SOMMARIO n. 95-96 - Centro Studi Cinematografici
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SOMMARIO n. 95-96 Anno XIV (nuova serie) n. 95-96 settembre-dicembre 2008 Bimestrale di cultura cinematografica Agente Smart – Casino totale ................................................................ 32 Air I Breath (The) .................................................................................... 25 Edito dal Centro Studi Cinematografici Alexandra ............................................................................................... 54 Babylon A.D. .......................................................................................... 18 00165 ROMA - Via Gregorio VII, 6 tel. (06) 63.82.605 Sito Internet: www.cscinema.org E-mail: [email protected] Aut. Tribunale di Roma n. 271/93 Be Kind Reading – Gli acchiappafantasmi ............................................ 21 Boogeyman 2 – Il ritorno dell’uomo nero ............................................... 35 Cambio di gioco ..................................................................................... 43 Changeling ............................................................................................. 41 Abbonamento annuale: euro 26,00 (estero $50) Versamenti sul c.c.p. n. 26862003 intestato a Centro Studi Cinematografici Classe (La) – Entre les murs ................................................................. 2 Dr. Plonk ................................................................................................. 57 -2- Livello del terrore .............................................................................. 44 Spedizione in abb. post. (comma 20, lettera C, Legge 23 dicembre 96, N. 662 Filiale di Roma) Fidanzata di papà (La) ........................................................................... 14 Grace is Gone ........................................................................................ 50 Hancock ................................................................................................. 12 Hellboy: The Golden Army ..................................................................... 28 Hurt Locker (The) ................................................................................... 45 Incredibile Hulk (L’) ................................................................................. 30 In viaggio per il College .......................................................................... 40 Invincibile ............................................................................................... 23 Joshua .................................................................................................... 52 Ken il guerriero – La leggenda di Hokuto .............................................. 13 Kun Fu Panda ........................................................................................ 8 Si collabora solo dietro invito della redazione Direttore Responsabile: Flavio Vergerio Direttore Editoriale: Baldo Vallero Cast e credit a cura di: Simone Emiliani Segreteria: Cesare Frioni Redazione: Marco Lombardi Alessandro Paesano Carlo Tagliabue Giancarlo Zappoli Hanno collaborato a questo numero: Veronica Barteri Elena Bartoni Gianluigi Ceccarelli Chiara Cecchini Fabio de Girolamo Marini Davide Di Giorgio Silvio Grasselli Elena Mandolini Maria Luisa Molinari Fabrizio Moresco Francesca Piano Manuela Pinetti Valerio Sammarco Giuliano Tomassacci Tiziana Vox Stampa: Tipostampa s.r.l. Via dei Tipografi, n. 6 Sangiustino (PG) Nella seguente filmografia vengono considerati tutti i film usciti a Roma e Milano, ad eccezione delle riedizioni. Le date tra parentesi si riferiscono alle “prime” nelle città considerate. Lezione Ventuno ..................................................................................... 5 Mamma mia! .......................................................................................... 33 Mio sogno più grande (Il) ....................................................................... 17 Miracolo a Sant’Anna ............................................................................. 4 Mist (The) ............................................................................................... 39 Morti di Ian Stone (Le) ........................................................................... 47 No problem .............................................................................................. 51 Notte dei girasoli (La) ............................................................................. 55 Parigi ...................................................................................................... 15 Quantum of Solace ................................................................................ 20 Redbelt ................................................................................................... 48 Resto della notte (Il) ............................................................................... 10 Riflessi di paura ...................................................................................... 34 Savage Grace ........................................................................................ 53 Segreto tra di noi (Un) ............................................................................ 9 Sfiorarsi .................................................................................................. 36 Tadpole – Un giovane seduttore a New York ......................................... 24 Vicky Cristina Barcelona ........................................................................ 37 Wall-E ..................................................................................................... 26 Wanted – Scegli il tuo destino ................................................................ 7 Tutto Festival Cannes 2008 .................................................................... 59 Film Tutti i film della stagione LA CLASSE - ENTRE LES MURS (Entr les murs) Francia, 2008 Interpreti: François Bégaudeau (François), Nassin Amrabt (Nassim), Laura Baquela (Laura), Cherif Bounaidja Racheli (Cherif), Juliette Demaille (Juliette), Dalla Doucoure (Dalla), Arthur Fogel (Arthur), Damien Gomes (Damien), Louise Grinberg (Louise), Qifei Huang (Qifei), Chien-wei Huang (Wei), Franck Keita (Souleymane), Henriette Kasaruhanda (Henriette), Lucie Landrevie (Lucie), Agame Malembo-Emene (Agame), Rabah Nait Oufella (Rabah), Carl Nanor (Carl), Esmeralda Ouertani (Sandra), Burak Ozyilmaz (Burak), Eva Paradiso (Eva), Rachel Régulier (Khoumba), Angelica Sancio (Angelica), Samantha Soupirot (Samantha), Boubacar Touré (Boubacar), Justine Wu (Justine), Atouma Dioumassy, Nitany Gueyes (rappresentanti degli studenti), Jean-Michel Simonet (preside), Julie Athenol (consulente pedagogica), Fatoumata Kanté (madre di Souleymane) Durata: 128’ Metri: 3550 Regia: Laurent Cantet Produzione: Carole Scotta, Caroline Benjo, Barbara Letellier, Simon Arnal per Haut et Court/France 2 Cinéma Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di François Bégaudeau Sceneggiatura: Laurent Cantet, François Begaudeau, Robin Campillo Direttore della fotografia: Pierre Milon, Catherine Pujol, Georgi Lazarevski Montaggio: Robin Campillo, Stephanie Leger Scenografia: Sabine Barthelemy, Hélène Bellanger Costumi: Marie Le Garrec Direttore di produzione: Michel Dubois Aiuti regista: Aurelio Cardenas, Mathieu Danielo Operatore: Georgi Lazarevski Suono: Olivier Mauvezin, Agnès Ravez, Jean-Pierre Laforce F rançois è un giovane professore di francese in una IV classe di collège (la nostra terza media) nel 20° arrondissement, nella difficile banlieu multietnica parigina. L’anno scolastico inizia con il rito delle presentazioni fra colleghi in sala professori. Molti tornano al lavoro con stanchezza e scarse motivazioni. Poi, il direttore distribuisce l’orario delle lezioni. F. “affronta” gli alunni che entrano disordinatamente in classe e ottiene a fatica il silenzio. Subito inizia il contendere con i ragazzi, adolescenti svogliati e sfidanti, a partire dalla durata reale delle lezioni. Anche la richiesta del “prof” di scrivere il proprio nome su un foglietto, per farsi riconoscere, viene accettata di malavoglia, se non dopo che F. ha scritto il proprio alla lavagna. Poi, alcuni alunni immigrati gli contestano il fatto che nel costruire alcune frasi a scopi didattici usi “nomi di bianchi ricchi” e non di etnie diverse. In sala professori F. concorda con il collega di Storia il libro da leggere in comune (il Candide di Voltaire). In una lezione successiva F. cerca di insegnare l’uso del congiuntivo, ma Esmeralda (un’alunna intelligente, ma in perenne atteggiamento di controdipendenza) giudica le frasi usate troppo formali e, seguita dai compagni, chiede un linguaggio più “quotidiano”. Il rapporto con gli alunni è sempre problematico: 2 un giorno i ragazzi interpellano F. sulla sua supposta omosessualità, un altro lo trova “troppo duro”. Il clima difficile della scuola si manifesta in sala professori ove alcuni colleghi si sfogano per il disimpegno dei ragazzi. F. fa leggere in classe una pagina del Diario di Anna Frank come stimolo per gli alunni a scrivere il proprio autoritratto, ma alcuni si rifiutano di descrivere la propria vita. Fra questi Souleymane, un ragazzo nero perennemente distratto e attaccabrighe. Un’alunna africana, Khoumba, è particolarmente insofferente alle proposte didatiche di F. e quando questi la richiama gli scrive lamentando di non essere “rispettata”. In un consiglio dei docenti, viene proposta l’introduzione di una “patente a punti” per ottenere un maggiore rispetto delle regole comportamentali, ma poi ci si attarda a discutere del distributore del caffè. Il preside introduce nella classe un nuovo alunno di colore, Carl, espulso da un’altra scuola. Gli incontri con i genitori degli alunni sono un rito molto formale, che poco serve a creare anche solo una reciproca conoscenza. F. scopre dal fratello maggiore di Souleymane, proveniente dal Mali, che i genitori non sanno nulla del comportamento del figlio, anche perché non conoscono la lingua francese. Gli “autoritratti” degli alunni si limitano a un elenco delle proprie preferenze in campo calcistico o musicale. Souleymane invece di un lavoro scritto presenta un sorprendente “collage” fotografico della sua famiglia. Giunge notizia che la madre del cinese Wei, clandestina, è Film stata arrestata e gli insegnanti fanno una colletta per le spese del processo. Si discute della Coppa d’Africa di calcio e l’arabo Nassim commenta la vittoria del Marocco sul Mali, facendo infuriare Souleymane che offende un compagno antillano. In consiglio di classe si discutono i giudizi da attribuire agli alunni, alla presenza di Esmeralda e Louise, rappresentanti di classe che, con continue risatine, si prendono beffa dei professori. Quando, il giorno dopo, F. le rimprovera di essersi comportate da stupide (“pétasses” nell’originale) Esmeralda riferisce di converso che il “prof” ha giudicato Souleymane “limitato”, mentre F. intendeva evitare un giudizio totalmente negativo. Souleymane esce dall’aula furibondo, ferendo con lo zainetto la compagna Khoumba, malgrado i tentativi di trattenerlo di F. Le due ragazze cercano di vendicarsi del “prof”, accusandolo pubblicamente di averle offese. Viene convocato il consiglio di disciplina e malgrado la difesa della madre, viene decisa l’ espulsione del ragazzo, a seguito della quale il padre lo rimanderà in Mali. Negli ultimi giorni di scuola, F. chiede ai suoi alunni cosa hanno imparato di significativo durante l’anno. Fra le diverse risposte, sorprendente la descrizione di una ragazza africana della triangolazione commerciale nell’800 schiavimaterie prime fra Europa e America. Esmeralda giudica nulle le proposte didattiche di F. e noiosi i libri suggeriti. Esprime invece il suo interesse per La Repubblica di Platone, letto casualmente per conto suo, in cui ha colto la capacità di Socrate di creare il “bisogno di domande”. L’ultima alunna che lascia l’aula confida a testa bassa a F. di non aver imparato niente e di non voler proseguire gli studi. L’ultimo giorno di scuola si svolge una partita di pallone fra alunni e insegnanti. L a classe è un film spiazzante nella sua drammatica problematicità. Nessuno spazio concesso alle certezze e alle consolazioni, nessuna identificazione con un personaggio “porta-parola”, nessuna progressione narrativa e drammaturgica. Il punto di vista fondante sembra appartenere al professore, ma esso viene continuamente interrotto, spostato, negato da una rappresentazione fatta di episodi frantumati e da un uso inquieto, quasi nevrotico della macchina da presa. L’insegnante cerca inutilmente di imporre la propria linea didattica (nascosta dietro una illusoria disponi- Tutti i film della stagione bilità al dialogo), gli alunni gli contrappngono la loro cieca vitalità, la loro furiosa ricerca di identità. Ciascuno ha la sua verità, ma tutto si esaurisce nel conflitto distruttivo. Il titolo originale, Tra i muri, mutuato dal libro dell’ex-insegnante François Bégaudeau, che presta la propria immagine parimenti inquieta al protagonista, fa riferimento al tentativo delle istituzioni di “sacralizzare” e isolare la scuola dal mondo. Il riduttivo titolo italiano non coglie lo spirito critico dell’originale, appiattendo a stereotipo il “luogo” e la natura del racconto. Scrittore e regista hanno invece tentato di mostrare la scuola “come una cassa di risonanza, un luogo traversato dalla turbolenze del mondo, un microcosmo in cui si giocano molto concretamente le questioni d’uguaglianza o d’ineguglianza delle opportunità, di lavoro e di potere, d’integrazione culturale e sociale, d’esclusione”. In effetti Laurent Cantet ha cercato di dare una struttura narrativa alla raccolta di miniepisodi del libro, una sorta di teatrino degli orrori di vita scolastica, sempre in bilico fra il grottesco e il tragico. Il nucleo narrativo principale sviluppato dalla sceneggiatura ruota attorno al consiglio di disciplina e all’espulsione di Souleymane, situazione che denota il fallimento della funzione sociale della scuola. Altri nuclei si condensano sulle figure delle alunne “ribelli” Khoumba ed Esmeralda, ragazze dotate di intelligenza e creatività, con cui l’insegnante non riesce a entrare in relazione. Contro le “buone” intenzioni di denuncia sociale di Cantet il film finisce, forse inaspettatamente, per imporsi proprio in questa direzione. I faticosi e un poco patetici tentativi di François di trasmettere una qualche conoscenza fanno emergere la sua assoluta incapacità di creare buona relazione con gli alunni, rinunciando alla propria autorevolezza e al proprio sapere per piegarsi ai bisogni elementari e all’inquietudine degli stessi. Il docente cerca ossessivamente di applicare un metodo maieutico, a mio avviso senza riuscirvi, anche se talvolta si manifestano momenti di grazia e di intelligenza dei ragazzi. Quanto il film sia produttivamente ambiguo e problematico è testimoniato dalla diversa interpretazione e accoglienza critica. Ad esempio, Patrizia Canova nel quaderno di “proposte didattiche” della Mikado vede nel comportamento di François addirittura un modello pedagogico: “È un professore che guida con arte e ironia i processi di apprendimento, sapendo dosare giustamente i momenti di 3 spiegazione con quelli di ascolto dei punti di vista dei propri alunni”. Feroce all’opposto il giudizio di Marco Lodoli (Quei docenti nelle trincee, La Repubblica, 14 ottobre ‘08): “La figura dell’insegnante appare nella sua versione più desolata (...), il povero Bégaudeau è davvero uno sciagurato, quasi un inetto, che non ne fa una giusta neanche per sbaglio. Tutto l’anno scolastico perduto dietro una sola idea, far scrivere a ogni strudente il suo autoritratto. Mai osa proporre ai ragazzi (...) qualcosa di alto e nobile che possa modificare le loro sensibilità (...): si accontenta di aderire timorosamente alla vita degli studenti, di certificare l’esistente, lo status quo, la vita così com’è, ed è una brutta vita”. A me pare che il film descriva anche e soprattutto l’angoscia di un insegnante in lotta con se stesso e con la propria incapacità di modificare la povertà morale e culturale dei suoi alunni e del mondo di cui sono espressione. Non per nulla il film inizia con un primissimo piano sulla nuca di F:, alla Dardenne, quasi a invitarci a penetrare nella sua mente e nella tensione psichica che lo accompagna per tutto il film nella sua azione educativa. Tutto il film si costituisce coerentemente come una riflessione sulla solitudine dell’insegnante, sulle sue fragili utopie, sui suoi limiti e incapacità. La sua fede ingenua nel dialogo con gli alunni viene continuamente frustrata dal mancato rispetto di regole di vita comunitaria e di strumenti culturali condivisi. La sua azione, a causa della sua incompetenza si conclude inevitabilmente nel fallimento dei suoi rapporti con Esmeralda e Khoumba e nella sanzione disciplinare che rimanda agli inferi Souleymane. Parimenti mi sembrano significative le due inquadrature finali del film, la partita di pallone fra insegnanti e alunni, di cui non si capisce nulla e di cui non si conoscerà il risultato; e l’immagine desolata della classe vuota, con le sedie abbandonate in disordine, spazio inutilizzato di un rapporto mancato. La grande qualità estetica e morale del film risiede anche e soprattutto nella costruzione di un’indagine sul rapporto fra verità e finzione del gioco attorale. Bègaudeau e i suoi (veri) allievi, invitati a mettere in scena personaggi diversi da quello che sono nella vita reale, riflettono su se stessi e sui fantasmi degli altri, facendosi strumento di conoscenza di una realtà complessa e contradditoria. Flavio Vergerio Film Tutti i film della stagione MIRACOLO A SANTANNA (Miracle at St. Anna) Stati Uniti/Italia, 2008 Acconciature: Brian Badie Coordinatore effetti speciali: Renato Agostini Supervisore effetti visivi: Grady Cofer Supervisore costumi: Giovanni Casalnuovo Interpreti: Derek Luke (Sergente Aubrey Stamps), Michael Ealy (Sergente Bishop Cummings), Laz Alonso (Caporale Hector Negron), Omar Benson Miller (soldato Sam Train), Pierfrancesco Favino (Peppi Grotta), Valentina Cervi (Renata), Matteo Sciabordi (Angelo Torancelli bambini), John Turturro (detective Antonio Ricci), Joseph Gordon-Levitt (Tim Boyle), John Leguizamo (Enrico), Kerry Washington (Zana Wilder), D.B. Sweeney (Colonello Driscoll), Robert John Burke (Generale Ned Almond), Omari Hardwick (Comandante Huggs), Omero Antonutti (Ludovico), Sergio Albelli (Rodolfo), Lidia Biondi (Natalina), Matteo Romoli (Gianni), Massimo Sarchielli (Franco), Giselda Volodi (Iole), Giulia Weber (Ida), Max Malatesta (Maggiore Gerhard Bergmann), Ralph Palka (Tenente Claussen), Massimo De Santis (Don Innocenzo Lazzeri), Livia Taruffi (Anna), Michele De Virgilio (Paolo), Michael K. Williams (soldato spaventato), Laila Petrone (Pina), Luigi Lo Cascio (Angelo Torancelli adulto), Alexandra Maria Lara (Axis Sally) Durata: 160’ Metri: 3960 Regia: Spike Lee Produzione: Roberto Cicutto, Spike Lee, Luigi Musini per 40 Acres & A Mule Filmworks/On My Own/Rai Cinema/Touchstone Pictures Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 3-10-2008; Milano 3-10-2008) Soggetto: dal romanzo omonimo di James McBride Sceneggiatura: James McBride. Con la collaborazione di Francesco Bruni Direttore della fotografia: Matthew Libatique Montaggio: Barry Alexander Brown Musiche: Terence Blanchard Scenografia: Sarah Frank, Tonino Zera Costumi: Carlo Poggioli Produttori esecutivi: Jon Kilik, Marco Valerio Pugini Direttori di produzione: Luca Fortunato Asquini, Alessandro Manni, Attilio Moro, David Pomier Casting: Kim Coleman, Beatrice Kruger Aiuti regista: Gwyn Sannita, Fabrizio Bava, Mike Ellis, Iolanda Greci, Franco Basaglia, Luca Padrini, Leopoldo Pescatore, Michael A. Pinckney Operatore: Fabrizio Vicari Arredatore: Christina Onori N ew York, 1983. Hector Negron, impiegato delle poste prossimo alle pensione, spara in pieno petto con una Luger della seconda guerra mondiale a un cliente dallo sportello francobolli. Il caso viene seguito da un giovane giornalista, che, durante la perquisizione nella casa dell’uomo, scopre insieme a due poliziotti la testa di una statua originariamente presente su un ponte di Firenze e sparita proprio durante gli anni della guerra. Avvicinato in carcere, Negron torna con la memoria all’estate del ’44, quando, insieme a tre commilitoni della 92° Divisione Buffalo Soldier (interamente composta da soldati di colore), riesce dapprima a evitare il fuoco nazista, attraversa il fiume Serchio e raggiunge i monti della Garfagnana, trovando riparo in un borgo oltre le linee nemiche. Lontani dal resto dell’esercito, in attesa che i superiori inetti (e naturalmente bianchi) impartiscano loro degli ordini, i quattro soldati entrano in contatto con gli abitanti del luogo e, soprattutto, con un bambino di 8 anni, Angelo, che continua a parlare rivolgendosi ad Arturo, amichetto immaginario. Preso sotto l’ala protettiva del gigante Samuel Train (che continua a portarsi dietro la testa di una statua), il bambino è in realtà depositario di una tremenda verità, che comincerà a emergere quando – nella casa delle persone dove i soldati hanno trovato rifugio, abitata da un vecchio ma non troppo convinto fascista e dalla figlia di questi, Renata, ragazza sin da subito pronta ad accoglierli – dai nascondigli delle montagne faranno ritorno alcuni partigiani, tra i quali Peppi e Rodolfo. Leader indiscusso il primo, fratello di un fascista ucciso proprio da Peppi il secondo, faranno più tardi prigioniero un nazista. Questi, incontrando Angelo, sembra riconoscere il bambino e si felicita del fatto che sia ancora vivo. Conteso tra i partigiani e i quattro soldati americani, che avvertiti i superiori potrebbero rientrare sani e salvi portando con loro il prigioniero, il nazista viene però ucciso a tradimento da Rodolfo. Proprio lui, infatti, promettendo tempo prima ad alcuni generali delle SS di fornire le giuste coordinate per individuare Peppi, aveva fatto scatenare la rappresaglia nazista a Sant’Anna di Stazzema, dove vennero fucilati oltre 500 civili, tra cui donne e bambini. Miracolosamente scampato all’eccidio, nel quale morì anche il suo amico Arturo, Angelo era stato aiutato a fuggire proprio da quel soldato che, disertore, è finito poi nelle mani dei partigiani. Scoperto anche da Peppi, Rodolfo prima uccide il vecchio compagno, poi rende possibile l’arrivo delle truppe naziste anche nel paesino dove sono nascosti gli americani. Muoiono tut- 4 ti; a salvarsi saranno solamente Negron e il bambino, al quale il soldato ferito regalerà la collana appartenuta al padre. Quarant’anni più tardi, Negron viene rilasciato grazie a una cauzione di 2 milioni di dollari, pagata proprio da Angelo, ora potente imprenditore che l’ex soldato potrà riabbracciare su una spiaggia alle Bahamas. A ccompagnato nelle sale italiane da polemiche a non finire, scaturite dall’ipotesi – quantomeno di scutibile – secondo cui l’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema sia scaturito dal tradimento di un partigiano, l’ultimo film di Spike Lee mette in evidenza tanti e tali problemi di natura più spiccatamente cinematografica da nascondere – quasi paradossalmente – quello che in molti hanno ritenuto il più grave dei delitti. Partendo dall’omonimo best seller di James McBride, autore poi della sceneggiatura con la consulenza di Francesco Bruni, Spike Lee si misura per la prima volta con la guerra, esce dagli States e confeziona un’opera forse troppo lontana dalle caratteristiche che, in maniera a volte diversissima (si pensi al grande salto che l’ha portato dal periodo “nero” a La 25° ora, poi Inside Man fino al monumentale When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts, documentario sull’uragano Katrina), hanno contraddistinto il Film suo cinema: Miracolo a Sant’Anna, già dal titolo, rivela una programmaticità che nel corso del racconto – 144’, a tratti estenuanti – si appella all’enfasi (il ralenti della tazzina di caffé che cade dalle mani di Lo Cascio, lo sguardo di Antonutti sul profilo del soldato morto) e alla didascalia per arrivare dove, in altri contesti, sarebbero bastati spontaneità e meno ghirigori. È pacifico, questo sì, che il regista di Atlanta insista ancora molto sulla “questione nera”, spostando il suo occhio sulla difficile condizione dei soldati di colore mandati allo sbaraglio dai superiori e all’epoca ancora tremendamente discriminati in patria, ma eccede nel misticismo e nel sentimentalismo (la figura di Angelo, il bambino, intorno cui ruota il miracolo in questione, l’esordiente Matteo Sciabordi, è sintesi poco riuscita tra il Pinocchio di Comencini e il figlio di Benigni in La vita è bella), sembra non totalmente a suo agio nella direzione degli attori (gli italiani Favino, Albelli, Cervi, Antonutti, Lo Cascio così come i tedeschi Christian Berkel e Waldemar Kobus), lontani da lui sia per ragioni geografiche che professionali, Tutti i film della stagione trasformando spesso in macchiette i vari personaggi e, soprattutto, non riuscendo a evitare alcuni sfondoni nelle scene d’insieme come, ad esempio, la sequenza della fucilazione di massa di fronte alla Chiesa di Sant’Anna di Stazzema. Valerio Sammarco LEZIONE VENTUNO Italia, 2008 Regia: Alessandro Baricco Produzione: Domenico Procacci per Fandango, Simon Channing Williams, Gail Egan per Potboiler Productions. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008) Soggetto e sceneggiatura: Alessandro Baricco Direttore della fotografia: Gherardo Gossi Montaggio: Giogiò Franchini Musiche: Mario Brunello Scenografia: Marta Maffucci Costumi: Carlo Poggioli, Tanino Liberatore Co-produttori: Simon Channing Williams, Gail Egan Direttore di produzione: Elia Mazzoni Casting: Leo Davis Aiuto regista: Fabrizio Bava N el pomeriggio del 7 maggio 1824, dopo dieci anni di infelice isolamento sociale e acustico, Beethoven presenta a Vienna la Nona sinfonia. Il pubblico sventola candidi fazzoletti in segno di gradimento, l’accoglienza è trionfale, la Nona è da subito nell’Olimpo dei capolavori dell’umanità. O forse no: a distanza di un secolo e mezzo, l’eccentrico professore inglese Mondrian Killroy ammalia i suoi studenti smontando durante le sue celebri lezioni le opere d’arte – a Trucco: Fabrizio Sforza Effetti speciali: Pasquale Catalano Supervisore effetti speciali: Fabio Traversari Effetti visivi: Nicola Sganga, Francesco Spadoni Supervisore effetti visivi: Rodolfo Migliari Suono: Bruno Pupparo Interpreti: John Hurt (Mondrian Killroy), Noah Taylor (Peters), Leonor Watling (Marta), Clive Russell (Hoffmeister), Rasmus Hardiker (Broderip), Live Riche (Imbault), Matthew T. Reynolds (Goetz), Tim Barlow (Simrock), Natalia Tena (Thomson), Andy Gathergood (Schott 1), Daniel Tuite (Schott 2), Phyllida Law (Boheme), Adrian Moore (Piggot), Franco Pistoni (Weigl), Chiara Paoli (ragazza del Lago), Daniel Harding (direttore d’Orchestra) Durata: 92’ Metri: 2600 suo avviso – sopravvalutate, ricollocandole nella giusta mediocrità dell’assolutamente convenzionale. Intravediamo, nelle stanze della sua casa genialmente caotica, una copia dell’Ulisse di Joyce, ma anche dell’Opera da tre soldi, e dell’immancabile Gioconda. Nell’inverno del 1824, su un lago ghiacciato a una trentina di chilometri da Vienna, viene trovato il corpo assiderato di un giovane maestro di musica, Hans Peters. La storia non si ricorda di lui né 5 per la sua bravura, né per qualche altra particolare caratteristica, ma perché fu seppellito con il suo violino. Ed è con queste parole che si apre il film, subito seguite dall’immagine di quattro uomini di nero vestiti che, leggeri ed eleganti, scivolano sul lago ghiacciato trasportando a spalla una bara di legno scuro. Consci della sua fine, vediamo finalmente il giovane Hans che arranca nella neve, posa la sua valigia rigida sul ghiaccio, ci si siede sopra e inizia a muovere dita e archetto sul violi- Film no. Cerca la morte, Hans, e trascorrerà gli ultimi istanti della sua vita suonando: quando lo troveranno non riusciranno più ad aprirgli la mano destra, da quanto è stretta sul manico del violino. Il professor Killroy aveva sempre amato molto questa storia, tanto da usarla nella più famosa e condivisa delle sue lezioni, la Lezione 21. Lezione 21 è la storia dell’ultimo istante di Hans Peters, raccontato dal professor Mondrian Killroy. Lezione 21 è la cronaca di quel pomeriggio viennese in cui Ludwing Van Beethoven fece ascoltare la sua ultima composizione, narrata da chi c’era, senza pietismi o falsi entusiasmi. Ai posteri è stato fornito un resoconto partigiano, avverte il professore, (ri)costruito minuziosamente per consegnare alla storia un trionfo inesistente, di cui, lascia intuire Killroy, perfino il maestro era al corrente. Curiose figure si palesano ai nostri occhi: indossano candide parrucche e portano molta cipria sul viso, come usava al tempo. Ma il trucco è in via di scioglimento, l’immagine è decadente e spesso questi uomini e queste donne sono nudi. Narrano la realtà dei fatti, parlano di persone del pubblico del teatro che non rimasero ad ascoltare l’intera sinfonia, svelano di un numero piuttosto esiguo di quei famosi fazzoletti bianchi, agitati soltanto dai più intimi amici di Beethoven. La Nona sinfonia, conclude Killroy, è soltanto musica vecchia prodotta da un vecchio: fuori moda, altro che rivoluzionaria. Martha, giovane pupilla di Killroy, è in un locale con i colleghi d’università. Parlano delle splendide lezioni del professore. “All’inizio c‘era sempre un gran silenzio”, ricorda “poi lui andava via senza voltarsi indietro”. Ora che non insegna più, ha scelto di vivere in un bowling abbando- Tutti i film della stagione nato, insieme ai senzatetto. Inutilmente la ragazza proverà a legarlo a sé: “Prima che io riesca a dimenticare la differenza d’età che ci separa, tu ti sarai già stufata e rivestita”, commenta laconicamente lui, a mo’ di risposta. Solitario senza alcuna motivazione apparente è anche Hans Peters. Intento a suonare il violino in una foresta innevata e nel mezzo di un lago ghiacciato, quando vede comparire davanti ai suoi occhi un bambino che gli chiede se sia morto. Il piccolo non solo non è un’apparizione, ma non è neanche l’unico abitante della foresta: tra gli alberi e la neve c’è un minuscolo villaggio, abitato sì e no da una quindicina di persone. Scopriremo inaspettatamente che questi individui, seppur con indosso altri abiti e in tutt’altro contesto, sono gli stessi che dividono il bowling-dimora con Killroy. Le occupazioni di questa gente sono strampalate e quanto mai varie: c’è chi controlla la superficie ghiacciata del lago e chi si occupa di volatili, chi ha il compito di misurare le distanze a suon di passi o il tempo grazie ai topi e chi si cura di fuochi pirotecnici. Dopo qualche perplessità iniziale, Hans entra a far parte della piccola comunità, impegnatissima nell’organizzare un importante evento, in cui la precisione gioca un ruolo fondamentale. Nulla ci viene detto a riguardo, possiamo soltanto intuire qualcosa da frasi smozzicate: “Il ghiaccio reggerà, ne sono certo”, oppure “I fuochi saranno visibili anche da molto lontano, lei non potrà non vederli”. Il gran giorno arriva. Vediamo Hans Peters posizionarsi al centro del lago, il violino ben stretto nella mano. Lo spettacolo pirotecnico è abbagliante, il ghiaccio fa il proprio dovere. Ed ecco, come se seguisse una partitura non scritta, una figu- 6 ra femminile che avanza. Indossa un abito sontuoso, compie il percorso che la separa dal giovane maestro secondo il numero di passi prestabiliti. Hans non aspettava altro che il suo arrivo. U na struttura filmica che lo stesso scrittore torinese Alessandro Baricco definisce acrobatica, per fondere quattro storie lontane e diverse che però affrontano tematiche non dissimili. Impresa non facile, in particolare se si è all’opera prima. L’ambizione del regista si respira ad ogni fotogramma, ma non siamo sicuri che sia esattamente un male: quel che è certo è che ogni scena rivela una cura sincera e puntuale del dettaglio. Tuttavia, l’arricchimento figurativo tende all’eccesso baroccheggiante (bariccheggiante, ha detto qualcuno) e porta alla conclusione che qualche buona intuizione visiva, di discreto impatto poetico, non può bastare a tenere insieme il film. Ed ecco che l’antica e ben più conosciuta risorsa si fa avanti prepotentemente. Raccontare per immagini non è né facile né automatico e, quando il meccanismo non è scorrevole, giunge in soccorso la parola, anzi, una valanga di parole: per descrivere, per raccontare, per supplire a quel che il solo mostrare pare insufficiente. Una sovrastruttura ingombrante, che si scontra con l’imperativo segreto del cinema, riassumibile nell’esortazione a togliere, in quel di meno! di meno! che è quasi la formula magica dei film più riusciti. Un tempo non troppo lontano, Sant’Anselmo provava l’esistenza di Dio a partire dall’affermazione dello stolto che dichiarava “Dio non esiste”, che equivaleva, di fatto, a gridare la sua presenza, la sua stessa esistenza, più forte che mai. Hans Peters si ritrova in una comunità in cui il nome dell’Altissimo non si può pronunciare davanti ai bambini e in cui tutti sono certi della non validità artistica della Nona di Beethoven. Per buttare giù i totem della cultura occidentale, pare suggerire a mezza voce l’autore, bisogna dimostrare in qualche modo che esistono e che la loro presenza genera scompiglio e necessaria regolamentazione nell’uso. Qualcosa inizia a sfuggire, eppure è una questione affascinante. Forse ai più sfuggirà il perché della missione di Killroy, ma la sua bizzarra figura viene accettata. È come se Baricco riuscisse nella parte più complessa, ovvero provocare un’affezione verso uno strambo personaggio, e poi si perdesse nel bicchier d’acqua dell’autocompiacimento estetizzante. Cultura popolare, arte elitaria, certezze e altrettante menzogne di secolare respiro, dunque. Ma, soprattutto, ambizione Film alla bellezza come legittimo desiderio, che dovrebbe appartenere a chiunque, da realizzare, da ricevere come premio almeno una volta nella vita, foss’anche un istante esatto prima di morire. Forse, semplificando, si potrebbe riassumere così l’esordio raffinato – e vagamente asfittico nel contenuto – di Alessandro Baricco, spinto a realizzare questo lungometraggio dall’abituale stimolatore di talenti nascosti Domenico Procacci, che produce per Fandango – in collaborazione con Rai Cinema e con il contributo del MiBAC. È una storia scritta appositamente per il cinema, quella di Lezione ventuno, tutta giocata su sfasamenti temporali e spaziali, con personaggi che ri- Tutti i film della stagione tornano incarnandosi in nuovi contesti, per lo più ambientata in un non-tempo che è luogo del pensiero puro, dello spirito. È l’ideale congiungersi di arte e morte – ripresa con coerenza da una sorta di circolarità del film stesso – a dare il via alla storia: una scritta in sovrimpressione informa della morte del giovane maestro di musica Hans Peters. Poi accade qualcosa, l’istante estremo si dilata fino a mostrare il giovane maestro, in vita, alle prese con gli abitanti di un villaggio immerso nella neve. Insieme prepareranno con cura maniacale un avvenimento dai contorni misteriosi – ma non incomprensibili. Ma veniamo al Ludovico Van di kubri- ckiana memoria. Un ultimo, grandioso tentativo di dimostrare la propria grandezza e spezzare la propria solitudine, è ciò che ha tentato di fare Beethoven con la sua Nona sinfonia. Senza riuscirci, secondo la tesi espressa nella ventunesima delle lezioni del professor Killroy, che racconta come l’anziano e non udente duellante perse, in realtà, la sua sfida aperta verso quel mondo che lo stava dimenticando. Ben pochi rimasero fino alla fine dell’esecuzione, dimostra il professore, e quel che rimane è, come per Hans Peters, l’attesa per l’incontro estremo con una fatale figura femminile. Manuela Pinetti WANTED SCEGLI IL TUO DESTINO (Wanted) Stati Uniti/Germania, 2008 Regia: Timur Bekmambetov Produzione: Jim Lemley, Jason Netter, Marc E. Platt, Iain Smith per Universal Pictures/Spyglass Entertainment/Marc Platt Productions/Kickstart Productions/Top Cow Productions/ Relativity Media/Bazelevs Production/Ringerike Zweite Filmproduktion Distribuzione: Universal Prima: (Roma 2-7-2008; Milano 2-7-2008) V.M.: 14 Soggetto: Michael Brandt, Derek Haasdal dai personaggi dell’omonima miniserie a fumetti ideata da Mark Millar con disegni di J. G. Jones Sceneggiatura: Michael Brandt, Derek Haas, Chris Morgan Direttore della fotografia: Mitchell Amundsen Montaggio: David Brenner Musiche: Danny Elfman Scenografia: John Myhre Costumi: Varvara Avdyushko Produttori esecutivi: Gary Barber, Roger Birnbaum, Jeff Kirschenbaum, Geyer Kosinski, Adam Siegel, Marc Silvestri Co-produttori: Sally French, Jared LeBoff, David Minkowski, Matthew Stillman Direttori di produzione: Mark Kamine, Vaclav Mottl Casting: Mindy Marin Aiuti regista: Luc Etienne, Olda Mach, Andy Howard, Aiman A. Humaideh, Matthew Sirianni, Robin Tierney, Frank Tignini, Darin Rivetti, Michael Espinosa, Vojta Hlavicka, Veronica Brtova, Marketa Tomanova Operatori: Greg Baldi, Miro Gabor, George Richmond, David Emmerichs Operatore steadicam: George Richmond W esley Gibson è un giovane consulente dalla vita apparentemente anonima: un capo petulante, una fidanzata infedele, un amico bugiardo e continui attacchi di panico. Un giorno, in un drugstore, viene rapito da una donna, Fox, che lo informa della morte del padre per mano di un uomo che sta cercando di uccidere anche lui. Wesley è sorpreso perché non aveva Supervisore art direction: Tomas Voth Art directors: David Baxa, Patrick M. Sullivan jr., Martin Vackar Arredatore: Richard Roberts Trucco: Maya Hardinge, Frances Hannon, Suzi Oston, Stephanie Pasicov, Ailie Smith, Bobo Sobotka Acconciature: Rose Chatterton, Frances Hannon, Dominc Mango Effetti speciali trucco: Rene Stejskal Supervisore effetti speciali: Dominic Tuohy Supervisori effetti visivi: Jamie Dixon (Hammerhead Productions), Evgeny Barulin (Ulitka), Dmitry Tokoyakov (Bazelevs), Arman Yahin (Main Road Post), Stefen Fangmeier, Jon Farhat, Boris Lutsyuk, Craig Lyn Coordinatori effetti visivi: Alexandra Daunt Watney (Framestore CFC), Matt Magnolia (Universal), Kyle Ware (Hydraulx), Kelly Rae Kenan, Zuzana Mesticova Supervisore costumi: Giovanni Casalnuovo Supervisore musiche: Kathy Nelson Interpreti: James McAvoy (Wesley Gibson), Morgan Freeman (Sloan), Angelina Jolie (Fox), Terence Stamp (Pekwarsky), Thomas Kretschmann (Cross), Common (Gunsmith), Kristen Hanger (Cathy), Marc Warren (il riparatore), David O’Hara (Mr.X), Konstantin Khabensky (lo Sterminatore), Dato Bakhtadze (il macellaio), Chris Pratt (Barry), Lorna Scott (Janice), Sophiya Haque (Puja), Brad Calcaterra (assassino Max Petridge), Brian Caspe (il farmacista), Mark O’Neal (collaboratore), Bridget McManus (cassiera), Scarlett Sperduto (Fox giovane), Durata: 101’ Metri: 2770 notizie del padre dalla nascita. Fox inizia a raccontargli che il padre lavorava per una organizzazione, “La Confraternita”, di cui anche lei fa parte, che sopprime gli uomini pericolosi per l’umanità. Il ragazzo è sempre più impaurito e Fox, allora, lo porta al quartier generale, dove Sloan, capo della Confraternita, gli spiega minuziosamente in cosa consiste il loro lavoro. Gli mostra un telaio da dove 7 escono i nomi delle vittime e gli dice che la scelta è governata dal Fato e che loro devono eseguire i comandi senza porsi delle domande, perché nelle loro mani c’è la salvezza di tanta gente. Sloan continua dicendo che ora che suo padre è morto tocca a lui prendere il suo posto e vendicarlo. Wesley, dopo qualche titubanza, decide di mandare all’aria la sua vecchia vita e abbracciare gli ideali della Confraternita. Ini- Film zia un duro allenamento sotto la guida di Fox; gli viene insegnato a sparare, accoltellare e far fuori un uomo in qualsiasi circostanza. Wesley dopo la preparazione vorrebbe andare subito alla ricerca del suo bersaglio, ma gli viene detto che prima dovrà uccidere diverse persone. L’impatto con le missioni reali, però, non è dei più semplici; è solo grazie all’incitamento di Fox che il ragazzo riesce a mettere a tacere la sua coscienza e a compiere il suo dovere di killer. Finalmente, un giorno, gli viene dato il permesso di uccidere l’assassino del padre. Wesley lo rincorre in un paesino nascosto e dopo una lotta serrata riesce a sparargli. L’uomo prima di morire gli confessa di essere lui suo padre e di diffidare della Confraternita. Il ragazzo frastornato si gira e chiede spiegazioni a Fox . La donna conferma le parole dell’uomo e gli dice che hanno scelto lui per ucciderlo proprio perché un padre non ucciderebbe mai un figlio. Detto questo gli dice che dal telaio è uscito il suo nome e gli spara. Wesley, però, non muore, viene salvato da un amico del padre che gli dice che il telaio da diversi anni era manipolato da Sloan e che ogni nome che ne usciva era deciso da lui e non dal Fato. Suo padre aveva scoperto l’imbroglio ed è per questo che è stato ucciso. Wasley, allora, corre al quartier generale e inizia una carneficina, Sloan, a un certo punto, lo blocca al centro di una stanza e convoca i restanti killer dicendo che il ragazzo non mente, ma che dal telaio sono usciti i loro nomi e lui per proteggerli ha manipolato le informazioni. Prima di scappare propone, loro due opzioni per salvare il tutto: un suicidio collettivo o l’assassinio di Wesley. I killer non ci pensano troppo puntano tutti le loro pistole sul ragazzo, tranne Fox che con un abile colpo uccide tutti, inclusa se stessa. Wesley, salvo, decide di non ritornare alla sua vecchia vita e di continuare l’operato della Confraternita e come prima vittima punta proprio su Sloan. D alla Russia con... effetti speciali arriva il nuovo lavoro del regista principe dei blockbuster Timur Bekmambetov. Nell’ambiente cinematografico è conosciuto per aver definito il suo modo di dirigere “realista”, ma a ben guardare il suo ultimo film, Wanted, di realismo ce n’è veramente poco a cominciare dai proiettili dalla traiettoria curvata che toglierebbero il sonno a qualsiasi insegnante di fisica! Probabilmente il realismo di cui parla il regista è l’immersione in un contesto no- Tutti i film della stagione stop di azione che coinvolge lo spettatore fino a fargli salire l’adrenalina alle stelle. Wanted, infatti, è uno di quei film che inchioda alla poltrona e, attraverso immagini veloci, acrobazie e violenza, riesce a mantenere costante l’attenzione anche dell’astante più distratto. Ciò che balza subito all’occhio è che Bekmambetov ha fatto sua la lezione americana (impossibile non notare i vari riferimenti ai classici del genere come Matrix o Terminator ) e ha confezionato un action movie veramente strabordante che, non ci sono dubbi, avrà schiere di estimatori, ma altrettanti detrattori, primi fra tutti, forse, i fan di Mark Millar, autore della graphic novel ispiratrice del film, da cui il regista ha preso nettamente le distanze riadattando il tutto a suo uso e consumo. La storia, nonostante sia elemento marginale, è, però, abbastanza intrigante. Un ragazzo ipocondriaco e sfortunato viene introdotto in una confraternita adibita ad assassinare i cattivi, scelti da un arcano telaio, sotto il motto “ne uccidi uno ne salvi mille”. Un po’ come accadeva in Minority Report di Spielberg anche in Wanted ritorna l’affascinante questione dell’intromissione umana nel destino. È giusto? Sbagliato? Si vi- vrebbe meglio? E giù tutta una serie di interrogativi che giocano a nascondino nel cervello dello spettatore mentre sullo schermo schizzano le immagini mozzafiato di inseguimenti e improbabili sparatorie dominate da una Angelina Jolie crudele e sensuale, semplicemente perfetta nel ruolo di Fox. Millar, nel suo fumetto, aveva dato a questo personaggio le sembianze di un’altra attrice, Halle Berry, ma il regista ha avuto la felice intuizione di scritturare la Jolie che, seppur diversa dall’originale cartaceo, dà la sua personalissima impronta dark, caratteristica di cui il film beneficia non poco. Protagonista James McAvoy, giovane star in ascesa, disinvolto nel doppio ruolo di ragazzotto imbranato prima e killer spietato poi sotto la tutela di uno ieratico Morgan Freeman. Difficile poter trovare un target di riferimento per questa pellicola poiché risulterebbe strutturalmente troppo debole per i cultori del filone ed eccessivamente caotica per i più generalisti. Chi, però, ama la spettacolarizzazione, gli effetti speciali e lo stile “videogames”, troverà nel film del vulcanico regista kazako un piacevole diversivo alla calura estiva. Francesca Piano KUNG FU PANDA (Kung Fu Panda) Stati Uniti, 2008 Regia: Mark Osborne, John Stevenson Produzione: Melissa Cobb per DreamWorks Animation/Pacific Data Images Distribuzione: Universal Prima: (Roma 29-8-2008; Milano 29-8-2008) Soggetto: Ethan Reiff, Cyrus Voris Sceneggiatura: Jonathan Aibel, Glenn Berger Direttore della fotografia: Yong Duk Jhun Montaggio: Clare De Chenu Musiche: John Powell, Hans Zimmer Scenografia: Raymond Zibach Produttore associato: Kristina Reed Co-produttori: Jonathan Aibel, Glenn Berger Direttori di produzione: Mary Bills, Jeff Hermann Art director: Tang Kheng Heng Supervisori effetti visivi: Markus Manninen Responsabile personaggi animazione: Dan Wagner Supervisori animazione: Alessandro Carloni, Rodolphe Guenoden, Jason Reisig, William Salazar Voci: Jack Black (Po), Dustin Hoffman (maestro Shifu), Angelina Jolie (Tigre), Ian McShane (Tai Lung), Jackie Chan (Scimmia), Seth Rogen (Mantide), Lucy Liu (Vipera), David Cross (Gru), Randall Duk Kim (Oogway), James Hong (Mr. Ping), Dan Fogler (Zeng), Michael Clarke Duncan (comandante Vachir), Wayne Knight (boss della Gang), Kyle Gass (KG Shaw), JR Reed (JR Shaw), Laura Kightlinger (ninja), Tanya Haden (coniglietta), Stephen Kearin (maiale/coniglio grazioso), Mark Osborne (cliente maiale), John Stevenson (rinoceronte guardia), Riley Osborne (Tai Lung baby), Melissa Cobb (mamma coniglio), Emily Robison, Stephanie Harvey (fans coniglio), Jeremy Shipp Durata: 92’ Metri: 2500 8 Film P o è un panda gigante che sogna di diventare un maestro del kung fu mentre il padre lo vorrebbe continuatore della tradizione di famiglia come cuoco. Quando la Valle della Pace viene minacciata dal ritorno del perfido guerriero Tai Lung, il saggio maestro Oogway indice una solenne cerimonia per scegliere il Guerriero Drago, l’unico in grado di sconfiggere Tai Lung. Po si reca alla cerimonia per assistervi, ma, per una serie di coincidenze, Oogway designa proprio lui, anziché uno dei cinque allievi del maestro Shifu. Questi è costretto ad accettarlo nella sua scuola di arti marziali, cerca in tutti i modi di scoraggiarlo, con l’aiuto dei suoi allievi, ma Po riesce a farsi benvolere da tutti per la sua determinazione e il suo buonumore contagioso. Il maestro Shifu scopre, infine, in Po straordinarie capacità e inizia quindi il suo addestramento come Guerriero del Dragone. Intanto Tai Lung è arrivato nella Valle della Pace e si prepara a combattere contro Shifu, il suo antico maestro che a suo tempo gli impedì di diventare Guerriero Drago. In un scontro, l’anziano maestro ha la peggio ma alla fine arriva Po che sconfigge il malvagio. La sua vittoria riporta la pace nella Valle e Po corona finalmente il suo sogno, diventare un vero maestro di kung fu. L a Dreamworks Animation ripete il miracolo di Shrek (anche se il terzo capitolo della serie aveva Tutti i film della stagione un po’ perso di smalto pur avendo raggiunto una resa tecnica ineccepibile) e conquista ancora una volta pubblico e critica con Kung Fu Panda, la storia di un panda gigante goffo e sovrappeso che nell’antica Cina riesce a diventare un grande guerriero. A partire dal logo della casa di produzione, rifatto ad hoc per l’occasione (veramente splendido), il film restituisce in pieno l’atmosfera, la magia dell’Oriente coniugandolo con la migliore tradizione del kung fu movie all’orientale, senza esserne peraltro una parodia del genere, quanto piuttosto un omaggio. La sceneggiatura non sbaglia un colpo, riproponendo il modello classico dell’allievo che parte svantaggiato ma che, grazie alla propria forza e determinazione, riesce a raggiungere il suo sogno e a salvare i propri amici dal pericolo imminente. Gli autori hanno scelto, giustamente, di rinunciare per una volta al citazionismo estremo preferendo lasciare la storia al suo livello, già notevole di per sé, senza aggiungervi elementi estranei che ne allontanassero il senso da parte degli spettatori più piccoli, per i quali il film è espressamente consigliato, mentre il pubblico adulto sicuramente si ritroverà nelle pillole di filosofia zen che sono disseminate nel corso del film. Kung fu Panda diverte, commuove ed emoziona in ogni momento; la morale esplicita e diretta che sta alla base del film non lo appesantisce, anzi. L’animazione dei personag- gi è ovviamente perfetta, la caratterizzazione profonda e attuale e la loro umanizzazione strabiliante, in particolare nelle sequenze d’azione che si rifanno al genere wuxiapan. Come raramente accade nel cinema d’animazione odierno, il film unisce una grandissima perizia tecnica, ancora più notevole in quanto non fine a se stessa, con una narrazione scorrevolissima, dopo un inizio di presentazione un po’ lento, estremamente coinvolgente e mai banale, in grado di infondere nuova linfa a una materia magari già sfruttata, come quella dei sogni irraggiungibili che poi diventano realtà. La scelta degli animali è geniale, i cinque guerrieri istruiti dal maestro Shifu sono uno meglio dell’altro, complice anche la realizzazione a partire dal cast dei doppiatori. Po è modellato sull’attore Jack Black, sulla sua pinguedine e fisicità, mentre Dustin Hoffman ha portato, anche in fase di sceneggiatura, un notevole contributo alla nascita del personaggio del maestro Shifu. Angelina Jolie, Jackie Chan e Lucy Liu completano il cast all star in sala di doppiaggio. La versione italiana si affida alla voce di Fabio Volo per il personaggio di Po, scelta infelice che appiattisce il personaggio e marca la differenza con le altre voci, di bel altro calibro, a cominciare da Eros Pagni per il maestro Shifu. Chiara Cecchini UN SEGRETO TRA DI NOI (Fireflies in the Garden) Stati Uniti, 2008 Acconciature: Terri Ewton, Charmaine Richards, Melizah Schmidt Effetti speciali trucco: Clinton Wayne Supervisore effetti speciali: Everett Byrom III Supervisori effetti visivi: Thomas Tannenberger, Olcun Tan Supervisore musiche: Nic Harcourt Supervisore costumi: Jenna Kautzky Interpreti: Julia Roberts (Lisa Waechter), Ryan Reynolds (Michael Waechter), Willem Dafoe (Charles Waechter), Emily Watson (Jane Lawrence), Carrie-Anne Moss (Kelly Hanson), Hayden Panettiere (Jane Lawrence giovane), Ioan Gruffudd (Addison), Shannon Lucio (Ryne Waechter), George Newbern (Jimmy Lawrence), Cayden Boyd (Michael Waechter bambino), Chase Ellison (Christopher Lawrence), Brooklynn Proulx (Leslie Lawrence), Peter Cornwell (professore), Frank Ertl (Duncan Morgan), Gina Garza (passeggera aereoporto), Spencer Greenwood (studente di college), Molly McCann (migliore amica di Ryne), Grady McCardell (poliziotto), Tiger Sheu (commensale), John C. Stennfeld (Reverendo Beyers), Scott A. Stevens (professore) Durata: 120’ Metri: 3300 Regia: Dennis Lee Produzione: Sukee Chew, Vanessa Coifman, Marco Weber per Senator Entertainment/Kulture Machine Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 26-9-2008; Milano 26-9-2008) Soggetto: dalla poesia di Robert Frost Sceneggiatura: Dennis Lee Direttore della fotografia: Daniel Moder Montaggio: Dede Allen, Robert Brakey Musiche: Javier Navarrete Scenografia: Robert Pearson Costumi: Kelle Kutsugeras Produttori esecutivi: Jere Hausfater, Milton Liu Co-produttore: Philip Rose Casting: Ferne Cassel Aiuti regista: Michael A. Allowitz, Cleta Elaine Ellington, Kayse Goodell Operatore: Darin Moran Art director: Timmy Hills Arredatore: Carla Curry Trucco: Kara Sutherlin 9 Film M ichael scrittore di successo, sta andando insieme a sua sorella alla laurea della madre Lisa. Mentre è al volante, però, gli comunicano che c’è stato un incidente stradale e che sua madre è morta, suo padre è ferito in ospedale. La festa di famiglia, programmata per la laurea, si trasforma in un funerale. Tutti amavano molto Lisa, una donna dolce e affabile, in particolare i due figli perché l’esatto contrario del padre Charles, un uomo dispotico e arrogante che li terrorizzava con tremende punizioni corporali e psichiche. A subirne più di tutti, proprio Michael che, col tempo, ha alimentato un odio inarrestabile nei suoi confronti. Durante il funerale, il ragazzo confessa a sua zia, sua amica e complice, di aver scritto un libro autobiografico e di aver raccontato nei minimi particolari i comportamenti scorretti del padre. La donna gli consiglia vivamente di non pubblicarlo, ma Michael è irremovibile, vuole far conoscere al mondo chi è l’uomo che tanti stimano. Intanto, tutta la famiglia è riunita sotto lo stesso tetto per sbrigare le formalità burocratiche e darsi conforto. Con il passare delle ore, però, le tensioni iniziano a crescere: ciascuno ha qualcosa da ridire sull’altro e la parvenza di coesione crolla velocemente. Non facilita la situazione il ritorno dall’ospedale di Charles che coglie ogni occasione per punzecchiare Mi- Tutti i film della stagione chael. Quest’ultimo, a ogni critica, rafforza il suo volere di pubblicare il libro. Poi, però, accade una cosa insolita: Charles mostra a tutti un vecchio video di famiglia e dalle immagini traspare un padre affezionato e un figlio felice fra le sue braccia. Quei fotogrammi toccano il cuore di Michael che decide di bruciare il libro e dare una seconda possibilità al padre. N on si dovrebbe mai vedere un film se è già cominciato. Sicuramente si riuscirebbe a capirne il senso, la trama e anche ad apprezzarlo, ma si rischierebbe di perdere il meglio. Questo consiglio vale sempre in generale, ma non potrebbe essere più indicato che per il film Fireflies in the Garden (Lucciole in giardino) ribattezzato da noi con il titolo meno evocativo di Un segreto tra noi. La primissima scena, infatti, oltre che molto bella, ha la capacità di racchiudere in sé tutto il film ed è emotivamente e tecnicamente a un livello superiore rispetto ai fotogrammi che la seguiranno. La situazione è apparentemente banale: una famigliola in macchina che nervosamente litiga. Il tragitto da percorrere ancora non è tanto, ma si intuisce il livello di stress di ciascun personaggio, in particolare del bambino che non urla, non strepita, ma fa delle smorfie isteriche che lasciano inequivocabilmente immaginare un passato di soprusi e dolore. Poi la portiera si apre di scatto, il ragazzino scende dalla macchina correndo e si lascia ba- gnare da una pioggia scrosciante, catartica. Molto toccante. Purtroppo, nonostante la bella premessa, il resto del film, firmato da Dennis Lee, è irrimediabilmente deludente, un esercizio di stile che doveva rimanere tale in attesa di una maturità ancora lontana. Tutto si svolge nell’arco di un week-end nato per festeggiare una laurea e trasformatosi tragicamente in un funerale. La morte, però, non diviene mai protagonista. È piuttosto un orpello, una trovata utile a giustificare un clima mesto che nasce da conflitti non risolti, da parole mai dette e da ricordi confusi che riprendono vita diventando presente con la tecnica del flashback. La regia “accoglie” questi momenti e li trasforma in singolari parallelismi fra i membri della famiglia. Eppure qualcosa non torna. Nonostante una rigorosa ricerca formale, una buona scrittura ed un’ottima interpretazione attoriale (e non solo delle guest-star “specchietto per le allodole” Julia Roberts e Willem Defoe), infatti, il film non funziona. Scivola sulla pelle dello spettatore senza lasciar traccia del suo passaggio, quasi fosse rarefatto come la sua (bella) fotografia. La verità è, che pur attingendo da un fatto biografico, il film non ha anima, passionalità, vive di sottintesi che alienano lo spettatore fino a portarlo a un completo isolamento empatico con i personaggi. Francesca Piano IL RESTO DELLA NOTTE Italia, 2008 Fonico: Stefano Campus Interpreti: Sandra Ceccarelli (Silvana Boarin), Aurélien Recoing (Giovanni Boarin), Stefano Cassetti (Marco Rancalli), Laura Vasiliu (Marja), Victor Cosma (Victor), Costantin Lupescu (Jonuz), Veronica Besa (Anna Boarin), Valentina Cervi (Francesca), Teresa Acerbis (Eusebia), Susy Laude (Mara), Bruno Festo (Luca), Giovanni Morina (Davide), Maurizio Tabani (Vincenzo), Simonetta Benozzo (operatrice Sert), Giovanni Tormen (Mario), Corrado Vernisi (carrozziere), Antonio Rosti (Zulata), Francesca Rizzotti (maestra) Durata: 100’ Metri: 2760 Regia: Francesco Munzi Produzione: Donatella Botti per Bianca Film. In collaborazione con Rai Cinema Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 11-6-2008; Milano 11-6-2008) Soggetto e sceneggiatura: Francesco Munzi Direttore della fotografia: Vladan Radovic Montaggio: Massimo Fiocchi Musiche: Giuliano Taviani Scenografia: Luca Servino Costumi: Valentina Taviani Aiuto regista: Berenice Vignoli N ell’odierna Brescia, città multietnica con ancora qualche contraddizione in seno, basta poco perché l’equivalenza romeno uguale ladro prenda corpo, anche nell’(apparentemente) illuminata famiglia Boarin, che vive in una villa bella e lussuosa che domina dall’alto della collina l’intera città. Silvana Boarin, pericolosamente in disequilibrio sul crinale della depressione, non trova più in casa i 10 preziosi orecchini di perle ereditati dalla madre ed è certa che la colpevole sia Marja, collaboratrice domestica di origine romena che vive con loro. Forse a scatenare i sospetti sarà stata la (fugace) ag- Film gressione sotto i portici del centro di un gruppetto di bambini rom (ed ecco l’altro facile stereotipo romeno uguale rom), oppure il furto c’è stato davvero, chissà. Giovanni, suo marito, si rifiuta di credere a questa ipotesi, ma licenzia ugualmente la ragazza pur di accontentare la moglie. L’uomo, un industriale dal ricco presente e dall’ancor più solido avvenire, è spesso assente per lavoro, ma anche per i frequenti incontri con la giovane amante Francesca, di cui è sinceramente innamorato. Anna, la figlia adolescente, viziata quanto basta, in Marja ha anche una preziosa complice per i suoi innocenti sotterfugi di ragazzina e accusa senza mezzi termini i genitori di razzismo. Ma la piccola tempesta familiare passa in fretta: una nuova colf prende il posto di Marja, Silvana si trastulla stancamente all’idea di aprire una boutique, Giovanni rientra nel solito tran tran lavoro/amante/famiglia e la figlia parte per un campeggio con gli scout. Marja, senza lavoro e senza casa, trova accoglienza tra le amiche connazionali, per poi riavvicinarsi all’ex-fidanzato Ionut, a suo tempo abbandonato per i suoi traffici non propriamente cristallini. Tra i due il terzo incomodo è Victor, fratello minore di Ionut che si arrangia – onestamente – alla giornata facendosi sfruttare da italiani senza scrupoli e che divide con l’amato fratello un minuscolo appartamento in una vecchia casa di ringhiera affittata esclusivamente a stranieri di ogni etnia. Ionut “lavora” in combutta con Marco, un tossicodipendente inutilmente in cura presso il Sert, che vivacchia di furti e che smercia la refurtiva nei campi nomadi di periferia. La sua condizione personale è un mezzo disastro: l’ex-moglie si è rifatta una nuova vita con un altro uomo e non è mai troppo propensa a fargli vedere il figlio, un bambino di otto anni che Marco ama con tutto se stesso, ma in un modo anticonvenzionale e inadeguato agli occhi della donna. Quando Ionut e Marco decidono di svaligiare l’isolata villa della famiglia Boarin, Marja offre loro il suo supporto; d’altronde a stimolare i due uomini è stata proprio lei, quando dalla sua borsa ha estratto dei preziosissimi orecchini di perle non tacendone la provenienza né nascondendo l’astio verso la famiglia. La sera prestabilita, Ionut, Marco e il giovane Victor si inerpicano tra i tornanti che portano verso la villa; all’interno, mentre i genitori trascorrono la serata in città, Anna consuma la sua prima notte d’amore con il fidanzatino, una storia sbocciata durante il campeggio. Quando Marco, assolutamente non in sé, inizia a maneggiare malamente Tutti i film della stagione una pistola, i contorni della tragedia iniziano a definirsi senza pietà. Rientrati in anticipo per un malessere di Silvana, i coniugi Boarin arrivano in casa a rapina in corso; anche Giovanni ha una pistola e una breve sparatoria si consuma tra il giardino e l’interno della casa. Nulla viene mostrato al pubblico, se non il volto sconvolto e impotente di Victor, rimasto al cancello a fare da palo. I corpi senza vita di Giovanni, Ionut e del ragazzo di Anna vengono mostrati senza eccessiva morbosità, mentre Victor e Marco (gravemente ferito) si danno alla fuga tra la vegetazione della collina. Della famiglia Boarin resta ora un rapporto da recuperare tra le due donne sopravvissute, mentre Victor, rimasto solo, torna da Marja con la refurtiva e con lei si allontana all’alba di un nuovo giorno in una Brescia che sembra non abbia più molto da offrire. D opo la storia quasi eroica del giovane Saimir, Francesco Munzi torna a esplorare le vite affatto scontate di chi, straniero, tenta una nuova esistenza in Italia, incontrando talvolta accoglienza, più spesso ostilità, quasi sempre pregiudizi difficilmente cancellabili. A differenza del precedente lungometraggio, in Il resto della notte c’è poco spazio per il riscatto – umano, sociale – e nessuna soddisfazione buonista per lo spettatore: ogni personaggio è attraversato da pulsioni oscure che non permettono mai di avere completamente a fuoco la totalità del suo pensiero e, meno che mai, di lasciare intuire le azioni che compierà. La complessa scala dei grigi che caratterizza ugualmente uomini e donne, indipendentemente dalla personale con- 11 dizione economica, è efficacemente inserita in un contesto assimilabile al noir sociale, che il regista dimostra di saper maneggiare con maestria, nonostante qualche caduta nel banale dei luoghi comuni. Dal quadretto familiare altoborghese – moglie depressa insoddisfatta, marito pronto a rifugiarsi tra le braccia di una donna più giovane, figlia capricciosa e pseudoribelle – ci si aspettava qualcosina in più, mentre l’animo inevitabilmente disonesto degli emigrati romeni – Marja il furto l’ha commesso davvero, e Victor non si tira indietro all’idea del facile guadagno da rapina – provoca un fastidioso prurito. Non è invece affatto convenzionale il gioco di sfumature sui personaggi maggiormente “maledetti”: Munzi suggerisce più di quanto effettivamente mostri, aprendo un sottile squarcio nostalgico su un passato che si immagina quanto meno migliore del complicato presente: le suppellettili della cameretta di bimbo in cui si è rifugiato Marco dopo il divorzio, tornando a vivere dalla madre, si caricano di tristezza sotto lo sguardo ormai rassegnato dell’anziana signora, mentre i rapidi accenni a parenti e amori del passato nei dialoghi tra Victor e Ionut lasciano intuire la serenità di una vita ormai passata. Una necessità sotterranea accomuna questo campione di varia umanità: come in un videogame, ogni personaggio si troverà a dover ricominciare da zero, da un nuovo punto di partenza, anche più volte, raccogliendo il poco che rimane. Per Marja, l’ennesimo capolinea è un ragazzino scorbutico e il risultato di una rapina, per Victor è l’odiata intrusa amata dal fratello, per Silvana e Anna è il rapporto madre-figlia, l’uni- Film co a sopravvivere dopo la morte violenta del marito-padre e del fidanzatino; infine, per Francesca è il ricordo di un amore vissuto di nascosto con un uomo sposato. Assistiamo a una sorta di spoliazione, di purificazione, anche stilisticamente: dall’iperdettaglismo, accentuato dalla macchina a mano delle prime sequenze; si arriva, via via, a fuggevoli sguardi sempre meno di insieme, con inquadrature che quasi costringono i personaggi, incorniciandoli nei luoghi in cui compiono azioni minime. Non è un caso che, prima di far confluire in contemporanea e nello stesso luogo – e vedremo in che modo –, tutti i protagonisti delle tre storie variamente parallele, il regista ci mostri Silvana e Giovanni “rinchiusi” nel palchetto del teatro, Anna e il fidanzato nel letto, i tre ladri nel buio dell’abitacolo dell’auto, Marja sola in ansiosa attesa. La commistione tra mondi così diversi è impossibile: Munzi arriva nel finale a inserire tutti i personaggi nella medesima scena, senza mostrarli mai insieme nella stessa inquadratura, lasciando addirittura che l’azione che si presuppone Tutti i film della stagione essere il clou dell’intero film – la sparatoria tra Giovanni e i ladri – si svolga fuoricampo. Allo spettatore non resta che qualche bagliore nel buio, il sonoro delle esplosioni, le grida di Silvana, mentre la macchina da presa non stacca dal volto atterrito di Victor. La mediazione onnipresente – allo spettatore non è mai concessa un’opinione personale per l’intero film – giunge qui al suo apice, lasciando alla visione della sola reazione emotiva di un singolo personaggio il carico dell’intero film. Il percorso del regista viaggia spedito sul doppio binario italo-romeno, con una triplice storia di vari disagi esistenziali e famiglie al tracollo emotivo, trincerate da paure presunte e reali che si traducono in – peraltro inutili – bunker tecnologici per i ricchi e violenti desideri di riscatto per chi ha poco o nulla. Brescia, ricca città del nord dalle architetture lisce e squadrate, è mostrata in tutte le sue diversità: il verde lussureggiante delle colline, i portici e le piazze spoglie del centro, la bruttura della periferia, declinata in campi nomadi, affollate case di ringhiera, anonimi palazzoni nel niente, polverosi capannoni, in cui si fatica tutto il giorno per pochi spiccioli. L’occhio del regista si sofferma nei poveri interni arrangiati alla bell’e meglio da Ionut e Victor con una curiosità per il disagio e un’esibizione del dignitoso squallore che non stonerebbe in un film dei fratelli Dardenne, anche se l’integrità morale di Victor, che inizialmente potrebbe ricordare la caparbietà vista in Rosetta, si arrende senza troppi giri di parole all’idea del guadagno senza fatica. La compattezza del film arranca senza un vero perché nella diramazione sentimentale tra Giovanni e Francesca, un’apposizione quasi inutile che sembra avere la sua unica motivazione nel rendere più borghesemente a tutto tondo il personaggio di lui, altrimenti vaga meteora all’interno dell’economia narrativa del film. Senza una sbavatura invece la scelta del cast e le interpretazioni di tutti gli attori, ognuno latore di una personale ed efficace idea di nera tristezza. Manuela Pinetti HANCOCK (Hancock) Stati Uniti, 2008 Effetti speciali trucco: Richard Redlefsen Supervisore effetti speciali: Ian O’Connor Coordinatore effetti speciali: James D. Schwalm Supervisori effetti visivi: Vincent Girelli (Luma Pictures), Matthew Gratzner (New Deal Studios Inc.), Mark Larranaga (X1FX), Carey Villegas, John Dykstra, Richard Kidd Coordinatori effetti visivi: E.M. Bowen (New Deal Studios Inc.), Jennifer Middleton, Beth Tyszkiewicz Supervisore costumi: Dan Bronson Supervisore musiche: George Drakoulias Suono: Norman Durance, Peter Hansen Interpreti: Will Smith (John Hancock), Charlize Theron (Mary Embrey), Jason Bateman (Ray Embrey), Jae Head (Aaron Embrey), Eddie Marsan (Kenneth ‘Red’ Parker Jr.), David Mattey (uomo montagna), Maetrix Fitten (Matrix), Thomas Lennon (Mike), Johnny Galecki (Jeremy), Hayley Marie Norman (Hottie), Dorothy Cecchi (donna nel Bar), Martin Klebba (condannato), Akiva Goldsman, Michael Mann, Brad Leland, Trieu Tran (executives), Darrell Foster (sergente), Liz Wicker (Poliziotta), Taylor Gilbert (ostaggio), Barbara Ali (donna sotto la macchina di Ray), Ryan Radis, Elizabeth Dennehy, Darren Dowler (folla che attraversa le rotaie ), John Frazier (ingegnere del treno), Daeg Faerch (Michel), Matt King, Martin Magdaleno (ragazzini del quartiere), Ronald W. Howard (uomo sulla strada), Gregg Daniel (capo della polizia), Nancy Grace (se stessa), Pritam Singh Biring (Sikh), Cher Calvin (reporter), Caroll Tohme Durata: 92’ Metri: 2500 Regia: Peter Berg Produzione: Akiva Goldsman, James Lassiter, Michael Mann, Will Smith per Columbia Pictures/Blue Light/Weed Road Media/Overbrook Entertainment/Forward Pass/GH Three. In associazione con Relativity Media Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 12-9-2008; Milano 12-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Vincent Ngo, Vince Gilligan Direttore della fotografia: Tobias A. Schliessler Montaggio: Colby Parker jr., Paul Rubell Musiche: John Powell Scenografia: Neil Spisak Costumi: Louise Mingenbach Produttori esecutivi: Ian Bryce, Jonathan Mostow, Richard Saperstein Produttore associato: Michelle McGonagle Direttore di produzione: Allegra Clegg Casting: Denise Chamian, Francine Maisler Aiuti regista: Eric Heffron, David Sardi, Chris Castaldi, Eugene Davis, Giselle Gurza, Saleena Lockett, Michael J. Moore, Richard Oswald, Andrew Ward Operatori: Lucas Bielan, David Luckenbach, Darin Moran Operatore steadicam: David Luckenbach Art directors: William Hawkinms, Dawn Swiderski Arredatore: Rosemary Brandenburg Trucco: Martha Callender, Debra Denson, Rocky Faulkner, Gilbert A. Mosko Acconciature: Melissa Forney, Kathrine Gordon, Pierce Austin, Richard De Alba, Rhonda O’Neal 12 Film J ohn Hancock è un supereroe alcolizzato e maleducato. È odiato dai malviventi, ma ancor più dai suoi concittadini perché i suoi salvataggi arrecano più danni che benefici all’umanità. Un giorno come tanti Hancock salva la vita a Ray Embrey, dirigente di una società di pubbliche relazioni che, per ringraziarlo, decide di curargli l’immagine pubblica. Hancock in un primo momento rifiuta l’idea, poi, però, spronato dai continui insulti ricevuti dalla gente e dai media, comincia un percorso riabilitativo sotto la sua guida. Inizia a radersi la barba e a vestirsi in maniera appropriata, smette di bere e dire parolacce, paga con la reclusione i danni arrecati alle strutture pubbliche, ma, soprattutto, si rende irreperibile per far sentire alla popolazione la sua mancanza. Gli effetti sono positivi la gente, impaurita per il crimine dilagante, acclama a gran voce il suo ritorno che avviene durante una pericolosa rapina conclusasi con un’ovazione popolare. Solo una persona sembra scontenta del rientro in scena di Hancock: Mary, la moglie di Ray. Una sera, però, rimasta sola con lui, inizia a baciarlo e gli confessa di essere anche lei dotata dei suoi stessi poteri. Hancock sorpreso le chiede altre spiegazioni e la donna gli racconta che loro sono gli ultimi esemplari di una stirpe di supereroi generati in coppia, la cui immortalità è data dalla lontananza con la propria metà. Lei, parecchi anni prima, si è separata da lui, approfittando della sua perdita di memoria, per permettergli di vivere e aiutare molte vite umane. Hancock, inizia a ricordare, ma non vuole credere che la sua unica salvezza, Tutti i film della stagione così come quella della sua donna, sia vivere lontano da lei. Qualche giorno dopo la rivelazione, durante un furto, Hancock viene colpito all’addome e per la prima volta inizia a sanguinare. Nell’ospedale dove lo ricoverano i medici fanno l’impossibile per salvarlo, ma le speranze sono poche. Mary, mentre cerca di convincerlo ad allontanarsi da lei per guarire, viene colpita brutalmente da dei malviventi e cade in coma. Hancock, allora, aiutato da Ray, raduna tutte le sue poche forze e per evitarle la morte vola via. Passa un mese, Mary è guarita e felice con suo marito e Hancock continua a salvare il mondo lontano dalla donna che ama. D imenticate per un attimo i supereroi con cui siete cresciuti. Scordatevi l’agilità di Spiderman, la virilità di Batman o la sicurezza di Superman. Hancock è diverso, molto diverso da loro. Vive su una panchina come un barbone, è perennemente attaccato a una bottiglia di whisky e usa un linguaggio che con un eufemismo si potrebbe definire “colorito”. Hancock è, in definitiva, politicamente scorretto sotto ogni aspetto. Come supereroe, poi, non è un granché; fa il suo dovere, certo, ma dopo ogni suo intervento sono più i danni da contare che i benefici tanto che i cittadini di Los Angeles, stanchi e arrabbiati, quotidianamente lo invitano a prestare i suoi servigi in un’altra città. Tutti tranne uno, Ray Embry, il classico “brav’uomo”, idealista e convinto di salvare il mondo con i cuoricini. Proprio lui convince Hancock a cambiare immagine, a conformarsi all’iconografia classica del supereroe al fine di farsi amare dalla gente. Questo percorso di cambiamento, con relativo lieto fine è solo il primo tempo del film diretto da Peter Berg. I successivi quarantacinque minuti offrono allo spettatore una pellicola completamente diversa con una discontinuità narrativa e linguistica veramente audace. Si passa dallo strombazzare di effetti speciali, battute a raffica e risate a una storia d’amore drammatica con un forte impronta metaforica. Hancock, infatti, nella seconda parte si innamora di Mary, la bella moglie di Ray che in realtà è un suo vecchio amore, o meglio, è la sua anima gemella costretta a star lontana da lui per poterlo rendere invulnerabile. È facile intuire l’evolversi di questa situazione: il dilemma fra amore e morte, il bene comune (l’invulnerabilità permette ad Hancock di salvare molte vite) per quello personale ed il sottile gioco dei sentimenti che, quando troppo forti, “uccidono” la coppia. Un plot interessante, forse, ma per un altro film. È troppo netto il distacco fra le due parti per creare omogeneità, viene a mancare del tutto il momento di passaggio che crea spigolosità narrative dure da smussare. Questo rende il lavoro di Berg piuttosto inconsistente, o meglio, lo trasforma in un prodotto “ruffiano” atto ad accontentare il gusto di tutti, ma a non soddisfare completamente nessuno. Difficile, invece, criticare le interpretazioni dei protagonisti Will Smith e Charlize Theron. Il “Fresh Prince” è ormai una garanzia per produttori e pubblico, buca lo schermo e risulta perfetto sia nei ruoli drammatici che in quelli brillanti e in Hancock non smentisce la sua fama. E Charlize Theron, nonostante una sceneggiatura ingrata, non è da meno, bella, anzi bellissima e con un carisma recitativo che fa passare la sua avvenenza in secondo piano. Francesca Piano KEN IL GUERRIERO-LA LEGGENDA DI HOKUTO (Shin kyuseishu densetsu Hokuto no Ken: Rao den Junai no sho) Giappone, 2006 Regia: Takahiro Imamura Produzione: Naoki Miya, Kiminobu Sato, Hideki Yamamoto per North Star Pictures Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008) Soggetto: dai personaggi della serie animata Ken il guerriero ispirata all’omonimo fumetto creato da Buronson e Tetsuo Hara Sceneggiatura: Nobuhiko Horie, Yoshinobu Kamo, Katsuhiko Manabe Direttore della fotografia: Masato Sato Montaggio: Jun Takuma Musiche: Yuki Kajiura L o scoppio di una guerra atomica ha distrutto il mondo e costringe l’umanità a vivere nel deserto in Scenografia: Nobuto Sakamoto Animation Department: Tsukasa Hojo Voci: Hiroshi Abe (Kenshirô), Takashi Ukaji (Raoh), Kou Shibasaki (Reina/narrazione), Akio Otsuka (Souther), Hochu Otsuka (Shû), Kenyu Horiuchi (Toki), Unsho Ishizuka (Sôga), Daisuke Namikawa (Bat), Maaya Sakamoto (Lin), Miyu Irino (Shiba), Yuzuru Fujimoto (Yo), Masuo Amada (Meio), Seiko Fujiki (Martha Toyo), Eiji Hanawa (Kenshiro giovane), Shigeru Shibuya (Raoh giovane), Keiichi Sonobe (Rizo), Tomoko Ishimura (Ryo), Takafumi Kawakami (padre di Ryo) Durata: 90’ Metri: 2780 balia di predoni senza scrupoli secondo la ‘legge del più forte’. Al mondo esistono però due potentissime scuole di arti marziali, la scuola 13 di Hokuto e quella di Nanto. Il giovane Kenshiro è discepolo della prima di queste scuole, insieme ai fratelli Raoul, Toki e Jagger. Film Durante uno scontro organizzato da Raoul e Sauzer, il più potente guerriero della scuola di Nanto, Kenshiro affronta e viene sconfitto da Shu che, però intuisce nel ragazzo il futuro salvatore dell’umanità e offre a Sauzer, in cambio della vita di Ken, la sua vista. Kenshiro sarà scelto poi proprio come successore della scuola di Hokuto, al posto di fratello Raoul, troppo ambizioso, e di Toki, potentissimo ma malato terminale dopo essere stato esposto a una nube radioattiva per salvare Ken e un gruppo di bambini. Furioso, Raoul uccide il suo maestro e, approfittando della confusione generata dalla guerra atomica, decide di partire alla conquista del potere con ogni mezzo, mentre Toki utilizza le tecniche sui punti di pressione di Hokuto per guarire le persone, diventando una specie di venerato santone. Raoul riesce a espandere sempre di più il suo potere sulle bande di ribelli, grazie anche all’aiuto del suo luogotenente Souga e della sorella di lui, Reina, guerriera spietata e invincibile, ma anche donna innamorata segretamente di Raoul. Nel frattempo Kenshiro è cresciuto e nel corso dei suoi viaggi, nei quali affronta numerosi avversari e si fortifica sempre più, incontra di nuovo Shu. Quest’ultimo si trova a fronteggiare da solo il malvagio Sauzer che, divenuto nel frattempo Imperatore di Nanto dopo aver ucciso il suo amato maestro Ogai, sta erigendo un Mausoleo per celebrare la sua opera di conquistatore del mondo utilizzando migliaia di bambini ridotti schiavi. Ken si unisce a Shu nella lotta contro Sauzer, ma al primo scontro ha la peggio, perché tutti i colpi di Hokuto non sembrano aver alcun effetto contro l’Imperatore. Aiutato ancora da Shu e da suo figlio Shiba (che si sacrifica per salvarlo), Kenshiro ritorna più forte di prima e affronta di nuovo Sauzer, dopo aver scoperto il suo segreto: l’Imperatore ha il cuore nella parte destra del petto, come tutti gli altri organi. Per accrescere il potere e il prestigio di Raoul davanti ai suoi uomini, Souga, malato terminale, decide di inscenare un finto litigio con il suo capo e di farsi uccidere per tradimento, ma Reina, all’oscuro della verità, rimane sconvolta dalla morte del fratello per mano dell’uomo che ama e si unisce a Kenshiro e Toki, che si preparano a scontrarsi con il fratello maggiore. K en il guerriero – La leggenda di Hokuto è il primo di cinque nuove storie animate (in gergo tecnico OAV, original anime video) facenti parte del progetto Shin Kyûseishu Densetsu (Hokuto no Ken - La leggenda del nuovo salvatore) che hanno visto la luce in Giappone tra il 2006 e il 2008 per celebrare i venticinque anni dalla nascita del personaggio creato da Tetsuo Hara e Buronson (al secolo Yoshiyuki Okamura, il soprannome deriva dalla sua somiglianza con l’attore Charles Bronson). In questi cinque OAV si racconta la storia dello scontro epico tra le due scuole di Tutti i film della stagione Hokuto e di Nanto attraverso i punti di vista dei personaggi più importanti: a questo primo film, seguiranno infatti La leggenda di Julia, La leggenda di Raoul, La leggenda di Toki e La leggenda di Kenshiro. Questa riedizione della mitica saga, un vero e proprio cult per un’intera generazione di ragazzi, grazie al suo constante passaggio sulle varie televisioni locali in pieno boom anni ’80, si concentra, quindi sui personaggi, approfondendone le caratteristiche psicologiche e le storie personali. Accanto al protagonista Kenshiro Kasumi, giganteggia infatti la figura del fratello maggiore Raoul (Raoh nel manga originale), guerriero tra i più forti delle due scuole e personaggio complesso e affascinante. Per dare più risalto a Raoul, oltre a Souga, Testuo Hara ha creato ex-novo proprio per questi OAV il personaggio di Reina, il cui desing è affidato a Tsukasa Hojo (altro nome storico dell’animazione giapponese, creatore tra l’altro di City Hunter e Occhi di Gatto). Oltre a questi, grande spazio è dato alla contrapposizione tra il perfido Zauser (nato sotto la Stella della Tirannia e quindi destinato ad esercitare brutalmente il suo potere e la sua brama di possesso) e l’altruista Shu (protetto dalla Stella della Benevolenza), mentre non mancano le apparizioni di personaggi minori, ma altrettanto amati dai fan come i giovani Lynn e Bart. È naturale che un film come questo risulti maggiormente appassionante e comprensibile al pubblico degli storici aficionados ma gli autori si sono enormemente impegnati per colmare il gap di conoscenze tra i cultori della materia e i neofiti, che rimarranno comunque conquistati dall’epicità della storia e della complessità dei personaggi, sebbene ci siamo comunque alcuni passaggi oscuri per chi non abbia pratica con la serie televisiva. Nonostante le nuove tecniche, l’animazione non pare migliorata di molto rispetto a quella dell’anime originale, invero non eccelsa, e risente ancora della staticità delle prime versioni. I pregi maggiori del film sono più o meno simili a quelli dell’anime. In primo luogo, l’ambientazione apocalittica alla Mad Max (“Siamo alla fine del ventesimo secolo, il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche. Sulla faccia della terra gli oceani erano scomparsi e le pianure avevano l’aspetto di desolati deserti... tuttavia la razza umana era sopravvissuta” recitava la voce all’inizio di ogni episodio) e la grandezza dei personaggi, il loro lottare e sacrificarsi per gli ideali in cui credono, la complessità di quelli più negativi, che tali sono in seguito a grandi dolori patiti tempo prima (come Sauzer e Raoul, figure terribili, ma, al contempo, affascinanti). Soprattutto altro grande pregio del film è il forte simbolismo che ne domina la rappresentazione, l’etica del sacrificio, il coraggio estremo, i valori dell’amicizia e dell’amore, il fascino della solitudine del samurai, pronto a compiere il proprio destino. L’efferata violenza che caratterizzava la serie animata degli anni ’80 (impossibile non ricordare le aspre polemiche per la sua messa in onda nelle fasce pomeridiane in quegli anni) è stata stemperata nell’OAV, assumendo caratteristiche decisamente meno splatter. Nel film si riascoltano le notevoli BGM (BackGround Music), tra le migliori della storia degli anime e il lavoro di doppiaggio è stato eseguito con perizia e accortezza, anche se al fan più accanito non potranno non mancare le voci dell’originale. Chiara Cecchini LA FIDANZATA DI PAPÀ Italia, 2008 Regia: Enrico Oldoini Produzione: Bruno Altissimi, Fabio Boldi per Medusa. In collaborazione con Sky Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 14-11-2008; Milano 14-11-2008) Soggetto e sceneggiatura: Enrico Oldoini, Paolo Costella Direttore della fotografia: Gianlorenzo Battaglia Montaggio: Mauro Bonanni Musiche: Alessandro Molinari Scenografia: Paola Riviello Costumi: Giuseppe Tramontano Aiuto regista: Fedeico Marsicano Interpreti: Massimo Boldi (Massimo Bondi), Simona Ventura (Angela), Enzo Salvi (Eros), Biagio Izzo (Maria), Nino Frassica (Nino), Loredana De Nardis (Lara), Martina Pinto (Barbara), Elisabetta Canalis (Felicity), Max Cavallari (Max), Bruno Arena (Bruno), Teresa Mannino (Luminosa), Davide Silvestri (Matteo), Aurora Quattrocchi (Zi Carmelina), Natalia Bush (Gloria), Alessandra Barzaghi (Jenny) Durata: 95’ Metri: 2600 14 Film M assimo, vedovo, ha un albergo a Cortina D’Ampezzo assieme alla figlia Lara; ad aiutarlo nella gestione c’è Luminosa, con la quale ha una relazione da molto tempo, ma che ancora non ha il coraggio di ufficializzare. Eros, fratello di Massimo è il cuoco. L’altro figlio, Matteo, vive a Miami con la compagna Barbara che è ormai prossima al parto. Solo ora il ragazzo trova il coraggio di rivelare al padre che sta per diventare nonno. Matteo si giostra fra le avances di Felicity e la gelosia nei confronti di Tommy, amico di colore d’infanzia di Barbara. Nel mentre, da New York, Angela madre di Barbara, chiama a Cortina per invitare tutti a Miami per la futura nascita. Eros, sempre al telefono, conosce così Maria, segretaria tuttofare di Angela, di cui si innamora senza sapere la verità: Maria è un ex attore di teatro travestitosi da donna pur di poter lavorare. Massimo Lara ed Eros, partono così per Miami. All’aeroporto, Massimo ha uno scontro con Angela; i due litigano senza sapere chi siano in realtà. Maria si innamora a prima vista di Lara. Nella villa di Angela, il gruppo cresce con la presenza di Nino e Carmela, detta Carmelina, rispettivamente il papà separato e la nonna di Barbara. Angela e Massimo finalmente si presentano; lui tenta di rimediare alla brutta figura fatta in aeroporto combinando però ulteriori disastri. Angela è costretta a partire per lavoro; Barbara l’accompagna all’aeroporto. Rimasta sola, la ragazza partorisce. Con sorpresa di tutti il bambino è di colore. L’immensa gioia di Matteo sfuma all’istante, nonostante la ragazza continui a dire di non averlo mai tradito. Eros e Maria aiutano Massimo a scambiare le culle per dare a Barbara una bambina di pelle chiara. Nessuno crede alla farsa e Massimo viene arrestato. Sarà Angela con i suoi aiuti politici a farlo uscire. Matteo è scappato con Felicity, la quale ha subito approfittato della situazione. I due nonni si avvicinano e Angela si confida: il papà di Barbara è in realtà un importante uomo di colore di cui non può rivelare il nome. Massimo escogita un piano per evitare la verità. Intanto Luminosa giunge a Miami per via di un sospetto tradimento di Massimo con Angela a causa di un malinteso. Ritrova così Nino il suo primo grande amore; lascia Massimo, con sua gioia, e si rimette con lui. Maria, per sfuggire all’ennesimo approccio di Eros, si ritrova nella camera di Lara, alla quale si rivela. Barbara riceve la notizia dell’imminente matrimonio di Matteo con Felicity; arrivata in chiesa scopre che il ragazzo non si è sposato perché ancora innamorato di lei. Tutti i film della stagione I due si sposano spinti anche da Felicity stessa. Tutti festeggiano e fra Massimo e Angela sembra nascere qualcosa. C on La fidanzata di papà, il regista Enrico Oldoini e Massimo Boldi tentano un balzo in avanti rispetto ai precedenti film. Tentano, ma non riescono. Tutta l’idea di base, che di per sé poteva anche reggere, viene completamente sopraffatta e distrutta da gag al limite della decenza e della demenza. Viene così da chiedersi: dov’è finita tutta la storia? La verità, che dovrebbe essere riparatrice, non viene mai detta; ma bensì coperta dall’ennesima bugia con una nonna che deve essere corrotta per aiutare la nipote. Quindi niente morale né moralità in un film dove si preferisce continuare a mentire invece di rivelare una verità che potrebbe, si, distruggere se stessi, ma aiutare la propria figlia a ritrovare una meritata felicità. Senza contare che ormai Angela è già separata da anni dal marito; allora perché non dire niente? Mah. Un film slegato dove in molte scene sembra che gli attori inizino a muoversi e parlare subito dopo il ciak. La Ventura riesce in parte a convincere, mentre Boldi cade sempre nella stessa decennale recitazione Le uniche risate le strappano la brava Teresa Mannino (Luminosa) e Biagio Izzo (Maria) il cui triangolo amoroso fra Lara ed Eros è una continua citazione al bellissimo A qualcuno piace caldo (1959). Sempre con Izzo vi sono vari riferimenti a Matrimonio all’italiana (Maria si lancia in un monologo di Filumena Marturano) e Quando la moglie è in vacanza (il vestito bianco di Maria si solleva sopra una grata da cui fuoriescono folate d’aria calda). Altra citazione si riscontra con Boldi e Salvi (Eros), quando tentano di scrivere una lettera per Maria, che richiama Totò, Peppino e... la malafemmina (1959). Naturalmente non c’è confronto. Trascurabile la presenza dei Fichi d’India, nei panni di due improbabili poliziotti italoamericani; praticamente assente la Canalis (Felicity). Le musiche, come sempre in questi film di genere, sono ben scelte dalla prima all’ultima. A chiudere il film, la rivelazione di Angela all’orecchio di Massimo circa l’identità del papà di Barbara, che, secondo indizi sparsi, dovrebbe essere proprio il neopresidente degli Usa. Elena Mandolini PARIGI (Paris) Francia, 2008 Regia: Cédric Klapisch Produzione: Ce qui me meut motion pictures/Studio Canal/France 2 Cinema/Studio Canal Image. Con la partecipazione di TPS Star/Canal+ Distribuzione: Bim Prima: (Roma 26-9-2008; Milano 26-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Cédric Klapisch Direttore della fotografia: Christophe Beaucarne Montaggio: Francine Sandberg Musiche: Robert ‘Chicken’ Burke, Loic Dury, Christophe Minck Scenografia: Marie Cheminal Costumi: Anne Schotte Direttori di produzione: Khadija Alami, Jacques Royer, Anne Ferignac Casting: Noureddine Aberdine, Jeanne Millet Effetti: Seb Caudron Aiuto regista: Euric Allaire Trucco: Flore Masson, Delphine Jaffart Suono: Cyril Moisson Interpreti: Juliette Binoche (Elise), Romain Duris (Pierre), Fabrice Luchini (Roland Verneuil), Albert Dupontel (Jean), François Cluzet (Philippe Verneuil), Karin Viard (La fornaia), Gilles Lellouche (Franky), Melanie Laurent (Laetitia), Zinedine Soualem (Mourad), Julie Ferrier (Caroline), Olivia Bonamy (Diane), Maurice Benichou (lo psichiatra), Annelise Hesme (Victoire), Audrey Marnay (Marjolaine), Xavier Robic (Arthur Delamare), Suzanne Aichinger (Susy), Joffrey Platel (Remy), Nelly Antignac (Rachel), Emmanuel Quatra (Grand Nanar), Kingsley Kum Abang (Benoit), Renée Le Calm (sig.ra Renée), Sabrina Ouazani (Khadija), Farida Hhelfa (Farida), Judith El Zein (Mélanie Verneuil) Durata: 130’ Metri: 3220 15 Film S ullo sfondo di Parigi si intrecciano diverse storie. Il giovane Pierre, ex ballerino, è malato di cuore: ha appena saputo che gli resta poco da vivere; dovrà sottoporsi a un trapianto ma l’intervento avrà solo un 40% di possibilità di riuscita. Il ragazzo si confida con la sorella Elise, quarantenne separata e con tre figli che lavora come assistente sociale. Pierre passa le sue giornate a guardare fuori dalla finestra del suo appartamento e le persone che vede diventano eroi delle storie che immagina. Tutti i giorni Elise va a fare la spesa al mercato, al banco di frutta di Mourad, Caroline e del suo ex marito Jean, che è affascinato da Elise. Nello stesso mercato, al banco del pesce, lavora Franky, amico di Jean che è attratto da Caroline. Roland Verneuil è un professore universitario specializzato in storia di Parigi che ha appena ricevuto una vantaggiosa offerta per girare alcuni DVD sulla storia della città. Il fratello di Roland è Philippe, affermato architetto, sposato e in attesa del suo primo figlio. Durante una lezione, Roland è stregato da Laetitia, una bellissima studentessa. Preso da un irrefrenabile impulso, il professore inizia a corteggiare la ragazza tempestandola di messaggi telefonici anonimi. Anche Pierre, per strada, è colpito da Laetitia che abita di fronte a lui. Madame Muyard è la proprietaria di una panetteria che è in cerca di una nuova commessa per servire al banco. La donna è gentile con i clienti, ma razzista con le sue dipendenti. Benoit è un ragazzo africano che decide di partire per Parigi. Il giovane ha conservato il numero di telefono di Marjolai- Tutti i film della stagione ne, una ragazza conosciuta in un villaggio turistico quando faceva l’istruttore di nuoto. Una notte, Benoit si imbarca su un gommone carico di clandestini. Passano i giorni ed Elise si trasferisce con i bambini da Pierre. Roland, vittima di ansie e attacchi di panico, inizia la terapia con uno psicanalista. Le sedute lo aiutano a capire molte cose di sé e lo spingono a cercare un dialogo più profondo con il fratello. Roland finisce per dichiararsi alla giovane Laetitia che cede alle sue avances. Anche Caroline intreccia una relazione con Franky ma, proprio quando sembra aver trovato un po’ di serenità, la donna muore in un incidente in moto. Intanto Laetitia si lega a Remy, un suo compagno di studi, ed esce allo scoperto mostrandosi insieme al giovane davanti agli occhi del professore. Nel frattempo, Pierre decide di fare una festa invitando tutti i suoi amici: durante la serata il giovane torna a ballare dopo tanto tempo. Quella notte, Benoit, appena sbarcato, telefona a Marjolaine ma la ragazza, a una sfilata di moda con le amiche, tronca subito la conversazione. Durante la stessa notte, Franky e Jean, ai mercati generali, abbordano Marjolaine e le sue amiche, ma non riescono a essere del tutto spensierati. All’alba, Elise va al mercato e incontra Jean che trova il coraggio di dichiararsi. Di prima mattina, Pierre riceve una telefonata che lo informa che l’ospedale è pronto per il trapianto. Quella stessa mattina, Philippe diventa padre mentre Pierre sale su un taxi. Percorrendo le strade di Parigi, il ragazzo osserva la vita intorno a lui, pensa che la gente spesso non sa quanto è fortunata solo per il fatto di poter vivere, camminare, correre, respirare. Guardando la sua città dal 16 finestrino, sorride e va serenamente incontro al suo destino. L a vita. Nient’altro. Un cuore che batte. Nient’altro. Un giovane uomo che osserva la vita da una finestra da cui si apre un panorama mozzafiato e una città, Parigi, e le sue mille anime che pulsano, vive. Il cuore del giovane, invece, non si sa per quanto tempo continuerà a battere. E la vita assume un significato diverso, quasi assoluto. Il film di Klapisch ha due cuori: quello debole del giovane Pierre, ex ballerino costretto a una vita ritirata in attesa di un trapianto rischiosissimo, e quello forte di Parigi che batte in ogni suo angolo, dal grigio ferro della Tour Eiffel al candore del Sacre Coeur di Montmartre. E, a proposito di Parigi e dei suoi cambiamenti, Baudelaire scriveva “più veloce d’un cuore cambia l’aspetto di una città”. La capitale francese dipinta da Klapisch è come una grande madre che abbraccia i suoi “figli”, nelle sue strade, nelle sue piazze, nei suoi mercati, nei suoi caffè, nelle sue case. Parigi ti avvolge, ti sostiene, ti culla quando è sera e le mille luci si accendono sulla Tour Eiffel. Parigi è “dentro” le storie narrate nel film, è “dentro” i suoi personaggi: il professore specializzato in storia della città sta girando un DVD, proprio negli angoli più nascosti della metropoli svelandone storie e segreti, suo fratello architetto sta ridisegnando una fetta della rive gauche. E ancora, “dentro” la città è la folla di un mercato, dove lavora un gruppo di venditori e “dentro” la città arriva un giovane africano inseguendo il desiderio di una vita migliore. E gli occhi del giovane ex ballerino che non può più danzare (ballava al Moulin Rouge, altro luogo emblematico della Ville Lumière), rintanato in casa in attesa di un trapianto, sono proprio gli occhi del regista che, attraverso la macchina da presa, osserva la città di cui è innamorato e la sua gente. Evidente il filo rosso che lega questo film alla precedente opera del regista, maestro in storie corali: se, in Ognuno cerca il suo gatto, Klapisch focalizzava la sua attenzione nella zona dell’11° arrondissement parigino, in cui ogni vicolo nascondeva una storia, qui lo sguardo è ampliato all’intera città, in cui si muovono le vite di una piccola folla di personaggi dei quartieri e dei ceti più disparati. Il dramma e l’ironia sono in equilibrio, dispensati in dosi mai eccessive dalla mano del regista. E gli attori? Tutti perfetti. Un stuolo di talenti utilizzati al meglio: da Film una malinconica Juliette Binoche che dà vita a una fascinosa quarantenne separata con tre figli “scottata” dall’amore, a un intenso Romain Duris (che con Klapisch ha già girato altri cinque film tra cui L’appartamento spagnolo e Bambole russe), nei panni del giovane malato di cuore che osserva la vita da una finestra, da un grande Fabrice Luchini spassoso nel ruolo del professore universitario innamorato di una studentessa (imperdibile il suo numero di ballo), a un misurato François Cluzet, ele- Tutti i film della stagione gante architetto di successo quasi troppo perfetto (quando la vita non lo è mai) agli occhi del fratello dalla vita “incasinata”. Per continuare con Karin Viard panettiera xenofoba, Gilles Lellouche pescivendolo dai modi grevi ma dall’animo sentimentale, Albert Dupontel fruttivendolo dal cuore ferito, Mélanie Lambert studentessa dalla bellezza così prepotente in cui c’è “qualcosa di osceno”. Che classe! Complessità e semplicità, malinconia e allegria, lacrime e sorrisi, quante sono le contraddizioni della vita! E questa vita il regista mette in scena, anche nelle situazioni più banali. L’amore, la paura, il dolore, l’allegria, la tristezza, e, infine, la speranza su cui chiude il film. Un universo fatto di rapporti: fratelli e sorelle, madri e figli, mariti e mogli, docenti e allievi. Parigi è questo. La vita è questo. E forse è bello credere ancora in Babbo Natale. Bravo Klapisch. Elena Bartoni IL MIO SOGNO PIÙ GRANDE (Grace) Stati Uniti, 2007 Acconciature: Peggy Nicholson, Coordinatore effetti speciali: J.C. Brotherhood Supervisore effetti visivi digitali: Dion Hatch (Digiscope) Supervisore musiche: John Houlihan Interpreti: Jesse Lee Soffer (Johnny Bowen), Christopher Shand (Kyle Rhodes), Carly Schroeder (Grace Bowen), Karl Girolamo (Curt), Vasilios Mantagas (Craig), Donny Gray (Donny), Emma Bell (Kate Dorset), Dermot Mulroney (Bryan Bowen), Hunter Schroeder (Mike Bowen), Trevor Heins (Daniel Bowen), Josh Caras (Peter Wicker), Elisabeth Shue (Lindsay Bowen), Madison Arnold (nonno), Jophn Doman (coach Colasanti), Andrew Shue (coach Owen Clark), Julia Garro (Jena Walpen), Karl Schellscheidt (arbitro Jay Gavitt), James Biberi (agente Sal Famulari), Lou Sumrall (buttafuori), Peter McRabbie (Preside Enright), Chris Heuisler (Rob), Charles Jack Walker (Adam), C.C. Loveheart (assistente della presidentessa), Leslie Lyles (Presidentessa Connie Bowsher), Tashya Valdevit (Maryellen Connors), Robens Jerome (Rodney), Dan Metcalfe (coach Kingston), Christopher Allen, Teddy Van Beuren, Gustavo Mora (giocatori) Durata: 95’ Metri: 2450 Regia: Davis Guggenheim Produzione: Davis Guggenheim, Andrew Shue, Elisabeth Shue, Lermore Syvan per Elevation Filmworks/Ursa Major Films LLC Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 18-7-2008) Soggetto: Andrew Shue, Ken Himmelman, David Guggenheim Sceneggiatura: Lisa Marie Petersen, Karen Janszen Direttore della fotografia: Chris Manley Montaggio: Elizabeth Kling Musiche: Mark Isham Scenografia: Dina Goldman Costumi: Elizabeth Caitlin Ward Produttori esecutivi: Cindy Alston, Jeff Arnold, Dustin Cohn, Tom fox, Mead Welles Co-produttori: Chris Frisina. John Shue, Andrew Wiese Direttori di produzione: Abimael Jackson, Lemore Syvan Casting: Ali Farrell, Laura Rosenthal Aiuti regista: Jude Gorjanc, Annie Tan, John Tyson, Thomas K. Lee Operatore steadicam: Jeff Muhlstock Art director: Jennifer Dehghan Arredatore: Melanie J. Baker Trucco: Brian Abbott G race, una ragazza di sedici anni, vive in una famiglia con la passione sfrenata per il calcio. Suo fratello maggiore, Johnny, gioca nella squadra della scuola ed è l’orgoglio dei suoi genitori. Fra i due c’è un rapporto molto speciale, cementato dalla passione comune per lo sport. Una sera, dopo una partita, Johnny è vittima di un incidente mortale. La famiglia è sconvolta dal dolore e Grace per poter avverare il sogno del fratello defunto, battere la squadra rivale, decide di prendere il suo posto in squadra. Il padre alla notizia deride la figlia che, per spirito di ribellione, inizia a marinare la scuola e ad avere comportamenti pericolosi. Vista la situazione, il genitore, decide di assecondare la ragazza e fa richiesta all’allenatore di un provino per la figlia. Dopo una riunione del consiglio studentesco particolarmente accesso, a Grace viene data la possibilità di fare la selezione insieme agli altri aspiranti giocatori. In attesa del fatidico giorno, la ragazza, aiutata dal padre, inizia ad allenarsi duramente con ottimi risultati. Arriva il giorno del provino, ma Grace, nonostante un’ottima prestazione, viene presa solo come riserva. Delusa, vorrebbe mollare, ma suo padre la convince a portare avanti il suo progetto in attesa di mostrare il suo talento in una vera partita. L’occasione arriva presto. A causa dell’infortunio di un giocatore, infatti, Grace viene messa in campo proprio contro la squadra che suo fratello voleva battere. 17 Dopo qualche errore, la ragazza segna il goal decisivo per la vittoria e viene accolta con un’ovazione dal pubblico e dalla squadra che prima la snobbava. I l dolore per la perdita spesso sceglie i canali più strani per essere elaborato. L’arte e il cinema in particolare permettono di trasformare la sofferenza in pulsante energia operativa che, pur non essendo garanzia di risultato, ha comunque innumerevoli benefici terapeutici per chi ne è protagonista . A tal proposito, curiosando fra le biografie dell’intero cast di Il mio sogno più grande è facile intuire che sia stata più una “questione personale” piuttosto che una velleità artistica mettere in cantiere questa pellicola. Quasi tutti, direttamente Film o indirettamente, infatti, sono legati alla tragica vicenda raccontata nel film: gli sforzi di una ragazzina per prendere il posto di suo fratello, morto in un incidente, nella squadra di calcio locale e nel cuore del padre. È la storia dell’attrice Elisabeth Shue (che qui si è ritagliata per questioni anagrafiche il ruolo della madre) e della sua famiglia in un’America maschilista e ottusa, incapace di andare oltre il pensiero comune che vede la donna costretta a realizzarsi solo in ambiti prestabiliti. Sarebbe, però, erroneo soffermarsi Tutti i film della stagione troppo sul lato femminista della pellicola, poiché il vero fulcro è invece il difficile rapporto padre-figlia. Grace, la protagonista, vuole fortemente far parte della squadra di calcio maschile non per un suo desiderio personale, ma per guadagnarsi l’affetto di un padre con il cuore saturo d’amore per il fratello. È una richiesta d’attenzione attraverso l’emulazione che nessuno comprende, soprattutto i suoi genitori, e che ha poco a che vedere con un campo verde da calcio, o con una rivendicazione protofemminista. C’è dell’altro, e traspare dai numerosi e intensi primi piani del regista Davis Guggenheim (premio Oscar per Una scomoda verità, nonché marito di Elisabeth Shue) che accompagnano un’interpretazione attoriale tanto naturale quanto credibile. Il mio sogno più grande, nonostante le premesse, è un film lontano dagli schemi “sbanca botteghino”, ma sicuramente è ricco di tanti piccoli momenti, tante piccole emozioni che non chiedono soltanto di essere viste, ma, soprattutto, di essere condivise. Francesca Piano BABYLON A.D. (Babylon A.D.) Francia/Stati Uniti, 2008 Arredatori: Francesca Cross, Michel Pagès Trucco: Gabriela Polakova, Jeremy Woodhead, Christien Tinsley Acconciature: Barbara Kichi, Ivo Strangmuller, Jeremy Woodhead Effetti speciali trucco: Megan Flagg, Brian Hillard, Nik Williams Coordinatore effetti speciali: Christian Kitter Supervisore effetti visivi: Stephane Ceretti (BUF), Coordinatore effetti visivi: Beatrice Ronte-Cassard, Julie Verweij Supervisore musiche: Jerome Hadey Interpreti: Vin Diesel (Toorop), Mélanie Thierry (Aurora), Michelle Yeoh (Suor Rebecca), Lambert Wilson (dott. Arthur Darquandier), Mark Strong (Finn), Jérôme Le Banner (Killa), Charlotte Rampling (sacerdotessa della Neolite), Gérard Depardieu (Gorsky), Joel Kirby (dott. Newman), Souleymane Dicko (Jamal), Radek Bruna (Karl), Jan Unger (organizzatore dei combattimenti), Abraham Belaga (assistente della sacerdotessa), Gary Cowan (executive Neolite), Lemmy Constantine (executive marketing Neolite), Lou Jenny, Kristyna Kingsley (gemelle), Filip Matejka (ragazzo giovane), Curtis Matthew (capitano sottomarino), Peter Thias (Neolite MIB), David Belle, David Gasman, Robert Polo, Drew Harding Smith, Jeff Smith, Magda Vavrusova Durata: 90’ Metri: 2470 Regia: Mathieu Kassovitz Produzione: Alain Goldman, Mathieu Kassovitz, Eiffel Mattson per Canal +/Légende Films/MNP Enterprise/Okko Productions/Twentieth Century Fox Film Corporation Distribuzione: Moviemax Prima: (Roma 24-10-2008; Milano 24-10-2008) Soggetto: dal romanzo Babylon Babies di Maurice G. Dantec Sceneggiatura: Eric Besnard, Mathieu Kassovitz Direttore della fotografia: Thierry Arbogast Montaggio: Benjamin Weill Musiche: Atli Örvarsson Scenografia: Sonja Klaus, Paul Cross Costumi: Chattoune, Fab Produttori esecutivi: Benoît Jaubert, Marc Jenny, Avram ‘Butch’ Kaplan, Gary Ungar, David Valdes Co-produttore: Selwyn Roberts Direttori di produzione: Michaela Flenerova, Jiri Husak, Marc Olla, Paul Sarony, Patrick Sobieski Casting: Gigi Akoka, Nancy Bishop, Jina Jay Aiuti regista: Otto Requette, Dusan Vodak, Charlie Watson, Alex Oakley, Kieron Phipps, Shakir Hafoudh, Jonas Overton, Philip A. Patterson, Trevor Puckle Operatori: François Daignault, Martin Grosup, Martin Maryska Supervisore art direction: John King Art directors: Claudio Campana, Robert Cowper, Ora Ito, Peter James, Jindrich Koci, Milena Koubkova, Olivier Raoux, Stephen Wong I n un prossimo futuro, un mercenario di nome Toorop accetta l’offerta di un gangster russo, Gorsky, di scortare dalla Mongolia a New York, nel giro di sei giorni, una giovane donna, Aurora. Toorop e il magnate Gorsky si accordano per mezzo milione, oltre a una nuova vita per il mercenario in America. Per far sì che porti a termine l’obbiettivo, Gorsky rifornisce Toorop di un vasto arsenale e di un passaporto elettronico, da iniettare sotto la pelle del collo. Toorop si fa recapitare in un convento in mano alla setta dei Noeliti, dove incontra Suor Rebecca, ombra fedele di Aurora, che accompagnerà anche in questa avventura fino a New York. Paesi e città russe sono diventate ghetti sovrappopolati e pericolosi a causa della guerra e del terrorismo. Il che costringe Toorop, Aurora e Rebecca a fronteggiare mille pericoli nel viaggio fino a Vladivostok, incluso un gruppo di mercenari che affermano di essere mandati dal padre di Aurora, da lei fino a 18 quel momento creduto morto. Aurora si comporta in modo strano, qualcosa che né Toorop nè Rebecca sanno spiegarsi. Prima di prendere il treno, in preda a una crisi isterica, la ragazza scappa dall’androne della stazione ferroviaria poco prima che salti in aria a causa di un’esplosione, come se fosse riuscita a prevederla. Giunti allo stretto di Bering grazie a un mercenario amico di Toorop, emerge dai ghiacci un sottomarino russo vecchio di trent’anni. A causa del numero ecces- Film sivo di profughi, l’equipaggio del sottomarino è costretto a partire lasciandone alcuni fuori, anche a costo di sparargli. Aurora è infuriata e sconvolta per le perdite umane, si intrufola nell’abitacolo e comincia a usare i comandi del vecchio sommergibile, senza aver mai saputo utilizzarlo. Toorop riesce a immobilizzarla e calmarla prima che la situazione con l’equipaggio si metta male. Rebecca spiega a Toorop che Aurora è in grado di parlare 19 linguaggi diversi dall’età di due anni e sa da sempre cose che non ha mai imparato da nessuna parte. Ma negli ultimi tre mesi ha spasmi e reazioni schizofreniche, dovute probabilmente a una pillola somministratale da un medico. Un virus che può essere usato da arma, come conferma l’amico mercenario di Toorop che ha sentito di un caso analogo in Uzbekistan. Nei pressi del confine fra Russia e Alaska, dopo uno scontro con dei droni volanti, Toroop uccide il compagno di viaggio che lo stava tradendo. Ferito gravemente, viene soccorso da Rebecca e Aurora; con quest’ultima il rapporto diviene più intimo dopo l’iniziale diffidenza. Attraversato il Canada ed entrati negli Stati Uniti d’America, i tre, in poco tempo, si ritrovano a New York, dove continuano martellanti le notizie di una nuova era, un nuovo miracolo. Qui scoprono che il convento di Noeliti da cui erano partiti è stato distrutto da un missile lanciato da alcuni ipotetici terroristi. Nell’appartamento di New York, un dottore viene a visitare Aurora che scopre di essere incinta di due gemelli, pur essendo ancora vergine. Dalla finestra, Toorop vede sia gli uomini di Gorsky che il gruppo dei Noeliti, armati fino ai denti e in attesa che scendano. La sacerdotessa Noelita chiama Toorop, chiedendogli di portare giù Aurora. I tre scendono. All’ultimo momento, Toorop cambia idea, dando inizio a una sanguinosa sparatoria. Rebecca muore, Toorop è gravemente ferito e contro di lui viene lanciato un potente missile collegato elettronicamente al passaporto che ha iniettato nel collo. “Ho bisogno che tu viva” sono le ultime parole di Aurora a Toorop, prima che lei gli spari ed entrambi finiscano avvolti tra le fiamme dell’esplosione. Il suo corpo viene trafugato dall’obitorio e trasportato in New Jersey, dove il dottore Darquandier, il padre di Auro- Tutti i film della stagione ra, lo riporta in vita e spiega come stanno le cose in realtà. Quando Aurora era ancora un feto, lui la modificò geneticamente tramite un super computer per installarle una intelligenza artificiale nel cervello. Il gruppo dei Noeliti aveva incaricato di creare Aurora perché divenisse incinta in una certa fase della sua vita, e fosse mostrata al mondo come “vergine” simbolo della loro religione. Ma Darquandier si ribellò, per lui Aurora era ormai una figlia vera e propria. Lo scienziato collega Toorop a un macchinario in grado di recuperare la memoria vissuta perduta: grazie a esso scopriamo che Toorop, colpito da Aurora, si è abbassato appena in tempo per evitare il missile, che ha proseguito la sua marcia verso Aurora, per poi infrangersi contro una barriera misteriosa intorno a lei. “Torna a casa”, mormora la ragazza a Toorop. In breve il mercenario si ritrova con una nuova missione: tornare in un vecchio ranch di sua proprietà prima che scappasse dagli States, per reincontrare Aurora che lo attende lì. Nel frattempo, Darquandier viene ucciso dalla gran sacerdotessa e, dopo l’ennesimo inseguimento, Toorop e Aurora si mettono in salvo. Aurora, prima di morire durante il parto, chiede a Toorop di proteggere i suoi figli e di fargli da padre. Tempo dopo, Toorop, ormai non più mercenario e in candidi abiti civili, si trova di fronte a una casa con due bambine, una dalla pelle nera e una bianca. Le prende per mano e si dirigono verso casa. D ifficile liquidare in due parole Babylon A.D., film che sulla carta (si perdoni il pregiudizio) non sembrava necessitare di un maggiore dispendio verbale. L’intento di intrattenere è prioritario, indiscusso, manifesto: ma Kassovitz, memore dell’aura di culto raggiunta in giovane età a Cannes con La Haine (L’odio), poi diluita in produzioni mainstream di altalenante fattura, decide di puntare alto e rielabora, insieme con lo sceneggiatore Eric Besnard, il difficile romanzo culto di Maurice Dantec con un occhio al pubblico e l’altro all’impegno: quello di raccontare, attraverso una struttura avventurosa classica, un mondo futuribile ma ormai prossimo, diretta conseguenza del nostro pensiero e delle azioni dell’oggi, che 19 hanno generato una deriva di matrice terroristica e un’assoluta incapacità, nelle grandi come nelle piccole cose, di pensare e agire in termini di collettività. Nel mondo del mercenario Toorop, degno protagonista della vicenda, tutti sono abbandonati a se stessi e la sopravvivenza è una questione personale, a meno che non paghi qualcuno perché badi a te. Il rimedio è un recupero morale di valori ormai perduti, ma anche qui c’è il rovescio della medaglia: un mondo così concreto, corrotto in ogni singolo elemento, non può forgiare che una religione da laboratorio, per mero tornaconto personale. La rilettura “messianica” dell’intera vicenda, con un finale tra il beffardo e l’incongruo che accosta il nerboruto Vin Diesel nientemeno che a San Giuseppe (ma vestito di un completo bianco che dovrebbe definitivamente precludergli il regno dei cieli), è un azzardo affascinante e un tentativo di uscire dagli schemi che avvince, e forse convince. Poca tecnologia e molto action, come usava un tempo, prima che nel mondo dei sci-fi movies la tecnologia del presente si evolvesse a sufficienza per simulare un’efficace virtualizzazione del mondo a venire: Kassovitz sembra avere le idee molto chiare dal punto di vista tecnico, come è logico aspettarsi da un regista dotato qual è. Il risultato è quasi un b-movie, degno dal punto di vista registico in termini di azione e adrenalina, un po’ meno sul fronte narrativo: la trama, esile nei fatti ma complessa e impalpabile nei suoi continui richiami e collegamenti, necessita sempre di troppe spiegazioni a visione in corso, e questo toglie ritmo e vivacità. Anche la continuità, talvolta, va a farsi benedire, con scene troppo slegate le une dalle altre (su tutte l’ellissi dal sommergibile ai pack innevati dell’Alaska, dove i protagonisti montano veicoli presi chissà dove). Errori forse voluti per conferire alla confezione uno status definitivo di “basso prodotto”, che dice più di quanto mostra, ma anche così troppo calcolati per passare inosservati. Un sospetto di ricostruzione a tavolino che tuttavia non pregiudica un’ora e mezza scarsa di intrattenimento migliore di tante altre viste ultimamente. Gianluigi Ceccarelli Film Tutti i film della stagione QUANTUM OF SOLACE (Quantum of Solace) Gran Bretagna/Stati Uniti, 2008 Acconciature: Zoe Tahir Coordinatori effetti speciali: Chris Corbould, Lynne Corbould Supervisori effetti visivi: Angela Barson (MPC), John Lockwood, Steve Street (Machine), Jon Thum (Framestore), Alen Wuttke (Double Negative) Coordinatore effetti visivi: Jon Keene, Danielle Morley (Framestore), Anna Panton Supervisore costumi: Lindsay Pugh Interpreti: Daniel Craig (James Bond), Olga Kurylenko (Camille), Mathieu Amalric (Dominic Greene), Judi Dench (M), Giancarlo Giannini (René Mathis), Gemma Arterton (agente Fields), Jeffrey Wright (Felix Leiter), David Harbour (Gregg Beam), Jesper Christensen (sig. White), Anatole Taubman (Elvis), Rory Kinnear (Tanner), Joaquin Cosio (Generale Medrano), Jesus Ochoa (tenente Orso), Glenn Foster (Henry Mitchell), Paul Ritter (Guy Haines), Simon Kassianides (Yusef), Stana Katic (Corinne Veneau), Lucrezia Lante Della Rovere (Gemma), Neil Jackson (sig. Slate), Oona Chaplin (receptionist Perla de las Dunas), Rufus Wright (agente del Tesoro), Tim Pagott-Smith (segretario esteri), Kari Patrice Coley (commesso Hotel Dessalines), Sarah Hadland (receptionist Ocean Sky), Jake Seal (barista), Peñarandam Felix (tassista), Mark Wakeling (agente MI6), Elizabeth Arciniega (ragazza del sig. White), Daniel da Silva (facchino Andean Grand Hotel), Emiliano Valdés (receptionist Andean Grand Hotel), Karine Babajanyan (Floria Tosca), Sebastien Soules (Scarpia), Brandon Jovanovich (Mario Cavaradossi), Martin Busen (Sciarrone) Durata: 106’ Metri: 2900 Regia: Marc Foster Produzione: Barbara Broccoli, Michael G. Wilson per MGM/ Columbia Pictures/Danjaq/Eon Productions/United Artists Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 7-11-2008; Milano 7-11-2008) Soggetto: dai personaggi creati da Ian Fleming Sceneggiatura: Paul Haggis, Neal Purvis, Robert Wade Direttore della fotografia: Roberto Schaefer Montaggio: Richard Pearson, Matt Chesse Musiche: David Arnold Scenografia: Tennis Gassner Costumi: Louise Frogley Produttori esecutivi: Callum McDougall, Brian Miller, Anthony Waye Direttore di produzione: Victor Barriga, Mally Chung, Leonhard Gmur, Matt Jones, Angus More Gordon, Anel E. Moreno, Omar Veytia Casting: Debbie McWilliams Aiuti regista: Michael Salven, Michael Lerman, Ben Dixon, Toby Hefferman, Terence Madden, Michael Michael, Jeff Taylor, Gorge Walzer, Joe Barlow, Tom Browne, Glen Carroll Operatori: Graham Hall, George Richmond, Robert Binnall, Frank Buono, Mark Moriarty, Shaun O’Dell, Stefan Stankowski, David Worley Operatore steadicam: George Richmond Supervisore art direction: Chris Lowe Art directors: James Foster, Mark Harris, Paul Inglis, Marco Rubeo, Mike Stallion Arredatore: Anna Pinnock Trucco: Naomi Donne, Paul Engelen, Chloe Meddings, Clare Ramsey, Norma Webb J ames Bond, il suo capo M e un paio di colleghi stanno interrogando White, che 007 ha consegnato dopo averlo sottratto ai suoi complici con un inseguimento mozzafiato sui tornanti della riviera toscana. Il prigioniero però non parla, ammette soltanto l’esistenza di un’organizzazione segreta della cui forza nessuno si è ancora reso conto. Uno degli agenti comincia a sparare, White è ucciso; Bond elimina il traditore dopo scontri a ripetizione tra tetti e palazzi e dà il via alla sua ennesima missione: risalire fino al capo di questa società criminale che vuole ancora una volta tenere in scacco il mondo. Si tratta di Dominic Greene, in trattativa ad Haiti con il generale Medrano, disposto a concedere al criminale una larga parte del territorio della Bolivia in cambio dell‘appoggio a un colpo di stato nel Paese sudamericano. Sulle tracce di Medrano e quindi di Greene è anche Camille, resa un tempo orfana di tutta la famiglia, massacrata dal generale e decisa ora a vendicarsi. Si delinea, intanto, il piano di Greene, impadronirsi delle risorse idriche di più paesi possibili per mettere l’umanità in ginocchio, grazie alle lucrose alleanze strette con una serie di uomini d’affari di tutto il mondo. 007 deve agire, così, su due fronti: riprendere le fila delle sue conoscenze spionistiche di qua e di là dell’Atlantico per arrivare alla verità e sventare il piano del terrore; contemporaneamente evitare che il suo agire venga solo inteso da M come il modo per vendicarsi di chi gli uccise Vesper (Casinò Royale), anche se responsabile di tradimento. Il percorso è quello immaginabile: gli omicidi, gli inganni, gli agguati, le esplosioni sono le stazioni di posta di un viaggio (Austria, ancora Italia, Sud America) che porta Bond e Camille in Bolivia per eliminare Greene, Medrano e dimostrare ancora una volta a M la propria lealtà. V endicare la sua donna morta due volte in quanto macchiata di tradimento in Casinò Royale e dimostrare a M di non avere mai abbando- 20 nato il servizio segreto di Sua Maestà, di cui aveva continuato a proteggere gli interessi, pur nell’ambito di un suo personale cammino è la giustificazione introspettiva che lo sceneggiatore Paul Haggis offre in partenza a 007; l’intenzione però non mitiga la violenza, ma anzi la accelera, la rende bestiale, trasforma l’agente in una ossessiva macchina di morte che non risparmia nessuno, nemmeno qualche collega della sua stessa bandiera che per sbaglio gli taglia la strada; l’agente che abbiamo più amato diventa così un assassino impazzito alla Jason Bourne, che affonda la rabbia e il rancore sotto un mare di colpi che lo illividiscono e gli lordano di sangue la faccia, la camicia plissettata, lo smoking. E quando mai è successo? Come è stato possibile ridursi così quando perfino sotto una muta da sub lo smoking di Bond risultava perfetto, gonfio di seduzione, ricco di promesse. Ora invece è malfatto, tagliato male (non certo a Savile Row, forse a Hong Kong) e ancora peggio indossato. Questo è James Bond? No, non lo è. Ma non pos- Film siamo pretendere di fermare il tempo: il Bond nato con il cinema quasi cinquant’anni fa’ e basato sui racconti di Fleming scritti ancor prima non c’è più, non c’è più il piacere per quel tipo di agente col doppio zero, elegante, ironico, snob, anche se non privo di durezza e violenza, lontano ormai delle ere, come la vita di allora, come tutto, come tutti. Daniel Craig va bene, è perfetto, è lo 007 di oggi, proletario, inelegante, cupo, cinico, senza scrupoli, indifferente al dolore procurato e ricevuto, nel bere attento piuttosto alla quantità (tracanna cocktail uno dopo l’altro come aranciate) e così come per le donne che, in fin dei conti, non gli interessano e non perde tempo a sedurre. Di pari passo è la conduzione parossistica dell’inquadratura e il ritmo dato al susseguirsi di tagli e raccordi di montaggio che dimostrano una peculiarità uniforme, cioè quella di essere incomprensibili, sempre e comunque; nulla di diverso forse si proponeva il regista Mark Forster se non quello di fare un action movie come i tanti che vediamo al cinema e in televisione. Tardivo e ingiustificato, come una cosa appiccicata apposta in un momento qualsiasi, l’omaggio a Goldfinger con la ragazza uccisa con la pelle cosparsa di petrolio: dall’oro al petrolio! Forse neanche gli autori si sono resi conto dell’autogol! Tutti i film della stagione Buona la scelta della star francese Mathiew Amarlic come cattivo di turno: il suo sguardo tiroideo alla Peter Lorre conferisce equivocità, doppiezza e quella stralunata crudeltà sufficienti a non farsi schiacciare dalla velocità dei passaggi e dalle tonnellate di effetti speciali che occupano lo schermo. Altrettanto positiva la bond-girl Olga Kurylenko, portatrice di una naturalezza d’altri tempi, davvero bondiani, fuori dalle bellezze gonfiate e messe su in serie. Non ci soffermiamo invece sulla partecipazio- ne di Giancarlo Giannini, manifestamente a disagio e fuori luogo, di cui spesso ci sembra di scorgere sui suoi occhi un interrogativo tipo “ma che ci sto facendo io qui?” e glissiamo sul passaggio volgare e orrorifico della Lante della Rovere che avvilisce la sua seduttiva simpatia al servizio non si sa bene di chi né di che cosa. Perché continuiamo a chiamare tutto questo “un’altra avventura di 007”? Fabrizio Moresco BE KIND REWIND GLI ACCHIAPPAFILM (Be Kind Rewind) Stati Uniti, 2007 Regia: Michel Gondry Produzione: Georges Bermann, Julie Fong per Partizan Distribuzione: Bim Prima: (Roma 23-5-2008; Milano 23-5-2008) Soggetto e sceneggiatura: Michel Gondry Direttore della fotografia: Ellen Kuras Montaggio: Jeff Buchanan Musiche: Jean-Michel Bernard Scenografia: Dan Leigh Costumi: Kishu Chand, Rahel Afiley Produttori esecutivi: Toby Emmerich, Guy Stodel Produttore associato: Raffi Adlan Co-produttore: Ann Ruark Casting: Mellicent Dyane Aiuti regista: Michael Hausman, David Fischer, Jesse Nye Art director: James Donahue Arredatore: Ron von Blomberg Trucco: Marjorie Durand Acconciature: Suzy Mazzarese-Allison Suono: Pawel Wdowczak Coordinatore effetti speciali: Tim Rossiter Supervisore effetti visivi: Fabrice Lagayette Coordinatore effetti visivi: Pierre Escande Supervisore costumi: Tonya Huskey Supervisore musiche: Linda Cohen Interpreti: Jack Black (Jerry), Mos Def (Mike), Danny Glover (Elroy Fletcher), Mia Farrow (Miss Falewicz), Melonie Diaz (Alma), Irv Gooch (Wilson), Chandler Parker (Craig), Arjay Smith (anny), Quinton Aaron (Q), Gio Perez (Randy), Basia Rosas (Andrea), Tomasz Soltys (Carl), David Slotkoff (Jack), Frank Heins (Patrick), Heather Lawless (Sherry), Karolina Wydra (Gabrielle Bochenski), Allie Woods jr. (dott. Bent), Kishu Chand (sorella di Alma), Ann Longo, Parrie Hodges (amiche di Miss Falewicz), P. J. Byrne (sig. Baker), John Tormey (capo demolizione), Frank Girardeau (agente Gary), Matt Walsh (agente Julian), Paul Dinello (sig. Rooney), Sigourney Weaver (sig.ra Lawson), McKinley Page, Marcus Carl Franklin, Blake Hightower, Amir Ali Said, Harvey Hgan, Ted McElwee, Walter Helbig Durata: 102’ Metri: 2790 21 Film P assaic, New Jersey. L’anziano Mr. Fletcher ha una videoteca nello stabile dove, a suo dire, un centinaio di anni prima viveva il grande Fats Waller, autentica leggenda del jazz ed eroe locale. La cosa affascina da sempre il giovane Mike, che lavora nel negozio; molto meno gli amministratori cittadini, i quali vorrebbero demolire l’edificio perché non rispetta le norme di sicurezza: al suo posto verrà innalzata una struttura più moderna, mentre al povero Fletcher verrà assegnata una casa popolare. Per cercare di prevenire il disastro e raccogliere il denaro necessario a fare i lavori per rendere la struttura conforme alla legge, Fletcher si allontana per un periodo e va a spiare le strategie commerciali di una grande catena di noleggio home video, lasciando le sorti del negozio a Mike. Prima di partire l’uomo si premura anche di avvisare il ragazzo affinché non faccia entrare nella videoteca il suo amico Jerry, un tipo un po’ svitato che vive in un deposito di rottami e che ha l’innata capacità di distruggere tutto quello che gli capita a tiro. In effetti, Jerry ha la tendenza a imbarcarsi in imprese folli; ad esempio, adesso si è messo in testa di dover sabotare la centrale elettrica per salvare il quartiere dall’inquinamento magnetico, ma, nel portare a compimento il suo piano, riceve una scarica di grande intensità che lo rende un’autentica calamita vivente! Tornato alla videoteca di Mike, Jerry, ancora stordito per l’accaduto, smagnetizza con la sua sola presenza tutte le videocassette, cancellando quindi i film registrati: una volta resosi conto di quanto è successo, Mike è disperato, anche perché Miss Falewicz vuole a tutti i costi noleggiare il film Ghostbusters e, non vedendo esaudita la sua richiesta, potrebbe informare Mr. Fletcher, dal quale ha avuto il compito di sorvegliare la videoteca. Così, in preda al panico, Mike ha un’idea folle: armatosi di videocamera e coinvolgendo anche Jerry, gira una versione “amatoriale” di Ghostbusters sulla cassetta cancellata e poi la consegna alla donna. L’impresa viene raddoppiata quando un altro cliente arriva a chiedere una copia di Rush Hour 2. Apparentemente Mike sta solo prendendo tempo e il bizzarro trucco non dovrebbe tardare a essere scoperto, ma inaspettatamente queste copie amatoriali (ben presto ribattezzate dai due “versioni maroccate”) ottengono un successo enorme che procura alla videoteca una lunga lista di nuovi tesserati e costringe, al contempo, Mike, Jerry e Alma (una ragazza che i due hanno coinvolto nelle riprese dei film) Tutti i film della stagione a ri-girare altre celebri pellicole. Arriva così il turno di RoboCop, Il Re Leone, 2001: Odissea nello spazio e tanti altri capolavori. Il business si dimostra ben presto fiorente, ma l’arrivo di Mr. Fletcher sembra smorzare ogni entusiasmo: l’uomo infatti intende piegarsi alle logiche del mercato e rimpiazzare tutto il suo catalogo con copie in DVD. Inoltre i film “maroccati”, per quanto abbiano successo, non riusciranno ad assicurare il denaro utile a realizzare le riparazioni dell’edificio nel poco tempo concesso dalle autorità. Ma Mike, Jerry e Alma non si perdono d’animo e decidono di coinvolgere la gente del quartiere per realizzare ancora più film, in modo da guadagnare la cifra necessaria. Il piano si rivela un autentico successo e tutto sembra volgere al meglio, fino a quando un avvocato degli studios di Hollywood non arriva a presentare una salatissima multa per i due registi, accusati di plagio e violazione dei diritti d’autore. Come se non bastasse, anche tutto il catalogo dei film “maroccati” viene distrutto. È la fine di un sogno. Jerry però non si arrende e convince Mike a girare un film originale, sulla vita di Fats Waller. Il proposito non si ferma di fronte alla confessione di mr. Fletcher che in realtà il grande jazzista non è affatto vissuto in quel palazzo: il film infatti si farà carico di raccontare la versione da sempre divulgata dall’uomo e coinvolgerà tutto il quartiere, che poi, partecipando alla proiezione finale, riuscirà a mettere insieme il denaro necessario. I lavori si svolgono in un clima di grande entusiasmo, ma, alla fine, il denaro raccolto non è sufficiente. Resta soltanto il tempo per godere della proiezione del film, come atto finale di questa bella avventura. L’amore riversato da tutti gli abitanti del quartiere nel progetto, però, compie il miracolo: attratti dalle immagini, tutti gli abitanti della città si riuniscono fuori dal negozio, ivi comprese le autorità finora ostili. E perciò la videoteca non verrà abbattuta. A rrivato al quarto lungometraggio, Michel Gondry dimostra di essere uno dei nomi più importanti della scena cinematografica contemporanea, capace di pensare a un cinema materico e in grado di recuperare gli elementi utili a rinnovarne la forza aggregante e meravigliosa: l’idea stessa alla base di un film come Be Kind Rewind è in fondo proprio quella di “strappare” il cinema alle logiche del commercio e dell’industria per farne materia da omaggiare e da restituire 22 alla gente, quella che ne decreta il successo e che dà forma alla passione. In questo senso, è già evidente come il divertimento di Gondry vada di pari passo con la sua umiltà, quella di chi è capace di unire al gusto per l’originalità anche una immediatezza e una riconoscibilità che rende l’opera transitiva nei confronti degli spettatori. Non è in fondo Gondry ad aver inventato il “re-enactment”, ovvero il rifacimento amatoriale di film (o parti di film) celebri, molto praticato anzi nell’era di YouTube, ma è lui a ricontestualizzarlo nell’ottica più giusta, che è quella dell’omaggio al passato e al piacere della realizzazione fisica, artigianale, illusionistica dell’immagine in movimento. Si respira per questo aria da pre-cinema, o da pioniere, come un George Meliès che si reincarni ai nostri giorni per perpetrare i suoi spettacoli, dove il piacere dell’illusione va di pari passo con il gusto per l’invenzione più o meno spettacolare, in grado di costituire veicolo per il divertimento dello spettatore. In questo senso Be Kind Rewind è un film che, al di là di ogni possibile lettura teorica, è semplicemente divertente: lo spettatore ride e si sente partecipe di un processo creativo basato sul rifacimento di opere che conosce, ma, allo stesso tempo, resta affascinato da una fiducia nella settima arte come potere in grado di muovere il mondo, reinventare le storie e, alla bisogna, anche riscrivere il passato, non come forma revisionista, ma come potere ludico che afferma la proprietà comune di ogni racconto. La ricostruzione del mondo secondo Gondry passa, quindi, per una scomposizione e ricomposizione degli elementi che costituiscono la memoria e la realtà: gli oggetti del quotidiano fanno assumere al cinema la sua forma e, dalla distruzione, può nascere un qualcosa di nuovo se a guidare la mano c’è la voglia e l’interesse. La passione è in fondo quella che realmente fa la differenza tra l’asettica realtà della catena di videonoleggi e il calore del negozio di Mr. Fletcher, che potremmo inserire in un ipotetico percorso fra i luoghi che respirano dell’umanità di chi li gestisce e custodisce, insieme allo store di Clerks e al negozio di dischi di Alta fedeltà. La nostalgia, in questo senso, diventa non un restare ancorati al passato, ma una virtuosa forma di riscoperta delle qualità precipue dell’arte, tanto da sfociare nell’utopia, con un finale che chiede la piena partecipazione dello spettatore. Davide Di Giorgio Film Tutti i film della stagione INVINCIBILE (Invincibile) Gran Bretagna/Germania/Irlanda/Stati Uniti, 2001 Regia: Werner Herzog Produzione: Werner Herzog, Gary Bart per Werner Herzog Filmproduktion/Tatfilm/Film Four/Fine Line Features. In associazione con Little Bird/Jan Bart Productions. In coproduzione con WDR/BR/Arte. Con il supporto di Filmstiftung NordrheinWestfalen/Filmforderungsanstaly/BKM Distribuzione: Ripley’s Film Prima: (Roma 25-7-2008; Milano 25-7-2008) Soggetto e sceneggiatura: Werner Herzog Direttore della fotografia: Peter Zeitlinger Montaggio: Joe Bini Musiche: Klaus Badelt, Hans Zimmer Scenografia: Ulrich Bergfelder Costumi: Jany Temime Produttori esecutivi: James Mitchell, Christine Ruppert, Simone Stewens, Lucki Stipetic, Paul Webster, Michael André Co-produttore: Robertas Urbonas Direttori di produzione: Markus Brinkmann, Mark Popp, Walter Saxer, Ramona Mohren Casting: Tanja Schwichtenberg Aiuti regista: Herbert Golder, Rudolph Herzog Operatore steadicam: Roman Zednicek Art director: Markus Wollersheim G iovane e possente, il fabbro ebreo Zishe Breitbart è costretto un giorno a sfoderare la sua notevole forza per difendere l’amato fratello minore. Chiamato poi a cimentarsi con un lottatore da circo nel suo villaggio in Polonia, si fa notare da un impresario proveniente da Berlino, che gli offre una carriera nella grande città come attrattiva senza pari. La famiglia, nonostante le reticenze, lo lascia libero di partire e arrivare al cospetto del famoso occultista Erik Jan Hanussen, direttore di una casa d’intrattenimento, principalmente rinomata per un numero di chiaroveggenza da lui stesso eseguito. Zishe viene scritturato come l’imbattibile Siegfried l’Ariano, ma infine si rifiuta di continuare a interpretare quel ruolo, vista la sua origine, e lo dichiara di fronte alla sala gremita. Nonostante l’ira di Hanussen, che non vuole scontentare la sua clientela nazista, la dichiarazione del giovane ha un effetto contrario e accresce l’affluenza di pubblico. Il suo rapporto con il principale è comunque destinato a deteriorasi e l’astio tra i due raggiunge il culmine quando Zishe, durante una festa in barca organizzata da Hanussen, difende la compagna di quest’ultimo, della quale si è nel frattempo innamorato e con cui è già nata una relazione. Portati di fronte alla giustizia, Hanussen viene prima smascherato in merito alle sue supposte doti di veg- Arredatore: Karl-Heinz Hahnel Trucco: Katharina Gütter Acconciature: Bruny Ruland Supervisori effetti speciali: Mike Kelt (Artem Ltd.), Alan Marques Interpreti: Tim Roth (Hersche Steinschneider/Erik Jan Hanussen), Jouko Ahola (Zishe Breitbart), Anna Gourari (Marta Farra), Max Raabe (Maestro di Celrimonie), Gustav-Peter Wöhler (Alfred Landwehr), Udo Kier (conte Helldorf), Herbert Golden (Rabbi Edelmann), Gary Bart (Yitzak Breitbart), Renate Krößner (madre Breithbart), Ben-Tzion Hershberg (Gershon), Rebecca Wein (Rebecca), Raphael Wein (Raphael), Daniel Wein (Daniel), Chana Wein (Chana), Klaus Stiglmeier (direttore circo), James Reeves (Colosso di Rodi), Ulrich Bergfelder (uomo di Carter), Guntis Pilsums (locandiere), Torsten Hammann (capobanda), Jurgis Karsons (attaccabrighe), Jakov Rafalson (uomo che ride), Ieva Aleksandrova (Delilah), Rudolph Herzog (mago), Les Bubb (Rothschild), Tina Bordihn (Hedda Christiansen), Silvia Vas (sig.ra Holm), Hans-Jugen Schmiebusch (sig. Peters), Alexander Duda (Heinrich Himmler), Klaus Händl (Joseph Goebbels), André Hennicke (detective) Durata: 128’ Metri: 3450 gente e poi accusato di tradimento, avendo celato dietro un nome tedesco le sue origini ebree. Prima che la sua condanna venga eseguita, il truffatore ha modo di chiarirsi con Zishe, confidandogli il suo rispetto. Al giovane non resta che ripartire per il suo villaggio e avvisare i suoi compatrioti dell’imminente minaccia nazista, ma solo uno sparuto gruppo sembra prendere sul serio le sue parole. C ircondato da un alone di “americanità” senz’altro conferitogli dalla partecipazione degli Stati Uniti alla coproduzione, dalla presenza della star Tim Roth e da sparute collaborazioni di respiro internazionale (la coppia musicale Hans Zimmer/Klaus Badelt), Invincibile si dimostra un Herzog a tutto tondo. La distribuzione italiana enormemente posticipata rispetto all’uscita originale e alla presentazione veneziana del 2001 potrebbe trarre in inganno sulla coerenza formale dell’opera nel contesto poetico dell’autore di Monaco, venendo a cozzare anacronisticamente con la diluizione narrativa e la libertà estetica dei successivi L’ignoto spazio profondo e Grizzly Man, forse molto più “d’oltreoceano” rispetto a questa parabola nuovamente antropocentrica sulle forze del destino umano e la consequenziale, beffarda svolta del fato sugli sforzi terreni. Tipicamente radicato sulle 23 basi etiche fondanti il discorso cinematografico del regista, senza però alcuna preclusione all’ironia velata di elegante sarcasmo, il film si dà in un impianto decisamente rispettoso della leggenda pre-nazista portata sullo schermo, forgiato in un racconto eminentemente antiretorico, alla cui resa partecipa la risaputa lucidità storica e di messa in scena del cineasta, unita a un andamento rappresentativo declinato alla scansione di montaggio essenziale – a tratti finanche insistita e ieratica – che guarda complessivamente al modello drammaturgico di illustri precedenti come L’enigma di Kaspar Hauser e Woyzeck. Se, da un lato, in particolare nella sua affinità formale al Kaspar, la vocazione allegorica e fatalistica del testo si compie in una tale elaborazione sintattica, la matrice sognante e astratta, che trova nuovamente ragion d’essere nell’affezione del regista per la pratica ipnotica, non guadagna interessanti ribalte, raffreddandosi a pochi passi dall’iniziale evocazione di una traccia narrativa raramente risolta con il vigore e la capacità di spiritismo inanellati in passato. Pur evidenziati i limiti di campo della tematica rispetto alla ben più pregante ingerenza realizzativa in Cuore di vetro (qui l’ipnosi è argomento di sceneggiatura, lì metodologia recitativa), al lungometraggio sembrano mancare i lampi di possessione e deriva mistica del cinema herzoghia- Film no migliore. Elementi che certo il ‘nemico più caro’ dell’autore, Kinski, avrebbe probabilmente servito all’occultista Hanussen con la sola presenza fisica, fermo restando l’incompletezza (e, in ultima battuta, l’approssimazione) di scrittura del personaggio, a cui nemmeno la connaturale ambiguità fisionomica di Roth riesce a porre rimedio. Restano, in concordanza naturale con l’universo herzoghiano, l’accenno alla palingenesi risolutrice, la tensione ciclica (che ben si concretizza nel Tutti i film della stagione meccanismo presagente delle dicotomie impossibili: Sigfrid l’Ariano/ebreo polacco e Hanussen filo-nazista/ebreo sotto mentite spoglie), l’importanza dell’elemento acquatico, con risonanze filosofiche quasi tarkovskiane, il senso del tempo che si approssima alla duplicazione dell’accezione semio-cinematografica di Deleuze (esplicitato in una delle pagine di sceneggiatura più intense attraverso il monologo di Hanussen sull’ascesa di Hitler) e il rimando simbolico, accresciuto da una visualizzazione onirica che termina con il sogno tipico dall’interpretazione più vaga per la prima scuola freudiana, il volo dell’uomo. Forse perché lo stesso Zishe, per quanto profetico e volenteroso, non potendo immaginare l’inumana violenza della stagione nazista a venire, o non potendola anche solo tollerare in previsione, si abbandona a una fantasia di libertà completamente effimera. Ipnotizzato da se stesso. Giuliano Tomassacci TADPOLE-UN GIOVANE SEDUTTORE A NEW YORK (Tadpole) Stati Uniti, 2002 Art director: Sara Parks Trucco: Marilyn Carbone Acconciature: Anthony Veader Effetti visivi: Luke Di Tommaso Supervisore musiche: Linda Cohen Interpreti: Aaron Stanford (Oscar Grubman), Kate Mara (Miranda Spear), Robert Iler (Charlie), Peter Appel (Jimmy), Bebe Neuwirth (Diane Lodder), Ron Rifkin (Professor Tisch), Alicia Van Couvering (Daphne Tisch), John Ritter (Stanley Grubman), Sigourney Weaver (Eve Grubman), Paul Butler (professor Sherman), Michael Connors (l’uomo nel bar), Theo Kogan (la donna del bar), Adam LeFevre (Phil), Hope Chernov (Samantha Steadman), Debbon Ayer (Jean), Harry Kellerman (cameriere), Reade Kelly (sig. Smith), Danielle Di Vecchio (sig.ra Smith), John Feltch (Sig. Bob Spear), Henry Haile (cameriere Le Gardin), Lee Brock (madre di Charlie) Durata: 78’ Metri: 2200 Regia: Gary Winick Produzione: Alexis Alexanian, Dolly Hall, Gary Winick per Miramax Films/InDigEnt/IFC Productions. In associazione con Dolly Hall Productions Distribuzione: Mikado Prima: (Roma 17-1-2003; Milano 17-1-2003) Soggetto: Heather McGowan, Niels Mueller, Gary Winick Sceneggiatura: Heather McGowan, Niels Mueller Direttore della fotografia: Hubert Taczanowski Montaggio: Susan Littenberg Musiche: Renaud Pion Scenografia: Anthony Gasparro Costumi: Suzanne Schwarzer Produttori esecutivi: Caroline Kaplan, Jonathan Sehring, John Sloss Produttore associato: Jake Abraham Direttori di produzione: Seth Burch Casting: Marcia DeBonis, Jennifer Euston, Ellen Lewis Aiuti regista: Michael Johnson, Elaine Kavanagh, John Kaufmann I l quindicenne Oscar Grubman torna a New York, dal padre, per il giorno del ringraziamento. Giovane dal temperamento romantico, Oscar legge Voltaire e disdegna le ragazze della sua età, troppo superficiali per i suoi gusti. Come confida al suo amico Charlie, Oscar è alla ricerca del vero amore, che crede di trovare solo nelle donne più grandi di lui. Oscar, infatti, è segretamente innamorato di sua matrigna Eve, la seconda moglie di suo padre Stanley, la quale, ignara della vera natura dei sentimenti del figliastro, interpreta le sue attenzioni per lei per amore filiale. Il rapporto tra Eve e Stanley non si può dire dei più passionali, Stanley è sempre concentrato sul suo lavoro, un libro di argomento storico, Eve si consola dedicandosi alle sue ricerche di cardiologia. Così Oscar nel suo delirio romantico crede di poter dare ad Eve tutto l’amore che suo padre non riesce a darle. Dopo la cena per il ringraziamento, Oscar è spinto da suo padre ad accompagnare a casa la figlia di un amico di famiglia, sua coetanea. Appena in strada, però, Oscar met- te la ragazza su un taxi e passeggia da solo per le vie dell’Upper East Side di New York, meditando sul suo amore per Eve; si ritrova in un bar. Diane, la migliore amica di Eve, lo incontra per strada, ubriaco e lo invita a salire da lei per offrirgli un caffè. Eccitato dall’alcool e dal profumo di una sciarpa di Eve, che Diane ha ricevuto in prestito, Oscar, pensando a Eve finisce a letto con Diane. Il mattino dopo, Oscar conosce il compagno di Diane, il quale le chiede se Diane le è piaciuta, ma non si tratta di una coppia aperta, Diane è una massaggiatrice e Oscar pensa che il ragazzo sia un cliente della donna. Prima di tornarsene a casa, Oscar si fa promettere da Diane che non racconterà a nessuno di quel che è successo, tantomeno ad Eve. I due si danno appuntamento per l’ora di pranzo. Oscar fa credere al padre di aver passato la notte con la giovane ragazza con cui era uscito di casa, mentre Diane racconta alle sue amiche della notte di sesso col giovane Oscar, così, quando la raggiunge per l’appuntamento, il giovane si ritrova corteggiato dalle amiche di Diane e può fare sfog24 gio della sua sensibilità e della sua cultura, parlando anche in francese. Quella sera, Diane invita Stanley, Eve a lui a cena, Oscar cerca di sottrarsi all’invito, ma è obbligato da suo padre. Temendo che Diane racconti a Eve cosa è successo tra loro, Oscar si comporta nervosamente. A complicare le cose ci si mette Diane, la quale, offesa di timori del ragazzo, lo provoca sfacciatamente, davanti a Stanley ed Eve finché Diane annuncia che lei e Oscar sono diventati amanti. Eve è negativamente colpita dall’accaduto e biasima di più la sua amica che l’inesperienza del suo figliastro. Il giorno dopo, approfittando di essere rimasto solo in casa con lei, Oscar racconta a Eve come sono andate le cose con Diane e le fa capire di essere innamorato di lei. Poi, in cucina, i due si danno un bacio, ma niente di più. Quando Oscar deve ripartite, Eve e Stanley lo accompagnano alla stazione. Prima di accomiatarsi, Eve dice a Oscar che lei è innamorata di suo padre. In treno, col suo amico Charlie, Oscar si lascia corteggia- Film re dalla stessa compagna di scuola che aveva respinto nel viaggio di andata D i film che parlano di una storia d’amore dove lui è giovanissimo e lei una signora, se non matura, non altrettanto giovane, il cinema è sempre stato parco. Ricordiamo un mediometraggio, Lover Boy (Australia, 1988) di Geofrey Wright, presentato al festival di Venezia del 1989, il lungometraggio francese Le bar des rails (Francia, 1991) di Cèdric Khan, oppure, il più recente Sposami Kate (Germania/Gran Bretagna/Usa, 2001) di John McKay, distribuito nel circuito commerciale. Quel che accomuna questi film è il tono drammatico della storia, che si conclude (quasi) sempre con la morte del giovane innamorato. Un modo sbrigativo, ma efficace, col quale l’industria cinematografica affronta temi scabrosi, fingendo prima di mostrare come la felicità (e una normalità) siano possibili anche per queste coppie, per cancellare loro, subito dopo, ogni diritto a esistere con la morte improvvisa e cruenta del giovane innamorato, come se la Natura in persona decidesse di rimettere ordine nelle umane vicende. Non è il caso di Tadople, che racconta di un amore adolescenziale (anche se l’attore che interpreta Oscar ha 23 anni...) con i toni leggeri della commedia. Ma è troppo presto per riconoscere onore al merito al regista Gary Winick e agli sceneggiatori del film. Tadpole, infatti, non si discosta affatto dalla parabola discendente dei suoi predecessori, con l’unica differenza che questa volta il Tutti i film della stagione protagonista maschile non muore, ma, più semplicemente, si ravvede, e, dopo un’esperienza sessuale, non con la donna che “ama”, ma con l’amica di questa (guai a confonder sesso con amore!), torna più opportunamente a interessarsi alle sue coetanee. Una conclusione che non poteva essere più banale. Non si tratta solamente di un’impostura moralisicheggiante, lascia perplessi la fine repentina e ingiustificata dell’amore che Oscar prova per Eve, al quale è sufficiente dichiarare il suo sentimento per lei, per passare subito dopo a qualcos’altro (con una superficialità tipica del teeen-ager medio, che però non parla francese o cita Voltaire e l’esistenzialismo...). Dà fastidio come viene ritratto il personaggio di Diane, una donna strabordante, fuori ruolo, che se ne “approfitta” del giovane quindicenne per il suo tornaconto (ovviamente sessuale), che la accomuna a molte delle sue amiche, che non vedono l’ora di “provare” Oscar, attratte dal giovane che, oltre alle prestazioni sessuali, garantisce loro anche ottime conversazioni “colte”. È evidente che le donne ritratte in Tadpole siano più affini a certo sentire maschile che a quello pensano le donne nella realtà... Così quelle convenzioni borghesi (Oscar è figlio di un professore universitario) che il film sembra voglia, timidamente, mettere in discussione, vengono surrettiziamente riconfermate, lasciando però allo spettatore la convinzione di aver visto qualcosa di diverso. Ma forse stiamo dando troppa importan- za alla trama di un film (che dura “appena” 78 minuti) che ,prima ancora di essere fragile, è inconsistente e superficiale. Nessuna delle situazioni affrontate viene minimamente approfondita, persino i film per la tv impiegano strategie e ritmi narrativi più corposi. La pochezza di questa produzione indipendente (della InDigEnt production, specializzata in film a basso costo) non è solo nelle idee ma anche nella realizzazione: Tadpole, girato in digitale (non per qualche motivo estetico o poetico, come vuol far credere il pressbook del film, ma, più semplicemente, perché costa molto meno), presenta una fotografia sbiadita, con i colori “metallici” come quelli, mutatis mutandis, di una stampa tratta da una diapositiva, che tradiscono il riversamento da digitale in pellicola, con un effetto di opacità in tutte le scene, che fa rimpiangere l’era della celluloide e maledire per sempre quella informatica. Però, nonostante i suoi limiti, Tadpole è un tentativo, non importa quanto poco riuscito, di sottrarsi alle regole hollywoodiane, e di impiegare degli attori del calibro di Sigourney Weaver e Bebe Neuwirth, in dei ruoli, almeno sulla carta, interessanti. Quel dommage!, verrebbe da dire con Oscar, anche perché, lo scarso successo di Tadpole in sala contribuirà, temiamo, a diminuire il numero di pellicole offHollywood coraggiosamente distribuite nel nostro paese da un sempre più esiguo numero di case di distribuzione. Alessandro Paesano THE AIR I BREATHE (The Air I Breathe) Messico/Stati Uniti, 2007 Acconciature: Lourdes Delgado Supervisori effetti visivi: Mat Beck, Marty Taylor (EntityFX), Kent Johnson, Jaison Stritch Coordinatori effetti visivi: Rizza Go (EntityFX), J. David Everhar Supervisore costumi: Monica Neumaier Supervisore musiche: Julianne Jordan Interpreti: Kevin Bacon (Amore), Julie Delpy (Gina), Brendan Fraser (Piacere), Andy Garcia (Fingers), Sarah Michelle Gellar (Pena), Clark Gregg (Henry), Emile Hirsch (Tony), Forest Whitaker (Felicità), Kelly Hu (Jiyoung), Evan Parke (Danny), Taylor Nichols (Padre di Pena), Victor Rivers (Eddie), Cecilia Suarez (Allison), Todd Stashwick (Frank), Jon Bernthal (intervistatore), William Maier (Signor Parks), Eduardo Victoria, Salvador Garcia, John Cho (banchieri), Jason Dolley (Piacere giovane), Sasha Pieterse (Pena giovane), Alex Terminel (Markie), Fervio Castillo (Amore giovane), Kari Wuhrer (corrispondente), Josh Flaum (assistente di Gina), Norma Angelica (donna negozio abbigliamento), Lenny Zundel (proprietario negozio abbigliamento), Jake Koenig (uomo anziano squallido), Tomas Goros, Joan Seudra Morales, Alejandro de la Peña (gangsters) Durata: 95’ Metri: 2480 Regia: Jieho Lee Produzione: Darlene Caamano, Emilio Diez Barroso, Paul Schiff per NALA Films/Paul Schiff Productions Distribuzione: CDI Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: Jieho Lee, Bob DeRosa Direttore della fotografia: Walt Lloyd Montaggio: Robert Hoffman Musiche: Marcelo Zarvos Scenografia: Bernardo Trujillo Costumi: Michele Michel Produttori esecutivi: Tai Duncan, Bill Johnson, Christopher S. Pratt, Jim Seibel Produttori associati: Paul F. Bernard, Vance Owen Co-produttore: Jose Ludlow Direttori di produzione: Mariano Carranco, Ernesto Garrabito Casting: Carla Hool, Mary Vernieu Aiuti regista: Paul F. Bernard, Joaquin Silva, Marina Filippelli, Hiromi Kamata Operatore steadicam: Gerardo Manjarrez Art director: Rafael Mandujano Trucco: David DeLeon, Eduardo Gomez 25 Film F elicità: un consulente finanziario, insoddisfatto della sua vita e stanco della routine quotidiana, perde tutti i suoi risparmi scommettendo su una corsa di cavalli truccata. Dita, boss mafioso, proprietario anche della sala scommesse, lo minaccia pesantemente affermando che gli taglierà le dita se non gli darà tutto il denaro dovuto. Felicità tenta la fuga, ma viene bloccato da un sicario di Dita, che, a sorpresa, gli dona una pistola e lo lascia andare. Rapina una banca ma viene rintracciato dalla polizia, anche grazie a una macchina che lo investe e ne rallenta la fuga. Rifugiatosi su un tetto, lancia la borsa coi soldi dal palazzo. Viene ucciso. Finalmente sorride. È felice. Piacere: il sicario di Dita ha poteri premonitori. Questo gli consente di essere il fidato braccio destro del boss. Dita gli affida il giovane nipote, in visita per qualche giorno e gli confida che ha intenzione di diventare il manager di Trista, giovane promessa pop, della quale il sicario non riesce a vedere il futuro. Uscito di ronda assieme al ragazzo, il sicario vede che il giovane morirà inseguito da alcuni uomini. Tenta di impedirlo, ma il futuro sta per compiersi, quando, a sorpresa, il giovane riesce a fuggire andando contro alla visione di Piacere, che viene catturato e picchiato a sangue. Ora prova una nuova sensazione; piacere nel sapere che il futuro è incerto. Dolore: Trista,è in tv per un’intervista, dove fra l’altro dice di avere un rarissimo gruppo sanguigno. In seguito, scopre che il suo agente l’ha venduta per sanare i debiti di gioco al boss Dita, il quale la pone subito sotto minaccia: dovrà fargli fare tanti soldi, pena la distruzione. Trista sconvolta si ubriaca, ricordando così la tragica morte del padre a seguito di un incidente. Il sicario decide di aiutarla a fuggire da Dita; la nasconde a casa propria. I due si innamorano. Tutto sembra andare bene, ma per un errore di Trista, Dita scopre la verità. Irrompe in casa e uccide Piacere davanti agli occhi di Trista, la quale gli sussurra all’orecchio il suo vero nome. Amore: un medico è da sempre innamorato di Gina, ora sposa del suo più caro amico Harris. Gina è una ricercatrice biologica che sta lavorando sul veleno di alcuni serpenti da cui ricavare importanti cure. Viene accidentalmente morsa. Le occorre una trasfusione di sangue, poiché in ospedale non hanno l’antidoto giusto. Gina però ha un rarissimo gruppo sanguigno, che il medico scopre avere anche Trista. Deciso a salvare il suo amore corre dalla cantante prima di un concerto; i due hanno uno scontro in quanto la cantante stava Tutti i film della stagione tentando nuovamente la fuga. Trista finisce in ospedale dove scopre d’essere incinta; Dita le ordina di abortire. La ragazza tenta il suicidio, ma viene fermata in tempo da Amore. Gina viene così salvata; il medico aiuta Trista, ancora incinta, nell’ennesimo tentativo di fuga, dandogli la sua macchina. Distratta, la ragazza investe Felicità che sta scappando dalla polizia. I soldi lanciati dall’uomo dal tetto cadono sopra la macchina della cantante. Trista è all’aeroporto; quei soldi l’aiutano nella fuga, finalmente riuscita. I l gioco della vita, i suoi scherzi, le sue analogie, le sue coincidenze. Il neoregista Jieho Lee ci mostra sei personaggi in quattro episodi che rappresentano un vecchio detto asiatico, in cui si racconta la vita attraverso quattro emozioni: Felicità, Piacere, Dolore e Amore. I loro destini sono legati indissolubilmente l’uno all’altro, incastrandosi alla perfezione. La macro struttura dei quattro episodi racchiude al loro interno un’altra microstruttura, in cui tutti i personaggi, tranne Dolore, raccontano in prima persona la loro storia, partendo sempre dalla loro infanzia. Man mano che passiamo al racconto successivo, cambia la durata, facendo si che ogni episodio duri più a lungo del precedente. Particolarità degli episodi è che le leggende che girano attorno al nome Dita del boss cambiano nel corso degli episodi: le schiocca, le agita mentre parla, le taglia a chi vuole fregarlo. Così, anche i nomi dei personaggi principali interpreti dei quattro episodi, non vengono mai rivelati, incarnando il sentimento stesso che essi rappresentano col loro racconto. Anche qui a fare eccezione è Dolore, la quale porta il nome d’arte Trista durante il corso del film; nonché l’unica a rivelare il suo vero nome; ossia a Piacere prima di morire. Come aumenta il tempo dei racconti, così aumentano le emozioni raccontate e, di conseguenza, ne scaturisce maggiore coinvolgimento emotivo da parte di chi guarda. Gli attori ci regalano tutti una bella interpretazione: da Forest Whitaker (Premio Oscar per L’ultimo re di Scozia) a Kevin Bacon (Footloose; Mystic River), Sarah Michelle Gellar (la Buffy della tv) e Brendan Fraser (la saga dil La mummia) fino al grande Andy Garcia. Buon ritmo e bella fotografia. Un film dignitoso ma che è privo di un qualcosa in più, che possa fargli fare un salto di qualità, che sarebbe stato sicuramente meritato. Elena Mandolini WALL-E (Wall-E) Stati Uniti, 2008 Regia: Andrew Stanton Produzione: Jim Morris per Pixar Animation Studios/Walt Disney Pictures Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008) Soggetto: Andrew Stanton, Pete Docter Sceneggiatura: Andrew Stanton, Jim Reardon Montaggio: Stephen Schaffer Musiche: Thomas Newman Scenografia: Ralph Eggleston Produttore esecutivo: John Lasseter Produttore associato: Thomas Porter Co-produttore: Lindsey Collins Direttori di produzione: Joshua Hollander, Andrea Warren Casting: Natalie Lyon, Kevin Reher Trucco: Gretchen Davis Supervisori animazione: Alan Barillaro, Steven Clay Hunter Responsabile animazione: Angus MacLane Coordinatore animazione: David Park Ingegnere suono: Ben Burtt Suono digitale: Chris Barron Storyboard: James S. Baker, Brian Fee, Angus MacLane, Kevin O’Brien, Justin Wright Voci: Ben Burtt (WALL-E/M-O), Elissa Knight (EVE), Jeff Garlin (Il Capitano), Fred Willard (Shelby Forthright-Bnl CEO), MacInTalk (Auto), John Ratzenberger (John), Kathy Najimy (Mary), Sigourney Weaver (Computer di Ship), Kim Kopf Durata: 98’ Metri: 2670 26 Film F uturo prossimo. La Terra è un cumulo di immondizie. Nessun essere vivente organico è più in grado di viverci. È rimasto solo un piccolo robot, denominato Wall-E, costruito molti secoli prima per compattare e accatastare ogni forma di rifiuto. Ligio alle proprie direttive, Wall-E continua imperterrito a far pulizia e a costruire altissimi grattacieli di scorie. Ha inoltre imparato a mettere da parte i pezzi di ricambio per mantenersi sempre efficiente e a collezionare oggetti strani trovati in giro. Il tutto è conservato in un deposito che funge anche da rifugio durante le numerose tempeste. Suo unico compagno è uno scarafaggio. Durante una normale giornata di lavoro, WallE raccoglie un oggetto mai visto prima: una pianta. Sempre durante la raccolta di rifiuti viene attratto da una luce rossa, che continua a sfuggirgli. Si tratta del puntatore di una astronave che sta atterrando. Dal mezzo fuoriesce un robot ultramoderno a forma di uovo. L’astronave riparte subito. Ripresosi dallo chock, Wall-E segue i movimenti del nuovo arrivato, che registra coi propri sensori ogni dettaglio della Terra. Wall-E tenta in tutti i modi di avvicinarsi al robot, anche se deve guardarsi dalle sue potenti armi. Gli viene in aiuto la solita tempesta, che coglie alla sprovvista la sofisticata macchina. Wall-E accompagna Eve (questo il nome del robot, anzi della robot) nel suo rifugio e gli mostra la sua strana collezione di oggetti, compresa una videocassetta di un musical hollywoodiano di cui il robot è estasiato. Le due macchine convivono fino a quando Wall-E non decide di mostrare a Eve la sua pianta. Improvvisamente il robot si apre e ingloba il vegetale. Poi si richiude e non dà più segni di vita. Wall-E è disperato, tenta in tutti i modi di rianimare la nuova compagna, senza risultati. Di lì a poco torna l’astronave a riprendersela. Wall-E non ne vuole sapere di lasciarla andare e si ancora alla parte esterna del velivolo. L’astronave fa rotta verso una stazione spaziale gigantesca, all’interno della quale ci sono gli uomini, ormai ridotti a obesi invertebrati in grado di muoversi solo grazie a particolari sedie volanti. Tutto a bordo è automatizzato. Gli esseri umani inoltre non comunicano più fra di loro tanto sono circondati da monitor di ogni foggia. Eve viene esaminata e poi spedita d’urgenza al comandante, dato il suo importante carico. In teoria dovrebbe iniziare la procedura per il rientro sulla Terra ma, aperta Eve, la si scopre vuota di contenuti. Tutto torna alla normalità. Il comandante Tutti i film della stagione però, incuriosito dal termine Terra che non aveva mai sentito prima, chiede lumi al suo computer. Eve intanto viene portata in riparazione. Wall-E, che continua a seguirla ovunque, viene anche lui spedito in manutenzione, dato il suo pietoso stato. Il robot, costretto ad assistere dentro una gabbia allo smontaggio degli arti di Eve, si libera d’impulso dalla prigione e la difende dalle macchine per la riparazione. Nel trambusto che segue tutti i robot internati escono dalle celle e cominciano a girare per la base creando scompiglio. Ormai Wall-E e Eve sono ricercati e inseguiti da speciali macchine-gendarmi. Eve trascina l’amico nella stazione delle navette per rispedirlo sulla Terra, ma Wall-E non vuole saperne di andarsene senza di lei. Mentre discutono sopraggiunge un robot con la pianta in mano e la carica su una navicella programmata per autodistruggersi. Wall-E si precipita sul vegetale e viene espulso insieme a esso. Eve si getta al suo inseguimento volando nello spazio. Wall-E riesce a liberarsi prima dell’esplosione e insieme a Eve ritorna alla base. Sono decisi a consegnare la pianta al comandante, che nel frattempo, però, ha saputo abbastanza delle gradevolezze della Terra da convincersi a farvi ritorno. All’arrivo dei due robot con la pianta non sta più nella pelle e comincia a dare ordini al suo computer per le procedure di rientro. La macchina, però, si rifiuta di procedere, mettendo in luce un complotto per evitare il ritorno degli uomini sul pianeta d’origine. Il comandante viene chiuso nella sua cabina e i due eroici robot spediti con la 27 pianta nel deposito rifiuti per essere distrutti. Mentre Wall-E e Eve si liberano dall’ennesima prigione e portano il vegetale nell’apposita macchina per la procedura di rientro, il comandante, camminando per la prima volta sulle proprie gambe, riesce ad avere la meglio sul suo computer e guida la base spaziale sulla Terra. Gli uomini ricominciano a prendere confidenza con il luogo. Wall-E, invece, semidistrutto dopo gli sforzi per far partire la base spaziale, viene ricostruito da Eve con i pezzi di ricambio rimasti e, dopo un periodo di amnesia, torna quello di prima. M olta carne al fuoco in questo ambizioso progetto della Pixar, su cui aleggiano, a mo’ di numi tutelari, i fantasmi di Matrix e 2001: odissea nello spazio. Del film di Kubrick ritroviamo il discorso sul ribaltamento di ruoli tra uomo e macchina e sul completo e ottuso affidarsi del primo alla seconda nella vita quotidiana e non solo. Per gran parte del film sono i robot ad avere reazioni umane, a mostrare stati emotivi (Wall-E che soffre di solitudine sulla Terra deserta, Eve determinata a portare a termine la propria missione, il computer del comandante che non esita a usare le maniere forti per far tornare nei ranghi il suo “padrone”; – in questo parente stretto dell’HAL 9000 di Kubrick), a sviluppare capacità relazionali (basta citare l’evoluzione del rapporto tra Wall-E e Eve), a prendere decisioni. Il tutto a fronte di un essere umano così perennemente distratto da attività inutili da non essere più in grado di usare il proprio fisico e di accorgersi di avere una coscienza e di essere circondato dagli “altri”. Film Agghiacciante, a questo proposito, è la radicale mancanza di coscienza storica del comandante e, di conseguenza, di tutti gli altri. Nessuno sulla Axiom saprebbe rispondere a semplici domande come: Chi sono? Da dove vengo?; e proprio questa lacuna culturale è la causa della sudditanza dell’uomo rispetto alla macchina, alla quale chiede di rispondere al posto suo (lo fa il comandante quando consulta il computer per conoscere il significato del termine Terra). A questo punto, entriamo nel secondo tema, in cui il riferimento a 2001 si intreccia con quello a Matrix. L’uomo è talmente abituato a demandare alle macchine le funzioni che dovrebbero essere sue da non poterne più fare a meno. Il riferimento classico, a questo proposito, è alla hegeliana dialettica Tutti i film della stagione servo-padrone, dove l’uomo/padrone declina sistematicamente ogni attività faticosa al servo/macchina fino a diventarne dipendente e quindi a sua volta schiavo. Un confronto con Matrix rende evidente una differenza che mostra in Wall-E una radicalità ancora più esplicita. Mentre nel film dei Wachowski gli uomini non possono raggiungere una coscienza della loro sudditanza rispetto ai computer senza un aiuto esterno, in questo c’è una latente, forse inconscia consapevolezza. Di conseguenza, siamo portati a credere che gli uomini di Wall-E scelgano di essere succubi, compiano una scelta di comodo: sudditanza in cambio di benessere. Terrificante, se pensiamo a quanto ci siamo vicini oggi! Per questo il regista filma i primi passi degli uomini sulla Terra come una specie di rinascita, con gli uomini che devono imparare a camminare, cioè tornare all’infanzia, ripartire da zero (l’equivalente del feto astrale di Kubrick). Interessante anche il discorso sull’audiovisivo e la sua funzione. Il principale mezzo per il controllo delle menti da parte delle macchine è il video, che inonda gli occhi degli umani con un flusso continuo di intrattenimento (ogni riferimento alla realtà italiana attuale è puramente casuale). D’altra parte, sotto forma di cinema o di documentario, l’audiovisivo assume anche una funzione liberante (vedi Wall-E con Hello Dolly! e il comandante con il filmato sul “vecchio mondo”). Fabio de Girolamo Marini HELLBOY: THE GOLDEN ARMY (Hellboy II: The Golden Army) Stati Uniti/Germania, 2008 Kiss, Tim Larsen, Bart Mixon, Ian Morse, Steve Painter, Anthony Parker, Monte Ribé, Hiroshi Yada Supervisori effetti speciali: Leo Burton (Solution Studios), Joss Williams Coordinatori effetti speciali: Jess Lewington, Csaba Bagossy Supervisori effetti visivi: Andrew Morley (LipSync Post), Michele Sciolette (Cinesine), Val Wardlaw (Baseblack), Mike Wassel, Jeppe N. Christensen Coordinatori effetti visivi: Jane Ellis, Edward Randolph (Baseblack), Antonella Ferrari, Darryl Li (Double Negative), Paul Ladd (Universal), Noemi Somoskovy, Szvak Antal (Cube Effects), Claire Stewart, Lucy Tanner (LipSync Post) Supervisore musiche: Kathy Nelson Interpreti: Ron Perlman (Hellboy), Selma Blair (Liz Sherman), Doug Jones (Abe Sapien), James Dodd (Johann Krauss), Jeffrey Tambor (Tom Manning), John Alexander (Johann Krauss/ Gobelin di Bethmoora), Luke Goss (Principe Nuada), Anna Walton (Principessa Nuala), Seth MacFarlane (voce di Johann Krauss), John Hurt (Trevor ‘Broom’ Bruttenholm), Brian Steele (Wink/Cronie/capo cattedrale/Fragglewump), Andrew Hefler (agente Flint), Ivan Kamaras (agente Steel), Mike Kelly (agente Marble), Jeremy Zimmerman (banditore), Roy Dotrice (Re Balor), Aidan Cook (proprietario del negozio ‘Due Teste’), Jeanne Mockford (barbona), Montse Ribe (Hellboy giovane), Ferenc Elek (‘Fat Slob’), Alex McSweeney, Justin Pierre (poliziotti), Matthew O’Toole (commerciante di arti), Jamie Wilson (commerciante di Gatti), Kevin Hudson (suonatore d’organetto), Clive Llewllyn (commerciante di girini), Sandor Svigelj (suonatore di cornamusa), Brian Herring (Silkard), Palma Pasztor (commerciante di mummie), Jimmy Kimmel (se stesso) Durata: 120’ Metri: 3280 Regia: Guillermo del Toro Produzione: Lawerence Gordon, Lloyd Levin, Mike Richardson, Joe Roth per Dark House Entertainment/Internationale Filmproduktion Eagle/Lawrenca Gordon Productions/Mid Atlantic Films/Relativity Media/Universal Pictures Distribuzione: Universal Prima: (Roma 16-7-2008; Milano 16-7-2008) Soggetto: dai personaggi del fumetto creato da Mike Mignola Sceneggiatura: Guillermo del Toro Direttore della fotografia: Guillermo Navarro Montaggio: Bernat Vilaplana Musiche: Danny Elfman Scenografia: Stephen Scott Costumi: Sammy Sheldon Produttore esecutivo: Chris Symes Co-produttori: Mike Mignola, John Swallow Direttori di produzione: Jo Burn, Chris Patterson, Miklos Toth, Gabor Ujhazy Casting: Zsolt Csutak, Jeremy Zimmerman Aiuti regista: Cliff Lanning, Matthew Baker, Rob Burgess, Ben Lanning, Dénes SAjgal, Kati Magenheim, Matthew Sharp, Nick Starr, Tamas Lukacs Supervisione art direction: Peter Francis Art directors: Anthony Caron-Delion, John Frankish, Paul Laugier, Mark Swain, Judit Varga Arredatori: Elli Griff, Zsuzsa Mihalek Trucco: Lesley Smith, Mike Elizalde Acconciature: Mélanie Gerbeaux, Lesley Smith, Diana Yun Soo Yoo, Sylvia Nava Effetti speciali trucco: Russell Lukich, Kevin McTurk, Jordi Morera, Pablo Perona Navarro, Cliff Fallace, Roz Abery, Orso Balla, Dave Bonneywell, Thomas Floutz, Andy Garner, Louis N atale 1955. Un ancor giovane ma già inquieto Hellboy ascolta dal professor Bloom, suo padre adottivo, una antica leggenda, che l’uomo gli racconta come favola della buonanotte: in un tempo antico, gli uomini mossero guer- ra agli elfi per il possesso del mondo. Fu un conflitto lungo e sanguinoso, al punto che il sovrano elfico Balfor, sconvolto dalle gravi perdite e sofferenze patite dai suoi soldati, accettò il consiglio di uno dei suo ingegneri, disposto a costruire per lui una 28 invincibile Armata d’Oro, formata da poderosi guerrieri meccanici. Il nuovo esercito mantenne le promesse, ma la sua spietatezza fu causa di ulteriori violenze in un conflitto che sembrava non avere fine; per questo, infine, uomini ed elfi firmarono una Film tregua spartendosi il mondo: i primi edificarono città, i secondi rimasero nascosi nelle foreste. I guerrieri meccanici furono invece messi a riposo, mentre la corona che permetteva di comandarli venne divisa in tre parti. L’unico a non condividere questa tregua fu il giovane principe Nuada, incredulo circa le capacità degli uomini di osservare un futuro di pace, che per questo si allontanò in esilio, promettendo però di tornare qualora il suo popolo avesse avuto bisogno di aiuto. New York, oggi. Uno dei tre pezzi in grado di formare la magica corona che permette di comandare l’Armata d’Oro viene messo all’asta. La seduta è interrotta dall’improvviso ingresso del principe Nuada, che reclama il pezzo della corona come suo e, dopo essersene impossessato, libera nell’edificio delle voraci creature perché abbiano ragione di tutti gli umani presenti. Pertanto, viene allertato l’Ufficio per la Difesa e la Ricerca sul Paranormale (BPRD) che invia sul luogo Hellboy, Liz Sherman e Abe Sapiens, mentre il direttore, Tom Manning, cerca di far sì che nulla trapeli all’esterno circa i suoi agenti mutanti. La lotta contro le voraci creature (che si riveleranno essere delle “fate dei denti”, così chiamate perché in grado di rosicchiare un intero organismo iniziando proprio dai denti) è complicata dai malesseri che serpeggiano nella coppia formata da Hellboy e Liz: la ragazza infatti non sopporta la vita in comune e inoltre ha appena scoperto di essere incinta! Alla fine, l’operazione ha successo, anche se Hellboy non riesce a impedire che la sua presenza venga notata dai media, consacrando lui e i suoi partner come personaggi pubblici, con grande scoramento di Manning! In considerazione del nuovo ruolo assunto dagli agenti del BPRD, il governo invia a guidare la squadra uno scienziato, il professor Johann Krauss, che si rivela essere un puro spirito in una speciale tuta di contenimento. Ligio al dovere, ma dotato di ottime capacità di decisione, Krauss analizza una delle fate dei denti e scopre che la sua provenienza è il magico Mercato dei Troll che si svolge di nascosto, nelle vicinanze del ponte di Brooklyn. Intanto il principe Nuada è giunto al cospetto di suo padre Balfor, il Re degli elfi, al quale annuncia di voler guidare il suo popolo contro gli umani, risvegliando l’Armata d’Oro: il suo scopo infatti è punire gli abitanti delle città che hanno distrutto il pianeta e stanno conducendo la razza elfica a una lenta estinzione. Di fronte al rifiuto del padre, Nuada lo elimina appropriandosi del secondo pezzo della Tutti i film della stagione corona. La sua diletta sorella gemella Nuala, alla quale il principe è unito da un legame simbiotico che porta entrambi a provare le stesse sensazioni e a ricevere le stesse ferite se il corpo di uno solo dei due viene colpito, è però ostile ai voleri del fratello e perciò fugge con l’ultimo pezzo, raggiungendo il Mercato dei Troll. Qui viene tratta in salvo da Abe Sapiens, Hellboy e Krauss. Nuada però non intende lasciarla andare via e scatena contro i nemici un elementale, un mostro vegetale di grande potenza che Hellboy è costretto ad affrontare fra le strade di New York! La vittoria sulla creatura ha un sapore amaro: l’essere è infatti l’ultimo della sua specie e non fa altro che seguire la propria natura. Hellboy lo capisce, ma non può non eliminarlo e l’unico risultato che ottiene è quello di essere paradossalmente insultato degli umani, che lo ritengono l’unico responsabile dei disastri provocati dalla battaglia. Una situazione che peraltro Nuada gli aveva preannunciato, offrendogli di unirsi alla sua causa. Amareggiato da questo insieme di fatti che lo vedono sempre più isolato, Hellboy presta comunque conforto anche ad Abe, che nel frattempo si è innamorato di Nuala. L’idillio è di breve durata, perché la principessa viene raggiunta da suo fratello Nuada che la rapisce e, dopo un breve combattimento con Hellboy, ferisce quest’ultimo con la punta della sua lancia. Prima di andare via Nuada ordina a Abe di portargli l’ultimo pezzo della corona, nascosto da Nuala nel BPRD, se vuole che la vita di Hellboy e della stessa principessa sia risparmiata. L’azione si sposta quindi in Irlanda, dove è custodita l’Armata d’Oro: qui Liz, Abe, Hellboy e Krauss (che capisce i patimenti amorosi di Abe e Liz perché gli ricordano un amore lontano) dovranno incontrare Nuada per la resa dei conti. Prima di questo, però, il gruppo riceve aiuto da Goblin, l’ingegnere che tanto tempo prima aveva creato l’Armata e che li accompagna da una sua amica in grado di estrarre la punta di lancia dal petto di Hellboy. La creatura, che si presenta come la Morte stessa, prima di compiere l’operazione mette in guardia Liz, spiegandole che un giorno il suo amato demone causerà la distruzione del mondo e le procurerà un dolore infinito, ma la ragazza è pronta a tutto per salvarlo e, nell’occasione, gli rivela anche di essere incinta. Lo scontro finale fra un ristabilito Hellboy e Nuada può avere luogo, ma, a questo punto, Abe consegna inaspettatamente al principe il terzo frammento della corona che aveva con sé, affinché non faccia 29 del male a Nuala. Per tutta risposta il gruppo si ritrova quindi a dover lottare contro l’Armata d’Oro! La battaglia è impari e Hellboy si offre per sfidare Nuada a un duello che metta in palio il possesso della corona del comando. I soldati meccanici restano a guardare la lotta, che si rivela lunga e avvincente e, alla fine, vede Hellboy vincitore: Nuada però non vuole accettare la sconfitta e così lo ferma trafiggendosi il petto e condannando in questo modo anche il fratello. Abe la sorregge prima della morte, svelandole i suoi sentimenti. Quindi l’Armata d’Oro viene nuovamente messa a riposo e Liz distrugge la corona del comando. Fatto questo, il gruppo viene raggiunto da Tom Manning, al quale tutti gli agenti, uno per uno, rassegnano le dimissioni. Hellboy infatti intende restare con Liz in Irlanda dove far crescere suo figlio. O meglio, i suoi figli, dal momento che la ragazza gli confessa di attendere due gemelli! A quattro anni di distanza dall’ottimo capostipite e forte del successo internazionale raggiunto con il precedente Il labirinto del fauno, Guillermo Del Toro riporta sullo schermo il diavolo rosso creato da Mike Mignola per l’eponima collana a fumetti della Dark Horse Comics. Il passaggio dei diritti dalla Sony alla Universal permette al regista di accentuare la natura poetica di un fantasy che si compiace di mettere in scena creature incredibili, dando fondo a un immaginario inesauribile e connotato da una vena a metà strada fra il dark alla Goya e l’epica alla Tolkien. Al fondo c’è infatti sempre la fiaba, l’avventura e il folklore, dal quale già il fumetto pescava avidamente; il risultato è un film sontuoso e visivamente appagante, nel quale il senso estremamente corposo dell’immagine, garantito anche dall’ottima fotografia del sodale Guillermo Navarro, crea un universo credibile che il regista si diverte (e lo spettatore con lui) a esplorare in tutta la sua ricchezza e complessità. La sceneggiatura (realizzata sempre da Del Toro, a partire da un soggetto pianificato a quattro mani con lo stesso Mike Mignola) si preoccupa poi di infondere vitalità ai caratteri, adottando una forma narrativa che illustra le normali scaramucce fra i protagonisti, la loro capacità di provare emozioni vicine a quelle di un qualsiasi spettatore e dona pertanto al film un ritmo scanzonato, capace di istillare ironia nella trama action-fantasy. A questo si aggiunga anche una forte spinta poetica, evidente in alcuni passaggi particolarmente com- Film moventi (ad esempio durante la morte dell’elementale). In fondo, nel cinema di Del Toro i legami affettivi sono sempre il motore primo delle sensazioni in grado di guidare i personaggi e, in questo caso, il tema è condotto attraverso una serie di intrecci sentimentali che uniscono i destini di Hellboy e Liz, Abe e Nuala, Nuada e Nuala, annullando, di fatto, ogni possibile ruolo di “buono” e “cattivo”: ogni personaggio ha infatti delle motivazioni alle spalle e quindi la classica dicotomia narrativa fra bene e male si ritrova principalmente nel confronto fra i desideri istigati dal cuore e i doveri imposti dalla missione. Paradigmatica, a questo proposito, è ancora una volta la già citata scena in cui Hellboy si vede costretto a eliminare l’elementale, scoprendo a sue spese quanto il suo ruolo di paladino dell’umanità manifesti con- Tutti i film della stagione traddizioni non ripagate dalla gente che lo disprezza. Allo stesso modo, lo spirito guerriero di Nuada è fomentato dall’amore per il mondo e dal senso di giustizia nei confronti del proprio popolo, anche se poi questo lo costringe a opporsi ai voleri dell’amato padre e della sorella. La dicotomia si riflette, a sua volta, nello scontro fra il regno della fantasia e quello della realtà, che Del Toro eleva a livello metanarrativo ponendo in essere due filosofie (quella che vuole credere nella fantasia e quella che invece la disprezza e la teme), auspicando una conciliazione fra due diversi modi di guardare il mondo: la fantasia, per il regista messicano, esattamente come accadeva in Il labirinto del fauno, è in sé vivificatrice e consente di comprendere la bellezza insita negli interstizi del reale, diventando un modo nuovo di guardare la realtà (fatto simboleggiato dagli speciali visori che permettono di individuare le creature mostruose che vivono nascoste tra gli uomini). In questo senso, Hellboy the Golden Army è un film che mira a far re-imparare allo spettatore a vedere il mondo e ne arricchisce l’immaginario esaltando la qualità mitopoietica insita in ogni elemento della macchina cinema, attraverso un’operazione sincretica che unisce diverse fonti, stili e stilemi narrativi che vanno dal cinema orientale a quello occidentale, mentre quello delle origini si unisce mirabilmente a quello del presente. Anche per questo Hellboy the Golden Army è un film semplicemente indispensabile. Davide Di Giorgio LINCREDIBILE HULK (The Incredible Hulk) Stati Uniti, 2008 Coordinatore effetti speciali: Arthur Langevin, Laird McMurray Supervisori effetti visivi: Berj Bannayan (Soho VFX), Robin Hackl (Image Engine), Mark Larranaga (X1FX), Edson Williams (Lola Visual Effects), Allan Magled, Betsy Paterson, Colin Strause, Greg Strause, Chris Wells, Kurt Williams Coordinatori effetti visivi: Vanessa Joyce (Rhythm & Hues), Paul King, Vera Zivny (Image Engine), John Polyson, Kyle Ware, (Hydraulx), Neha Sharma, William H.D. Marlett, James Michael Miller, Steve Carter, Monette Dubin Supervisore animazione: Andy Arnett Supervisore musiche: Dave Jordan Supervisore costume: Karen Lee Interpreti: Edward Norton (Bruce Banner), Liv Tyler (Dr. Elizabeth ‘Betty’ Ross), Tim Roth (Mag. Emil Blonsky), William Hurt (Gen. Thaddeus ‘Thunderbolt’ Ross), Robert Downey jr. (Tony Stark), Tim Blake Nelson (dr. Samuel Sterns), Ty Burrell (dr. Lennord Samson), Christina Cabot (Mag. Kathleen ‘Kat’ Sparr), Peter Mensah (Gen. Joe Greller), Lou Ferrigno (voce dell’incredibile Hulk/guardia), Paul Soles (Stanley), Débora Nascimento (Martina), Greg Bryk, Chris Owens, Al Vrkljan, Adrian Hein, John MacDonald (Commando), Shaun McComb (soldato nell’elicottero), Simon Wong (studente laureato), Pedro Salvin (leader dei duri), Julio Ceasar Torres Dantas, Raimundo Camargo Nascimento, Nick Alachiotis (duri), Jason Burke (funzionario delle comunicazioni), Grant Nickalls (pilota dell’elicottero), Joris Jarsky, Arnold Pinnock (soldati), Tig Fong, Jason Hunter (poliziotti), Maxwell McCabe-Lokos (tassista), David Collins (tecnico medico), Nicholas Rose (McGee), P. J. Kerr (Wilson), Lee Jee-yun (reporter), Russell Yuen (agente FBI) Durata: 112’ Metri: 2900 Regia: Louis Leterrier Produzione: Avi Arad, Kevin Feige, Gale Anne Hurd per Marvel Enterprises/Marvel Studios/Valhalla Motion Pictures Distribuzione: Universal Prima: (Roma 20-6-2008; Milano 20-6-2008) Soggetto: dal personaggio dei fumetti creato da Jack Kirby e Stan Lee Sceneggiatura: Zak Penn, Edward Norton Direttore della fotografia: Peter Menzies Jr. Montaggio: Rick Shaine, Vincent Tabaillon, John Wright Musiche: Craig Armstrong Scenografia: Kirk M. Petruccelli Costumi: Renée Bravener, Denise Cronenberg Produttori esecutivi: Ari Arad, Stan Lee, David Maisel, Jim Van Wyck Produttori associati: Stephen Broussard, Michael J. Malone, John G. Scotti Direttore di produzione: Michael J. Malone. D. J. Carson, Valeria Costa Amorim, Stewart Bethune Casting: Robin D. Cook, Laray Mayfield Aiuti regista: John G. Scotti, Ashley Bell, Michael T. Burgess, Tim Cushen, Stephen P. Del Prete, Travis McConnell, Jayson Merrill, Lawrence Ng, Jennifer Zabawa, Andrew Pritchard, Tim Singh, Karen Young Operatori : Maritza Caneca, Gilles Corbeil, Gustavo Hadba Supervisore art direction: Daniel T. Dorrance Art directors: Page Buckner, Andrew M. Stean Arredatore: Carolyn ‘Cal’ Loucks Trucco: Jordan Samuel, Beate Eisele, Iantha Goldberg, Randy Westgaste Acconciature: Paul R. J. Elliot, Sondra Treilhard, Paula Fleet D opo essere stato esposto alle radiazioni dei raggi Gamma, il fisico nucleare Bruce Banner ha subito una mutazione genetica. Quando è sottoposto a intensi stress emozionali, si tra- sforma in un gigantesco essere verde dalla forza sovrumana, Hulk. Dal momento dell’incidente, la vita di Bruce si è trasformata in un inferno. Egli è costretto a vivere in clandestinità, da tempo sulle sue tracce c’è l’in30 flessibile generale Ross che vorrebbe utilizzare Hulk come prototipo di un battaglione di “supersoldati”. Da qualche anno, il giovane vive in una favela brasiliana, lavora in un fabbrica di bibite al guaranà e intrattiene Film una fitta corrispondenza telematica con un misterioso Mr. Blue che sta lavorando per lui alla ricerca di un antidoto. Ma la notizia della sua presenza in Brasile giunge al Pentagono. Immediatamente il generale Ross invia in Brasile una squadra speciale capitanata dal comandante Emil Blonsky. Dopo una rocambolesca fuga nella favela, Bruce riesce a seminare i suoi cacciatori e a riparare prima in Guatemala e poi in Messico. Giunto negli Stati Uniti, Banner si reca in Virginia presso la Culver University dove lavora la sua ex fidanzata, la dottoressa Elizabeth Ross, figlia del generale e biologa cellulare. Bruce la segue fino a farsi riconoscere. Elizabeth riabbraccia Bruce e lo porta a casa sua. Ma il generale Ross vuole il DNA di Bruce per codificarlo e farne un’arma di distruzione. Intanto il generale fa iniettare delle basse dosi di raggi Gamma a Blonsky per testarne gli effetti. Subito dopo Blonsky parte con una squadra alla caccia di Bruce. Trasformatosi in Hulk combatte con l’intera squadra dell’esercito: durante lo scontro Elizabeth viene ferita. Hulk la porta in salvo. Blonsky è ricoverato in gravi condizioni ma il cuore è salvo. Bruce ed Elizabeth scappano. Da un internet point, Bruce riesce a inviare per e-mail i dati del suo DNA a Mr. Blue. La mail è intercettata dal Pentagono che riesce così a rintracciare Mr Blue. Bruce ed Elizabeth arrivano a New York e si precipitano nello studio di Mr Blue, pseudonimo sotto il quale si nasconde il Dottor Sterns, il quale con delle scariche elettriche porta Bruce a trasformarsi in Hulk. Un attimo dopo il dottore gli inietta un antidoto e Bruce torna in se stesso. Ma il problema non è stato risolto definitivamente. Il dottore parla di altri soggetti sottoposti ai test e mostra un laboratorio pieno di provette di sangue. Bruce vorrebbe distruggere tutto ma è troppo tardi: Blonsky fa irruzione nel laboratorio e minaccia il dottore per avere ciò che ha tirato fuori da Banner. Blonsky si fa iniettare la pozione e si trasforma in un mostro, Abominio, che semina il panico per le strade di New York. Bruce è convinto che solo lui possa affrontare quel mostro. Dopo un violento scontro finale, Hulk ha la meglio. Qualche tempo dopo, Bruce controlla lo stress emotivo con esercizi yoga. Ma il generale non ha abbandonato il progetto “Supersoldato” e ne parla con il magnate Tony Stark. Tutti i film della stagione dal volto e dal fisico comune, il secondo gigantesco essere dalla stazza e dalla muscolatura sovrumana dall’inconfondibile colore verde (attenzione nei primi episodi del fumetto era grigio!). L’estetica del mito del gigante verde ritrova corpo (in tutti i sensi) in questa modernissima, ipertecnologica e frastornante versione di L’incredibile Hulk. La metamorfosi del timido scienziato è davvero spaventosa. Niente a che vedere con la vecchia serie televisiva che tra il 1978 e il 1982 fece la fortuna del culturista italo americano Lou Ferrigno (che nel film appare in un cameo). Niente a che vedere neanche con l’unica versione per il grande schermo che risale a pochi anni fa: nel 2003 Ang Lee firmò un blockbuster che non ebbe il successo sperato con il muscoloso Eric Bana, senza dubbio molto più “in parte” dello smilzo Edward Norton, ma in fatto di espressività quest’ultimo non ha eguali tra i suoi coetanei. E poi, per il mostro alto 272 centimetri, ora c’è la tecnologia CGI che fa miracoli. Anche di espressività! Dietro la macchina da presa questa volta c’è Louis Leterrier, un esperto di film d’azione che ha firmato pellicole roboanti come Danny the Dog o Transporter 2 - Extreme. L’operazione è ben condotta e questa volta si coglie nel segno: si controlla oculatamente il dosaggio degli ingredienti mixando scoppiettati sequenze da action movie pieno di effetti al computer (uno per tutti il procedimento di cattura del movimento chiamato MoCap) e scene in cui i sentimenti umani hanno la meglio (il tormento dell’eroe solitario prigioniero di una orrida mutazione, l’amore per la sua bella, il conflitto padre-figlia) o per temi intinti nell’attualità (primi fra tutti la caccia allo sfruttamento bellico del DNA dello scienziato mutato grazie a una contaminazione radioattiva). U omini e mostri. Due parti in lotta. Legame indissolubile ed eterno. L’identità e il Superego di freudiana memoria. Tutti abbiamo due volti, dall’archetipo “Dottor Jekyll e Mr Hyde” in poi la letteratura, i fumetti, il cinema sono pieni di eroi a due facce. Così Mister Bruce Banner e l’incredibile Hulk. Il primo timido scienziato 31 Ma il fascino del colosso verde è intimamente legato alla particolare storia della sua nascita letteraria. Nel 1962 la casa editrice di fumetti Marvel Comics pubblica il primo albo di una nuova serie incentrata sulle gesta di un antieroe capaci di trasformarsi in un gigante dalla forza sovrumana, Hulk, creato dallo scrittore Stan Lee e dall’artista Jack Kirby. I primi numeri del fumetto non hanno successo e il mostro viene riciclato come supporto per altri titoli famosi. Solo nel 1968 l’eroe verde torna come protagonista di una collana a lui intitolata. La vera novità e insieme il vero fascino del personaggio risiede nel suo essere un “eroe incompreso”, un personaggio triste e goffo, prigioniero della sua stazza. Nell’invenzione di Hulk, Lee si ispirò in parte a Frankenstein, in parte a Dottor Jekyll e Mr. Hyde. Ed ecco il risultato, una creatura dall’animo gentile che passa dalla condizione di essere umano a quella di mostro. Egli è in lotta con sé stesso e con quella parte così stranamente forte di se, non riesce a controllare la sua forza, è raro che decida quando restare Bruce o quando trasformarsi in Hulk, ma è proprio qui che risiede la sua forza, trasformare quella sua maledizione in eroismo. Non la cieca rabbia, non lo scatenamento della forza bruta. Ma allora, come usare il potere che è dentro di noi? Qualcosa che è più forte di noi stessi e che, se gestito nel modo giusto, può essere utile per far trionfare il bene? Bella domanda. Bella lezione. Tutti forse abbiamo dentro di noi qualcosa di potente, forte, sovrumano .... Senza bisogno di assumere un colorito verdastro! Elena Bartoni Film Tutti i film della stagione AGENTE SMART - CASINO TOTALE (Get Smart) Stati Uniti, 2008 Regia: Peter Segal Produzione: Michael Ewing, Alex Gartner, Andrew Lazar, Charles Roven per Warner Bros. Pictures/Village Roadshow Pictures/Mosaic Media Group/Mad Chance/Road Rebet Distribuzione: Warner Bros. Italia Prima: (Roma 9-7-2008; Milano 9-7-2008) Soggetto: dall’omonima serie tv ideata da Mel Brooks e Buck Henry Sceneggiatura: Tom J. Astle, Matt Ember Direttore della fotografia: Dean Semler Montaggio: Richard Pearson Musiche: Trevor Rabin Scenografia: Wynn Thomas Costumi: Deborah Lynn Scott Produttori esecutivi: Bruce Berman, Steve Carell, Dana Goldberg, Jimmy Miller, Brent O’Connor, Peter Segal Co-produttore: Alan Glazer Direttori di produzione: Daniel Auclair, Patricia Anne Doherty, Richard J. Gelfand, Cherylanne Martin Casting: Roger Mussenden Aiuti regista: John Hockridge, Joseph J. Kontra, Margot Coleman, Efrain Cortes, Bryan Cox, Eugene Davis, Renato De Cotiis, Larry D. Katz, Cyndi Martin, Shawn Pipkin Operatori: Stephen S. Campanelli, Andrew Rowlands, Robert Stecko Supervisore art direction: James Hegedus Art directors: Caroline Alder, Christopher Burian-Mohr, Martin Gendron Arredatori: Suzanne Cloutier, Paul Hotte, Leslie E. Rollins Trucco: Rick Sharp, Kim Collea, Nicki Ledermann, Nathalie Trepanier M axwell Smart lavora come analista per un’agenzia di spionaggio, la Control. Il suo più grande sogno è di abbandonare la scrivania e diventare un agente operativo. L’occasione si presenta quando il quartier generale dell’agenzia viene attaccato da un’organizzazione criminale russa, Kaos, e l’identità dei suoi vecchi agenti compromessa. Maxwell diviene così agente 86 e insieme alla bellissima agente 99 inizia la ricerca di Siegfried, capo di Kaos, che vuole diffondere armi nucleari nel mondo e distruggere Los Angeles. Tra giri di valzer, gag, sparatorie e gadget da vere spie, i due agenti riescono a trovare dove Kaos produce le armi atomiche. Solo l’agente 86 però scopre questo dettaglio. La parola di Smart viene messa in discussione dall’agente 23. A questo punto, Maxwell verrà accusato di essere una spia doppiogiochista e messo in prigione. Grazie all’aiuto di due amici, riesce a Acconciature: Emanuel Millar, John Isaacs Rachel Solow Effetti speciali trucco: Brian Hillard, Dave Snyder Supervisori effetti speciali: Louis Craig, Michael Lantieri Supervisori effetti visivi: Tony Clark, John Dietz (Rising Sun Pictures), Alexandre Ethier (elementFX), Patti Gannon, Randy Goux (Zoic Studios), Ray McIntyre Jr. (Pixel Magic), Fred Pienkos (Eden FX), Joe Bauer Coordinatori effetti visivi: David Langtry (Zoic Studios), Phillip Palousek (Amalgamated Pixels Inc.), Nathalie Joyal Supervisori costumi: Mitchell Ray Kenney, Catharine Fletcher Incaprera Coreografie: Jamal Sims Interpreti: Steve Carell (Maxwell Smart), Anne Hathaway (agente 99), Dwayne ‘The Rock’ Johnson (agente 23), Alan Arkin (capo della Control), Terence Stamp (Siegfried), Terry Crews (Agente 91), David Koechner (Larabee), James Caan (il Presidente), Bill Murray (agente 13), Patrick Warburton (Hymie), Masi Oka (Bruce), Nate Torrence (Lloyd), Ken Davitian (Shtarker), David S. Lee (Ladislas Krstic), Dalip Singh (Dalip), Geoffrey Pierson (vice Presidente), Kelly Karbacz (Judy), Arthur Darbinyan (russo cattivo), Mark Ivanir (ragazzo russo nel bagno), Lindsay Hollister (compagna di ballo di Max), Dimitri Diatchenko (russo subordinato), Richard V. Licata (leader russo), Greg Joung Paik (generale nordcoreano), Joey Yu (soldato nordcoreano), Mike Akrawi, John Abiskaron (arabi ), Kerry Lai Fatt (guida), David A. Parker (agente 50), Bonnie Hellman (Karen), John Farley (agente 38), Bill Romanowski Durata: 110’ Metri: 2900 evadere e a raggiungere il capo di Control, che insieme all’agente 99 e all’agente 23 sta andando a Los Angeles. Smart smaschera agente 23: è lui il vero doppiogiochista. Iniziano una serie di inseguimenti, e, alla fine, hanno la meglio i due agenti di Control facendo esplodere la macchina di Agente 23. Ma le corse dei due agenti non sono ancora finite. Devono infatti disinnescare la bomba atomica di Siegfried, situata all’interno di un pianoforte durante un concerto. I due ovviamente riescono nell’impresa: Los Angeles è salva e loro possono finalmente abbandonarsi a un lungo bacio. R ipreso dalla serie televisiva di Mel Brooks e Buck Henry, il film cita anche molti film di spionaggio come The Bourne Identity, I tre giorni del condor, Entrapment, solo per citarne alcuni. Con delle battute non esilaranti, ma mai volgari, le due ore del film passano 32 con una lenta piacevolezza, a tratti annoiando, a tratti divertendo. Steve Carrell non riesce a dare abbastanza vis comica al suo personaggio, si è molto distanti dall’ispettor Closeau di Peter Sellers. Se a quest’ultimo bastava la sua presenza per riuscire a creare situazioni divertenti, Carell fatica e si attacca al copione disperatamente facendo sorridere e mai ridere. La mancanza di battute veramente divertenti, unita a una trama banale e alquanto scialba, rendono il film adatto ai bambini e non degno di nota, se non fosse per la bellezza di Anne Hathaway che veste la sexy e intelligente Agente 99. Il film, va riconosciuto, riesce a scherzare anche sull’attualità prendendo in giro la rivalità CIA-FBI e rendendo Bush un vero stupido, intento solo a leggere fiabe per bambini e a ridere di ogni cosa. Un film semplice, forse troppo; un inno al puro relax estivo. Maria Luisa Molinari Film Tutti i film della stagione MAMMA MIA! (Mamma Mia!) Gran Bretagna/Stati Uniti/Germania, 2008 Midnight)” di Benny Andersson, Björn Ulvaes; “Money, Money, Money”, “Mamma Mia”, “The Winners Take It All” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Meryl Streep), “Chiquita” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Julie Walters, Christine Baranski); “Super Trouper”, “Dancing Queen” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Meryl Streep, Julie Walters, Christine Baranski); “Our Last Summer” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Pierce Brosnan, Stellan Skarsgård, Colin Firth); “Lay All Your Love On Me” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Dominic Cooper); “Gimme! Gimme! Gimme (A Man After Midnight)”, “Voulez-vous”, “I Do, I Do, I Do, I Do, I Do”, “When All Is Said and Done”, “Mamma Mia”, “I Have A Dream”, “Waterloo” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Julie Walters, Christine Baranski, Meryl Streep, Pierce Brosnan, Stellan Skarsgård, Colin Firth, Dominic Cooper); “SOS” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Meryl Streep, Pierce Brosnan); “Does Your Mother Know” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Christine Baranski, Philip Michael); “Slipping Through My Fingers” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Meryl Streep); “Under Attack”, “Knowing Me, Knowing You” di Benny Andersson, Björn Ulvaes; “Take a Chance On Me” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Julie Walters, Stellan Skarsgård); “The Name of the Game” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried, Stellan Skarsgård) Interpreti: Meryl Streep (Donna Sheridan), Amanda Seyfried (Sophie Sheridan), Pierce Brosnan (Sam Carmichael), Colin Firth (Harry Bright), Stellan Skarsgard (Bill Anderson), Dominic Cooper (Sky), Julie Walters (Rosie), Christine Baranski (Tanya), Ashley Lilley (Ali), Nancy Baldwin (segretaria di Sam), Heather Emmanuel (governante di Harry), Colin Davis (autista di Harry), Ricardo Montez (Stannos), Mia Soteriou (Arina), Enzo Squillino Jr. (Gregoris),Rachel McDowall (Lisa), Philip Michael (Pepper), Chris Jarvis (Eddie), George Georgiou (Pannos), Hemi Yeroham (Dimitri), Maria Lopiano (Ione), Juan Pablo Di Pace (Petros), Norma Atallah (Irini), Myra McFadyen (Elena), Leonie Hill (Ariana), Jane Foufas (Elpida), Niall Buggy (padre di Alex), Benny Andersson (pianista) Durata: 108’ Metri: 2820 Regia: Phyllida Lloyd Produzione: Judy Craymer, Gary Goetzman per Universal Pictures/Littlestar Productions/Playtone/Internationale Filmproduktion Richter Distribuzione: Universal Prima: (Roma 3-10-2008; Milano 3-10-2008) Soggetto: dall’omonimo musical di Catherine Johnson Sceneggiatura: Catherine Johnson Direttore della fotografia: Haris Zambarloukos Montaggio: Lesley Walker Musiche: Benny Andersson Scenografia: Maria Djurkovic Costumi: Ann Roth Produttori esecutivi: Benny Andersson, Tom Hanks, Mark Huffman, Bjorn Ulvaeus, Rita Wilson Direttori di produzione: Bruno Cassoni, Kathy Sykes Casting: Priscilla John Aiuti regista: Yann Mari Faget, Christopher Newman, Richard Goodwin, Emmanuela Fragiadaki, Carly Taverner, Michael Michael, Christos Houliaras, James Chasey Operatore: Philip Sindall Operatore steadicam: Simon Baker Supervisore art direction: Nick Palmer Art directors: Dean Clegg, Rebecca Holmes Arredatore: Barbara Herman-Skelding Trucco: Amy Byrne, Louise Coles, J. Roy Helland, Sophie Slotover, Belinda Hodson, Sophie Slotover, Nana Fischer Acconciature: Francesca Crowder, Eithne Fennel, J. Roy Helland, Zoe Tahir Supervisore effetti speciali: Paul Corbould Supervisore effetti visivi: Mark Nelmes Coordinatori effetti visivi: Jon Keene (Framestore), Paulina Kuszta Supervisore costumi: Lindsay Pugh Supervisore musiche: Becky Bentham Canzoni/Musiche estratte: “I Have A Dream”, “Honey, Honey”, “Thank You for the Music” di Benny Andersson, Björn Ulvaes (Amanda Seyfried); “Gimme Gimme Gmme! (A Man After T rasposizione cinematografica di uno dei più longevi musical di Broadway, Mamma Mia!, è la storia favolosa e improbabile della giovane Sophie che, prima delle nozze, vuol incontrare il padre che non ha mai conosciuto. Nata e cresciuta su un’insola greca dai contorni pittoreschi, Sophie è frutto della condotta spensierata della madre nell’epoca dell’amore libero. Al seguito della scoperta di essere incinta, Donna (madre di Sophie) decise di non tornare a casa e restare sull’isola per gestire lì un albergo. Contrariamente all’esempio della madre, anticonformista e indipendente, Sophie non solo ha deciso di giurare amore eterno a soli 20 anni, ma vuole addirittura che ad accompagnarla all’altare sia, come da tradizione, il padre. Quel padre senza cui Donna l’ha cresciuta e di cui Sophie non osa chiedere. È leggendo un vecchio diario di Donna, che la ragazza scopre chi potrebbe essere suo padre e il fatto che ci siano tre possibili candidati non le impedisce di invitarli, a nome della madre, al suo matrimonio... Arrivano quindi sull’isola una serie di personaggi eccentrici: le coriste del gruppo di Donna (sue grandi amiche di sempre), le amiche inglesi di Sophie e i tre uomini in inconsapevole odore di paternità (Harry, Eddie e Sam). L’incontro inaspettato di Donna con i suoi vecchi amori getta lei nell’ansia di proteggere la figlia (che crede ignara dell’identità dei tre) e Sophie nell’imbarazzo di indovinare chi sia il vero genitore. Contrariamente a quanto pensava, infatti, non è possibile capire a prima vista quale sia suo padre e le cose si complicano. Mentre la ragazza osserva le somiglianze 33 con ciascuno di loro, senza però trovare la prova definitiva di un legame genetico, in Sam, Harry ed Eddie si fa strada l’idea di poter essere il padre della giovane sposa. Così e tutti e tre, all’insaputa l’uno dell’altro, si propongono per portarla orgogliosamente all’altare. Imbarazzata dalle tre proposte e non volendo ferire nessuno, Sophie capisce di aver fatto un grosso sbaglio e si rifugia nella madre: al suo braccio attraverserà la navata. L’improvvisa paternità fa sì che Eddie, Harry e Sam affrontino i nodi irrisolti delle proprie vite: Eddie ha paura di impegnarsi, Harry è attratto dagli uomini e Sam non ha mai smesso di amare Donna. E in fondo anche Donna, dopo averlo rivisto, capisce di aver sentito la sua mancanza per tutti quegli anni... Se la presenza di ben tre padri, felici Film di “condividere” la figlia, dà il coraggio a Sophie di rimandare e partire con il fidanzato alla scoperta del mondo, un matrimonio ci sarà comunque: quello tra Donna e Sam, che resterà ad aiutarla con l’albergo che insieme da ragazzi avevano romanticamente sognato. Tutti i film della stagione U n musical su grande schermo. Eccessivo, colorato, pieno di ritmo, paillettes e lustrini. Questo è la pellicola di Phyllida Lloyd, regista (evidentemente) teatrale, per la prima volta a dirigere dietro la macchina da presa. La storia è ovviamente labile e a tratti farraginosa, più un espediente per cantare e ballare le contagiose hit degli Abba, che un dipanarsi delle vicende dei personaggi. I caratteri sono abbozzati e possono solo accennare ai temi complessi. Così sullo schermo i personaggi si esprimono platealmente, e affidano i propri sentimenti alla musica. La sorpresa di un incontro insperato, la malinconia o il batticuore si cantano in struggenti assolo, l’allegria dell’amicizia e la gioia delle nozze prendono corpo nelle travolgenti coreografie di gruppo. Pur inverosimile in ogni suo aspetto, il film è strutturato ad arte, secondo le regole auree dei musical americani e sa essere coinvolgente e pieno di energia. Una particolare nota di merito agli attori (Maryl Streep in primis), giusti nelle parti assegnate e capaci di un’interpretazione naturalistica a dispetto del fisiologico effetto straniante di “cantati” e “recitativi”. Ritocchi al computer per i fondali per rendere il paesaggio magico della Grecia esotica, costumi oltre il limite del buongusto e tanto ritmo fanno viaggiare lo spettatore in un lontano mondo da favola. Sempre che voglia lasciarsi trasportare. Tiziana Vox RIFLESSI DI PAURA - MIRRORS (Mirrors) Stati Uniti/Romania, 2008 Regia: Alexandre Aja Produzione: Alexandre Aja, Gregory Levasseur, Alexandra Milchan, Marc Sternberg, Moritz von der Groeben per Castel Film Romania/New Regency Pictures/Regency Enterprises Distribuzione: 20th Century Fox Prima: (Roma 3-10-2008; Milano 3-10-2008) V.M.: 14 Soggetto: dalla sceneggiatura del film Into the Mirror Sceneggiatura: Alexandre Aja, Grégory Levasseur Direttore della fotografia: Maxime Alexandre Montaggio: Baxter Musiche: Javier Navarrete Scenografia: Joseph C. Nemec III Costumi: Michael Dennison, Ellen Mirojnick Produttori esecutivi: Marc S. Fisher, Andrew Hong, Kiefer Sutherland, Tim Van Rellin Direttore di produzione: Eugene Dinca, Marc S. Fischer, Giovanni Lovatelli, Steve Rose, Elena Valeanu Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood Aiuti regista: Nick Heckstall-Smith, Cristina Iliescu, Ed Licht, Michael R. Melamed, Tim Riley, Richard Graysmark, Carolyn Milner, Lincoln Myers, Walter W. Parry jr., Stefan Petcu Operatore steadicam: Bogdan Stanciu Supervisore art direction: Malcolm Stone Art directors: Stephen Bream, Vlad Roseanu Arredatori: Liz Griffiths, Ian Whittaker Trucco: Gabi Cretan, Donald Mowat, Suzanne Jansen, Robert Maverick Acconciature: Corina Brailescu, Catalin Ciutu, Michael Marcellino, Cristina Temelie, Su zanne Jansen Effetti speciali trucco: Jaremy Aiello, Gino Crognale, Mike McCarty Supervisori effetti speciali: Alan E. Lorimer, Jason Troughton Supervisori effetti visivi: Jamison Scott Goei (Rez-Illusion), David Isyomin (& Company), Stephane Bidault (Autre chose), David Fogg, Rocco Passionino Coordinatori effetti visivi: Michael Early (Rez-Illusions), Harrison Marks, Sk Nguyen Interpreti: Kiefer Sutherland (Ben Carson), Paula Patton (Amy Carson), Cameron Boyce (Michael Carson), Erica Gluck (Daisy Carson), Amy Smart (Angela Carson), Mary Beth Peil (Anna Esseker), John Shrapnel (Lorenzo Sapelli), Jason Flemyng (Larry Byrne), Tim Ahern (dr. Morris), Julian Glover (Robert Esseker), Josh Cole (Gary Lewis), Ezra Buzzington (Terrence Berry), Aida Doida (Rosa), Ioana Abur (sorella), Darren Kent (Jimmy Esseker), Roz McCutcheon (madre di Jimmy), Adina Rapiteanu (Anna giovane), William Meredith (dottore giovane), Bart Sidles (Ispettore), Cai Man, Jingdong Qin (vicini), Anca Damacus (donna bruciata), Tudor Stroescu (fattorino), Liliana Donici, Aurelia Radulescu, George Dumitrescu, Irina Saulescu, Valeriu Pavel (persone allo specchio) Durata: 110’ Metri: 3050 34 Film B en Carson, poliziotto sospeso dal NYPD per avere provocato accidentalmente la morte di un collega, tocca il fondo della propria esistenza: cade nell’alcolismo, nella depressione ed è allontanato dalla famiglia. Ben trova così rifugio in casa della sorella a cui è molto legato e un’occupazione come guardiano notturno dei vecchi magazzini Mayflower: un palazzo devastato anni prima da un terribile incendio con morti e feriti e rimasto in spettrale abbandono in quanto oggetto di un contenzioso assicurativo senza fine. Durante i giri d’ispezione notturna Ben si accorge presto che l’edificio nasconde delle presenze inquietanti che popolano una realtà parallela dietro gli specchi di cui gli ambienti sono ancora disseminati. Immagini insanguinate, figure bruciate da quell’incendio lontano non solo pretendono attenzione, ma cominciano presto a minacciare il poliziotto e la sua stessa famiglia dagli specchi di casa (la sorella è la prima vittima); così era accaduto con il precedente guardiano, costretto al suicidio e con l’incendiario autore del disastro, dichiaratosi colpevole perché spinto da presenze oscure che reclamavano l’ipotetica consegna di qualcuno chiamato Eseker. Ben approfondisce le indagini dopo avere scoperto, tra i piani del palazzo, un’ inquietante sala circolare con specchi alle pareti e al centro una sedia di contenzione: grazie a un collega rimastogli amico che può accedere agli archivi della città, scopre che il Mayflower era stato edificato sulle rovine di un vecchio ospedale psichiatrico, il St. Matthew, il cui direttore cercava di curare la schizofrenia obbligando il paziente di turno a confrontarsi con la propria immagine di dolore riflessa negli specchi della stanza famosa. Era avvenuto, poi, che i pazienti del reparto fossero tutti morti prima della chiusura, meno una, dimessa due giorni avanti e riconsegnata alla famiglia, Anna Esseker, appunto. È facile per Ben ritrovare la donna, ora suora presso un convento agostiniano, convincerla a ritornare in quel luogo di orrore per sottoporsi a una specie di esperimento al contrario: legata alla sedia di contenzione sarà riconquistata e distrutta dai mostri che l’avevano abbandonata anni prima che porranno così fine alle persecuzioni della famiglia di Ben. Il quale, fortunosamente sopravvissuto al cataclisma della lotta contro il male che ha distrutto il palazzo, si rende conto che non sarà mai più libero, in quanto la realtà che lo circonda e a cui non appartiene è riflessa al contrario: è diventato anche lui abitante, o prigioniero, di quel’altra dimensione, fantasma tra fantasmi, dietro uno specchio. Tutti i film della stagione S arebbe stato più giusto mantenere per questo remake di un horror coreano il titolo originale, cioè quel “Mirrors” che nell’unicità del termine avrebbe immediatamente presentato la forza del male come proveniente dal ripetersi di immagini speculari. Comunque, nulla toglie al gioco piacevolmente intellettualistico che tra immagini e definizioni si può trarre secondo un procedimento circolare infinito: il male proviene da specchi in cui noi stessi ci riflettiamo a guardarlo, in quanto proprio a noi appartenente; nello stesso tempo ne siamo vittime perché il male da noi liberatosi diventa di noi più forte fino a distruggerci. Questo rimbalzo senza fine potrebbe poi continuare ancora perché trova riscontro e propellente proprio nel mezzo con cui viene comunicato, cioè un film, cioè lo “specchio” per eccellenza dei nostri incubi personali e di questi mestatore fino a diventarne interprete e padrone. Il film è proprio questo e ce ne dà atto sia il finale con la distruzione apparentemente catartica della religiosa, sia il sottofinale, in cui il bene si trova raggelato in una nuova posizione speculare che bene non può più essere. Dà forza a questo assunto la costruzione del film che si avvale di una serie di punti fermi. La scelta di utilizzare per i fatiscenti magazzini Mayflower un vecchio palazzo in abbandono della Bucarest di Ceausescu risulta felice in una somma inquietante di brivido a brivido. Ugualmente giusta l’opzione narrativa di mantenere il racconto scisso in due piani separati, ma anch’essi specularmente riflessi, cioè il dramma personale del protagonista e della sua famiglia e il mistero nascosto dietro gli specchi che vivono e parlano. Kiefer Sutherland, coinvolto qui anche come produttore, tiene professionalmente a bada i demoni del protagonista e la realizzazione della pellicola, senza esagerare mai nel truculento e nell’effetto terrore che sono le vere trappole di ogni horror. Fabrizio Moresco BOOGEYMAN 2-IL RITORNO DELLUOMO NERO (Boogeyman 2) Stati Uniti, 2007 Regia: Jeff Betancourt Produzione: Gary Bryman, Steve Hein, Sam Raimi, Robert G. Tapert per Ghost House Pictures Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008) V.M.: 14 Soggetto: dai personaggi creati da Eric Kripke Sceneggiatura: Brian Sieve Direttore della fotografia: Nelson Cragg Montaggio: Jeff Betancourt Musiche: Joseph LoDuca Scenografia: John Collins Costumi: Elaine Montalvo Produttori esecutivi: Joseph Drake, Nathan Kahane Co-produttori: Matthew Milam, Jennie Yamaki, J.R. Young Direttori di produzione: Kelli Konop, Jack Shuster Casting: Lauren Bass, Karen Meisels Aiuti regista: Nicholas Lee, Elion Olson, Sam Nainoa Arredatore: John Philpotts Trucco: Rocky Faulkner, Eleanor Sabaduquia Acconciature: Tijen Osman, Tina Sims Effetti speciali trucco: Danielle Noe, Justin Raleigh, Jill Rockow Effetti speciali: Christian Beckman, Joe Gomez, Joe Reader Supervisore effetti visivi: Dave Codeglia Interpreti: Danielle Savre (Laura Porter), Matt Cohen (Henry Porter), Chrissy Griffith (Nicky), Michael Graziadei (Darren), Mae Whitman (Alison), Renée O’Connor (dott.ssa. Jessica Ryan), Tobin Bell (dr. Mitchell Allen), Johnny Simmons (Paul), David Gallagher (Mark), Lesli Margherita (Gloria), Tom Lenk (Perry), Sammi Hanratty (Laura da piccola), Jarrod Bailey (Henry da piccolo), Lucas Fleisher (Mr. Porter), Suzanne Jamieson (Mrs. Porter), Christopher John Filed (Detective), Claude Shires, Kelly Walker (analisti) Durata: 93’ Metri: 2538 35 Film L aura compie 8 anni. Accanto a lei ci sono i genitori e il fratello undicenne Henry. Durante la festa i genitori vengono uccisi davanti agli occhi della bambina che reputa responsabile dell’omicidio l’Uomo Nero. Sono passati dieci anni. Henry è appena uscito da una clinica psichiatrica, dopo una cura di circa tre mesi. Con grande sorpresa di Laura, la informa che andrà a sostenere un colloquio per un lavoro a San Francisco. A seguito dell’ennesimo incubo sull’Uomo Nero, Laura si convince a entrare in clinica. Ad accoglierla c’è la psicologa e coordinatrice del progetto “Studio sulle fobie”, Jessica. I suoi compagni delle sedute di gruppo, sono la bulimica Nicky, Paul il germofobo, Allyson che è dedita a tagliuzzarsi il corpo poi Darren, affetto da agorafobia e Mark che soffre ancora la paura del buio. Il responsabile del reparto è il ferreo Dott. Allen. Laura dormirà nella stessa stanza del fratello, dove trova un quadro fatto dal ragazzo stesso: Laura che accende la luce per illuminare un armadio; alle sue spalle, nel buio, c’è Henry. La prima sera Mark, sceso nel seminterrato per fumarsi una canna passata di nascosto dall’infermiere, viene ucciso dall’Uomo Nero dopo un improvviso blackout. Il gruppo và in crisi. Laura chiama il fratello, che promette d’andare a prenderla il giorno seguente. La ragazza tenta di fare amicizia con gli altri, col risultato di avere solo un breve dialogo con Nicky, che le confida il suo amore per Darren. Jessica resta a dormire nella clinica. Paul è il secondo a morire: viene ritrovato dopo aver ingerito del detersivo, mentre numerosi insetti circolano nella stanza. Jessica, scopre che qualcuno ha manomesso la corrente che controlla le porte e telefoni: sono bloccati. Non vedendo tornare l’infermiera scesa per resettare il sistema, la psicologa decide di scendere. L’uomo Nero la colpisce con la scossa elettrica. Laura ritrova il cadavere di Allyson legata al suo letto, piena di vermi che escono dai tanti tagli sul suo corpo. Darren allontana Nicky: ha paura delle persone, non vuole attorno una donna che lo ami. I tre scoprono che Allen è un medico che segue metodi non molto ortodossi e che non ha firmato il foglio d’uscita. Darren morirà con la cassa toracica divaricata ed il cuore strappato; mentre il corpo di Nicky esplode dopo che le hanno pompato grasso nelle vene. Laura, inseguita dall’Uomo Nero, si rifugia nel seminterrato dove trova sia Jessica ancora viva, ma completamente svanita, che Allen. Il medico e Laura vengono inseguiti dall’Uomo Nero che alla fine si rivela. È Henry; in un flashback vediamo che dopo esser stato rinchiuso da Allen in un armadio al buio, ha completamente perso il senno diventando lui stesso la sua nemesi. Allen muore. Laura si ritrova nel laboratorio segreto di Henry dove c’è un altro quadro, identico all’altro solo con l’Uomo Tutti i film della stagione Nero al posto di Henry. Laura uccide il fratello, che indossa nuovamente la maschera. Con l’arrivo della polizia apprende d’aver ucciso Jessica, messa da Henry al suo posto. Nessuno crederà alla storia raccontata da Laura. L ’Uomo Nero. In ogni cultura e paese esiste una sua versione con un nome differente (Bau Bau, Baboulas, Bubak etc), ma con lo stesso obbiettivo da perseguire: materializzare le nostre paure e incubi per spaventarci e ucciderci. Purtroppo, in questo film, c’è ben poco da spaventarsi. Il regista Jeff Betancourt è qui alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa. E si vede: non c’è crescendo di suspence e le inquadrature ricordano molto, quelle di Balaguerò nel film Fragile (2005). Senza scordare che l’ospedale psichiatrico è uno scenario già affrontato da un grande e, riuscitissimo, mostro del cinema: Freddy Krueger. In Nightmare 3- I guerrieri del sogno (1987), un gruppo di ragazzi si ritrova in clinica, perché perseguitati nel sogno da un mostro che vuole ucciderli; naturalmente, nessuno all’inizio vuole crederci. In Boogeyman manca quell’unità di gruppo, data dalla paura comune legata allo stesso spauracchio; qui, tranne Laura, nessuno crede all’uomo nero. Nessuno prova veramente la paura, quella con la p maiuscola. Viene quindi a cadere il primo passo per creare un legame fra lo spettatore e i personaggi. Laura, alias Danielle Savre, che dovrebbe essere la protagonista, sembra quasi un personaggio secondario, talmente è stato delineato in maniera superficiale. È privo di quel carisma che servirebbe a farci immedesimare in lei e farci tifare per la sua salvezza; non ha nessuna particolarità che possa farcela amare. Cosa invece che accadeva con Patricia Arquette in Nightmare 3, dove la protagonista aveva il potere di far entrare le persone nei propri sogni. Gli altri ragazzi della clinica, quindi, risultano di gran lunga più interessanti di lei. La parte finale poi, specialmente dopo la scoperta dell’identità di Boogeyman, risulta troppo prolissa e noiosa. Una domanda: chi ha ucciso i genitori di Laura? Lei che ha assisto all’omicidio ricorda un uomo alto, non un piccolo essere che dovrebbe essere il fratello. Un assassino di passaggio? Oppure il vero Uomo Nero? Se l’obiettivo di Betancourt, era quello di instillare un minimo di dubbio, non c’è riuscito. Sembra solo una falla della sceneggiatura. Un elemento interessante è la presenza del primo quadro, quello con Laura al centro ed Henry nel buio, che avrebbe l’obbiettivo do farci intuire la vera identità di Boogeyman, a circa mezzora dall’inizio del film. Al di là di tutti i discorsi psicoanalatici, triti e ritriti, alla fine il nocciolo è solo uno: la vera ombra è quella dentro di noi. Tant’è vero che è un umano a compiere i delitti e non un essere ultraterreno. Ottima idea, ma dal trailer e dalla locandina ci aspetterebbe ben altro. La pena riservata ai malcapitati richiama le atmosfere di “La Divina Commedia” e il contrappasso dantesco. I ragazzi vengono uccisi in base alla loro paura o per analogia, ad esempio Paul che per pulire la sua bocca beve il detersivo o per antitesi, con Darren a cui viene sventrato il torace e strappato il cuore; proprio lui che aveva paura di donare il suo cuore ad una donna. L’unico vero guizzo rilevante di tutto il film. Elena Mandolini SFIORARSI Italia, 2006 Regia: Angelo Orlando Produzione: Alessandro Verdecchi per Veradia Film. In collaborazione con MIBAC Distribuzione: Atalante Film Prima: (Roma 9-5-2008; Milano 9-5-2008) Soggetto e sceneggiatura: Angelo Orlando, Valentina Carnelutti Direttore della fotografia: Massimiliano Trevis Montaggio: Erika Manoni Musiche: Saro Cosentino Scenografia: Massimo Santomarco Costumi: Paola Ronco Aiuto regista: Andrea Caccia Suono: Alessandro Bonomo, Maricetta Lombardo Interpreti: Angelo Orlando (Paolo), Valentina Carnelutti (Céline), Giorgio Caputo (Armando), Mimosa Campironi (Vanessa), Alessandro Procoli (Andrea), Bianca Stella Bagnoli (Teresa), Ettore Belmondo (Federico), Giampiero Judica (Nico), Beatrice Maione (Lisa), Alessandro Riceci (Francesco), Bernarda Reichmut (Monica), Anna Foglietta (Anna), Valentina Russo (Fabiana), Francesco Carnelutti (regista), Martine Brochard (Odette) Durata: 99’ Metri: 2750 36 Film P aolo è Celine incrociano per la prima volta i loro destini d’estate, su una spiaggia: Celine è appena una bambina e Paolo, il bagnino, la vede senza guardarla, senza distinguerla dai bagnanti riuniti in riva al mare. Anni dopo, Paolo è diventato un apprezzato fotografo, un uomo rinchiuso nella sua incapacità di crescere, ancora in difficoltà di fronte alle irruenti visite della mamma, perso dietro a una sua studentessa poco più che maggiorenne. La sera dell’inaugurazione d’una sua mostra, la storia di Paolo torna a intrecciarsi con quella di Celine, ormai trentenne, attrice teatrale con figlia, appena abbandonata dal suo compagno; altra figura d’uomo non più giovane ma ancora grandemente immaturo. L’incontro però è ancora uno sfiorarsi distratto e inconsapevole. Passano i giorni, Paolo perde la sua ninfa, sedotta da un amico di lui, Celine cerca un nuovo equilibrio nella solitudine, aiutata dalla mamma e dagli amici. All’uscita da una festa, finalmente i loro sguardi s’incontrano e per la prima volta reciprocamente si scoprono. I due iniziano un lento appassionato avvicinamento; dopo la passeggiata notturna, la scusa d’un servizio fotografico è l’avvio d’una consuetudine che presto diventa amore. Per Celine Paolo è lo stupore d’una nuova, inaspettata occasione poco dopo la dolorosa rottura con il compagno, un’insperata occasione d’essere amata ancora e per davvero. Paolo invece dimostra definitivamente la sua adolescenziale volubile incertezza, facendosi Tutti i film della stagione trovare da Celine a letto con la diciottenne. La separazione è inevitabile. Celine parte per Parigi dove è stata chiamata per un’interpretazione cinematografica; Paolo, pentito e disperato, la segue col progetto di trovarla e riconquistare la sua fiducia. I due tornano a sfiorarsi per le strade parigine, ma i loro sguardi stavolta non riescono a incontrarsi. T erzo lungometraggio di Angelo Orlando – regista, attore, sceneggiatore, autore per il teatro e la tv, nonché scrittore – il film figura nella sempre più lunga lista di titoli italiani che, prodotti in modo indipendente, approdano alla sala grazie a una strategia di promozione “dal basso”. Forse è inutile ricordare precedenti come Le ferie di Licu o L’estate di mio fratello (gli esempi, anche solo nella stagione ormai agli sgoccioli, sono molti di più), lungometraggi estromessi dal circuito della produzione e della distribuzione tradizionali – o main stream, se si preferisce – che hanno ottenuto pubblico, visibilità e riconoscimenti solo in grazia di attente e acute strategie di autopromozione e finanziamento. Il film, scritto insieme all’attivissima attrice coprotagonista Valentina Carnelutti, ha seguito un percorso simile seppure con risultati di minor rilevanza. Vistosi rifiutare dal ministero il sostegno finanziario alla distribuzione (ma non quello alla produzione, concesso invece in seguito al riconoscimento del canonico “interesse culturale nazionale”), e quello ancor meno plausibile dei privati (sempre poco, troppo poco disposti a scommettere su linee alternative al già fatto e al già visto) Angelo Orlando, con la sua piccola società “Atalante Film” ha scelto di distribuire il film comunque, e per questo ha trovato l’appoggio strategico dello storico cineclub romano Filmstudio e della rivista “Sentieri Selvaggi”; prevendita dei biglietti (compresa l’asta su Ebay), concorso per cortometraggi a tema, e festa (ingresso a sottoscrizione) in occasione del ventennale della rivista, le tre “iniziative collaterali” concepite per tentare d’assicurare una vita distributiva più lunga alla pellicola. Fin qui la cronaca dell’intorno. Venendo invece all’analisi del risultato di tanti e tali sforzi, il film è una delicata commedia romantica che nell’ingenua originalità di Orlando, interprete e autore, trova la sua cifra migliore. La sceneggiatura però mostra non pochi punti deboli, incertezze e imperizie che rendono esile e sfilacciato l’impianto narrativo, e tolgono forza alle idee migliori dei due protagonisti. Pur evitando le facili scorciatoie dei cliché comuni a molto cinema italiano contemporaneo, la scrittura del film non riesce mai a raggiungere lo spessore e la sostanza sufficienti. Se la prova degli interpreti è in linea di massima soddisfacente, il progetto nel complesso mostra una certa generale superficialità. Alla fine si esce dalla sala con più “appetito” di prima, dimenticando in fretta le immagini troppo anonime dell’ennesimo film “vorrei ma non posso”. Silvio Grasselli VICKY CRISTINA BARCELONA (Vicky Cristina Barcelona) Spagna/Stati Uniti, 2008 Regia: Woody Allen Produzione: Letty Aronson, Stephen Tenenbaum, Gareth Wiley per Mediapro/Gravier Productions/Antena 3 Films/Antena 3 Television Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 17-10-2008; Milano 17-10-2008) Soggetto e sceneggiatura: Woody Allen Direttore della fotografia: Javier Aguirresarobe Montaggio: Alisa Lepselter Scenografia: Alain Bainée Costumi: Sonia Grande Produttore esecutivo: Jaume Rouser Co-produttore: Helen Robin Direttori di produzione: Bernat Elias, Oriol Marcos Casting: Patricia Kerrigan DiCento, Juliet Taylor Aiuti regista: Daniela Forn, Richard Patrick, Anna Rua, Murphy Occhino, Marcos Gonzalez Palma Art director: Inigo Navarro Trucco: Eva Quilez, Ana Lozano Acconciature: Jesus Martos, Robert Fama, Manolo Garcia Supervisori effetti visivi: Randall Balsmeyer Interpreti: Rebecca Hall (Vicky), Scarlett Johansson (Cristina), Javier Bardem (Juan Antonio), Penelope Cruz (Maria Elena), Christopher Evan Welch (narratore), Chris Messina (Doug), Patricia Clarkson (Judy Nash), Kevin Dunn (Mark Nash), Julio Perillan (Charles), Juan Quesada (chitarrista), Richard Salom, Maurice Sonnenberg, Jordi Basté, Paco Mir (clienti della galleria), Manel Barcelo (dottore), Josep Maria Domenech (Julio Josep), Emilio de Benito (chitarrista in Astruria), Jaume Montané, Lloll Bertran, Joel Joan (amico di Juan Antonio), Silvia Sabaté (amica di Juan Antonio), Pablo Schreiber (Ben), Carrie Preston (Sally), Zak Orth (Adam), Abel Folk (Jay), Michael Bennett (barista della Galleria), Rodrigo Rojas (ospite della festa) Durata: 96’ Metri: 2680 37 Film V icky e Cristina, giovani – poco più che ventenni – e belle statunitensi, amiche da sempre, sono appena arrivate a Barcellona per trascorrervi l’intera estate, ospiti di Judy e Mark, una coppia di parenti alla lontana di Vicky. Durante il tragitto aeroporto-città, una voce maschile fuoricampo ci informa su gusti e ambizioni delle due signorine: Vicky, la bruna, sta per sposare Doug, l’amore (molto ricco) della sua vita, e concilierà questa vacanza con i suoi studi universitari, riguardanti “l’identità catalana”; la biondissima Cristina, invece, è in Spagna su consiglio/imposizione dell’amica, per dimenticare l’ultima storia d’amore (delle tante) finita maluccio. Tanto è razionale, decisa e precisa Vicky, quanto è invece allegramente sconclusionata Cristina, che ha le idee chiarissime, ma soltanto su quel che non vuole, ovvero una vita pre-ordinata e pre-vedibile. Tra una visita alla Sagrada Familìa, una sbirciatina alle architetture di Gaudì, un buon bicchiere di vino e gli immancabili concerti “di chitarra spagnola” sotto le stelle, le giornate scorrono veloci. Una sera, le ragazze accompagnano Judy e Mark a un vernissage di un giovane artista locale, tale Juan Antonio, balzato agli onori della cronaca per il suo recente divorzio con Maria Elena, pittrice anch’ella: durante un furibondo litigio, confida loro Judy tra l’ammirato e il disgustato, spuntò fuori – e venne usato – persino un coltello! Più tardi, a cena in un ristorante, le ragazze incontrano nuovamente Juan Antonio, e dopo qualche insistito sguardo da un tavolo all’altro, il pittore si avvicina e propone loro di volare con lui fino alla cit- Tutti i film della stagione tadina di Oviedo, sul piccolo aereo privato che piloterà personalmente, per trascorrere un fine settimana all’insegna della cultura locale e dell’amore libero tra tutti e tre. Vicky impiega meno di un attimo a rispedire il focoso macho latino al proprio tavolo, ma dovrà soccombere alla voglia di avventura dell’amica: a Cristina Juan Antonio piace e la rassicura sul fatto che in albergo avranno stanze separate. Dopo un viaggio un po’ turbolento, con arrivo alle prime luci dell’alba, i tre trascorrono l’intera giornata di sabato a zonzo per l’incantevole Oviedo e, la sera, dopo la solita cena luculliana, Cristina si presenta in camera di Juan Antonio. I due riescono a malapena a scambiarsi qualche bacio: la ragazza sta malissimo e l’attacco di ulcera, diagnosticatole dal medico subito accorso, la terrà a letto per il resto del fine settimana. Suo malgrado, l’indomani, Vicky trascorrerà l’intera giornata con il tanto detestato pittore, scoprendo con sorpresa che non è poi così insopportabile; contravvenendo a ogni personale regola e alla più imprevedibile delle previsioni, i due terminano la serata, dopo il rituale concerto di chitarre spagnole, facendo l’amore in un parco. Al ritorno a Barcellona, Vicky è un po’ confusa, ma Juan Antonio no: inizia a frequentare assiduamente Cristina e nel giro di pochissimo tempo i due vanno a convivere nella casa-studio di lui. Oltre che con la rabbia e la bruciante delusione – Juan Antonio non l’ha più cercata dalla fatidica sera nel parco –, Vicky si trova ad avere a che fare anche con Doug, il suo promesso sposo, che, su suggerimento di una coppia di amici, ha deciso di piombare a Barcellona e anticipare il matrimonio vero e proprio con delle “nozze esotiche” in terra di Spagna. Allo scarso entusiasmo di lei, dovuto a motivi che certo non può confidargli, lui la tranquillizza, dicendole che si risposeranno anche a New York, come previsto. Ora che sta per ottenere tutto ciò che ha sempre desiderato, la ragazza scopre all’improvviso di non volerlo più. Durante una festa, Vicky sorprende Judy mentre si bacia con un caro amico del marito. Più tardi, la donna suggerisce alla ragazza di scappare finché è in tempo e di non commettere il suo stesso sbaglio, sposando un uomo che chiaramente non ama; inoltre Doug nel giro di qualche anno metterà su peso e perderà i capelli, trasformandosi in una persona molto simile al suo Mark. Vicky sposa Doug e inizia con lui una vita piuttosto noiosa già in vacanza. I racconti che fa loro Cristina sul suo ménage à trois con Juan Antonio e Maria Elena, l’ex moglie di lui entrata stabilmente nelle loro vite – e nella loro casa –, sono una boccata d’aria fresca per Vicky e qualcosa da condannare per Doug. Cristina appare felice: ha un uomo e una donna che l’amano, una promettente carriera da artista (scrive, fa fotografie, frequenta gli amici artisti di Juan Antonio), ogni giornata la vive intensamente. Vicky si sente in gabbia e, divisa tra ragione e sentimento, cerca Juan Antonio, ma il loro incontro è interrotto da una Maria Elena inferocita e violenta: addirittura spara alla ragazza, ferendola a una mano. L’estate è finita. Vicky torna a casa per iniziare la sua nuova vita con il marito e Cristina, stufa della quotidianità che a suo avviso s’è instaurata anche in un rapporto così trasgressivo, parte con l’amica, insoddisfatta – più o meno – com’era arrivata. Q uando il titolo dice tutto. Due donne e una città bastano a Woody Allen per comporre un quadretto brioso e frizzante, forse caliente nelle intenzioni, ma superficialotto e banale nei risultati. Vicky Cristina Barcelona non è certo un film che lascerà il segno nella carriera del regista, e quasi sicuramente avrà vita breve anche nella memoria degli spettatori. Probabile che molti di loro saranno attratti, oltre che dall’indubbia fama del prolifico regista, dal tanto strombazzato bacio saffico tra due delle attrici protagoniste, Penélope Cruz e Scarlett Johansson, e anticamera di chissà quali altre bollenti scene. Mal gliene incoglierà, purtroppo: di commedie Allen ne ha dirette decisamente di migliori – più brillanti, più dissacranti – e per vedere qualcosa di torbido, o almeno di sensuale, meglio rivolgersi altrove. Qui a farla da padrone è una 38 Film sorta di moralismo un po’ grigio, che si aggrappa disperatamente alla giovane età e presunta spensieratezza delle protagoniste, che spinge il regista prima a dipingere due ragazze forti e invincibili, per poi ribaltare tutto mostrandocele insoddisfatte e annoiate, nonostante ognuna abbia realizzato il proprio desiderio, dopo averlo inseguito con tenacia. Crazy, little thing called love, verrebbe da dire, ma c’è dell’altro. La caratterizzazione dei personaggi, per esempio, è quanto di più schematico si possa immaginare: la razionale tutta d’un pezzo pronta a sciogliersi come un cioccolatino al sole, l’artistoide annoiata ogni tre per due, il macho dallo sguardo torvo e la camicia sempre un po’ troppo aperta, il pallido giovane ricco con il sex appeal di un merluzzo surgelato. C’è da dire che per Scarlett nuova musa di Allen Johansson (Cristina) partecipare a questo film nulla aggiunge e nulla toglie alla sua carriera, e dobbiamo ammettere che raramente ci ha regalato un’interpretazione Tutti i film della stagione così opaca, al contrario di Rebecca Hall (Vicky), che è una piacevole sorpresa, mentre da Javier Bardem, francamente, ci si aspettava qualcosa di più; anche se poi, in quel ruolo e con quelle battute, cosa avrebbe potuto fare? A sorpresa, ma neanche troppo, la stella che brilla di più, forse l’unico valido motivo per vedere il film, è Penélope Cruz, cui Allen affida il ruolo della loca Maria Elena. L’interpretazione è decisamente sopra le righe ma sorprendentemente in sintonia con il personaggio, cui la diligente Cruz sa regalare i giusti guizzi e gesti indovinatissimi, riuscendo a trasmettere una sensualità genuina che va al di là degli abiti – molto teatrali – dalle generose scollature e gli svolazzanti spacchi che indossa. Perché di centimetri di pelle esposta Allen ne espone invero pochi, nonostante quel che lascerebbe intuire la voluttuosa locandina. Ma il punto debole del film risiede nel piccolo mondo descritto dal regista, popolato da una quantità non precisata di artisti bohémienne immersi nella bella vita spendacciona e lussuosa, senza dare una spiegazione che sia una su come guadagnino tanti soldi: sì, dipingono, sono bravi, ma poi? E Cristina, che fotografa per sé, scrive per sé, ha persino diretto “un piccolo film” di dodici minuti sulla definizione dell’amore e fa vacanze di tre mesi, come può permettersi tutto ciò? Allen ci impone una visione favolistica di un’Europa che non esiste se non nell’immaginazione di molti statunitensi, tutta arte-passione-scorci da cartolina, dove persino il ristorante del primo incontro dei tre protagonisti è il luogo che frequentava Picasso e ogni immagine rimanda a un cliché ben preciso quanto irreale. Poi, certo, molti scambi di battute sono brillanti e tante scene funzionano, ma è pur sempre un Allen minore, lontano anni luce dalla vena irresistibile, talvolta caustica, spesso specchio della coeva società di qualche anno fa. Manuela Pinetti THE MIST (The Mist) Stati Uniti, 2007 Effetti speciali trucco: Gino Crognale, Jake Garber Effetti speciali mostro: Gregory Nicotero Coordinatore effetti speciali: Darrell Pritchett Supervisori effetti visivi: Kevin Kutchaver (Himani Productions), Thomas Clary, Jerry Pooler (Digital Dream), Everett Burrell Coordinatori effetti visivi: Justin Christenson, Jean-Louis Darville, Andy Simonson Interpreti: Thomas Jane (David Drayton), Marcia Gay Harden (Mrs. Carmody), Laurie Holden (Amanda Dumfries), Andre Braugher (Brent Norton), Toby Jones (Ollie Weeks), William Sadler (Jim), Jeffrey DeMunn (Dan Miller), Frances Sternhagen (Irene Reppler), Nathan Gamble (Billy Drayton), Alexa Davalos (Sally), Chris Owen (Norm), Sam Witwer (Private Jessup), Robert C. Treveiler (Bud Brown), David Jensen (Myron), Melissa Suzanne McBride (donna con i bambini a casa), Andy Stahl (Mike Hatlen), Buck Taylor (Ambrose Cornell), Brandon O’Dell (Bobby Eagleton), Brian Libby (Biker), Susan Malerstein (Hattie), Mathew Greer (Silas), Juan Gabriel Pareja (Morales), Walter Fauntleroy (Donaldson), Amin Joseph (M.P.), Kelly Collins Lintz (Steff Drayton), Ginnie Randall, Tiffany Morgan (donne), Kim Wall (donna spaventata), Julio Cedillo (padre) Durata: 126’ Metri: 3500 Regia: Frank Darabont Produzione: Frank Darabont, Liz Glotzer per Darkwoods Productions/Dimension Films Distribuzione: Keyfilms Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008) V.M.: 14 Soggetto: dal racconto La nebbia di Stephen King Sceneggiatura: Frank Darabont Direttore della fotografia: Ronn Schmidt Montaggio: Hunter M. Via Musiche: Mark Isham Scenografia: Gregory Melton Costumi: Giovanna Ottobre-Melton Produttori esecutivi: Pichard Saperstein, Bob Weinstein, Harvey Weinstein Co-produttore: Anna Garduno, Randi Richmond Direttore di produzione: Alissa M. Kantrow Casting: Deborah Aquila, Jennifer L. Smith, Mary Tricia Wood Aiuti regista: George Bott, K. C. Colwell, Paula Case, Craig Comstock, Tom Martin Operatore/Operatore steadicam: Bill Gierhart Art director: Alex Hajdu Arredatore: Raymound Pumilia Trucco: Robin Mathews Acconciature: Betty Hamnac, Yolanda Mercadel, Tony Ward U na cittadina della provincia americana viene sconvolta da una tempesta. La mattina seguente, una fitta nebbia emerge dal mare e compare all’orizzonte. David, disegnatore di poster cinematografici, si reca insieme al figlio Billy al supermercato per assicurar- si le ultime provviste. All’improvviso, un uomo insanguinato irrompe nel negozio, urlando che qualcosa di spaventoso è uscito dalla nebbia e lo ha aggredito. Il pericolo è reale; se ne accorge in breve tempo anche David, ma non tutti sembrano dargli retta: nella nebbia si nascondo39 no orrendi tentacoli dentati e assetati di sangue. Intrappolati e, al tempo stesso, rifugiati all’interno del supermercato, i clienti finiscono per dividersi in due gruppi. Da una parte, bersagliati dalle continue litanie dell’evangelica e fanatica Mrs. Carmody, Film quelli che cominciano a convincersi che dietro tutto questo si nasconda la volontà divina, sorta di piaga del nuovo millennio scagliata contro un’umanità sempre più debole e corrotta; dall’altra, capeggiati, in qualche modo, da David e sostenuti anche dall’inserviente Ollie, quelli che cercano di fronteggiare la minaccia provando a trovare una soluzione. In mezzo a questi, la minoranza rappresentata da due o tre persone che, stanca di dover aspettare, va incontro a morte certa uscendo dal negozio. Che, ora dopo ora, diventa vero e proprio teatro di guerra: al calare della notte, altre misteriose creature – attratte con molta probabilità dalla luce – si schiantano sulle vetrine, trovando poco più tardi un varco per raggiungere l’interno. Alcuni soccombono, mentre tra i superstiti la separazione iniziale si acuisce sempre di più, al punto che lo stesso David inizierà a domandarsi se a spaventarlo di più siano i mostri che si nascondono nella nebbia o quelli accampati dentro il supermercato. La risposta definitiva al quesito arriverà quando Jessup, giovane soldato, spiegherà che molto probabilmente quello che si sta verificando lì fuori è il risultato Tutti i film della stagione di alcuni esperimenti militari top secret: la furia della maggioranza, aizzata dalla sempre più invasata Mrs. Carmody, sarà incontrollabile e il ragazzo verrà scagliato fuori nelle fauci della creatura. A quel punto, con il figlioletto e altre tre persone, David decide di andarsene. Sale in macchina, si allontana il più possibile, la benzina finisce. Le urla di un mostro gigantesco avvolgono l’alba, non resta che concedersi una morte meno dolorosa: 4 proiettili a disposizione, 4 colpi per evitare agli altri l’orrore. La nebbia si dirada, delle urla solo un’eco, i militari iniziano a bonificare il territorio. Per David è l’inizio di un nuovo, eterno incubo. C ostruito sulla struttura classica del film d’assedio, The Mist riporta Frank Darabont a misurarsi con Stephen King dopo Le ali della libertà e Il miglio verde. Abbandonato il contesto carcerario dei due precedenti film, il regista di origini ungheresi muove dal racconto dell’autore del brivido (presente nella raccolta Scheletri, ed. Sperling & Kupfer), per arrivare alla perfetta fusione di due approcci narrativi agli antipodi – l’horror evocativo e quello esplici- to –, riuscendo a saper prendere il meglio da alcuni modelli “alti” (Zombie di Romero per l’ambientazione all’interno di un supermarket e, ovviamente, The Fog di John Carpenter, cineasta omaggiato proprio in apertura, con il poster di The Thing), senza però dimenticare, né tanto meno svilire il forte impatto metaforico originario (inquietante l’evangelica Mrs. Carmody interpretata da Marcia Gay Harden, minaccia poco a poco ben peggiore dei tentacoli che spuntano misteriosamente dalla nebbia). Angoscia e disagio accompagnano la visione per l’intero corso della narrazione, sempre controllata e progressivamente indirizzata ad aumentare la tensione, in un gioco che vede, via via, aumentare la paura a discapito della razionalità. E l’illusione verso un finale liberatorio – la fuga in auto del protagonista con il figlio e altre tre persone – accenna solo per un attimo all’apertura del non-epilogo presente nel racconto originario, qui drasticamente stravolto verso una chiusura che sconcerta e colpisce, lontanissima dai canoni a cui siamo ormai noiosamente abituati. Valerio Sammarco IN VIAGGIO PER IL COLLEGE (College Road Trip) Stati Uniti, 2008 Acconciature: Andrea Young, Milton Buras, Frank Crosby Coordinatore effetti speciali: Drew Jiritano Supervisore costumi: Marcia Patten Supervisore musiche: Lisa Brown Coreografie: Maria Torres O’Connor Interpreti: Martin Lawrence (James Porter), Raven-Symone (Melanie Porter), Brenda Song (Nancy), Kym Whitley (Michelle Porter), Adam LeFevre (giudice), Eugene Jones (cacciatore), Margo Harshman (Katie), Lucas Grabeel (Scooter), Matthew Schlein (capo dei giurati), Eshaya Draper (Trey Porter), Will Sasso (Deputato O’Mally), Geneva Carr (Mrs. O’Mally), Na’Kia Bell Smith (Melanie Porter giovane), Josh Meyers (Stuart), Lonny Ross (guida degli studenti), Donny Osmond (Doug Greenhut), Molly Ephraim (Wendy Greenhut), Kristian Kordula (Nick), Nicholas Leiter Mele (guardia), Jessica St. Clair (Ms. Prince), Meghan Rafferty (Mrs. Jones), Jason Kolotouros (Mr. Jones), Lauren Sanchez (conduttrice televisiva), Joseph R. Gannascoli (Mr. Arcara), Tara Copeland (Lily Arcara), Chad Hessler (Ted), Thomas R. Polleri (cameriere), Frank Ferrara Jr. (Rocco), Christopher Jon Gombos (amico di Mr. Arcara), Ashley Clayton (invitata del matrimonio), Lee Wong (Mr. Matsuoka), Mike Hodge (Harold) Durata: 83’ Metri: 2150 Regia: Roger Kumble Produzione: Louanne Brickhouse, Kristin Burr, Andrew Gunn per Walt Disney Pictures/Gunn Films Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia Prima: (Roma 18-7-2008; Milano 18-7-2008) Soggetto e sceneggiatura: Emi Mochizuki, Carrie Evans, Cinco Paul, Ken Daurio Direttore della fotografia: Theo van de Sande Montaggio: Roger Bondelli Musiche: Ed Shearmur Scenografia: Ben Barraud Costumi: Francine Jamison-Tanchuck Produttori esecutivi: Michael Greene, Anthony Katagas, Raven-Symoné, Ann Marie Sanderlin Direttori di produzione: Anthony Katagas, Ellen H. Schwartz Casting: Jennifer Euston, Gail Goldberg, Marcia Ross Aiuti regista: Doug Torres, Francisco Ortiz, Marta Forns-Escudé, Lauren Guilmartin, Justin Ritson, Jane Chase Wells Operatore: Candide Franklyn Art director: Doug Huszti Arredatore: Catherine Davis Trucco: Patricia Regan, Margot Boccia, Craig Lindberg, Kamani Sawyer M elanie Porter è una giovane studentessa diciassettenne a un passo dal diploma e quindi dal conseguente problema della scelta del col- lege. La ragazza vorrebbe andare alla Georgetown University, splendida università a più di mille chilometri da casa. Le sue ambizioni sono però frustate da papà 40 James, capo della polizia di Chicago, padre iperprotettivo e maniaco dell’ordine e della disciplina, che vorrebbe iscriverla invece alla Northwestern University, di- Film stante solo mezz’ora in macchina. Grazie ai suoi successi nello studio, Melanie viene notata da uno ‘scout’, proprio di Georgetown e decide di andare a far un giro al campus per farsene un’idea, unendosi alle sue due amiche del cuore che invece sono in viaggio per il college a Philadelphia. Ma, al momento di partire, James decide di accompagnare la figlia verso il college, sperando così di avere tempo più tempo da passare insieme e di riuscire a convincerla a cambiare università prima di arrivare a Washington. Al viaggio si unisce anche Trey, il fratellino di Melanie, che si porta sempre dietro Albert, un maialino addomesticato che gioca a scacchi e che ne combina sempre di tutti i colori. Fra disavventure varie, complice anche un guasto alla macchina, alla sgangherata famiglia Porter si uniscono Doug e Wendy, padre e figlia anche loro in viaggio per il college. Quando si arriverà a destinazione, ormai James e Melanie hanno imparato a conoscersi meglio e a comprendersi, ciascuno con le proprie esigenze e i propri pensieri. Il film si chiude con la famiglia Tutti i film della stagione finalmente riunita e affiatata davanti al tradizionale tacchino del giorno del Ringraziamento. I n viaggio per il college è il classico film per famiglie targato Disney che regala esattamente quello che promette: buoni sentimenti, interpreti simpatici ancorchè perennemente esagitati, scontri generazionali a lieto fine, slapstick gag a ripetizione, il tutto per un pubblico pre-adolescenziale accompagnato, o meno, dai genitori. La trama, esilissima, prende spunto dall’abitudine tutta americana del viaggio familiare alla scoperta dei vari college nei quali iscrivere i figli; l’idea in sé è carina, ma pare decisamente più adatta a un episodio da sitcom che non a un lungometraggio di quasi un’ora e mezza. Perno di questo particolare ‘road movie’ è lo scontro tra padre e figlia. Naturalmente questo non basta a reggere da solo l’intero film e i ben quattro sceneggiatori hanno quindi tirato fuori dal cilindro il simpatico maialino Albert (dotato di sconvolgenti capacità che lo portano a stracciare agli scacchi il suo padroncino Trey e a risolvere il cubo di Rubik, nonché a distruggere letteralmente un matrimonio dopo una overdose di caffeina...), che riesce a strappare qualche risatina, più un doppione demenziale di James e Melanie con i personaggi decisamente folli di Doug e Wendy. Protagonisti del film sono, in piena linea con l’idea di marketing trasversale da sempre padrone di pellicole come questa, la giovane RavenSymoné, star di Disney Channel e al tempo adorabile bambina prodigio nella sitcom anni ’80 I Robinson e il comico americano Martin Lawrence, star di commedie demenziali come Big Mama e Svalvolati on the road e film d’azione come Bad Boys, discretamente affiatati come padre e figlia. Dirige senza fantasia né mordente Roger Kumble, autore in passato di commedie carine come Just Friends e regista di Cruel Intentions, trasposizione in chiave moderna di ‘Le relazioni pericolose’. Chiara Cecchini CHANGELING (Changeling) Stati Uniti, 2008 Acconciature: Carol A.O’Connell, Patricia Dehaney-Le May, Kim M. Ferry, Rhonda O’Neal Supervisore effetti speciali: Steve Riley Supervisore effetti visivi: Mark Freund (Pacific Title), Michael Owens Supervisore effetti digitali: Geoffrey Hancock Interpreti: Angelina Jolie (Christine Collins), John Malkovich (reverendo Gustav Briegleb), Jeffrey Donovan (capitano J. J. Jones), Colm Feore (James E. Davis, capo della polizia), Jason Butler Harner (Gordon Northcott), Amy Ryan (Carol Dexter), Michael Kelly (detective Lester Ybarra), Devon Conti (Arthur), Eddie Alderson (Sanford Clark), Gabriel Schwalenstocker (James Nesbitt), Jason Ciok (Joshua Bell), Devon Gearhart (Jeffrey), Geoffrey Pierson (Sammy ‘S. S.’ Hahn), Gattlin Griffith (Walter Collins), Frank Wood (Ben Harris), Morgan Eastwood (ragazzina), Pete Rockwell, Russell Edge, Stephen W. Alvarez (reporters), John Harrington Bland (dr. John Montgomery), Pamela Dunlap (Mrs. Fox), Roger Hewlett (agente Morelli), Wendy Worthington, Riki Lindhome, Dawn Flood (infermiere), Dale Dickey (paziente), Sterling Wolfe (assistente di Briegleb), Denis O’Hare (dr. Jonathan Steele), Muriel Minot (segretaria), Kelly Lynn Warren (Rachel Clark), Colby French (Bob Clark) Durata: 141’ Metri: 3850 Regia: Clint Eastwood Produzione: Clint Eastwood, Brian Grazer, Ron Howard, Robert Lorenz per Immagine Entertainment/Malpaso Productions/Relatività Media Distribuzione: Universal Prima: (Roma 14-11-2008; Milano 14-11-2008) Soggetto e sceneggiatura: J. Michael Straczynski Direttore della fotografia: Tom Stern Montaggio: Joel Cox, Gary Roach Musiche: Clint Eastwood Scenografia: James J. Murakami Costumi: Deborah Hopper Produttori esecutivi: Geyer Kosinski, Tim Moore, James Whitaker Direttore di produzione: Tim Moore Casting: Ellen Chenoweth Aiuti regista: Donald Murphy, Katie Carroll, Peter Dress, Efrain Cortes, Ruby Stillwater Operatori: Stephen S. Campanelli, Liz Radley Art director: Patrick M. Sullivan jr. Arredatore: Gary Fettis Trucco: Tania McComas, Elizabeth Hoel, JoJo Myers Proud, Jay Wejebe L os Angeles, marzo 1928. Christine Collins è una giovane donna che vive con suo figlio Walter di nove anni alla periferia della città. È stata abbandonata dal marito quand’era incin- ta e per mantenere se e suo figlio lavora come centralinista presso una società telefonica. Walter rappresenta tutto per lei e nei pochi momenti liberi dal lavoro cerca di trascorrere con lui la maggior parte del 41 tempo. Una mattina di sabato è chiamata a fare gli straordinari e, a malincuore, è costretta a lasciare Walter da solo. Al suo ritorno non trova più il figlio a casa. Comincia delle lunghe ed estenuanti ricerche Film che non portano a nulla: Walter sembra essere sparito senza lasciare traccia. Si rivolge subito alla Lapd, il Dipartimento della Polizia di Stato, ma realizza subito che non è intenzionato a offrire l’aiuto e il supporto che la donna si aspettava. Cinque mesi dopo, la polizia, che non gode affatto di una buona reputazione sembra aver risolto il caso. Christine si vede infatti consegnare un bambino che dice di essere Walter, ma non ha nulla a che vedere con lui, se non una vaghissima somiglianza. La polizia, tacciata come corrotta da gran parte dell’opinione pubblica e nota per i suoi modi non ortodossi, non vede l’ora di sfruttare l’ondata di popolarità che seguirà al ricongiungimento della madre col figlio. Stordita dalla confusione di poliziotti, reporter e fotografi e sopraffatta da un insieme di emozioni contrastanti, Christine accetta di riprendersi il ragazzo pur sapendo, nel profondo del cuore, che quel bambino non è il suo Walter. Nei vari tentativi per convincere la polizia a riprendere le ricerche del figlio, Christine si rende conto che, manifestando il proprio disappunto al comandante Davis e reclamando il suo diritto alla giustizia, non riesce a ottenere credibilità. L’unico a sostenere la sua causa è il reverendo Gustav Briegleb, attivista della comunità presbiteriana locale e da sempre convinto paladino contro i soprusi del Dipartimento e degli organi a esso collegati. Christine continua a portare avanti la sua disperata ricerca di risposte e, tra i sostenitori della sua verità, trova la maestra e il dentista di Walter che si offrono a testimoniare in suo favore. Tuttavia la polizia, sostenuta da un’opinione pubblica alla ricerca del lieto fine obbligatorio, pensa bene di mettere il fatto a Tutti i film della stagione tacere, facendo internare la donna in manicomio, attribuendole disturbi mentali che l’avrebbero spinta a non riconoscere nel bambino suo figlio. Intanto uno dei pochi poliziotti non ancora avvolti nella morsa della corruzione, indagando su una scomparsa di un bambino in Canada scopre una tragedia terribile. Un giovane californiano, Gordon Northcott, con l’aiuto di un povero bambino adolescente aveva rapito e ucciso brutalmente in una sperduta fattoria ben venti bambini in vari stati di cui si erano perse le tracce. Tra quei bambini anche il povero Collins. Venuta alla luce l’agghiacciante scoperta, Christine dopo essersi scontrata con la brutalità del manicomio, tramite il reverendo, viene lasciata libera. Un valido avvocato, Hahn, si offre per sostenere la sua causa contro il Dipartimento di polizia, mentre lo psicopatico viene preso e giustiziato. Diventata ormai l’eroina dei poveri, delle donne e degli oppressi, Christine continua a sperare che il figlio sia ancora vivo. Il comandante della polizia e il suo vice vengono sospesi dagli incarichi. Dopo qualche tempo, si presenta un ragazzo sopravvissuto all’assassino, che dichiara di essere riuscito a sfuggire grazie a Walter. Christine continua a sperare... R iportando alla luce dei documenti e articoli processuali su alcuni fatti realmente accaduti negli anni ’20, in giacenza negli archivi del municipio di Los Angeles, lo sceneggiatore J. Michael Straczynski ricostruisce il caso Collins. Nel difficile periodo del proibizionismo americano, la Città degli Angeli fu scossa dal coraggio di una donna, Christine Collins, che per la prima volta osò mettersi contro il sistema. Sono gli anni della polizia corrotta e violen- ta, in cui la donna veniva umiliata e trattata come proprietà, all’insegna di un maschilismo senza compromessi. La città era sotto l’influenza dispotica di un capo di polizia che, con l’assenso del sindaco, usava per combattere la criminalità gli stessi metodi dei delinquenti, facendo un tipo di giustizia sommaria, senza regolare processo. Lo stesso trattamento veniva riservato a tutti coloro che contestavano o potevano “mettere in imbarazzo” i tutori dell’ordine. Per questi ultimi c’era, come previsto dall’articolo 12, senza vie di mezzo, l’internamento immediato in ospedale psichiatrico. Così anche l’istituzione sanitaria diventava un mezzo per discriminare il gentil sesso. Tanti insomma gli spunti di riflessione nell’ennesimo film di denuncia di Clint Eastwood. La visione degradata dell’America che Eastwood tratteggia appare “spietata” e non ci sono filtri per lo spettatore. Non vengono risparmiate neanche scene forti come quella di un elettroshock o di un’impiccagione, seppure nel finale si ricerchi, in qualche modo, l’happy ending. In mezzo a tanta violenza, emerge forte la figura di una “madre coraggio” che fa del suo amore materno uno scudo contro la corruzione del Potere. Una donna della classe operaia che è sempre pronta a lottare e a non darsi mai per vinta. Umiliata, violata nella sua dignità e fatta passare per pazza, riesce nell’impresa di smascherare l’incapacità della polizia e l’immoralità presente al suo interno. All’insegna di una lezione dove a prevalere è lo spirito di giustizia, ma è soprattutto un inno e un’iniezione di speranza. Con lo stile classico e impeccabile che lo contraddistingue, Eastwood realizza una pellicola incalzante, commovente e piena di colpi di scena, che fa scorrere veloci i 140 minuti di durata. Sostenuto da una solida sceneggiatura, Changeling gode di una ricostruzione storica e scenografia davvero notevoli. Plauso all’ottima fotografia di Tom Stern che si avvale di un gioco di luci e ombre, miscelando bianchi e neri iniziali ai colori ocra tipici degli anni ’20. Il rosso vivo del rossetto e il nero acceso del trucco della protagonista, come la passione che la contraddistingue, arrivano come un pugno nello stomaco e bucano lo schermo. Angelina Jolie interpreta a perfezione l’immagine di una donna determinata, con i suoi dolori, dubbi e insieme l’ostinazione di una madre alla ricerca spasmodica del figlio. L’attrice, notevolmente dimagrita per entrare nella parte, è davvero in uno stato di grazia e in odore di Oscar. Anche John Malkovich, nei panni del reverendo rivoluzionario, è ammirevole e convincente. Veronica Barteri 42 Film Tutti i film della stagione CAMBIO DI GIOCO (The Game Plan) Stati Uniti, 2007 Regia: Andy Fickman Produzione: Mark Ciardi, Gordon Gray per Walt Disney Pictures/Mayhem Pictures/Monkey Dance Productions Distribuzione: Walt Disney Motion Pictures Italia Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008) Soggetto: Nichole Millard, Kathryn Price, Audrey Wells Sceneggiatura: Nichole Millard, Kathryn Price Direttore della fotografia: Greg Gardiner Montaggio: Michael Jablow Musiche: Nathan Wang Scenografia: David J. Bomba Costumi: Genevieve Tyrrell Produttore esecutivo: Richard Luke Rothschild Direttori di produzione: Paul Moen, Mike Tidwell Casting: Sheila Jaffe Aiuti regista: Geoffrey Hansen, Sunday Stevens Operatore: Jody Miller Art director: James Edward Ferrell Jr. Trucco: Jeff Dawn, Malinda Bennett, Mary Ellen James, Louis Lazzara Acconciature: Charlotte Parker, Rachel Solow, Elizabeth Cecchini Coordinatore effetti speciali: Larz Anderson J oe Kingman è il famosissimo quarterback della squadra di football dei Rebels di Boston. Grande fan del “Re” Elvis Presley, è un uomo ricco e invidiato, ha una bellissima casa, frequenta splendide modelle, guida una lussuosa Mercedes, passa le serate da una festa all’altra ed è il proprietario di un locale notturno alla moda. Un giorno, la sua vita subisce un brusco scossone quando alla sua porta si presenta la piccola Peyton. La bambina dice di essere sua figlia, nata da un suo precedente matrimonio. Peyton dice di dover stare con lui per un mese, perché la mamma è occupata in una missione umanitaria in Africa. Sconvolto, Joe chiama la sua agente, Stella, che, da fredda donna d’affari, non accetta di buon grado quella nuova presenza nella vita del giocatore. La convivenza si dimostra un disastro, soprattutto per un uomo come Joe, egoista ed egocentrico, geloso dei suoi lussi spesso non adatti a una bambina di otto anni. Dopo aver presentato alla stampa sua figlia, Joe viene costretto dalla piccola a iscriverla in una scuola di danza. Lì la bambina colpisce l’insegnante Monique Vasquez per il suo talento. L’insegnante accetta Peyton nella scuola, ma pretende che Joe sia una presenza attiva durante le lezioni. Col passare del tempo, Joe sembra smussare il suo egoismo per il bene della piccola. Dal canto suo, Peyton è molto furba e sa come intenerire il padre nei mo- Supervisori effetti visivi: Dan Dixon (Intelligent Creatures Inc.), Stephen Sobisky (Sandman Studios) Coordinatori effetti visivi: Mike Tidwell (Sandman Studios), Andy Simonson Supervisore musiche: Jennifer Hawks Supervisore costumi: Heidi Higginbotham Interpreti: Dwayne ‘The Rock’ Johnson (Joe Kingman), Madison Pettis (Peyton Kelly), Kyra Sedgwick (Stella Peck), Roselyn Sanchez (Monique Vasquez), Morris Chestnut (Travis Sanders), Hayes MacArthur (Kyle Cooper), Brian J. White (Jamal Webber), Jamal Duff (Clarence Monroe), Paige Turco (Karen Kelly), Tubbbs (Spike), Gordon Clapp (coach Mark Maddox), Kate Nauta (Tatianna), Robert Torti (Samuel Blake jr.), Jackie Flynn (Larry il portiere), Lauren Storm (Nanny Cindy), Marv Albert, Boomer Esiason, Jim Gray, Stuart O. Scott, Steve levy (se stessi), Eric Ogbogu (Drake), Christine Lakin (Nichole), Elizabeth Chambers (Kathryn), Brian Currie (Bo l’allenatore), Fiona Gallagher (Dott.ssa Converse), Jack Eastland (ER Dottore), Rachel Harker (Mrs. Jensen), Ed Berliner (manager), Armen Garo (cabbie), Roger Dillingham Jr. (Paparazzi) Durata: 110’ Metri: 3040 menti di maggiore difficoltà. Il duro Joe si innamora della bambina, le crea una nuova cameretta, la porta alle feste dei coetanei e decide di accettare di partecipare al saggio finale della scuola di danza. Lo spettacolo è un successo e Joe conquista il pubblico e i compagni di squadra per le inaspettate doti di ballerino. Intanto per i Boston Rebels si avvicina il giorno della partita finale, in cui è in gioco la vittoria del campionato. Ma la verità viene a galla: Sarah, la madre di Peyton, è morta da sei mesi in un incidente e la piccola è affidata alle cure della zia Karen, dalla quale era scappata per venire a Boston per conoscere suo padre. Subito dopo aver confessato la verità, la bambina è colpita da shock anafilattico per aver ingerito delle noci a cui è allergica. In ospedale si precipita Karen che ha scoperto le bugie che le ha raccontato la piccola. Joe cerca di convincere la donna di essere cambiato e di voler tenere la bambina con sé, ma la donna parte con Peyton. A casa, Joe trova una vecchia lettera dell’ex moglie che gli confessava di aver scoperto di essere incinta dopo che avevano deciso di separarsi. Una figlia sarebbe stata un ostacolo per la sua carriera. Il giorno della finale, Joe ha un infortunio ed esce dal campo. Mentre si trova in infermeria, sopraggiunge a sorpresa Peyton che gli confessa di voler restare con lui. Anche la zia Karen è d’accordo, la bambina ha bisogno del padre. 43 Grazie a Peyton, Joe trova la forza di rientrare in campo e di conquistare la vittoria finale. Non ha vinto solo il campionato, ma qualcosa di molto più importante. C i avevano già provato quei colossi di Vin Diesel (con Missione tata) e Arnold Schwarzenegger (con titoli come Un poliziotto alle elementari o Una promessa è una promessa) a calarsi in panni “teneroni”. Ora tocca a “The Rock”. Mai soprannome fu più azzeccato come quello dell’attore Dwayne Johnson. Anche nel film si gioca con le misure: la stazza del gigantesco attore contro la piccola attrice in erba troneggia sul manifesto e per tutto il film. Tra un balletto di danza classica e una fiaba della buonanotte, tra una zuccherosa versione del classico di Elvis “Are You Lonesome Tonight” e la sfida a ritrovarsi strass colorati, attaccati perfino sulla più costosa delle giacche, il nostro fusto si destreggia con inaspettata grazia alla conquista del cuore della piccola. Prenderà coscienza che la sfida più grande è acquistare pazienza, dolcezza, altruismo, tutto ciò che serve a un genitore per crescere con amore un figlio. Commedia familiare piena zeppa di luoghi comuni che procede inanellando situazioni scontate verso un banalissimo finale, il film ridonda di un’eccessiva dose di melassa che incollerebbe anche il palato più facile. Film E, anche se Dwayne “The Rock” Johnson (tra i suoi film ricordiamo La gang di Gridiron e Be Cool) giganteggia almeno sul piano fisico e la piccola e riccioluta Madison Pettis (al suo esor- Tutti i film della stagione dio cinematografico) è davvero deliziosa, la pellicola diretta da Andy Fickman è una delle uscite della Walt Disney relegate ai mesi estivi e destinate alle semideserte sale di qualche multiplex. E più che a un Cambio di gioco lo spettatore si ritrova a sperare in un cambio di sala! Elena Bartoni -2- LIVELLO DEL TERRORE (P2) Stati Uniti, 2007 Aiuti regista: Chi Fung, Patrick Arias, John Sauvé, Robert Gardiner, Christine Harrington Operatore: Brian Gedge Art director: Andrew Hull Arredatore: Liesl Deslauriers Trucco: Diane Mazur Acconciature: Etheline Joseph Coordinatore effetti speciali: Brock Jolliffe Supervisore effetti visivi: Jamison Scott Goei Supervisore musiche: Buck Damon Interpreti: Wes Bentley (Thomas), Rachel Nichols (Angela), Simon Reynolds (Mr. Harper), Philip Akin (Karl), Stephanie Moore (voce di Lorraine), Miranda Edwards (Jody), Paul Sun-Hyung Lee (uomo nell’ascensore), Grace Lynn Kung (donna nell’ascensore), Bathsheba Garnett (donna senzatetto), Philip Williams, Arnold Pinnock (poliziotti), Frank Khalfoun (giornalista) Durata: 98’ Metri: 2545 Regia: Franck Khalfoun Produzione: Alexandre Aja, Erik Feig, Gregory Levasseur, Patrick Wachsberger per P2 Productions/Summit Entertainment Distribuzione: Eagle Pictures Prima: (Roma 25-7-2008; Milano 25-7-2008) V.M.: 14 Soggetto: Alexandre Aja, Grégory Levasseur Sceneggiatura: Franck Khalfoun, Alexandre Aja, Grégory Levasseur Direttore della fotografia: Maxime Alexandre Montaggio: Patrick McMahon Musiche: tomandandy Scenografia: Oleg M. Savytski Costumi: Ruth Secord Produttori esecutivi: David Garrett, Bob Hayward, Alix Taylor Produttori associati: Andrew Matosich, Mimi Tseng Co-produttori: Greg Copeland, Daniel J. Heffner, Jean Song Direttore di produzione: Greg Copeland Casting: Mark Bennett, Robin D. Cook È la Vigilia di Natale. La giovane Angela, donna in carriera in un’importante società, è costretta agli straordinari in ufficio. Sollecitata delle insistenti chiamate della madre e della sorella che la vogliono puntale a cena, finisce il suo lavoro e lascia l’ufficio, quando nel palazzo il portiere sta già chiudendo. Nel parcheggio sotterraneo ci si mette la sua automobile, che non vuole partire. Una prima richiesta di aiuto a un solitario e ambiguo guardiano notturno, Thomas, non produce gli effetti desiderati. Ad Angela non resta che chiamare un taxi, salvo poi perderlo perché tutte le uscite sono state già chiuse. Tornata nel sotterraneo, tenta di reperire nuovamente Thomas quando un black-out la disorienta. Improvvisamente, il flebile bagliore del suo cellulare illumina il guardiano, dietro di lei. Stordita, perde i sensi. Al risveglio, nonostante lo stato confusionale, Angela riconosce l’interno della postazione di Thomas. Il guardiano le parla tranquillamente, preparando un cena natalizia da consumare insieme, mentre lei realizza di essere incatenata al tavolo, spogliata dei suoi indumenti e con indosso solo la sottoveste. Dopo un vano tentativo di fuga, decide di assecondare l’uomo nella conversazione; ma lo sottovaluta. Il giovane, follemente lucido e minacciosamen- te calmo, è infatti difficile da abbindolare e smaschera con facilità anche le artificiose illazioni di Angela riguardo la venuta di un fantomatico fidanzato. Per di più, dimostra di conoscere la vita privata della ragazza e le mostra un video di sorveglianza in cui è oggetto di molestie da parte di un collega ubriaco nell’ascensore. Terrorizzata e ammanettata, Angela viene portata in un angolo del parcheggio dove il collega incriminato è stato immobilizzato a una sedia. È chiaro che Thomas nutre per lei un sentimento paranoico e possessivo: dichiarandosi suo vendicatore, infierisce sul malcapitato fino a trucidarlo spietatamente sotto gli occhi della ragazza impotente. Solo una scatto di volontà le permette di aprire lo sportello della macchina e fuggire. È l’inizio di una caccia spietata. Mentre Thomas si aggira per gli umidi androni del parcheggio, Angela tenta in ogni modo di guadagnare l’uscita, senza successo. Anche l’ascensore si rivela inutilizzabile e per stanarla Thomas lo allaga, precipitandole addosso il cadavere del portiere. Disperata ma non rassegnata, la ragazza telefona alla polizia implorando aiuto e nel farlo perde il cellulare. In breve è di nuovo nella mani del suo rapitore. Poco dopo, una volante della polizia setaccia il parcheggio sotto gli occhi vigili 44 di Thomas, che nel frattempo ha rinchiuso il suo ostaggio nel bagagliaio di un’auto. Nonostante le grida, i poliziotti non si accorgono di nulla e lasciano il palazzo. Angela è comunque riuscita di nuovo a liberarsi. Ormai il confronto con il guardiano è inevitabile. L’ultimo inseguimento è in macchina ed è la giovane ad avere la meglio: ammanettato il suo carceriere al volante, lo finisce cospargendolo di benzina e incendiandolo. Quando esce in strada, è ormai la mattina di Natale e le sirene in lontananza segnalano l’arrivo dei tanto agognati soccorsi. C on tre ingredienti dall’efficacia manipolatrice inesauribile, l’esordiente Franck Khalfoun confeziona un thriller al cardiopalma di sufficiente fattura: l’ambientazione claustrofobica, nonché labirintica, di un parcheggio interrato nel centro metropolitano; la lucida, calcolatrice follia di un villain tanto feroce quanto imprevedibile; la protagonista femminile oggetto prescelto di un’ossessione maniacale, destinataria di soprusi e violenze psichiche che incrociano voluttà libidiche e paranoie possessive. Un tris di iniettori narrativi che non si faticherà molto a inquadrare in un modulo ad alta tensione ben lontano dalla novità, da tempo acquisito nella tassonomia dei sottogeneri americani e peraltro portato al fulcro Film della sua riconoscibilità negli anni’80 da un titolo – divenuto poi notevolmente popolare – come Oltre ogni limite, con una Farrah Fawcett preda di un efferato intruso nella sua casa. E se il film-modello di Robert M.Young interveniva a tramutare una tranquillità domestica assodata in una furia violenta e quasi primordiale - dotando la pellicola di una connotazione inattesa e spiazzante, eccedendo nei preordinati dosaggi di ferocia vigenti negli anni ‘80 - quello di Khalfoun si adopera a squarciare l’imbottitura manieristica del filone odierno attraverso sferzate gore e splatter che l’impostazione d’avvio non avrebbe lasciato presagire. Un punto a favore ai fini dell’innesco suspense che si aggiunge ai meriti più autentici dell’operazione, le valide performance dei due giovani protagonisti. Rachel Nichols – le cui somiglianze fisionomiche con Jodie Foster rimandano all’hopperiano Ore contate, altro cult Tutti i film della stagione del plot a ostaggio – esprime il meglio del suo ruolo nelle punte estreme della disperazione, quando il gioco al massacro con il suo aguzzino è ormai innescato e definito. È però il ritratto di Wes Bentley a meritare maggior plauso, vero motore d’azione del film, nonché valvola di sicurezza e rete di salvataggio di uno script dal ritmo altalenante, non privo di fragilità. Generazione Tobey Maguire (ma, a beneficio, di cronaca bisognerà ricordare come la sua prova in American Beauty fosse in anticipo sull’impostazione recitativa di molti colleghi a venire), l’attore americano investe decisamente in quell’aria di ambigua determinazione e indecifrabile presenza nel connotare un personaggio perfettamente in equilibrio tra la quiete e la tempesta; un lavoro principalmente di sottrazione che non frana negli interventi di marcatura esasperata. La sua prova, come detto, soprag- giunge in più di un’occasione a stampella dei cali di sceneggiatura, perlopiù ascrivibili a lungaggini estremamente protratte. I dialoghi smisuratamente diluiti (l’inizio della prigionia nella cabina del guardiano e il botta e risposta attraverso l’interfono dell’ascensore) sono i principali segnali del difetto di scrittura e lasciano ipotizzare l’inefficace adattamento al lungometraggio di un soggetto inizialmente concepito per la forma breve. Forma in cui, molto probabilmente, Khalfoun avrebbe tramutato in decisamente riuscito un esordio che, in 98 minuti di svolgimento, si rivela soltanto saltuariamente interessante, pur rimanendo un prodotto pienamente capace di soddisfare la specifica utenza di genere. Giuliano Tomassacci THE HURT LOCKER (The Hurt Locker) Stati Uniti, 2008 Regia: Kathryn Bigelow Produzione: Kathryn Bigelow, Mark Boal, Nicolas Chartier, Greg Shapiro per First Light Production/Kingsgate Films Distribuzione: Videa CDE Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008) Soggetto e sceneggiatura: Mark Boal Direttore della fotografia: Barry Ackroyd Montaggio: Chris Innis, Bob Murawski Musiche: Marco Beltrami, Buck Sanders Scenografia: Karl Juliusson Costumi: George L. Little Produttore esecutivo: Tony Mark Co-produttore: Donall McCusker Direttore di produzione: Karima Ladjimi Casting: Mark Bennett Aiuti regista: David Ticotin, Nicolas Duchemin Harvard, Yanal Kassay Operatore: Duraid Munajim Art director: David Bryan Arredatore: Amin Charif El Masri N ella Baghdad dei giorni nostri, l’unità militare statunitense denominata EOD è impegnata in azioni di sminamento del territorio. Le operazioni sono difficili, ogni oggetto può nascondere un ordigno, ogni abitante del luogo, anche anziani e bambini, possono rivelarsi letali spie o potenziali killer. Per questo la EOD (Army Explosive Ordnance Disposal) ha un turn over molto rapido dei propri uomini (quaranta giorni, e sembrano un’eternità): la pressione psicologica è altissima, le condizioni di vita difficili. All’amato e rispettato predecessore, Trucco: Daniel Parker, Robin Pritchard Acconciature: Janice Rhodes, Daniel Parker Supervisore effetti speciali: Richard Stutsman Effetti speciali: Ernst Gschwind Effetti visivi: Dan Lopez, Alex Romano, Doug Spilatro Supervisore musiche: John Bissell Supervisore costumi: Moira Anne Meyer Interpreti: Jeremy Renner (Sergente William James), Anthony Mackie (Sergente JT Sanborn), Brian Geraghty (Owen Eldridge), Guy Pearce (Sergente Matt Thompson), Ralph Fiennes (caposquadra mercenari), David Morse (Colonnello Reed), Christian Camargo (colonello John Cambridge), Suhail Aldabbach (uomo in nero), Sam Spruell (caposquadra Charlie), Sam Redford (caposquadra Jimmy), Erin Gann (poliziotto), Justin Campbell (Sergente Carter), Ryan Tramont (guardia), Malcolm Barrett (Sergente Foster), J.J. Kandel (guardia), Michael Desante (traduttore iracheno), Kate Mines, Kristoffer Ryan Winters (soldati) Durata: 130’ Metri: 3500 dilaniato da un’esplosione proprio sotto gli occhi dei suoi soldati, viene sostituito William James, sergente maggiore insondabile e assolutamente sprezzante del pericolo. Spesso l’uomo agisce senza rispettare ordini e schemi precostituiti, mettendo realmente a repentaglio la propria vita: è subito chiaro per tutti che non potrà rimpiazzare nei cuori dei soldati il molto più paterno sergente che l’ha preceduto. Tuttavia, con più di ottocento ordigni disinnescati, un numero davvero incredibile, ha dalla sua la stima dei superiori – disposti a chiudere un occhio su comportamenti 45 poco ortodossi – ma non dei suoi giovani sottoposti, tra cui l’afroamericano Sanborn e il perennemente spaurito Eldridge. William James è una sorta di leggenda vivente, anche se lui pare non curarsene troppo e riservare a chiunque il medesimo atteggiamento brusco, al limite dello schivo. Eppure non è quell’uomo freddo, incapace di provare sentimenti quale appare a una rapida occhiata. Nei pressi della base, tollerato e controllato dai militari statunitensi, c’è un piccolo mercato gestito dai locali, esclusivamente ad uso e consumo dei soldati. La Film merce in vendita appartiene al classico repertorio che può interessare i militari lontani da casa: dvd pirata di film americani, videogiochi, qualche film pornografico, sigarette. William si serve ogni giorno da un bambino iracheno, detto Beckham per la maglietta da calcio che non toglie praticamente mai; il sergente acquista un po’ di tutto, talvolta si arrabbia più o meno bonariamente per aver ricevuto merce difettosa, spesso si intrattiene a tirare qualche calcio a pallone, che gli ha regalato lui stesso. Il loro rapporto assomiglia sempre di più a una strana amicizia. Il soldato e il bambino, il grande americano e il piccolo iracheno. Intanto i rapporti all’interno della squadra diventano più stretti, anche se di poco; i ragazzi iniziano a conoscere meglio questo mago del disinnesco, attaccato al suo lavoro al punto da conservare, in una scatola sotto il letto, un pezzo di ogni ordigno che ha incontrato sulla sua strada, come ricordo di qualcosa che avrebbe potuto ucciderlo. William è andato ovunque ci sia stato un conflitto negli ultimi anni, è stato in Afghanistan e in Iraq più volte, facendosi sempre notare tanto per le sue qualità quanto per l’atteggiamento al limite con il masochismo. Avere a che fare con lui, tuttavia, continua a non essere facile: spesso sembra agire per puro istinto, senza ragionare: durante le operazioni si spoglia delle protezioni per essere più libero nei movimenti, non risponde alle chiamate radio, è capace di rischiare la vita per tornare indietro a prendere un paio di guanti – i suoi guanti. I giorni trascorrono lenti, tra vicoli caotici e strade polverose, ogni missione è diversa dalle altre, eppure sempre uguale. Tutti i film della stagione Un padre di famiglia iracheno, kamikaze contro la sua volontà, è forse il primo “ordigno” che William non riesce a disinnescare. Il pover’uomo è stato imbottito di esplosivo, costretto a diventare eroe di una causa in cui non crede e i tentativi di liberarlo dalla spaventosa quantità di lucchetti che assicurano il tritolo al suo corpo si riveleranno prima frustranti, poi vani. Giorni dopo, avviene il ritrovamento di una sorta di super bomba all’interno di un automobile parcheggiata dove può fare quanti più danni sia possibile immaginare. Lo spavaldo sergente James l’affronta col piglio di un soldato selvaggio, mettendo a repentaglio la propria vita e quella di chiunque si trovi in un raggio di parecchie centinaia di metri, ignorando i ripetuti appelli alla resa che gli gridano tanto i superiori quanto i subordinati. Naturalmente avrà ragione lui ed è con estrema soddisfazione che taglierà l’ultimo filo colorato che renderà innocuo l’ordigno, ma è un altro l’evento che mostrerà cosa si nasconde dietro quello sguardo beffardo. Perché quando William perde di vista il bambino iracheno, la sua furia si scatena. Crede di riconoscerlo in un corpicino straziato e imbottito di tritolo, abbandonato su un arrangiato tavolo operatorio di un covo di estremisti combattenti. Il sergente perde la ragione di fronte alla maglietta di Beckham insanguinata, inizia a cercare i responsabili di tale atrocità. La questione è ora squisitamente personale, evade nottetempo dalla base, si perde nei bassifondi di una città che credeva di conoscere, fa ferire gli incauti giovani soldati che l’hanno voluto seguire nella folle impresa. È davvero giunto il momento di tornare a casa. 46 Con stupore scopriamo che il sergente senza paura e che si comporta come se nulla avesse da perdere, negli Stati Uniti ha una moglie e un figlio piccolissimo. Ma il richiamo della guerra è troppo forte, e (troppo) presto William è pronto a ripartire: per lui, come per molti altri, il vero tornare a casa è rientrare a far parte di una qualunque guerra e la normalità è tornare a combattere. L a guerra come ossessione, ma, soprattutto, come droga. A sei anni di distanza da K-19 The Widowmaker, Kathryn Bigelow torna a misurarsi con una realtà dura in un’ambientazione inospitale (là era un sottomarino russo, qui l’odierna città di Baghdad), che la regista affronta col solito piglio visionario e senza cedere spazio a inutili sentimentalismi. La routine quotidiana di chi rischia la propria vita per salvarne altre, non una ma quattro, cinque, sei volte al giorno, è raccontata con stile asciutto e adrenalinico, con un ritmo ferratissimo che, in particolare nella prima mezz’ora, non lascia tregua, mai. Strade polverose, mani che frugano indomite tra la spazzatura che potrebbe nascondere chissà quale ordigno, sguardi concentrati di soldati che si posano sugli indecifrabili volti degli iracheni (amico o nemico?); e poi l’occhio meccanico del piccolo robot che precede l’artificiere umano, l’istante sospeso in cui si taglia l’ultimo filo (il rosso o il blu?), un solo sbaglio e non ci sei più e il momento in cui tutto sembra finito e rilasci la tensione è proprio il più pericoloso. Ciò che resta dei caduti, effetti personali e poco altro, verrà rispedito ai familiari in patria in una “cassetta del dolore” (hurt locker), una candida scatoletta rettangolare con l’ardire di riassumere una vita umana e giustificarne, forse, la morte. Un capannone pieno di cassette del dolore è una visione che, come banalmente si dice, vale più di mille parole. Kathryn Bigelow racconta, con cura, ogni dettaglio, mostra le immagini della guerra moderna meno “coperta” dai mass media, quindi più misteriosa, forse più manipolabile da chi muove i fili del potere e dell’informazione. La sua scelta è precisa: la realtà, anziché la verità, l’oggettività al posto della più comoda arbitrarietà. Fondamentale l’apporto, nella doppia veste di ispiratore e consulente alla sceneggiatura, del reporter di guerra – nonché vincitore di un Premio Pulitzer, nonché docente a Princeton, già inviato di guerra per il New York Times – Mark Boal, due anni (2003 e 2004) vissuti a stretto contatto con le truppe di stanza in Iraq, al seguito proprio di una unità EOD. Dalla sua esperienza aveva già attinto Paul Haggis un paio di anni Film orsono per In the Valley of Elah, pure in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia come il film di Kathryn Bigelow quest’anno; quest’ultimo un po’ meno baciato dal successo di critica e pubblico. Della ricca e unica esperienza di Boal, quel che ha colpito la regista, convincendola all’istante a realizzare un film, è stato un piccolo dettaglio: gli artificieri combattono la loro guerra contro l’esplosivo armati soltanto di semplici pinze. Certo, indossano un’ingombrante tuta protettiva, che sembra adatta per uno sbarco su Marte, ma la loro unica arma è un paio di pinze. Pinze e intelligenza, cui il protagonista del film aggiunge una grossa dose di Tutti i film della stagione sprezzo del pericolo. A differenza della guerra del Vietnam, i militari di stanza in Iraq sono tutti volontari. Scelgono di essere lì, di avere a che fare con il pericolo, di sfiorare la morte ogni giorno. E, quando l’incarico è finito, il ritorno a casa è un incubo, il desiderio di tornare al fronte si fa improrogabile come quello di un tossico in astinenza dalla droga. Verso il finale, vediamo il sergente James, tornato negli States, mentre è al supermercato con il figlioletto: è sperduto davanti alla parata di varietà di cereali da prima colazione, indeciso sul da farsi, quasi in crisi. L’uomo capace di fare la scelta giusta nel minor tempo possibile e in ben altre situazioni, ora non esiste più. Per ritrovarlo, e per ritrovare se stesso, William deve tornare al più presto in guerra e rivestire i panni del sergente James, ricominciare il ciclo perpetuo, ancora e ancora. Cosa ci dice Kathryn Bigelow sulla guerra che non sapessimo già? Probabilmente nulla, ma ci mostra, con le migliori intenzioni, il lato più umano – ma anche amaramente tragico – del fronte americano, senza emettere giudizi, e regalandoci il ritratto di un uomo in equilibrio perfetto tra coraggio e alienazione. E, va detto, quasi posseduto da buona dose di follia. Manuela Pinetti LE MORTI DI IAN STONE (The Deaths of Ian Stone) Gran Bretagna/Stati Uniti, 2007 Acconciature: Susie Munachen, Michael Ornelaz Effetti speciali trucco: Dawn Dininger, Simon Webber Supervisore effetti speciali: John Rafique Supervisori effetti visivi: Chris Holmes (I.C.O Entertainment Inc.), Jesh Murthy (Anibrain), Dennis Michelson Coordinatore effetti visivi: Dawn Turner Interpreti: Mike Vogel (Ian Stone), Jaime Murray (Medea), Christina Cole (Jenny Walker), Michael Feast (Gray), Charlie Anson (Josh Garfield), Michael Dixon (Brad Kopple), George Dillon (arbitro), Marnix Van Den Broeke, Jeff Peterson (mietitori), Andrew Buchan (Ryan), Bill Nash (uomo terrorizzato), Anthony Warren (Carl), Jason Steadman (pedone), Jason Durran (uomo che aspetta alla cabina telefonica), Tom Bodell (passeggero dell’ascensore), Jonathan Magnanti (tassista), Roger Monk (senzatetto), James Bartle (teenager), Clive Perrott (mietitore/dottore), Jack Patrick Montgomery (ragazzino), Morislav Rakovan (giocatore di Hockey) Durata: 87’ Metri: 2400 Regia: Dario Piana Produzione: Brian J. Gilbert, Ralph Kamp, Stan Winston per SWFX/Isle of Man Film Commission/Odyssey Entertainment/ Stan Winston Productions Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 18-7-2008; Milano 18-7-2008) Soggetto e sceneggiatura: Brendan William Hood Direttore della fotografia: Stefano Morcaldo Montaggio: Celia Haining Musiche: Elia Cmiral Scenografia: Amanda McArthur Costumi: Nancy Thompson Produttori esecutivi: Steve Christian, Brendan Hood Direttore di produzione: Jennifer Wynne Casting: Carrie Hilton, Tamara Notcutt Aiuti regista: Martin Krauka, Simon Downes, Nick Starr Art director: Gerard Bryan Arredatore: Bridget Menzies Trucco: Susie Munachen, Alison Elliott U ltimi secondi di una partita di hockey. Ian Stone tira e segna, ma l’arbitro decreta il match concluso due secondi prima del punto finale: la sua squadra perde. A consolarlo c’è la sua ragazza Jenny, alla quale confida di sentirsi inquieto. Dopo averla accompagnata in macchina a casa, si trova davanti ai binari della ferrovia. Chiama l’ambulanza per un barbone morto sul ciglio della strada. Il timer della macchina si ferma. Ian viene scaraventato fuori dalla macchina da una creatura che lo uccide atrocemente. Ian si sveglia in ufficio. Apparentemente sta bene e non ricorda niente. Jenny gli porta un’enorme quantità di lavoro da svolgere. I due sembrano solo amici. Tornando a casa, vede un collega colto da infarto che viene soccorso da diverse persone, fra cui un uomo identico all’arbitro che sem- bra succhiare la vita dal moribondo. Ad attenderlo a casa, c’è Medea con la quale convive. Incuriosito dalla somiglianza fra l’arbitro e l’uomo della strada, prende l’annuario universitario: non figura fra i giocatori di hockey. Il giorno seguente, viene fermato da un uomo che si ricorda delle sue partite e che gli rivela di essere braccato da alcuni demoni che ogni giorno lo uccidono, per poi relegargli una nuova vita e ucciderlo nuovamente. Ogni volta che si ferma il tempo, loro arrivano. Un ultimo ammonimento: deve salvare Jenny. L’uomo viene rapito dai demoni ed Ian corre a casa da Medea in preda al panico: l’orologio è fermo. È Medea a ucciderlo; lei è una di loro. Ian si sveglia mentre guida un taxi. la sua cliente è Jenny. Dopo averla lasciata a destinazione, si ricorda dell’Uomo e delle 47 sue parole. È troppo tardi. L’orologio si ferma; arrivano per ucciderlo di nuovo. Altro ufficio. Ian aspetta Jenny ora consulente del lavoro. Guardandola, ricorda tutto. L’orologio si ferma. Scappa, ma viene ucciso di nuovo. Medea, che è sempre presente, sembra essere il capo dei demoni. Ian si sveglia in un appartamento. Una siringa con l’ultima dose è ancora nel braccio. La musica è a tutto volume. Jenny è la vicina. Il ragazzo riesce a raggiungerla nel suo appartamento. Riesce a convincerla delle sue buone intenzioni pronunciando una frase che Jenny gli diceva a ogni incontro di ogni vita. Ora anche lei ricorda tutto. I demoni li trovano. I due sono costretti a rifugiarsi nella metro. Mentre Jenny dorme, Ian viene nuovamente avvicinato dall’Uomo, che è un demone. Gli confi- Film da che quei demoni sono i Mietitori, esseri che si nutrono della paura un secondo prima di una morte violenta. Prima erano Angeli della Morte, ma corrotti dal potere e dalla paura, sono diventati assassini. Ian era uno di loro. Lei è l’unica speranza di salvezza. Medea li trova e, pur di non uccidere Jenny, a cui inizia ad aspirare la paura, Ian si getta sotto al treno. Ospedale. Il ragazzo è legato a un letto. Jenny è la sua infermiera. Medea e i suoi lo torturano, cercano di convincerlo a tornare con loro. Medea capisce che Jenny c’entra qualcosa col suo tradimento. A trovarlo, giunge l’Uomo, ormai in fin di vita, che gli confida d’essersi innamorato d’una donna che lo ha redento, ma che i Mietitori l’hanno uccisa. Ian ricorda: amando Jenny ha avuto la forza di non uccidere più. L’uomo gli dice di nutrirsi di lui, per poter aver la forza di salvarla. Ian obbedisce. Tornato demone, uccide tutti quelli che tentino d’ammazzare Jenny. Comprende infine le parole del vecchio: ferisce Jenny e Medea muore. Ian bacia Jenny dicendole che non ricorderà niente e che la ama. Ultimi secondi della partita di hockey. Ian segna. La sua squadra vince. Ad aspettarlo c’è Jenny. Prima di andare a cena fuori con lei, Ian uccide l’arbitro-demone. Tutti i film della stagione F irmato da Dario Piana, Le morti di Ian Stone, è un film che potenzialmente racchiude buone idee ma che purtroppo, a livello di sceneggiatura, non sono state sfruttate a dovere. Forse perché ci si aspettava qualcosa di più psicologico, magari perché i sicari di Medea fanno tanto brutta copia degli Agenti Smith della trilogia di Matrix (stessi cappotti e occhiali), o per i Mietitori che ricordano fin troppo i Dissennatori di Harry Potter; non è una storia che coinvolge e, cosa ancor più grave, passa indenne. Lo stato di incoscienza in cui si trova Ian funziona solo nella prima parte, ossia, finchè dopo la prima morte, l’uomo-demone inizia a rivelargli, incontro dopo incontro, tutta la sua storia. Ma perché? Ian non fa nulla. Tutto gli casca addosso. Non c’è il brivido di scoprire assieme a lui cosa è capitato nella sua vita, tanto arriverà sempre il suo mentore a spiegargli ogni cosa. Senza contare che manca completamente una graduale accettazione, da parte del protagonista, della sua reale condizione di vittima dei demoni. Nel film Dark City (1998), in cui un po’ si respira la stessa atmosfera, il protagonista invece, compie diversi passi prima di giungere alla risoluzione del nodo gordiano. Questa forza dell’amore tanto decantata nel film, che dovrebbe spingere i demoni ad allontanarsi dalla loro esistenza di dannazione, non funziona. Jenny dovrebbe essere il grande amore della vita di Ian; nonostante ciò il ragazzo non la ricorda mai. Nessun flashback, nessun brivido o emozione nell’incontrarla ogni volta. Persino quando Ian ricorda d’amarla non viene mostrato in nessun modo il primo incontro fra i due; evento cardine che ha fatto innescare tutta la storia. Un finale che non è ben spiegato. Ian uccide la donna che ama proprio per salvarle la vita. Molto catartico, estremamente drammatico, però non si comprende il perché Medea esploda nello stesso istante. Da qui si dipanano poi altre domande che non trovano risposta. Ad esempio, non viene spiegato perché Ian uccida il primo demone, o come possa trovare l’energia per eliminare i suoi simili; Medea, pur amando Ian senza esserne ricambiata, fa in modo che Jenny sia l’unica costante di ogni sua nuova esistenza. Infine, Ian si sveglia sempre alle 5 e 03 sia di giorno che di notte; cosa che non avrà il minimo sviluppo o riscontro per tutto il film. Il bravo Mike Vogel (Cloverfield, Poseidon) e la buona prova registica di Dario Piana non servono a salvare Ian Stone. Che delusione. Elena Mandolini REDBELT (Redbelt) Stati Uniti, 2008 Coordinatore effetti speciali: Tennis Dion Supervisore effetti speciali: David Altenau Supervisore costumi: Robin McMullan Interpreti: Chiwetel Ejiofor (Mike Terry), Alice Braga (Sondra Terry), Emily Mortimer (Laura Black), Joe Mantegna (Jerry Weiss), Rebecca Pidgeon (Zena Frank), Tim Allen (Chet Frank), John Machado (Ricardo Silva), David Paymer (Richard), Jennifer Grey (Lucy Weiss), Max Martini (Joe Collins), Matt Cable (combattente dell’Accademia), Jose Pablo Cantillo (‘Snowflake’), Cathy Cahlin Ryan (Gini Collins), Luciana Souza (cantante nel bar), Cyril Takayama (il Mago), Scott Barry (Billy il barista), Ricky Jay (Marty Brown), Randy Couture (Dylan Flynn), Ricardo Wilke (Eduardo), Caroline de Souza Correa (Monica), Jack Wallace (proprietario del bar), Dennis Keiffer (rissoso nel bar), Rob Reinis (poliziotto), Dominic Hoffman (detective), Mike Genovese (sergente), Bob Jennings (Sammy), Kimko (guardia del corpo di Richard), Linda Kimbrough (Murphy), Jake M. Johnson, Michael Kenner Durata: 99’ Metri: 2740 Regia: David Mamet Produzione: Chrisann Verges per Sony Pictures Classics Distribuzione: Sony Pictures Releasing Italia Prima: (Roma 5-9-2008; Milano 5-9-2008) Soggetto e sceneggiatura: David Mamet Direttore della fotografia: Robert Elswit Montaggio: Barbara Tulliver Musiche: Stephen Endelman Scenografia: David Wasco Costumi: Debra McGuire Direttori di produzione: Mads Hansen Casting: Sharon Bialy, Sherry Thomas Aiuti regista: Cara Giallanza, Stephen E. Hagen, John Tagamolila, Ken Twohy, Yuko Ogata Operatore steadicam: Peter Rosenfeld Art director: Ray Yamagata Arredatore: Sandy Reynolds-Wasco Trucco: Scott Wheeler, Su zanne Diaz Acconciature: Nancy Morrison, Sheila Cyphers-Leake, Lori Guidroz M ike Terry gestisce insieme alla moglie Sondra una palestra nei sobborghi di Los Angeles dove insegna di jiu jitsu. Fedele ai suoi principi morali, Mike ha evitato il mondo dei com- battimenti a pagamento. Una sera, Laura Black, una giovane avvocatessa in stato di agitazione per la mancata assunzione delle sue medicine, entra nell’accademia. La donna impugna la pistola dell’agente di 48 polizia Joe, un allievo di Mike, e spara un colpo alla vetrata riducendola in frantumi. Quel danno all’accademia piove come una tegola sulla testa di Mike che ha problemi economici. Sondra costringe Mike a Film chiedere un prestito al fratello, Bruno Silva. Ma Mike scopre che l’uomo, proprietario di un locale e organizzatore di combattimenti, non ha pagato per mesi Joe, che lavorava come buttafuori nel suo locale. Mike convince Joe ad abbandonare il posto. Nello stesso momento, nel locale si trova il divo di Hollywood Chet Frank che viene casualmente coinvolto in una rissa. Mike interviene e lo salva. Nei giorni seguenti, Laura sistema il danno alla palestra e Mike riceve in dono un prezioso orologio Rolex e un invito a cena dall’attore Chet Frank. Mike consegna al poliziotto Joe la cintura nera di jiu jitsu e gli dona l’orologio appena ricevuto in regalo per compensarlo dei soldi non ricevuti al locale di Bruno. La cena con Chet, sua moglie Zena e il produttore Jerry Weiss è un successo. Zena mostra interesse per l’azienda di tessuti di Sondra, Chet è colpito dai racconti di Mike, dalla filosofia del jiu jitsu e dal rituale delle tre palline messo in atto prima di ogni combattimento. L’attore invita Mike sul set del suo film. Il giorno dopo, Chet chiede a Mike di diventare co-produttore del film per contribuire con le sue conoscenze sui combattimenti di jiu jitsu. Mike e Sondra sembrano sulla strada giusta per realizzare i loro sogni. Ma gli eventi precipitano. Joe viene sospeso dalla polizia perché sorpreso a impegnare un Rolex rubato, lo stesso che gli aveva dato Mike. Mike chiede al produttore spiegazioni sull’orologio ma l’uomo lo lascia da solo al ristorante. Sondra, che ha chiesto un cospicuo prestito da uno strozzino per ordinare dei tessuti per la nuova società con Zena, non riesce più a mettersi in contatto con la donna. Mike capisce di essere stato ingannato dal produttore che ha rubato le sue idee e le ha vendute a un organizzatore di combattimenti che sta per dar vita a una serata con un incontro principale tra il fratello di Sondra, il campione brasiliano Augusto Silva, e il giapponese Taketa Morisaki. L’incontro è stato organizzato per far vincere Morisaki, al fine di poter organizzare in seguito una rivincita ancora più vantaggiosa. Aiutato da Laura, Mike minaccia un’azione legale contro Jerry e la sua squadra. Gli organizzatori suggeriscono a Mike di abbandonare i suoi principi e accettare di partecipare all’incontro di contorno per vincere 50.000 dollari e ripianare i suoi debiti. Mike rifiuta, mentre Laura minaccia di portare gli organizzatori in tribunale. Gli eventi precipitano quando Joe, che ha giurato di non recare disonore alla scuola di Mike, si suicida. Ora Mike non ha altra scelta se non combattere per pagare i debiti e riaffermare il suo onore. Mike Tutti i film della stagione scopre che suo cognato Augusto Silva parteciperà a un incontro truccato, lasciando la vittoria a Morisaki. Jerry Weiss rivela a Mike che è stata la moglie Sondra ad averlo tradito con gli organizzatori, rivelando i particolari di quella notte sfortunata all’accademia che ha innescato quella serie di eventi. Mike se ne va rifiutandosi di combattere. Stimolato da Laura, Mike torna nell’arena affollata per far sapere che gli incontri organizzati non sono credibili, ma viene fermato dalla sicurezza e dai due fratelli di Sondra. Nel tunnel che porta all’arena, Mike affronta Augusto Silva fuori dal ring. Mike è il vincitore dell’incontro, ma per lui il vero successo è ricevere dal suo vecchio maestro di jiu jitsu al centro del ring la massima onorificenza, la cintura rossa. L a forza della mente prima della forza fisica. La forza di un uomo troppo retto, onesto, trasparente, per questo mondo, un mondo bene esemplificato dalla Los Angeles spesso buia e notturna dove ha luogo la vicenda; la L.A. dei sobborghi, delle palestre di arti marziali, dei locali dove si organizzano incontri e scommesse, cupi contraltari alla L.A. dei set cinematografici e delle ville di attori e produttori (una realtà che il Mamet drammaturgo-regista conosce meglio delle proprie tasche e il suo recente manuale sull’industria del cinema, “Bambi contro Godzilla”, ne è l’ultima testimonianza). Ancora un universo intricato, fatto di doppi giochi, inganni, tradimenti, menzogne, quello che Mamet disegna, ancora con un complesso gioco di scatole cinesi come già nella sua Casa dei giochi, ancora un gioco di truffe costruito a mosaico 49 che mette in scena i guasti dovuti al vizio numero uno della società americana (l’avidità del denaro) come nella sua Formula, ancora la corruzione del mondo del cinema come dalle parti di Hollywood, Vermont. Ancora Mamet, ancora una costruzione drammaturgica che si rivela congegno perfetto. Tra crisi economiche, incontri truccati, matrimoni fondati sull’inganno, il protagonista (cui presta il volto un perfetto Chiwetel Ejiofor, già visto in film come Inside Man di Spike Lee e American Gangster di Ridley Scott) compie un cammino dolorosissimo, una ‘via crucis’, un percorso tutto spirituale fatto di onestà e correttezza (sportiva e non). Un puro in un mondo impuro, sporco, lercio, come il denaro che circola lordato dalle molte mani attraverso cui passa, le (solite) mani ingorde di chi lavora nello show business. Qui si mette in scena un’arte marziale, ma si è ben lontani dalle altre pellicole del genere. Lo stesso regista ha dichiarato qual è stata la lezione più importante appresa dai suoi maestri di jiu jitsu: “un’idea della possibilità di una condotta morale corretta in ogni circostanza”. Una comprensione che era, ed è, secondo il drammaturgo “un forma perfetta di stoicismo moderno”. Ed ecco l’arena perfetta per mettere in scena “la rappresentazione di un eroe”, l’ennesimo teatrino delle apparenze dove tutti ingannano tutti. Il principio fondamentale di questa arte marziale, metà giapponese metà brasiliana, che ha colpito nel profondo Mamet (il regista è cintura blu di jiu jitsu), è che la comprensione sconfigge la forza. Un concetto filosofico, “non utilizzare più forza del necessario, perché la conoscen- Film za prevarrà sulla forza”. L’eroe solitario di Mamet vuole insegnare che “la competizione indebolisce il combattente”; egli addestra i suoi allievi non a competere ma a prevalere. Prevalere invece di competere. Sottile distinzione. Ed è questa la verità più profonda del suo credo e di tutto il film. Il suo protagonista è quasi un samurai, un uomo (nell’accezione più alta Tutti i film della stagione del termine) che sa dominare sé stesso perché sente una forza superiore. E il suo “voto di povertà” ne fa quasi un sacerdote: il sacerdote di una religione rigorosa che sarà costretto ad abbandonare il suo “voto” perché obbligato dal vile mondo che viviamo. E la resa dei conti finale in La casa dei giochi che è “l’arena”, dove si svolgono combattimenti e scommesse, è il suggello alla parabola morale e filosofica sul caso e i suoi oscuri percorsi. Una lezione che vola alto, altissimo, quella del regista e commediografo. Non resta che augurarsi che il messaggio del “suo” samurai non giunga troppo tardi. Elena Bartoni GRACE IS GONE (Grace is Gone) Stati Uniti, 2007 Operatore: Steven Hiller Operatore steadicam: William R. Nielsen Jr., Art director: Lisette Schettini Arredatore: Tanja Deshida Trucco: Denise Wynbrandt, Lisa Jelic, Karen Brody, Christina Carlson, Rosalind Jones-Crosby Acconciature: Denise Wynbrandt Supervisori musiche: Doug Bernheim, Doug Dearth Interpreti: John Cusack (Stanley Philipps), Shelan O’Keefe (Heidi Phillips), Gracie Bednarczyk (Dawn Phillips), Alessandro Nivola (John Phillips), Doug Dearth (Capitano Riggs), Doug James (cappellano Johnson), Dana Lynne Gilhooley (Grace Phillips), Emily Churchill (1° donna), Rebecca Spence (2° donna), Jennifer Tyler (3° donna), Susan Messing (4° donna), Zach Gray (ragazzo in piscina), Marisa Tomei (donna in piscina), Penny Slusher (‘Ear Piercer’), Mary Kay Place (donna al funerale), Katie Honaker (Voce di Grace Phillips), Ross Klavan, Robb Pruitt, Bill Timoney, Jennifer Bills (voci), Suzanne Lang (moglie del soldato), Jocelyn Wesler (cameriera) Durata: 85’ Metri: 2400 Regia: James C. Strouse Produzione: John Cusack, Grace Loh, Galt Niederhoffer, Celine Rattray, Daniela Lundberg Taplin per Plum Pictures/New Crime Productions/Benedek Films/Hart-Lunsford Pictures Distribuzione: 01 Distribution Prima: (Roma 1-8-2008; Milano 1-8-2008) Soggetto e sceneggiatura: James C. Strouse Direttore della fotografia: Jean-Louis Bompoint Montaggio: Joe Klotz Musiche: Clint Eastwood Scenografia: Susan Block Costumi: Ha Nguyen Produttori esecutivi: Paul Bernstein, Reagan Silber, Jai Stefan, Todd Traina Produttori associati: Carina Alves, Wes Jones Co-produttori: Roberta Burrows, Doug Dearth, Demetra Diamantopoulos, Marilyn Haft, Jessica LevinRiva Marker Direttori di produzione: Demetra Diamantopoulos, Vail Romeyn Casting: Mickie Paskal, Jennifer Rudnicke Aiuti regista: Curtis Smith, Stephanie Moore, Michelle Gonsiorek S tanley, caporeparto di un negozio d’articoli domestici, si prende cura delle figlie Heidi di dodici anni e Dawn di otto, mentre la moglie Grace, sergente dell’esercito, si trova al fronte iracheno. Con difficoltà cerca di affrontare i problemi giornalieri come Heidi che regolarmente si addormenta a scuola. Dawn, ogni giorno compie un rito: a un orario prestabilito, sia il suo orologio che quello indossato dalla madre suonano all’unisono consentendo a tutte e due di pensarsi nello stesso istante. Un giorno, i militari danno la notizia della morte di Grace. Stanley deve affrontare le due figlie; invece di dir loro la verità, propone un improvviso viaggio di piacere verso Enchanted Gardens, parco che da tempo Dawn vorrebbe visitare. Durante il viaggio, si fermano a casa della nonna paterna, dove invece trovano lo sbandato zio John, il quale confida alle nipoti che il motivo per cui il padre ha dovuto lasciare l’esercito, è per un ulteriore abbassamento alla vista (vi era entrato barando al test oculistico). John scopre che la cognata è morta e Stanley riesce finalmente a sfogare il suo dolore. Partono nuovamente. Trascorrono le giornate in macchina e le notti in piccoli motel. Stanley, ogni giorno, chiama casa per sentire il messaggio in segreteria registrato in precedenza da Grace e poter concedersi così l’illusione di parlare ancora con lei. Stanley scopre che Heidi, da quando la madre è partita per il fronte, ha seri problemi di insonnia. Il rapporto fra genitore e figlie continua a crescere, ma Heidi inizia a intuire che il padre le nasconde qualcosa di serio; in special modo quando ascolta un suo messaggio lasciato in segreteria per la madre. Giunti a Enchanted Gardens, trascorrono una giornata di divertimenti. Ora è giunto il momento di tornare a casa. Stanley ferma improvvisamente la macchina; in riva al mare finalmente parla alle sue figlie. I tre cercano di farsi forza a vicenda. Il giorno del funerale è Heidi a dire il discorso funebre per salutare Grace. Davanti alla tomba Stanley e le figlie compiono insieme il rituale di Dawn. 50 Q uasi ottantacinque minuti di attesa. Così si potrebbe riassumere il film di James C. Strouse. Un’attesa che ci porta a scoprire in che modo e quando Stanley avrà il coraggio di dire la scomoda verità alle sue figlie. Il dramma e la tragedia che irrompono improvvisamente nella vita di questa famiglia impregna tutto il film, senza però sfociare in melismi o in scene troppo patetiche. Gran pregio. Non a caso, Grace is gone ha vinto il Premio Speciale del Pubblico al Sundance Festival. Il dolore che Stanley affronta è un qualcosa di interiore che viene manifestato attraverso piccoli gesti, come il giocherellare con la fede, o ascoltare il messaggio della segreteria di casa pur di sentire la voce della moglie, di cui non conosceremo mai l’aspetto. Sia quando Stanley apprende la notizia della morte di Grace, che quando ne parla alle figlie, il dialogo và sfumando donandoci la sensazione di alienazione, di non accettazione della realtà facendo altresì eliminare frasi che magari risulterebbero banali e scontate. Film La sua angoscia nel rivelare la notizia a Heidi e Dawn cresce di minuto in minuto e così accade a chi guarda il film; soprattutto nella sequenza delle giostre, dove il padre si diverte assieme alle figlie. Stanley deve anche affrontare il suo senso di colpa: è lui che doveva morire al fronte e non Grace. La durata del film è perfetta; se fosse stato più lungo avrebbe perso di pregnan- Tutti i film della stagione za e significato. Tutto viene detto esaustivamente in quegli ottantacinque minuti. Il passato di Stanley emerge tramite i ricordi del fratello, o i suoi racconti alle figlie, delineando così un uomo che un tempo era pieno di vita, spiritoso e idealista, che si ritrova a vendere oggetti per la casa, con lo sguardo spento di chi sogni non ne ha più. Una colonna sonora semplice e scarna accompagna la prova attoriale di John Cusack (La sottile linea rossa; Essere John Malkovich), qui in grande forma, che sottolinea alcuni momenti emozionali più forti. Un film che ci racconta un America dove sono anche le madri a dover partire per il fronte e lasciare i mariti a badare alla casa e i figli. Un film che commuove senza bisogno di eccessi narrativi. Elena Mandolini NO PROBLEM Italia, 2008 Regia: Vincenzo Salemme Produzione: Valeria Esposito, Marina Berlusconi per Chi è di scena/Medusa Film. In collaborazione con Sky Distribuzione: Medusa Prima: (Roma 10-10-2008; Milano 10-10-2008) Soggetto: Vincenzo Salemme Sceneggiatura: Vincenzo Salemme, Ugo Chiti. Con la collaborazione di Alessio Venurini Direttore della fotografia: Giuseppe Lanci Montaggio: Luca Montanari Musiche: Gigi D’Alessio Scenografia: Cinzia Lo Fazio Costumi: Mariano Tufano Suono: Maurizio Argentieri A rturo Cremisi è il padre ideale di una fortunata serie televisiva dal titolo ‘Un bambino a metà’. L’altro protagonista è il biondo Federico. Nella serie, tra padre e figlio, un amore sconfinato. Nella realtà, un’aperta e dichiarata competizione. A curare la carriera di Federico è la madre Barbara, press agent di ferro, con conoscenze importanti nelle stanze del comando. Una da tenersi stretta, come non manca di raccomandare Enrico Pignataro, traffichino e dialetticamente scorretto agente di Arturo. Un giorno, nella vita di Arturo entra in scena Mirko, sei anni, minuto, capelli scuri, uno sguardo impaurito, quasi implorante. Chiama Arturo papà, è convinto che sia davvero lui suo padre. Arturo scopre che si tratta di un bambino orfano di padre e, vivendo solo con la madre Barbara, identifica in Arturo il padre che gli manca. A complicare la bella storia ci si mettono, però, diversi personaggi; primo fra tutti Enrico Pignataro, che vede in questa vicenda una fonte di guadagno con settimanali e rubriche televisive, provocando la rabbia della mamma Barbara per l’eccessiva esposizione mediatica del figlio Mirko. Arturo, sentitosi in colpa, impone la propria presenza a madre e figlio, finendo per subire anche Interpreti: Vincenzo Salemme (Arturo Cremisi), Sergio Rubini (Enrico Pignataro), Giorgio Panariello (Antonio), Aylin Prandi (Irene), Iaia Forte (Barbara), Cecilia Capriotti (Eva), Anna Proclemer (Aurelia), Oreste Lionello (sig. Paino), Giacomo Furia (Galeazzo), Leonardo Bertuccelli (Mirko), Giulio Maria Furente (Federico), Teresa Del Vecchio (sarta), Paola Minaccioni (truccatrice), Rosalia Porcaro (parrucchiera), Daniela Marazita (psicologa Tv), Asoka Dewamunege (Ronnie), Marco Marelli (marchese), Loretta Rossi Stuart (marchesa), Massimiliano Gallo (nipote aggressivo), Nicola Acunzo (sceneggiatore), Fabrizio Ceccarelli, Francesco Ceccarelli (gemelli), Renato Marchetti (regista), Federico Pacifici (produttore) Durata: 98’ Metri: 2700 quella dello zio di Mirko, Antonio, schizofrenico in libera uscita dall’istututo di igiene mentale. Arturo comincia a provare più di un sentimento di facciata verso Barbara, e comincia a illudersi che possa davvero costituirsi una famiglia tra loro. Ma gli ostacoli non mancano, a partire dai debiti contratti da Barbara per la casa, che non può più assolvere, all’orgoglio della ragazza che non vuole aiuto da nessuno. A causa di Pignataro, l’esposizione mediatica di Mirko continua, e Barbara furiosa se ne va con lui. Per Arturo, rimasto solo, è l’inizio di una solitudine umana e artistica: la soap, terminato il quarto d’ora di celebrità dovuto al “caso Mirko”, non ha più bisogno di lui e gli autori cancellano il suo personaggio senza troppe cerimonie, come era, d’altronde, inizialmente previsto prima che l’apparizione del bambino sconvolgesse i piani. Arturo rivedrà Barbara e il bambino solo tempo dopo, per caso, su una spiaggia, in inverno: “Benvenuto nella vita vera”, è quel che gli dice lei. Forse non tutte le speranze di una vita insieme sono perdute. I l solito Salemme, quello di cui (talvolta) disquisiamo, senza sorprese e con la certezza di trovarsi di fron51 te a quello che potenzialmente si immaginava. E allora perché, alle soglie del duemiladieci, continuare a stupirsi, o cercare di evocare una plateale indignazione verso il rassegnato becerume di certo cinema italiano? Non ne vale la pena, dovrebbe essere un discorso trito e ritrito e in più si corre anche il rischio di non comprendere, colposamente, la legittima necessità di farsi due risate per divertirsi da parte dello spettatore, arrivato lessato al weekend, a cui non possiamo che fare i migliori auguri in occasione dell’ultimo film di Vincenzo Salemme. Il quale, dall’inaspettato successo di pubblico dell’esordio L’amico del cuore, propone da quindici anni canovacci consueti quanto rassicuranti, ben lungi -intendiamoci - dagli infimi livelli cui certo cinema nostrano ci ha abituato. Particolarità dell’autore/attore napoletano è il recupero di una tradizione comica partenopea che non prescinde chiaramente da Totò e Peppino, provando a nobilitarsi costantemente con l’affermazione e l’insistenza di una mimica e messa in scena di estrazione puramente teatrale. Ovvero, le origini del comico Salemme, mai rinnegate e a ogni occasione, com’è giusto, orgogliosamente rivendicate. Film Altra peculiarità del cinema di Salemme è l’idea di partenza su cui si appoggia l’intero film, sempre un paradosso forte e ai limiti del verosimile (come il trapianto d’occhi di Amore a prima vista). Questa volta, il Tutti i film della stagione protagonista Arturo, attore anche nella pellicola, si trova a che fare con un bambino che si chiama come il figlio della fiction che sta interpretando, ed è convinto che lui sia realmente suo padre. Un equivoco che lo porterà a capire il senso della paternità e la differenza tra vita e finzione scenica. Tematiche piuttosto alte, che restano sempre sulla carta. Perché si preferisce ricorrere sempre alla battuta facile (spesso, non la più divertente), alle generose scollature della bella ma meno che comprimaria, Cecilia Capriotti, a gag e ritmi da teatro che inesorabilmente fanno andare alla deriva qualsiasi tentativo (sulla carta presente) di parlare d’altro. E la totale assenza sui manifesti del benché minimo dettaglio sulla trama (con la fuorviante presenza di una bomba in procinto di esplodere) è tristemente indicativo di quanto ciò che si va a vedere possa importare a produzione, distribuzione e – in fin della fiera – anche all’autore, a tratti ben lieto di sovrapporsi senza sbavature ai pieraccionismi di fine millennio (ovvero gli stessi di inizio millennio). L’importante sono le facce di chi ci recita, e quelle ci sono tutte. Le stesse da un po’ a questa parte, ma, finché non ci si stanca, no problem. Gianluigi Ceccarelli JOSHUA (Joshua) Stati Uniti, 2007 Arredatore: Amanda Carroll Trucco: Sharon Ilson Acconciature: Colleen Callaghan Interpreti: Sam Rockwell (Brad Cairn), Vera Farmiga (Abby Cairn), Celia Weston (Hazel Cairn), Dallas Roberts (Ned Davidoff), Michael McKean (Chester Jenkins), Jacob Kogan (Joshua Cairn), Nancy Giles (Betsy Polsheck), Linda Larkin (Ms. Danforth), Alex Draper (Stewart Slocum), Stephanie Roth Haberle (pedriatra), Ezra Barnes (Fred Solomon), Jodie Markell (Ruth Solomon), Rufus Collins (Henry Abernathy), Haviland Morris (Monique Abernathy), Tom Bloom (Joe Cairn), Antonia Stout (Dipendente del Museo), Randy Ryan, Evan Seligman (Compagno di football), Patrick Henney (ragazzo che canta), Gurdeep Singh (Cabbie), Nicholas Guidry (corriere in bici), Darrill Rosen (senzatetto), Daniel Jenkins (Ministro), Erik Solky (cliente parcheggio), Shianne Kolb, Lacey Vill (Lily Cairn), Randy Ryan, Evan Seligman Durata: 106’ Metri: 2880 Regia: George Ratliff Produzione: Johnathan Dorfman per ATO Pictures Distribuzione: Twentieth Century Fox Prima: (Roma 11-7-2008; Milano 11-7-2008) V.M: 14 Soggetto e sceneggiatura: David Gilbert, George Ratliff Direttore della fotografia: Benoît Debie Montaggio: Jacob Craycroft Musiche: Nico Muhly Scenografia: Roshelle Berliner Costumi: Astrid Brucker Produttori esecutivi: Temple Fennell, Dan O’Meara Produttore associato: Thomas Fatone Co-produttore: George Paaswell Direttore di produzione: Bergen Swanson Casting: Patricia Kerrigan DiCerto Aiuti regista: Thomas Fatone, Patrick Gibbons, Kim Thompson Operatore: Manuel Billeter Art director: Katya DeBear H a solamente nove anni, Joshua. Pianista provetto, poco incline ai giochi e agli sport come tanti suoi coetanei, accoglie con silenziosa sofferenza la nascita della sorellina minore, ora oggetto delle amorose attenzioni dei genitori, dei nonni e dello zio materno, apprezzato concertista. È disposto a tutto, il ragazzino, pur di riconquistare l’affetto secondo lui negato. E lo farà nella maniera più inquietante possibile: all’inizio turban- do il sonno della neonata, che da quel momento in poi segnerà le notti di Abby e Brad, agiata coppia borghese che, per la seconda volta, teme di dover affrontare quanto già passato con l’infanzia di Joshua, bambino con non pochi problemi sin dalla nascita. Che, dopo aver scoperto – attraverso un video fatto in casa – le sofferenze causate alla madre, poi vittima di una profonda depressione, cerca di riportare in vita quella situazione, non foss’altro per 52 evitare che la sorellina venga amata di più perché meno problematica. E allora esaurimento in vista per Abby, inutilmente supportata dal superficiale Brad e, come se non bastasse, trasferimento di gran carriera dell’odiosa madre di lui, superbamente convinta di poter dare una mano, ma ulteriore elemento in più per accelerare la progressiva, e fatale, disgregazione del nucleo familiare. Sarà proprio durante una passeggiata con i due nipotini, in- Film fatti, che l’anziana signora ci rimetterà la vita, spinta giù per la scalinata di un museo da Joshua che, subito dopo, fingerà disperazione per la morte della nonna. I sospetti di Brad diventano, poco a poco, certezze: rimasto a casa da solo con i due figli, a causa del ricovero in una clinica psichiatrica della moglie, inizia a isolare Joshua, tenendolo il più lontano possibile dalla sorella: prima dovrà soccombere a un suo abile stratagemma, che porterà una psicologa infantile a crederlo vittima di abusi da parte del padre, poi scopre che il latte per la bambina è stato contaminato; infine arriverà alle mani – brutalmente e platealmente – di fronte all’ennesima provocazione del ragazzino. Ma sarà il suo più grande errore: a Central Park, in pieno giorno, l’eccessiva violenza di Brad non passerà inosservata. Con la madre in riabilitazione e il padre in attesa di giudizio, Joshua viene affidato allo zio, fino a quel Tutti i film della stagione momento totalmente estraneo alla sua macchinazione: basterà mettersi al pianoforte con lui, e comporre una nuova canzone, per iniziare a sospettare qualcosa di più su quel temibile fanciullo. E sordio al lungometraggio di finzione per il documentarista George Ratliff, Joshua potrebbe essere considerato un Incompreso in versione thrilling: insinuando nello spettatore sin da subito il disagio e, conseguentemente, le intenzioni del giovane protagonista (davvero inquietante la mise del piccolo Jacob Kogan), il film cede troppo spesso alle lusinghe di spaventevoli atmosfere, rischiando più volte di scivolare verso derive horror e “spiritiste” che poco hanno a che vedere con la reale inclinazione servita dal soggetto in origine. I modelli di riferimento si sprecano, cinematograficamente parlando, se si dovesse pensare alla commistione di insta- bilità infantile e tensione del nucleo familiare: in tal senso, il lavoro di Ratliff ben sottolinea il progressivo sfaldarsi di un nucleo che, scopriamo in corso d’opera, già qualche anno prima aveva seriamente rischiato lo sfascio, è, in questo, ben supportato dalla discreta prova di due attori come Sam Rockwell (diretto successivamente dal regista in End Zone, ancora in fase di postproduzione) e Vera Farmiga, scoperta qualche anno fa grazie a The Departed di Martin Scorsese, tutto sommato bravi a mantenersi in costante, traballante equilibrio sul filo del baratro. Come detto, però, a farla da padrone è il personaggio che dà il titolo al film: imperscrutabile e subdolo, Joshua trova giusta corrispondenza con la perfetta interpretazione di Jacob Kogan, purtroppo doppiato dall’ormai insopportabile voce del tredicenne Alex Polidori. Valerio Sammarco SAVAGE GRACE (Savage Grace) Spagna/Stati Uniti/Francia, 2007 Casting: Laura Rosenthal Aiuto regista: F. Javier Soto Art director: Deborah Chambers Trucco: Ana Lopez Puigcerver, Susan Reilly LeHane Acconciature: Bélen Lopez Puigcerver, Jerry Popolis Suono: Juan Borrell Interpreti: Julianne Moore (Barbara Daly Baekeland), Stephen Dillane (Brooks Baekeland), Eddie Redmayne (Tony Baekeland), Elena Anaya (Blanca), Unax Ugalde (Black Jake), Belen Rueda (Pilar Duran), Hugh Dancy (Seth), Peter Vives Newey (Mishka), Anne Reid (Nini Daly), Hugh Dancy (Sam Green), Simon Andreu (Jean Pierre Souvestre), Jim Arnold (Joost Van Den Heuvels), Mapi Galan (Simone Lippe), Martin Huber (Aschwin Lippe), Lina Lambert (Missy), Minnie Marx (Midge Van Den Heuvels), Barney Clark (Tony bambino), Abel Folk (Carlos Duran), Brendan Price (PC Roberts), Durata: 97’ Metri: 2548 Regia: Tom Kalin Produzione: Pamela Koffler, Iker Monfort, Katie Roumel, Christine Vachon per ATO Pictures/Killer Films/Montfort Producciones. In coproduzione con A Contraluz Films Distribuzione: Bim Prima: (Roma 20-6-2008; Milano 20-6-2008) V.M.: 14 Soggetto: dal libro omonimo di Natalie Robins e Steven M.L. Aronson ispirato a una storia vera Sceneggiatura: Howard A. Rodman Direttore della fotografia: Juan Miguel Azpiroz Montaggio: John F. Lyons Musiche: Fernando Velazquez Scenografia: Victor Molero Costumi: Gabriela Salaverri Produttori esecutivi: Johnathan Dorfman, Temple Fennell, Stephen Hays, Hengameh Panahi, John Wells Produttore associato: Howard A. Rodman Co-produttori: Alberto Aranda, Xavier Granada Direttore di produzione: Nicolas Tapia N ew York, 1946. Ex-attricetta, la bella e arrivista Barbara Daly ha sposato Brooks Baekeland, erede della dinastia della bakelite, e gli ha dato un figlio, Anthony. Passano gli anni e, tra Parigi, Cadaqués, Palma di Maiorca, Londra, la coppia è sempre più in crisi mentre, Tony si scopre omosessuale. Quando Brooks la lascia per la giovane Blanca (una ex ragazza di Tony), Barbara sprofonda lentamente nella follia e sviluppa con Tony un rapporto sempre più stretto e morboso. Di fronte all’omosessualità del figlio, Brooks sceglie la fuga e l’indifferenza, mentre Bar- bara cercherà in tutti i modi di risvegliare nel figlio l’interesse per le donne, arrivando alla fine persino all’incesto. Quest’ultimo atto sconvolge la già fragile mente di Tony che la uccide con un coltello da cucina. Didascalie finali rivelano che il ragazzo sarà prima internato nel manicomio criminale di Broadmoor, vicino Londra, per poi essere trasferito nel carcere di Rikers Island, dove muore suicida nel 1981. S avage Grace, ovvero, quando la realtà supera la finzione. Tratto dall’omonimo libro di Natalie Ro- 53 bins e Steven M. L. Aronson, Savage Grace è la storia vera (e di romanzato c’è poco, purtroppo) del giovane folle Anthony Baekeland e dei suoi genitori, diretta da Tom Kalin. Già autore, nel 1992, del notevole Swoon (rifacimento in chiave moderna di Nodo alla gola di Hitchcock), Kalin porta sullo schermo una storia quanto mai disturbante, soprattutto in virtù del suo essere storia vera, ma nel narrarla si abbandona a leziosismi eccessivi e baroccheggianti esercizi di stile, che rendono il film vacuo e patinato, tra un susseguirsi di locations, meravigliosi cambi Film d’abito vintage per Julienne Moore e sequenze ‘scandalo’, ideate con il chiaro intento di épater le bourgeois. La materia incandescente e drammatica, che sta alla base della tragedia morale ed esistenziale della famiglia Beakeland, è come raffreddata nelle mani del regista. L’occhio della macchina da presa di Kalin è assolutamente avulso da qualsiasi forma di giudizio, si limita solo ad esporre fatti e conseguenze ma si ha come l’impressione che il regista si sia concentrato solo sulla superficie del quadro riempiendolo di tutto quello che ‘fa’ decadente e morboso, neanche fosse il Visconti del nuovo millen- Tutti i film della stagione nio, troppo preoccupato a eliminare sussulti melodrammatici, in un susseguirsi di eventi sempre più catastrofici, a cui però i personaggi non riescono a porre freno, scivolando sempre più nella follia e nell’abiezione. Il peso del film poggia, così, sulle esili spalle del giovane protagonista Eddie Redmayne e sull’isterismo ben temperato di Julienne Moore. E l’unico motivo di essere di Savage Grace è proprio l’interpretazione della Moore, che rimane attrice di classe e talento anche alle prese con un personaggio come questo, riuscendo a non cadere nella trappola del ridicolo involontario e del grottesco, dove invece incappa qualche volta, per inesperienza e assenza di un regista valido anche come direttore d’attori, Eddie Radmayne. La figura del padre assente e incapace di accettare questo figlio così diverso e fragile è poveramente interpretata da Stephan Dillane, che non riesce a dare il giusto peso a un personaggio, sì debole caratterialmente, ma che forse poteva essere affrontare in maniera diversa. Nel ruolo della giovane amante spagnola, fa mostra la bella Elena Halaya, già protagonista di Lucia y el sexo. Chiara Cecchini ALEXANDRA (Aleksandra) Russia/Francia, 2007 Regia: Aleksandr Sokurov Produzione: Laurent Danielou, Andrey Sigle per Proline Film/ Rézo Productions. Con il sostegno della Russian Federation of Cinematography e del Centre National de la Cinématographie Distribuzione: Movimento Film Prima: (Roma 30-5-2008; Milano 30-5-2008) Soggetto e sceneggiatura: Aleksandr Sokurov Direttore della fotografia: Aleksandr Burov Montaggio: Sergei Ivanov Musiche: Andrey Sigle Scenografia: Dmitri Malich-Konkov A lexandra Nikolaevna si reca in visita dal nipote, appartenente all’esercito russo di stanza in Cecenia. Il viaggio della donna, per lo più su mezzi militari, è lungo e faticoso; la rozza gentilezza dei suoi accompagnatori in divisa sembra mitigare la stanchezza soltanto in parte. Anche la sistemazione, una volta giunta al campo, è scomoda e spartana, ma Alexandra dimentica ogni sofferenza quando, al risveglio, scopre il nipote – giunto nottetempo – che dorme nella brandina accanto alla sua. Tra i due, che non si vedono da sette lunghissimi anni, è un tripudio di abbracci e carezze, ma il cuore della donna è attraversato da dubbi e preoccupazioni, riguardanti il futuro del giovane (ha mai pensato a una moglie, a una famiglia?) e le sue necessità quotidiane: cose semplici, come la qualità del cibo e la possibilità di poter lavare se stesso e i propri indumenti. Mentre il nipote è impegnato nel suo lavoro di perlustrazione del territorio con annessi scontri e combattimenti, la donna si aggira nel campo, incontrando giovani soldati che paiono abbandonati a loro stessi e imbattendosi in divieti militari e zone inter- Costumi: Lidiya Kryukova Produttore esecutivo: Dmitry Gerbachevsky Trucco: Zhanna Rodionova Sonoro: Vladimir Persov Effetti visivi: Alexey Goussev, Oleg Muranov Interpreti: Galina Vishnevskaya (Alexsandra Nikolaevna), Vasily Shevtsov (Denis), Raisa Gichaeva (Malika), Andrei Bogdanov, Alexander Kladko, Aleksei Nejmyshev, Rustam Shahgireev, Evgeni Tkachuk Durata: 95’ Metri: 2800 dette. Il suo atteggiamento, una via di mezzo tra il piglio combattivo della donna che dalla vita ha avuto troppe sofferenze e la dolcezza della madre saggia e paziente, conquista inesorabilmente tutti. Al terzo giorno di permanenza, sfidando ogni precauzione e divieto, la donna si reca nel vicino villaggio per compiere acquisti, per lo più sigarette e dolciumi per i militari. Gli abitanti del luogo, donne e ragazzi (ancora troppo giovani per essere arruolati), le dimostrano ostilità, anche facendo finta di non comprendere le sue parole. Un’anziana, coetanea di Alexandra, è l’unica a non tirarsi indietro a un suo improvviso malessere e la porta a casa sua, nel silenzio, tra lo sgomento generale. È proprio nell’abitazione poverissima ma dignitosa della donna che avviene la comunione sentimentale e intellettuale tra i loro mondi, diversi e per questo destinati a un conflitto che si preannuncia perenne. Al suo ritorno al campo, accompagnata dal giovane nipote della donna, Alexandra distribuisce gli acquisti tra i soldati, conquistandone definitivamente la simpatia. Il nipote, di ritorno da una missione, non dimostra invece di gradire le incursioni all’esterno della nonna. 54 La stanchezza e l’età impediscono ad Alexandra di muoversi con autonomia nel campo e la perdita dell’orientamento si annida dietro l’ennesima baracca identica a tutte le altre; eppure la caparbietà della donna è tale da farle rifiutare ogni aiuto, che ormai i soldati le offrono per sincera gentilezza, più che per cieca obbedienza all’ordine imposto dai superiori. Giunge infine il termine al tempo della visita. L’ombra della morte aleggia sul saluto tra nonna e nipote: l’età avanzata per lei e la guerra per lui potrebbero trasformare questo fugace incontro rubato al conflitto nell’ultimo. Alexandra lascia il campo così come era giunta, su uno scomodo treno militare che, con lentezza inesorabile, la riporterà in Russia, a casa. Ad accompagnarla al binario ci sono le donne del villaggio, con cui scambia promesse di rivedersi che chissà se, come e quando saranno mantenute. U na “Madre Russia” imperscrutabile, dignitosa, dolente e altera, pronta ad accogliere ogni figlio che vive nella sua terra e anche fuori di essa: in una donna che porta il suo nome, Film Sokurov incarna il presente del proprio paese, con le sue troppe contraddizioni e le poche certezze. Tra le tante realtà possibili, il regista sceglie la guerra, una necessità ereditata da un passato mai abbastanza lontano e mostrata nel suo vissuto quotidiano di noia, attesa, bucati malfatti e pasti frugali. Guerra che non viene mai mostrata, soltanto accennata, sussurrata nel montaggio di un mitra, nella visita del ventre di un carroarmato, nell’uscita dal campo di una lunga fila di mezzi blindati – esibita per intero, nella sua prassi quasi burocratica - per una non meglio specificata missione, nell’uccisione di un nemico che deve essere catalogata come un’eventualità possibile. Un nemico invisibile come gli indiani dei vecchi film americani, che non lascia tracce di sé, mai, neanche quando muore. Sokurov, che di un militare è figlio, dimostra di conoscere da vicino il dolore che causa la perdita di una vita umana, e dai suoi frequenti viaggi proprio in Cecenia ha assistito alle visite strazianti delle madri dei soldati che combattono al confine. Eppure, o forse proprio per questi motivi, una sorta di pudore gli impedisce di mostrare. Tutto accade fuori, lontano, altrove, cinematograficamente reso attraverso la dialettica campo/fuoricampo, sottolineato – soprattutto - dall’uso magistrale degli sguardi dei personaggi: talvolta assorti, più spesso annoiati, molte altre lontanissimi perché spauriti. A ergersi è principalmente lo sguardo di Alexandra, non un polveroso essere giudicante, bensì una “due volte mamma” che dall’alto della propria esperienza tenta di mettere insieme, poco per volta, un’opinione, attraverso le piccole cose del quotidiano che hanno scandito la sua vita, cercando una loro ricollocazione nel contesto più decontestualizzato e impenetrabile con cui abbia mai avuto a che fare, quel campo militare che tanto assomiglia a un fortino nel niente di un qualunque deserto. Si smarrisce, Alexandra, camminando tra i polverosi percorsi del campo, e il suo è il disorientamento della Russia intera. Attraverso di lei il regista può posare il suo sguardo, a torto e troppo semplicisticamente considerato in passato algidamente elitario, sulle piccole persone che fanno, e sono, la grande storia. Non solo trilogie sui grandi del potere, o virtuose danze tra le opere dell’Hermitage, dunque: Sokurov dimostra con questo film, che non esitiamo a definire intimo e universale allo stesso tempo, di aver raggiunto un equilibrio stilistico e narrativo quasi impeccabile. Perché suggerire senza mostrare, destinando tanto poco all’interno dell’inquadratura eppure dicendo tutto, assimila la Tutti i film della stagione sua opera oltre che al “solo” cinema anche al mondo e all’estetica della pittura. La sua è una visione del mondo che va ben oltre l’inquadratura, in quanto stimola l’occhio a guardare, immaginare e com- prendere al di là dei convenzionali confini della cornice. Proprio come avverrebbe con un dipinto. Manuela Pinetti LA NOTTE DEI GIRASOLI (La noche de los girasoles) Spagna/Francia/Portogallo, 2006 Regia: Jorge Sánchez-Cabezudo Produzione: Enrique Gonzalez-Macho per Alta Films. In coproduzione con The Film. In associazione con Backup Films Distribuzione: Istituto Luce Prima: (Roma 13-6-2008; Milano 13-6-2008) Sceneggiatura: Jorge Sánchez -Cabezudo Direttore della fotografia: Angel Iguacel Montaggio: Pedro Ribeiro Musiche: Krishna Levy Scenografia: Alberto Sánchez-Cabezudo, Diego Modino Costumi: Silvia Garcia Bravo Produttore esecutivo: Belén Bernuy Co-produttori: Luis Galvão Teles, Michael Gentile, Leonel Vieira Direttore di produzione: Sandra Hermida Aiuti regista: F. Javier Soto, Eva Ungria Operatore steadicam: Gorka Rotaetxe Trucco: Lola Lopez Acconciature: Itziar Arrieta Effetti speciali: David Campos, Pau Costa Effetti visivi: Antonio Inglott, Curro Munoz Suono: Vasco Pedroso Interpreti: Carmelo Gomenz (Esteban), Judith Diakhate (Gabi), Celso Bugallo (Amadeo), Manuel Moron (venditore), Mariano Alameda (Pedro), Vincente Romero (Tomas), Walter Vidarte (Amos), Cesareo Estebanez (Cecilio), Fernando SanchezCabezudo (Beni), Petra Martinez (Marta), Nuria Mencia (Raquel), Enrique Martinez (Julian), Mariano Peña (Rovira), Amalia Hornero (Rosa), Luis Mascarenhas (Federico), Luis Alberto (Valentin) Durata: 123’ Metri: 3300 55 Film L ’uomo del motel Un rappresentante di aspirapolvere viaggia in auto su una strada di campagna. Chiede a una ragazza a piedi indicazioni su un luogo dove pranzare. In quel momento, arriva il compagno della ragazza. Le intima di salire in macchina e lei dopo poco accetta. Il giorno dopo, lo stesso uomo incrocia un’auto fuoristrada con una ragazza a bordo. La segue su un sentiero nel bosco e le si avvicina. Prima prende le chiavi del fuoristrada e poi la aggredisce cercando di violentarla. Lei si divincola e tenta di fuggire in macchina. Mette in folle e lascia che il mezzo si muova da solo. Va a sbattere contro una pianta e comincia a suonare il clacson all’impazzata. L’uomo fugge. Gli speleologi Esteban, speleologo, viene invitato dal sindaco di un paesino collinare per valutare l’interesse paesaggistico di una grotta appena scoperta, in vista di uno sfruttamento turistico. L’assistente con cui lavora abitualmente è infortunato. Lo sostituisce Pedro, alla prima esperienza sul campo. Esteban chiama Gabi, sua moglie, per avvisarla che Pedro passerà da lei l’indomani per prendere cose utili per la perlustrazione della grotta. Il mattino dopo, però, arrivano sia Pedro che Gabi, che si sentiva sola e ha deciso di raggiungere il marito. Ci accorgiamo che Gabi è la stessa ragazza che ha subito violenza nel primo episodio. Gabi accompagna il marito e Pedro all’imbocco della grotta, si reca per qualche tempo al bar del paese e infine torna ad attendere i due speleologi. Il luogo è lo stesso dell’aggressione del primo episodio. Assistiamo infatti all’arrivo del rappresentante, alla colluttazione e al tentativo di fuga. Esteban e Pedro, uscendo dalla grotta, sentono le grida e il clacson e accorrono. Trovano Gabi ferita e in stato di shock. La donna racconta l’accaduto. Recuperano l’auto e si apprestano a tornare in paese. Poco più avanti, si imbattono in un uomo che cammina sul ciglio della strada. Gabi comincia a tremare perché è convinta che si tratti del suo violentatore. Non vuole però rivederlo in faccia. L’uomo sul sentiero Cecilio vive in un borgo semiabbandonato vicino al paese dei ritrovamenti geologici. Difende l’integrità del luogo contro l’idea del sindaco di trasformarlo in una località turistica. Fa dei lavori nell’orto e si avvia lungo un sentiero. Di fianco a lui sfila l’auto di Esteban, Pedro e Gabi, che si arresta poco più avanti. Cecilio cambia strada ma viene raggiunto e aggredito dai due speleologi. L’uomo si difende con Tutti i film della stagione un forcone e, raggiunta casa, con un fucile. Cecilio ferisce Esteban, Pedro istintivamente impugna il forcone e lo infilza. Cecilio ferisce anche Pedro ed è pronto a finirlo con una zappa. Esteban, impugnato il fucile, lo uccide. L’autorità competente Tomás, poliziotto, è sposato con la figlia del capo della polizia locale. Ha un’amante, che ogni volta si ripromette di lasciare. Una notte esce dalla villa di lei ubriaco per tornare a casa in auto. Sulla strada, viene fermato da Esteban, che gli racconta della violenza carnale subita dalla moglie e dell’omicidio da lui compiuto ai danni della persona sbagliata. Tomás si fa accompagnare sul luogo della tragedia. Dopo breve riflessione spiega che il vecchio viveva solo e non aveva nessuno. Propone di cambiare la versione dei fatti: simulare una partenza di Cecilio, far sparire il cadavere e sporgere solo una denuncia per incidente stradale. In cambio chiede dei soldi. Esteban è decisamente contrario, ma la moglie lo convince. Gettano il cadavere e una valigia piena di vestiti nella grotta visitata qualche ora prima. Poi si recano in caserma a denunciare l’incidente stradale. Amós il matto Amós è un tipo solitario che vive nel borgo di Cecilio. I due anziani litigano spesso, ma in fondo non possono fare a meno l’uno dell’altro. Amós ha un cane, che si ferisce con una tagliola di Cecilio. La sera, Amós va a protestare dall’amico. Lo chiama più volte senza ricevere risposta, entra in casa e lo trova in un angolo coperto di sangue. Fugge atterrito, si rifugia nel bosco dove resta per qualche ora, infine si reca alla stazione della polizia per sporgere denuncia. Amadeo, il capo della polizia, gli chiede di vedere il luogo. Il cadavere non c’è più. Amadeo chiede ad Amós di raccontargli cosa ha fatto durante quella notte. Amós dice di essersi recato in cimitero per parlare coi morti e poi di essersi diretto a casa di Cecilio. Ad Amadeo risulta difficile credere al vecchio, anche perché gli indizi in casa fanno propendere per una partenza improvvisa. Il caimano Amadeo però non è convinto della reale dinamica dei fatti. Prosegue nelle indagini e scopre che Cecilio aveva acquistato scorte alimentari per almeno un mese, non si è portato con sé dischi antichi a lui molto cari e il pomeriggio della scomparsa aveva lavorato nell’orto (quindi era partito a piedi, da solo e di notte, cosa molto strana per uno che vuole intraprende un viaggio). 56 Interroga Esteban per sapere se la notte dell’incidente avevano visto passare un uomo a piedi con una valigia, ma l’uomo nega. Peraltro nessun altro testimonia di averlo visto. Viene poi avvicinato da un paesano che dice di aver sentito Esteban parlare con la banca per farsi inviare dei soldi per comprare un agriturismo. Una notte Tomás si incontra con Esteban e gli altri per farsi dare i soldi pattuiti. Interviene Amadeo che brucia il denaro. Dice di non voler sapere nulla dell’accaduto e che accetterà di confermare la versione ufficiale (per proteggere la figlia e il bambino che sta per nascere), a patto che il gruppo degli speleologi abbandoni subito il paese. I l cinema spagnolo conferma di anno in anno uno stato di salute costante e una solidità inimmaginabile anche solo quindici anni fa. La principale riprova è data dal fatto che si riscontrano prodotti di natura e pretese molto differenziate, dal cinema d’autore puro a quello medio di qualità, da film dal respiro internazionale a lavori indirizzati prevalentemente al consumo interno, dal cinema di genere a quello impegnato socialmente e politicamente. Inoltre c’è da riscontrare la costante presenza di nomi e volti nuovi tra i registi. Dopo De La Iglesia, Amenábar e Salazar (l’autore di 20 centimetri), giusto per citare casi paradigmatici di tre diverse generazioni, è la volta di Sánchez-Cabezudo. Al di là di una struttura narrativa che contiene molti elementi caratteristici del genere noir (un ambiente apparentemente tranquillo che nasconde retroscena torbidi, un fatto di sangue, la ricerca della verità), mi pare che il regista sia in prevalenza concentrato a raccontare con sottigliezza tutte le frustrazioni di una provincia spagnola che fatica ad accettare il proprio ruolo marginale rispetto alla centralità della vita metropolitana. Sánchez-Cabezudo ha buon gioco nel mettere a contrasto la parte giovane della società, frustrata da una vita ai margini e pronta a tutto pur di rompere l’isolamento (il sindaco che vorrebbe trasformare il paese in una levigata località turistica, Tomás, cui non basta più una vita vissuta a metà strada tra moglie e amante) con il gruppo degli anziani, gelosamente legato alla tradizione e alla conservazione dello status quo (Amadeo piuttosto che Cecilio). La coppia di speleologi, Gabi e lo stupratore fungono da elementi perturbanti. La loro semplice presenza rompe gli equilibri instabili della piccola comunità e fa venire allo scoperto pulsioni a lungo represse. Paradossalmente le due forze con- Film trapposte reagiscono in modo simile, anche se con finalità diverse, al casuale tragico evento che rompe la monotona vita di provincia. Entrambe antepongono le ossessioni private alla verità (nonostante il ruolo rivestito), entrambe nascondono la realtà dei fatti dietro una maschera omertosa. Da un punto di vista formale l’aspetto più eclatante del film è la struttura temporale anacronica. Il tempo ha continui salti indietro e avanti che lo spettatore deve ricostruire senza l’aiuto di un punto di vista Tutti i film della stagione in soggettiva, di una voce fuori campo o di una didascalia chiarificatrice (come negli esempi classici, da Quarto potere a Rapina a mano armata). Il riferimento principale, qui, è forse più da ricercare nel Tarantino di Pulp Fiction o Le Iene. Le didascalie, innanzitutto, non danno indicazioni rispetto alla struttura narrativa, ma fanno riferimento ai personaggi. Il regista introduce ogni figura che ha un ruolo nel racconto come se volesse dare a ciascuno un proprio spazio privilegiato, anche se solo con pochi cenni di presenta- zione. Naturalmente, però, questo procedimento, oltre a mettere al centro dell’attenzione i personaggi più che l’azione, genera una percezione del tempo straniata nello spettatore, che fatica a orientarsi nella successione degli eventi. L’effetto è quello di rendere meno intelligibile l’accaduto, di mascherarne i contorni. Di sommergere, in altre parole, la verità sotto una coltre ottenebrante, un po’ come fanno i protagonisti con il cadavere di Cecilio. Fabio de Girolamo Marini DR. PLONK (Dr. Plonk) Australia, 2007 Art director: Beverly Freeman Arredatore: Phillip ‘Sunday’ Hopkins Trucco e acconciature: Beverly Freeman Supervisore effetti speciali e visivi: Jon Armstrong Suono: James Currie Interpreti: Nigel Lunghi (dr. Plonk), Paul Blackwell (Paulus), Magda Szubanski (Mrs. Plonk), Wayne Anthoney (Primo ministro Stalk), Quentin Kenihan (uomo sul tram), Mike Rann (Primo Ministro Short), Phoebe Paterson de Heer (cameriera), Josha Jaeger (poliziotto all’Orto Botanico), Jeff Lang (poliziotto della città), Nigel Martin (Dr.Plonk), Bogdan Koca Durata: 85’ Metri: 2350 Regia: Rolf de Heer Produzione: Rolf de Heer, Julie Ryan per Australian Film Finance Corporation/Vertigo Productions Pty.Ltd. Distribuzione: Fandango Prima: (Roma 4-7-2008; Milano 4-7-2008) Soggetto e sceneggiatura: Rolf de Heer Direttore della fotografia: Judd Overton Montaggio: Tania Nehme Musiche: Graham Tardif Scenografia e costumi: Beverly Freeman Produttori esecutivi: Bryce Menzies, Sue Murray, Domenico Procacci Direttore di produzione: Kate Croser Aiuto regista: David Wolfe-Barry N el 1907, nonostante il caos sovrano regnante nel suo laboratorio domestico, l’instancabile Dr. Plonk si confronta quotidianamente con gli enigmi della scienza, scervellandosi affinché la fatidica lampadina si accenda e la sua mente partorisca una nuova, rivoluzionaria idea. Un giorno, mentre intorno al suo posto di lavoro la moglie insegue il suo sordo assistente Paulus, che, a sua volta, insegue il vivace cagnolino Tiberius, Plonk ha una folgorazione. A seguito di complessi calcoli prevede che nel 2008 il mondo cesserà di esistere. Intenzionato a rendere pubblica la scoperta affinché si prendano provvedimenti preventivi, si reca presso i consiglieri del Primo Ministro, ma nessuno dei grandi vecchi è disposto a credergli senza l’eclatanza di una prova. Amareggiato, lo scienziato torna a casa, ma non abbandona la sua speranza di salvare il mondo. Un nuova lampadina si accende: costruirà una macchina del tempo in grado di trasportarlo nel futuro e reperirà la prova richiesta dagli scettici politici. Dopo un’industriosa lavorazione, la macchina è finalmente pronta e Tiberius viene scelto come primo crononauta. Al suo ritorno, chiuso in una panca di legno che funge da trasportatore, il cane porta con sé oggetti che attestano la sua permanenza in un epoca avveniristica. È ora il turno del reticente Paulus, anch’egli proiettato con successo negli anni a venire. Infine, certo della funzionalità della sua invenzione, Plonk rompe gli indugi ed entra personalmente nella cassa. Ma l’assistente, che deve azionare la macchina nel presente, gioca uno scherzo al suo padrone è lo trasporta nel passato. Salvato all’ultimo momento da un’atroce morte per mano degli uomini primitivi, lo scienziato viene riportato all’attualità. Rimproverato a dovere il suo assistente, ora controllato anche dalla signora Plonk, l’inventore intraprende più di un viaggio nel futuro, munito anche di una macchina fotografica. Ma, nonostante i numerosi tentativi, non riesce a centrare l’epoca o il posto esatto in cui il mondo finirà. Decide allora di portare con se anche Paulus, che lo aspetterà vicino alla panca del tempo (ora miglio- 57 rata grazie ad alcune modifiche), mentre lui si aggira all’interno di un moderno, desolante e apocalittico quartiere residenziale. Finalmente, scorge in un televisore la réclame di un film sulla fine dell’umanità. Rubato uno schermo, tenta inutilmente di portarlo nel suo presente. Torna con il Primo Ministro, che rimane sconvolto dall’aggeggio presagente l’apocalisse. Purtroppo, però, i suoi posteri in politica non la pensano ugualmente e lo internano in un manicomio. Plonk, intanto, si è infilato in un vicolo cieco: ricercato nel futuro, viene asserragliato nel capannone dove è nascosta la macchina del tempo. Quest’ultima è però diventata oggetto degli spassosi giochi di Paulus e Mrs. Plonk, che si divertono a farla rimbalzare dal presente al futuro. Fino a quando, nel laboratorio, la panca si frantuma divenendo inutilizzabile. I due, che ora conducono una idilliaca vita di coppia, si dedicano alla lunga ricostruzione del contenitore. Plonk, rassegnatamente, non può che attendere dietro le sbarre di un carcere del 21° secolo. Film L ’immagine conclusiva di Nigel Lunghi dietro le sbarre, iconica di tutta una poetica chapliniana, è emblematica del tributo al cinema muto che Dr.Plonk incarna, ma da sola non esaurisce l’ampia gamma di referenze che questo gradevolissimo lungometraggio mette in fila. Come solito nella sua filmografia, la condotta cinematografica dell’olandese Rolf de Heer è attraversata e scossa da lampi di genialità. Non una brillantezza artistica costante o imperiosa, tant’è che il film non manca di debolezze ritmiche e lungaggini narrative (l’eccedenza di svolgimento nel blocco finale, ad esempio, mette a repentaglio l’equilibrata compattezza costruita fin a quel momento da una regia e una sceneggiatura impeccabili); piuttosto scariche di una virtù rappresentativa e di una lucidità iconoclasta nel regime discorsivo che confermano l’autore raro e prezioso nel panorama borderline della cinematografia contemporanea. Una di queste scariche geniali sta proprio nella larga aspirazione celebrativa, inclusiva di un cinema dei primordi che va dai Lumière (il treno che attraversa protagonisticamente il primo atto) a Méliès (pur se l’estensione temporale diegetica resta interna al tempo storico reale, la retrodatazione di tutti i codici del film ne rendono comunque possibile l’inscrizione in un ambito di pseudo-fantascienza); dalla comicità di Sennett (da cui attinge in larga parte l’essenziale personaggio di Paulus) alla lezione malinconica di Chaplin, Keaton e Lloyd, passando Tutti i film della stagione per la messa in serie griffithiana. Il testo è così filologicamente radicato nelle fondamenta formali del classicissimo muto, a iniziare dal principio di messa in quadro fortemente regolato dalle direttive di campo centrifugo, fissità della macchina da presa e analiticità di base del montaggio attraverso usi sapienti di narrazioni alternate e in parallelo, passando per le gag archetipiche dello slapstick (inseguitore inseguito, buccia di banana) culminando nell’evidenziazione delle prassi effettistiche ante litteram, come la sovrapposizione sul fotogramma e la sostituzione a macchina bloccata. Tecnicamente, de Heer estende poi la sua mimesi del processo fotografico “primitivo”, lavorando retrospettivamente sulle cadenze di otturazione (il regista ha rinunciato all’impiego di camere dell’epoca per proibitivi problemi di adeguamento agli standard attuali) e adulterando le nuove emulsioni in ottemperanza alla sensibilità delle pellicole primordiali. La presenza di didascalie descrittive (infrequenti e per questo ancor più funzionali alla fruizione) aggiunge valore a un sguardo teorico sul mezzo che comunque non rinuncia a una rilettura stilistica del primo cinema. Tra le molte occorrenze extradiegetiche è la musica di Graham Tardif, in bilico perfetto tra connotazione da accompagnamento in sala e sonorizzazione successiva, a segnalare una volontà discorsiva tesa contemporaneamente al fedele esercizio di stile e alla contaminazione reinterpretativa, sebbene sempre controllata, promuovendo un gioco di mediazione tra passato e presente che si rifrange, in primis, nell’orientamento ironico del linguaggio: ne è prova, sempre rimanendo al commento musicale, la funzione di sineddoche figurativa affidata ai pentagrammi quando Paulus si riaffaccia dal primo viaggio nel futuro in abiti giamaicani, sottolineata dall’ensemble con un ritmo tipicamente reggae. Su questi scarti il regista investe molto anche in sede estetica, contrapponendo il bianco e nero storicizzato della fotografia, gli sbalzi di scorrimento in ripresa e le movenze del protagonista con i moderni scenari urbani del 2008. La scelta del viaggio nel tempo (che è sempre, come ancor di più Dr. Plonk conferma, un viaggio nel cinema) si rivela, in questo senso, decisiva, permettendo al lungometraggio di velare ironicamente non solo il passato ma anche l’avvenire (diegeticamente), sconosciuto e solitamente trattato con reverenziale ieraticità nei classici dell’escursione cronotopica. In questa misura, Dr.Plonk sorpassa la citazione intellettuale (a là Inganno a Berlino) e s’addentra in una riattivazione del muto che, al di fuori dei suoi limiti temporali, assicura la materia del racconto ai dettami delle proprie retoriche come una vera e propria architettura di genere. E concorre a segnalare come, se affrontato con rispetto e senza asservimento, nessun magistero linguistico è destinato alla decadenza. Giuliano Tomassacci VALUTAZIONI PASTORALI Agente Smart – Casino totale – accettabile / semplice Air I Breath (The) – n.c. Alexandra – raccomandabile-problematico / dibattiti Babylon A.D. – inconsistente / crudezze Be Kind Reading – Gli acchiappafantasmi – accettabile / semplice Boogeyman 2 – Il ritorno dell’uomo nero – n.c. Cambio di gioco – n.c. Changeling – raccomandabile-problematico / dibattiti Classe (La) – Entre les murs – accettabile-problematico / dibattiti Dr. Plonk – n.c. -2- Livello del terrore – n.c. Fidanzata di papà (La) – inconsistente / grossolano Grace is Gone – n.c. Hancock – accettabile / brillante Hellboy: The Golden Army – accettabile / complesso Hurt Locker (The) – accettabile-problematico / dibattiti Incredibile Hulk (L’) – accettabile / semplice In viaggio per il College – n.c. Invincibile – n.c. Joshua – n.c. Ken il guerriero – La leggenda di Hokuto – inconsistente / violento Kun Fu Panda – accettabile / semplicistico Lezione Ventuno – inconsistente / velleitario Mamma mia! – discutibile / ambiguità Mio sogno più grande (Il) – n.c. Miracolo a Sant’Anna – accettabile / problematico Mist (The) – discutibile / crudezze Morti di Ian Stone (Le) – inconsistente / crudezze 58 No problem – accettabile-riserve / brillante Notte dei girasoli (La) – discutibile / crudezze Parigi – discutibile / velleitario Quantum of Solace – accettabile / crudezze Redbelt – n.c. Resto della notte (Il) – discutibile-problematico / dibattiti Riflessi di paura – inconsistente / violenze Savage Grace – n.c. Segreto tra di noi (Un) – discutibile / problematico Sfiorarsi – discutibile / realistico Tadpole – Un giovane seduttore a New York – discutibile / superficialità Vicky Cristina Barcelona – discutibile / scabrosità Wall-E – raccomandabile / poetico Wanted – Scegli il tuo destino – inconsistente / violento Film Tutti i film della stagione TUTTO FESTIVAL CANNES 2008 RIFLETTERE SUL PRESENTE A cura di Giancarlo Zappoli Con il contributo di Flavio Vergerio I premi Palma d’Oro al miglior film: Entre les murs di Laurent Cantet Gran Premio della Giuria: Gomorra di Matteo Garrone Premio della giuria: Il Divo di Paolo Sorrentino Miglior attrice: Sandra Corveloni per Linha de passe Miglior attore: Benicio Del Toro per Che Miglior regista: Nuri Bilge Ceylan per Üç Maymun Miglior sceneggiatura: Le silence de Lorna di Luc Dardenne e Jean-Pierre Dardenne Basta leggere il Palmares di questa edizione di Cannes con i principali premi assegnati per rendersi conto di come il lavoro dei giurati sia stato difficile, ma anche di come abbia finito con l’indirizzarsi su una linea precisa di attenzione al sociale che non può non aver avuto un impulso decisivo dalla presenza di un attore impegnato come Sean Penn alla presidenza. Si tratta di un verdetto complessivo tra i più condivisibili degli ultimi anni. A partire dal vincitore. Da anni Cannes ci aveva (fortunatamente) disabituato alla conquista dei premi più prestigiosi da parte della cinematografia del Paese ospite (episodio verificatosi più volte in passato). In questa occasione però non c’è nulla da recriminare. Cantet ha posto l’accento su uno degli elementi culturali essenziali per la crescita armoniosa di una società. la scuola. Rimanendo, come da assunto iniziale, all’interno delle sue mura ha saputo mettere in rilievo microstorie che, unendosi o giustapponendosi, offrono uno spaccato dell’universo adolescenziale contemporaneo non solo francese. I premi agli attori non hanno tenuto conto delle valutazioni dei critici che hanno accolto con sufficienza il Che di Soderbergh. Volendo prestare ascolto a Hollywood, ci sarebbe stata a disposizione un’Angelina Jolie peraltro molto aderente alla parte assegnatale nel film di Eastwood. Penn e compagni hanno deciso di premiare la passione con cui Benicio Del Toro ha affrontato il personaggio del Che in un film da lui fortemente voluto e hanno affiancato alla star l’assolutamente sconosciuta (per il pubblico internazionale) Sandra Corveloni, madre dolente in Linha de passe di Walter Salles. I Dardenne, dopo due Palme d’oro, hanno avuto un riconoscimento per la sceneggiatura della loro opera che più concede all’ottimismo (anche se mai di maniera). Il turco Ceylan con un’opera dallo stile ‘duro e puro’ ha accontentato il coté cinefilo. A ben guardare (con l’eccezione degli attori) la giuria internazionale ha inteso rivolgere un omaggio alla Vecchia Europa che non smette di sorprendere. Un discorso a parte merita la presenza dell’Italia nel Palmarés con due premi: il Premio della Giuria a Il Divo e il Gran Premio della Giuria a Gomorra. Nel lontanissimo 1972 fummo altrettanto omaggiati con la Palma vinta ex aequo da La classe operaia va in Paradiso e Il caso Mattei. Oggi non di Palma si tratta ma di premi comunque prestigiosi che, anche in questa occasione, vanno a due film che rileggono, con stili profondamente differenti, la realtà del nostro Paese. Come d’abitudine riferiamo in sintesi dei film presentati in Concorso in stretto ordine alfabetico. Per quanto riguarda le proiezioni a Cannes, in particolare per Il Divo si coglieva la difficoltà per critica e pubblico internazionali nel comprendere le vicende di un personaggio sconosciuto ai più. Dubitiamo che la giuria avesse maggiori dati sulla nostra realtà politica. Ha avuto invece la capacità di comprendere come un regista della nuova generazione fosse riuscito, grazie anche alla prestazione magistrale di un attore come Servillo, ad andare oltre la denuncia delle azioni di un uomo per stigmatizzare con i toni del grottesco le storture che a volte entrano a far parte del fare politica. Storture che non sono 59 appannaggio esclusivo dell’Italia e che, come tali, sono state lette e comprese. Per quanto attiene a Gomorra invece ha pesato una certa immagine del sud dell’Italia che però il film non insegue piattamente ma rilegge con la forza di una denuncia al passo con i tempi anche sul piano visivo. Per questi due film rimandiamo alle recensioni pubblicate. IL CONCORSO 24 CITY Regia: Jia Zhang –Ke La fabbrica 420 in cui si produceva strumentazione per aerei chiude per lasciare spazio a un quartiere residenziale che avrà il nome di “24 City”. Fondata sessanta apri la fabbrica è stata il centro economico e sociale della zona. Attraverso le testimonianze dirette di cinque operai e quelle, portate sullo schermo da tre attrici, di operaie il regista ripercorre la storia della Cina Popolare mettendo in luce i bruschi e sconvolgenti cambiamenti che hanno profondamente inciso nel tessuto sociale conducendo alla precarietà del vivere grandi masse. L’intento è assolutamente condivisibile. Resta però più di un dubbio sulla forma utilizzata perché la cinefilia e le scelte estetiche di Jia Zhang-Ke, se ben si prestano per un cinema d’essai producono in questa docufiction una presa di distanza da parte dello spettatore meno ‘colto’ riducendo così sensibilmente il possibile impatto di un’opera che avrebbe potuto far riflettere un più vasto pubblico. Film Tutti i film della stagione ADORATION Regia: Atom Egoyan CHANGELING Regia: Clint Eastwood Sabine insegna francese in un liceo chiede ai propri allievi di scrivere un monologo riferendosi a un fatto realmente accaduto: un terrorista aveva fatto partire la propria compagna incinta caricandola, a sua insaputa, di esplosivo. Simon, uno degli studenti, viene fortemente turbato da questa storia e la fa propria. In realtà la sua sorte è stata diversa anche se altrettanto tragica: suo padre, alla guida dell’auto di famiglia, aveva avuto uno scontro frontale in cui entrambi i genitori erano morti. Se c’è un regista capace di narrare, fin nelle pieghe più intime, l’ambiguità della psiche umana questi risponde al nome di Atom Egoyan. Il regista armeno torna a proporre la verità come frutto di una faticosa purificazione in cui si procede, anche visivamente, nel far cadere le scorie di quanto l’uomo le sovrappone per poter continuare a cercare di vivere. Il passato e il presente (reali o immaginati che siano) per il regista armeno hanno bisogno di essere entrambi conosciuti per poter poi essere superati in funzione della costruzione di ‘un dolce domani’ quanto mai complesso. Los Angeles, marzo 1928. In una mattinata di sabato Christine Collins, una giovane donna che lavora in un centralino, lascia a casa da solo il giudizioso figlio Walter che ha avuto da un uomo che li ha abbandonati. Al ritorno dal lavoro fa una terribile scoperta: il bambino non c’è più e di lui si è persa ogni traccia. Finché, 5 mesi dopo, la polizia locale che non gode di buona reputazione, sembra aver risolto il caso. Consegna infatti a Christine un bambino che dice di esser Walter e che un po’ gli assomiglia. La madre è però certa che non si tratti di suo figlio ed è supportata in questo anche da altre persone che lo conoscevano bene, a partire dalla maestra. Le autorità di polizia, sostenute da un’opinione pubblica desiderosa di rassicuranti lieto fine, insistono nella loro versione fino a decidere di internare Christine attribuendole disturbi mentali che l’avrebbero spinta a non riconoscere nel sedicente Walter il proprio figlio. Ispirato a una vicenda realmente accaduta, il film di Eastwood, sulla base di una sceneggiatura di J. Michael Straczynski che si è avvalso degli atti del processo, legge la vicenda di Christine Collins come perfettamente inseribile tra gli elementi che costituiscono la base dell’etica eastwoodiana: l’individuo solo contro il Potere corrotto, l’infanzia segnata da traumi irreparabili, il rapporto tra il sistema sanitario e i pazienti/oggetto, la pena di morte. Ancora una volta paladino dei diritti umani, ci ricorda che il cinema può costruire memoria. Anche quando sa come commuovere. BLINDESS Regia: Fernando Meirelles Un uomo sta guidando nel traffico cittadino. D’improvviso la sua auto, ferma a un semaforo, non riparte più. Non si tratta di una panne tecnica. Molto più tragicamente, l’uomo non vede più nulla se non un biancore lattiginoso. Dopo che un passante, con la scusa di accompagnarlo a casa, gli avrà rubato l’auto, l’uomo andrà a farsi visitare da un oftalmologo il quale, al risveglio il mattino dopo, si ritroverà privo della vista. L’epidemia si espande a macchia d’olio e i primi colpiti vengono internati in un ospedale nel quale si fa ricoverare anche la moglie del medico che è l’unica a non essere stata colpita dal morbo. Non sempre e non necessariamente da un grande romanzo. Se Jose Saramago ha ceduto i diritti del suo famosissimo libro è perché lo ha convinto la sceneggiatura di Don McKellar. La scelta è stata saggia perché Meirelles, pur abbandonando una possibile chiave di lettura simbolica che in qualche occasione andava invece sottolineata, riesce comunque a evitare la trappola del film apocalittico con zombie accecati. La Moglie (il personaggio non ha un nome né nel libro né nel film) diviene il punto di riferimento di un possibile riscatto per un’umanità ormai discesa negli abissi della ferinità. Meirelles è un regista molto ‘fisico’ e i suoi due precedenti film (City of God e The Constant Gardener) sono lì a testimoniarlo. Fa buon uso di questa sua propensione riuscendo così a lavorare sul corpo degli attori (e in particolare su quello di Julianne Moore) con grande maestria. CHE Regia: Steven Soderbergh Parteprima. 26 novembre 1956. Fidel Castro parte verso Cuba con un gruppo di un’ottantina di ribelli. Uno di loro è Ernesto Guevara, un medico argentino a cui presto verrà attribuito il soprannome ‘Che’. Il gruppo ha una finalità precisa: abbattere il regime dittatoriale di Fulgencio Batista sostenuto dagli americani. Il Che si dimostra da subito un combattente abile particolarmente versato nell’arte della guerriglia. Diventa così sempre più famoso tra i suoi compagni e tra la popolazione per la sua determinazione, mista a una profonda passione per i più deboli e sfruttati. Ben presto diventerà un comandante e, con la vittoria dei castristi, uno dei miti di quella rivoluzione. Parteseconda. Dopo l’insediamento del governo guidato da Fidel Castro il Che è al vertice della sua popolarità e gli viene offerto un Ministero. Ma il combattente Guevara lascia ben presto Cuba. In altre parti del mondo c’è gente che soffre e che deve essere sostenuta dalla lotta armata. Dopo una breve presenza in Congo, la sua meta è la Bolivia. Qui troverà condizioni ancor più 60 difficili ed estenuanti, sia sul piano climatico che su quello politico. Infatti il partito comunista locale gli fa il vuoto intorno non concordando con i suoi metodi di lotta. Lasciato solo, il Che finirà con l’essere accerchiato dalle truppe dell’esercito, arrestato e ucciso brutalmente. Benicio Del Toro ha deciso di produrre nonché di assumersi il ruolo del protagonista in un progetto condiviso con Steven Soderbergh, uno dei registi più disposti a sperimentare che Hollywood ci possa offrire. Soderbergh si lancia in questo megaprogetto della durata complessiva di 4 ore e mezza con un obiettivo ben delineato, anche se non dichiarato. Non vuole cioè farsi invischiare nella polemica sulla Cuba, così come si è venuta costituendo nei decenni con il culto del leader e la restrizione delle libertà. Elide pertanto tutte le tensioni che nacquero tra Guevara e Castro dopo la conquista del potere. Combattente per tutti i popoli oppressi, l’uno, politico che aveva raggiunto lo scopo, l’altro. Si concentra sulla figura del Che raccontando nella prima parte l’Utopia che si fa realtà e, nella seconda, lo scontro con la realtà stessa. DELTA Regia: Kornel Mundruczo Un ‘film da festival’ quello del regista ungherese, cioè appartenente a quel cinema della rarefazione narrativa che tanto piace ai critici accigliati che mal sopportano il cinema che va a cercarsi degli spettatori che superino il centinaio. Con due protagonisti distanti dall’ambito sociale in cui finiscono per vivere, Mundruczo mette in scena il non facile tema dell’incesto, riuscendo a sfuggire al rischio del voyeurismo fine a se stesso, anzi allontanandosi proprio nelle scene in cui il rapporto sessuale diviene centrale. La vicenda tratta di un uomo che ritorna al proprio paese natale, situato sul delta di un fiume. Vuole riabbracciare dopo lungo tempo la madre. La donna, che convive con un uomo dopo la morte del marito, gestisce un piccolo bar. Dice subito al figlio che non ha un alloggio da dargli e gli presenta una sorella che lui non ha mai conosciuto. L’uomo chiede di poter andare a vivere in un capannone che si trova su un’isoletta sul delta. Lì lo raggiungerà dopo poco tempo la sorella. Tra i due nascerà un’attrazione unita a una forte solidarietà contro la madre, dopo la scoperta che il padre è stato ucciso. ENTRE LES MURS Regia: Laurent Cantet Un insegnante di francese in una qualsiasi scuola media superiore di Parigi. Sempre in prima linea nel desiderio di stimolare intellettualmente i propri allievi, il docente deve scontrarsi con pregiudizi e ostacoli che rischiano di mettere in forse le sue scelte didattiche. Cantet mette cinematograficamente a frutto l’esperienza di un docente che realmente ope- Film ra in ambito scolastico per porre in evidenza come qualsiasi realtà scolastica (non solo quelle di periferia) oggi presenti una complessità finora inedita. Lo fa con un ritmo lento, proprio perché rispettoso della quotidianità liberandosi da qualsiasi residuo di quella retorica (progressista o meno, poco conta), che più di una volta ha rischiato di inficiare un discorso serio e realistico su questo tema. LE SILENCE DE LORNA Regia: Jean-Pierre e Luc Dardenne Lorna è una giovane immigrata albanese a Liegi. Per ottenere la cittadinanza si è messa nelle mani del malavitoso Fabio. Costui le ha procurato un matrimonio con Claudy (un tossicodipendente) e Lorna ha ottenuto ciò che desiderava. Ora vorrebbe poter aprire un bar con il suo fidanzato Sokol che fa il pendolare da una frontiera all’altra. Per ottenere la somma necessaria deve però portare a compimento il piano di Fabio. Deve, cioè, poter ottenere un rapido divorzio per poter così sposarsi nuovamente. Abbandonato il super 16 mm e con una macchina da presa molto meno ‘pressante’, i Dardenne sembrano essersi un po’ ammorbiditi rispetto al ‘rigore’ delle opere precedenti. Un po’ meno duri lo sono certamente, anche se il loro impegno morale e civile non è arretrato di mezzo passo. Il dolce volto di Lorna (costretta a cercare di sopravvivere in mezzo ai lupi) è di quelli che si ricordano. Ma Lorna non è un lupo. È una giovane donna che finisce col provare una pietà che sconfina nell’amore per quel relitto umano che le chiede costantemente aiuto per uscire dal tunnel in cui si è infilato. La scoperta di questo sentimento precede di poco l’eliminazione fisica del ragazzo. Il quale muore ma continua a viverle ‘dentro’, al punto da farla sentire in attesa di una nuova vita. Il finale apre a un po’ di speranza in un mondo che forse ha ancora qualche spazio per chi è in difficoltà LA FRONTIERA DELL’ALBA Regia: Philippe Garrel Carole, attrice abbastanza nota, si sposa con un uomo spesso assente per lavoro. François è incaricato di realizzare un servizio fotografico su di lei. I due si innamorano, ma lei è profondamente insicura. Un giorno, il giovane fotografo è costretto ad assistere, nascosto, alle manifestazioni di affetto di Carole per il marito. Smetterà di cercarla e la donna cadrà in una profonda depressione che sfocerà nel suicidio. Tornerà sotto forma fantasmatica. L’estetica di Garrel, rigorosa e formalmente molto costruita, è fuori discussione. Così come il suo attuale bisogno di andare alla ricerca di utopie, sogni e fallimenti del ’68. Il problema sta semmai nella scelta del figlio Louis quale protagonista, già utilizzato recentemente, ma mal servito da una sceneggiatura che, in questa occasione, non sa Tutti i film della stagione trovare il giusto equilibrio sfociando nel finale nel ridicolo involontario. LA MUJER SIN CABEZA Regia: Lucrecia Martel Una donna alla guida di un’auto urta e investe un corpo che però non si ferma a soccorrere. Nei giorni successivi, continua ad attraversare la sua quotidianità quasi come se fosse distaccata da quanto le accade intorno. Una notte, però, rivela al marito di aver ucciso uno sconosciuto. I due scoprono sulla strada, teatro dell’incidente, il cadavere di un cane. Tutto torna a posto, finché non si diffonde la voce dell’investimento di un uomo abbandonato sull’asfalto. Non sempre la sintesi di una sinossi offre al lettore l’esatta percezione del film di cui si tratta. E’ il caso di questo film della Martel, totalmente privo di idee, ma impegnato a nascondere il vuoto con un incessante vagare della macchina da presa alla ricerca dell’ispirazione che la sfiorò nel 2001 con La cienaga. Ma l’ispirazione sembra essersi nascosta molto bene. LE TRE SCIMMIE Regia: Nuri Bilge Ceylan Già vincitore del Grand Prix e dei riconoscimenti per i due attori protagonisti nel 2003 con Uzak, il regista turco circoscrive già con il titolo l’ambito del suo narrare. Una scimmia non vede, una non sente e una non parla. La vicenda può essere così riassunta: in una strada di notte un uomo viene investito da un’auto e abbandonato. Qualcuno però ha visto la targa dell’automezzo che è di proprietà di un uomo politico, il quale, per evitare lo scandalo che troncherebbe la sua carriera, chiede al suo autista di autoaccusarsi dell’incidente. Resterà in carcere per poco tempo, sua moglie continuerà a ricevere il suo stipendio e, al momento del rilascio, ci sarà per lui un’ingente ricompensa. L’uomo accetta. Il figlio diventa però geloso, avendone motivo, della madre. Le tre dramatis personae si ritrovano chiuse nella propria separazione dagli altri. Ma, se il padre e la madre sono, in modo diverso, coinvolti dal rapporto con il Potere, il figlio, un ragazzo, tenterà di reagire. Non sembra esserci speranza per l’umanità descritta da Ceylan, a meno che sappia ritrovare la forza di affrontare il rimosso, quel figlio perduto ancora bambino che con la sua distante presenza potrebbe forse restituire, almeno un po’ di quella pace che tutti, anche inconsapevolmente, cercano. LEONERA Regia: Pablo Trapero Julia viene arrestata e accusata di omicidio. Nel suo appartamento di Buenos Aires, al suo risveglio, c’erano i corpi di due uomini assassinati. La giovane donna conviveva con i due che erano amanti e abusavano di lei. Ora è in61 cinta e decide di far nascere il bambino, Tomas, nel degrado della prigione. Finchè sua madre riuscirà a sottrarglielo. Da quel momento, Julia avrà un solo obiettivo: riunirsi al suo piccolo.Trapero vuole tracciare un ritratto aspro del rapporto tra maternità, violenza e ricerca dell’innocenza. Finisce però col fallire l’obiettivo, forse perché troppo attento nel dare risalto al personaggio della protagonista, interpretato dalla moglie (realmente incinta al tempo delle riprese). Resta, comunque, valida l’accusa nei confronti di un sistema carcerario, in cui la finta umanità degli spazi dedicati alla maternità si scontra con l’alienazione che divora l’animo delle detenute madri e non. Julia suscita l’empatia dello spettatore, ‘nonostante’ il suo carattere. Siamo, cioè, spinti progressivamente a cercare di conoscerla, di comprenderne la sofferenza e le ragioni. Capire perchè ha finito con il trovarsi in quelle situazioni, ci aiuta a valutare in maniera diversa il suo agire successivo. LINHA DE PASSE Regia: Walter Salles Quattro fratelli (figli della syessa madre, ma di padri diversi) tentano di portare avanti una vita stentata mentre la loro genitrice è nuovamente incinta. Dario vorrebbe diventare un calciatore ma è troppo ‘vecchio’ per la logica dei club (ha già 18 anni). Reginaldo, il più piccolo vuole conoscere il padre. Dénis, che ha già un figlio, non sfugge alla rete della malavita, mentre Dinho viene irresistibilmente attratto da una setta religiosa. Daniela Thomas e Walter Salles formano una coppia ormai collaudata dal taglio documentaristico. Il loro è uno sguardo di partecipazione sofferente nei confronti del mondo dei giovani apparentemente privo di speranza, ma, di fatto, carico di un desiderio di denuncia che diviene esso stesso stimolo affinché qualcosa cambi. Salles in ogni suo film ci ricorda che ciò che oggi fa girare il mondo è il motore dello sfruttamento, che trova nella parte più debole della popolazione, soprattutto se giovane, la propria inesauribile fonte di guadagno. MY MAGIC Regia: Eric Khoo Ci sono luoghi nel mondo in cui il cinema (il produrre cinema) è ormai un lontano ricordo. E’ quanto accadeva a Singapore fino a tredici anni fa. Si deve all’impegno di Eric Khoo che con il suo Mee Pok Man, vincendo numerosi premi, ha ridato slancio alle produzioni locali. Bosco Francis, il protagonista del film, è un vero illusionista che qui interpreta un ‘mago’ ormai dipendente dall’alcol e ridotto a lavorare come uomo delle pulizie in un nightclub. Sarà il figlio decenne a spingerlo a ritrovare se stesso. Siamo dalle parti del mélo più esplicito che certamente trova consenso in quelle latitudini e che può trova- Film Tutti i film della stagione Wenders realizza uno di quei suoi film esteticamente ineccepibili, quanto tanto pretenziosi da rischiare il ridicolo per eccesso di didascalismo. Se la parte tedesca si salva proprio grazie a un high tech che diventa gabbia dell’animo, quella siciliana diventa ‘imprevedibile’ nel senso che uno non si aspetta che l’immagine della Morte banalizzata in un dialogo con una Morte vestita in bianco e con il volto di Dennis Hopper. Shot significa fotografare ma anche colpire. Qui il tiro è andato davvero fuori bersaglio. SYNEDOCHE NEW YORK Regia: Charlie Kaufman LE SILENCE DE LORNA di Luc Dardenne e Jean-Pierre Dardenne re spazio sugli schermi della Croisette, forse grazie al suo coraggio e alla sua ‘esoticità’. RACCONTO DI NATALE Regia: Arnaud Despleschin Un film dalla trama non riassumibile in poche parole tanto è complessa quello di Despleschin. Abel e Junon Vuillard avevano due figli: Joseph ed Elizabeth. Joseph si ammalò e si rese necessario un trapianto di midollo osseo. Né i genitori, né Elizabeth erano compatibili. Abel e Junon decisero allora di mettere al mondo un altro figlio sperando nella possibilità di una donazione. Ma anche il piccolo Henri non era compatibile e Joseph morì a 7 anni. Con la nascita del quarto figlio, Ivan, progressivamente il lutto per la perdita di Joseph sembrò essere rielaborato. Anni dopo, Elizabeth, scrittrice teatrale di successo aiutò il fratello Henri, sull’orlo della bancarotta, ma a un patto: non avrebbe dovuto mai più presentarsi davanti a lei. Sono trascorsi altri anni e si avvicina il Natale, Junon apprende di essere stata colpita dallo stesso male di Joseph. Va cercato un donatore in famiglia: uno potrebbe essere Paul, il tormentato figlio adolescente di Elizabeth e l’altro proprio Henri, che ha fatto la sua ricomparsa (invitato da Paul) insieme alla sua compagna del momento, l’ebrea Faunia. La famiglia si ritrova nella città di origine, Roubaix, ed Henri dovrà decidere se mettersi a disposizione per un trapianto che potrebbe salvare (ma anche uccidere) una madre che non ha mai amato.Il regista dimostra grande talento nel dirigere attori così importanti, da cui sa con precisione cosa vuole ottenere. Molto meno chiaro è il suo intento in relazione alla descrizione dell’ambiente familiare. Sembra, cioè, che i colpi di scena (con qualche punta di melodramma di troppo) lo affascinino molto di più rispetto al desiderio di scavare nelle modalità di relazioni all’interno dlel’universo che va a descrivere. SERBIS Regia: Brillante Mendoza Una città di provincia delle Filippine. Una famiglia, un tempo proprietaria di tre sale cinematografiche, ora gestisce un cinema a luci rosse in cui a nessuno importa dei film proiettati, ma invece interessano i ‘servizi’ che vengono resi nei corridoi e nei gabinetti. Nonna Flor controlla tutto e vive, con i familiari, proprio sopra il cinema. La regia pedina i personaggi non lasciando loro respiro e facendo della corruzione degli animi un elemento scenografico che si traduce nella corrosione delle pareti e degli infissi. Non c’è però un giudizio morale su questa umanità degradata che ha, a tratti, sprazzi di dignità che contrastano fortemente con il vivere quotidiano. Come la pretesa di Nanay Flor di punire un marito ‘immorale’ pur sapendo che l’intero nucleo familiare verrà penalizzato se lei vincerà la causa. SHOOTING PALERMO Regia: Wim Wenders Fin è un fotografo famoso e in costante attività. Una sera, evita per un soffio la morte in un incidente stradale. La sua vita ha allora una svolta. Lascia la natia Germania e raggiunge Palermo. La motivazione ufficiale è quella di un servizio fotografico con Milla Jovovich, ma quello che vuole è ripartire da capo. Il senso di morte imminente, però, continua a perseguitarlo, finché non incontra una restauratrice italiana che sta lavorando proprio su un Trionfo della Morte. 62 La vita di Caden Cotard, regista teatrale, si va facendo sempre più complicata. La moglie Adele, che non riesce a dimenticare, lo ha lasciato portandosi dietro la figlioletta Olive. Una storia con l’affascinante Hazel è finita e la sua analista sembra troppo presa dal libro che sta per far uscire. Una malattia non ben identificata lo affligge. Ecco che allora deicde di mettere in scena la propria vita in un grande hangar, la cui scenografia cresce in progressione con la narrazione delle vicinde che lo hanno segnato. La sinèddoche (dal greco óõíåêäï÷Þ, «ricevere insieme») è una figura retorica che consiste nell’uso in senso figurato di una parola al posto di un’altra, mediante l’ampliamento o la restrizione del senso. La sostituzione può essere: la parte per il tutto (“la vela” al posto di “nave”); di una qualità/caratteristica per il tutto (“il ferro” al posto della “spada”); del tutto per la parte (“una borsa di serpente” al posto di “una borsa di pelle di serpente”); del singolare per il plurale e viceversa (“l’Italiano” - inteso come persona - “all’estero” per “gli Italiani all’estero”); del genere per la specie e viceversa (“il mortale” per “l’uomo”)” (Wikipedia). Kaufman , giunto finalmente alla regia dopo una lunga e lusinghiera carriera di sceneggiatore, decide di osare ancor più di quanto avesse fatto con i film dati da realizzare ad altri. Realizza così un film molto marcato dalla una autorialità che non nasconde l’esigenza di un controllo. Del testo così come della vita. TWO LOVERS Regia: James Gray Leonard è tornato a Brighton Beach, luogo che gli ha dato i natali, dopo aver cercato di togliersi la vita. Ospitato dai premurosi genitori fa la conoscenza di Michelle, una donna di cui non riesce a penetrare il mistero. Nel frattempo i suoi cercano di favorire una sua relazione con Sandra, figlia dell’acquirente della tintoria di famiglia. Gray sembra essersi lasciato alle spalle le ‘crime stories’ in favore de “Le notti bianche” di Dostoevskij. La scelta sembra essergli congeniale, favorendo un trasposizione sullo schermo di sentimenti una volta tanto ‘verosimili’. Film VALZER WITH BASHIR Regia: Ari Folman Avrebbe potuto essere un documentario visto da pochi questo film del regista israeliano Ari Folman sul rimosso dalla coscienza del suo Paese, in relazione all’intervento in Libano e, in particolare, alle stragi di Sabra e Chatila. Ne è scaturito, grazie alla scelta di un’animazione tanto scabra quanto efficace, un film capace di incidere sulle coscienze. Una notte, in un bar, un amico confessa al regista israeliano Ari Folman un suo incubo ricorrente: sogna di essere inseguito da 26 cani inferociti. Ha la certezza del numero perchè, quando l’esercito israeliano occupava una parte del Libano, a lui, evidentemente ritroso nell’uccidere gli esseri umani, era stato assegnato il compito di uccidere i cani che di notte segnalavano abbaiando l’arrivo dei soldati. I cani eliminati erano giustappunto 26. In quel momento, Folman si accorge di avere rimosso praticamente tutto quanto accaduto durante quei mesi che condussero al massacro portato a termine dalle Falangi cristiano-maronite nei campi di Sabra e Chatila. Decide allora di intervistare dei compagni d’armi dell’epoca per cercare di ricostruire una memoria che ognuno di essi conserva solo in parte, cercando di farla divenire patrimonio condiviso. Non a caso il regista è uno degli sceneggiatori della serie televisiva di grande successo In Treatment che vede agire sul piccolo schermo uno psicoanalista e i suoi pazienti. Questo gli permette di lavorare sulle testimonianze dei suoi ex commilitoni con una sensibilità assolutamente adeguata alla materia che sta trattando e con un impegno civile che non deborda mai nel pamphlet fine a se stesso. Folman, regista e sceneggiatore di qualità (è, tra l’altro, uno degli sceneggiatori di In Treatment, serie televisiva di grande successo in Israele adattata da Rodrigo Garcia per il canale dell’HBO) affronta con coraggio uno dei nervi scoperti della storia recente della democrazia israeliana. Non è però interessato a distribuire patenti di colpevolezza senza prove (sono note le accuse all’allora Ministro della Difesa Ariel Sharon considerato responsabile del fatto di aver saputo e taciuto, se non addirittura favorito). QUINZAINE, CONTINUA LA RICERCA DEL DIVERSO Flavio Vergerio La finalità principale di un grande festival che si autoproclama, a ragione, universale, dovrebbe essere l’esplorazione di territori estranei alla grande produzione commerciale holly-bollywoodiana. Nella speranza di scoprire nuovi autori, temi originali, diversi modi di fare cinema. Se malgrado le buone intenzioni dei selezionatori, il Concorso maggiore subisce sempre i condizionamenti dell’ovvio e della ricerca di conferme nelle cinematografie maggiori e negli autori già affermati (Cantet, Garrone, Sorrenti- Tutti i film della stagione no, i Dardenne non sono certo degli sconosciuti), la cinefilia curiosa e coraggiosa del direttore della Quinzaine ha avuto modo anche quest’anno di percorrere strade divergenti e di valorizzare nuovi registi. Che verranno magari omologati il prossimo anno nel concorso e nella grande produzione. E’ facile del resto ipotizzare che alcuni registi interessanti abbiano preferito prendere le strade del concorso o di Un certain regard dopo essere stati scoperti alla Quinzaine in anni passati. Più che un’urgenza tematica, il direttore artistico Olivier Pierre ha privilegiato ancora una volta opere che tentassero nuove strade espressive e formati produttivi liberi da condizionamenti commerciali. La sua libertà di scelta ha pagato ancora una volta, anche se un paio di titoli francesi mi ha lasciato il dubbio di un qualche condizionamento nazionalistico. Il cinema che più ci ha interessato a Cannes è quello che dichiarava apertamente il suo progetto di scrittura oppure quello che lo occultava, verso un “grado zero” della rappresentazione e della sceneggiatura. Eliminazione delle piccole giustificazioni sociologistiche o psicologistiche, rinuncia alla “bella forma”, invito allo spettatore a interrogare e interpretare il vuoto misterioso dell’immagine e del racconto. Senza tentare inutili e discutibili esercizi di categorizzazioni, mi limito a segnalare dei 23 film selezionati quelli che mi hanno colpito maggiormente sul piano linguistico, nella loro radicalità e nello sguardo impietoso nei confronti dei disastri della nostra “civiltà”. Il catalano Albert Serra, rivelatosi lo scorso anno con Honor de cavaleria (una rivisitazione del peregrinare quotidiano di Don Chisciotte), si misura stavolta nel suo afasico e misterioso Il canto degli uccelli con il testo biblico, mettendo in scena il viaggio dei tre Re Magi alla ricerca di Gesù che sta per nascere. Nessuna precisazione spazio-temporale, nessun discorso sulla Fede o la Nascita del Salvatore: tre anziani corpulenti in tunica, la cui identità regale è segnalata solo da una corona, percorrono senza scorta il deserto verso una meta imprecisata, litigano sulla direzione da prendere o sulle vesti da indossare, dormono all’addiaccio infastidendosi l’un l’altro. Pur manifestando affettuosa ironia nei confronti della mitologia e dell’immaginario biblici, Serra non deride i suoi personaggi rappresentandoli piuttosto nella loro corposa umanità. La dimensione simbolicasacra della Nascita viene segnalata mettendo in grembo a Maria alternativamente un agnello e un neonato. Ma il film non affronta il rapporto dell’uomo con il sacro, quanto piuttosto la sfida della durata filmica contro la dittatura del tempo. I Tre Magi si perdono nel mistero del tempo e del deserto, luogo simbolico al di sopra di tutti. In qualche modo analogo è il percorso dell’anonimo protagonista di Liverpool dell’argentino Lisandro Alonso, che continua a immergere i suoi personaggi disperati nella solitudine della 63 pampa o di un fiume amazonico (luoghi dei suoi precedenti inquietanti La libertad e Los muertos). Qui un marinaio sbarcato da un nave nel sud dell’Argentina percorre le lande innevate della Patagonia, per andare a trovare la madre morente in un villaggio sperduto fra i monti. Vi ritrova una figlia mai conosciuta, forse ritardata mentale, cui dona del danaro e un portachiavi, tornando al proprio destino di condannato alla lontananza e alla solitudine affettiva. Anche in questo caso ciò che conta nel film non è tanto l’aneddoto più suggerito che narrato, quanto il rapporto del personaggio con il tempo e con lo spazio. Le lunghe inquadrature di paesaggi innevati rappresentano il riflesso misterioso di una condizione esistenziale votata allo scacco e alla fuga da sé. In Lezioni private del belga Joachim Lafosse si descrivono le colpe dei “padri” (naturali o sostitutivi), descritte in modo angosciosamente claustrofobico. Il titolo Élève libre, ovvero “studente privatista”, gioca sull’ambiguità dell’aggettivo, che è il vero tema profondo del film. Jonas è un ragazzino apparentemente tutto ordine e pulizia, figlio di genitori ricchi, ma sempre assenti, diviso fra la scuola in cui si impegna senza successo e un’intensa attività tennistica, in cui sembra emergere come giovane promessa. Inoltre ha una relazione con una ragazzina, con cui ha le sue prime esperienze sessuali, apparentemente felici. Ma a scuola subisce una nuova bocciatura e contemporaneamente le sue ambizioni di carriera tennistica si arenano alle soglie di una selezione nazionale. Si prende cura di lui un’amica di famiglia trentenne, che con il consenso dei genitori gli propone di andare a vivere a casa sua per poterlo meglio seguire nelle lezioni private. Jonas verrà poco alla volta coinvolto in un morboso gioco relazionale, cui partecipano due amici della donna. Con l’alibi di educarlo a una più soddisfacente relazione sessuali con la sua ragazza, i tre adulti lo introducono a tecniche erotiche sempre più spinte, giustificate da teorie libertarie. Se si riesce a superare il dubbio di un certo compiacimento provocatorio, il film è interessante nella sua volontà di “fare i conti” con un’educazione sessantottarda che, con la finalità di “liberare” da lacci moralistici la sessualità, ha finito con creare confusione e assenza di valori di riferimento per i giovani. Il film propone poi un doppiofondo segreto e inquietante: alcuni sguardi e alcuni silenzi ambigui di Jonas ci lasciano dei dubbi sulla sua reale condizione di vittima, rappresentante di un’età “tenera e innocente”. La condizione giovanile viene studiata parimenti dal punto di vista dell’ossessione erotica anche in Acné dell’esordiente uruguaiano Federico Veiroj. Qui il protagonista è addirittura un tredicenne, che viene introdotto alle “gioie” della sessualità per iniziativa del fratello più maturo, che gli fa fare le prime esperienze con una donna prezzolata. Ma il ragazzino non riesce poi a conquistare una compagna di classe di cui si innamora, condizionato Film da un insopprimibile senso di timidezza e insicurezza, l’incombente divorzio dei genitori, gli impegni scolastici, gli amici che non lo lasciano tranquillo. Acné è un onesto ritratto di un pre-adolescente, scevro da ogni ipocrisia buonista e moralismi improduttivi. Meno originale dei suoi compatrioti premiati lo scorso anno, il rumeno Rado Muntean in Boogie descrive tuttavia con efficace e impietoso realismo la “notte brava” di un giovane diviso fra moglie e figlioletta portati al mare per una breve vacanza e la rimpatriata con un gruppo di amici. Il film non rappresenta solo l’indecisione del protagonista fra maturità e adolescenza, ma fornisce una serie di indizi sulla fine delle illusioni della generazione postCeausescu, sulla trasformazione consumistica e sull’omologazione della società rumena. Lo squallore della anonima cittadina balneare ricorda tanto le peggiori spiagge del nostro Adriatico fuori stagione. Taraneh Tanhaiye Tehran (Solitaria melodia a Teheran) dell’iraniano Saman Salour mescola invece i registri realistici con quelli simbolicifiabeschi per darci una visione del tutto inconsueta della città. Sui tetti di essa vagano a vuoto due strani personaggi, Behruz, un grande e grosso ex-operatore radio della guerra fra Iran e Irak, e il cugino Hamid, piccolo e ciarliero. I due, improbabili tecnici elettronici, piazzano antenne paraboliche sulle case di invisibili borghesi, che mal ricevono i programmi occidentali. La censura del regime integralista proibisce le parabole e così i due debbono lavora- Tutti i film della stagione re di notte, con clienti che non si vedono mai, sognando guadagni e avventure sentimentali impossibili. Il film si fonda su una narratività ripetitiva e indeterminata, volta a suggerire la precarietà della condizione sociale dei due personaggi e di un mondo nascosto. Cztery noce z Anna (Quattro notti con Anna) segna il ritorno di Jerzy Skolimoski, assente dagli schermi da ben 17 anni. Ritorno anche in patria, una Polonia agricola e senza tempo, in una dimensione totalmente irreale e simbolica. Le “quattro notti di un sognatore” dostojevskiane sono rivisitate all’interno dello spazio claustrofobico di un piccolo ospedale ove l’addetto all’inceneritore, un quasi-idiota solitario ed emarginato, guarda a lungo una matura infermiera, oggetto del suo desiderio. Egli ha assistito di nascosto allo stupro subita da questa e penetra di notte nella sua stanza limitandosi a osservarla mentre dorme. Scoperto, finirà per essere accusato del delitto non commesso. Film tutto mentale, Quattro notti con Anna costituisce una riflessione penetrante sul desiderio e la colpa, sul limite labile fra follia e “normalità”. Una rivisitazione poetica degli universi concentrazionari kafkiani, in cui i destini esistenziali si perdono nei labirinti creati dal potere. Oggetto imprevedibile e spiazzante, Toni Manero del cileno Pablo Larrain narra la trasformazione in serial killer di un maturo ballerino ossessionato dal personaggio di La febbre del sabato sera, che cerca di mimare in spettacoli di disco music in un povero locale di Santiago. La vicenda è collocata nel 1978, negli anni peg- giori della dittatura di Pinochet. Anche se il contesto socio-culturale viene lasciato sullo sfondo, il film comunica un notevole disagio per il vuoto esistenziale e la fragilità culturale con cui il protagonista, personaggio sintomatico di una delle tante “colonie” dell’“impero”, si consegna ai miti illusori dello spettacolo hollywoodiano. L’edizione di quest’anno della Quinzaine era dedicata a Danièle Huillet, scomparsa nell’autunno scorso. E anche in memoria di lei presentava i primi due film di Jean- Marie Straub realizzati senza la compagna di una vita. Le genou d’Artemide è ancora una volta la rappresentazione di un mistero, la ricerca dell’uomo di pace e serenità nel buio di una foresta, verso la luce e la sommità irraggiungibile di un monte. Preceduto da un movimento di una sinfonia di Mahler, il film registra ancora un volta, in raffinate lunghe inquadrature fisse, il dialogo fra un personaggio mitico e uno straniero, tratto dal Cesare Pavese di Dialoghi con Leucò. Il secondo film, Itinéraire de Jean Bricard, mette a confronto la testimonianza dello scrittore raccolta da un ricercatore sulle condizioni di vita dei pescatori, la povertà, le lotte sociali, la guerra su un gruppo di isole sul corso della Loira, con una lunga panoramica girata su una barca a motore che esplora le sponde deserte delle isole, il lento fluire delle acque, i capanni abbandonati. Un mondo scomparso, la distruzione di un habitat da parte dell’uomo, assieme al persistere della memoria e il tenace risorgere della natura. IL RAGAZZO SELVAGGIO è l’unica rivista in Italia che si occupa di educazione all’immagine e agli strumenti audiovisivi nella scuola. Il suo spazio d’intervento copre ogni esperienza e ogni realtà che va dalla scuola materna alla scuola media superiore. È un sussidio validissimo per insegnanti e alunni interessati all’uso pedagogico degli strumenti della comunicazione di massa: cinema, fotografia, televisione, computer. In ogni numero saggi, esperienze didattiche, schede analitiche dei film particolarmente significativi per i diversi gradi di istruzione, recensioni librarie e corrispondenze dell’estero. Il costo dell’abbonamento annuale è di euro 25,00 - periodicità bimestrale. SCRI VERE di Cinema direttore Carlo Tagliabue SCRIVERE DI CINEMA Ogni anno nel nostro paese escono più libri riguardanti il cinema che film. È un dato curioso che rivela l’esistenza di un mercato potenziale di lettori particolarmente interessati alla cultura cinematografica. ScriverediCinema, rivista trimestrale di informazione sull’editoria cinematografica, offre la possibilità di essere informati e aggiornati in questo importante settore, segnalando in maniera esaustiva tutti i libri di argomento cinematografico che escono nel corso dell’anno. La rivista viene inviata gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta al Centro Studi Cinematografici, Via Gregorio VII, 6 - 00165 Roma Telefono e Fax: 06.6382605. e-mail: [email protected] 64
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