Un ricordo di Quinto Martini La cucina toscana e la memoria dei bei

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Un ricordo di Quinto Martini La cucina toscana e la memoria dei bei
12
aprile2001
LIBRI
vitamine recensioniletterarie,cinematograficheemusicaliacuradiPaoloBoschi
t LIBRI
AZUO ISHIGURO, Quando
eravamo orfani (Einaudi)
Kazuo Ishiguro è nato a Nagasaki
nel 1954, ma si è trasferito in Inghilterra con la famiglia a soli sei anni.
Anche per questo la sua narrativa,
fin dai primi romanzi Un pallido
orizzonte di colline (1982) e Un
artista del mondo effimero
(1986), è stata spesso incentrata sul
crossover tra le due culture, compreso il celebrato Quel che resta
del giorno, vincitore del Booker Prize 1989, traslato sul grande schermo nell’omonimo film con Anthony
Hopkins: un’impeccabile immersione nello spirito britannico orchestrata però su un rigoroso sottofondo
concettuale tipicamente nipponico.
Quando eravamo orfani, l’ultimo
romanzo di Ishiguro, si riaggancia
all’impianto degli esordi ma si presenta come un atipico giallo, concepito per scardinare le convenzioni
del genere. L’autore inglese ha organizzato il suo romanzo in sette capitoli, ambientati tra Londra e
l’internazionale Shangai tra il 24 luglio 1930 ed il 14 novembre 1958,
per quanto la storia centrale sia concentrata negli anni tra il 1930 ed il
1937. Il protagonista di Quando
eravamo orfani si chiama Christopher Banks, un giovane che ha
passato l’infanzia a Shangai – dove il
padre operava come agente commerciale – durante gli anni della
guerra dell’oppio, sempre in compagnia dell’inseparabile Akira, e poi
trasferitosi in Inghilterra dalla zia in
seguito al misterioso rapimento dei
genitori, mai più ritrovati. Vent’anni
dopo Banks, divenuto un noto detective privato, ha realizzato il suo
sogno di bambino, per quanto dietro ogni indagine felicemente conclusa si riaffacci prepotentemente lo
sbiadito ricordo del giorno in cui i
suoi genitori sparirono nel nulla. Ed
è per dare una soluzione al mistero
che il protagonista tornerà a Shangai, lacerata dal conflitto civile ed invasa dal Giappone, per ritrovare il
padre e la madre, e chiarire definitivamente la loro enigmatica scomparsa. Il tutto seguendo l’incerto filo
rosso di una narrazione labirintica
spesso fondata sul valore quasi epifanico di sfumati ricordi infantili, ormai stinti dal tempo e dalle
proiezioni oniriche di una vita.
t FILM
SCOPRENDO FORRESTER,
regia di Gus Van Sant, con Sean
Connery, Rob Brown, F. Murray
Abraham, Anna Paquin;
drammatico; Gran
Bretagna/Usa; C.
Nel suo ultimo film Gus Van Sant
riattinge al soggetto del suo fortunato Will Haunting, genio ribelle,
ribaltando il peso dei due personag-
gi principali: un giovane di bassa
estrazione sociale ma ricco di talento ed un anziano un tempo talentuoso. In Scoprendo Forrester è
infatti in primo piano la figura
dell’anziano e burbero protagonista, interpretato da uno Sean Connery in un ruolo fatto su misura per
lui: un vecchio scrittore che col romanzo d’esordio, Avalon Landing,
ha vinto il Pulitzer e poi ha chiuso i
battenti, rintanandosi nel suo appartamento a tempo indeterminato. A spezzare il volontario esilio del
letterato dal resto del mondo sono i
quaderni di Jamal Wallace, un giovane afroamericano del Bronx che
eccelle in tutte le materie ed è un talento del basket, ma che aspira soltanto a scrivere. Gradualmente tra i
due cresce un rapporto a vasi comunicanti: il ragazzo apprende il concetto chiave dello scrivere (ovvero
scrivere, senza pensare), nel contempo il vecchio William Forrester
riscopre la voglia di vivere. Mentre si
sviluppa una sana amicizia intergenerazionale, a Jamal viene offerta
una borsa di studio per uno dei più
prestigiosi college della città: qui
dovrà guardarsi dalla diffidenza di
un professore che lo osteggia apertamente vedendo in lui soltanto un
atleta di colore del Bronx, indegno
di tentare la via letteraria. Jamal finirà per mettersi nei guai per un presunto plagio, ma il suo burbero
amico riuscirà a superare l’atavico
distacco dal mondo giusto in tempo
per salvare il suo allievo dal cattivo
della situazione nell’annunciato
happy ending. Gus Van Sant ha trovato spazio anche per inserire
un’ulteriore chiusa di valore pedagogico. La storia sa di deja vu,
l’atmosfera ricorda l’Attimo fuggente, ma Scoprendo Forrester
convince per la figura a tutto tondo
di William Forrester, chiaramente
cesellata sul leggendario J.D. Salinger, l’autore newyorchese de Il giovane Holden.
IL MISTERO DELL’ACQUA, regia
di Kathryn Bigelow, con Sean
Penn, Catherine McCormack,
Elizabeth Hurley, Sarah Polley;
thriller; Fran./Usa; C.
1873: sull’isola di Snuttynose, sulle
coste del New Hampshire, la giovane Maren viene ritrovata sugli scogli, confusa e macchiata di sangue;
nella vicina casa sono rinvenuti i cadaveri della sorella maggiore e della
cognata. Il cruento delitto porta
all’impiccagione di Louis Wagner,
un pescatore d’origine prussiana,
ma del mistero si continua a parlare.
Ed infatti, ai giorni nostri, sugli stessi
luoghi arriva la fotografa Jean Nichols, inviata per un reportage sui
luoghi dell’antico duplice omicidio,
ed allo stesso tempo per recuperare
lo stagnante rapporto con il marito,
il poeta Thomas James, già vincitore
del Pulitzer. La coppia è ospite sulla
tartana del fratello di Thomas, Rich,
che ha portato con sé la sua nuova
fiamma, la seducente Adeline, a suo
tempo presentatagli proprio da
Thomas. D’ora in poi seguiremo le
due trame intrecciarsi in un riuscito
rapporto a chiasmo, tramite il fil rouge della personalità dell’affascinante fotografa, in chiaro
rapporto d’empatia con la giovane
sopravvissuta al misterioso delitto
andato in scena oltre cent’anni prima. Il rapporto tra le due complesse
figure di donna è ricucito da
Kathryn Bigelow attraverso una sorta di mediazione ambientale, per
mezzo dell’alone d’indecifrabile
enigma che la solitaria isola continua a traspirare decadi dopo. Mentre la protagonista contemporanea
s’infanga sempre di più nelle sabbie
mobili di una relazione matrimoniale dalla fine annunciata, la seguiamo ricostruire ossessivamente la
vicenda passata che ha marchiato i
luoghi del suo reportage. Nel frattempo, parallelamente, l’antico fatto di sangue procede à rebours:
dalla consumazione del delitto la Bigelow ricostruisce ad uso e consumo del pubblico il background della
vittima in direzione dello scioglimento finale, in cui scopriremo la
verità nascosta. Il mistero dell’acqua è un film suggestivo ed intenso
dal punto di vista formale, che conferma la Bigelow come una delle cineaste più originali degli States.
t DISCHI
FRANCESCO DE GREGORI,
Amore nel pomeriggio [Sony]
L’ultimo album di studio di De Gregori non aggiunge molto alla sua discografia, ma molto conferma ed
ancor più nasconde nelle pieghe riposte di ogni nuovo ascolto, che fa
cogliere nuovi dettagli, nuovi particolari, nuove sfumature che pian
piano emergono dalla storie e dai
miti che per stavolta il cantautore
romano ha voluto raccontarci.
Amore nel pomeriggio contiene
undici brani per altrettante poesie,
molte gemme, nessun episodio minore. De Gregori comincia ad intrattenerci con i toni crudi de
L’aggettivo “mitico”, una canzone che “prende” a scoppio ritardato
per il suo vigore impressionistico ed
insieme realistico, che ricorda (e
cita) Bob Dylan nella “risposta confusa nel vento”. Subito dopo De
Gregori ha scelto di rispolverare
Canzone per l’estate, scritta a
quattro mani con De André per il
Vol. VIII dell’artista genovese quasi
trent’anni fa (proprio ad un anno
dalla scomparsa del vecchio amico).
Amore nel pomeriggio presenta
altre due collaborazioni eccellenti:
con Nicola Piovani (Oscar per la colonna sonora de La vita è bella di
Benigni) nella struggente e dolcissima Natale di seconda mano, e
con Franco Battiato, che ha curato
l’arrangiamento “sinfonico” de Il
cuoco di Salò, in cui De Gregori ha
dipinto un elegiaco affresco della
fine della Repubblica Sociale vista
dall’atipica prospettiva di un personaggio comune. Segnaliamo anche
l’insostenibile leggerezza di Deriva,
una canzone intimistica che arriva
poco a poco, l’epica concretezza di
Condannato a morte, dove il cantautore romano sublima il concetto
di religione, la vena country dell’alcolica Cartello alla porta ed infine
Sempre per sempre, una piccola
gemma di romanticismo, l’ultima
storia che De Gregori ha scelto di
raccontarci. Almeno per stavolta.
LENNY KRAVITZ, Greatest Hits
[Virgin]
Anche Lenny Kravitz, classe 1964,
dopo cinque dischi è arrivato alla fatidica tappa del Greatest Hits antologico con tanto di inedito secondo
copione, nel caso specifico intitolato
Again, tra l’altro neppure molto visibile al confronto con gli altri quattordici “classici” della tracklist. Il
debutto del buon Lenny risale infatti
all’ormai lontano 1989 con lo splendido album Let love rule, cui seguirono ad intervalli piuttosto regolari
prima il malinconico Mama said
(1991), poi l’energetico Are you
gonna go my way (1993), quindi il
blando Circus (1995) fino al recente
5 (1998). A confermare la grande
abilità di alchimista sonoro di Lenny
Kravitz c’è proprio questo Greatest
Hits pubblicato a fine 2000: la musica del cantautore newyorchese ha
quasi come peculiarità genetica la
forza del singolo, che di volta in volta rimaneggia e rielabora generi,
personaggi e brani di primo piano, e
solitamente trattasi di rielaborazioni
originali con brio, dai Beatles del
fronte squisitamente lennoniano a
Jimi Hendrix, da sonorità di volta in
volta funky, reggae o hard rock, fino
a richiami alle atmosfere degli anni
Settanta (sia a livello psichedelico
che disco). Azzardare una definizione sintetica della sua musica è virtualmente impossibile, più logico
parlare delle canzoni alla Jimi Hendrix come la graffiante Rock and
roll is dead e l’ipercinetica Are you
gonna go my way, un’impressionante alchimia di hard rock, oppure
di ballate alla Lennon, come la
struggente Stand by my woman.
L’eclettico artista newyorkese pare
insomma voler dimostrare ogni volta di saper eseguire un determinato
compito musicale: può capitare allora di imbattersi in piccoli miracoli
soul come la splendida Let love
rule, o in finestre aperte sugli anni
Settanta (It ain’t over ‘til it’s over
o la psichedelica Believe), nell’ottimo blues di Mr. Cab driver o nel
contagioso funky di Fly away e
Always on the run. Una sorta di
efficace zibaldone musicale.
I libri sono cortesemente offerti
dalla libreria SEEBER,
Via Tornabuoni 70/r, Firenze
Tel. 055215697
I dischi sono gentilmente offerti
da GHOST,
Piazza delle Cure 16/r, Firenze
Tel. 055570040
ARTE
Un ricordo di Quinto Martini
Alcune sue opere restano a Villa Vogel
n Carmelina Rotundo
Il 25 febbraio si è conclusa la
mostra, allestita nel chiostro di
Villa Vogel, dedicata alle opere
di Quinto Martini ma, come è
noto, alcuni di questi autentici
capolavori resteranno nella
sede del Q.4 in seguito alla donazione fatta dai familiari
dell’artista. Un’occasione per
mantenere viva l’attenzione su
questo autore, scomparso dieci
anni fa, attraverso la testimonianza di chi l’ha conosciuto e
apprezzato in vita.
“ Il mio primo contatto con le
opere di Quinto Martini risale
all’epoca della mostra ‘Il
tempo della pioggia’ (sculture
e disegni esposti a Palazzo
Strozzi). Successivamente ho
voluto conoscerlo e ricordo
ancora l’appuntamento che
mi dette (“Mi riconoscerà dal
fazzoletto al collo”). Da
quell’incontro è scaturita poi
la mia partecipazione all’inaupagina precedente
gurazione del Parco-Museo
di Seano e una frequentazione emotiva ed intellettuale
che non si è mai interrotta,
fino alla grande mostra antologica presso il Museo Marini
e all’esposizione delle opere
di impegno civile a Villa Vogel. Il contatto con le opere di
Martini non cessa di procurarmi emozioni e del resto
l’artista stesso diceva: “Senza
dubbio la comprensione del
pubblico è condizione determinante per la vitalità dell’opera d’arte”. Mi riferisco in
particolare alla grande temp e r a ap p e s a ne lla Sala
Consiliare di Villa Vogel: la
sua visione mi fa sentire felice, mi invita ad entrare in
sintonia, a mettere le ali per
essere anch’io colomba e volare insieme in un cielo celeste, chiaro, terso e sincero.
Il dipinto su compensato
(cm.80x91) si chiama “Il giorno della mia libertà” e rap-
presenta l’emblema del rapporto fra la famiglia Martini e
il Q.4. Infatti nel 1991 i ragazzi
della scuola media ‘Pier della
Francesca’ di Ponte a Greve
realizzarono un calendario
sulla cultura di pace e in prima pagina vi spiccava la
riproduzione del ‘volo di
colombe’ di Martini. In quello
stesso periodo erano già in
corso i lavori di restauro di
Villa Vogel e così Teresa Bigazzi e Luciano Martini, eredi
dell’artista, ritennero di
‘premiare’ l’impegno sociale e
politico che il Q.4 stava producendo: “Ci hanno colpito in
particolare i tentativi di
risposta al disagio dei giovani
e il lavoro per promuovere i
valori di una consapevole
cultura di pace. Ci è sembrata
importante anche la scelta di
destinare ambienti specifici
alla creatività, anche artistica,
dei giovani”. Così alla prima
donazione si aggiunsero altre
opere di grande intensità: la
scultura ‘Donna sotto i bombardamenti’ (cemento formato e ritoccato a scalpello,
cm.65x110x32), collocata nel
cortile della Villa, e la serie
dei 5 busti in gesso (Mario
Luzi, Carlo Levi, Giovanni
Michelucci, Don Facibeni,
Sandro Bonsanti) che oggi
potete ammirare nella parete
ovest della Sala Consiliare.
Ora tocca a noi tutti rinnovare
continuamente il senso di
questa presenza artistica di
così alto livello in una sede
istituzionale. Ci piace chiudere questo piccolo omaggio
all’artista con alcune sue espressioni, solide e concrete
come le sue opere: “L’importante è lavorare, lavorare
apertamente e farlo con serietà. Il resto sarà il tempo a
giudicare…Vivi nella vita come se dovessi vivere sempre
e vivi nella vita come se dovessi morire domani”.
La cucina toscana
e la memoria
dei bei tempi andati
A dirla tutta il titolo di questo libro di neanche cento pagine
è Sapori e nostalgia. Prato: qualche ricetta e molti
ricordi ma, alla prova della lettura, si tratta di un volume
che potrebbe adattarsi benissimo a qualunque provincia
della Toscana. Pietro Vestri introduce il suo “manuale”
spiegandoci che si tratta di una raccolta organica che
presenta in rassegna tutti i suoi scritti tra cucina e bozzetto
apparsi nella rivista “Progress” edita dalla Cassa di
Risparmio di Prato fino alla fine dei controversi anni Ottanta.
Questo per quanto riguarda la genesi di Sapori e nostalgia
che, come si può intuire dal titolo, è una carrellata, divisa in
quattro sezioni per altrettante stagioni, delle ricette proprie
ai vari periodi dell’anno, relative a piatti rigorosamente
locali, sempre corredate da agili schizzi memoriali che
intrecciano ai sapori ed agli aromi vergati su carta il ricordo
dei bei tempi andati, spunti sull’origine di una pietanza, o
magari sulla festa che ha dato il nome ad un dolce.
C’è un po’ di tutto: tra dolce e salato si contano venticinque
ricette che dovevano essere molto più popolari di adesso
fino ad un paio di generazioni fa: la pappa col pomodoro, le
frittelle di S. Giuseppe, il castagnaccio, i fiori di zucca farciti,
il pan con l’uva, il baccalà in umido, la stiacciata alla
fiorentina, la francesina. Ogni ricetta è presentata con una
scheda a parte che ne illustra ingredienti e modalità di
preparazione. Questo per quanto riguarda il versante
“squisitamente” gastronomico: per il resto il lettore potrà
trovare divagazioni sulla vendemmia, sulla cucina degli
avanzi, sul tempo natalizio e quello pasquale: il filo rosso è
quello tra sapori e nostalgia, ma un volume come questo è
un ottimo viatico per recuperare la storia (ed il piacere) delle
tradizioni culinarie locali. La prefazione è firmata da
Umberto Cecchi.
Pietro Vestri, Sapori e nostalgia,
Firenze, Carlo Zella Editore, 2000; pp. 93
P.B.
LEGGEREPERNONDIMENTICARE
Gli incontri letterari
dell’iniziativa
culturale fiorentina
A partire dal 1995 “Leggere per non dimenticare” ha
portato a Firenze alcuni tra i personaggi più prestigiosi della
scena culturale italiana. Gli incontri letterari della sesta
edizione della fortunata iniziativa culturale sono cominciati
lo scorso 11 ottobre e si concluderanno il 23 maggio
dell’anno prossimo. Sempre invariata la cadenza settimanale
degli appuntamenti, rigorosamente ad ingresso libero: dopo
la prima sessione presso la Biblioteca Comunale Centrale di
Firenze, da febbraio il palcoscenico del ciclo di incontri si è
spostato al Salone Brunelleschi dell’Istituto degli Innocenti,
ogni mercoledì alle 17.30, come sempre. Tema di riflessione
privilegiato della nuova serie di “Leggere per non
dimenticare” è il tempo: sarà questo il leitmotiv di
collegamento tra gli autori che prenderanno parte
all’iniziativa ed i libri presentati al suo interno.
Dopo la poesia di Caterina Trombetti, che ha presentato
l’11 aprile L’obliqua magia del tempo, una raccolta lirica
incentrata sul concetto della semplicità: allo stesso tempo
un ideale stilistico, un’essenza ed una vocazione da tutelare,
il 18 aprile sarà la volta di Paolo Codazzi e del suo Il cane
con la cravatta (i tipi della Mobydick, 1999).Una full
immersion nei meandri della memoria, nel dettaglio nella
Firenze tra gli anni Cinquanta ed i Sessanta, un viaggio nel
tempo alla riscoperta di una città che si sta ridestando dai
postumi del dopoguerra. Cambio di registro il 26 aprile
(giovedì), quando Giovanni Berlinguer parlerà del suo
saggio Bioetica quotidiana (in uscita per i tipi della Giunti):
un libro che riflette su casi estremi che sollevano insieme
speranze ed angosce, un’accurata disamina a livello etico di
quanto è cambiato da quando è diventato possibile influire
intenzionalmente sulla vita materiale dell’uomo. Doppio
appuntamento il 2 maggio: Enzo Tiezzi parlerà di Tempi
storici, tempi biologici (pubblicato da Garzanti nel 1984),
mentre Enzo Tiezzi e Nadia Marchettini presenteranno Che
cos’è lo sviluppo sostenibile? Le basi scientifiche della
sostenibilità ed i guasti del pensiero unico (edito da
Donzelli nel 1999).
I tempi veloci della tecnologia sfibrano la resistenza
dell’ambiente e dissociano la mente umana dalla natura, i
tempi più rilassati della biologia tentano di recuperare un
ritmo armonico di sottofondo: la scommessa dello sviluppo
sostenibile è appunto quella di sincronizzare l’orologio
“tecnologico” su quello “biologico”. Nuovo cambio di
registro il 9 maggio: nell’ambito dell’appuntamento
“L’attualità di Giordano Bruno” saranno presentati i
Dialoghi filosofici italiani del filosofo nolano, curati da
Michele Ciliberto e pubblicati da Mondadori nel 2000: in
quest’opera di Giordano Bruno assume un ruolo rilevante la
questione del tempo, ovvero della vicissitudine, un
elemento che condiziona fortemente la concezione della
storia da parte di Bruno, in particolare singolare esperienza
che è la conoscenza della verità. Per gli ultimi incontri di
maggio l’appuntamento è al prossimo numero.
P.B.
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