(1_Mobilità Astarita tra Corfù e Meta1_)

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(1_Mobilità Astarita tra Corfù e Meta1_)
Mobilità delle popolazioni costiere del Mediterraneo.
Il caso di una famiglia sorrentina a Corfù nella prima metà dell’Ottocento
Biagio Passaro
Una lettera da Corfù
Nel libro dei battesimi della parrocchia S. Maria del Lauro di Meta c’è la copia di una lettera
dell’autunno 1844, proveniente da Corfù (in appendice). Il parroco dell’epoca ritenne opportuno
trascriverla integralmente nel registro, perché forniva le fedi di battesimo e le date di nascita dei
sette figli di Tommaso Astarita († 1843: d’ora in poi ‘senior’) e di Emilia Prebois, nati e battezzati
nell’isola ionica.
Nel 1843 l’Astarita, capitano mercantile originario della penisola sorrentina, ma sposato e
residente a Corfù, era scomparso in mare insieme al suo brigantino (con ogni probabilità una goletta
o un brik schooner dal nome Diana); la moglie assieme ai figli si era trasferita a Meta, il paese
nativo del marito, nel golfo di Napoli, ed era andata a vivere nella casa degli avi a Casa Starita, il
casale collinare, il cui nome deriva proprio dall’antico ceppo familiare che vi abita da secoli.
Sono già note le vicende dei discendenti di questa famiglia, in particolare quelle dei nipoti,
Tommaso (Meta 1862 – Napoli 1923: d’ora in poi ‘junior’) e Giovanni (Meta 1871 – Napoli 1936),
figli di Gioacchino (Corfù 1831- † 1878; d’ora in poi ‘junior’) ed il ruolo di rilievo che hanno avuto
nelle attività economiche ed armatoriali del Mezzogiorno d’Italia tra fine Ottocento e primo
Novecento. Ora le informazioni contenute nella lettera consentono di delineare meglio la storia di
questo casato armatoriale metese da sempre coinvolto nell’attività marinara e abituato agli scambi
con le genti e i popoli delle località costiere del Mediterraneo. Rispetto a quanto si conosceva
sinora, queste informazioni ci permettono di correggere alcune inesattezze e di anticipare di una
generazione la presenza degli Astarita a Corfù: Tommaso (senior) non è il primo che vi si era
stabilito negli anni Venti dell’Ottocento; ora sappiamo che già suo padre Gioacchino (d’ora in poi:
‘senior’), era emigrato nelle isole greche dello Ionio almeno un decennio prima, assieme alla
moglie, Maria Giuseppa Castellano, e ai figli, Tommaso, Angela e Giovanni. La documentazione
emersa aiuta a comprendere il ruolo da essi svolto sull’isola e i contatti che avevano stabilito con la
comunità locale, con le autorità politiche e con i mercanti ed i naviganti stranieri ivi presenti. Si
delinea in tal modo un quadro inaspettatamente ricco e articolato delle relazioni e della mobilità di
questi operatori del mare. La notorietà ed il successo della famiglia Astarita e gli esiti delle loro
attività economiche appaiono più comprensibili alla luce dell’esperienza fatta nell’isola greca dello
Ionio e dei contatti lì avuti dai loro parenti, oltre che da loro stessi.
Corfù e la costiera sorrentina
L’isola e la città di Corfù, dove si era stabilita questa famiglia sorrentina, era stata per secoli un
centro amministrativo e marittimo della Repubblica di Venezia. Nel 1797, in seguito al Trattato di
Campoformio, era passata sotto l’influenza diretta della Francia, che la considerava la porta
d’accesso all’Adriatico. Nel 1800 era stata costituita la Repubblica delle Sette Isole, l’Eptaneso, uno
Stato formalmente indipendente, ma tributario dell’Impero Ottomano e posto, dagli accordi tra le
potenze, sotto protettorato russo.
La città di Corfù era la capitale di questo piccolo stato che comprendeva, oltre l’isola maggiore,
quelle di Passo (Paxi), Santa Maura (Lefcada), Cefalonia (Kefalonía), Zante (Zakynthos), Itaca
(Itháki), Cerigo (Kythira) e le isolette: Antipasso (Antípaxi), Cerigotto (Antikythira), Curzolari
(Echinades).
Le autorità veneziane, sino ad allora, non avevano mai incoraggiato l’approdo di navi mercantili
napoletane, fatta eccezione per il naviglio piccolo, proveniente dalle vicine coste pugliesi con
prodotti per i bisogni quotidiani della popolazione. Questa ostilità, giustificata con la necessità di
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contrastare la pratica del contrabbando, cui gli equipaggi napoletani erano particolarmente dediti,
non è da escludere che fosse una reazione alle crescenti aspirazioni marittime e commerciali del
Regno delle Due Sicilie, che nel 1734 era tornato indipendente dopo oltre due secoli e rivendicava
un ruolo più adeguato alla sua posizione centrale nel Mediterraneo. Gli innegabili progressi
conseguiti nel settore della navigazione commerciale dagli imprenditori meridionali confliggevano
certamente con i declinanti traffici dei veneziani e il governo napoletano, nonostante un lungo iter
diplomatico, non riuscì a concludere un vero e proprio trattato commerciale con Venezia. In pratica,
però, il livello e la quantità degli scambi tra i due Stati non ne ebbe mai a soffrirne molto.
L’azione diplomatica del governo di Carlo di Borbone a sostegno di un’intensificazione dei
rapporti commerciali e marittimi con il Levante mediterraneo, si concretizzò già intorno alla metà
del Settecento con l’insediamento di agenti e consoli napoletani nelle città e nei porti dello Ionio e
dell’Egeo, sia in quelli ancora sotto controllo veneziano, come Zante, Corfù, Santa Maura e
Cefalonia, che in quelli appartenenti alla Porta ottomana, come Patrasso, Atene, Scio, Cipro,
Smirne, Salonicco e Costantinopoli.
Con la fine del dominio della Repubblica Veneta i napoletani poterono frequentare più
facilmente Corfù; in particolare il quadro delle relazioni tra il golfo di Napoli e le isole dello Ionio
si modificò di colpo grazie agli eventi quasi paralleli che coinvolsero entrambe le aree in seguito al
Trattato di Campoformio. Nel Mezzogiorno d’Italia, dopo la breve esperienza della Repubblica
Partenopea (1799), per un intero decennio (1806-1815) s’affermò l’influenza francese con il regno
di Giuseppe Bonaparte prima e di Gioacchino Murat poi. Quasi negli stessi anni a Corfù, in seguito
al Trattato di Tilsit del 1807, venne soppressa la Repubblica indipendente e le isole dello Ionio
furono assegnate alla sfera d’influenza politico-militare francese. Alla caduta di Napoleone esse
passeranno sotto il controllo britannico e solo nel 1864 sarà permessa la loro unificazione alla
Grecia.
Quando gli Astarita fossero giunti a Corfù e perché si fossero lì stabiliti, non è ancora chiaro. La
documentazione consultata conferma che già nella seconda metà del XVIII secolo gli intraprendenti
equipaggi sorrentini frequentavano i porti greci dello Ionio e che, viceversa, imbarcazioni greche,
sia con bandiera veneziana che ottomana, si spingevano oltre lo Stretto di Messina nei porti del
Tirreno ed a Napoli, dove viveva da secoli una notevole comunità greca.
A questo punto è necessario dire qualcosa sulla terra d’origine di questa famiglia. Meta è un
paese della costiera sorrentina che con Piano e Sant’Agnello faceva parte del circondario dell’antica
città di Sorrento; fino ai primi decenni del XIX tutto il territorio di questi tre centri è denominato “il
Piano”. Inoltre questi paesi, assieme a Vico Equense, possono in qualche modo essere considerati
eredi degli antichi centri della vicina costiera amalfitana e della loro fama marinara.
La Penisola sorrentina per la mancanza di strade rotabili che la collegassero all’entroterra
napoletano, fino a metà Ottocento si configurava piuttosto come un’isola e i suoi abitanti, stretti tra
il mare del Golfo e la catena dei monti Lattàri, trovavano nella navigazione un’integrazione alle loro
limitate risorse agricole, ma anche uno sbocco alle loro capacità imprenditoriali. Durante il XVIII
secolo questi piccoli centri costieri sono segnalati come luogo di intensa attività cantieristica,
marinara e commerciale, tra i più dinamici del Mezzogiorno d’Italia: vi si costruivano imbarcazioni
solide e capaci che, non solo assicuravano – assieme a quelle non meno numerose di Procida - i
massicci rifornimenti alimentari di cui abbisognava la Capitale, ma ottemperavano alle crescenti
richieste di servizi da parte della Regia Corte, come il trasporto delle truppe e i rifornimenti di
materie prime per il regio Arsenale, soprattutto legnami.
Gli esponenti più in vista delle famiglie locali - un diffuso ceto di borghesia provinciale
contrapposto alle famiglie nobili che controllavano la città di Sorrento - univano al possesso della
terra, l’attività armatoriale e marinara; non erano affatto rari, poi, coloro i quali si dedicavano
all’esercizio delle professioni liberali e all’attività mercantile su vasta scala.
La perizia dei piloti e la preparazione dei capitani, istruiti nelle antiche scuole nautiche che
facevano da modello a tutto il regno, assicuravano loro la fama di «una vera e propria aristocrazia
della marina, abili a navigazioni mediterranee e oceaniche». A metà del Settecento, non appena le
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condizioni militari e diplomatiche lo permetteranno, li si troverà su tutte le rotte del Mediterraneo e
più volte si avventureranno oltre Gibilterra, sia verso i porti del Nord Europa che verso le Antille.
Un mare che unisce: sorrentini a Corfù
Un più accurato esame della lettera spedita da Corfù aiuta a comprendere parecchie cose: don
Carlo Rivelli, parroco della chiesa latina di Corfù, nel 1844 scrive al suo corrispondente di Meta su
richiesta di Giovanni Astarita, «da molti anni in questa città domiciliato», per fornire ai sette figli
del fratello Tommaso (senior), nati nell’isola ionica, l’attestato di nascita e la certificazione del
battesimo. Dopo il trasferimento a Meta per la morte del padre, hanno bisogno di una documentazione per l’iscrizione all’anagrafe della cittadina della Costiera. L’intento è di far risparmiare alla
vedova «una grave spesa, che certo diverrebbe sensibile a quegli orfani».
La lettera non è stata ritrovata, ma per fortuna il diligente parroco sorrentino aveva escogitato di
trascrivere integralmente il contenuto della missiva nel registro dei battezzati, perché in questo
modo poteva anche fungere da documento sostitutivo per la registrazione all’anagrafe. Nel caso che
la sua documentazione non fosse stata ritenuta sufficiente - precisava il parroco corfiota l’eventuale “grave spesa” da pagare non riguardava i diritti parrocchiali, ma i diritti dovuti
all’amministrazione inglese e al console napoletano qualora questi avessero dovuto rilasciare una
documentazione ufficiale con i dati relativi alla nascita dei sette Astarita, ritornati nel luogo di
origine del padre.
Per dare maggior valore legale al documento lo scrivente, don Carlo Rivelli, aveva fatto
autenticare la propria firma in calce al documento, a Pietro Antonio, Arcivescovo dei Latini e la
firma di quest’ultimo, a sua volta, era stata autenticata dal cav. Balsamo, console del Regno di
Napoli a Corfù.
Lo scarno e schematico elenco degli atti di battesimo fornisce un gran numero di informazioni,
da cui è possibile ricavare gli elementi essenziali per ricostruire la vicenda e comprenderne il
contesto e i contorni: i genitori sono indicati con il patronimico e con il luogo di origine, mentre per
i bambini battezzati viene indicata la data di nascita e quella di battesimo, il primo nome, seguito da
un secondo, un terzo e, perfino, un quarto nome – come è ammesso nella tradizione latina –
elementi, in genere, molto utili per delineare le strategie parentali e di relazione e le devozioni
religiose. Infine ci sono padrini e madrine, sempre indicati con patronimico e luogo di origine, cosa
che permette di intravedere l’ambiente e i contatti coltivati da questa famiglia sorrentina negli anni
della sua permanenza all’estero.
Si tratta dei battesimi dei primi sette figli di Tommaso Astarita (senior) e Emilia Prebois, nati a
Corfù in un arco di tempo che va dal marzo 1826 all’agosto 1837, in 12 anni di matrimonio. In
ordine essi sono Maria Teresa (2 marzo 1826), Olimpia (22 gennaio 1828), Adelaide (27 settembre
1829), Gioacchino (26 giugno 1831), Spiridione (23 settembre 1833), Carmela (6 marzo 1835),
Penelope (26 agosto 1837). L’ottavo, Salvatore, nascerà postumo a Meta nel 1844.
Tommaso (senior), figlio di Gioacchino, era nato a Meta, prima che il padre si trasferisse con
tutta la famiglia a Corfù. Moglie di Tommaso e madre di questa lunga serie di figli è Emilia
Prebois, di Francesco, indicata nel documento come originaria di Ancona; il cognome invece è di
chiara origine francese.
Anche se non è detto esplicitamente, Giovanni, che ha chiesto al parroco Crivelli di adoperarsi a
favore dei suoi nipoti, è un altro figlio di Gioacchino e, come Tommaso, non era nativo del posto,
ma sorrentino. Come pure è figlia di Gioacchino (senior) Angela Astarita, vedova Lamagna, che fa
da madrina ad Olimpia, la seconda figlia di Tommaso; nel febbraio del 1828, però, non è presente
alla cerimonia ed è sostituita da sua madre, Maria Giuseppa Castellano maritata Astarita, nativa di
Meta, cioè la moglie di Gioacchino, nonna della battezzata. La stessa Angela, invece è a Corfù nel
1831, quando fa da madrina a Gioacchino (junior), primo nipote maschio, che porterà il nome del
nonno: a celebrare il battesimo è l’autorità religiosa più importante della chiesa latina della città,
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«S[ua] E[ccellenza] R[everendissima] Pietro Antonio, Nostrano Arcivescovo», che in questa
occasione con la sua presenza rimarca l’importanza dell’evento e la considerazione di cui gode la
famiglia nella comunità locale.
Ancora più interessante è la sfilza di padrini e madrine accuratamente indicati per ogni
battesimo. Oltre alla nonna, Maria Giuseppa Castellano, e la zia paterna, Angela Astarita, gli altri
padrini e madrine non sono sorrentini. Fino al 1831, quando nasce Gioacchino (junior), l’erede
maschio, essi sono siciliani di Messina, come Antonio Pirrone, ben due volte padrino delle prime
due figlie o come Maria Teresa Labrisi ed il marito Antonio Salemi, anch’essi di Messina.
A partire dal 1833, anno della nascita di Spiridione, cui intanto viene imposto il nome greco del
santo patrono della città, muta in parte lo scenario dei rapporti della famiglia Astarita con la
comunità locale. Padrini e madrine non sono più solamente scelti tra il gruppo di immigrati dalla
Sicilia, come è ancora nel caso di Maria Ferrara di Messina maritata Turrini, ma troviamo
l’esponente di una nobile famiglia, Francesco Scarpa, nato a Corfù, anche se di ascendenza
veneziana, come rivela il cognome.
A conferma di legami sempre più forti degli Astarita con le famiglie importanti del posto, sia
quelle originarie dell’isola, sia quelle immigrate da altre zone del Mediterraneo, il padrino di
Carmela, la sesta figlia, è Andrea, sempre un nobile della famiglia Scarpa, ma nato a Venezia,
mentre la madrina è una corfiota, Stella Sisgoreo. Come pure corfiota e greco è Antonio da Coron
fu Stelio padrino, unico questa volta, di Penelope ultima della famiglia nata in terra greca, alla quale
viene imposto un nome decisamente greco.
Emigranti di successo o imprenditori del mare?
Tra le informazioni provenienti dall’Archivio di Stato di Corfù – gentilmente messe a
disposizione da Gerassimos Pagratis, dell’Università di Atene - una riguarda direttamente il nostro
caso: nella documentazione relativa al periodo francese risulta che Gioacchino Astarita (senior) nel
1816 era inserito nella burocrazia militare ionica, con il grado di «tenente della real flotta» e aveva
fatto carriera: infatti ricopriva l’incarico di «assistente dell’Ispettore Generale dei Porti e delle Corti
Ionie».
Non si è appurato con precisione in che anno si fosse trasferito lì, né come e perché vi fosse
andato, ma è chiaro che il suo trasferimento deve essere avvenuto dopo la nascita dei tre figli di cui
abbiamo notizie, Tommaso, Angela e Giovanni, tutti nati a Meta. La moglie di Gioacchino (senior)
è Maria Teresa Castellano, anche lei nata in costiera da un casato di uomini di mare.
Inoltre si può legittimamente supporre che gli Astarita si siano trasferiti solo dopo il 1796, quando
erano venuti meno gli ostacoli che scoraggiavano le imbarcazioni napoletane a frequentare il porto
di Corfù. Non è un caso che, sempre dall’archivio greco, è segnalato un Gennaro Astarita, al
comando del pinco Gesù, Maria e Giuseppe, battente bandiera napoletana, con 18 uomini di
equipaggio, che nel settembre del 1799 riceve la visita di sanità nel porto di Corfù. Proviene da
Manfredonia ed ha la stiva vuota; quindi viene per imbarcare merci. Non è possibile sapere se vi sia
una relazione tra questi fatti, ma è certo che la reciproca frequentazione, tra i rispettivi porti, di
imbarcazioni ed equipaggi napoletani e corfioti aumenta proprio dopo la nascita dell’Eptaneso: ad
esempio dalle informazioni fornite da Pagratis risulta che nel periodo 1802-1806 nel porto di Napoli
erano entrate ed uscite 32 navi ioniche.
Se è abbastanza sicuro che il tenente di marina Gioacchino Astarita (senior) abbia fatto carriera
durante il periodo francese, resta incerto se abbia conservato l’incarico all’arrivo degli inglesi.
Potrebbe essere possibile, visto che il documento dell’archivio metese testimonia senza ombra di
dubbio che per tutti gli anni Venti e Trenta le relazioni della famiglia Astarita non si limitavano agli
ambienti mercantili e marinari presenti in città, ma si estendevano anche ai nativi altolocati di
origine sia veneziana che greca. Soprattutto colpisce che quando nel 1831 a Tommaso (senior) ed
Emilia nasce il primo figlio maschio e, come è tradizione, gli si pone il nome del prestigioso nonno
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paterno, sia intervenuto personalmente a celebrare il battesimo l’arcivescovo della comunità
cristiana di rito latino.
Per quanto riguarda la sua carriera, d’altronde, il mondo della marineria sorrentina ha fornito alla
marina militare borbonica molti piloti e ufficiali ed è risaputo che ci sia stata un’osmosi continua tra
Regia Marina e marina mercantile. Nel corso del Settecento e nel primo decennio del secolo
successivo non è raro trovare tra gli esponenti delle famiglie della borghesia marinara sorrentina chi
avesse ricevuto encomi e riconoscimenti dai sovrani, spesso con il diritto di fregiarsi del titolo di
“capitano”, con tutte le esenzioni e i privilegi riconosciuti a tale titolo. In genere si trattava di meriti
acquisiti per azioni militari in mare durante il servizio sulle navi della regia flotta, ma spesso era un
riconoscimento per i molti servizi che questi comandanti mercantili prestavano con i loro bastimenti
alla Regia Corte.
Di Gioacchino Astarita (senior) non sappiamo come sia giunto a Corfù, né conosciamo la data
della sua morte: nella documentazione del 1844, relativa ai battesimi dei nipoti, viene citato come
padre vivente di Tommaso (senior), anteponendo al suo nome l’appelativo “signore”, certamente
per indicare il ruolo di prestigio ricoperto; inoltre i suoi figli non compaiono con il consueto
“quondam”; né la moglie viene indicata come vedova. Ma è solo una supposizione. Neanche della
moglie e della figlia Angela si hanno altre informazioni; solo di Giovanni dalla lettera sappiamo che
è «da molti anni in questa città domiciliato» e deve essere preoccupato per i numerosi nipoti, figli
del fratello improvvisamente scomparso, tornati al paese d’origine della famiglia.
Di Tommaso (senior), scomparso in mare assieme al suo bastimento nel 1843, vi sono poche
notizie. Sempre dall’archivio di Corfù viene l’informazione che nel gennaio del 1831 egli,
proveniente dall’isola e di passaggio per Otranto con lo schooner Diana, aveva consegnato
personalmente al segretario di S. E. Lord Alto Commisionario delle Isole Ionie un plico di
corrispondenza diplomatica. Non si conoscono le dimensioni del legno, nè dove fosse diretto: infatti
Otranto è un porto più di passaggio che di carico. Per farsi un’idea più precisa della sua attività
sarebbe stato necessario avere più dati relativi all’imbarcazione: era solo una goletta, che gli inglesi
chiamano appunto schooner (due alberi e solo vele auriche), o non piuttosto un brik schooner, cioè
un brigantino goletta, sempre un due alberi, ma con uno armato con vele quadre? Ne era solo il
comandante o anche l’armatore o un caratista? È mai possibile che accettasse di navigare con un
bastimento non costruito nei cantieri da spiaggia del suo paese d’origine? In effetti si dovrebbe
sapere, almeno dove era registrato il Diana: a Corfù o a Meta? Potrebbe anche essere stato
registrato in entrambi i luoghi. Comunque è improbabile che Tommaso Astarita (senior)
nell’esercitare la sua impresa non avesse continuato a mantenere relazioni con gli ambienti
armatoriali e marittimi della costiera sorrentina.
Specificità dell’imprenditoria marittima delle popolazioni del Mediterraneo
Che cosa resterà agli Astarita dell’esperienza corfiota?
Nell’isola dello Ionio dovrebbe essere rimasto sicuramente Giovanni, come testimonia la lettera.
Non si conosce nient’altro di lui, dell’attività che svolgeva o dei suoi discendenti. C’è un solo
indizio che ci rimanda ad una possibile sua discendenza: un Luigi Giovanni Astarita negli anni
Novanta dell’Ottocento è agente del Registro Italiano Navale proprio a Corfù.
La Prebois, invece, dopo la disgrazia si trasferisce a Meta con i sette figli, mentre è incinta
dell’ottavo, Salvatore, che nascerà a Meta. La più grande delle figlie ha 17 anni e il primo figlio
maschio, Gioacchino (junior), solo 12. La perdita del padre e della nave ha tolto alla famiglia ogni
sostegno materiale ed è probabile che il ritorno al paese d’origine sia dovuto a considerazioni di
carattere economico, perché a Casa Starita, la frazione sul vallone di Lavinola, almeno c’è la casa
degli avi da cui il nonno Gioacchino (senior) era partito: un po’ di terreno coltivato a vite e ulivo, un
paio di abitazioni nel casale; il tutto appena sufficiente a mantenere una famiglia così numerosa.
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Da un atto notarile sappiamo che l’eredità sorrentina di Tommaso (senior), scomparso in mare
nel 1843, ancora fino al 1901 era rimasta indivisa e il nipote, Tommaso (junior), aveva acquistato
tutte le quote degli altri eredi, il valore complessivo delle quali nel 1887 non superava le 12.560 lire.
Quindi gli Astarita tornati da Corfù non sono ricchi e certamente avranno dovuto ricorrere alla
proverbiale parsimonia metese per mantenersi in maniera dignitosa e consona al casato cui
appartenevano.
Lì a Casa Starita c’erano altri parenti e tra questi un don Giuseppe Astarita, fu Tommaso, che
potrebbe essere un fratello di Gioacchino (senior): è un signore benestante e rispettato e risulta tra
gli azionisti sia della prima che della seconda Compagnia di Assicurazione e Cambi marittimi,
costituite rispettivamente nel 1826 e nel 1831.
Per tutti gli anni fino al 1862 non sono emerse altre notizie su questa famiglia. Sono, invece, note
le vicende che riguardano i giovani Astarita, figli di Tommaso (senior) tornati a Meta nel 1844.
Seguiamo ancora per qualche anno questa generazione nata a Corfù e vissuta e affermatasi nella
costiera sorrentina.
Innanzitutto la madre, Emilia Prebois, nata ad Ancona e sposata a Corfù: i discendenti sono
concordi nel sostenere che fosse francese o che lo fossero i suoi genitori. Era una donna istruita,
parlava come prima lingua il francese: visse molto a lungo e scomparve intorno al 1886-97. Di lei
resta una fotografia del 1862, mentre tiene in braccio Tommaso (junior), il primo nipote nato da suo
figlio Gioacchino (junior). Di lei restano anche due libri in italiano: uno di precetti religiosi, tradotto
dal francese; l’altro, invece, è un’edizione napoletana del 1834 delle Confessioni di S. Agostino,
con scritto a mano nell’interno della copertina: «Ad uso di me. Emilia Prebois. Anno 1856». Infine
un biglietto di saluti del 1883, scritto di suo pugno su un foglio di quaderno, indirizzato al nipote
Tommaso (junior) da poco assunto in banca a Napoli. Custode delle memoria degli anni trascorsi a
Corfù - e prima chissà dove - deve avere avuto una certa influenza sui discendenti almeno per
quanto riguarda l’apprendimento delle lingue (inglese e francese) e l’interesse per la lettura. Delle
cinque figlie, invece, rimaste nubili e vissute tutte nella loro abitazione di Casa Starita, sappiamo
solo che erano ancora viventi alla fine del secolo, tranne Adelaide deceduta a dicembre del 1898. La
più giovane, Penelope (nel registro parrocchiale è ormai solo Maria Giuseppa) morirà a Meta nel
1919.
Diverso il percorso seguito dei tre figli maschi i quali, a distanza di una o due generazioni,
sembrano ripetere l’esperienza degli avi, la stessa loro capacità di cercare occasioni di guadagno
muovendosi sul mare. Solo che ora lo fanno con un raggio di azione più ampio, che esce dal
Mediterraneo e si allarga a paesi e mari più lontani.
Cominciamo dal più piccolo, Salvatore: egli poco più che ventenne si era trasferito in Inghilterra
a Newcastle on Tyne, un porto molto frequentato dai bastimenti sorrentini che vi portavano i loro
carichi di agrumi, di olio da Gallipoli o di grano dal Mar Nero e vi imbarcavano carbone per le
Americhe. Di lui restano solo due fotografie e qualche notizia nella corrispondenza e negli atti
notarili, ma sufficienti per sapere che aveva sposato una donna inglese e che si occupava di
commercio marittimo (agente o forse broker), in costanti rapporti di affari con gli armatori
sorrentini e con le agenzie marittime e commerciali napoletane; muore nel 1886 e lascia una figlia
nata nel 1876, Emilia, che resterà con la madre inglese in Gran Bretagna.
Spiridione, invece, dopo aver fatto studi nautici, seguirà la carriera ecclesiastica; era tenuto in
grande considerazione negli ambienti degli ufficiali della marina mercantile, anche perché
insegnava inglese e francese a quelli che dovevano preparare l’esame per la patente di capitano di
lungo corso. Nel 1894 fu eletto parroco della Chiesa di S. Maria del Lauro di Meta e in questo
ufficio, che esercitò fino alla morte avvenuta nel 1906, si distinse dai predecessori perché più
incline al dialogo con gli esponenti patriottici e liberali che reggevano l’amministrazione comunale.
Infine Gioacchino (junior): lo ritroviamo a Meta già adulto, capitano e armatore, come il padre
Tommaso (senior). Ha sposato Agnese Cafiero, anch’essa appartenente ad un’importante famiglia
di capitani e armatori metesi. In società con Guglielmo Castellano, un lontano parente, arma
bastimenti in grado di fare le rotte oceaniche: il barco (brigantino a palo) Roberto, di 380 tonnellate
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di stazza lorda, costruito ad Alimuri da Francesco Saverio Mauro e varato nel 1861, di cui avrà il
comando per tutti gli anni Sessanta; il brigantino Guglielmo Tommasino, di 353 tonnellate s.l.,
costruito a Castellammare di Stabia da Aniello Bonifacio e varato nel 1862, che porta il nome del
socio e del suo primogenito.
Formatosi tra Corfù e la costiera sorrentina, questo comandante, discendente da un casato
profondamente radicato nell’impresa marittima, riprende con successo l’attività del padre; ma porta
in essa tutta la ricchezza di relazioni e di acquisizioni culturali e professionali che la sua famiglia ha
ricavato da quest’esperienza di mobilità, dalla madre un po’ corfiota e un po’ francese, dai contatti
con mercanti e naviganti veneziani, greci, francesi e inglesi.
L’orizzonte mentale e lo spazio dell’attività marinara e commerciale si sono ampliati e questi
Astarita vi si inseriscono con successo. Lo dimostra con chiarezza una lettera alla moglie Agnese
inviata da Gioacchino (junior) nel febbraio del 1878 (in appendice). Egli al comando del brik
Guglielmo Tommasino è di ritorno dagli Stati Uniti e sta scaricando a Costantinopoli una partita di
petrolio in cassette. Nel breve testo rende partecipe la moglie delle soddisfazioni e dei timori della
sua attività e l’informa dei progetti circa i nuovi viaggi da intraprendere. Il ruolo di Agnese,
considerato l’ambiente familiare da cui proviene, non è solo quella di una moglie che condivide le
preoccupazioni del suo uomo, ma sembra avere una parte più attiva: effettua pagamenti per conto
del marito e segue l’ampio giro di danaro tra il marito, il socio metese, gli agenti e le case
commerciali, insomma mantiene i contatti tra Odessa e Castellammare di Stabia, fino a Newcastle,
dove c’è il cognato, Salvatore.
Nel giro di una generazione questi sorrentini sono passati da un tipo di mobilità solo interna al
Mediterraneo, ad un’altro che spazia dal Mar Nero al Nord Atlantico. Gioacchino (junior), dopo la
consegna dell’ultima parte del carico ad Odessa conta di caricare grano per Castellammare o per
Marsiglia; poi farà rotta nell’Oceano per l’Inghilterra o l’America. Promette di fermarsi a
Castellammare e invita la moglie a fargli visita a bordo con i diletti figli. Quando nell’autunno dello
stesso anno scompare con il brigantino e tutto l’equipaggio, proprio come il padre 35 anni prima,
lascia la moglie con tre figli piccoli, più un altro che nascerà postumo (porterà lo stesso nome del
padre). Agnese, per tenere lontano dal mare il figlio maggiore, lo manda a studiare in Inghilterra
presso lo zio. Riuscirà nell’intento. I tre figli maschi, sfruttando abilità e relazioni acquisite,
diventeranno banchieri e imprenditori di successo; ma Tommaso (junior), il maggiore, ben presto
tornerà ad occuparsi delle attività marittime: costituirà una società di navigazione a vela e
nell’ambiente armatoriale napoletano svolgerà un ruolo decisivo nel passaggio alla navigazione a
vapore.
Nella vicenda di questa famiglia tra Corfù e la costiera sorrentina, in un arco di tempo di oltre
mezzo secolo, si delinea il percorso di ambienti e gruppi sociali ricchi di professionalità marinara e
mercantile acquisita grazie ai contatti all’interno dell’area mediterranea, in grado di inserirsi con
successo nelle rotte e negli affari già da tempo tenuti dalle ben più agguerrite marinerie del Nord
Atlantico.
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