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bimestrale - anno I - numero uno - dicembre 2016 - gennaio 2017
TRA MITO E ATTUALITÀ
SICILIA
KALON
In una forte emozione...
sempre più verso la civiltà
A Gaggi provincia di Messina:
l’unione civile dell’anno
Sotto un arcobaleno di gioia e
amore, in una cornice hollywoodiana infarcita di incantevoli squarci e panorami
mediterranei, Marco Moltrasio
e Marcello Favazza si sono
uniti civilmente secondo la
legge Cirinnà. L'amore e l'infinita generosità di questi due
uomini, vanno al di là delle
parole e rappresentano
l'esempio di una società sempre più progredita e civile.
A.Ge.D.O. Catania ringrazia
Marco e Marcello per l'invito e
l'impareggiabile sensibilità dimostrata nei confronti dell'Associazione catanese, di cui
diventano soci onorari.
Riccardo Di Salvo
segretario A.Ge.D.O. CT
Photos by Fabrizio Cavallaro
Manuel Gobbi il ragazzo del bimestre
Editoriale 2 - Dive e divi 3 - Arte 4/5 - Cinema 6
Moda e design 7 - Musica 8/9 - Eventi culturali 10
Teatro 11 - Viaggi 12
Photos by Fabrizio Cavallaro
direttore responsabile
Claudio Marchese
direttore artistico ed editing
Riccardo Di Salvo
Lo scrittore Riccardo Di Salvo
Fondatore dell'Associazione Culturale
Sciliana Kalon e del magazine bimestrale
Kalon - Tra mito e attualità
Fauno divino
figlio di tellurica terra
godo nel mio giardino
invaso dal sole
lontano dal regno dell’Ade
Veleggio nel blu
della mia terra
come sospeso nel vento…
un aquilone
Oro la sabbia
tra bianco e rosa d’oleandri
un effluvio incantevole
[email protected]
www.riccardodisalvo.it
correttore di bozze
Riccardo Di Salvo
Claudio Marchese
impaginazione
Lucia Amara
stampa
Tipografia A&G - CT
Hanno collaborato
a questo numero
Angelo Chiacchio
Antonio Agosta
Claudio Marchese
Davide Bruno
Fabrizio Cavallaro
Giovanni Bonamonte
Mauro Lo Fermo
Riccardo Di Salvo
pubblicazione bimestrale
a cura della Kalon
Associazione Culturale
Siciliana GLBTE
Reg. N. 7582
serie 3 dell’11 giugno 2009
Delibera 1 del 9 ottobre 2016
Editrice Kalon
Associazione Culturale
Siciliana - GLBTE
Kalon Tra mito e attualità
è un bimestrale distribuito
gratuitamente su territorio
nazionale senza scopro
di lucro. I collaborati sono
volontari o soci
dell’Associazione Kalon
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GLBTE i direttori non rispondono
circa le foto inviate dai collaboratori.
per collaborazioni telefonare
al 388 3258017
Perché Kalon - Tra mito e attualità
di Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese
Ph Angelo Chiacchio
La Sicilia, nell’immaginario collettivo, coincide con alcuni stereotipi.
Donne cupe, avvolte in grandi scialli neri, uomini con la lupara in mano,
feticcio di una virilità esasperata. Carretti coloratissimi come banderuole. Il teatrino dei pupi, prototipo del moderno show televisivo. Così arcaico e rurale.
Ma l’isola che si affaccia sulle acque del Mediterraneo ha una storia che non si può
ridurre a questi stereotipi. Essa affonda le origini nella cultura del mondo antico, prima
ancora che si consolidasse la civiltà di cui facciamo parte. La Sicilia senza falsi pudori
è il crocevia di tutte le culture preindustriali. Sulle sue spiagge approdarono i colonizzatori greci, prima ancora che Roma fosse tracciata dall’aratro del suo primo re.
Nel corso dei secoli la Sicilia fu di nuovo colonizzata dall’emergente capitale di quello
che fu il più grande Impero dell’antichità. Poi giunsero gli Arabi che le lasciarono un’impronta indelebile. La
storia ci ricorda tutta una sequenza di vere e proprie invasioni che seminarono violenze e contaminazioni culturali.
Quest’anima tragica dell’isola che rivive ancora oggi nella letteratura l’ha segnata profondamente. Ma la Sicilia,
nella storia dell’arte vive anche di un’anima leggera, cielo e mare insieme. Questi due elementi hanno attratto i
grandi viaggiatori che dal Settecento fino al moderno turismo di massa sono forse ancora più seduttivi degli stereotipi. L’olimpico Goethe definì l’isola “la terra ove fioriscono i limoni” tanto era forte l’emozione di un uomo
del nord Europa di fronte alla solarità siciliana. A Taormina, all’inizio del secolo XX, vennero i dandy inglesi e
francesi, sedotti certamente dalle bellezze naturali dell’isola, ma soprattutto dall’erotismo dei siciliani, per nulla
tragico. Intellettuali e personaggi dello spettacolo fecero sosta sulle spiagge siciliane, nudiste da sempre, prima
ancora del moderno turismo sessuale. Ben diversa, dunque, la Sicilia degli artisti e dei libertini da quella riduttiva
dell’immaginario collettivo. E questa sua immagine di crocevia delle culture, centro del Mediterraneo, è nettare
che attira le api. E’ l’eros, scatenatore di tempeste ormonali. La Sicilia legata ai tabù sessuali ha fatto del maschio
eterosessuale il centro ossessivo dell’immaginario. Il gallismo del maschio dominatore, che nel grottesco romanzo
“Il bell’Antonio” di Brancati e nella sua versione cinematografica scopre il tallone di Achille, perché in realtà
non è poi tanto potente dal punto di vista sessuale. La Sicilia, invece, con la sua anima greca, è sempre stata aperta
a tutte le espressioni della sessualità. Ha esibito molto il nudo, soprattutto quello maschile, sulle spiagge che ancora oggi sono ambite dai turisti di tutto il mondo.
La storia millenaria, gli splendidi paesaggi, le acque cristalline, il mare di cobalto. L’alternanza tra rocce e distese
piane sembra sottolineare le contraddizioni dei siciliani in simbiosi con la propria terra, oggi molto diversa da
quella descritta dalle pellicole cinematografiche o dalle fiction televisive. È piacevole fermarsi nell’isola vulcanica,
godere del suo clima tra spiagge di finissima sabbia dorata, sulle scogliere di rocce bianche o di pietra lavica.
D’estate, come d’inverno, i siciliani cercano il mare, il sole, perché sono elementi ormai connaturati nel loro
essere e fanno parte del loro DNA. Perché scegliere la Sicilia per una vacanza? Un’isola ospitale, pronta al
sorriso, in cui un soggiorno può diventare l’occasione per conoscere luoghi straordinari che fondono la storia con
una natura generosa e ricca di colori, profumi, sapori. “Fonte traboccante di miele” come dicevano i Greci.
Ecco perché, dopo tanti magazine per lui e per lei,
vogliamo dare spazio, grazie a tantissimi collaboratori volontari, a questo periodico rivolto a tutti coloro che amano la Sicilia. Centro del Mediterraneo,
crocevia di civiltà autentiche che si sono fuse nell’isola, creando un’idea della Bellezza che va oltre i
confini nazionali. Nell’attuale epoca della globalizzazione vogliamo valorizzare ciò che non è reperibile ovunque. Perché la bellezza di un’ immagine è
unica. Come il profumo di un corpo, il suono di una
voce, la maschera di un personaggio inimitabile.
Tutto ciò che si imita è una contraffazione, un falso
d’autore. Il mercato oggi vende una bellezza mediatica, priva di autentiche radici. Il contrario di ciò che
la Magna Grecia intendeva con l’aggettivo Kalon.
Bello, al di là delle differenze etniche e sessuali.
Ph Angelo Chiacchio
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Le dive che amarono la terra dei limoni
di Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese
queste star a esigere dal regista di turno che
venissero riprese in pose fatali, con una luce
che valorizzasse le espressioni mutevoli del
viso, indossando abiti capaci di caratterizzare il loro personaggio. Sono state proprio
Greta Garbo, Joan Crawford e Marlene Dietrich tra le prime dive del cinema sonoro.
Hanno costruito la storia del costume del
Novecento. Il loro sguardo e la loro posa
hanno bucato lo schermo per sempre. Chi
può dimenticare gli occhi della divina, la sua
posa sorniona, che tanto hanno contribuito
alla leggenda? La sua immagine ha fatto sì
che la storia delle donne cambiasse in qualche modo. Greta Garbo era la donna fatale
per libertini e per borghesi, alla ricerca del
sogno proibito. Ma era anche una nuova immagine della donna. Ambigua. Androgina.
Indimenticabili le pose e gli abiti di Joan
Crawford. Il suo busto imponente e le gambe
poco slanciate non furono più considerati difetti. Diventarono tratti essenziali del suo
personaggio. Quello della donna sicura di sé,
non delicata ma padrona del proprio carattere. Una donna capace di comandare, rinunciando al tradizionale ruolo della borghese
sottomessa al potere maschile. Di una bellezza spigolosa, moderna, con le labbra carnose colorate da rossetti infuocati, il trucco
accentuato per far risaltare gli occhi. Questa
immagine l’ha consegnata al mito del cinema, insieme con il suo indiscusso talento
drammatico. Ma c’è anche un lato della sua
leggenda che rientra nel repertorio scandalistico. La Crawford fu la prima diva su cui
furono scritti fiumi di parole. Tanto che il ricordo della sua icona viene citato anche nel
recente film di Woody Allen “Cafè Society”.
La stampa diceva che la sua carriera era stata
costruita sui divani dei produttori. Un pettegolezzo diventato poi uno stereotipo nella
storia del cinema. Greta Garbo e Joan Crawford furono le pioniere nel fare tendenza
anche nella moda. La prima con il leggendario basco calato sulla fronte. La seconda con
i tailleur glamour con le spalline imbottite.
Ci pensò poi Marlene Dietrich, sessualmente ambigua come Greta Garbo, a percorrere i sentieri della trasgressione. Chi non
ricorda i suoi occhi dallo sguardo crudele, il
cilindro in testa, le gambe provocanti con le
giarrettiere? Forse in assoluto il primo
grande sex - symbol del cinema, prima di
Rita Hayworth e Marilyn Monroe. Questo
intreccio di trasgressione e di divismo è stato
un fenomeno di costume. Ha rivoluzionato
l’immagine della donna, trasformandola in
soggetto di storie in cui spesso l’uomo diventava vittima del suo fascino. Queste dive
hanno reso mediatico il mito della donna fatale, creato dalla letteratura decadente.
Hanno portato D’Annunzio dentro lo
schermo, facendo sognare aristocratici e borghesi e scandalizzando i bigotti. Hanno an-
ticipato di alcuni decenni la dolce vita di via
Veneto. Un fenomeno di costume gaudente
e libertario, prima ancora che fosse immortalato nell’omonimo film di Fellini. Con
Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. Queste dive che hanno bucato lo schermo, creato
mode e alimentato pettegolezzi non sono
state insensibili al fascino della Sicilia. Già
ai primi del Novecento l’isola mediterranea
attirava la fantasia erotica di aristocratici e
borghesi colti del Nord Europa. L’isola era
diventata un sogno erotico a cielo aperto per
personaggi d’alto bordo, per artisti e viaggiatori inquieti. Il fotografo tedesco Von
Gloeden soggiornò a Taormina e per primo
fotografò splendidi fanciulli nudi, anticipando una tendenza di massa della cultura
gay del Novecento. A Taormina vennero
anche la Garbo (sempre sotto falso nome) e
le altre, divise da un’innata rivalità. Dive in
tutto, sia nell’estremo dell’esibizione che nel
mistero del nascondimento. Dove si nascosero queste donne fatali? Non è un romanzo,
è cronaca d’altri tempi. I giornalisti più informati e avidi di sensazionalismo sanno che
sulla strada che porta da Taormina a Castelmola, per circa trent’anni, la villa di Gayelord Hauser, dietologo delle dive di
Hollywood, ospitava nobildonne e nobiluomini, dandy e letterati eccentrici.
Non sfuggirono alla tentazione né
Greta Garbo, né Marlene Dietrich.
Immaginiamo il loro totale distacco,
secondo un copione che le voleva simili ma diverse. Pare che la divina
non amasse le colleghe e che non
Garbo
volesse nemmeno vederle. Alla vita
Crawford
mondana preferiva la solitudine
nelle camere a lei riservate. Recitava
la parte che le era stata data nel cinema, quella della donna irraggiungibile, per nulla disposta alle
banalità del mondo. Assoluta e inimitabile, tanto che poté permettersi Dietrich
il lusso di nascondersi dietro occhiali
neri alla giovane età di 35 anni. E
quegli occhiali divennero l’icona del
suo nascondimento.
Non poteva mancare a Taormina la
rossa Rita Hayworth, incarnazione Hayworth
della femminilità più terrena. Ovvio
che la Garbo non volesse nemmeno
vederla. Erano antitetiche. L’una non
poteva uscire dalla propria leggenda
di creatura sublime. L’altra annunciava una femminilità nuova, carnale
e disinibita, fino al limite dell’impudicizia.
Simbolo di un superfemminismo adatto al
sogno erotico di vaste platee popolari.
Quello che nell’Italia dell’immediato dopoguerra vedono nel film – cult “Gilda”, come
racconta Pasolini nel romanzo “Amado
mio”, riscoperto nel 40° anniversario della
morte dello scrittore - cineasta.
DIVE E DIVI
L’Europa, nei primi anni
del secolo XX, è tutta un
cantiere cinematografico. Dai primi esperimenti dei fratelli Lumière nella Parigi
raffinata e avida di cultura del 1899, lo
strumento offerto dalla macchina da presa
diviene la chiave e, nel contempo, il mezzo
di lettura più potente del vissuto sociale.
Capace di esplorare le pieghe più riposte
della storia umana. La vita non più fissata
in immagini statiche, ma creata e ri-creata
nel suo divenire. Le sequenze del cinema
muto raccontano emozioni, chiaroscuri altrimenti inesprimibili. Si fissano sui volti
degli attori e delle attrici. Il loro sguardo
intenso e bistrato di nero, diventa icona.
Immagine sacra che sostituisce nell’immaginario collettivo le immagini tradizionali
delle madonne e dei santi. Gli attori cinematografici diventano divi. Una parola di
origine latina che sta ad indicare personaggi dotati di attributi divini.
Il cinema, dunque, acquista il potere di
reinventare il mondo per mezzo di immagini in movimento. Questo suo potere artistico si trasforma in poco tempo in una vera
e propria industria mondiale. La fabbrica
dei sogni, nata povera in Francia, approda
in Gran Bretagna alla fine del 1800, fra
Londra e la località balneare di Brighton.
In pochi anni la “febbre del cinema”, come
fu soprannominata la nuova moda, si diffonde negli Stati Uniti, a New York e nel
New Jersey. La forza imprenditoriale dell’economia americana è il supporto dell’affermazione del cinema a livello mondiale.
In America diventa una vera e propria fabbrica dei sogni. Le stelle fulgenti del firmamento del made in U.S.A. non sono più
soltanto attori, ma vere e proprie divinità
che ancora oggi brillano di luce propria.
Proprio gli americani le chiamano star, con
una chiara analogia agli astri dell’universo.
È indubbio che questi personaggi sono un
prodotto industriale. La diffusione della
loro immagine e del loro corpo creato e
plasmato in modo da rispondere ai desideri
repressi del pubblico. Il divismo cinematografico viene costruito proprio su questa
zona oscura dell’immaginario collettivo.
Lo sguardo delle grandi dive è come un
terzo occhio che si spalanca sul mistero
notturno. Quello dove si nascondono le nostre fantasie erotiche. Il sogno di una vita
al di fuori delle regole comuni. Le dive
stanno alla storia dell’erotismo come la
danza sta alla musica. Sappiamo dalle biografie delle dive per eccellenza, come la
Garbo o Joan Crawford, quanto siano state
protagoniste del loro successo e della loro
affermazione. Infatti queste attrici sono
state tra le prime che hanno intuito l’importanza dell’immagine sullo schermo. Erano
!
!
3
La bellezza così a lungo
fissai, che mi s’impresse
nello sguardo e lo colmò.
Forme, labbra, carne,
sensualità del tutto.
I capelli d’una statua greca,
belli maggiormente se spettinati,
sciolti in un ciuffo ribelle
su fronti nivee –
e i volti plasmati
dall’amore:
partoriti dalla mia poesia
in certe notti
da giovane,
in cui nascostamente
li cercai….
Costantino Kavafis
trad. di Riccardo Di Salvo
e Fabrizio Cavallaro
model Alex Barbagallo
4
FIGURE DI SICILIA DALLA MATITA DI
Giovanni nte
Bonamo
Omaggio a Riccardo Di Salvo
Eroe stanco
Il castello sulle lave
Ulisse tra gli scogli
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CINEMA
Il 2016 segna la rinascita del Festival del Cinema di Roma
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Era da qualche tempo che il Festival Internazionale del Cinema di Roma, o Festa, che non è un
errore lessicale ma un modo per differenziarlo
dalle altre competizioni cinematografiche, non
avesse un vasto pubblico di accreditati per
l’evento, come giornalisti e operatori culturali dei
cineforum, oltre a quello pagante. La manifestazione si è svolta dal 13 al 23 ottobre presso il
Parco dell’Auditorium della Musica di Roma,
struttura progettata da Renzo Piano, con un programma ricco di incontri, omaggi, eventi, proiezioni e convegni. Quest’anno, a differenza degli
altri anni, oltre alla classica sfilata sul red carpet,
abbiamo assistito a una rassegna cinematografica
con nomi di attori e di registi da premio Oscar:
da Tom Hanks a Oliver Stone, da Meryl Streep a
Bernardo Bertolucci. Non sono mancati gli artisti
della canzone italiana e internazionale per ricordarci che la musica è anche parte integrante del
cinema, con le esibizioni di Jovanotti, Piero Pelù
e Michael Bublè, spiegando come la magia del
cinema nasce dal buio delle sale dentro una dimensione di sogno. La prima edizione del Festival risale al 2006, un evento promosso da
Comune di Roma, Camera di commercio, Regione Lazio, Provincia di Roma e organizzata
dalla Fondazione Musica per Roma. Inizialmente
era denominato Gala, oggi Salotto del Cinema o
Festa, ideato per ospitare lungometraggi di autori
affermati e di registi alle prime esperienze nel
settore, e grandi pellicole popolari ma originali.
Negli anni la manifestazione si è evoluta, abbandonando la gara, oggi ripresa per esigenze di
mercato, e perdendo quell’atmosfera da confronto con altre esperienze diverse e lontane,
come lo sviluppo del mercato audiovisivo della
storia del cinema. Nel 2016 è avvenuta la rinascita di un Festival che sembrava quasi morto,
con l’attesissimo ritorno del terzo capitolo delle
avventure del professor Robert Langdon, nel film
“Inferno”, esperto di simbologia religiosa, personaggio ideato dallo scrittore Dan Brown. Il lungometraggio è diretto dal regista Ron Howard,
come avvenne con i primi due
episodi, “Il codice da Vinci” e
“Angeli e Demoni”, con un cast
tutto di rispetto. L’attore principale è Tom Hanks, nella storia
veste i panni di un professore-detective illuminato, conducendo lo
spettatore dentro un gioco fatto
di storia, arte e letteratura, attraverso una mortale caccia al tesoro legata alla vita e alle opere
del sommo poeta Dante Alighieri. Oltre alla presenza di Tom
Hanks, Roma ha reso omaggio
all’attrice Meryl Streep, intervenuta al Festival del Cinema, interprete di Florence Foster
Jenkins, nell’omonima commedia diretta dal regista Stephen
Frears, una leggendaria ereditiera
newyorchese degli anni ’40, una
donna che voleva imporsi come
cantante pur non avendone le capacità. L’attrice, in conferenza
stampa, ci ha confessato la paura
dei produttori americani di reclutare attrici ultraquarantenni, perché fuori dagli ideali di un
mercato cinematografico tutto da
rinnovare, e della passione di affrontare la vita anche cantando
senza avere talento. Meryl
Streep, donna elegante e di
grande personalità, ha finito l’intervista rendendo omaggio all’Italia, affermando che ,“tutti
vogliono essere italiani e anche
io”. Sostiene il film “Fuocommare” di Gianfranco Rosi, candidato al premio Oscar nella
categoria miglior film straniero.
“Non è stato facile scegliere quel
film basato su quelle immagini.
Fuocoammare ci ha portato
nella tragedia ma ci ha portato
anche fuori. Questa è una ricetta
per il mondo, perché spesso non
sappiamo insegnare il male e
come uscirne fuori.” L’undicesima edizione del Festival del Cinema di Roma si è conclusa con
l’arrivo di Roberto Benigni, il
giullare di corte, sul tappeto
rosso, reduce dall’incontro con
di Antonio Agosta
Barack Obama alla
Casa Bianca insieme al
presidente del Consiglio Matteo Renzi e signora Landini, invitati
da Obama all’ultima
cena di Stato da Presidente degli Usa. Benigni ha trasformato il
Festival in uno show,
come lui sa fare, parlando del suo rapporto
con Massimo Troisi e
della commozione di
Papa Wojtyla nel vedere il film “La vita è
bella”, premiato con
l’Oscar
nel
1999. “Quando siamo
arrivati la Casa Bianca
era tutta italiana,
bianca rossa e verde,
mancava solo Goffredo
Mameli”, ha ironizzato
Benigni. “ Benigni conclude il suo lungo monologo, tra una piroetta
e tanti sorrisi, affermando che Obama è un
presidente straordinario,
un uomo positivo per gli
americani. Anche questa edizione si è conclusa con un vincitore
decretato dal pubblico
presente alla manifestazione, premiando “Captain Fantastic” con
Viggo Montenesen. E,
al calare del sipario,
quello virtuale, una
sorta di malinconia carica di emozionalità ha
sovrastato i nostri
sguardi nascosti dietro
lunghi applausi, risate e
commenti positivi, tutti
pronti ad aspettare l’edizione del prossimo anno
per ammirare le stelle
del cinema che giungeranno da tutte le parti
del mondo.
LA MODA
di Angelo Chiacchio
MODA
L’origine della moda va con molta probabilità individuata nel
desiderio di distinguersi delle persone facenti parte di una comunità.
La moda risulta dunque una delle più importanti e significative
espressioni individuali e collettive dell’identità etnica e culturale, che muta in un bisogno assillante di sottolineare attraverso l’abbigliamento non più la propria appartenenza ad un
popolo, ad una comunità, ma il proprio rango sociale, la propria condizione economica, la propria superiorità rispetto agli
altri individui della stessa collettività.
Masse sempre più consistenti di cittadini e di giovani in particolar modo, possono oggi vestire, più o meno elegantemente,
ostentando in questo modo non solo un certo benessere economico, ma anche l’importanza sociale raggiunta.
STILE ANNI PASSATI (1890 – 1905)
La moda nell’ultimo decennio dell’ 800 costringe il corpo in
artificiose deformazioni e scopre la delicatezza del modellato,
la forma del corpo libero da costrizioni.
Alla fine dell’ Ottocento la democratizzazione della società e
la decadenza dell’arte decorativa si riflettono sulla moda, che
si trasforma da aristocratica in borghese e risente della mancanza di uno “stile direttivo”, cadendo nella confusione del
cattivo gusto, dove l’assenza di una “linea”, l’eccesso di fronzoli e stravaganze, goffe e antigieniche concorsero a rendere
quanto mai brutto l’abbigliamento femminile, con busti
troppo stretti, le forme troppo pronunciate, come il famigerato
“ sellino”.
PERIODO UMBERTINO (1879 – 1900)
L’inizio del periodo segna un assottigliamento della figura
femminile, in uno slanciato schema tubolare che permette tuttavia un piccolo strascico.
Subito dopo, con un ritorno al periodo di transizione, la linea
si modula in serpentine sinuosità, accentuando le curve del
seno e del fondoschiena in contrasto con la vita sottile.
Non si rinuncia del tutto ai drappeggi, che fra il 1881 e il 1890
sono portati sul davanti degli abiti.
Nel costume, caratteristica costante, è la vita assottigliata artificialmente dal busto per ottenere quello che si diceva il “
vitino da vespa”.
La funzione costruttiva del busto
nel determinare la verticalità, diventa sempre più costrittiva e via
via si prolunga fino alle cosce con
la sua armatura a ossi di balena o
addirittura di molle di acciaio che
a partire dal 1890 inizieranno a essere sostituite da elastici normali.
Ph Angelo Chiacchio
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MUSICA
ANOHNI / LADY GAGA / SOLANGE
Anohni / Hopelessness
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Leader carismatico e dal talento
smisurato degli Antony and the
Johnsons, Anohni è il nome
scelto da Antony Hegarty sia per
questo nuovo progetto da solista
che lo vede transitare da crooner
di musica da camera all’elettronica, sia per una sua personale rinascita non solo artistica. E da
ora in avanti è al femminile che
bisogna riferirsi a questo personaggio, dopo averlo lei stessa
preteso con un comunicato
stampa. Messi da parte gli orpelli
orchestrali, Anohni si lascia accompagnare da due sapientoni
del genere elettronico Hudson
Mohawke (consulente speciale
di quel Yeezus di Kanye West) e
Oneohtrix Point Never. È una
collaborazione che potrebbe far
storcere il naso a molti, non era
impresa facile amalgamare la
struggente vocalità dell’artista
con un muro di suoni sintetici.
Tuttavia i due producer sono stati
abili a non calcare troppo la
mano e questo rende l’album più
leggero mettendo in risalto la
voce di Anohni che rimane la
vera protagonista. Il risultato,
seppur ad un primo ascolto può
sembrare spiazzante, non è assolutamente privo di fascino consegnandoci brani intrisi di un pop
radioso.
“Stanca di essere in lutto per
l’umanità, pretendere di non es-
sere parte del problema non è totalmente onesto”. Una vera dichiarazione di intenti la sua che esprime la
volontà di esporsi e di cambiare a
cominciare da se stessi. E quindi dai
testi intimi e personali dei lavori precedenti si passa ad una protesta
chiara e diretta alla stupidità della
violenza umana e alle tante storture
disseminate in ogni dove dai potenti
del mondo. Si parte con Drone
Bomb Me dove una immaginaria
bambina afghana supplica un drone
di mettere fine al suo straziante dolore, unico modo per ricongiungersi
alla sua famiglia. Capolavoro di questo album, 4 Degrees riesce a fondere perfettamente voce ed
elettronica lanciando l’allarme ecologico del riscaldamento del nostro
pianeta (“che saranno mai 4 gradi in
più? Tutti questi rinoceronti voglio
vederli bruciare”) mentre Watch me
descrive la sensazione di sentirsi
spiati in una camera d’albergo richiamando il profetico “1984” di
Orwell. La pena di morte è il tema
di Execution, qui il sogno americano
viene sgretolato nell’accostare gli
Stati Uniti a paesi meno democratici
come la Nigeria e la Cina. E poi la
stupenda Obama, pezzo in cui la
voce di Anohni diventa qualcosa di
diverso da ciò che il vecchio Antony
ci aveva abituato (in questa traccia
si sente l’influenza dell’amica
Bjork) e nel quale come un mantra
ossessivo fa riferimento alle speranze riposte nel primo presidente di
colore e rivelatesi poi un’occasione
mancata se non addirittura un’amara
delusione. La sensazione alla fine è
che non ci sia più possibilità di salvezza perché non ci sono più gli appigli a cui aggrapparsi per sfuggire
dal baratro in cui stiamo cadendo.
Musicalmente Hopelesness è un
album immediato dai testi semplici
e incisivi nei quali l’artista non ha
voluto addolcire la pillola ma ci
offre la sua personale visione di artista fine e sensibile.
Lady Gaga / Joanne
Dopo il successo dei primi due
album che l’hanno imposta come
una delle reginette del genere
EDM e le poche vendite di Artpop, l’aura di Lady Gaga, diciamocelo pure, cominciava a
splendere sempre un po’ di
meno. Oggi più che nel passato
il mercato discografico è un ambiente spietato in continua trasformazione, le tendenze ormai
hanno vita qualche stagione ed è
necessario per gli addetti ai lavori armarsi di astuzia anticipando i segni del cambiamento
se non si vuole rischiare di essere
tagliati fuori. L’alternativa è fregarsene delle mode e seguire la
propria vena artistica. Dall’ascolto di questo ultimo lavoro
di Lady Gaga sembra che la
stessa sia stata oggetto di tale dilemma. Tuttavia, la cantante statunitense è consapevole di essere
talentuosa e di avere dalla sua
parte alcune potenzialità di cui
difettano molte sue colleghe
ossia una voce potente e riconoscibilissima nel panorama musicale nonché un’abilità come
compositrice non indifferente
che le ha permesso di tratteggiare, che ci piaccia o no, i molti
vizi e le poche virtù della società
contemporanea. Il quinto album
di Lady Gaga si discosta per
buona parte dai lavori passati per
di Mauro Lo Fermo
concentrarsi su sonorità più mature, dal sapore country e folk.
L’album si avvale della produzione di Mark Ronson (artefice
di capolavori per conto di Amy
Winehouse, Adele, Coldplay) e
Kevin Parker (cantante dei
Tame Impala) e di una pletora di
ospiti illustri (Beck, Josh Homme
dei Queen of the Stone Age, Florence Welch, Father John Misty,
Sean Lennon) e di fronte ad una
lista del genere, quasi tutti provenienti dalla scena indie, sembrava
logico attendersi un lavoro di alto
livello. Purtroppo la sensazione è
che non tutte queste collaborazioni abbiano dato i frutti sperati,
ed infatti i migliori momenti
dell’album rimangono quelli in
cui l’artista non si lascia del tutto
alle spalle le sonorità che l’hanno
resa celebre fondendoli con la
nuova direzione intrapresa come
in Diamond Heart, John Wayne,
A-Yo e il tanto criticato primo singolo Perfect Illusion. Sia chiaro il
resto delle tracce non è deludente,
anche se presenta qualche momento in cui non tutto è messo a
fuoco. Joanne, nonostante possa
a tratti suonare non esaltante, è un
pezzo onesto, delicato, limpido
specie nel ritornello che esalta le
qualità vocali. Lo stesso dicasi per
Million Reasons, ballata molto intima tutta voce e piano e Sinner’s
Prayer dal sound tipico del midwest americano. Hey Girl è un bel
pezzo slow tempo che vede la
partecipazione di Florence
Welch dei Florence + the Machine e che strizza l’occhio a certe
sonorità 70’s anche se non convince del tutto la fusione tra le due
voci. In quasi tutte le tracce i temi
sono quelli delle radici, dei valori
della famiglia e non è un caso che
la cantante abbia voluto dedicare
il disco alla defunta zia che ha influenzato molto la sua formazione. In conclusione è un album
non memorabile, ma piacevole
che ci mostra una nuova Lady
Gaga, capace come solo alcuni artisti sanno fare, di rimettersi in discussione e con la voglia di
provare a percorrere nuove strade.
Solange / A seat at
the table
Non è facile scrollarsi di dosso
l’etichetta “figli o sorella di”, ne
sanno qualcosa buona parte dei
componenti della famiglia del defunto Michael Jackson. Ma questo non sembra essere il problema
di Solange Knowles, sorella della
più famosa Beyoncé. Lei da alcuni anni ha scelto di percorrere
una sua strada, meno patinata, più
in sordina ma questo non significa di poco spessore o qualità.
Anzi. E lo fa presentando un lavoro che la trasforma da eterna
coccolina di casa a donna in
grado di affermare il proprio
punto di vista con un lavoro di
chiara matrice politica, accostandosi per i temi affrontati agli
album di artisti quasi tutti Black
come Frank Ocean, Dev Hines
o Kendrick Lamar. Il terzo
album di Solange, in modo sincero e passionale, celebra cosa
vuol dire essere neri in America,
esserlo in un paese dove molti
sono ostili alla sola frase “Black
Lives Matter”, evitando di farlo
con un tono polemico e senza
spingere troppo il tasto sugli
scontri razziali. È un album dedi-
cato alle donne di colore e in generale a
tutte quelle persone che soffrono e si ribellano, che costruiscono la propria identità
sul dolore e sulla lotta. E la scelta del titolo
è quanto mai azzeccata. È come se l’ascoltatore fosse invitato a prendere posto in una
tavola apparecchiata, come appunto recita
il titolo del disco, dove i commensali possono condividere esperienze in un’atmosfera informale, ascoltare i numerosi ospiti
che cantano (Lil Wayne, Q-Tip, Andre
3000, Raphael Saadiq, Tweet, Sampha)
e si raccontano (alle tracce si accavallano
degli intervalli sotto forma di monologo
raccontati dai genitori Knowles e da illustri
amici), senza che tutto ciò faccia passare in
secondo piano il ruolo forte ma elegante
della padrona di casa. Su tutto, infatti, si
staglia la voce calda, soave, avvolgente e
mai urlata di Solange, e questa è una differenza non di poco conto che la rende diversa da tutte le altre giovani colleghe
americane il cui unico obiettivo sembra
ormai trascinare le masse in un interminabile e volgare “twerk”.
L’apertura dell’album è lasciata a due
pezzi, Rise e Weary, che rendono subito
evidente la buona musica di cui si fregia
questo lavoro che ha momenti di assoluta
bellezza, dove le atmosfere jazz e soul si
mescolano con sonorità provenienti anche
dal passato, Cranes In The Sky, elegante
pezzo di r’n’b, richiama la voce di quel perfetto angelo che era Minnie Riperton, il
new-funk di Junie pesca a piene mani dai
primi lavori di Prince, Mad potrebbe far
parte di uno dei dischi di Erikah Badu e
Don’t You Wait ci ricorda la migliore Janet
Jackson. Don’t Touch My hair, brano delicato impreziosito dalla partecipazione di
Sampha, è un omaggio alle proprie origini,
dove i capelli rappresentano per gli afroamericani un prolungamento quasi naturale
della propria personalità. Posto quasi alla
fine, Don’t Wish Me Well mantiene alto il
potenziale dell’album con il vibrante synth
tipico di certi pezzi degli anni ‘80. A Seat
At The Table non è un album indirizzato al
circuito radiofonico, non ci sono potenziali
singoli spacca classifica. Il disco è un concept ed è, probabilmente, pensato per rimanere tale.
9
E V E N T I C U LT U R A L I
Il salotto letterario di “Città del Sole”
CATANIA
Un magnifico, intimo recital
tra musiche e pagine scelte da
"Il pescatore di Kalkan - Odissea Sicilia"
di Riccardo Di Salvo - Claudio Marchese
Emozionanti
momenti
e tante riflessioni...
10
Il gigolò tra maschera e volto dal dramma
“Sigma Epsilon and X” di Salvo Valentino
blico di estimatori di Salvo
Valentino che ci ha confidato
la propria scelta controcorrente nata “sull’onda di una
necessità emotiva, di un’urgenza di comunicazione”.
Sono parole forti, note di
regia che ci fanno capire
come il teatro sia da tempo
una sfida alla banalità del linguaggio, oggi paurosamente
appiattito dalla straripante ragnatela di Internet. Qui tutto è
apparente, virtuale. Il mondo
visto attraverso la simulazione, come scrive Jean Baudrillard nel suo libro
“Simulacri e imposture”. Nel
dramma in cinque atti “Sigma
Epsilon and X”, Salvo Valentino ha usato le tre lettere
dell’alfabeto greco come
nicknames dei tre personaggi
della trama che potremmo definire una discesa nell’inconscio di ognuno di loro. In uno
spazio scenico claustrofobico
come una dark room, potente
allusione al nostro inferno
quotidiano, si incontrano tre
sconosciuti che abitano virtualmente come fantasmi su
Grindr dove uomini cercano
altri uomini per relazioni sessuali. Le lettere del loro nome
virtuale formano l’acrostico
della parola inglese SEX e
l’incipit del dramma suggerisce proprio questo, l’imma-
Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese
T E AT R O
Dramma in cinque atti simili
alle “stazioni” del teatro
espressionista tedesco. Messa
in scena di un processo di
identificazione e sdoppiamento dell’io che spezza
l’univoca rappresentazione di
tipo verista. Questa ci è parsa
la chiave di lettura per entrare
nella “boîte à surprises” del
teatro di Salvo Valentino, autore/regista/attore siciliano di
indubitabile derivazione pirandelliana mixata con la lettura delle ormai leggendarie
avanguardie italiane datate
anni Sessanta/Settanta. Per
quelli come noi che ne hanno
conservato la memoria, la performance di Valentino ci riporta alla messa in scena dello
spettacolo “Pirandello chi?”
di Memè Perlini, uno dei più
potenti tentativi di smontare la
drammaturgia con l’occhio interiore, potremmo dire visionario. Perché quello che il
teatro può comunicare va
oltre il campo delle apparenze, dominio dello sguardo
ed entra in quello profondo
della visione. Qui si agita il
mondo misterioso e cangiante
del doppio che sconvolge la
presunta certezza di ognuno
di noi. Tesi che risale al genio
di Girgenti, autore del “teatro
nel teatro” e di tutte le decostruzioni
del
soggetto.
Volto/maschera, ogni personaggio svela dietro le convenzioni un altro io. Il suo
doppio. La performance
“Sigma Epsilon and X” prodotta dal Centro Teatrale Siciliano con la Compagnia dei
Giovani,ha debuttato al Teatro
del Canovaccio di Catania, la
sera del 27 ottobre 2016. La
sala era gremita da un pub-
gine del rito compulsivo del sesso a pagamento. Nella scena I dell’atto I si sente la
voce deformata dello sconosciuto che cerca
un master autoritario per giochi sadomaso,
quelli inventati da von Sacher-Masoch come
trasgressione libertina del sesso borghese.
Vediamo Sigma nelle sembianze di un giovane bellissimo prostituto d’alto bordo, abilmente interpretato da Pietro Cucuzza. Cinico
venditore del proprio corpo, una sera invita
lo sconosciuto cliente Epsilon (Salvo Valentino) per un rapporto sessuale hard. Ma il
sesso non si consuma in nessun modo, nonostante le ammiccanti istruzioni da bordello e
lo sfondo di un locale dal nome fassbinderiano “Querelle de Brest” che ricorda l’omonimo film del regista tedesco. Tanto sfrontato
si presenta Sigma quanto reticente appare
Epsilon. Ma proprio l’apparenza della loro
maschera nasconde e poi rivela il vero volto
dei due strani personaggi. L’iniziale attrazione mercenaria diventa pretesto per una
specie di autocoscienza in cui i due personaggi si confessano. Epsilon non è un comune puttaniere ma un quarantenne ispettore
di polizia che si presenta in incognito, per
cercare un dialogo quasi psicanalitico con
Sigma apparentemente adatto a ruoli ben diversi. Attraverso i cinque atti il dramma si
spezza in due monologhi tra il gigolò e
l’ispettore invischiato nella misteriosa morte
del losco Leandro Dresner, gestore del “Querelle de Brest”. Epsilon nasconde e poi rivela
il proprio passato: un matrimonio convenzionale fallito e la tragica morte del figlio tredicenne in un incidente automobilistico. Sigma
lo ascolta e scopre che il cliente ha un disperato bisogno d’amore. Proprio come lui, fiore
nel fango di una vita allo sbando. Per Sigma
il mestiere di puttana è l’unico modo per riscattare un violento episodio di bullismo
omofobo, subito ai tempi della scuola. Per
Epsilon il sesso mancato con il prostituto è
un appuntamento con l’utopia dell’amore che
il suo matrimonio gli ha tolto, insieme con la
voglia di vivere. Entrambi sono pedine di un
gioco al massacro, per incontrare davvero la
vita che li aspetta all’appuntamento con X. Il
loro destino.
11
VIAGGI
12
Il sapore dell’estate tutto l’anno
Passare dal clima di Monaco di
Baviera del mese scorso a quello
di Gran Canaria è traumatizzante e seducente. Non è la
prima volta che faccio un salto,
in cinque ore di volo dal nostro
“Bel Paese”, a Playa del Inglès
e Puerto di Mogàn a godermi la
meravigliosa isola sull’Atlantico
e la grande spiaggia di Maspalomas dominata
dal maestoso faro. Qui il divertimento e il
caldo sono assicurati tutto l’anno, tra dune di
sabbia finissima e la movida notturna al
Yumbo Centrum. Puoi entrare ed uscire da
ogni tipo di locale godendoti varie forme di
divertimento e di piacere. Basta consumare
una semplice bevanda da 4,00 euro, senza
alcun tesseramento.
A Gran Canaria, paradiso terrestre, nessun diritto è negato, il costo della vita è bassissimo.
Una paiella con pesce freschissimo per due
persone, cucinata all'istante, costa appena
15,00 euro. Un taxi per una corsa di 10 chilometri prende appena 5,00 euro.
Ai giovani disoccupati e ai pensionati con un
sufficiente reddito, consiglio di lasciare questa Italia in cui un Governo ladro, falso e fiscale rende sempre più schiavi e poveri i
cittadini.
Le Canarie sono un sogno.
In queste isole d’incanto forse trascorrerò la
mia vecchiaia attorniato da sole, da sorrisi,
dall’Atlantico infinito e tempestoso.
E da tanta civiltà.
di Riccardo Di Salvo
Le specialità siciliane Photos
dello
chef
Davide
by Fabrizio
Cavallaro
al BALLON - Piazza di Pietro Lupo, 2 - Catania
L’Associazione di volontariato A.GE.D.O. (territorio Catania e provincia) è un’associazione di volontariato ai sensi della legge 11 agosto 1991,
n. 266 e come tale non ha fini di lucro, neanche indiretto, e opera esclusivamente per fini di solidarietà. Lo scopo principale dell’associazione
è quello di dare aiuto e solidarietà alle situazioni di disagio e sofferenza
causate, all'interno e fuori della famiglia, dal rifiuto delle persone LGBT
(lesbiche, gay, bisessuali e trans) nella società e nella famiglia.
Direttivo: Graziella Puglisi presidente
Riccardo Di Salvo - segretario
Salvatore Ferro - vice presidente
Caunseling dott. ssa Graziella Puglisi
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A Natale regala la storia di un moderna Odissea
di un pescatore turco e di una giornalista siciliana
“Il pescatore di Kalkan - Odissea Sicilia”
di Riccardo Di Salvo e Claudio Marchese
DISPONIBILE IN TUTTE LE LIBRERIE
Auguri... serene feste natalizie