Notizie Verdi - Federazione dei Verdi
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Organo ufficiale d’informazione della Federazione dei Verdi Anno V – n. 9 mercoledì 14 gennaio 2009 Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 DCB - Roma • Direttore responsabile: Enrico Fontana • Editore: undicidue srl, via del Portofluviale, 9/a - Roma • Stampa: Rotopress, via E. Ortolani, 33 - Roma Registrazione Tribunale di Roma n. 34 del 7/2/2005 • Redazione: via del Portofluviale, 9/a - 00154 Roma - tel. 0645470700 - fax 0642013131 - [email protected] • Stampato su carta ecologica • La testata fruisce dei contributi di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 250 Lo scempio della Marmolada Al via tra le polemiche il progetto di un mega resort ai piedi dell’ultimo ghiacciaio delle Dolomiti Walter De Cassan (Federalberghi): «È una follia. Basti pensare che nel bellunese gli alberghi sono occupati solo per il 40 per cento. Il problema è far conoscere le nostre montagne, altro che costruire nuovi hotel portando fin qui tonnellate di cemento» Andrea Drudi a pagina 2 Il governo sfiducia l’Aula Per l’ennesima volta l’esecutivo non si fida della sua maggioranza e blinda il decreto anticrisi Rosanna Calabrò [email protected] Strage tra le mura di casa 2 Le vili torture di massa 3 A ula della Camera dei deputati. All’esame, ieri, si attendevano gli emendamenti delle commissioni Bilancio e Finanza sul decreto anticrisi. Il risultato di mesi di lavoro e di proposte dell’opposizione per tentare di porre rimedio a un provvedimento privo di proposte serie per contrastare la difficile situazione economica del Paese. Eppure, nonostante il centrodestra possa contare su una maggioranza numericamente fortissima, evidentemente non la ritiene altrettanto affidabile, e ha deciso di porre la fiducia. Esattamente come era accaduto una settimana fa, in occasione dell’esame del decreto sull’università: è la decima volta che accade nel corso di questa legislatura. L’ennesimo segnale di difficoltà e di evidente diffidenza all’interno del centrodestra che va ad aggiungersi al botta e risposta avvelenato tra Lega e governo sulla proposta di tassare i permessi di soggiorno. Una tenaglia trasversale per impedire il dibattito in Parlamento (con molta probabilità la stessa scena si ripeterà al Senato), che fa il paio con il ricorso sfrenato al decreto legge, percorso legislativo Fini attacca: «Il rispetto del Parlamento nel procedimento legislativo non si limita all’omaggio del lavoro fatto in Commissione e impedendo ai deputati di pronunciarsi in Aula su un testo. La fiducia è indispensabile per problemi interni alla maggioranza» tanto amato da questo governo. Un iter che, di fatto, esautora le funzioni proprie delle istituzioni parlamentari. Un atto che, anche stavolta,hainfastiditonotevolmente il presidente Fini e che lo ha portato a dichiarare in Aula: «In tanti anni ho avuto modo di ascoltare le molteplici ragioni per le quali il governo, avvalendosi di una sua esplicita prerogativa, ha deciso di porre la questione di fiducia, ma è la prima volta che sento dire che viene posta la questione di fiducia in omaggio alla centralità del Parlamento». «Il rispetto della sua funzione nel procedimento legislativo - ha quindi aggiunto non si limita all’omaggio del lavoro fatto in Commissione e impedendo ai deputati di pronunciarsi in Aula su un testo». E ha poi concluso, piccato: «La fiducia era certamente indispensabile,masoloperproblemi politici connessi al dibattito interno alla maggioranza». Le opposizioni si sono mostrate concordi nel sostenere il richiamo di Fini, e dal Pd è arrivata la richiesta dell’applicazione del cosiddetto “lodo Iotti”, una prassi che prevede la possibilità, in caso di richiesta di fiducia, di illustrare gli emendamenti presentati. «Excusatio non petita, accusatio manifesta», ha risposto Michele Vietti dell’Udc. Dalla maggioranza giungono parole di sostegno a una scelta ritenuta “indispensabile”, ma anche dure critiche dagli alleati autonomisti dell’Mpa. E mentre i politici dibattono e il governo non propone nulla di concreto per arginare la crisi che ci sta piombando addosso, l’agenzia di rating Standard and Poor’s (S&P) ha annunciato che il debito pubblico italiano raggiungerà il 109 per cento, un livello tale che secondo S&P «frena la possibilità per il governo di fornire supporto all’economia italiana nell’attuale periodo di recessione». Il tour nelle foreste di Paul Weller Ercolano, la nuova Pompei 3 Un tour nelle foreste per Paul Weller: l’eclettico artista britannico suonerà in sei date in luoghi non convenzionali, per appoggiare il programma di salvaguardia delle foreste della Forestry commission live music. Tra i luoghi scelti, spiccano la foresta di Sherwood a Edwinstowe e quella di Dalby a Pickering: tutte le date si terranno nel mese di giugno. Weller non è nuovo a queste iniziative: aveva già tenuto alcune date nel verde nel 2004, facendo sempre registrare il tutto esaurito. Ecco tutte le date. Suffolk Thetford forest (5 giugno), Cheshire Delamere forest (12), Nottingham Sherwood pines forest park (19), Gloucestershire Westonbirt arboretum (20), Staffordshire Cannock chase forest (26), Yorkshire Dalby forest, Near pickering (27). Paul Weller, nato il 25 maggio 1958 a Woking, Surrey, in Inghilterra, come leader dei Jam (che fonda nel 1973 con Steve Brooks, Rick Butler e Dave Waller) si trovò a capo di una delle più importanti band del punk inglese. I Jam influenzeranno molti gruppi della scena britannica a partire dalle band ispirate al revival mod, fino agli Smiths e agli Oasis. Il gruppo si scioglierà nel 1984, anno in cui Weller decide di lasciare i compagni per seguire una fascinazione soul e Motown che quasi dieci anni dopo lo porterà a un nuovo progetto: gli Style council. L’artista ha poi deciso di intraprendere una carriera da solista. Nel 1992 debutta con l’eponimo Paul Weller che riceve buone recensioni e raggiunge l’ottava posizione nella classifica inglese. L’album successivo, Wild wood del 1993 verrà presentato al pubblico con una lunga tournée che porterà al progetto Live wood. Nel 1995 Weller pubblica Stanley road, il suo più grande successo dai tempi dei Jam e best seller con quasi un milione di copie vendute in Inghilterra. Seguiranno altri tre album, Heavy soul del 1997, Heliocentric del 2000 e Illumination del 2002, una raccolta Modern classics: greatest hits (1998), il live Days of speed (2001) e il progetto di cover Studio 150 (2004). Morti bianche, battaglia da vincere Elida Sergi [email protected] Cadono uno dopo l’altro come birilli, in un infernale effetto domino che non conosce latitudini. Dall’inizio dell’anno, e sono passati ancora solo 15 giorni, il triste elenco delle vittime ha già raggiunto quota 33. Le chiamano morti bianche, forse per richiamare alla mente l’idea di una sorta di purezza, ma quello che alla fine rimane è più che altro la sensazione di crudeltà. Crudele è la morte di Dusan Poldini, operaio 37enne di Trieste, che ieri è rimasto incastrato sotto alcuni ingranaggi della Ferriera LucchiniServestal presso la quale lavorava. Crudele è anche la morte di un altro operaio schiacciato da un nastro trasportatore per la merce in una cartiera della Turin arta di San Maurizio Canaves, in provincia di Torino. Crudele, infine, è la morte di Rosario Cardile, 47 anni, dipendente di una società di ormeggiatori di Augusta, in provincia di Siracusa, caduto in mare probabilmente mentre stava transitando da una petroliera, in fase di disormeggio, a un piccolo natante di servizio. Questo per citare solo gli ultimi casi, perché di storie da raccontare ce ne sarebbero molte altre: parlano tutte di una vita fatta di sacrifici e difficoltà per arrivare a fine mese, turni massacranti per dare una migliore condizione di vita ai figli e situazioni di pericolo che vengono affrontate con un misto di timore e incoscienza. Se, come si dice, il buongiorno si vede dal mattino, il 2009 certo non sembra iniziare bene: ma la speranza è che quello che somiglia sempre più a un terribile bollettino di guerra non faccia segnare più vittime. Racconteremmo, così, di un Paese del cosiddetto Occidente globalizzato che ha vinto una battaglia importante per il proprio futuro. Racconteremmo di una società, la nostra, che è matura e finalmente si occupa della sicurezza dei lavoratori. Che non è un diritto, ma un dovere: lo Stato non può esimersi, pena l’ennesima sfilza di episodi agghiaccianti che poi si dovrà tentare di spiegare a chi ancora riesce a indignarsi. 2 mercoledì 14 gennaio 2009 Una violenta aggressione all’ambiente La battaglia delle associazioni ecologiste è iniziata nel 1988. Fortissimi i pericoli per “l’ultimo ghiacciaio” e l’economia tipica locale dalla prima I l Grand hotel Marmolada, che secondo la società realizzatrice «consentirà al turismo bellunese di uscire dall’età della pietra», non è un semplice hotel di montagna, ma un vero e proprio mega resort costituito da un palazzo centrale di 100 appartamenti e 54 chalet costruiti intorno. In tutto 248 stanze, più il centro benessere, quello per i congressi, piscine coperte, saloni, negozi, palestre. In totale si tratterebbe di circa 90mila metri cubi di cemento, davanti alla regina delle Dolomiti. «Il resort sarà costruito dove c’è il grande parcheggio per la funivia. Gli chalet saranno poco lontano, ma saranno edificati in modo da sembrare i fienili di una volta», ha dichiarato soddisfatto il sindaco di Rocca Pietore Maurizio De Cassan. Il progetto, che nei giorni scorsi ha ottenuto il benestare della Regione, si presenta come l’ennesima violenza alla montagna più bella delle Dolomiti, che dura ormai da troppi anni: strade scavate nel ghiacciaio per costruire i nuovi impianti della funivia, crepacci usati come discariche e silenzio spezzato dagli elicotteri che portano in vetta gli appassionati di eliski. Secondo Fausto De Stefani, presidente dell’associazione Mountain wilderness, si tratta di un vero e proprio «scempio ambientale» in quanto «la vita sulle Alpi si difende costruendo un equilibrio fra le comunità. Qui invece arriva una massa di cemento, imposta da Nucleare, Francescato: «Berlusconi prende lucciole per lanterne» «Berlusconi sul nucleare prende lucciole per lanterne ed esiste il rischio che a pagare per i suoi errori di valutazione siano i cittadini, com’è già avvenuto per l’Alitalia. Il nucleare è, infatti, estremamente costoso sia dal punto di vista economico che sociale e continua a essere pericolosissimo sia sotto il profilo della radioattività che della proliferazione». Lo ha dichiarato la portavoce nazionale dei Verdi Grazia Francescato commentando le ultime esternazioni del predidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Non è vero - ha spiegato la leader del Sole che ride - che il nucleare eviterà i rischi per la sicurezza energetica del nostro Paese perché l’uranio, per le stime delle organizzazioni internazionali, durerà solo per pochi decenni e come tutti sanno non si trova di certo in Italia». «Restano invece certi - ha concluso la Francescato - i rischi per la salute e per l’ambiente connessi alla radioattività e nessuno tra i tanti sostenitori del nucleare ci dice cosa vuol fare delle scorie radioattive che ancora nessuno al mondo è riuscito a smaltire». Alitalia, Bonelli: «Al punto di partenza ma con 3 miliardi di euro in meno» Ieri sono decollati i primi voli della nuova Alitalia, nata dalla fusione della vecchia compagnia di bandiera italiana e Air One. Sempre ieri in una conferenza stampa l’ad di Air France Jean-Cyril Spinetta ha mostrato nuovi segnali di apertura verso la Cai. Questa l’opinione del Verde Angelo Bonelli sulla vicenda: «Con l’ingresso di Air France nella nuova Alitalia siamo tornati a quel punto di partenza indicato dal governo Prodi e fortemente osteggiato da Berlusconi in campagna elettorale ma con 3 miliardi di euro dei contribuenti in meno. Gli italiani e i lavoratori in esubero pagheranno il prezzo salatissimo di questo vero e proprio pasticcio del governo». «Adesso - ha concluso Bonelli - Air France può leccarsi i baffi perché entra in Alitalia con una cifra minima mentre il debito della compagnia di bandiera è stato scaricato tutto sugli italiani». interessi imprenditoriali. L’identità e la storia di Rocca Pietore vengono cancellate. Gli artigiani e i piccoli imprenditori locali avranno purtroppo un solo futuro: andare a fare i camerieri al Grand hotel». Secondo il presidente della Federalberghi di Belluno Walter De Cassan «si tratta di una follia. Nel bellunese gli alberghi sono occupati solo per il 40 per cento. Il problema è far conoscere le nostre Dolomiti, altro che costruirvi nuovi hotel portando tonnellate di cemento». Ma non c’è solo l’impatto ambientale. «Per capire la differenza fra un hotel a gestione familiare «Il resort sarà costruito dove c’è il grande parcheggio per la funivia. Gli chalet saranno poco lontano, ma saranno edificati in modo da sembrare i fienili di una volta», ha dichiarato soddisfatto il sindaco di Rocca Pietore Maurizio De Cassan. Che di professione fa l’albergatore e l’albergo gestito da una catena nazionale o internazionale - ha aggiunto De Cassan - basta entrare all’hotel Principe Marmolada, a Malga Ciapela: con sette gradi sottozero, nel menù del pranzo si offrono riso all’inglese e prosciutto e melone. Nessuna traccia di zuppe o polenta o altri prodotti tipici locali». «Il grande complesso alberghiero - ha spiegato Luigi Casanova, vicepresidente della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi - è invadente, cancella l’identità della popolazione locale e frantuma le filiere corte dell’economia che ancora oggi resistono, come l’artigianato, i piccoli albergatori e gli affittacamere». La battaglia delle associazioni ambientaliste locali per difendere “l’ultimo ghiacciaio” è iniziata nel 1988. Solo nella scorsa estate, ad esempio, sono state raccolte centinaia di rifiuti di ogni tipo scaricati dalla società della funivia. Per questo inquinamento la società Tofana Marmolada è stata multata di 100mila euro, da pagare alla Provincia come risarcimento per danni ambientali. Il 4 febbraio 2008, a Cavalese, 3 rappresentanti della stessa società sono stati condannati a 8 mesi di reclusione per aver costruito senza autorizzazioni una strada di accesso al cantiere della funivia, nel cuore del ghiacciaio. Fra i condannati anche il presidente della società, Mario Vascellari, che assieme al fratello Valentino ora ha il permesso di costruire il mega resort di Malga Ciapela. Strage tra le mura di casa Ogni anno si verificano oltre 4 milioni di incidenti che rimangono ignorati: i più colpiti donne e anziani Valentina Faraone [email protected] O gni giorno il telegiornale c’informa di nuovi morti sulle strade: proprio ieri una bambina di 11 anni è stata investita in pieno centro a Forlì mentre attraversava la strada per andare a scuola. Pochi giorni fa una mamma incinta con tre figli piccoli è stata investita da una un’auto mentre tornava dall’asilo. La tensione che ormai pervade i pedoni nelle città, grandi o piccole che siano, si legge negli sguardi nervosi di chi si avvicina alle auto in corsa, talvolta a una velocità assurda rispetto al limite consentito. Ogni giorno abbiamo ancora la forza di indignarci di fronte a notizie del genere, perché i giornali condannano quotidianamente uno o più pirati della strada. Ma ci sono vittime che non ricevono neppure questa magra consolazione: sono quelle degli incidenti domestici. Solo in Italia si rilevano circa 4 milioni e mezzo di incidenti domestici l’anno, di cui 8.000 mortali, e quasi 3 milioni e 800mila persone infortunate. Questi sono i dati resi pubblici ieri durante la conferenza stampa organizzata da Federcasalinghe con la partecipazione dell’Ispesl e dell’Inail. Essendo, quello della casalinga, un lavoro per lo più femminile, il 65% delle persone infortunate tra le mura domestiche è rappresentato da donne, contro il 35% degli uomini. Non bisogna però dimenticare il gran numero di anziani lasciati soli dalle famiglie, che spesso sono costretti a svolgere servizi non più idonei all’età o alla prontezza di riflessi: questo porta il numero degli infortuni degli over 65 al 48%. Il maggior numero degli incidenti è però causato dalla scarsa informazione relativa alle regole di base da rispettare all’interno di una casa. Ecco perché la presidente di Federcasalinghe Federica Rossi Gasparrini ha chiesto al governo «di utilizzare i circa 180 milioni destinati per legge alla prevenzione e di imporre alla Rai di dedicare trasmissioni serie a questo scopo perché la salvaguardia della sicurezza è un valore sociale da tutelare». La Gasparrini ha infatti reso noto in conferenza stampa che esistono «risorse economiche riservate a questo settore» ma le richieste di Federcasalighe non sono finite Gasparrini (Federcasalinghe): «Il governo deve utilizzare i circa 180 milioni destinati per legge alla prevenzione degli incidenti domestici e imporre alla Rai di dedicare trasmissioni serie alla sensibilizzazione» qui. La presidente, rivolgendosi direttamente al ministro per le Infrastrutture Altero Matteoli, ha ricordato che «sono oltre 10 milioni le abitazioni che non sono a norma per i sistemi gas ed elettrico e questo porta ad aumentare il pericolo di incidenti con esplosioni». È, infatti, di pochi giorni fa la terribile notizia dello scoppio di una palazzina a Bari causato da una perdita di gas che ha determinato la morte di 3 persone mentre altre 6 sono state tratte in salvo dalle macerie. I dati che emergono sono terribili: 3 appartamenti su 10 sono a rischio esplosione, soprattutto per una carente manutenzione o, peggio, per una manutenzione “fai da te” che può risultare addirittura più dannosa della non curanza. La richiesta della Gasparrini è piuttosto chiara: «Vogliamo che il governo pensi a un sostegno per le famiglie meno abbienti per acquistare quelle che vengono definite le strumentazioni elementari». Perché non esistono vittime di serie A e di serie B. mercoledì 14 gennaio 2009 agricoltura L’Unione europea approva la lista nera dei pesticidi Giro di vite del Parlamento europeo, ieri a Strasburgo, dopo l’accordo raggiunto nei mesi scorsi da Commissione europea e Consiglio, sull’utilizzo di pesticidi in agricoltura. Nel mirino della comunità sono finite 22 delle 500 sostanze finora autorizzate, circa il 5 per cento, perché considerate nocive per la salute. Il bando, dal 2009 al 2018, sarà totale per 14 sostanze, i cui effetti dannosi sulla salute umana e sull’ambiente sono stati largamente provati. Le altre 8 godranno di un regime più “morbido”: potranno, ma non dovranno necessariamente essere proibite, non essendo ancora considerate definitive le prove sui loro effetti negativi diretti sulla salute. La messa al bando dei pesticidi pericolosi, approvata a maggioranza schiacciante con un regolamento e una direttiva, non sarà immediata. Le sostanze sotto accusa non saranno più riammesse dopo la scadenza dell’autorizzazione attuale. La normativa adottata ieri mette la parola fine all’utilizzo di diversi pesticidi contenenti perturbatori endocrini (sostanze che perturbano gli equilibri ormonali). Secondo i parametri stabiliti dall’assemblea di Strasburgo il divieto potrà scattare in due situazioni: se vi saranno almeno due conseguenze patologiche dimostrate in esperimenti con una sola specie animale, oppure in presenza di un solo effetto patologico dimostrato, se vi saranno in più altri effetti osservabili su qualunque organo. A fare le principali spese di questa nuova normativa sono le industrie del settore, in particolare le due multinazionali chimiche tedesche Bayer e Basf, che si sono molto spese nei mesi scorsi per ottenere condizioni meno penalizzanti. Il processo legislativo non è stato privo di ostacoli e pressioni, non solo da parte delle lobby dell’industria, ma anche dalle Ong ambientaliste. La relatrice del regolamento, la Verde tedesca Hiltrud Breyer, nei mesi scorsi aveva più volte denunciato le dichiarazioni dell’industria, che paventava conseguenze di proporzioni bibliche, per la possibile proibizione di più del 40 per cento delle sostanze. La direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi invece prevede che gli Stati membri presentino dei piani di riduzione del loro impiego, con obiettivi quantitativi e calendari d’attuazione, e che siano incoraggiati i sistemi di “protezione integrata” delle colture. Le vili torture di massa In 60 Paesi del mondo 100 milioni di mine antiuomo feriscono gravemente senza uccidere Bruno Picozzi S econdo il dottor Mohammad Reza, capo del Centro di azione delle Nazioni unite per le mine in Afghanistan, questo Paese non raggiungerà mai i suoi obiettivi di sviluppo fintanto che non sarà liberato da tutte le mine e gli esplosivi disseminati sul suo territorio. Reza ha sottolineato che gli afgani sono il popolo al mondo più minacciato dalle mine antiuomo. Infatti, nonostante i costosissimi sforzi per ripulire il Paese dalle mine, circa 50 afgani al mese sono uccisi o mutilati da questi ordigni. Il Centro di cui Reza è responsabile dipende dal Servizio d’azione contro le mine delle Nazioni unite che si occupa non solo dello sminamento dei terreni ma anche dell’assistenza alle vittime, di programmi di educazione su come proteggersi dalle mine e della distruzione degli arsenali, come stabilito dal trattato di Ottawa del 1997, altrimenti conosciuto come “Convenzione sul divieto di impiego, stoccaggio, produzione e trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione”. Il Trattato è sostenuto da 156 Paesi al mondo, ma 78 Paesi sono ancora in possesso di arsenali contenenti circa 250 milioni di mine terrestri, e 13 Stati non firmatari della convenzione mantengono il diritto di produrre mine antipersona: tra questi, Pakistan, India, Israele, Russia, Cina e Stati Uniti Dal 1998 in poi solo 2.000 chilometri di superficie sono stati bonificati con una spesa di circa 3 miliardi di euro, a fronte di 200mila chilometri di terreni minati ancora esistenti in tutto il mondo d’America. E, mentre solo i governi di Russia e Birmania continuano ufficialmente a minare terreni, le mine antiuomo sono utilizzate in tutto il mondo da gruppi non governativi causando grandi sofferenze e impedendo lo sviluppo dei popoli dopo la fine dei conflitti. Le mine antiuomo sono l’arma più vile mai inventata, destinata essenzialmente a causare ferite gravi senza uccidere, in base al principio secondo cui un ferito crea ancora più problemi di un morto. Inoltre, un ferito da mina Ercolano, la nuova Pompei La querelle mai sopita di una cittadina in tono minore che fa il verso alla sorella “maggiore” Carmen Metta Q uerelle mai sopita, e mai legittimata, quella di una Ercolano in tono minore che fa il verso a Pompei, come la fotocopia al modello, con tutte le presunzioni di dignità che l’equivoco autorizza a decretare. Un luogo comune che ha una storia facile da risalire, ma non altrettante buone ragioni da sottoscrivere. Non tutti sanno che di Ercolano non si era mai persa la memoria nella tradizione locale, benché la città nuova non esitasse a sovrapporsi alla compianta sepolta; tutte circostanze che un destino compiacente aveva precluso a Pompei, tanto che l’architetto Fontana non la riconobbe affatto, quando vi scavò la collina intonsa e tenuta per proprietà del vulcano, per condurvi attraverso l’acqua dal Sarno a Torre, e si ritrovò non contento tra rovine di edifici romani e antichità spontanee. Destino compiacente quello che vegliò sulla sorella maggiore, tant’è che gli scavi, cominciati assai più tardi che non a Ercolano, proseguirono di gran carriera, dopo che quest’ultima ebbe prestato il fianco per collaudare tecniche e strategie. Il principe austriaco d’Elboeuf, quando nel 1709 s’imbatté per caso nella scena di un teatro antico, non ebbe certo il buon senso di frenare il suo istinto di rapina, ma offrì il pretesto di un metodo agli archeologi di Carlo di Borbone, che alla ripresa degli scavi nel 1738, grossolanamente ispirati all’ingegneria dei pozzi, improvvisarono cunicoli e gallerie 3 sotterranee, subito dopo ricoperti. Solo dieci anni più tardi, e sempre per caso, si ebbe inattesa la rivelazione di Pompei e gli scavi avanzarono anche qui, senza pretese scientifiche fino all’Unità d’Italia. Pompei, situata sul fianco del vulcano e distante dal mare, fu investita da una nube di ceneri e lapilli che la seppellì sotto uno strato spesso 6 metri; Ercolano, che si ergeva su una terrazza a ridosso del mare, fu sommersa da un torrente di fango e lava che soldificandosi la tumulò in un banco tufaceo alto 20 metri. Va da sé che a Pompei gli scavi procedettero alacremente, e che a Ercolano le difficoltà furono di gran lunga maggiori. Aggiungendosi il prestigio del Santuario mariano, Pompei riceveva nuovo impulso; laddove Resina, cresciuta a sproposito e a dismisura, impediva agli scavi di Ercolano di proseguire per intero. Là il profilo del Vesuvio che incombe sul Foro, le macchie di pini, lo spazio pubblico condiviso, le passeggiate simulate lungo i cardini e i decumani; qua la discesa agli inferi, attraverso i blocchi di fango, giù, dritto nelle case private, dove le travi bruciate parlano e i graticci incombono, e dalle finestre dei secondi piani di sicuro ti guardano. Lì l’emozione dei calchi di gesso, le impronte dei corpi, le pitture; qui l’intimità delle case, le dimensioni affastellate, le porte ingessate, la testimonianza dei materiali organici carbonizzati, di tessuti, legni, cibi, e papiri… Ma è una vexata quaestio, in un caso e nell’altro, quella della conservazione e valorizzazione, in confronto alla quale non c’è promozione che tenga: i fondi pubblici colano, quelli privati boccheggiano. Eppure, qualcosa si muove: il Mav (Museo archeologico virtuale di Ercolano) integra la visita al sito con ricostruzioni animate e interattive che aiutano a figurarsi la vita, laddove è un ricordo impietrito; al Museo archeologico nazionale di Napoli è in corso una mostra intitolata a Ercolano, che usa l’illuminazione adattandola per intensità e diffusione al genere del reperto esposto, e raccoglie scheletri di fuggiaschi, una selezione di tessuti, e sculture, di cui numerose dalla Villa dei Papiri. Bene, anzi, benissimo! Ma siamo sicuri che possa bastare? Assicurare il museo all’immaginazione, senza salvare le sopravvivenze dalla distruzione? Da una parte il profilo del Vesuvio che incombe sul Foro, le macchie di pini, le passeggiate simulate lungo i cardini e i decumani; dall’altra la discesa agli inferi, dove le travi bruciate parlano e i graticci incombono richiede molte più risorse degli altri feriti in termini di trasfusioni e costi sanitari. Circa mezzo milione di civili, di cui almeno 200mila bambini, sono a oggi sopravvissuti dopo essere stati mutilati dalle mine. Ancora oggi ne sono vittime almeno 20mila civili ogni anno. Oltre l’Afghanistan vi sono circa 60 Paesi al mondo in cui restano interrati oltre 100 milioni di mine. Nei campi della ex-Jugoslavia ne rimarrebbero circa 3 milioni, mentre altri svariati milioni sarebbero presenti in Iraq e Vietnam. Lo sviluppo di intere regioni in Cambogia, Mozambico e Angola è gravemente ostacolato dalla presenza delle mine. Esse impediscono la ricostruzione e il rimpatrio dei rifugiati e hanno conseguenze gravi per anni dopo il loro posizionamento. Dal 1998 in poi oltre 42 milioni di mine sono state distrutte negli arsenali mentre solo 2.000 chilometri quadrati di superficie sono stati bonificati da circa 5 milioni di mine con una spesa di circa 3 miliardi di euro, a fronte di 200mila chilometri di terreni minati in tutto il mondo. L’Italia è stata un grande produttore e venditore di mine antiuomo. Famose le Ts-50 e le Sb-33, che possono essere disperse da elicotteri, e le Vs-50 e le Var-40, da collocare a mano. Un triste successo hanno avuto le Valmara-69 a frammentazione. Una volta attivate saltano a mezz’aria per poi esplodere e causare danni letali per decine di metri tutto intorno. Le industrie produttrici erano Tecnovar, Valsella e Misar. Queste ultime due negli anni Ottanta sono state controllate dalla Fiat e la Valsella ha rifornito tra gli altri il regime iracheno. L’Italia ha adottato una moratoria sulla produzione delle mine antiuomo il 2 agosto 1994 e le tre industrie hanno conosciuto un inarrestabile declino. Ambiente Lasciare a casa l’auto per fare la spesa in bici: sì del 60% dei milanesi Il 60% dei milanesi è disposto a sostituire l’automobile con mezzi più ecologici, come la bicicletta, per fare la spesa. È il risultato di un’indagine, condotta su un campione di 2.000 persone in 8 città italiane (Milano, Genova, Treviso, Firenze, Bologna, Ancona, Bari e Catania) per analizzare il rapporto tra consumatori e sostenibilità ambientale. Dalla ricerca, commissionata da Henkel Italia, emerge che più della metà del campione (55%) quando fa la spesa è attento al risparmio, ma anche alle problematiche ambientali. Il 31% del campione milanese è costituito dal “cittadino sostenibile”, il vero ambientalista, una persona sensibile ai problemi ambientali che conosce in maniera approfondita e su cui è costantemente aggiornato. Consuma e vive nel rispetto dell’ambiente, evita di acquistare i prodotti delle aziende non sostenibili e sta attento a risparmiare acqua ed energia non per risparmiare denaro ma per salvaguardare il pianeta. Il dato di Milano è in linea con quello emerso dalla ricerca a livello nazionale del 30,7%. A Milano, il “cittadino risparmiatore” è quello che non ha una particolare coscienza sostenibile, ma adotta spesso un comportamento orientato alla sostenibilità. Alla base di questo atteggiamento c’è il beneficio personale: se spegnere la luce o utilizzare la lavatrice a basse temperature significa risparmiare sulla bolletta, allora ben venga. A questo secondo gruppo, composto in prevalenza da anziani con un livello di istruzione medio-basso, appartiene il 24% dei milanesi. Una percentuale inferiore alla media nazionale che si aggira intorno al 28%. In sintesi più della metà dei milanesi ha quindi un occhio di riguardo per l’ambiente, e quando deve scegliere un prodotto ne valuta anche l’impatto ambientale, in parte spinto dal senso di responsabilità, in parte dal portafoglio. Arrivati alla cassa, però, il 70,3% degli intervistati (media nazionale 72%) dichiara di utilizzare i sacchetti di plastica e di non organizzarsi con soluzioni più ecologiche come le borse in tela o i carrellini. SI RINGRAZIA LʼEDITORE PER LO SPAZIO CONCESSO POCO DI BUONO. ' UN AVANZO DI GALERA. QUESTʼUOVO E SUA MADRE VIVE ANCORA IN GABBIA. CON ALTRE MIGLIAIA DI GALLINE. DI COSA SIANO COLPEVOLI NON SI SA. QUALCOSA DI ORRIBILE VISTO COME LE TRATTANO. AMMASSATE UNA SULL'ALTRA, NON POSSONO NEMMENO GIRARSI. PER IMPEDIRE CHE SI AGGREDISCANO DEVONO ADDIRITTURA AMPUTARGLI I BECCHI. CREDI CHE POSSA NASCERE QUALCOSA DI BUONO IN QUESTE CONDIZIONI? FAI QUALCOSA DI BUONO TU: NON COMPRARE UOVA DI GALLINE ALLEVATE IN GABBIA. WWW.LAV.IT