Tenenbaum, Gareth Wiley
per Mediapro/Gravier Productions/Antena 3 Films/Antena 3
Television
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen
Direttore della fotografia: Javier Aguirresarobe
Montaggio: Alisa Lepselter
Scenografia: Alain Bainée
Costumi: Sonia Grande
Produttore esecutivo: Jaume Rouser
Co-produttore: Helen Robin
Direttori di produzione: Bernat Elias, Oriol Marcos
Casting: Patricia Kerrigan DiCento, Juliet Taylor
Aiuti regista: Daniela Forn, Richard Patrick, Anna Rua, Murphy Occhino, Marcos Gonzalez Palma
Art director: Inigo Navarro
Trucco: Eva Quilez, Ana Lozano
Acconciature: Jesus Martos, Robert Fama, Manolo Garcia
Supervisori effetti visivi: Randall Balsmeyer
Interpreti: Rebecca Hall (Vicky), Scarlett Johansson (Cristina), Javier Bardem (Juan Antonio), Penelope Cruz (Maria Elena), Christopher Evan Welch (narratore), Chris Messina
(Doug), Patricia Clarkson (Judy Nash), Kevin Dunn (Mark
Nash), Julio Perillan (Charles), Juan Quesada (chitarrista),
Richard Salom, Maurice Sonnenberg, Jordi Basté, Paco Mir
(clienti della galleria), Manel Barcelo (dottore), Josep Maria
Domenech (Julio Josep), Emilio de Benito (chitarrista in Astruria), Jaume Montané, Lloll Bertran, Joel Joan (amico di Juan
Antonio), Silvia Sabaté (amica di Juan Antonio), Pablo Schreiber (Ben), Carrie Preston (Sally), Zak Orth (Adam), Abel Folk
(Jay), Michael Bennett (barista della Galleria), Rodrigo Rojas
(ospite della festa)
Durata: 96’
Metri: 2680
37
Film
V
icky e Cristina, giovani – poco
più che ventenni – e belle statunitensi, amiche da sempre, sono
appena arrivate a Barcellona per trascorrervi l’intera estate, ospiti di Judy e Mark,
una coppia di parenti alla lontana di Vicky. Durante il tragitto aeroporto-città, una
voce maschile fuoricampo ci informa su
gusti e ambizioni delle due signorine: Vicky, la bruna, sta per sposare Doug, l’amore (molto ricco) della sua vita, e concilierà questa vacanza con i suoi studi universitari, riguardanti “l’identità catalana”; la
biondissima Cristina, invece, è in Spagna
su consiglio/imposizione dell’amica, per
dimenticare l’ultima storia d’amore (delle
tante) finita maluccio. Tanto è razionale,
decisa e precisa Vicky, quanto è invece allegramente sconclusionata Cristina, che ha
le idee chiarissime, ma soltanto su quel che
non vuole, ovvero una vita pre-ordinata e
pre-vedibile.
Tra una visita alla Sagrada Familìa,
una sbirciatina alle architetture di Gaudì,
un buon bicchiere di vino e gli immancabili concerti “di chitarra spagnola” sotto
le stelle, le giornate scorrono veloci. Una
sera, le ragazze accompagnano Judy e
Mark a un vernissage di un giovane artista locale, tale Juan Antonio, balzato agli
onori della cronaca per il suo recente divorzio con Maria Elena, pittrice anch’ella: durante un furibondo litigio, confida
loro Judy tra l’ammirato e il disgustato,
spuntò fuori – e venne usato – persino un
coltello!
Più tardi, a cena in un ristorante, le
ragazze incontrano nuovamente Juan Antonio, e dopo qualche insistito sguardo da
un tavolo all’altro, il pittore si avvicina e
propone loro di volare con lui fino alla cit-
Tutti i film della stagione
tadina di Oviedo, sul piccolo aereo privato che piloterà personalmente, per trascorrere un fine settimana all’insegna della
cultura locale e dell’amore libero tra tutti
e tre. Vicky impiega meno di un attimo a
rispedire il focoso macho latino al proprio
tavolo, ma dovrà soccombere alla voglia
di avventura dell’amica: a Cristina Juan
Antonio piace e la rassicura sul fatto che
in albergo avranno stanze separate. Dopo
un viaggio un po’ turbolento, con arrivo
alle prime luci dell’alba, i tre trascorrono
l’intera giornata di sabato a zonzo per l’incantevole Oviedo e, la sera, dopo la solita
cena luculliana, Cristina si presenta in
camera di Juan Antonio. I due riescono a
malapena a scambiarsi qualche bacio: la
ragazza sta malissimo e l’attacco di ulcera, diagnosticatole dal medico subito accorso, la terrà a letto per il resto del fine
settimana. Suo malgrado, l’indomani, Vicky trascorrerà l’intera giornata con il tanto detestato pittore, scoprendo con sorpresa che non è poi così insopportabile; contravvenendo a ogni personale regola e alla
più imprevedibile delle previsioni, i due
terminano la serata, dopo il rituale concerto di chitarre spagnole, facendo l’amore in un parco.
Al ritorno a Barcellona, Vicky è un po’
confusa, ma Juan Antonio no: inizia a frequentare assiduamente Cristina e nel giro
di pochissimo tempo i due vanno a convivere nella casa-studio di lui. Oltre che con
la rabbia e la bruciante delusione – Juan
Antonio non l’ha più cercata dalla fatidica sera nel parco –, Vicky si trova ad avere
a che fare anche con Doug, il suo promesso sposo, che, su suggerimento di una coppia di amici, ha deciso di piombare a Barcellona e anticipare il matrimonio vero e
proprio con delle “nozze esotiche” in terra di Spagna. Allo scarso entusiasmo di
lei, dovuto a motivi che certo non può confidargli, lui la tranquillizza, dicendole che
si risposeranno anche a New York, come
previsto. Ora che sta per ottenere tutto ciò
che ha sempre desiderato, la ragazza scopre all’improvviso di non volerlo più.
Durante una festa, Vicky sorprende
Judy mentre si bacia con un caro amico
del marito. Più tardi, la donna suggerisce
alla ragazza di scappare finché è in tempo
e di non commettere il suo stesso sbaglio,
sposando un uomo che chiaramente non
ama; inoltre Doug nel giro di qualche anno
metterà su peso e perderà i capelli, trasformandosi in una persona molto simile
al suo Mark. Vicky sposa Doug e inizia con
lui una vita piuttosto noiosa già in vacanza. I racconti che fa loro Cristina sul suo
ménage à trois con Juan Antonio e Maria
Elena, l’ex moglie di lui entrata stabilmente nelle loro vite – e nella loro casa –, sono
una boccata d’aria fresca per Vicky e qualcosa da condannare per Doug. Cristina
appare felice: ha un uomo e una donna che
l’amano, una promettente carriera da artista (scrive, fa fotografie, frequenta gli
amici artisti di Juan Antonio), ogni giornata la vive intensamente. Vicky si sente in
gabbia e, divisa tra ragione e sentimento,
cerca Juan Antonio, ma il loro incontro è
interrotto da una Maria Elena inferocita e
violenta: addirittura spara alla ragazza,
ferendola a una mano.
L’estate è finita. Vicky torna a casa per
iniziare la sua nuova vita con il marito e
Cristina, stufa della quotidianità che a suo
avviso s’è instaurata anche in un rapporto
così trasgressivo, parte con l’amica, insoddisfatta – più o meno – com’era arrivata.
Q
uando il titolo dice tutto. Due donne e una città bastano a Woody
Allen per comporre un quadretto
brioso e frizzante, forse caliente nelle intenzioni, ma superficialotto e banale nei
risultati. Vicky Cristina Barcelona non è
certo un film che lascerà il segno nella carriera del regista, e quasi sicuramente avrà
vita breve anche nella memoria degli spettatori. Probabile che molti di loro saranno
attratti, oltre che dall’indubbia fama del
prolifico regista, dal tanto strombazzato
bacio saffico tra due delle attrici protagoniste, Penélope Cruz e Scarlett Johansson, e anticamera di chissà quali altre bollenti scene. Mal gliene incoglierà, purtroppo: di commedie Allen ne ha dirette decisamente di migliori – più brillanti, più dissacranti – e per vedere qualcosa di torbido, o almeno di sensuale, meglio rivolgersi altrove. Qui a farla da padrone è una
38
Film
sorta di moralismo un po’ grigio, che si
aggrappa disperatamente alla giovane età
e presunta spensieratezza delle protagoniste, che spinge il regista prima a dipingere due ragazze forti e invincibili, per poi
ribaltare tutto mostrandocele insoddisfatte e annoiate, nonostante ognuna abbia
realizzato il proprio desiderio, dopo averlo
inseguito con tenacia. Crazy, little thing
called love, verrebbe da dire, ma c’è dell’altro. La caratterizzazione dei personaggi, per esempio, è quanto di più schematico si possa immaginare: la razionale tutta
d’un pezzo pronta a sciogliersi come un
cioccolatino al sole, l’artistoide annoiata
ogni tre per due, il macho dallo sguardo
torvo e la camicia sempre un po’ troppo
aperta, il pallido giovane ricco con il sex
appeal di un merluzzo surgelato. C’è da
dire che per Scarlett nuova musa di Allen
Johansson (Cristina) partecipare a questo
film nulla aggiunge e nulla toglie alla sua
carriera, e dobbiamo ammettere che raramente ci ha regalato un’interpretazione
Tutti i film della stagione
così opaca, al contrario di Rebecca Hall
(Vicky), che è una piacevole sorpresa,
mentre da Javier Bardem, francamente, ci
si aspettava qualcosa di più; anche se poi,
in quel ruolo e con quelle battute, cosa
avrebbe potuto fare? A sorpresa, ma neanche troppo, la stella che brilla di più, forse l’unico valido motivo per vedere il film,
è Penélope Cruz, cui Allen affida il ruolo
della loca Maria Elena. L’interpretazione è
decisamente sopra le righe ma sorprendentemente in sintonia con il personaggio,
cui la diligente Cruz sa regalare i giusti
guizzi e gesti indovinatissimi, riuscendo a
trasmettere una sensualità genuina che va
al di là degli abiti – molto teatrali – dalle
generose scollature e gli svolazzanti spacchi che indossa. Perché di centimetri di
pelle esposta Allen ne espone invero pochi, nonostante quel che lascerebbe intuire la voluttuosa locandina.
Ma il punto debole del film risiede nel
piccolo mondo descritto dal regista, popolato da una quantità non precisata di artisti
bohémienne immersi nella bella vita spendacciona e lussuosa, senza dare una spiegazione che sia una su come guadagnino
tanti soldi: sì, dipingono, sono bravi, ma poi?
E Cristina, che fotografa per sé, scrive per
sé, ha persino diretto “un piccolo film” di
dodici minuti sulla definizione dell’amore e
fa vacanze di tre mesi, come può permettersi tutto ciò? Allen ci impone una visione
favolistica di un’Europa che non esiste se
non nell’immaginazione di molti statunitensi, tutta arte-passione-scorci da cartolina,
dove persino il ristorante del primo incontro dei tre protagonisti è il luogo che frequentava Picasso e ogni immagine rimanda a un cliché ben preciso quanto irreale.
Poi, certo, molti scambi di battute sono
brillanti e tante scene funzionano, ma è pur
sempre un Allen minore, lontano anni luce
dalla vena irresistibile, talvolta caustica,
spesso specchio della coeva società di
qualche anno fa.
Manuela Pinetti
THE MIST
(The Mist)
Stati Uniti, 2007
Effetti speciali trucco: Gino Crognale, Jake Garber
Effetti speciali mostro: Gregory Nicotero
Coordinatore effetti speciali: Darrell Pritchett
Supervisori effetti visivi: Kevin Kutchaver (Himani Productions), Thomas Clary, Jerry Pooler (Digital Dream), Everett
Burrell
Coordinatori effetti visivi: Justin Christenson, Jean-Louis
Darville, Andy Simonson
Interpreti: Thomas Jane (David Drayton), Marcia Gay Harden
(Mrs. Carmody), Laurie Holden (Amanda Dumfries), Andre Braugher (Brent Norton), Toby Jones (Ollie Weeks), William Sadler
(Jim), Jeffrey DeMunn (Dan Miller), Frances Sternhagen (Irene
Reppler), Nathan Gamble (Billy Drayton), Alexa Davalos (Sally), Chris Owen (Norm), Sam Witwer (Private Jessup), Robert
C. Treveiler (Bud Brown), David Jensen (Myron), Melissa Suzanne McBride (donna con i bambini a casa), Andy Stahl (Mike
Hatlen), Buck Taylor (Ambrose Cornell), Brandon O’Dell (Bobby Eagleton), Brian Libby (Biker), Susan Malerstein (Hattie),
Mathew Greer (Silas), Juan Gabriel Pareja (Morales), Walter
Fauntleroy (Donaldson), Amin Joseph (M.P.), Kelly Collins Lintz (Steff Drayton), Ginnie Randall, Tiffany Morgan (donne), Kim
Wall (donna spaventata), Julio Cedillo (padre)
Durata: 126’
Metri: 3500
Regia: Frank Darabont
Produzione: Frank Darabont, Liz Glotzer per Darkwoods Productions/Dimension Films
Distribuzione: Keyfilms
Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008) V.M.: 14
Soggetto: dal racconto La nebbia di Stephen King
Sceneggiatura: Frank Darabont
Direttore della fotografia: Ronn Schmidt
Montaggio: Hunter M. Via
Musiche: Mark Isham
Scenografia: Gregory Melton
Costumi: Giovanna Ottobre-Melton
Produttori esecutivi: Pichard Saperstein, Bob Weinstein,
Harvey Weinstein
Co-produttore: Anna Garduno, Randi Richmond
Direttore di produzione: Alissa M. Kantrow
Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood
Aiuti regista: George Bott, K. C. Colwell, Paula Case, Craig
Comstock, Tom Martin
Operatore/Operatore steadicam: Bill Gierhart
Art director: Alex Hajdu
Arredatore: Raymound Pumilia
Trucco: Robin Mathews
Acconciature: Betty Hamnac, Yolanda Mercadel, Tony Ward
U
na cittadina della provincia americana viene sconvolta da una
tempesta. La mattina seguente,
una fitta nebbia emerge dal mare e compare all’orizzonte. David, disegnatore di
poster cinematografici, si reca insieme al
figlio Billy al supermercato per assicurar-
si le ultime provviste. All’improvviso, un
uomo insanguinato irrompe nel negozio,
urlando che qualcosa di spaventoso è
uscito dalla nebbia e lo ha aggredito. Il
pericolo è reale; se ne accorge in breve
tempo anche David, ma non tutti sembrano dargli retta: nella nebbia si nascondo39
no orrendi tentacoli dentati e assetati di
sangue.
Intrappolati e, al tempo stesso, rifugiati
all’interno del supermercato, i clienti finiscono per dividersi in due gruppi. Da una
parte, bersagliati dalle continue litanie
dell’evangelica e fanatica Mrs. Carmody,
Film
quelli che cominciano a convincersi che
dietro tutto questo si nasconda la volontà
divina, sorta di piaga del nuovo millennio
scagliata contro un’umanità sempre più
debole e corrotta; dall’altra, capeggiati,
in qualche modo, da David e sostenuti anche dall’inserviente Ollie, quelli che cercano di fronteggiare la minaccia provando a trovare una soluzione. In mezzo a questi, la minoranza rappresentata da due o
tre persone che, stanca di dover aspettare,
va incontro a morte certa uscendo dal negozio. Che, ora dopo ora, diventa vero e
proprio teatro di guerra: al calare della
notte, altre misteriose creature – attratte
con molta probabilità dalla luce – si
schiantano sulle vetrine, trovando poco più
tardi un varco per raggiungere l’interno.
Alcuni soccombono, mentre tra i superstiti la separazione iniziale si acuisce sempre di più, al punto che lo stesso David inizierà a domandarsi se a spaventarlo di più
siano i mostri che si nascondono nella nebbia o quelli accampati dentro il supermercato. La risposta definitiva al quesito arriverà quando Jessup, giovane soldato,
spiegherà che molto probabilmente quello
che si sta verificando lì fuori è il risultato
Tutti i film della stagione
di alcuni esperimenti militari top secret:
la furia della maggioranza, aizzata dalla
sempre più invasata Mrs. Carmody, sarà
incontrollabile e il ragazzo verrà scagliato fuori nelle fauci della creatura. A quel
punto, con il figlioletto e altre tre persone,
David decide di andarsene. Sale in macchina, si allontana il più possibile, la benzina finisce. Le urla di un mostro gigantesco avvolgono l’alba, non resta che concedersi una morte meno dolorosa: 4 proiettili a disposizione, 4 colpi per evitare agli
altri l’orrore. La nebbia si dirada, delle
urla solo un’eco, i militari iniziano a bonificare il territorio. Per David è l’inizio
di un nuovo, eterno incubo.
C
ostruito sulla struttura classica
del film d’assedio, The Mist riporta Frank Darabont a misurarsi
con Stephen King dopo Le ali della libertà e
Il miglio verde. Abbandonato il contesto carcerario dei due precedenti film, il regista di
origini ungheresi muove dal racconto dell’autore del brivido (presente nella raccolta Scheletri, ed. Sperling & Kupfer), per arrivare alla
perfetta fusione di due approcci narrativi agli
antipodi – l’horror evocativo e quello esplici-
to –, riuscendo a saper prendere il meglio
da alcuni modelli “alti” (Zombie di Romero
per l’ambientazione all’interno di un supermarket e, ovviamente, The Fog di John Carpenter, cineasta omaggiato proprio in apertura, con il poster di The Thing), senza però
dimenticare, né tanto meno svilire il forte impatto metaforico originario (inquietante
l’evangelica Mrs. Carmody interpretata da
Marcia Gay Harden, minaccia poco a poco
ben peggiore dei tentacoli che spuntano misteriosamente dalla nebbia).
Angoscia e disagio accompagnano la
visione per l’intero corso della narrazione,
sempre controllata e progressivamente
indirizzata ad aumentare la tensione, in un
gioco che vede, via via, aumentare la paura a discapito della razionalità. E l’illusione verso un finale liberatorio – la fuga in
auto del protagonista con il figlio e altre
tre persone – accenna solo per un attimo
all’apertura del non-epilogo presente nel
racconto originario, qui drasticamente stravolto verso una chiusura che sconcerta e
colpisce, lontanissima dai canoni a cui siamo ormai noiosamente abituati.
Valerio Sammarco
IN VIAGGIO PER IL COLLEGE
(College Road Trip)
Stati Uniti, 2008
Acconciature: Andrea Young, Milton Buras, Frank Crosby
Coordinatore effetti speciali: Drew Jiritano
Supervisore costumi: Marcia Patten
Supervisore musiche: Lisa Brown
Coreografie: Maria Torres O’Connor
Interpreti: Martin Lawrence (James Porter), Raven-Symone
(Melanie Porter), Brenda Song (Nancy), Kym Whitley (Michelle
Porter), Adam LeFevre (giudice), Eugene Jones (cacciatore), Margo Harshman (Katie), Lucas Grabeel (Scooter), Matthew Schlein (capo dei giurati), Eshaya Draper (Trey Porter), Will Sasso
(Deputato O’Mally), Geneva Carr (Mrs. O’Mally), Na’Kia Bell Smith
(Melanie Porter giovane), Josh Meyers (Stuart), Lonny Ross (guida degli studenti), Donny Osmond (Doug Greenhut), Molly Ephraim (Wendy Greenhut), Kristian Kordula (Nick), Nicholas Leiter
Mele (guardia), Jessica St. Clair (Ms. Prince), Meghan Rafferty
(Mrs. Jones), Jason Kolotouros (Mr. Jones), Lauren Sanchez
(conduttrice televisiva), Joseph R. Gannascoli (Mr. Arcara), Tara
Copeland (Lily Arcara), Chad Hessler (Ted), Thomas R. Polleri
(cameriere), Frank Ferrara Jr. (Rocco), Christopher Jon Gombos (amico di Mr. Arcara), Ashley Clayton (invitata del matrimonio), Lee Wong (Mr. Matsuoka), Mike Hodge (Harold)
Durata: 83’
Metri: 2150
Regia: Roger Kumble
Produzione: Louanne Brickhouse, Kristin Burr, Andrew Gunn
per Walt Disney Pictures/Gunn Films
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia
Prima: (Roma 18-7-2008; Milano 18-7-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Emi Mochizuki, Carrie Evans,
Cinco Paul, Ken Daurio
Direttore della fotografia: Theo van de Sande
Montaggio: Roger Bondelli
Musiche: Ed Shearmur
Scenografia: Ben Barraud
Costumi: Francine Jamison-Tanchuck
Produttori esecutivi: Michael Greene, Anthony Katagas, Raven-Symoné, Ann Marie Sanderlin
Direttori di produzione: Anthony Katagas, Ellen H. Schwartz
Casting: Jennifer Euston, Gail Goldberg, Marcia Ross
Aiuti regista: Doug Torres, Francisco Ortiz, Marta Forns-Escudé, Lauren Guilmartin, Justin Ritson, Jane Chase Wells
Operatore: Candide Franklyn
Art director: Doug Huszti
Arredatore: Catherine Davis
Trucco: Patricia Regan, Margot Boccia, Craig Lindberg, Kamani Sawyer
M
elanie Porter è una giovane studentessa diciassettenne a un
passo dal diploma e quindi dal
conseguente problema della scelta del col-
lege. La ragazza vorrebbe andare alla
Georgetown University, splendida università a più di mille chilometri da casa. Le
sue ambizioni sono però frustate da papà
40
James, capo della polizia di Chicago, padre iperprotettivo e maniaco dell’ordine e
della disciplina, che vorrebbe iscriverla
invece alla Northwestern University, di-
Film
stante solo mezz’ora in macchina. Grazie
ai suoi successi nello studio, Melanie viene notata da uno ‘scout’, proprio di Georgetown e decide di andare a far un giro al
campus per farsene un’idea, unendosi alle
sue due amiche del cuore che invece sono
in viaggio per il college a Philadelphia.
Ma, al momento di partire, James decide
di accompagnare la figlia verso il college,
sperando così di avere tempo più tempo
da passare insieme e di riuscire a convincerla a cambiare università prima di arrivare a Washington. Al viaggio si unisce
anche Trey, il fratellino di Melanie, che si
porta sempre dietro Albert, un maialino
addomesticato che gioca a scacchi e che
ne combina sempre di tutti i colori. Fra
disavventure varie, complice anche un guasto alla macchina, alla sgangherata famiglia Porter si uniscono Doug e Wendy, padre e figlia anche loro in viaggio per il
college. Quando si arriverà a destinazione, ormai James e Melanie hanno imparato a conoscersi meglio e a comprendersi,
ciascuno con le proprie esigenze e i propri
pensieri. Il film si chiude con la famiglia
Tutti i film della stagione
finalmente riunita e affiatata davanti al
tradizionale tacchino del giorno del Ringraziamento.
I
n viaggio per il college è il classico
film per famiglie targato Disney che
regala esattamente quello che promette: buoni sentimenti, interpreti simpatici ancorchè perennemente esagitati,
scontri generazionali a lieto fine, slapstick gag a ripetizione, il tutto per un pubblico pre-adolescenziale accompagnato, o
meno, dai genitori. La trama, esilissima,
prende spunto dall’abitudine tutta americana del viaggio familiare alla scoperta
dei vari college nei quali iscrivere i figli;
l’idea in sé è carina, ma pare decisamente più adatta a un episodio da sitcom che
non a un lungometraggio di quasi un’ora
e mezza. Perno di questo particolare ‘road
movie’ è lo scontro tra padre e figlia. Naturalmente questo non basta a reggere
da solo l’intero film e i ben quattro sceneggiatori hanno quindi tirato fuori dal cilindro il simpatico maialino Albert (dotato
di sconvolgenti capacità che lo portano a
stracciare agli scacchi il suo padroncino
Trey e a risolvere il cubo di Rubik, nonché a distruggere letteralmente un matrimonio dopo una overdose di caffeina...),
che riesce a strappare qualche risatina,
più un doppione demenziale di James e
Melanie con i personaggi decisamente
folli di Doug e Wendy. Protagonisti del film
sono, in piena linea con l’idea di marketing trasversale da sempre padrone di pellicole come questa, la giovane RavenSymoné, star di Disney Channel e al tempo adorabile bambina prodigio nella sitcom anni ’80 I Robinson e il comico americano Martin Lawrence, star di commedie demenziali come Big Mama e Svalvolati on the road e film d’azione come
Bad Boys, discretamente affiatati come
padre e figlia. Dirige senza fantasia né
mordente Roger Kumble, autore in passato di commedie carine come Just Friends e regista di Cruel Intentions, trasposizione in chiave moderna di ‘Le relazioni
pericolose’.
Chiara Cecchini
CHANGELING
(Changeling)
Stati Uniti, 2008
Acconciature: Carol A.O’Connell, Patricia Dehaney-Le May,
Kim M. Ferry, Rhonda O’Neal
Supervisore effetti speciali: Steve Riley
Supervisore effetti visivi: Mark Freund (Pacific Title), Michael Owens
Supervisore effetti digitali: Geoffrey Hancock
Interpreti: Angelina Jolie (Christine Collins), John Malkovich
(reverendo Gustav Briegleb), Jeffrey Donovan (capitano J. J.
Jones), Colm Feore (James E. Davis, capo della polizia), Jason
Butler Harner (Gordon Northcott), Amy Ryan (Carol Dexter),
Michael Kelly (detective Lester Ybarra), Devon Conti (Arthur),
Eddie Alderson (Sanford Clark), Gabriel Schwalenstocker (James Nesbitt), Jason Ciok (Joshua Bell), Devon Gearhart (Jeffrey), Geoffrey Pierson (Sammy ‘S. S.’ Hahn), Gattlin Griffith
(Walter Collins), Frank Wood (Ben Harris), Morgan Eastwood
(ragazzina), Pete Rockwell, Russell Edge, Stephen W. Alvarez
(reporters), John Harrington Bland (dr. John Montgomery),
Pamela Dunlap (Mrs. Fox), Roger Hewlett (agente Morelli),
Wendy Worthington, Riki Lindhome, Dawn Flood (infermiere),
Dale Dickey (paziente), Sterling Wolfe (assistente di Briegleb),
Denis O’Hare (dr. Jonathan Steele), Muriel Minot (segretaria),
Kelly Lynn Warren (Rachel Clark), Colby French (Bob Clark)
Durata: 141’
Metri: 3850
Regia: Clint Eastwood
Produzione: Clint Eastwood, Brian Grazer, Ron Howard, Robert Lorenz per Immagine Entertainment/Malpaso Productions/Relatività Media
Distribuzione: Universal
Prima: (Roma 14-11-2008; Milano 14-11-2008)
Soggetto e sceneggiatura: J. Michael Straczynski
Direttore della fotografia: Tom Stern
Montaggio: Joel Cox, Gary Roach
Musiche: Clint Eastwood
Scenografia: James J. Murakami
Costumi: Deborah Hopper
Produttori esecutivi: Geyer Kosinski, Tim Moore, James Whitaker
Direttore di produzione: Tim Moore
Casting: Ellen Chenoweth
Aiuti regista: Donald Murphy, Katie Carroll, Peter Dress, Efrain
Cortes, Ruby Stillwater
Operatori: Stephen S. Campanelli, Liz Radley
Art director: Patrick M. Sullivan jr.
Arredatore: Gary Fettis
Trucco: Tania McComas, Elizabeth Hoel, JoJo Myers Proud,
Jay Wejebe
L
os Angeles, marzo 1928. Christine Collins è una giovane donna
che vive con suo figlio Walter di
nove anni alla periferia della città. È stata
abbandonata dal marito quand’era incin-
ta e per mantenere se e suo figlio lavora
come centralinista presso una società telefonica. Walter rappresenta tutto per lei e
nei pochi momenti liberi dal lavoro cerca
di trascorrere con lui la maggior parte del
41
tempo. Una mattina di sabato è chiamata
a fare gli straordinari e, a malincuore, è
costretta a lasciare Walter da solo. Al suo
ritorno non trova più il figlio a casa. Comincia delle lunghe ed estenuanti ricerche
Film
che non portano a nulla: Walter sembra
essere sparito senza lasciare traccia. Si rivolge subito alla Lapd, il Dipartimento della Polizia di Stato, ma realizza subito che
non è intenzionato a offrire l’aiuto e il supporto che la donna si aspettava. Cinque mesi
dopo, la polizia, che non gode affatto di una
buona reputazione sembra aver risolto il
caso. Christine si vede infatti consegnare
un bambino che dice di essere Walter, ma
non ha nulla a che vedere con lui, se non
una vaghissima somiglianza.
La polizia, tacciata come corrotta da
gran parte dell’opinione pubblica e nota
per i suoi modi non ortodossi, non vede
l’ora di sfruttare l’ondata di popolarità che
seguirà al ricongiungimento della madre
col figlio. Stordita dalla confusione di poliziotti, reporter e fotografi e sopraffatta
da un insieme di emozioni contrastanti,
Christine accetta di riprendersi il ragazzo
pur sapendo, nel profondo del cuore, che
quel bambino non è il suo Walter. Nei vari
tentativi per convincere la polizia a riprendere le ricerche del figlio, Christine si rende conto che, manifestando il proprio disappunto al comandante Davis e reclamando il suo diritto alla giustizia, non riesce a
ottenere credibilità. L’unico a sostenere la
sua causa è il reverendo Gustav Briegleb,
attivista della comunità presbiteriana locale e da sempre convinto paladino contro
i soprusi del Dipartimento e degli organi
a esso collegati. Christine continua a portare avanti la sua disperata ricerca di risposte e, tra i sostenitori della sua verità,
trova la maestra e il dentista di Walter che
si offrono a testimoniare in suo favore.
Tuttavia la polizia, sostenuta da un’opinione pubblica alla ricerca del lieto fine obbligatorio, pensa bene di mettere il fatto a
Tutti i film della stagione
tacere, facendo internare la donna in manicomio, attribuendole disturbi mentali che
l’avrebbero spinta a non riconoscere nel
bambino suo figlio.
Intanto uno dei pochi poliziotti non ancora avvolti nella morsa della corruzione,
indagando su una scomparsa di un bambino
in Canada scopre una tragedia terribile. Un
giovane californiano, Gordon Northcott, con
l’aiuto di un povero bambino adolescente
aveva rapito e ucciso brutalmente in una
sperduta fattoria ben venti bambini in vari
stati di cui si erano perse le tracce. Tra quei
bambini anche il povero Collins. Venuta alla
luce l’agghiacciante scoperta, Christine dopo
essersi scontrata con la brutalità del manicomio, tramite il reverendo, viene lasciata
libera. Un valido avvocato, Hahn, si offre per
sostenere la sua causa contro il Dipartimento di polizia, mentre lo psicopatico viene preso e giustiziato. Diventata ormai l’eroina dei
poveri, delle donne e degli oppressi, Christine continua a sperare che il figlio sia ancora
vivo. Il comandante della polizia e il suo vice
vengono sospesi dagli incarichi. Dopo qualche tempo, si presenta un ragazzo sopravvissuto all’assassino, che dichiara di essere
riuscito a sfuggire grazie a Walter. Christine
continua a sperare...
R
iportando alla luce dei documenti
e articoli processuali su alcuni
fatti realmente accaduti negli anni
’20, in giacenza negli archivi del municipio
di Los Angeles, lo sceneggiatore J. Michael
Straczynski ricostruisce il caso Collins. Nel
difficile periodo del proibizionismo americano, la Città degli Angeli fu scossa dal coraggio di una donna, Christine Collins, che per
la prima volta osò mettersi contro il sistema.
Sono gli anni della polizia corrotta e violen-
ta, in cui la donna veniva umiliata e trattata
come proprietà, all’insegna di un maschilismo senza compromessi. La città era sotto
l’influenza dispotica di un capo di polizia che,
con l’assenso del sindaco, usava per combattere la criminalità gli stessi metodi dei delinquenti, facendo un tipo di giustizia sommaria, senza regolare processo.
Lo stesso trattamento veniva riservato
a tutti coloro che contestavano o potevano
“mettere in imbarazzo” i tutori dell’ordine.
Per questi ultimi c’era, come previsto dall’articolo 12, senza vie di mezzo, l’internamento immediato in ospedale psichiatrico.
Così anche l’istituzione sanitaria diventava
un mezzo per discriminare il gentil sesso.
Tanti insomma gli spunti di riflessione nell’ennesimo film di denuncia di Clint Eastwood. La visione degradata dell’America che
Eastwood tratteggia appare “spietata” e non
ci sono filtri per lo spettatore. Non vengono
risparmiate neanche scene forti come quella di un elettroshock o di un’impiccagione,
seppure nel finale si ricerchi, in qualche
modo, l’happy ending. In mezzo a tanta violenza, emerge forte la figura di una “madre
coraggio” che fa del suo amore materno uno
scudo contro la corruzione del Potere. Una
donna della classe operaia che è sempre
pronta a lottare e a non darsi mai per vinta.
Umiliata, violata nella sua dignità e fatta
passare per pazza, riesce nell’impresa di
smascherare l’incapacità della polizia e l’immoralità presente al suo interno. All’insegna di una lezione dove a prevalere è lo
spirito di giustizia, ma è soprattutto un inno
e un’iniezione di speranza.
Con lo stile classico e impeccabile che
lo contraddistingue, Eastwood realizza una
pellicola incalzante, commovente e piena
di colpi di scena, che fa scorrere veloci i
140 minuti di durata. Sostenuto da una solida sceneggiatura, Changeling gode di
una ricostruzione storica e scenografia
davvero notevoli. Plauso all’ottima fotografia di Tom Stern che si avvale di un gioco
di luci e ombre, miscelando bianchi e neri
iniziali ai colori ocra tipici degli anni ’20. Il
rosso vivo del rossetto e il nero acceso del
trucco della protagonista, come la passione che la contraddistingue, arrivano come
un pugno nello stomaco e bucano lo schermo. Angelina Jolie interpreta a perfezione
l’immagine di una donna determinata, con
i suoi dolori, dubbi e insieme l’ostinazione
di una madre alla ricerca spasmodica del
figlio. L’attrice, notevolmente dimagrita per
entrare nella parte, è davvero in uno stato
di grazia e in odore di Oscar. Anche John
Malkovich, nei panni del reverendo rivoluzionario, è ammirevole e convincente.
Veronica Barteri
42
Film
Tutti i film della stagione
CAMBIO DI GIOCO
(The Game Plan)
Stati Uniti, 2007
Regia: Andy Fickman
Produzione: Mark Ciardi, Gordon Gray per Walt Disney Pictures/Mayhem Pictures/Monkey Dance Productions
Distribuzione: Walt Disney Motion Pictures Italia
Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008)
Soggetto: Nichole Millard, Kathryn Price, Audrey Wells
Sceneggiatura: Nichole Millard, Kathryn Price
Direttore della fotografia: Greg Gardiner
Montaggio: Michael Jablow
Musiche: Nathan Wang
Scenografia: David J. Bomba
Costumi: Genevieve Tyrrell
Produttore esecutivo: Richard Luke Rothschild
Direttori di produzione: Paul Moen, Mike Tidwell
Casting: Sheila Jaffe
Aiuti regista: Geoffrey Hansen, Sunday Stevens
Operatore: Jody Miller
Art director: James Edward Ferrell Jr.
Trucco: Jeff Dawn, Malinda Bennett, Mary Ellen James, Louis
Lazzara
Acconciature: Charlotte Parker, Rachel Solow, Elizabeth Cecchini
Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson
J
oe Kingman è il famosissimo
quarterback della squadra di football dei Rebels di Boston. Grande fan del “Re” Elvis Presley, è un uomo
ricco e invidiato, ha una bellissima casa,
frequenta splendide modelle, guida una
lussuosa Mercedes, passa le serate da una
festa all’altra ed è il proprietario di un locale notturno alla moda. Un giorno, la sua
vita subisce un brusco scossone quando
alla sua porta si presenta la piccola Peyton.
La bambina dice di essere sua figlia, nata
da un suo precedente matrimonio. Peyton
dice di dover stare con lui per un mese,
perché la mamma è occupata in una missione umanitaria in Africa. Sconvolto, Joe
chiama la sua agente, Stella, che, da fredda donna d’affari, non accetta di buon grado quella nuova presenza nella vita del giocatore. La convivenza si dimostra un disastro, soprattutto per un uomo come Joe,
egoista ed egocentrico, geloso dei suoi lussi
spesso non adatti a una bambina di otto
anni. Dopo aver presentato alla stampa sua
figlia, Joe viene costretto dalla piccola a
iscriverla in una scuola di danza. Lì la
bambina colpisce l’insegnante Monique
Vasquez per il suo talento. L’insegnante accetta Peyton nella scuola, ma pretende che
Joe sia una presenza attiva durante le lezioni. Col passare del tempo, Joe sembra
smussare il suo egoismo per il bene della
piccola. Dal canto suo, Peyton è molto furba e sa come intenerire il padre nei mo-
Supervisori effetti visivi: Dan Dixon (Intelligent Creatures
Inc.), Stephen Sobisky (Sandman Studios)
Coordinatori effetti visivi: Mike Tidwell (Sandman Studios),
Andy Simonson
Supervisore musiche: Jennifer Hawks
Supervisore costumi: Heidi Higginbotham
Interpreti: Dwayne ‘The Rock’ Johnson (Joe Kingman), Madison Pettis (Peyton Kelly), Kyra Sedgwick (Stella Peck), Roselyn Sanchez (Monique Vasquez), Morris Chestnut (Travis
Sanders), Hayes MacArthur (Kyle Cooper), Brian J. White
(Jamal Webber), Jamal Duff (Clarence Monroe), Paige Turco (Karen Kelly), Tubbbs (Spike), Gordon Clapp (coach Mark
Maddox), Kate Nauta (Tatianna), Robert Torti (Samuel Blake
jr.), Jackie Flynn (Larry il portiere), Lauren Storm (Nanny
Cindy), Marv Albert, Boomer Esiason, Jim Gray, Stuart O.
Scott, Steve levy (se stessi), Eric Ogbogu (Drake), Christine
Lakin (Nichole), Elizabeth Chambers (Kathryn), Brian Currie (Bo l’allenatore), Fiona Gallagher (Dott.ssa Converse),
Jack Eastland (ER Dottore), Rachel Harker (Mrs. Jensen),
Ed Berliner (manager), Armen Garo (cabbie), Roger Dillingham Jr. (Paparazzi)
Durata: 110’
Metri: 3040
menti di maggiore difficoltà. Il duro Joe si
innamora della bambina, le crea una nuova cameretta, la porta alle feste dei coetanei e decide di accettare di partecipare al
saggio finale della scuola di danza. Lo
spettacolo è un successo e Joe conquista il
pubblico e i compagni di squadra per le
inaspettate doti di ballerino. Intanto per i
Boston Rebels si avvicina il giorno della
partita finale, in cui è in gioco la vittoria
del campionato. Ma la verità viene a galla: Sarah, la madre di Peyton, è morta da
sei mesi in un incidente e la piccola è affidata alle cure della zia Karen, dalla quale
era scappata per venire a Boston per conoscere suo padre. Subito dopo aver confessato la verità, la bambina è colpita da
shock anafilattico per aver ingerito delle
noci a cui è allergica. In ospedale si precipita Karen che ha scoperto le bugie che le
ha raccontato la piccola. Joe cerca di convincere la donna di essere cambiato e di
voler tenere la bambina con sé, ma la donna parte con Peyton. A casa, Joe trova una
vecchia lettera dell’ex moglie che gli confessava di aver scoperto di essere incinta
dopo che avevano deciso di separarsi. Una
figlia sarebbe stata un ostacolo per la sua
carriera. Il giorno della finale, Joe ha un
infortunio ed esce dal campo. Mentre si
trova in infermeria, sopraggiunge a sorpresa Peyton che gli confessa di voler restare con lui. Anche la zia Karen è d’accordo, la bambina ha bisogno del padre.
43
Grazie a Peyton, Joe trova la forza di rientrare in campo e di conquistare la vittoria
finale. Non ha vinto solo il campionato, ma
qualcosa di molto più importante.
C
i avevano già provato quei colossi di Vin Diesel (con Missione
tata) e Arnold Schwarzenegger
(con titoli come Un poliziotto alle elementari o Una promessa è una promessa) a
calarsi in panni “teneroni”. Ora tocca a “The
Rock”. Mai soprannome fu più azzeccato
come quello dell’attore Dwayne Johnson.
Anche nel film si gioca con le misure: la
stazza del gigantesco attore contro la piccola attrice in erba troneggia sul manifesto e per tutto il film.
Tra un balletto di danza classica e una
fiaba della buonanotte, tra una zuccherosa
versione del classico di Elvis “Are You Lonesome Tonight” e la sfida a ritrovarsi strass
colorati, attaccati perfino sulla più costosa
delle giacche, il nostro fusto si destreggia
con inaspettata grazia alla conquista del
cuore della piccola. Prenderà coscienza che
la sfida più grande è acquistare pazienza,
dolcezza, altruismo, tutto ciò che serve a un
genitore per crescere con amore un figlio.
Commedia familiare piena zeppa di
luoghi comuni che procede inanellando
situazioni scontate verso un banalissimo
finale, il film ridonda di un’eccessiva dose
di melassa che incollerebbe anche il palato più facile.
Film
E, anche se Dwayne “The Rock”
Johnson (tra i suoi film ricordiamo La
gang di Gridiron e Be Cool) giganteggia almeno sul piano fisico e la piccola
e riccioluta Madison Pettis (al suo esor-
Tutti i film della stagione
dio cinematografico) è davvero deliziosa, la pellicola diretta da Andy Fickman
è una delle uscite della Walt Disney relegate ai mesi estivi e destinate alle semideserte sale di qualche multiplex. E
più che a un Cambio di gioco lo spettatore si ritrova a sperare in un cambio di
sala!
Elena Bartoni
-2- LIVELLO DEL TERRORE
(P2)
Stati Uniti, 2007
Aiuti regista: Chi Fung, Patrick Arias, John Sauvé, Robert
Gardiner, Christine Harrington
Operatore: Brian Gedge
Art director: Andrew Hull
Arredatore: Liesl Deslauriers
Trucco: Diane Mazur
Acconciature: Etheline Joseph
Coordinatore effetti speciali: Brock Jolliffe
Supervisore effetti visivi: Jamison Scott Goei
Supervisore musiche: Buck Damon
Interpreti: Wes Bentley (Thomas), Rachel Nichols (Angela), Simon Reynolds (Mr. Harper), Philip Akin (Karl), Stephanie Moore (voce di Lorraine), Miranda Edwards (Jody), Paul Sun-Hyung
Lee (uomo nell’ascensore), Grace Lynn Kung (donna nell’ascensore), Bathsheba Garnett (donna senzatetto), Philip Williams,
Arnold Pinnock (poliziotti), Frank Khalfoun (giornalista)
Durata: 98’
Metri: 2545
Regia: Franck Khalfoun
Produzione: Alexandre Aja, Erik Feig, Gregory Levasseur, Patrick Wachsberger per P2 Productions/Summit Entertainment
Distribuzione: Eagle Pictures
Prima: (Roma 25-7-2008; Milano 25-7-2008) V.M.: 14
Soggetto: Alexandre Aja, Grégory Levasseur
Sceneggiatura: Franck Khalfoun, Alexandre Aja, Grégory Levasseur
Direttore della fotografia: Maxime Alexandre
Montaggio: Patrick McMahon
Musiche: tomandandy
Scenografia: Oleg M. Savytski
Costumi: Ruth Secord
Produttori esecutivi: David Garrett, Bob Hayward, Alix Taylor
Produttori associati: Andrew Matosich, Mimi Tseng
Co-produttori: Greg Copeland, Daniel J. Heffner, Jean Song
Direttore di produzione: Greg Copeland
Casting: Mark Bennett, Robin D. Cook
È
la Vigilia di Natale. La giovane
Angela, donna in carriera in
un’importante società, è costretta agli straordinari in ufficio. Sollecitata
delle insistenti chiamate della madre e della sorella che la vogliono puntale a cena,
finisce il suo lavoro e lascia l’ufficio, quando nel palazzo il portiere sta già chiudendo. Nel parcheggio sotterraneo ci si mette
la sua automobile, che non vuole partire.
Una prima richiesta di aiuto a un solitario
e ambiguo guardiano notturno, Thomas,
non produce gli effetti desiderati. Ad Angela non resta che chiamare un taxi, salvo
poi perderlo perché tutte le uscite sono state già chiuse. Tornata nel sotterraneo, tenta di reperire nuovamente Thomas quando
un black-out la disorienta. Improvvisamente, il flebile bagliore del suo cellulare illumina il guardiano, dietro di lei. Stordita,
perde i sensi.
Al risveglio, nonostante lo stato confusionale, Angela riconosce l’interno della postazione di Thomas. Il guardiano le
parla tranquillamente, preparando un cena
natalizia da consumare insieme, mentre lei
realizza di essere incatenata al tavolo, spogliata dei suoi indumenti e con indosso solo
la sottoveste. Dopo un vano tentativo di
fuga, decide di assecondare l’uomo nella
conversazione; ma lo sottovaluta. Il giovane, follemente lucido e minacciosamen-
te calmo, è infatti difficile da abbindolare
e smaschera con facilità anche le artificiose illazioni di Angela riguardo la venuta di un fantomatico fidanzato. Per di più,
dimostra di conoscere la vita privata della
ragazza e le mostra un video di sorveglianza in cui è oggetto di molestie da parte di
un collega ubriaco nell’ascensore. Terrorizzata e ammanettata, Angela viene portata in un angolo del parcheggio dove il
collega incriminato è stato immobilizzato
a una sedia. È chiaro che Thomas nutre
per lei un sentimento paranoico e possessivo: dichiarandosi suo vendicatore, infierisce sul malcapitato fino a trucidarlo spietatamente sotto gli occhi della ragazza
impotente. Solo una scatto di volontà le
permette di aprire lo sportello della macchina e fuggire.
È l’inizio di una caccia spietata. Mentre Thomas si aggira per gli umidi androni
del parcheggio, Angela tenta in ogni modo
di guadagnare l’uscita, senza successo.
Anche l’ascensore si rivela inutilizzabile e
per stanarla Thomas lo allaga, precipitandole addosso il cadavere del portiere. Disperata ma non rassegnata, la ragazza telefona alla polizia implorando aiuto e nel
farlo perde il cellulare. In breve è di nuovo
nella mani del suo rapitore.
Poco dopo, una volante della polizia
setaccia il parcheggio sotto gli occhi vigili
44
di Thomas, che nel frattempo ha rinchiuso
il suo ostaggio nel bagagliaio di un’auto.
Nonostante le grida, i poliziotti non si accorgono di nulla e lasciano il palazzo. Angela è comunque riuscita di nuovo a liberarsi. Ormai il confronto con il guardiano
è inevitabile. L’ultimo inseguimento è in
macchina ed è la giovane ad avere la meglio: ammanettato il suo carceriere al volante, lo finisce cospargendolo di benzina
e incendiandolo. Quando esce in strada, è
ormai la mattina di Natale e le sirene in
lontananza segnalano l’arrivo dei tanto
agognati soccorsi.
C
on tre ingredienti dall’efficacia
manipolatrice inesauribile, l’esordiente Franck Khalfoun confeziona un thriller al cardiopalma di sufficiente
fattura: l’ambientazione claustrofobica, nonché labirintica, di un parcheggio interrato nel
centro metropolitano; la lucida, calcolatrice
follia di un villain tanto feroce quanto imprevedibile; la protagonista femminile oggetto
prescelto di un’ossessione maniacale, destinataria di soprusi e violenze psichiche che
incrociano voluttà libidiche e paranoie possessive. Un tris di iniettori narrativi che non
si faticherà molto a inquadrare in un modulo
ad alta tensione ben lontano dalla novità, da
tempo acquisito nella tassonomia dei sottogeneri americani e peraltro portato al fulcro
Film
della sua riconoscibilità negli anni’80 da un
titolo – divenuto poi notevolmente popolare
– come Oltre ogni limite, con una Farrah
Fawcett preda di un efferato intruso nella sua
casa. E se il film-modello di Robert M.Young
interveniva a tramutare una tranquillità domestica assodata in una furia violenta e quasi primordiale - dotando la pellicola di una
connotazione inattesa e spiazzante, eccedendo nei preordinati dosaggi di ferocia vigenti negli anni ‘80 - quello di Khalfoun si
adopera a squarciare l’imbottitura manieristica del filone odierno attraverso sferzate
gore e splatter che l’impostazione d’avvio
non avrebbe lasciato presagire. Un punto a
favore ai fini dell’innesco suspense che si
aggiunge ai meriti più autentici dell’operazione, le valide performance dei due giovani
protagonisti. Rachel Nichols – le cui somiglianze fisionomiche con Jodie Foster rimandano all’hopperiano Ore contate, altro cult
Tutti i film della stagione
del plot a ostaggio – esprime il meglio del
suo ruolo nelle punte estreme della disperazione, quando il gioco al massacro con il suo
aguzzino è ormai innescato e definito. È però
il ritratto di Wes Bentley a meritare maggior
plauso, vero motore d’azione del film, nonché valvola di sicurezza e rete di salvataggio di uno script dal ritmo altalenante, non
privo di fragilità. Generazione Tobey Maguire (ma, a beneficio, di cronaca bisognerà ricordare come la sua prova in American Beauty fosse in anticipo sull’impostazione recitativa di molti colleghi a venire), l’attore americano investe decisamente in quell’aria di
ambigua determinazione e indecifrabile presenza nel connotare un personaggio perfettamente in equilibrio tra la quiete e la tempesta; un lavoro principalmente di sottrazione che non frana negli interventi di marcatura esasperata.
La sua prova, come detto, soprag-
giunge in più di un’occasione a stampella dei cali di sceneggiatura, perlopiù
ascrivibili a lungaggini estremamente
protratte. I dialoghi smisuratamente diluiti (l’inizio della prigionia nella cabina
del guardiano e il botta e risposta attraverso l’interfono dell’ascensore) sono i
principali segnali del difetto di scrittura
e lasciano ipotizzare l’inefficace adattamento al lungometraggio di un soggetto inizialmente concepito per la forma
breve. Forma in cui, molto probabilmente, Khalfoun avrebbe tramutato in decisamente riuscito un esordio che, in 98
minuti di svolgimento, si rivela soltanto
saltuariamente interessante, pur rimanendo un prodotto pienamente capace
di soddisfare la specifica utenza di genere.
Giuliano Tomassacci
THE HURT LOCKER
(The Hurt Locker)
Stati Uniti, 2008
Regia: Kathryn Bigelow
Produzione: Kathryn Bigelow, Mark Boal, Nicolas Chartier, Greg
Shapiro per First Light Production/Kingsgate Films
Distribuzione: Videa CDE
Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Mark Boal
Direttore della fotografia: Barry Ackroyd
Montaggio: Chris Innis, Bob Murawski
Musiche: Marco Beltrami, Buck Sanders
Scenografia: Karl Juliusson
Costumi: George L. Little
Produttore esecutivo: Tony Mark
Co-produttore: Donall McCusker
Direttore di produzione: Karima Ladjimi
Casting: Mark Bennett
Aiuti regista: David Ticotin, Nicolas Duchemin Harvard, Yanal
Kassay
Operatore: Duraid Munajim
Art director: David Bryan
Arredatore: Amin Charif El Masri
N
ella Baghdad dei giorni nostri,
l’unità militare statunitense denominata EOD è impegnata in
azioni di sminamento del territorio. Le
operazioni sono difficili, ogni oggetto può
nascondere un ordigno, ogni abitante del
luogo, anche anziani e bambini, possono
rivelarsi letali spie o potenziali killer. Per
questo la EOD (Army Explosive Ordnance Disposal) ha un turn over molto rapido
dei propri uomini (quaranta giorni, e sembrano un’eternità): la pressione psicologica è altissima, le condizioni di vita difficili. All’amato e rispettato predecessore,
Trucco: Daniel Parker, Robin Pritchard
Acconciature: Janice Rhodes, Daniel Parker
Supervisore effetti speciali: Richard Stutsman
Effetti speciali: Ernst Gschwind
Effetti visivi: Dan Lopez, Alex Romano, Doug Spilatro
Supervisore musiche: John Bissell
Supervisore costumi: Moira Anne Meyer
Interpreti: Jeremy Renner (Sergente William James), Anthony
Mackie (Sergente JT Sanborn), Brian Geraghty (Owen Eldridge), Guy Pearce (Sergente Matt Thompson), Ralph Fiennes
(caposquadra mercenari), David Morse (Colonnello Reed),
Christian Camargo (colonello John Cambridge), Suhail Aldabbach (uomo in nero), Sam Spruell (caposquadra Charlie), Sam
Redford (caposquadra Jimmy), Erin Gann (poliziotto), Justin
Campbell (Sergente Carter), Ryan Tramont (guardia), Malcolm
Barrett (Sergente Foster), J.J. Kandel (guardia), Michael Desante (traduttore iracheno), Kate Mines, Kristoffer Ryan Winters (soldati)
Durata: 130’
Metri: 3500
dilaniato da un’esplosione proprio sotto gli
occhi dei suoi soldati, viene sostituito William James, sergente maggiore insondabile e assolutamente sprezzante del pericolo. Spesso l’uomo agisce senza rispettare
ordini e schemi precostituiti, mettendo realmente a repentaglio la propria vita: è
subito chiaro per tutti che non potrà rimpiazzare nei cuori dei soldati il molto più
paterno sergente che l’ha preceduto. Tuttavia, con più di ottocento ordigni disinnescati, un numero davvero incredibile, ha
dalla sua la stima dei superiori – disposti
a chiudere un occhio su comportamenti
45
poco ortodossi – ma non dei suoi giovani
sottoposti, tra cui l’afroamericano Sanborn
e il perennemente spaurito Eldridge. William James è una sorta di leggenda vivente, anche se lui pare non curarsene troppo
e riservare a chiunque il medesimo atteggiamento brusco, al limite dello schivo.
Eppure non è quell’uomo freddo, incapace di provare sentimenti quale appare a una
rapida occhiata.
Nei pressi della base, tollerato e controllato dai militari statunitensi, c’è un piccolo mercato gestito dai locali, esclusivamente ad uso e consumo dei soldati. La
Film
merce in vendita appartiene al classico
repertorio che può interessare i militari
lontani da casa: dvd pirata di film americani, videogiochi, qualche film pornografico, sigarette. William si serve ogni giorno da un bambino iracheno, detto Beckham
per la maglietta da calcio che non toglie
praticamente mai; il sergente acquista un
po’ di tutto, talvolta si arrabbia più o meno
bonariamente per aver ricevuto merce difettosa, spesso si intrattiene a tirare qualche calcio a pallone, che gli ha regalato
lui stesso. Il loro rapporto assomiglia sempre di più a una strana amicizia. Il soldato
e il bambino, il grande americano e il piccolo iracheno.
Intanto i rapporti all’interno della
squadra diventano più stretti, anche se di
poco; i ragazzi iniziano a conoscere meglio questo mago del disinnesco, attaccato al suo lavoro al punto da conservare, in
una scatola sotto il letto, un pezzo di ogni
ordigno che ha incontrato sulla sua strada, come ricordo di qualcosa che avrebbe
potuto ucciderlo. William è andato ovunque ci sia stato un conflitto negli ultimi
anni, è stato in Afghanistan e in Iraq più
volte, facendosi sempre notare tanto per le
sue qualità quanto per l’atteggiamento al
limite con il masochismo. Avere a che fare
con lui, tuttavia, continua a non essere facile: spesso sembra agire per puro istinto,
senza ragionare: durante le operazioni si
spoglia delle protezioni per essere più libero nei movimenti, non risponde alle chiamate radio, è capace di rischiare la vita
per tornare indietro a prendere un paio di
guanti – i suoi guanti.
I giorni trascorrono lenti, tra vicoli
caotici e strade polverose, ogni missione è
diversa dalle altre, eppure sempre uguale.
Tutti i film della stagione
Un padre di famiglia iracheno, kamikaze
contro la sua volontà, è forse il primo “ordigno” che William non riesce a disinnescare. Il pover’uomo è stato imbottito di
esplosivo, costretto a diventare eroe di una
causa in cui non crede e i tentativi di liberarlo dalla spaventosa quantità di lucchetti
che assicurano il tritolo al suo corpo si riveleranno prima frustranti, poi vani. Giorni dopo, avviene il ritrovamento di una
sorta di super bomba all’interno di un automobile parcheggiata dove può fare quanti più danni sia possibile immaginare. Lo
spavaldo sergente James l’affronta col piglio di un soldato selvaggio, mettendo a
repentaglio la propria vita e quella di
chiunque si trovi in un raggio di parecchie
centinaia di metri, ignorando i ripetuti
appelli alla resa che gli gridano tanto i
superiori quanto i subordinati. Naturalmente avrà ragione lui ed è con estrema
soddisfazione che taglierà l’ultimo filo colorato che renderà innocuo l’ordigno, ma
è un altro l’evento che mostrerà cosa si
nasconde dietro quello sguardo beffardo.
Perché quando William perde di vista il
bambino iracheno, la sua furia si scatena.
Crede di riconoscerlo in un corpicino straziato e imbottito di tritolo, abbandonato
su un arrangiato tavolo operatorio di un
covo di estremisti combattenti. Il sergente
perde la ragione di fronte alla maglietta di
Beckham insanguinata, inizia a cercare i
responsabili di tale atrocità. La questione
è ora squisitamente personale, evade nottetempo dalla base, si perde nei bassifondi
di una città che credeva di conoscere, fa
ferire gli incauti giovani soldati che l’hanno voluto seguire nella folle impresa. È
davvero giunto il momento di tornare a
casa.
46
Con stupore scopriamo che il sergente
senza paura e che si comporta come se
nulla avesse da perdere, negli Stati Uniti
ha una moglie e un figlio piccolissimo. Ma
il richiamo della guerra è troppo forte, e
(troppo) presto William è pronto a ripartire: per lui, come per molti altri, il vero tornare a casa è rientrare a far parte di una
qualunque guerra e la normalità è tornare
a combattere.
L
a guerra come ossessione, ma,
soprattutto, come droga. A sei
anni di distanza da K-19 The
Widowmaker, Kathryn Bigelow torna a misurarsi con una realtà dura in un’ambientazione inospitale (là era un sottomarino russo, qui l’odierna città di Baghdad), che la
regista affronta col solito piglio visionario e
senza cedere spazio a inutili sentimentalismi. La routine quotidiana di chi rischia la
propria vita per salvarne altre, non una ma
quattro, cinque, sei volte al giorno, è raccontata con stile asciutto e adrenalinico, con
un ritmo ferratissimo che, in particolare nella
prima mezz’ora, non lascia tregua, mai.
Strade polverose, mani che frugano indomite tra la spazzatura che potrebbe nascondere chissà quale ordigno, sguardi concentrati di soldati che si posano sugli indecifrabili volti degli iracheni (amico o nemico?); e
poi l’occhio meccanico del piccolo robot che
precede l’artificiere umano, l’istante sospeso in cui si taglia l’ultimo filo (il rosso o il
blu?), un solo sbaglio e non ci sei più e il
momento in cui tutto sembra finito e rilasci
la tensione è proprio il più pericoloso. Ciò
che resta dei caduti, effetti personali e poco
altro, verrà rispedito ai familiari in patria in
una “cassetta del dolore” (hurt locker), una
candida scatoletta rettangolare con l’ardire
di riassumere una vita umana e giustificarne, forse, la morte. Un capannone pieno di
cassette del dolore è una visione che, come
banalmente si dice, vale più di mille parole.
Kathryn Bigelow racconta, con cura,
ogni dettaglio, mostra le immagini della
guerra moderna meno “coperta” dai mass
media, quindi più misteriosa, forse più
manipolabile da chi muove i fili del potere
e dell’informazione. La sua scelta è precisa: la realtà, anziché la verità, l’oggettività
al posto della più comoda arbitrarietà. Fondamentale l’apporto, nella doppia veste di
ispiratore e consulente alla sceneggiatura, del reporter di guerra – nonché vincitore di un Premio Pulitzer, nonché docente
a Princeton, già inviato di guerra per il New
York Times – Mark Boal, due anni (2003 e
2004) vissuti a stretto contatto con le truppe di stanza in Iraq, al seguito proprio di
una unità EOD. Dalla sua esperienza aveva già attinto Paul Haggis un paio di anni
Film
orsono per In the Valley of Elah, pure in
concorso alla Mostra del Cinema di Venezia come il film di Kathryn Bigelow quest’anno; quest’ultimo un po’ meno baciato
dal successo di critica e pubblico.
Della ricca e unica esperienza di Boal,
quel che ha colpito la regista, convincendola all’istante a realizzare un film, è stato
un piccolo dettaglio: gli artificieri combattono la loro guerra contro l’esplosivo armati soltanto di semplici pinze. Certo, indossano un’ingombrante tuta protettiva,
che sembra adatta per uno sbarco su Marte, ma la loro unica arma è un paio di pinze. Pinze e intelligenza, cui il protagonista
del film aggiunge una grossa dose di
Tutti i film della stagione
sprezzo del pericolo. A differenza della
guerra del Vietnam, i militari di stanza in
Iraq sono tutti volontari. Scelgono di essere lì, di avere a che fare con il pericolo, di
sfiorare la morte ogni giorno. E, quando
l’incarico è finito, il ritorno a casa è un incubo, il desiderio di tornare al fronte si fa
improrogabile come quello di un tossico in
astinenza dalla droga. Verso il finale, vediamo il sergente James, tornato negli States, mentre è al supermercato con il figlioletto: è sperduto davanti alla parata di varietà di cereali da prima colazione, indeciso sul da farsi, quasi in crisi. L’uomo capace di fare la scelta giusta nel minor tempo
possibile e in ben altre situazioni, ora non
esiste più. Per ritrovarlo, e per ritrovare se
stesso, William deve tornare al più presto
in guerra e rivestire i panni del sergente
James, ricominciare il ciclo perpetuo, ancora e ancora.
Cosa ci dice Kathryn Bigelow sulla
guerra che non sapessimo già? Probabilmente nulla, ma ci mostra, con le migliori
intenzioni, il lato più umano – ma anche
amaramente tragico – del fronte americano, senza emettere giudizi, e regalandoci
il ritratto di un uomo in equilibrio perfetto
tra coraggio e alienazione. E, va detto,
quasi posseduto da buona dose di follia.
Manuela Pinetti
LE MORTI DI IAN STONE
(The Deaths of Ian Stone)
Gran Bretagna/Stati Uniti, 2007
Acconciature: Susie Munachen, Michael Ornelaz
Effetti speciali trucco: Dawn Dininger, Simon Webber
Supervisore effetti speciali: John Rafique
Supervisori effetti visivi: Chris Holmes (I.C.O Entertainment Inc.), Jesh Murthy (Anibrain), Dennis Michelson
Coordinatore effetti visivi: Dawn Turner
Interpreti: Mike Vogel (Ian Stone), Jaime Murray (Medea), Christina Cole (Jenny Walker), Michael Feast (Gray), Charlie Anson (Josh Garfield), Michael Dixon (Brad Kopple), George
Dillon (arbitro), Marnix Van Den Broeke, Jeff Peterson (mietitori), Andrew Buchan (Ryan), Bill Nash (uomo terrorizzato),
Anthony Warren (Carl), Jason Steadman (pedone), Jason
Durran (uomo che aspetta alla cabina telefonica), Tom Bodell
(passeggero dell’ascensore), Jonathan Magnanti (tassista),
Roger Monk (senzatetto), James Bartle (teenager), Clive Perrott (mietitore/dottore), Jack Patrick Montgomery (ragazzino),
Morislav Rakovan (giocatore di Hockey)
Durata: 87’
Metri: 2400
Regia: Dario Piana
Produzione: Brian J. Gilbert, Ralph Kamp, Stan Winston per
SWFX/Isle of Man Film Commission/Odyssey Entertainment/
Stan Winston Productions
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 18-7-2008; Milano 18-7-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Brendan William Hood
Direttore della fotografia: Stefano Morcaldo
Montaggio: Celia Haining
Musiche: Elia Cmiral
Scenografia: Amanda McArthur
Costumi: Nancy Thompson
Produttori esecutivi: Steve Christian, Brendan Hood
Direttore di produzione: Jennifer Wynne
Casting: Carrie Hilton, Tamara Notcutt
Aiuti regista: Martin Krauka, Simon Downes, Nick Starr
Art director: Gerard Bryan
Arredatore: Bridget Menzies
Trucco: Susie Munachen, Alison Elliott
U
ltimi secondi di una partita di
hockey. Ian Stone tira e segna, ma
l’arbitro decreta il match concluso due secondi prima del punto finale: la
sua squadra perde. A consolarlo c’è la sua
ragazza Jenny, alla quale confida di sentirsi inquieto. Dopo averla accompagnata
in macchina a casa, si trova davanti ai binari della ferrovia. Chiama l’ambulanza
per un barbone morto sul ciglio della strada. Il timer della macchina si ferma. Ian
viene scaraventato fuori dalla macchina da
una creatura che lo uccide atrocemente.
Ian si sveglia in ufficio. Apparentemente sta bene e non ricorda niente. Jenny gli
porta un’enorme quantità di lavoro da svolgere. I due sembrano solo amici. Tornando a casa, vede un collega colto da infarto
che viene soccorso da diverse persone, fra
cui un uomo identico all’arbitro che sem-
bra succhiare la vita dal moribondo. Ad
attenderlo a casa, c’è Medea con la quale
convive. Incuriosito dalla somiglianza fra
l’arbitro e l’uomo della strada, prende
l’annuario universitario: non figura fra i
giocatori di hockey. Il giorno seguente, viene fermato da un uomo che si ricorda delle sue partite e che gli rivela di essere braccato da alcuni demoni che ogni giorno lo
uccidono, per poi relegargli una nuova vita
e ucciderlo nuovamente. Ogni volta che si
ferma il tempo, loro arrivano. Un ultimo
ammonimento: deve salvare Jenny. L’uomo viene rapito dai demoni ed Ian corre a
casa da Medea in preda al panico: l’orologio è fermo. È Medea a ucciderlo; lei è
una di loro.
Ian si sveglia mentre guida un taxi. la
sua cliente è Jenny. Dopo averla lasciata
a destinazione, si ricorda dell’Uomo e delle
47
sue parole. È troppo tardi. L’orologio si
ferma; arrivano per ucciderlo di nuovo.
Altro ufficio. Ian aspetta Jenny ora
consulente del lavoro. Guardandola, ricorda tutto. L’orologio si ferma. Scappa, ma
viene ucciso di nuovo. Medea, che è sempre presente, sembra essere il capo dei
demoni.
Ian si sveglia in un appartamento. Una
siringa con l’ultima dose è ancora nel braccio. La musica è a tutto volume. Jenny è la
vicina. Il ragazzo riesce a raggiungerla nel
suo appartamento. Riesce a convincerla
delle sue buone intenzioni pronunciando
una frase che Jenny gli diceva a ogni incontro di ogni vita. Ora anche lei ricorda
tutto. I demoni li trovano. I due sono costretti a rifugiarsi nella metro. Mentre Jenny dorme, Ian viene nuovamente avvicinato dall’Uomo, che è un demone. Gli confi-
Film
da che quei demoni sono i Mietitori, esseri
che si nutrono della paura un secondo prima di una morte violenta. Prima erano
Angeli della Morte, ma corrotti dal potere
e dalla paura, sono diventati assassini. Ian
era uno di loro. Lei è l’unica speranza di
salvezza. Medea li trova e, pur di non uccidere Jenny, a cui inizia ad aspirare la
paura, Ian si getta sotto al treno.
Ospedale. Il ragazzo è legato a un letto. Jenny è la sua infermiera. Medea e i
suoi lo torturano, cercano di convincerlo
a tornare con loro. Medea capisce che Jenny c’entra qualcosa col suo tradimento. A
trovarlo, giunge l’Uomo, ormai in fin di
vita, che gli confida d’essersi innamorato
d’una donna che lo ha redento, ma che i
Mietitori l’hanno uccisa. Ian ricorda:
amando Jenny ha avuto la forza di non
uccidere più. L’uomo gli dice di nutrirsi di
lui, per poter aver la forza di salvarla.
Ian obbedisce. Tornato demone, uccide tutti quelli che tentino d’ammazzare
Jenny. Comprende infine le parole del vecchio: ferisce Jenny e Medea muore. Ian
bacia Jenny dicendole che non ricorderà
niente e che la ama.
Ultimi secondi della partita di hockey.
Ian segna. La sua squadra vince. Ad aspettarlo c’è Jenny. Prima di andare a cena
fuori con lei, Ian uccide l’arbitro-demone.
Tutti i film della stagione
F
irmato da Dario Piana, Le morti
di Ian Stone, è un film che potenzialmente racchiude buone
idee ma che purtroppo, a livello di sceneggiatura, non sono state sfruttate a dovere.
Forse perché ci si aspettava qualcosa di
più psicologico, magari perché i sicari di
Medea fanno tanto brutta copia degli Agenti Smith della trilogia di Matrix (stessi cappotti e occhiali), o per i Mietitori che ricordano fin troppo i Dissennatori di Harry
Potter; non è una storia che coinvolge e,
cosa ancor più grave, passa indenne.
Lo stato di incoscienza in cui si trova Ian
funziona solo nella prima parte, ossia, finchè dopo la prima morte, l’uomo-demone
inizia a rivelargli, incontro dopo incontro, tutta la sua storia. Ma perché? Ian non fa nulla.
Tutto gli casca addosso. Non c’è il brivido di
scoprire assieme a lui cosa è capitato nella
sua vita, tanto arriverà sempre il suo mentore a spiegargli ogni cosa. Senza contare che
manca completamente una graduale accettazione, da parte del protagonista, della sua
reale condizione di vittima dei demoni. Nel
film Dark City (1998), in cui un po’ si respira
la stessa atmosfera, il protagonista invece,
compie diversi passi prima di giungere alla
risoluzione del nodo gordiano.
Questa forza dell’amore tanto decantata nel film, che dovrebbe spingere i demoni
ad allontanarsi dalla loro esistenza di dannazione, non funziona. Jenny dovrebbe essere il grande amore della vita di Ian; nonostante ciò il ragazzo non la ricorda mai. Nessun flashback, nessun brivido o emozione
nell’incontrarla ogni volta. Persino quando Ian
ricorda d’amarla non viene mostrato in nessun modo il primo incontro fra i due; evento
cardine che ha fatto innescare tutta la storia.
Un finale che non è ben spiegato. Ian
uccide la donna che ama proprio per salvarle la vita. Molto catartico, estremamente
drammatico, però non si comprende il perché Medea esploda nello stesso istante.
Da qui si dipanano poi altre domande
che non trovano risposta. Ad esempio, non
viene spiegato perché Ian uccida il primo
demone, o come possa trovare l’energia
per eliminare i suoi simili; Medea, pur
amando Ian senza esserne ricambiata, fa
in modo che Jenny sia l’unica costante di
ogni sua nuova esistenza. Infine, Ian si
sveglia sempre alle 5 e 03 sia di giorno
che di notte; cosa che non avrà il minimo
sviluppo o riscontro per tutto il film.
Il bravo Mike Vogel (Cloverfield, Poseidon) e la buona prova registica di Dario
Piana non servono a salvare Ian Stone.
Che delusione.
Elena Mandolini
REDBELT
(Redbelt)
Stati Uniti, 2008
Coordinatore effetti speciali: Tennis Dion
Supervisore effetti speciali: David Altenau
Supervisore costumi: Robin McMullan
Interpreti: Chiwetel Ejiofor (Mike Terry), Alice Braga (Sondra
Terry), Emily Mortimer (Laura Black), Joe Mantegna (Jerry
Weiss), Rebecca Pidgeon (Zena Frank), Tim Allen (Chet
Frank), John Machado (Ricardo Silva), David Paymer (Richard), Jennifer Grey (Lucy Weiss), Max Martini (Joe Collins),
Matt Cable (combattente dell’Accademia), Jose Pablo Cantillo (‘Snowflake’), Cathy Cahlin Ryan (Gini Collins), Luciana
Souza (cantante nel bar), Cyril Takayama (il Mago), Scott Barry
(Billy il barista), Ricky Jay (Marty Brown), Randy Couture (Dylan Flynn), Ricardo Wilke (Eduardo), Caroline de Souza Correa (Monica), Jack Wallace (proprietario del bar), Dennis Keiffer (rissoso nel bar), Rob Reinis (poliziotto), Dominic Hoffman
(detective), Mike Genovese (sergente), Bob Jennings (Sammy), Kimko (guardia del corpo di Richard), Linda Kimbrough
(Murphy), Jake M. Johnson, Michael Kenner
Durata: 99’
Metri: 2740
Regia: David Mamet
Produzione: Chrisann Verges per Sony Pictures Classics
Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia
Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008)
Soggetto e sceneggiatura: David Mamet
Direttore della fotografia: Robert Elswit
Montaggio: Barbara Tulliver
Musiche: Stephen Endelman
Scenografia: David Wasco
Costumi: Debra McGuire
Direttori di produzione: Mads Hansen
Casting: Sharon Bialy, Sherry Thomas
Aiuti regista: Cara Giallanza, Stephen E. Hagen, John Tagamolila, Ken Twohy, Yuko Ogata
Operatore steadicam: Peter Rosenfeld
Art director: Ray Yamagata
Arredatore: Sandy Reynolds-Wasco
Trucco: Scott Wheeler, Su zanne Diaz
Acconciature: Nancy Morrison, Sheila Cyphers-Leake, Lori
Guidroz
M
ike Terry gestisce insieme alla
moglie Sondra una palestra nei
sobborghi di Los Angeles dove
insegna di jiu jitsu. Fedele ai suoi principi
morali, Mike ha evitato il mondo dei com-
battimenti a pagamento. Una sera, Laura
Black, una giovane avvocatessa in stato di
agitazione per la mancata assunzione delle sue medicine, entra nell’accademia. La
donna impugna la pistola dell’agente di
48
polizia Joe, un allievo di Mike, e spara un
colpo alla vetrata riducendola in frantumi. Quel danno all’accademia piove come
una tegola sulla testa di Mike che ha problemi economici. Sondra costringe Mike a
Film
chiedere un prestito al fratello, Bruno Silva. Ma Mike scopre che l’uomo, proprietario di un locale e organizzatore di combattimenti, non ha pagato per mesi Joe, che
lavorava come buttafuori nel suo locale.
Mike convince Joe ad abbandonare il posto. Nello stesso momento, nel locale si trova il divo di Hollywood Chet Frank che
viene casualmente coinvolto in una rissa.
Mike interviene e lo salva. Nei giorni seguenti, Laura sistema il danno alla palestra e Mike riceve in dono un prezioso orologio Rolex e un invito a cena dall’attore
Chet Frank. Mike consegna al poliziotto
Joe la cintura nera di jiu jitsu e gli dona
l’orologio appena ricevuto in regalo per
compensarlo dei soldi non ricevuti al locale di Bruno. La cena con Chet, sua moglie Zena e il produttore Jerry Weiss è un
successo. Zena mostra interesse per
l’azienda di tessuti di Sondra, Chet è colpito dai racconti di Mike, dalla filosofia
del jiu jitsu e dal rituale delle tre palline
messo in atto prima di ogni combattimento. L’attore invita Mike sul set del suo film.
Il giorno dopo, Chet chiede a Mike di diventare co-produttore del film per contribuire con le sue conoscenze sui combattimenti di jiu jitsu. Mike e Sondra sembrano
sulla strada giusta per realizzare i loro
sogni. Ma gli eventi precipitano. Joe viene
sospeso dalla polizia perché sorpreso a
impegnare un Rolex rubato, lo stesso che
gli aveva dato Mike. Mike chiede al produttore spiegazioni sull’orologio ma l’uomo lo lascia da solo al ristorante. Sondra,
che ha chiesto un cospicuo prestito da uno
strozzino per ordinare dei tessuti per la
nuova società con Zena, non riesce più a
mettersi in contatto con la donna. Mike
capisce di essere stato ingannato dal produttore che ha rubato le sue idee e le ha
vendute a un organizzatore di combattimenti che sta per dar vita a una serata con
un incontro principale tra il fratello di Sondra, il campione brasiliano Augusto Silva,
e il giapponese Taketa Morisaki. L’incontro è stato organizzato per far vincere Morisaki, al fine di poter organizzare in seguito una rivincita ancora più vantaggiosa. Aiutato da Laura, Mike minaccia
un’azione legale contro Jerry e la sua squadra. Gli organizzatori suggeriscono a Mike
di abbandonare i suoi principi e accettare
di partecipare all’incontro di contorno per
vincere 50.000 dollari e ripianare i suoi
debiti. Mike rifiuta, mentre Laura minaccia di portare gli organizzatori in tribunale. Gli eventi precipitano quando Joe, che
ha giurato di non recare disonore alla scuola di Mike, si suicida. Ora Mike non ha
altra scelta se non combattere per pagare
i debiti e riaffermare il suo onore. Mike
Tutti i film della stagione
scopre che suo cognato Augusto Silva parteciperà a un incontro truccato, lasciando
la vittoria a Morisaki. Jerry Weiss rivela a
Mike che è stata la moglie Sondra ad averlo
tradito con gli organizzatori, rivelando i
particolari di quella notte sfortunata all’accademia che ha innescato quella serie
di eventi. Mike se ne va rifiutandosi di combattere. Stimolato da Laura, Mike torna
nell’arena affollata per far sapere che gli
incontri organizzati non sono credibili, ma
viene fermato dalla sicurezza e dai due fratelli di Sondra. Nel tunnel che porta all’arena, Mike affronta Augusto Silva fuori dal
ring. Mike è il vincitore dell’incontro, ma
per lui il vero successo è ricevere dal suo
vecchio maestro di jiu jitsu al centro del
ring la massima onorificenza, la cintura
rossa.
L
a forza della mente prima della
forza fisica. La forza di un uomo
troppo retto, onesto, trasparente,
per questo mondo, un mondo bene esemplificato dalla Los Angeles spesso buia e
notturna dove ha luogo la vicenda; la L.A.
dei sobborghi, delle palestre di arti marziali, dei locali dove si organizzano incontri e scommesse, cupi contraltari alla L.A.
dei set cinematografici e delle ville di attori e produttori (una realtà che il Mamet
drammaturgo-regista conosce meglio delle
proprie tasche e il suo recente manuale
sull’industria del cinema, “Bambi contro
Godzilla”, ne è l’ultima testimonianza).
Ancora un universo intricato, fatto di
doppi giochi, inganni, tradimenti, menzogne, quello che Mamet disegna, ancora
con un complesso gioco di scatole cinesi
come già nella sua Casa dei giochi, ancora un gioco di truffe costruito a mosaico
49
che mette in scena i guasti dovuti al vizio
numero uno della società americana (l’avidità del denaro) come nella sua Formula,
ancora la corruzione del mondo del cinema come dalle parti di Hollywood, Vermont.
Ancora Mamet, ancora una costruzione drammaturgica che si rivela congegno
perfetto.
Tra crisi economiche, incontri truccati,
matrimoni fondati sull’inganno, il protagonista (cui presta il volto un perfetto Chiwetel Ejiofor, già visto in film come Inside Man
di Spike Lee e American Gangster di Ridley Scott) compie un cammino dolorosissimo, una ‘via crucis’, un percorso tutto
spirituale fatto di onestà e correttezza
(sportiva e non). Un puro in un mondo impuro, sporco, lercio, come il denaro che
circola lordato dalle molte mani attraverso
cui passa, le (solite) mani ingorde di chi
lavora nello show business.
Qui si mette in scena un’arte marziale, ma si è ben lontani dalle altre pellicole
del genere. Lo stesso regista ha dichiarato qual è stata la lezione più importante
appresa dai suoi maestri di jiu jitsu: “un’idea
della possibilità di una condotta morale
corretta in ogni circostanza”. Una comprensione che era, ed è, secondo il drammaturgo “un forma perfetta di stoicismo moderno”. Ed ecco l’arena perfetta per mettere in scena “la rappresentazione di un
eroe”, l’ennesimo teatrino delle apparenze dove tutti ingannano tutti.
Il principio fondamentale di questa
arte marziale, metà giapponese metà brasiliana, che ha colpito nel profondo Mamet (il regista è cintura blu di jiu jitsu), è
che la comprensione sconfigge la forza.
Un concetto filosofico, “non utilizzare più
forza del necessario, perché la conoscen-
Film
za prevarrà sulla forza”. L’eroe solitario di
Mamet vuole insegnare che “la competizione indebolisce il combattente”; egli
addestra i suoi allievi non a competere
ma a prevalere. Prevalere invece di competere. Sottile distinzione. Ed è questa la
verità più profonda del suo credo e di tutto il film. Il suo protagonista è quasi un
samurai, un uomo (nell’accezione più alta
Tutti i film della stagione
del termine) che sa dominare sé stesso
perché sente una forza superiore. E il suo
“voto di povertà” ne fa quasi un sacerdote: il sacerdote di una religione rigorosa
che sarà costretto ad abbandonare il suo
“voto” perché obbligato dal vile mondo che
viviamo.
E la resa dei conti finale in La casa dei
giochi che è “l’arena”, dove si svolgono
combattimenti e scommesse, è il suggello
alla parabola morale e filosofica sul caso
e i suoi oscuri percorsi.
Una lezione che vola alto, altissimo,
quella del regista e commediografo. Non
resta che augurarsi che il messaggio del
“suo” samurai non giunga troppo tardi.
Elena Bartoni
GRACE IS GONE
(Grace is Gone)
Stati Uniti, 2007
Operatore: Steven Hiller
Operatore steadicam: William R. Nielsen Jr.,
Art director: Lisette Schettini
Arredatore: Tanja Deshida
Trucco: Denise Wynbrandt, Lisa Jelic, Karen Brody, Christina
Carlson, Rosalind Jones-Crosby
Acconciature: Denise Wynbrandt
Supervisori musiche: Doug Bernheim, Doug Dearth
Interpreti: John Cusack (Stanley Philipps), Shelan O’Keefe
(Heidi Phillips), Gracie Bednarczyk (Dawn Phillips), Alessandro Nivola (John Phillips), Doug Dearth (Capitano Riggs), Doug
James (cappellano Johnson), Dana Lynne Gilhooley (Grace
Phillips), Emily Churchill (1° donna), Rebecca Spence (2°
donna), Jennifer Tyler (3° donna), Susan Messing (4° donna),
Zach Gray (ragazzo in piscina), Marisa Tomei (donna in piscina), Penny Slusher (‘Ear Piercer’), Mary Kay Place (donna al
funerale), Katie Honaker (Voce di Grace Phillips), Ross Klavan, Robb Pruitt, Bill Timoney, Jennifer Bills (voci), Suzanne
Lang (moglie del soldato), Jocelyn Wesler (cameriera)
Durata: 85’
Metri: 2400
Regia: James C. Strouse
Produzione: John Cusack, Grace Loh, Galt Niederhoffer, Celine Rattray, Daniela Lundberg Taplin per Plum Pictures/New
Crime Productions/Benedek Films/Hart-Lunsford Pictures
Distribuzione: 01 Distribution
Prima: (Roma 1-8-2008; Milano 1-8-2008)
Soggetto e sceneggiatura: James C. Strouse
Direttore della fotografia: Jean-Louis Bompoint
Montaggio: Joe Klotz
Musiche: Clint Eastwood
Scenografia: Susan Block
Costumi: Ha Nguyen
Produttori esecutivi: Paul Bernstein, Reagan Silber, Jai Stefan, Todd Traina
Produttori associati: Carina Alves, Wes Jones
Co-produttori: Roberta Burrows, Doug Dearth, Demetra Diamantopoulos, Marilyn Haft, Jessica LevinRiva Marker
Direttori di produzione: Demetra Diamantopoulos, Vail Romeyn
Casting: Mickie Paskal, Jennifer Rudnicke
Aiuti regista: Curtis Smith, Stephanie Moore, Michelle Gonsiorek
S
tanley, caporeparto di un negozio d’articoli domestici, si prende cura delle figlie Heidi di dodici anni e Dawn di otto, mentre la moglie
Grace, sergente dell’esercito, si trova al
fronte iracheno. Con difficoltà cerca di affrontare i problemi giornalieri come Heidi
che regolarmente si addormenta a scuola.
Dawn, ogni giorno compie un rito: a un
orario prestabilito, sia il suo orologio che
quello indossato dalla madre suonano all’unisono consentendo a tutte e due di pensarsi nello stesso istante. Un giorno, i militari danno la notizia della morte di Grace.
Stanley deve affrontare le due figlie; invece
di dir loro la verità, propone un improvviso
viaggio di piacere verso Enchanted Gardens, parco che da tempo Dawn vorrebbe
visitare. Durante il viaggio, si fermano a
casa della nonna paterna, dove invece trovano lo sbandato zio John, il quale confida
alle nipoti che il motivo per cui il padre ha
dovuto lasciare l’esercito, è per un ulteriore abbassamento alla vista (vi era entrato
barando al test oculistico).
John scopre che la cognata è morta e
Stanley riesce finalmente a sfogare il suo
dolore. Partono nuovamente. Trascorrono
le giornate in macchina e le notti in piccoli motel. Stanley, ogni giorno, chiama casa
per sentire il messaggio in segreteria registrato in precedenza da Grace e poter concedersi così l’illusione di parlare ancora
con lei. Stanley scopre che Heidi, da quando la madre è partita per il fronte, ha seri
problemi di insonnia.
Il rapporto fra genitore e figlie continua
a crescere, ma Heidi inizia a intuire che il
padre le nasconde qualcosa di serio; in special modo quando ascolta un suo messaggio
lasciato in segreteria per la madre. Giunti a
Enchanted Gardens, trascorrono una giornata di divertimenti. Ora è giunto il momento di tornare a casa. Stanley ferma improvvisamente la macchina; in riva al mare finalmente parla alle sue figlie. I tre cercano di
farsi forza a vicenda. Il giorno del funerale è
Heidi a dire il discorso funebre per salutare
Grace. Davanti alla tomba Stanley e le figlie
compiono insieme il rituale di Dawn.
50
Q
uasi ottantacinque minuti di attesa. Così si potrebbe riassumere
il film di James C. Strouse. Un’attesa che ci porta a scoprire in che modo e
quando Stanley avrà il coraggio di dire la
scomoda verità alle sue figlie. Il dramma e la
tragedia che irrompono improvvisamente
nella vita di questa famiglia impregna tutto il
film, senza però sfociare in melismi o in scene troppo patetiche. Gran pregio. Non a caso,
Grace is gone ha vinto il Premio Speciale
del Pubblico al Sundance Festival. Il dolore
che Stanley affronta è un qualcosa di interiore che viene manifestato attraverso piccoli gesti, come il giocherellare con la fede,
o ascoltare il messaggio della segreteria di
casa pur di sentire la voce della moglie, di
cui non conosceremo mai l’aspetto.
Sia quando Stanley apprende la notizia della morte di Grace, che quando ne
parla alle figlie, il dialogo và sfumando
donandoci la sensazione di alienazione,
di non accettazione della realtà facendo
altresì eliminare frasi che magari risulterebbero banali e scontate.
Film
La sua angoscia nel rivelare la notizia
a Heidi e Dawn cresce di minuto in minuto
e così accade a chi guarda il film; soprattutto nella sequenza delle giostre, dove il
padre si diverte assieme alle figlie.
Stanley deve anche affrontare il suo
senso di colpa: è lui che doveva morire al
fronte e non Grace.
La durata del film è perfetta; se fosse
stato più lungo avrebbe perso di pregnan-
Tutti i film della stagione
za e significato. Tutto viene detto esaustivamente in quegli ottantacinque minuti.
Il passato di Stanley emerge tramite i ricordi del fratello, o i suoi racconti alle figlie,
delineando così un uomo che un tempo era
pieno di vita, spiritoso e idealista, che si ritrova a vendere oggetti per la casa, con lo
sguardo spento di chi sogni non ne ha più.
Una colonna sonora semplice e scarna accompagna la prova attoriale di John
Cusack (La sottile linea rossa; Essere John
Malkovich), qui in grande forma, che sottolinea alcuni momenti emozionali più forti.
Un film che ci racconta un America
dove sono anche le madri a dover partire
per il fronte e lasciare i mariti a badare alla
casa e i figli. Un film che commuove senza
bisogno di eccessi narrativi.
Elena Mandolini
NO PROBLEM
Italia, 2008
Regia: Vincenzo Salemme
Produzione: Valeria Esposito, Marina Berlusconi per Chi è di
scena/Medusa Film. In collaborazione con Sky
Distribuzione: Medusa
Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008)
Soggetto: Vincenzo Salemme
Sceneggiatura: Vincenzo Salemme, Ugo Chiti. Con la collaborazione di Alessio Venurini
Direttore della fotografia: Giuseppe Lanci
Montaggio: Luca Montanari
Musiche: Gigi D’Alessio
Scenografia: Cinzia Lo Fazio
Costumi: Mariano Tufano
Suono: Maurizio Argentieri
A
rturo Cremisi è il padre ideale di
una fortunata serie televisiva dal
titolo ‘Un bambino a metà’. L’altro protagonista è il biondo Federico. Nella serie, tra padre e figlio, un amore sconfinato. Nella realtà, un’aperta e dichiarata competizione. A curare la carriera di
Federico è la madre Barbara, press agent
di ferro, con conoscenze importanti nelle
stanze del comando. Una da tenersi stretta, come non manca di raccomandare Enrico Pignataro, traffichino e dialetticamente scorretto agente di Arturo. Un giorno,
nella vita di Arturo entra in scena Mirko,
sei anni, minuto, capelli scuri, uno sguardo impaurito, quasi implorante. Chiama
Arturo papà, è convinto che sia davvero
lui suo padre. Arturo scopre che si tratta
di un bambino orfano di padre e, vivendo
solo con la madre Barbara, identifica in
Arturo il padre che gli manca. A complicare la bella storia ci si mettono, però, diversi personaggi; primo fra tutti Enrico Pignataro, che vede in questa vicenda una
fonte di guadagno con settimanali e rubriche televisive, provocando la rabbia della
mamma Barbara per l’eccessiva esposizione mediatica del figlio Mirko. Arturo, sentitosi in colpa, impone la propria presenza
a madre e figlio, finendo per subire anche
Interpreti: Vincenzo Salemme (Arturo Cremisi), Sergio Rubini (Enrico Pignataro), Giorgio Panariello (Antonio), Aylin Prandi
(Irene), Iaia Forte (Barbara), Cecilia Capriotti (Eva), Anna Proclemer (Aurelia), Oreste Lionello (sig. Paino), Giacomo Furia
(Galeazzo), Leonardo Bertuccelli (Mirko), Giulio Maria Furente (Federico), Teresa Del Vecchio (sarta), Paola Minaccioni
(truccatrice), Rosalia Porcaro (parrucchiera), Daniela Marazita (psicologa Tv), Asoka Dewamunege (Ronnie), Marco Marelli (marchese), Loretta Rossi Stuart (marchesa), Massimiliano Gallo (nipote aggressivo), Nicola Acunzo (sceneggiatore), Fabrizio Ceccarelli, Francesco Ceccarelli (gemelli), Renato Marchetti (regista), Federico Pacifici (produttore)
Durata: 98’
Metri: 2700
quella dello zio di Mirko, Antonio, schizofrenico in libera uscita dall’istututo di igiene mentale. Arturo comincia a provare più
di un sentimento di facciata verso Barbara, e comincia a illudersi che possa davvero costituirsi una famiglia tra loro. Ma
gli ostacoli non mancano, a partire dai
debiti contratti da Barbara per la casa, che
non può più assolvere, all’orgoglio della
ragazza che non vuole aiuto da nessuno. A
causa di Pignataro, l’esposizione mediatica di Mirko continua, e Barbara furiosa
se ne va con lui. Per Arturo, rimasto solo,
è l’inizio di una solitudine umana e artistica: la soap, terminato il quarto d’ora di
celebrità dovuto al “caso Mirko”, non ha
più bisogno di lui e gli autori cancellano il
suo personaggio senza troppe cerimonie,
come era, d’altronde, inizialmente previsto prima che l’apparizione del bambino
sconvolgesse i piani.
Arturo rivedrà Barbara e il bambino
solo tempo dopo, per caso, su una spiaggia, in inverno: “Benvenuto nella vita vera”,
è quel che gli dice lei. Forse non tutte le
speranze di una vita insieme sono perdute.
I
l solito Salemme, quello di cui (talvolta) disquisiamo, senza sorprese
e con la certezza di trovarsi di fron51
te a quello che potenzialmente si immaginava. E allora perché, alle soglie del duemiladieci, continuare a stupirsi, o cercare
di evocare una plateale indignazione verso il rassegnato becerume di certo cinema italiano? Non ne vale la pena, dovrebbe essere un discorso trito e ritrito e in più
si corre anche il rischio di non comprendere, colposamente, la legittima necessità di farsi due risate per divertirsi da parte
dello spettatore, arrivato lessato al
weekend, a cui non possiamo che fare i
migliori auguri in occasione dell’ultimo film
di Vincenzo Salemme.
Il quale, dall’inaspettato successo di
pubblico dell’esordio L’amico del cuore,
propone da quindici anni canovacci consueti quanto rassicuranti, ben lungi -intendiamoci - dagli infimi livelli cui certo cinema nostrano ci ha abituato. Particolarità
dell’autore/attore napoletano è il recupero
di una tradizione comica partenopea che
non prescinde chiaramente da Totò e Peppino, provando a nobilitarsi costantemente con l’affermazione e l’insistenza di una
mimica e messa in scena di estrazione
puramente teatrale. Ovvero, le origini del
comico Salemme, mai rinnegate e a ogni
occasione, com’è giusto, orgogliosamente rivendicate.
Film
Altra peculiarità del cinema di Salemme
è l’idea di partenza su cui si appoggia l’intero film, sempre un paradosso forte e ai
limiti del verosimile (come il trapianto d’occhi di Amore a prima vista). Questa volta, il
Tutti i film della stagione
protagonista Arturo, attore anche nella pellicola, si trova a che fare con un bambino
che si chiama come il figlio della fiction che
sta interpretando, ed è convinto che lui sia
realmente suo padre. Un equivoco che lo
porterà a capire il senso della paternità e la
differenza tra vita e finzione scenica. Tematiche piuttosto alte, che restano sempre
sulla carta. Perché si preferisce ricorrere
sempre alla battuta facile (spesso, non la
più divertente), alle generose scollature
della bella ma meno che comprimaria, Cecilia Capriotti, a gag e ritmi da teatro che
inesorabilmente fanno andare alla deriva
qualsiasi tentativo (sulla carta presente) di
parlare d’altro. E la totale assenza sui manifesti del benché minimo dettaglio sulla trama (con la fuorviante presenza di una bomba in procinto di esplodere) è tristemente
indicativo di quanto ciò che si va a vedere
possa importare a produzione, distribuzione e – in fin della fiera – anche all’autore, a
tratti ben lieto di sovrapporsi senza sbavature ai pieraccionismi di fine millennio (ovvero gli stessi di inizio millennio).
L’importante sono le facce di chi ci recita, e quelle ci sono tutte. Le stesse da un
po’ a questa parte, ma, finché non ci si
stanca, no problem.
Gianluigi Ceccarelli
JOSHUA
(Joshua)
Stati Uniti, 2007
Arredatore: Amanda Carroll
Trucco: Sharon Ilson
Acconciature: Colleen Callaghan
Interpreti: Sam Rockwell (Brad Cairn), Vera Farmiga (Abby
Cairn), Celia Weston (Hazel Cairn), Dallas Roberts (Ned Davidoff), Michael McKean (Chester Jenkins), Jacob Kogan (Joshua Cairn), Nancy Giles (Betsy Polsheck), Linda Larkin (Ms.
Danforth), Alex Draper (Stewart Slocum), Stephanie Roth
Haberle (pedriatra), Ezra Barnes (Fred Solomon), Jodie Markell
(Ruth Solomon), Rufus Collins (Henry Abernathy), Haviland
Morris (Monique Abernathy), Tom Bloom (Joe Cairn), Antonia
Stout (Dipendente del Museo), Randy Ryan, Evan Seligman
(Compagno di football), Patrick Henney (ragazzo che canta),
Gurdeep Singh (Cabbie), Nicholas Guidry (corriere in bici),
Darrill Rosen (senzatetto), Daniel Jenkins (Ministro), Erik Solky
(cliente parcheggio), Shianne Kolb, Lacey Vill (Lily Cairn),
Randy Ryan, Evan Seligman
Durata: 106’
Metri: 2880
Regia: George Ratliff
Produzione: Johnathan Dorfman per ATO Pictures
Distribuzione: Twentieth Century Fox
Prima: (Roma 11-7-2008; Milano 11-7-2008) V.M: 14
Soggetto e sceneggiatura: David Gilbert, George Ratliff
Direttore della fotografia: Benoît Debie
Montaggio: Jacob Craycroft
Musiche: Nico Muhly
Scenografia: Roshelle Berliner
Costumi: Astrid Brucker
Produttori esecutivi: Temple Fennell, Dan O’Meara
Produttore associato: Thomas Fatone
Co-produttore: George Paaswell
Direttore di produzione: Bergen Swanson
Casting: Patricia Kerrigan DiCerto
Aiuti regista: Thomas Fatone, Patrick Gibbons, Kim Thompson
Operatore: Manuel Billeter
Art director: Katya DeBear
H
a solamente nove anni, Joshua.
Pianista provetto, poco incline ai
giochi e agli sport come tanti suoi
coetanei, accoglie con silenziosa sofferenza la nascita della sorellina minore, ora
oggetto delle amorose attenzioni dei genitori, dei nonni e dello zio materno, apprezzato concertista. È disposto a tutto, il ragazzino, pur di riconquistare l’affetto secondo lui negato. E lo farà nella maniera
più inquietante possibile: all’inizio turban-
do il sonno della neonata, che da quel
momento in poi segnerà le notti di Abby e
Brad, agiata coppia borghese che, per la
seconda volta, teme di dover affrontare
quanto già passato con l’infanzia di Joshua, bambino con non pochi problemi sin
dalla nascita. Che, dopo aver scoperto –
attraverso un video fatto in casa – le sofferenze causate alla madre, poi vittima di una
profonda depressione, cerca di riportare
in vita quella situazione, non foss’altro per
52
evitare che la sorellina venga amata di più
perché meno problematica. E allora esaurimento in vista per Abby, inutilmente supportata dal superficiale Brad e, come se
non bastasse, trasferimento di gran carriera dell’odiosa madre di lui, superbamente convinta di poter dare una mano,
ma ulteriore elemento in più per accelerare la progressiva, e fatale, disgregazione
del nucleo familiare. Sarà proprio durante una passeggiata con i due nipotini, in-
Film
fatti, che l’anziana signora ci rimetterà la
vita, spinta giù per la scalinata di un museo da Joshua che, subito dopo, fingerà disperazione per la morte della nonna. I sospetti di Brad diventano, poco a poco, certezze: rimasto a casa da solo con i due figli, a causa del ricovero in una clinica psichiatrica della moglie, inizia a isolare Joshua, tenendolo il più lontano possibile
dalla sorella: prima dovrà soccombere a
un suo abile stratagemma, che porterà una
psicologa infantile a crederlo vittima di
abusi da parte del padre, poi scopre che il
latte per la bambina è stato contaminato;
infine arriverà alle mani – brutalmente e
platealmente – di fronte all’ennesima provocazione del ragazzino. Ma sarà il suo
più grande errore: a Central Park, in pieno giorno, l’eccessiva violenza di Brad non
passerà inosservata. Con la madre in riabilitazione e il padre in attesa di giudizio,
Joshua viene affidato allo zio, fino a quel
Tutti i film della stagione
momento totalmente estraneo alla sua macchinazione: basterà mettersi al pianoforte
con lui, e comporre una nuova canzone,
per iniziare a sospettare qualcosa di più
su quel temibile fanciullo.
E
sordio al lungometraggio di finzione per il documentarista George Ratliff, Joshua potrebbe essere considerato un Incompreso in versione thrilling: insinuando nello spettatore sin
da subito il disagio e, conseguentemente,
le intenzioni del giovane protagonista (davvero inquietante la mise del piccolo Jacob
Kogan), il film cede troppo spesso alle lusinghe di spaventevoli atmosfere, rischiando più volte di scivolare verso derive horror
e “spiritiste” che poco hanno a che vedere
con la reale inclinazione servita dal soggetto
in origine. I modelli di riferimento si sprecano, cinematograficamente parlando, se si
dovesse pensare alla commistione di insta-
bilità infantile e tensione del nucleo familiare: in tal senso, il lavoro di Ratliff ben sottolinea il progressivo sfaldarsi di un nucleo
che, scopriamo in corso d’opera, già qualche anno prima aveva seriamente rischiato lo sfascio, è, in questo, ben supportato
dalla discreta prova di due attori come Sam
Rockwell (diretto successivamente dal regista in End Zone, ancora in fase di postproduzione) e Vera Farmiga, scoperta qualche anno fa grazie a The Departed di Martin Scorsese, tutto sommato bravi a mantenersi in costante, traballante equilibrio sul
filo del baratro. Come detto, però, a farla da
padrone è il personaggio che dà il titolo al
film: imperscrutabile e subdolo, Joshua trova giusta corrispondenza con la perfetta interpretazione di Jacob Kogan, purtroppo
doppiato dall’ormai insopportabile voce del
tredicenne Alex Polidori.
Valerio Sammarco
SAVAGE GRACE
(Savage Grace)
Spagna/Stati Uniti/Francia, 2007
Casting: Laura Rosenthal
Aiuto regista: F. Javier Soto
Art director: Deborah Chambers
Trucco: Ana Lopez Puigcerver, Susan Reilly LeHane
Acconciature: Bélen Lopez Puigcerver, Jerry Popolis
Suono: Juan Borrell
Interpreti: Julianne Moore (Barbara Daly Baekeland), Stephen Dillane (Brooks Baekeland), Eddie Redmayne (Tony
Baekeland), Elena Anaya (Blanca), Unax Ugalde (Black
Jake), Belen Rueda (Pilar Duran), Hugh Dancy (Seth), Peter
Vives Newey (Mishka), Anne Reid (Nini Daly), Hugh Dancy
(Sam Green), Simon Andreu (Jean Pierre Souvestre), Jim
Arnold (Joost Van Den Heuvels), Mapi Galan (Simone Lippe), Martin Huber (Aschwin Lippe), Lina Lambert (Missy),
Minnie Marx (Midge Van Den Heuvels), Barney Clark (Tony
bambino), Abel Folk (Carlos Duran), Brendan Price (PC Roberts),
Durata: 97’
Metri: 2548
Regia: Tom Kalin
Produzione: Pamela Koffler, Iker Monfort, Katie Roumel, Christine Vachon per ATO Pictures/Killer Films/Montfort Producciones. In coproduzione con A Contraluz Films
Distribuzione: Bim
Prima: (Roma 20-6-2008; Milano 20-6-2008) V.M.: 14
Soggetto: dal libro omonimo di Natalie Robins e Steven M.L.
Aronson ispirato a una storia vera
Sceneggiatura: Howard A. Rodman
Direttore della fotografia: Juan Miguel Azpiroz
Montaggio: John F. Lyons
Musiche: Fernando Velazquez
Scenografia: Victor Molero
Costumi: Gabriela Salaverri
Produttori esecutivi: Johnathan Dorfman, Temple Fennell,
Stephen Hays, Hengameh Panahi, John Wells
Produttore associato: Howard A. Rodman
Co-produttori: Alberto Aranda, Xavier Granada
Direttore di produzione: Nicolas Tapia
N
ew York, 1946. Ex-attricetta, la
bella e arrivista Barbara Daly ha
sposato Brooks Baekeland, erede della dinastia della bakelite, e gli ha dato
un figlio, Anthony. Passano gli anni e, tra
Parigi, Cadaqués, Palma di Maiorca, Londra, la coppia è sempre più in crisi mentre,
Tony si scopre omosessuale. Quando Brooks la lascia per la giovane Blanca (una ex
ragazza di Tony), Barbara sprofonda lentamente nella follia e sviluppa con Tony un
rapporto sempre più stretto e morboso. Di
fronte all’omosessualità del figlio, Brooks
sceglie la fuga e l’indifferenza, mentre Bar-
bara cercherà in tutti i modi di risvegliare
nel figlio l’interesse per le donne, arrivando alla fine persino all’incesto. Quest’ultimo atto sconvolge la già fragile mente di
Tony che la uccide con un coltello da cucina. Didascalie finali rivelano che il ragazzo sarà prima internato nel manicomio criminale di Broadmoor, vicino Londra, per poi
essere trasferito nel carcere di Rikers Island,
dove muore suicida nel 1981.
S
avage Grace, ovvero, quando la
realtà supera la finzione. Tratto
dall’omonimo libro di Natalie Ro-
53
bins e Steven M. L. Aronson, Savage Grace è la storia vera (e di romanzato c’è
poco, purtroppo) del giovane folle Anthony
Baekeland e dei suoi genitori, diretta da
Tom Kalin. Già autore, nel 1992, del notevole Swoon (rifacimento in chiave moderna di Nodo alla gola di Hitchcock),
Kalin porta sullo schermo una storia quanto mai disturbante, soprattutto in virtù del
suo essere storia vera, ma nel narrarla si
abbandona a leziosismi eccessivi e baroccheggianti esercizi di stile, che rendono il film vacuo e patinato, tra un susseguirsi di locations, meravigliosi cambi
Film
d’abito vintage per Julienne Moore e sequenze ‘scandalo’, ideate con il chiaro intento di épater le bourgeois. La materia
incandescente e drammatica, che sta alla
base della tragedia morale ed esistenziale
della famiglia Beakeland, è come raffreddata nelle mani del regista. L’occhio della
macchina da presa di Kalin è assolutamente avulso da qualsiasi forma di giudizio, si limita solo ad esporre fatti e conseguenze ma si ha come l’impressione che
il regista si sia concentrato solo sulla superficie del quadro riempiendolo di tutto
quello che ‘fa’ decadente e morboso, neanche fosse il Visconti del nuovo millen-
Tutti i film della stagione
nio, troppo preoccupato a eliminare sussulti melodrammatici, in un susseguirsi di
eventi sempre più catastrofici, a cui però
i personaggi non riescono a porre freno,
scivolando sempre più nella follia e nell’abiezione. Il peso del film poggia, così,
sulle esili spalle del giovane protagonista
Eddie Redmayne e sull’isterismo ben
temperato di Julienne Moore. E l’unico
motivo di essere di Savage Grace è proprio l’interpretazione della Moore, che rimane attrice di classe e talento anche alle
prese con un personaggio come questo,
riuscendo a non cadere nella trappola del
ridicolo involontario e del grottesco, dove
invece incappa qualche volta, per inesperienza e assenza di un regista valido anche come direttore d’attori, Eddie Radmayne. La figura del padre assente e incapace di accettare questo figlio così diverso e fragile è poveramente interpretata da Stephan Dillane, che non riesce a
dare il giusto peso a un personaggio, sì
debole caratterialmente, ma che forse
poteva essere affrontare in maniera diversa. Nel ruolo della giovane amante spagnola, fa mostra la bella Elena Halaya,
già protagonista di Lucia y el sexo.
Chiara Cecchini
ALEXANDRA
(Aleksandra)
Russia/Francia, 2007
Regia: Aleksandr Sokurov
Produzione: Laurent Danielou, Andrey Sigle per Proline Film/
Rézo Productions. Con il sostegno della Russian Federation of
Cinematography e del Centre National de la Cinématographie
Distribuzione: Movimento Film
Prima: (Roma 30-5-2008; Milano 30-5-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Aleksandr Sokurov
Direttore della fotografia: Aleksandr Burov
Montaggio: Sergei Ivanov
Musiche: Andrey Sigle
Scenografia: Dmitri Malich-Konkov
A
lexandra Nikolaevna si reca in
visita dal nipote, appartenente all’esercito russo di stanza in Cecenia. Il viaggio della donna, per lo più su
mezzi militari, è lungo e faticoso; la rozza
gentilezza dei suoi accompagnatori in divisa sembra mitigare la stanchezza soltanto
in parte. Anche la sistemazione, una volta
giunta al campo, è scomoda e spartana,
ma Alexandra dimentica ogni sofferenza
quando, al risveglio, scopre il nipote –
giunto nottetempo – che dorme nella brandina accanto alla sua. Tra i due, che non
si vedono da sette lunghissimi anni, è un
tripudio di abbracci e carezze, ma il cuore
della donna è attraversato da dubbi e preoccupazioni, riguardanti il futuro del giovane (ha mai pensato a una moglie, a una
famiglia?) e le sue necessità quotidiane:
cose semplici, come la qualità del cibo e
la possibilità di poter lavare se stesso e i
propri indumenti.
Mentre il nipote è impegnato nel suo lavoro di perlustrazione del territorio con annessi scontri e combattimenti, la donna si
aggira nel campo, incontrando giovani soldati che paiono abbandonati a loro stessi e
imbattendosi in divieti militari e zone inter-
Costumi: Lidiya Kryukova
Produttore esecutivo: Dmitry Gerbachevsky
Trucco: Zhanna Rodionova
Sonoro: Vladimir Persov
Effetti visivi: Alexey Goussev, Oleg Muranov
Interpreti: Galina Vishnevskaya (Alexsandra Nikolaevna), Vasily Shevtsov (Denis), Raisa Gichaeva (Malika), Andrei Bogdanov, Alexander Kladko, Aleksei Nejmyshev, Rustam Shahgireev, Evgeni Tkachuk
Durata: 95’
Metri: 2800
dette. Il suo atteggiamento, una via di mezzo
tra il piglio combattivo della donna che dalla vita ha avuto troppe sofferenze e la dolcezza della madre saggia e paziente, conquista inesorabilmente tutti. Al terzo giorno di
permanenza, sfidando ogni precauzione e
divieto, la donna si reca nel vicino villaggio
per compiere acquisti, per lo più sigarette e
dolciumi per i militari. Gli abitanti del luogo, donne e ragazzi (ancora troppo giovani
per essere arruolati), le dimostrano ostilità,
anche facendo finta di non comprendere le
sue parole. Un’anziana, coetanea di Alexandra, è l’unica a non tirarsi indietro a un suo
improvviso malessere e la porta a casa sua,
nel silenzio, tra lo sgomento generale. È proprio nell’abitazione poverissima ma dignitosa della donna che avviene la comunione
sentimentale e intellettuale tra i loro mondi,
diversi e per questo destinati a un conflitto
che si preannuncia perenne.
Al suo ritorno al campo, accompagnata dal giovane nipote della donna, Alexandra distribuisce gli acquisti tra i soldati,
conquistandone definitivamente la simpatia. Il nipote, di ritorno da una missione,
non dimostra invece di gradire le incursioni all’esterno della nonna.
54
La stanchezza e l’età impediscono ad
Alexandra di muoversi con autonomia nel
campo e la perdita dell’orientamento si
annida dietro l’ennesima baracca identica a tutte le altre; eppure la caparbietà
della donna è tale da farle rifiutare ogni
aiuto, che ormai i soldati le offrono per
sincera gentilezza, più che per cieca obbedienza all’ordine imposto dai superiori.
Giunge infine il termine al tempo della
visita. L’ombra della morte aleggia sul
saluto tra nonna e nipote: l’età avanzata
per lei e la guerra per lui potrebbero trasformare questo fugace incontro rubato al
conflitto nell’ultimo. Alexandra lascia il
campo così come era giunta, su uno scomodo treno militare che, con lentezza inesorabile, la riporterà in Russia, a casa. Ad
accompagnarla al binario ci sono le donne del villaggio, con cui scambia promesse di rivedersi che chissà se, come e quando saranno mantenute.
U
na “Madre Russia” imperscrutabile, dignitosa, dolente e altera,
pronta ad accogliere ogni figlio
che vive nella sua terra e anche fuori di
essa: in una donna che porta il suo nome,
Film
Sokurov incarna il presente del proprio
paese, con le sue troppe contraddizioni e
le poche certezze. Tra le tante realtà possibili, il regista sceglie la guerra, una necessità ereditata da un passato mai abbastanza lontano e mostrata nel suo vissuto
quotidiano di noia, attesa, bucati malfatti e
pasti frugali. Guerra che non viene mai mostrata, soltanto accennata, sussurrata nel
montaggio di un mitra, nella visita del ventre di un carroarmato, nell’uscita dal campo di una lunga fila di mezzi blindati – esibita per intero, nella sua prassi quasi burocratica - per una non meglio specificata
missione, nell’uccisione di un nemico che
deve essere catalogata come un’eventualità possibile. Un nemico invisibile come gli
indiani dei vecchi film americani, che non
lascia tracce di sé, mai, neanche quando
muore. Sokurov, che di un militare è figlio,
dimostra di conoscere da vicino il dolore
che causa la perdita di una vita umana, e
dai suoi frequenti viaggi proprio in Cecenia ha assistito alle visite strazianti delle
madri dei soldati che combattono al confine. Eppure, o forse proprio per questi motivi, una sorta di pudore gli impedisce di
mostrare. Tutto accade fuori, lontano, altrove, cinematograficamente reso attraverso la dialettica campo/fuoricampo, sottolineato – soprattutto - dall’uso magistrale
degli sguardi dei personaggi: talvolta assorti, più spesso annoiati, molte altre lontanissimi perché spauriti. A ergersi è principalmente lo sguardo di Alexandra, non
un polveroso essere giudicante, bensì una
“due volte mamma” che dall’alto della propria esperienza tenta di mettere insieme,
poco per volta, un’opinione, attraverso le
piccole cose del quotidiano che hanno
scandito la sua vita, cercando una loro ricollocazione nel contesto più decontestualizzato e impenetrabile con cui abbia mai
avuto a che fare, quel campo militare che
tanto assomiglia a un fortino nel niente di
un qualunque deserto. Si smarrisce,
Alexandra, camminando tra i polverosi
percorsi del campo, e il suo è il disorientamento della Russia intera.
Attraverso di lei il regista può posare il
suo sguardo, a torto e troppo semplicisticamente considerato in passato algidamente elitario, sulle piccole persone che
fanno, e sono, la grande storia. Non solo
trilogie sui grandi del potere, o virtuose
danze tra le opere dell’Hermitage, dunque:
Sokurov dimostra con questo film, che non
esitiamo a definire intimo e universale allo
stesso tempo, di aver raggiunto un equilibrio stilistico e narrativo quasi impeccabile. Perché suggerire senza mostrare, destinando tanto poco all’interno dell’inquadratura eppure dicendo tutto, assimila la
Tutti i film della stagione
sua opera oltre che al “solo” cinema anche al mondo e all’estetica della pittura.
La sua è una visione del mondo che va
ben oltre l’inquadratura, in quanto stimola
l’occhio a guardare, immaginare e com-
prendere al di là dei convenzionali confini
della cornice. Proprio come avverrebbe
con un dipinto.
Manuela Pinetti
LA NOTTE DEI GIRASOLI
(La noche de los girasoles)
Spagna/Francia/Portogallo, 2006
Regia: Jorge Sánchez-Cabezudo
Produzione: Enrique Gonzalez-Macho per Alta Films. In coproduzione con The Film.
In associazione con Backup Films
Distribuzione: Istituto Luce
Prima: (Roma 13-6-2008; Milano 13-6-2008)
Sceneggiatura: Jorge Sánchez -Cabezudo
Direttore della fotografia: Angel Iguacel
Montaggio: Pedro Ribeiro
Musiche: Krishna Levy
Scenografia: Alberto Sánchez-Cabezudo, Diego Modino
Costumi: Silvia Garcia Bravo
Produttore esecutivo: Belén Bernuy
Co-produttori: Luis Galvão Teles, Michael Gentile, Leonel Vieira
Direttore di produzione: Sandra Hermida
Aiuti regista: F. Javier Soto, Eva Ungria
Operatore steadicam: Gorka Rotaetxe
Trucco: Lola Lopez
Acconciature: Itziar Arrieta
Effetti speciali: David Campos, Pau Costa
Effetti visivi: Antonio Inglott, Curro Munoz
Suono: Vasco Pedroso
Interpreti: Carmelo Gomenz (Esteban), Judith Diakhate (Gabi), Celso Bugallo (Amadeo), Manuel Moron (venditore), Mariano Alameda (Pedro), Vincente Romero (Tomas), Walter Vidarte (Amos), Cesareo Estebanez (Cecilio), Fernando SanchezCabezudo (Beni), Petra Martinez (Marta), Nuria Mencia (Raquel), Enrique Martinez
(Julian), Mariano Peña (Rovira), Amalia Hornero (Rosa), Luis Mascarenhas (Federico), Luis Alberto (Valentin)
Durata: 123’
Metri: 3300
55
Film
L
’uomo del motel
Un rappresentante di aspirapolvere viaggia in auto su una strada di
campagna. Chiede a una ragazza a piedi
indicazioni su un luogo dove pranzare. In
quel momento, arriva il compagno della
ragazza. Le intima di salire in macchina e
lei dopo poco accetta.
Il giorno dopo, lo stesso uomo incrocia
un’auto fuoristrada con una ragazza a bordo. La segue su un sentiero nel bosco e le si
avvicina. Prima prende le chiavi del fuoristrada e poi la aggredisce cercando di violentarla. Lei si divincola e tenta di fuggire
in macchina. Mette in folle e lascia che il
mezzo si muova da solo. Va a sbattere contro una pianta e comincia a suonare il clacson all’impazzata. L’uomo fugge.
Gli speleologi
Esteban, speleologo, viene invitato dal
sindaco di un paesino collinare per valutare l’interesse paesaggistico di una grotta appena scoperta, in vista di uno sfruttamento turistico. L’assistente con cui lavora abitualmente è infortunato. Lo sostituisce Pedro, alla prima esperienza sul campo. Esteban chiama Gabi, sua moglie, per
avvisarla che Pedro passerà da lei l’indomani per prendere cose utili per la perlustrazione della grotta. Il mattino dopo,
però, arrivano sia Pedro che Gabi, che si
sentiva sola e ha deciso di raggiungere il
marito. Ci accorgiamo che Gabi è la stessa ragazza che ha subito violenza nel primo episodio.
Gabi accompagna il marito e Pedro
all’imbocco della grotta, si reca per qualche tempo al bar del paese e infine torna
ad attendere i due speleologi. Il luogo è lo
stesso dell’aggressione del primo episodio.
Assistiamo infatti all’arrivo del rappresentante, alla colluttazione e al tentativo di
fuga. Esteban e Pedro, uscendo dalla grotta, sentono le grida e il clacson e accorrono. Trovano Gabi ferita e in stato di shock.
La donna racconta l’accaduto. Recuperano l’auto e si apprestano a tornare in paese. Poco più avanti, si imbattono in un
uomo che cammina sul ciglio della strada.
Gabi comincia a tremare perché è convinta che si tratti del suo violentatore. Non
vuole però rivederlo in faccia.
L’uomo sul sentiero
Cecilio vive in un borgo semiabbandonato vicino al paese dei ritrovamenti geologici. Difende l’integrità del luogo contro l’idea del sindaco di trasformarlo in
una località turistica. Fa dei lavori nell’orto e si avvia lungo un sentiero. Di fianco a
lui sfila l’auto di Esteban, Pedro e Gabi,
che si arresta poco più avanti. Cecilio cambia strada ma viene raggiunto e aggredito
dai due speleologi. L’uomo si difende con
Tutti i film della stagione
un forcone e, raggiunta casa, con un fucile. Cecilio ferisce Esteban, Pedro istintivamente impugna il forcone e lo infilza.
Cecilio ferisce anche Pedro ed è pronto a
finirlo con una zappa. Esteban, impugnato il fucile, lo uccide.
L’autorità competente
Tomás, poliziotto, è sposato con la figlia del capo della polizia locale. Ha
un’amante, che ogni volta si ripromette di
lasciare. Una notte esce dalla villa di lei
ubriaco per tornare a casa in auto. Sulla
strada, viene fermato da Esteban, che gli
racconta della violenza carnale subita dalla moglie e dell’omicidio da lui compiuto
ai danni della persona sbagliata.
Tomás si fa accompagnare sul luogo
della tragedia. Dopo breve riflessione spiega che il vecchio viveva solo e non aveva
nessuno. Propone di cambiare la versione
dei fatti: simulare una partenza di Cecilio,
far sparire il cadavere e sporgere solo una
denuncia per incidente stradale. In cambio chiede dei soldi. Esteban è decisamente contrario, ma la moglie lo convince.
Gettano il cadavere e una valigia piena di
vestiti nella grotta visitata qualche ora prima. Poi si recano in caserma a denunciare l’incidente stradale.
Amós il matto
Amós è un tipo solitario che vive nel
borgo di Cecilio. I due anziani litigano
spesso, ma in fondo non possono fare a
meno l’uno dell’altro. Amós ha un cane,
che si ferisce con una tagliola di Cecilio.
La sera, Amós va a protestare dall’amico.
Lo chiama più volte senza ricevere risposta, entra in casa e lo trova in un angolo
coperto di sangue.
Fugge atterrito, si rifugia nel bosco
dove resta per qualche ora, infine si reca
alla stazione della polizia per sporgere
denuncia. Amadeo, il capo della polizia,
gli chiede di vedere il luogo. Il cadavere
non c’è più. Amadeo chiede ad Amós di
raccontargli cosa ha fatto durante quella
notte. Amós dice di essersi recato in cimitero per parlare coi morti e poi di essersi
diretto a casa di Cecilio. Ad Amadeo risulta difficile credere al vecchio, anche
perché gli indizi in casa fanno propendere
per una partenza improvvisa.
Il caimano
Amadeo però non è convinto della reale dinamica dei fatti. Prosegue nelle indagini e scopre che Cecilio aveva acquistato scorte alimentari per almeno un mese,
non si è portato con sé dischi antichi a lui
molto cari e il pomeriggio della scomparsa aveva lavorato nell’orto (quindi era
partito a piedi, da solo e di notte, cosa
molto strana per uno che vuole intraprende un viaggio).
56
Interroga Esteban per sapere se la notte
dell’incidente avevano visto passare un
uomo a piedi con una valigia, ma l’uomo
nega. Peraltro nessun altro testimonia di
averlo visto. Viene poi avvicinato da un
paesano che dice di aver sentito Esteban
parlare con la banca per farsi inviare dei
soldi per comprare un agriturismo.
Una notte Tomás si incontra con Esteban e gli altri per farsi dare i soldi pattuiti. Interviene Amadeo che brucia il denaro. Dice di non voler sapere nulla dell’accaduto e che accetterà di confermare la
versione ufficiale (per proteggere la figlia
e il bambino che sta per nascere), a patto
che il gruppo degli speleologi abbandoni
subito il paese.
I
l cinema spagnolo conferma di anno
in anno uno stato di salute costante
e una solidità inimmaginabile anche
solo quindici anni fa. La principale riprova
è data dal fatto che si riscontrano prodotti
di natura e pretese molto differenziate, dal
cinema d’autore puro a quello medio di
qualità, da film dal respiro internazionale
a lavori indirizzati prevalentemente al consumo interno, dal cinema di genere a quello impegnato socialmente e politicamente. Inoltre c’è da riscontrare la costante presenza di nomi e volti nuovi tra i registi. Dopo
De La Iglesia, Amenábar e Salazar (l’autore di 20 centimetri), giusto per citare casi
paradigmatici di tre diverse generazioni, è
la volta di Sánchez-Cabezudo.
Al di là di una struttura narrativa che
contiene molti elementi caratteristici del
genere noir (un ambiente apparentemente tranquillo che nasconde retroscena torbidi, un fatto di sangue, la ricerca della
verità), mi pare che il regista sia in prevalenza concentrato a raccontare con sottigliezza tutte le frustrazioni di una provincia spagnola che fatica ad accettare il proprio ruolo marginale rispetto alla centralità della vita metropolitana.
Sánchez-Cabezudo ha buon gioco nel
mettere a contrasto la parte giovane della
società, frustrata da una vita ai margini e
pronta a tutto pur di rompere l’isolamento
(il sindaco che vorrebbe trasformare il paese in una levigata località turistica, Tomás,
cui non basta più una vita vissuta a metà
strada tra moglie e amante) con il gruppo
degli anziani, gelosamente legato alla tradizione e alla conservazione dello status
quo (Amadeo piuttosto che Cecilio).
La coppia di speleologi, Gabi e lo stupratore fungono da elementi perturbanti.
La loro semplice presenza rompe gli equilibri instabili della piccola comunità e fa
venire allo scoperto pulsioni a lungo represse. Paradossalmente le due forze con-
Film
trapposte reagiscono in modo simile, anche se con finalità diverse, al casuale tragico evento che rompe la monotona vita
di provincia. Entrambe antepongono le
ossessioni private alla verità (nonostante
il ruolo rivestito), entrambe nascondono la
realtà dei fatti dietro una maschera omertosa.
Da un punto di vista formale l’aspetto
più eclatante del film è la struttura temporale anacronica. Il tempo ha continui salti
indietro e avanti che lo spettatore deve ricostruire senza l’aiuto di un punto di vista
Tutti i film della stagione
in soggettiva, di una voce fuori campo o di
una didascalia chiarificatrice (come negli
esempi classici, da Quarto potere a Rapina a mano armata). Il riferimento principale, qui, è forse più da ricercare nel Tarantino di Pulp Fiction o Le Iene.
Le didascalie, innanzitutto, non danno
indicazioni rispetto alla struttura narrativa,
ma fanno riferimento ai personaggi. Il regista introduce ogni figura che ha un ruolo
nel racconto come se volesse dare a ciascuno un proprio spazio privilegiato, anche se solo con pochi cenni di presenta-
zione. Naturalmente, però, questo procedimento, oltre a mettere al centro dell’attenzione i personaggi più che l’azione,
genera una percezione del tempo straniata nello spettatore, che fatica a orientarsi
nella successione degli eventi. L’effetto è
quello di rendere meno intelligibile l’accaduto, di mascherarne i contorni. Di sommergere, in altre parole, la verità sotto una
coltre ottenebrante, un po’ come fanno i
protagonisti con il cadavere di Cecilio.
Fabio de Girolamo Marini
DR. PLONK
(Dr. Plonk)
Australia, 2007
Art director: Beverly Freeman
Arredatore: Phillip ‘Sunday’ Hopkins
Trucco e acconciature: Beverly Freeman
Supervisore effetti speciali e visivi: Jon Armstrong
Suono: James Currie
Interpreti: Nigel Lunghi (dr. Plonk), Paul Blackwell (Paulus),
Magda Szubanski (Mrs. Plonk), Wayne Anthoney (Primo
ministro Stalk), Quentin Kenihan (uomo sul tram), Mike
Rann (Primo Ministro Short), Phoebe Paterson de Heer
(cameriera), Josha Jaeger (poliziotto all’Orto Botanico),
Jeff Lang (poliziotto della città), Nigel Martin (Dr.Plonk),
Bogdan Koca
Durata: 85’
Metri: 2350
Regia: Rolf de Heer
Produzione: Rolf de Heer, Julie Ryan per Australian Film Finance Corporation/Vertigo Productions Pty.Ltd.
Distribuzione: Fandango
Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008)
Soggetto e sceneggiatura: Rolf de Heer
Direttore della fotografia: Judd Overton
Montaggio: Tania Nehme
Musiche: Graham Tardif
Scenografia e costumi: Beverly Freeman
Produttori esecutivi: Bryce Menzies, Sue Murray, Domenico Procacci
Direttore di produzione: Kate Croser
Aiuto regista: David Wolfe-Barry
N
el 1907, nonostante il caos sovrano regnante nel suo laboratorio
domestico, l’instancabile Dr.
Plonk si confronta quotidianamente con gli
enigmi della scienza, scervellandosi affinché la fatidica lampadina si accenda e la
sua mente partorisca una nuova, rivoluzionaria idea. Un giorno, mentre intorno
al suo posto di lavoro la moglie insegue il
suo sordo assistente Paulus, che, a sua
volta, insegue il vivace cagnolino Tiberius,
Plonk ha una folgorazione. A seguito di
complessi calcoli prevede che nel 2008 il
mondo cesserà di esistere. Intenzionato a
rendere pubblica la scoperta affinché si
prendano provvedimenti preventivi, si reca
presso i consiglieri del Primo Ministro, ma
nessuno dei grandi vecchi è disposto a credergli senza l’eclatanza di una prova. Amareggiato, lo scienziato torna a casa, ma non
abbandona la sua speranza di salvare il
mondo. Un nuova lampadina si accende:
costruirà una macchina del tempo in grado di trasportarlo nel futuro e reperirà la
prova richiesta dagli scettici politici.
Dopo un’industriosa lavorazione, la
macchina è finalmente pronta e Tiberius
viene scelto come primo crononauta. Al suo
ritorno, chiuso in una panca di legno che
funge da trasportatore, il cane porta con
sé oggetti che attestano la sua permanenza in un epoca avveniristica. È ora il turno
del reticente Paulus, anch’egli proiettato
con successo negli anni a venire. Infine,
certo della funzionalità della sua invenzione, Plonk rompe gli indugi ed entra personalmente nella cassa. Ma l’assistente, che
deve azionare la macchina nel presente,
gioca uno scherzo al suo padrone è lo trasporta nel passato. Salvato all’ultimo momento da un’atroce morte per mano degli
uomini primitivi, lo scienziato viene riportato all’attualità. Rimproverato a dovere
il suo assistente, ora controllato anche
dalla signora Plonk, l’inventore intraprende più di un viaggio nel futuro, munito anche di una macchina fotografica. Ma, nonostante i numerosi tentativi, non riesce a centrare l’epoca o il posto esatto in
cui il mondo finirà. Decide allora di portare con se anche Paulus, che lo aspetterà
vicino alla panca del tempo (ora miglio-
57
rata grazie ad alcune modifiche), mentre
lui si aggira all’interno di un moderno,
desolante e apocalittico quartiere residenziale. Finalmente, scorge in un televisore
la réclame di un film sulla fine dell’umanità. Rubato uno schermo, tenta inutilmente di portarlo nel suo presente. Torna con
il Primo Ministro, che rimane sconvolto
dall’aggeggio presagente l’apocalisse.
Purtroppo, però, i suoi posteri in politica
non la pensano ugualmente e lo internano
in un manicomio.
Plonk, intanto, si è infilato in un vicolo cieco: ricercato nel futuro, viene asserragliato nel capannone dove è nascosta la
macchina del tempo. Quest’ultima è però
diventata oggetto degli spassosi giochi di
Paulus e Mrs. Plonk, che si divertono a
farla rimbalzare dal presente al futuro.
Fino a quando, nel laboratorio, la panca
si frantuma divenendo inutilizzabile. I due,
che ora conducono una idilliaca vita di
coppia, si dedicano alla lunga ricostruzione del contenitore. Plonk, rassegnatamente, non può che attendere dietro le sbarre
di un carcere del 21° secolo.
Film
L
’immagine conclusiva di Nigel
Lunghi dietro le sbarre, iconica di
tutta una poetica chapliniana, è
emblematica del tributo al cinema muto
che Dr.Plonk incarna, ma da sola non
esaurisce l’ampia gamma di referenze
che questo gradevolissimo lungometraggio mette in fila. Come solito nella sua filmografia, la condotta cinematografica dell’olandese Rolf de Heer è attraversata e
scossa da lampi di genialità. Non una brillantezza artistica costante o imperiosa,
tant’è che il film non manca di debolezze
ritmiche e lungaggini narrative (l’eccedenza di svolgimento nel blocco finale, ad
esempio, mette a repentaglio l’equilibrata compattezza costruita fin a quel momento da una regia e una sceneggiatura
impeccabili); piuttosto scariche di una virtù rappresentativa e di una lucidità iconoclasta nel regime discorsivo che confermano l’autore raro e prezioso nel panorama borderline della cinematografia contemporanea. Una di queste scariche geniali sta proprio nella larga aspirazione
celebrativa, inclusiva di un cinema dei primordi che va dai Lumière (il treno che attraversa protagonisticamente il primo atto)
a Méliès (pur se l’estensione temporale
diegetica resta interna al tempo storico
reale, la retrodatazione di tutti i codici del
film ne rendono comunque possibile l’inscrizione in un ambito di pseudo-fantascienza); dalla comicità di Sennett (da cui
attinge in larga parte l’essenziale personaggio di Paulus) alla lezione malinconica di Chaplin, Keaton e Lloyd, passando
Tutti i film della stagione
per la messa in serie griffithiana. Il testo
è così filologicamente radicato nelle fondamenta formali del classicissimo muto,
a iniziare dal principio di messa in quadro fortemente regolato dalle direttive di
campo centrifugo, fissità della macchina
da presa e analiticità di base del montaggio attraverso usi sapienti di narrazioni
alternate e in parallelo, passando per le
gag archetipiche dello slapstick (inseguitore inseguito, buccia di banana) culminando nell’evidenziazione delle prassi
effettistiche ante litteram, come la sovrapposizione sul fotogramma e la sostituzione a macchina bloccata. Tecnicamente,
de Heer estende poi la sua mimesi del
processo fotografico “primitivo”, lavorando retrospettivamente sulle cadenze di
otturazione (il regista ha rinunciato all’impiego di camere dell’epoca per proibitivi
problemi di adeguamento agli standard
attuali) e adulterando le nuove emulsioni
in ottemperanza alla sensibilità delle pellicole primordiali. La presenza di didascalie descrittive (infrequenti e per questo
ancor più funzionali alla fruizione) aggiunge valore a un sguardo teorico sul mezzo
che comunque non rinuncia a una rilettura stilistica del primo cinema. Tra le molte
occorrenze extradiegetiche è la musica di
Graham Tardif, in bilico perfetto tra connotazione da accompagnamento in sala
e sonorizzazione successiva, a segnalare una volontà discorsiva tesa contemporaneamente al fedele esercizio di stile e
alla contaminazione reinterpretativa, sebbene sempre controllata, promuovendo
un gioco di mediazione tra passato e presente che si rifrange, in primis, nell’orientamento ironico del linguaggio: ne è prova, sempre rimanendo al commento musicale, la funzione di sineddoche figurativa affidata ai pentagrammi quando Paulus
si riaffaccia dal primo viaggio nel futuro
in abiti giamaicani, sottolineata dall’ensemble con un ritmo tipicamente reggae.
Su questi scarti il regista investe molto
anche in sede estetica, contrapponendo
il bianco e nero storicizzato della fotografia, gli sbalzi di scorrimento in ripresa e le
movenze del protagonista con i moderni
scenari urbani del 2008. La scelta del
viaggio nel tempo (che è sempre, come
ancor di più Dr. Plonk conferma, un viaggio nel cinema) si rivela, in questo senso,
decisiva, permettendo al lungometraggio
di velare ironicamente non solo il passato ma anche l’avvenire (diegeticamente),
sconosciuto e solitamente trattato con reverenziale ieraticità nei classici dell’escursione cronotopica.
In questa misura, Dr.Plonk sorpassa
la citazione intellettuale (a là Inganno a
Berlino) e s’addentra in una riattivazione
del muto che, al di fuori dei suoi limiti temporali, assicura la materia del racconto ai
dettami delle proprie retoriche come una
vera e propria architettura di genere. E
concorre a segnalare come, se affrontato
con rispetto e senza asservimento, nessun magistero linguistico è destinato alla
decadenza.
Giuliano Tomassacci
VALUTAZIONI PASTORALI
Agente Smart – Casino totale – accettabile / semplice
Air I Breath (The) – n.c.
Alexandra – raccomandabile-problematico / dibattiti
Babylon A.D. – inconsistente / crudezze
Be Kind Reading – Gli acchiappafantasmi – accettabile / semplice
Boogeyman 2 – Il ritorno dell’uomo
nero – n.c.
Cambio di gioco – n.c.
Changeling – raccomandabile-problematico / dibattiti
Classe (La) – Entre les murs – accettabile-problematico / dibattiti
Dr. Plonk – n.c.
-2- Livello del terrore – n.c.
Fidanzata di papà (La) – inconsistente /
grossolano
Grace is Gone – n.c.
Hancock – accettabile / brillante
Hellboy: The Golden Army – accettabile / complesso
Hurt Locker (The) – accettabile-problematico / dibattiti
Incredibile Hulk (L’) – accettabile / semplice
In viaggio per il College – n.c.
Invincibile – n.c.
Joshua – n.c.
Ken il guerriero – La leggenda di
Hokuto – inconsistente / violento
Kun Fu Panda – accettabile / semplicistico
Lezione Ventuno – inconsistente / velleitario
Mamma mia! – discutibile / ambiguità
Mio sogno più grande (Il) – n.c.
Miracolo a Sant’Anna – accettabile /
problematico
Mist (The) – discutibile / crudezze
Morti di Ian Stone (Le) – inconsistente /
crudezze
58
No problem – accettabile-riserve / brillante
Notte dei girasoli (La) – discutibile /
crudezze
Parigi – discutibile / velleitario
Quantum of Solace – accettabile /
crudezze
Redbelt – n.c.
Resto della notte (Il) – discutibile-problematico / dibattiti
Riflessi di paura – inconsistente / violenze
Savage Grace – n.c.
Segreto tra di noi (Un) – discutibile /
problematico
Sfiorarsi – discutibile / realistico
Tadpole – Un giovane seduttore a New
York – discutibile / superficialità
Vicky Cristina Barcelona – discutibile /
scabrosità
Wall-E – raccomandabile / poetico
Wanted – Scegli il tuo destino – inconsistente / violento
Film
Tutti i film della stagione
TUTTO FESTIVAL
CANNES 2008
RIFLETTERE SUL PRESENTE
A cura di Giancarlo Zappoli
Con il contributo di Flavio Vergerio
I premi
Palma d’Oro al miglior film: Entre les murs di Laurent Cantet
Gran Premio della Giuria: Gomorra di Matteo Garrone
Premio della giuria: Il Divo di Paolo Sorrentino
Miglior attrice: Sandra Corveloni per Linha de passe
Miglior attore: Benicio Del Toro per Che
Miglior regista: Nuri Bilge Ceylan per Üç Maymun
Miglior sceneggiatura: Le silence de Lorna di Luc Dardenne e Jean-Pierre Dardenne
Basta leggere il Palmares di questa edizione di
Cannes con i principali premi assegnati per rendersi conto di come il lavoro dei giurati sia stato difficile, ma anche di come abbia finito con
l’indirizzarsi su una linea precisa di attenzione
al sociale che non può non aver avuto un impulso decisivo dalla presenza di un attore impegnato come Sean Penn alla presidenza. Si tratta di un verdetto complessivo tra i più condivisibili degli ultimi anni. A partire dal vincitore.
Da anni Cannes ci aveva (fortunatamente) disabituato alla conquista dei premi più prestigiosi da parte della cinematografia del Paese
ospite (episodio verificatosi più volte in passato). In questa occasione però non c’è nulla da
recriminare. Cantet ha posto l’accento su uno
degli elementi culturali essenziali per la crescita armoniosa di una società. la scuola. Rimanendo, come da assunto iniziale, all’interno delle
sue mura ha saputo mettere in rilievo microstorie che, unendosi o giustapponendosi, offrono
uno spaccato dell’universo adolescenziale contemporaneo non solo francese.
I premi agli attori non hanno tenuto conto delle valutazioni dei critici che hanno accolto con
sufficienza il Che di Soderbergh. Volendo prestare ascolto a Hollywood, ci sarebbe stata a
disposizione un’Angelina Jolie peraltro molto aderente alla parte assegnatale nel film di
Eastwood. Penn e compagni hanno deciso di
premiare la passione con cui Benicio Del Toro
ha affrontato il personaggio del Che in un film
da lui fortemente voluto e hanno affiancato alla
star l’assolutamente sconosciuta (per il pubblico internazionale) Sandra Corveloni, madre dolente in Linha de passe di Walter Salles.
I Dardenne, dopo due Palme d’oro, hanno avuto un riconoscimento per la sceneggiatura della
loro opera che più concede all’ottimismo (anche se mai di maniera). Il turco Ceylan con
un’opera dallo stile ‘duro e puro’ ha accontentato il coté cinefilo. A ben guardare (con
l’eccezione degli attori) la giuria internazionale ha inteso rivolgere un omaggio alla Vecchia Europa che non smette di sorprendere.
Un discorso a parte merita la presenza dell’Italia nel Palmarés con due premi: il Premio della Giuria a Il Divo e il Gran Premio
della Giuria a Gomorra. Nel lontanissimo
1972 fummo altrettanto omaggiati con la Palma vinta ex aequo da La classe operaia va in
Paradiso e Il caso Mattei. Oggi non di Palma si tratta ma di premi comunque prestigiosi che, anche in questa occasione, vanno a
due film che rileggono, con stili profondamente differenti, la realtà del nostro Paese.
Come d’abitudine riferiamo in sintesi dei film
presentati in Concorso in stretto ordine alfabetico. Per quanto riguarda le proiezioni a
Cannes, in particolare per Il Divo si coglieva
la difficoltà per critica e pubblico internazionali nel comprendere le vicende di un personaggio sconosciuto ai più. Dubitiamo che la
giuria avesse maggiori dati sulla nostra realtà politica. Ha avuto invece la capacità di
comprendere come un regista della nuova
generazione fosse riuscito, grazie anche alla
prestazione magistrale di un attore come Servillo, ad andare oltre la denuncia delle azioni
di un uomo per stigmatizzare con i toni del
grottesco le storture che a volte entrano a far
parte del fare politica. Storture che non sono
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appannaggio esclusivo dell’Italia e che, come
tali, sono state lette e comprese. Per quanto
attiene a Gomorra invece ha pesato una certa immagine del sud dell’Italia che però il film
non insegue piattamente ma rilegge con la
forza di una denuncia al passo con i tempi
anche sul piano visivo. Per questi due film
rimandiamo alle recensioni pubblicate.
IL CONCORSO
24 CITY
Regia: Jia Zhang –Ke
La fabbrica 420 in cui si produceva strumentazione per aerei chiude per lasciare spazio a
un quartiere residenziale che avrà il nome di
“24 City”. Fondata sessanta apri la fabbrica è
stata il centro economico e sociale della zona.
Attraverso le testimonianze dirette di cinque
operai e quelle, portate sullo schermo da tre
attrici, di operaie il regista ripercorre la storia
della Cina Popolare mettendo in luce i bruschi e sconvolgenti cambiamenti che hanno
profondamente inciso nel tessuto sociale conducendo alla precarietà del vivere grandi masse. L’intento è assolutamente condivisibile.
Resta però più di un dubbio sulla forma utilizzata perché la cinefilia e le scelte estetiche di
Jia Zhang-Ke, se ben si prestano per un cinema d’essai producono in questa docufiction
una presa di distanza da parte dello spettatore
meno ‘colto’ riducendo così sensibilmente il
possibile impatto di un’opera che avrebbe potuto far riflettere un più vasto pubblico.
Film
Tutti i film della stagione
ADORATION
Regia: Atom Egoyan
CHANGELING
Regia: Clint Eastwood
Sabine insegna francese in un liceo chiede ai
propri allievi di scrivere un monologo riferendosi a un fatto realmente accaduto: un terrorista aveva fatto partire la propria compagna incinta caricandola, a sua insaputa, di
esplosivo. Simon, uno degli studenti, viene
fortemente turbato da questa storia e la fa
propria. In realtà la sua sorte è stata diversa
anche se altrettanto tragica: suo padre, alla
guida dell’auto di famiglia, aveva avuto uno
scontro frontale in cui entrambi i genitori erano morti. Se c’è un regista capace di narrare,
fin nelle pieghe più intime, l’ambiguità della
psiche umana questi risponde al nome di
Atom Egoyan. Il regista armeno torna a proporre la verità come frutto di una faticosa
purificazione in cui si procede, anche visivamente, nel far cadere le scorie di quanto l’uomo le sovrappone per poter continuare a cercare di vivere. Il passato e il presente (reali o
immaginati che siano) per il regista armeno
hanno bisogno di essere entrambi conosciuti
per poter poi essere superati in funzione della costruzione di ‘un dolce domani’ quanto
mai complesso.
Los Angeles, marzo 1928. In una mattinata
di sabato Christine Collins, una giovane donna che lavora in un centralino, lascia a casa
da solo il giudizioso figlio Walter che ha avuto
da un uomo che li ha abbandonati. Al ritorno
dal lavoro fa una terribile scoperta: il bambino non c’è più e di lui si è persa ogni traccia.
Finché, 5 mesi dopo, la polizia locale che non
gode di buona reputazione, sembra aver risolto il caso. Consegna infatti a Christine un
bambino che dice di esser Walter e che un
po’ gli assomiglia. La madre è però certa che
non si tratti di suo figlio ed è supportata in
questo anche da altre persone che lo conoscevano bene, a partire dalla maestra. Le autorità di polizia, sostenute da un’opinione
pubblica desiderosa di rassicuranti lieto fine,
insistono nella loro versione fino a decidere
di internare Christine attribuendole disturbi
mentali che l’avrebbero spinta a non riconoscere nel sedicente Walter il proprio figlio.
Ispirato a una vicenda realmente accaduta, il
film di Eastwood, sulla base di una sceneggiatura di J. Michael Straczynski che si è avvalso degli atti del processo, legge la vicenda di Christine Collins come perfettamente
inseribile tra gli elementi che costituiscono
la base dell’etica eastwoodiana: l’individuo
solo contro il Potere corrotto, l’infanzia segnata da traumi irreparabili, il rapporto tra il
sistema sanitario e i pazienti/oggetto, la pena
di morte. Ancora una volta paladino dei diritti umani, ci ricorda che il cinema può costruire memoria. Anche quando sa come commuovere.
BLINDESS
Regia: Fernando Meirelles
Un uomo sta guidando nel traffico cittadino.
D’improvviso la sua auto, ferma a un semaforo, non riparte più. Non si tratta di una panne tecnica. Molto più tragicamente, l’uomo
non vede più nulla se non un biancore lattiginoso. Dopo che un passante, con la scusa di
accompagnarlo a casa, gli avrà rubato l’auto,
l’uomo andrà a farsi visitare da un oftalmologo il quale, al risveglio il mattino dopo, si
ritroverà privo della vista. L’epidemia si
espande a macchia d’olio e i primi colpiti
vengono internati in un ospedale nel quale si
fa ricoverare anche la moglie del medico che
è l’unica a non essere stata colpita dal morbo. Non sempre e non necessariamente da un
grande romanzo. Se Jose Saramago ha ceduto i diritti del suo famosissimo libro è perché
lo ha convinto la sceneggiatura di Don McKellar. La scelta è stata saggia perché Meirelles, pur abbandonando una possibile chiave di lettura simbolica che in qualche occasione andava invece sottolineata, riesce comunque a evitare la trappola del film apocalittico con zombie accecati. La Moglie (il
personaggio non ha un nome né nel libro né
nel film) diviene il punto di riferimento di un
possibile riscatto per un’umanità ormai discesa negli abissi della ferinità. Meirelles è
un regista molto ‘fisico’ e i suoi due precedenti film (City of God e The Constant Gardener) sono lì a testimoniarlo. Fa buon uso
di questa sua propensione riuscendo così a
lavorare sul corpo degli attori (e in particolare su quello di Julianne Moore) con grande
maestria.
CHE
Regia: Steven Soderbergh
Parteprima.
26 novembre 1956. Fidel Castro parte verso
Cuba con un gruppo di un’ottantina di ribelli.
Uno di loro è Ernesto Guevara, un medico argentino a cui presto verrà attribuito il soprannome ‘Che’. Il gruppo ha una finalità precisa:
abbattere il regime dittatoriale di Fulgencio
Batista sostenuto dagli americani. Il Che si
dimostra da subito un combattente abile particolarmente versato nell’arte della guerriglia.
Diventa così sempre più famoso tra i suoi compagni e tra la popolazione per la sua determinazione, mista a una profonda passione per i
più deboli e sfruttati. Ben presto diventerà un
comandante e, con la vittoria dei castristi, uno
dei miti di quella rivoluzione.
Parteseconda.
Dopo l’insediamento del governo guidato da
Fidel Castro il Che è al vertice della sua popolarità e gli viene offerto un Ministero. Ma il
combattente Guevara lascia ben presto Cuba.
In altre parti del mondo c’è gente che soffre e
che deve essere sostenuta dalla lotta armata.
Dopo una breve presenza in Congo, la sua meta
è la Bolivia. Qui troverà condizioni ancor più
60
difficili ed estenuanti, sia sul piano climatico
che su quello politico. Infatti il partito comunista locale gli fa il vuoto intorno non concordando con i suoi metodi di lotta. Lasciato solo,
il Che finirà con l’essere accerchiato dalle truppe dell’esercito, arrestato e ucciso brutalmente. Benicio Del Toro ha deciso di produrre
nonché di assumersi il ruolo del protagonista
in un progetto condiviso con Steven Soderbergh, uno dei registi più disposti a sperimentare che Hollywood ci possa offrire. Soderbergh si lancia in questo megaprogetto della
durata complessiva di 4 ore e mezza con un
obiettivo ben delineato, anche se non dichiarato. Non vuole cioè farsi invischiare nella
polemica sulla Cuba, così come si è venuta
costituendo nei decenni con il culto del leader
e la restrizione delle libertà. Elide pertanto tutte
le tensioni che nacquero tra Guevara e Castro
dopo la conquista del potere. Combattente per
tutti i popoli oppressi, l’uno, politico che aveva raggiunto lo scopo, l’altro. Si concentra
sulla figura del Che raccontando nella prima
parte l’Utopia che si fa realtà e, nella seconda,
lo scontro con la realtà stessa.
DELTA
Regia: Kornel Mundruczo
Un ‘film da festival’ quello del regista ungherese, cioè appartenente a quel cinema della rarefazione narrativa che tanto piace ai critici accigliati che mal sopportano il cinema
che va a cercarsi degli spettatori che superino il centinaio. Con due protagonisti distanti
dall’ambito sociale in cui finiscono per vivere, Mundruczo mette in scena il non facile
tema dell’incesto, riuscendo a sfuggire al rischio del voyeurismo fine a se stesso, anzi
allontanandosi proprio nelle scene in cui il
rapporto sessuale diviene centrale. La vicenda tratta di un uomo che ritorna al proprio
paese natale, situato sul delta di un fiume.
Vuole riabbracciare dopo lungo tempo la
madre. La donna, che convive con un uomo
dopo la morte del marito, gestisce un piccolo
bar. Dice subito al figlio che non ha un alloggio da dargli e gli presenta una sorella che lui
non ha mai conosciuto. L’uomo chiede di
poter andare a vivere in un capannone che si
trova su un’isoletta sul delta. Lì lo raggiungerà dopo poco tempo la sorella. Tra i due
nascerà un’attrazione unita a una forte solidarietà contro la madre, dopo la scoperta che
il padre è stato ucciso.
ENTRE LES MURS
Regia: Laurent Cantet
Un insegnante di francese in una qualsiasi
scuola media superiore di Parigi. Sempre in
prima linea nel desiderio di stimolare intellettualmente i propri allievi, il docente deve scontrarsi con pregiudizi e ostacoli che rischiano
di mettere in forse le sue scelte didattiche.
Cantet mette cinematograficamente a frutto
l’esperienza di un docente che realmente ope-
Film
ra in ambito scolastico per porre in evidenza
come qualsiasi realtà scolastica (non solo quelle di periferia) oggi presenti una complessità
finora inedita. Lo fa con un ritmo lento, proprio perché rispettoso della quotidianità liberandosi da qualsiasi residuo di quella retorica
(progressista o meno, poco conta), che più di
una volta ha rischiato di inficiare un discorso
serio e realistico su questo tema.
LE SILENCE DE LORNA
Regia: Jean-Pierre e Luc Dardenne
Lorna è una giovane immigrata albanese a
Liegi. Per ottenere la cittadinanza si è messa
nelle mani del malavitoso Fabio. Costui le ha
procurato un matrimonio con Claudy (un tossicodipendente) e Lorna ha ottenuto ciò che
desiderava. Ora vorrebbe poter aprire un bar
con il suo fidanzato Sokol che fa il pendolare
da una frontiera all’altra. Per ottenere la somma necessaria deve però portare a compimento il piano di Fabio. Deve, cioè, poter ottenere
un rapido divorzio per poter così sposarsi nuovamente. Abbandonato il super 16 mm e con
una macchina da presa molto meno ‘pressante’, i Dardenne sembrano essersi un po’ ammorbiditi rispetto al ‘rigore’ delle opere precedenti. Un po’ meno duri lo sono certamente, anche se il loro impegno morale e civile
non è arretrato di mezzo passo. Il dolce volto
di Lorna (costretta a cercare di sopravvivere
in mezzo ai lupi) è di quelli che si ricordano.
Ma Lorna non è un lupo. È una giovane donna che finisce col provare una pietà che sconfina nell’amore per quel relitto umano che le
chiede costantemente aiuto per uscire dal tunnel in cui si è infilato. La scoperta di questo
sentimento precede di poco l’eliminazione fisica del ragazzo. Il quale muore ma continua a
viverle ‘dentro’, al punto da farla sentire in
attesa di una nuova vita. Il finale apre a un po’
di speranza in un mondo che forse ha ancora
qualche spazio per chi è in difficoltà
LA FRONTIERA DELL’ALBA
Regia: Philippe Garrel
Carole, attrice abbastanza nota, si sposa con
un uomo spesso assente per lavoro. François
è incaricato di realizzare un servizio fotografico su di lei. I due si innamorano, ma lei è
profondamente insicura. Un giorno, il giovane fotografo è costretto ad assistere, nascosto, alle manifestazioni di affetto di Carole
per il marito. Smetterà di cercarla e la donna
cadrà in una profonda depressione che sfocerà nel suicidio. Tornerà sotto forma fantasmatica. L’estetica di Garrel, rigorosa e formalmente molto costruita, è fuori discussione. Così come il suo attuale bisogno di andare alla ricerca di utopie, sogni e fallimenti del
’68. Il problema sta semmai nella scelta del
figlio Louis quale protagonista, già utilizzato recentemente, ma mal servito da una sceneggiatura che, in questa occasione, non sa
Tutti i film della stagione
trovare il giusto equilibrio sfociando nel finale nel ridicolo involontario.
LA MUJER SIN CABEZA
Regia: Lucrecia Martel
Una donna alla guida di un’auto urta e investe un corpo che però non si ferma a soccorrere. Nei giorni successivi, continua ad attraversare la sua quotidianità quasi come se fosse distaccata da quanto le accade intorno. Una
notte, però, rivela al marito di aver ucciso uno
sconosciuto. I due scoprono sulla strada, teatro dell’incidente, il cadavere di un cane.
Tutto torna a posto, finché non si diffonde la
voce dell’investimento di un uomo abbandonato sull’asfalto. Non sempre la sintesi di una
sinossi offre al lettore l’esatta percezione del
film di cui si tratta. E’ il caso di questo film
della Martel, totalmente privo di idee, ma
impegnato a nascondere il vuoto con un incessante vagare della macchina da presa alla
ricerca dell’ispirazione che la sfiorò nel 2001
con La cienaga. Ma l’ispirazione sembra essersi nascosta molto bene.
LE TRE SCIMMIE
Regia: Nuri Bilge Ceylan
Già vincitore del Grand Prix e dei riconoscimenti per i due attori protagonisti nel 2003
con Uzak, il regista turco circoscrive già con
il titolo l’ambito del suo narrare. Una scimmia non vede, una non sente e una non parla.
La vicenda può essere così riassunta: in una
strada di notte un uomo viene investito da
un’auto e abbandonato. Qualcuno però ha
visto la targa dell’automezzo che è di proprietà di un uomo politico, il quale, per evitare lo scandalo che troncherebbe la sua carriera, chiede al suo autista di autoaccusarsi
dell’incidente. Resterà in carcere per poco
tempo, sua moglie continuerà a ricevere il suo
stipendio e, al momento del rilascio, ci sarà
per lui un’ingente ricompensa. L’uomo accetta. Il figlio diventa però geloso, avendone
motivo, della madre. Le tre dramatis personae si ritrovano chiuse nella propria separazione dagli altri. Ma, se il padre e la madre
sono, in modo diverso, coinvolti dal rapporto con il Potere, il figlio, un ragazzo, tenterà
di reagire. Non sembra esserci speranza per
l’umanità descritta da Ceylan, a meno che
sappia ritrovare la forza di affrontare il rimosso, quel figlio perduto ancora bambino che
con la sua distante presenza potrebbe forse
restituire, almeno un po’ di quella pace che
tutti, anche inconsapevolmente, cercano.
LEONERA
Regia: Pablo Trapero
Julia viene arrestata e accusata di omicidio.
Nel suo appartamento di Buenos Aires, al suo
risveglio, c’erano i corpi di due uomini assassinati. La giovane donna conviveva con i due
che erano amanti e abusavano di lei. Ora è in61
cinta e decide di far nascere il bambino, Tomas, nel degrado della prigione. Finchè sua
madre riuscirà a sottrarglielo. Da quel momento, Julia avrà un solo obiettivo: riunirsi al suo
piccolo.Trapero vuole tracciare un ritratto
aspro del rapporto tra maternità, violenza e ricerca dell’innocenza. Finisce però col fallire
l’obiettivo, forse perché troppo attento nel dare
risalto al personaggio della protagonista, interpretato dalla moglie (realmente incinta al
tempo delle riprese). Resta, comunque, valida
l’accusa nei confronti di un sistema carcerario, in cui la finta umanità degli spazi dedicati
alla maternità si scontra con l’alienazione che
divora l’animo delle detenute madri e non.
Julia suscita l’empatia dello spettatore, ‘nonostante’ il suo carattere. Siamo, cioè, spinti
progressivamente a cercare di conoscerla, di
comprenderne la sofferenza e le ragioni. Capire perchè ha finito con il trovarsi in quelle
situazioni, ci aiuta a valutare in maniera diversa il suo agire successivo.
LINHA DE PASSE
Regia: Walter Salles
Quattro fratelli (figli della syessa madre, ma
di padri diversi) tentano di portare avanti una
vita stentata mentre la loro genitrice è nuovamente incinta. Dario vorrebbe diventare un
calciatore ma è troppo ‘vecchio’ per la logica
dei club (ha già 18 anni). Reginaldo, il più piccolo vuole conoscere il padre. Dénis, che ha
già un figlio, non sfugge alla rete della malavita, mentre Dinho viene irresistibilmente attratto da una setta religiosa. Daniela Thomas
e Walter Salles formano una coppia ormai collaudata dal taglio documentaristico.
Il loro è uno sguardo di partecipazione sofferente nei confronti del mondo dei giovani apparentemente privo di speranza, ma, di fatto,
carico di un desiderio di denuncia che diviene
esso stesso stimolo affinché qualcosa cambi.
Salles in ogni suo film ci ricorda che ciò che
oggi fa girare il mondo è il motore dello sfruttamento, che trova nella parte più debole della
popolazione, soprattutto se giovane, la propria
inesauribile fonte di guadagno.
MY MAGIC
Regia: Eric Khoo
Ci sono luoghi nel mondo in cui il cinema (il
produrre cinema) è ormai un lontano ricordo. E’ quanto accadeva a Singapore fino a
tredici anni fa. Si deve all’impegno di Eric
Khoo che con il suo Mee Pok Man, vincendo
numerosi premi, ha ridato slancio alle produzioni locali. Bosco Francis, il protagonista
del film, è un vero illusionista che qui interpreta un ‘mago’ ormai dipendente dall’alcol
e ridotto a lavorare come uomo delle pulizie
in un nightclub. Sarà il figlio decenne a spingerlo a ritrovare se stesso. Siamo dalle parti
del mélo più esplicito che certamente trova
consenso in quelle latitudini e che può trova-
Film
Tutti i film della stagione
Wenders realizza uno di quei suoi film esteticamente ineccepibili, quanto tanto pretenziosi da rischiare il ridicolo per eccesso di
didascalismo. Se la parte tedesca si salva proprio grazie a un high tech che diventa gabbia
dell’animo, quella siciliana diventa ‘imprevedibile’ nel senso che uno non si aspetta che
l’immagine della Morte banalizzata in un dialogo con una Morte vestita in bianco e con il
volto di Dennis Hopper. Shot significa fotografare ma anche colpire. Qui il tiro è andato
davvero fuori bersaglio.
SYNEDOCHE NEW YORK
Regia: Charlie Kaufman
LE SILENCE DE LORNA di Luc Dardenne e Jean-Pierre Dardenne
re spazio sugli schermi della Croisette, forse
grazie al suo coraggio e alla sua ‘esoticità’.
RACCONTO DI NATALE
Regia: Arnaud Despleschin
Un film dalla trama non riassumibile in poche parole tanto è complessa quello di Despleschin. Abel e Junon Vuillard avevano due
figli: Joseph ed Elizabeth. Joseph si ammalò
e si rese necessario un trapianto di midollo
osseo. Né i genitori, né Elizabeth erano compatibili. Abel e Junon decisero allora di mettere al mondo un altro figlio sperando nella
possibilità di una donazione. Ma anche il piccolo Henri non era compatibile e Joseph morì
a 7 anni. Con la nascita del quarto figlio, Ivan,
progressivamente il lutto per la perdita di
Joseph sembrò essere rielaborato.
Anni dopo, Elizabeth, scrittrice teatrale di
successo aiutò il fratello Henri, sull’orlo della bancarotta, ma a un patto: non avrebbe
dovuto mai più presentarsi davanti a lei. Sono
trascorsi altri anni e si avvicina il Natale, Junon apprende di essere stata colpita dallo stesso male di Joseph. Va cercato un donatore in
famiglia: uno potrebbe essere Paul, il tormentato figlio adolescente di Elizabeth e l’altro
proprio Henri, che ha fatto la sua ricomparsa
(invitato da Paul) insieme alla sua compagna
del momento, l’ebrea Faunia. La famiglia si
ritrova nella città di origine, Roubaix, ed
Henri dovrà decidere se mettersi a disposizione per un trapianto che potrebbe salvare
(ma anche uccidere) una madre che non ha
mai amato.Il regista dimostra grande talento
nel dirigere attori così importanti, da cui sa
con precisione cosa vuole ottenere. Molto
meno chiaro è il suo intento in relazione alla
descrizione dell’ambiente familiare. Sembra,
cioè, che i colpi di scena (con qualche punta
di melodramma di troppo) lo affascinino
molto di più rispetto al desiderio di scavare
nelle modalità di relazioni all’interno
dlel’universo che va a descrivere.
SERBIS
Regia: Brillante Mendoza
Una città di provincia delle Filippine. Una
famiglia, un tempo proprietaria di tre sale cinematografiche, ora gestisce un cinema a luci
rosse in cui a nessuno importa dei film proiettati, ma invece interessano i ‘servizi’ che
vengono resi nei corridoi e nei gabinetti.
Nonna Flor controlla tutto e vive, con i familiari, proprio sopra il cinema. La regia pedina i personaggi non lasciando loro respiro e
facendo della corruzione degli animi un elemento scenografico che si traduce nella corrosione delle pareti e degli infissi. Non c’è
però un giudizio morale su questa umanità
degradata che ha, a tratti, sprazzi di dignità
che contrastano fortemente con il vivere quotidiano. Come la pretesa di Nanay Flor di
punire un marito ‘immorale’ pur sapendo che
l’intero nucleo familiare verrà penalizzato se
lei vincerà la causa.
SHOOTING PALERMO
Regia: Wim Wenders
Fin è un fotografo famoso e in costante attività. Una sera, evita per un soffio la morte in
un incidente stradale. La sua vita ha allora
una svolta. Lascia la natia Germania e raggiunge Palermo. La motivazione ufficiale è
quella di un servizio fotografico con Milla
Jovovich, ma quello che vuole è ripartire da
capo. Il senso di morte imminente, però, continua a perseguitarlo, finché non incontra una
restauratrice italiana che sta lavorando proprio su un Trionfo della Morte.
62
La vita di Caden Cotard, regista teatrale, si
va facendo sempre più complicata. La moglie Adele, che non riesce a dimenticare, lo
ha lasciato portandosi dietro la figlioletta
Olive. Una storia con l’affascinante Hazel è
finita e la sua analista sembra troppo presa
dal libro che sta per far uscire. Una malattia
non ben identificata lo affligge. Ecco che allora deicde di mettere in scena la propria vita
in un grande hangar, la cui scenografia cresce in progressione con la narrazione delle
vicinde che lo hanno segnato. La sinèddoche
(dal greco óõíåêäï÷Þ, «ricevere insieme») è
una figura retorica che consiste nell’uso in
senso figurato di una parola al posto di un’altra, mediante l’ampliamento o la restrizione
del senso. La sostituzione può essere: la parte per il tutto (“la vela” al posto di “nave”);
di una qualità/caratteristica per il tutto (“il
ferro” al posto della “spada”); del tutto per la
parte (“una borsa di serpente” al posto di “una
borsa di pelle di serpente”); del singolare per
il plurale e viceversa (“l’Italiano” - inteso
come persona - “all’estero” per “gli Italiani
all’estero”); del genere per la specie e viceversa (“il mortale” per “l’uomo”)” (Wikipedia). Kaufman , giunto finalmente alla regia
dopo una lunga e lusinghiera carriera di sceneggiatore, decide di osare ancor più di quanto avesse fatto con i film dati da realizzare ad
altri. Realizza così un film molto marcato
dalla una autorialità che non nasconde l’esigenza di un controllo. Del testo così come
della vita.
TWO LOVERS
Regia: James Gray
Leonard è tornato a Brighton Beach, luogo
che gli ha dato i natali, dopo aver cercato di
togliersi la vita. Ospitato dai premurosi genitori fa la conoscenza di Michelle, una donna
di cui non riesce a penetrare il mistero. Nel
frattempo i suoi cercano di favorire una sua
relazione con Sandra, figlia dell’acquirente
della tintoria di famiglia. Gray sembra essersi lasciato alle spalle le ‘crime stories’ in favore de “Le notti bianche” di Dostoevskij.
La scelta sembra essergli congeniale, favorendo un trasposizione sullo schermo di sentimenti una volta tanto ‘verosimili’.
Film
VALZER WITH BASHIR
Regia: Ari Folman
Avrebbe potuto essere un documentario visto
da pochi questo film del regista israeliano Ari
Folman sul rimosso dalla coscienza del suo
Paese, in relazione all’intervento in Libano e,
in particolare, alle stragi di Sabra e Chatila.
Ne è scaturito, grazie alla scelta di un’animazione tanto scabra quanto efficace, un film
capace di incidere sulle coscienze. Una notte,
in un bar, un amico confessa al regista israeliano Ari Folman un suo incubo ricorrente:
sogna di essere inseguito da 26 cani inferociti.
Ha la certezza del numero perchè, quando
l’esercito israeliano occupava una parte del
Libano, a lui, evidentemente ritroso nell’uccidere gli esseri umani, era stato assegnato il
compito di uccidere i cani che di notte segnalavano abbaiando l’arrivo dei soldati. I cani
eliminati erano giustappunto 26. In quel momento, Folman si accorge di avere rimosso
praticamente tutto quanto accaduto durante
quei mesi che condussero al massacro portato
a termine dalle Falangi cristiano-maronite nei
campi di Sabra e Chatila. Decide allora di intervistare dei compagni d’armi dell’epoca per
cercare di ricostruire una memoria che ognuno di essi conserva solo in parte, cercando di
farla divenire patrimonio condiviso.
Non a caso il regista è uno degli sceneggiatori della serie televisiva di grande successo
In Treatment che vede agire sul piccolo schermo uno psicoanalista e i suoi pazienti. Questo gli permette di lavorare sulle testimonianze dei suoi ex commilitoni con una sensibilità assolutamente adeguata alla materia che
sta trattando e con un impegno civile che non
deborda mai nel pamphlet fine a se stesso.
Folman, regista e sceneggiatore di qualità (è,
tra l’altro, uno degli sceneggiatori di In Treatment, serie televisiva di grande successo in
Israele adattata da Rodrigo Garcia per il canale dell’HBO) affronta con coraggio uno dei
nervi scoperti della storia recente della democrazia israeliana. Non è però interessato a
distribuire patenti di colpevolezza senza prove (sono note le accuse all’allora Ministro
della Difesa Ariel Sharon considerato responsabile del fatto di aver saputo e taciuto, se
non addirittura favorito).
QUINZAINE, CONTINUA
LA RICERCA DEL DIVERSO
Flavio Vergerio
La finalità principale di un grande festival che
si autoproclama, a ragione, universale, dovrebbe essere l’esplorazione di territori estranei alla
grande produzione commerciale holly-bollywoodiana. Nella speranza di scoprire nuovi autori, temi originali, diversi modi di fare cinema.
Se malgrado le buone intenzioni dei selezionatori, il Concorso maggiore subisce sempre i condizionamenti dell’ovvio e della ricerca di conferme nelle cinematografie maggiori e negli
autori già affermati (Cantet, Garrone, Sorrenti-
Tutti i film della stagione
no, i Dardenne non sono certo degli sconosciuti), la cinefilia curiosa e coraggiosa del direttore della Quinzaine ha avuto modo anche quest’anno di percorrere strade divergenti e di valorizzare nuovi registi. Che verranno magari
omologati il prossimo anno nel concorso e nella grande produzione. E’ facile del resto ipotizzare che alcuni registi interessanti abbiano preferito prendere le strade del concorso o di Un
certain regard dopo essere stati scoperti alla
Quinzaine in anni passati.
Più che un’urgenza tematica, il direttore artistico Olivier Pierre ha privilegiato ancora una
volta opere che tentassero nuove strade espressive e formati produttivi liberi da condizionamenti commerciali. La sua libertà di scelta ha
pagato ancora una volta, anche se un paio di
titoli francesi mi ha lasciato il dubbio di un
qualche condizionamento nazionalistico.
Il cinema che più ci ha interessato a Cannes
è quello che dichiarava apertamente il suo
progetto di scrittura oppure quello che lo occultava, verso un “grado zero” della rappresentazione e della sceneggiatura. Eliminazione delle piccole giustificazioni sociologistiche o psicologistiche, rinuncia alla “bella forma”, invito allo spettatore a interrogare e interpretare il vuoto misterioso dell’immagine
e del racconto.
Senza tentare inutili e discutibili esercizi di
categorizzazioni, mi limito a segnalare dei 23
film selezionati quelli che mi hanno colpito
maggiormente sul piano linguistico, nella loro
radicalità e nello sguardo impietoso nei confronti dei disastri della nostra “civiltà”.
Il catalano Albert Serra, rivelatosi lo scorso
anno con Honor de cavaleria (una rivisitazione del peregrinare quotidiano di Don Chisciotte), si misura stavolta nel suo afasico e
misterioso Il canto degli uccelli con il testo
biblico, mettendo in scena il viaggio dei tre
Re Magi alla ricerca di Gesù che sta per nascere. Nessuna precisazione spazio-temporale, nessun discorso sulla Fede o la Nascita
del Salvatore: tre anziani corpulenti in tunica, la cui identità regale è segnalata solo da
una corona, percorrono senza scorta il deserto verso una meta imprecisata, litigano sulla
direzione da prendere o sulle vesti da indossare, dormono all’addiaccio infastidendosi
l’un l’altro. Pur manifestando affettuosa ironia nei confronti della mitologia e dell’immaginario biblici, Serra non deride i suoi personaggi rappresentandoli piuttosto nella loro
corposa umanità. La dimensione simbolicasacra della Nascita viene segnalata mettendo
in grembo a Maria alternativamente un agnello e un neonato. Ma il film non affronta il
rapporto dell’uomo con il sacro, quanto piuttosto la sfida della durata filmica contro la
dittatura del tempo. I Tre Magi si perdono
nel mistero del tempo e del deserto, luogo
simbolico al di sopra di tutti.
In qualche modo analogo è il percorso dell’anonimo protagonista di Liverpool dell’argentino
Lisandro Alonso, che continua a immergere i
suoi personaggi disperati nella solitudine della
63
pampa o di un fiume amazonico (luoghi dei suoi
precedenti inquietanti La libertad e Los muertos). Qui un marinaio sbarcato da un nave nel
sud dell’Argentina percorre le lande innevate
della Patagonia, per andare a trovare la madre
morente in un villaggio sperduto fra i monti. Vi
ritrova una figlia mai conosciuta, forse ritardata mentale, cui dona del danaro e un portachiavi, tornando al proprio destino di condannato
alla lontananza e alla solitudine affettiva. Anche in questo caso ciò che conta nel film non è
tanto l’aneddoto più suggerito che narrato, quanto il rapporto del personaggio con il tempo e
con lo spazio. Le lunghe inquadrature di paesaggi innevati rappresentano il riflesso misterioso di una condizione esistenziale votata allo
scacco e alla fuga da sé.
In Lezioni private del belga Joachim Lafosse
si descrivono le colpe dei “padri” (naturali o
sostitutivi), descritte in modo angosciosamente
claustrofobico. Il titolo Élève libre, ovvero
“studente privatista”, gioca sull’ambiguità
dell’aggettivo, che è il vero tema profondo del
film. Jonas è un ragazzino apparentemente
tutto ordine e pulizia, figlio di genitori ricchi,
ma sempre assenti, diviso fra la scuola in cui
si impegna senza successo e un’intensa attività tennistica, in cui sembra emergere come
giovane promessa. Inoltre ha una relazione con
una ragazzina, con cui ha le sue prime esperienze sessuali, apparentemente felici. Ma a
scuola subisce una nuova bocciatura e contemporaneamente le sue ambizioni di carriera
tennistica si arenano alle soglie di una selezione nazionale. Si prende cura di lui un’amica di famiglia trentenne, che con il consenso
dei genitori gli propone di andare a vivere a
casa sua per poterlo meglio seguire nelle lezioni private. Jonas verrà poco alla volta coinvolto in un morboso gioco relazionale, cui
partecipano due amici della donna. Con l’alibi di educarlo a una più soddisfacente relazione sessuali con la sua ragazza, i tre adulti lo
introducono a tecniche erotiche sempre più
spinte, giustificate da teorie libertarie. Se si
riesce a superare il dubbio di un certo compiacimento provocatorio, il film è interessante
nella sua volontà di “fare i conti” con un’educazione sessantottarda che, con la finalità di
“liberare” da lacci moralistici la sessualità, ha
finito con creare confusione e assenza di valori di riferimento per i giovani. Il film propone poi un doppiofondo segreto e inquietante:
alcuni sguardi e alcuni silenzi ambigui di Jonas ci lasciano dei dubbi sulla sua reale condizione di vittima, rappresentante di un’età “tenera e innocente”.
La condizione giovanile viene studiata parimenti dal punto di vista dell’ossessione erotica anche in Acné dell’esordiente uruguaiano
Federico Veiroj. Qui il protagonista è addirittura un tredicenne, che viene introdotto alle
“gioie” della sessualità per iniziativa del fratello più maturo, che gli fa fare le prime esperienze con una donna prezzolata. Ma il ragazzino non riesce poi a conquistare una compagna di classe di cui si innamora, condizionato
Film
da un insopprimibile senso di timidezza e insicurezza, l’incombente divorzio dei genitori,
gli impegni scolastici, gli amici che non lo lasciano tranquillo. Acné è un onesto ritratto di
un pre-adolescente, scevro da ogni ipocrisia
buonista e moralismi improduttivi.
Meno originale dei suoi compatrioti premiati
lo scorso anno, il rumeno Rado Muntean in
Boogie descrive tuttavia con efficace e impietoso realismo la “notte brava” di un giovane
diviso fra moglie e figlioletta portati al mare
per una breve vacanza e la rimpatriata con un
gruppo di amici. Il film non rappresenta solo
l’indecisione del protagonista fra maturità e
adolescenza, ma fornisce una serie di indizi
sulla fine delle illusioni della generazione postCeausescu, sulla trasformazione consumistica e sull’omologazione della società rumena.
Lo squallore della anonima cittadina balneare
ricorda tanto le peggiori spiagge del nostro
Adriatico fuori stagione.
Taraneh Tanhaiye Tehran (Solitaria melodia a
Teheran) dell’iraniano Saman Salour mescola
invece i registri realistici con quelli simbolicifiabeschi per darci una visione del tutto inconsueta della città. Sui tetti di essa vagano a vuoto
due strani personaggi, Behruz, un grande e
grosso ex-operatore radio della guerra fra Iran
e Irak, e il cugino Hamid, piccolo e ciarliero. I
due, improbabili tecnici elettronici, piazzano
antenne paraboliche sulle case di invisibili
borghesi, che mal ricevono i programmi occidentali. La censura del regime integralista proibisce le parabole e così i due debbono lavora-
Tutti i film della stagione
re di notte, con clienti che non si vedono mai,
sognando guadagni e avventure sentimentali
impossibili. Il film si fonda su una narratività
ripetitiva e indeterminata, volta a suggerire la
precarietà della condizione sociale dei due
personaggi e di un mondo nascosto.
Cztery noce z Anna (Quattro notti con Anna)
segna il ritorno di Jerzy Skolimoski, assente
dagli schermi da ben 17 anni. Ritorno anche in
patria, una Polonia agricola e senza tempo, in
una dimensione totalmente irreale e simbolica.
Le “quattro notti di un sognatore” dostojevskiane sono rivisitate all’interno dello spazio claustrofobico di un piccolo ospedale ove l’addetto
all’inceneritore, un quasi-idiota solitario ed
emarginato, guarda a lungo una matura infermiera, oggetto del suo desiderio. Egli ha assistito di nascosto allo stupro subita da questa e
penetra di notte nella sua stanza limitandosi a
osservarla mentre dorme. Scoperto, finirà per
essere accusato del delitto non commesso. Film
tutto mentale, Quattro notti con Anna costituisce una riflessione penetrante sul desiderio e la
colpa, sul limite labile fra follia e “normalità”.
Una rivisitazione poetica degli universi concentrazionari kafkiani, in cui i destini esistenziali
si perdono nei labirinti creati dal potere.
Oggetto imprevedibile e spiazzante, Toni Manero del cileno Pablo Larrain narra la trasformazione in serial killer di un maturo ballerino
ossessionato dal personaggio di La febbre del
sabato sera, che cerca di mimare in spettacoli
di disco music in un povero locale di Santiago.
La vicenda è collocata nel 1978, negli anni peg-
giori della dittatura di Pinochet. Anche se il
contesto socio-culturale viene lasciato sullo
sfondo, il film comunica un notevole disagio
per il vuoto esistenziale e la fragilità culturale
con cui il protagonista, personaggio sintomatico di una delle tante “colonie” dell’“impero”,
si consegna ai miti illusori dello spettacolo hollywoodiano.
L’edizione di quest’anno della Quinzaine era
dedicata a Danièle Huillet, scomparsa nell’autunno scorso. E anche in memoria di lei presentava i primi due film di Jean- Marie Straub
realizzati senza la compagna di una vita. Le
genou d’Artemide è ancora una volta la rappresentazione di un mistero, la ricerca dell’uomo
di pace e serenità nel buio di una foresta, verso
la luce e la sommità irraggiungibile di un monte. Preceduto da un movimento di una sinfonia
di Mahler, il film registra ancora un volta, in
raffinate lunghe inquadrature fisse, il dialogo
fra un personaggio mitico e uno straniero, tratto dal Cesare Pavese di Dialoghi con Leucò.
Il secondo film, Itinéraire de Jean Bricard,
mette a confronto la testimonianza dello scrittore raccolta da un ricercatore sulle condizioni di vita dei pescatori, la povertà, le lotte
sociali, la guerra su un gruppo di isole sul
corso della Loira, con una lunga panoramica
girata su una barca a motore che esplora le
sponde deserte delle isole, il lento fluire delle acque, i capanni abbandonati. Un mondo
scomparso, la distruzione di un habitat da
parte dell’uomo, assieme al persistere della
memoria e il tenace risorgere della natura.
IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di
educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo
spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola
materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni
numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie
e corrispondenze dell’estero.
Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale.
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VERE
di Cinema
direttore Carlo Tagliabue
SCRIVERE DI CINEMA
Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che
film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di
lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica.
ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in
questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di
argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno.
La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al
Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected]
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