Danilo Gotti Bolivia

Transcript

Danilo Gotti Bolivia
Una storia da conoscere, un’esperienza da sostenere
BOLIVIA
LA GRANDE FAMIGLIA DI DANILO
DA DIECI ANNI IN BOLIVIA, DANILO GOTTI, MISSIONARIO
LAICO BERGAMASCO, HA DATO UNA CASA E UNA SPERANZA DI
FUTURO A DECINE DI RAGAZZI SEGNATI DA HANDICAP O DA
DIFFICILI SITUAZIONI FAMILIARI. CON LORO, DIVENTATI LA
SUA FAMIGLIA, E CON QUANTI VERRANNO DOPO DI LORO, HA
DECISO DI SPENDERE TUTTA LA SUA VITA
“Sto proprio diventando vecchio: quando Felipe, uno
dei miei ragazzi, che si è sposato due giorni prima che
io partissi per l’Italia, è venuto all’aeroporto a
salutarmi, mi sono messo a piangere”.
Me lo dice con la voce un po’ più bassa, quasi per
giustificare quell’attimo di debolezza, al termine di un incontro che mi ha permesso di conoscere e
di apprezzare una storia d’amore iniziata dieci anni fa tra alcuni ragazzi boliviani dal futuro incerto
e un giovane bergamasco dallo sguardo chiaro e mite.
Commuoversi in certi momenti della vita non è poi un fatto tanto straordinario per un padre. Se
mai, in questa storia, è il padre ad essere un po’ fuori dal comune, a cominciare dal numero dei
figli. Sono decine, infatti, i ragazzi che in questi anni hanno affollato, riempiendola di vita e di
problemi, la grande casa di Cochabamba, dove Danilo vive. Sono 26 quelli che attualmente vi
abitano con lui: una famiglia decisamente numerosa per un “papà” da pochi mesi quarantenne.
LA STRADA CHE PORTA IN BOLIVIA
La scelta di spendere la propria vita camminando a fianco dei meno fortunati non è stata per
Danilo una scelta improvvisata. E’ il frutto di una seria e, in certi momenti faticosa, ricerca di valori
in cui credere, di ideali per cui valesse la pena vivere.
Tutta la storia che Danilo mi racconta, a partire dalle inquietudini della sua adolescenza, lascia
intravedere questa ricerca.
Prima di approdare in Bolivia, Danilo ha percorso a lungo le strade dell’impegno, dapprima nel
servizio civile, poi in dieci anni di lavoro in una clinica di Firenze, a stretto contatto con il mondo di
chi soffre ed è emarginato.
Infine la Bolivia, per cercare di vivere in modo più radicale e genuino, valori divenuti per lui
irrinunciabili.
Per quattro anni lavora alla “Ciudad del niño”, l’istituto fondato e gestito dal Patronato S. Vincenzo
di Bergamo, che ospita centinaia di bambini e ragazzi con difficili situazioni familiari. In questo tipo
di impegno si trova bene. Anzi ne viene catturato a tal punto da pensare a un coinvolgimento
ancora più diretto e totale.
“C’erano alla “Ciudad del niño” alcuni ragazzi che faticavano un po’ ad accettare le regole imposte
dalla convivenza nel grande istituto e che talvolta, per questo motivo, ne venivano espulsi.
Ho pensato di offrire loro un altro tipo di aiuto affittando una casa alla periferia della città, un
luogo dove i ragazzi più difficili potessero sperimentare più da vicino un clima di famiglia. In essa
ho scelto di far vivere insieme persone diverse tra loro per storia e per problemi, non solo orfani o
solo handicappati, ma persone che, nella vita comune, nella necessità di provvedere
responsabilmente ai bisogni dell’altro, conoscessero le tante facce della realtà, imparando ad
accettarsi e a valorizzarsi reciprocamente”.
I “FIGLI” DI DANILO
E’ un mondo variegato di sofferenza e di problemi quello che vive nella casa di Danilo. C’è Juan,
che ha 32 anni e l’esistenza segnata per sempre da un treno che gli ha falciato le braccia e una
gamba. “E’ un ragazzo dolcissimo, una persona serena, con uno sguardo che dà la carica”-
sottolinea Danilo. C’è Nelson, un emiplegico, Sofia, una donna di 51 anni, cieca, Edy, con i suoi
problemi psichici e il carattere ribelle; c’è Massimo che vive sulla sedia a rotelle per una malattia
che la sua famiglia non ha voluto accettare e riconoscere, attribuendo la menomazione del figlio ad
una maledizione caduta su di lui.
E ce ne sono altri, alcuni pronti a spiccare il volo per lasciare il posto ai tanti che vorrebbero far
parte della grande famiglia di Danilo. Non è possibile, però, accogliere tutti. Ma di fronte a certi
casi, “Come si fa - si chiede Danilo – a dire di no? I malati, in particolare, mi prendono troppo! Li
conosci e diventano tuoi: non sei più capace di perderli. Per me sono la mia vita”.
E allora, visto che la prima casa, con i suoi 26 abitanti era ormai al completo, ne è stata aperta
una anche a Condebamba, a due chilometri di distanza, dove vivono altri nove ragazzi e di cui è
responsabile un giovane che ha vissuto per anni nella casa famiglia di Danilo.
Parecchi ragazzi, infatti, riescono a diventare autonomi: hanno una loro vita, vivono del proprio
lavoro, ma mantengono con quella che è stata ed è la loro famiglia, rapporti di amicizia e di
collaborazione.
Clemente è uno di loro. “Era un ragazzo un po’ sbandato; quando in casa gli è stata data la
responsabilità di prendersi cura di alcuni ragazzi più giovani di lui, è cambiato totalmente. Ora si è
formato una sua famiglia ed ha un figlio di un anno a cui ha dato il mio nome. Clemente mi chiama
papà e mi ha detto più volte che, quando sarò vecchio, sarà lui a prendersi cura di me”.
Sostenere, anche dal punto di vista economico, il peso di questa grande famiglia, non è davvero
facile. Non c’è nessuna istituzione che finanzia le spese, provvede ai bisogni, ‘copre le spalle’.
C’è solo l’aiuto generoso di alcuni gruppi missionari bergamaschi, animati da persone che durante
un loro viaggio in Bolivia, hanno conosciuto ed apprezzato questa esperienza di condivisione e di
solidarietà.
Il futuro della casa di Danilo è quindi soprattutto nelle mani dei suoi figli, quelli che con il loro
lavoro contribuiscono ad assicurare a tutta la famiglia una vita dignitosa, senza lussi e senza
sprechi, dove acquista valore l’essenziale che ciascuno si sa procurare.
Tanti ragazzi, ciascuno con la sua storia e con i suoi problemi e in più i problemi del vivere tutti
insieme.
“Nei momenti più difficili non ti viene mai –chiedo a Danilo- la voglia di mollare tutto e di tornare a
casa?”. “A casa?”, mi domanda a sua volta un po’ stupito. “Ci tornerò tra pochi giorni. Nella mia
famiglia, tra i miei ragazzi: è quella la mia casa”.
Da MISSIONDUEMILA, inserto mensile del settimanale diocesano “La Nostra Domenica”, 13 ottobre 1996