Mostra `La filatrice: un nuovo simbolo per Prato` presso il Palazzo
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Mostra `La filatrice: un nuovo simbolo per Prato` presso il Palazzo
Immortale simbolo del Lavoro pratese, la statua marmorea della filatrice del destino sta seduta come una regina dell’antichità con il peplo plasticamente modellato attorno alle gambe e con la parte superiore del corpo che risplende di niveo candore. Nella mano destra tiene un fuso con la lana e, ai piedi, una ciotola d’acqua con cui arriccia e dipana il filo della Vita, simbolo della Parca Lachesi, una delle tre divinità che presiedevano nell’antichità all’esistenza dell’uomo. Suggestiva è l’ipotesi dello storico dell’arte Grégoire Extermann, che l’accosta come simbolico ‘contrappunto’ alla celeberrima Fiducia in Dio. Di certo questa opera, inedita e bellissima, rappresenta un’ulteriore occasione per valorizzare lo scultore di origini pratesi e il nucleo delle sue opere, ad un anno dall’inaugurazione della mostra permanente Lorenzo Bartolini. Il Bello e il Vero nelle Antiche Stanze di Santa Caterina. Maria Pia Mannini, Conservatrice del Museo Civico Un ringraziamento particolare a don Giuseppe Billi per la sua collaborazione Successivamente verrà esposta nel Palazzo Comunale Informazioni Comune di Prato Servizio Cultura 0574.1835025-13 portalecultura.prato.it Foto di Andrea Tradii Un’opera per la città È un’opera straordinaria La filatrice di Bartolini e non era mai stata esposta al pubblico fino ad oggi. Ma non è solo la sua stupefacente bellezza che potremo ammirare in occasione della mostra promossa dall’assessorato alla cultura: a Palazzo Pretorio ci sarà un nuovo simbolo per Prato. La filatrice rappresenta un tributo al lavoro e alla vocazione tessile della città, è un emblema della nostra storia e, grazie alla forza evocativa dell’arte, anche un’immagine di speranza. Ad offrirla allo sguardo di tutti noi è una famiglia pratese, che con grande generosità ha voluto concederla in comodato gratuito al Comune. Un gesto che ci auguriamo altri possano imitare. Ecco perché La filatrice può essere un nuovo simbolo per Prato. Un simbolo di bellezza, storia, speranza e generosità che, come i fili del destino, del passato e del futuro, si intrecciano in questo capolavoro. Anna Beltrame, Assessore alla cultura Comune di Prato L’opera è momentaneamente esposta nel Palazzo Pretorio con i seguenti orari: lunedì, mercoledì, giovedì e venerdì 16-19 sabato e domenica 10-13; 16-19 La filatrice di Lorenzo Bartolini Non poteva esserci occasione più giusta e suggestiva per riaprire Palazzo Pretorio dopo anni di inaccessibilità: una mostra con un’opera splendida, di uno scultore pratese, che rappresenta una filatrice al lavoro e che viene messa a disposizione della città da una famiglia pratese, che ringrazio di cuore. L’esposizione della statua in marmo di Lorenzo Bartolini è una tappa carica di significati nel cammino che ci condurrà all’inaugurazione del Museo Civico, chiuso da troppi anni. Restituire a Prato il suo Museo è una priorità di questa amministrazione: sarà un punto di svolta per la cultura e la vocazione turistica della città, ma anche uno strumento decisivo per il rilancio del centro storico. Intanto, durante il periodo natalizio potremo tutti ammirare La filatrice e in qualche modo immaginare già ora la bellezza del museo che verrà. Roberto Cenni, Sindaco di Prato La Filatrice Il marmo rappresenta una figura femminile seduta su una sporgenza rocciosa, che tiene in mano gli strumenti antichi della filatura e volge la testa a sinistra. La firma dell’artista sul bordo verticale sinistro dello zoccolo conferma una paternità che lo stile esprime tuttavia con sufficiente eloquenza: la semplicità di composizione e l’impeccabile trattamento di alcuni elementi naturalistici, la cui presenza non offusca una purezza di linee lievemente astratta, sono chiari segni della mano di Bartolini. Nonostante nessun inventario o fonte antica purtroppo la rintraccino, l’opera potrebbe essere collocata dopo il 1846, sebbene non sia citata neanche nella lista post-mortem scritta da Eliso Schianta, assistente di Bartolini. Quest’assenza sarebbe banale se fossimo di fronte ad un busto, poiché Bartolini non si peritò di enumerare i «500 busti, tutti spediti» che affermava di aver prodotto fino al 1846, ed Eliso Schianta notava che dei «moltissimi ritratti» eseguiti, «per non esservi il nome è nata una confusione». Lo stesso discorso vale per i «lavori di commercio» – camini, vasi o tazze – o per le copie di statue che Bartolini produsse in grande quantità senza registrarli. D’altra parte non sono neppure documentate opere assai particolari, quali i «ritratti di mano destra», che l’artista eseguì a quanto pare per se stesso, per la famiglia o per alcuni napoleonidi. Contrariamente a questo genere di produzione, la nostra filatrice va collocata tra le figure femminili ad alto significato morale, come la Fiducia in Dio, la Musa dei Festini e la Verità svelata all’Arte del Monumento Demidoff, la Ninfa dello scorpione o la Ninfa Lombarda, vale a dire con la produzione più impegnativa ed esclusiva di Bartolini. Tuttavia pur osservando che l’elenco di Schianta, redatto secondo criteri piuttosto confusi, non sia completo, non si può non notare quanto sia lacunosa la conoscenza delle fonti dopo un secolo e mezzo e quindi ci limitiamo per ora a svolgere un’indagine unicamente incentrata sull’opera. La posizione seduta e l’atteggiamento solenne della nostra statua mostrano alcune similitudini con la serie delle otto Muse provenienti da Villa Adriana a Roma, restaurate nel Seicento e portate in Spagna, che Bartolini poteva conoscere dalle incisioni del repertorio di statue antiche di Paolo Alessandro Maffei (1704). Il volto della donna presenta tratti armoniosi e volutamente impersonali, che non toccano mai una sfera «ideale», ma sono derivati dall’osservazione diretta di un modello vivo, secondo la pratica consueta di Bartolini. Le guance turgide conferiscono una rotondità regolare al viso e la carnosità delle labbra nonché il trattamento «a cuscino» delle sopracciglia – lavorate cioè con una morbida aderenza epidermica anziché con un sommario taglio geometrico concavo – restituiscono una gradazione luminosa, soffice e delicata, di grande effetto cromatico. Il profilo, segnato dalla curva lieve del naso e dalla disposizione in linea retrocedente delle labbra e del mento, mostra una eleganza maggiore rispetto al busto allegorico dell’Amicizia nella Galleria degli Alberti di Prato, forse coevo. Le chiome trattenute da una fine benda sulla fronte si staccano in nastri ondulanti che si gonfiano e si dividono in agili rivoli sulla curva regolare della schiena, con un ritmo particolarmente felice. La capacità di restituzione naturalistica tocca il suo apice nella corona di fiori, dove si identificano con esattezza botanica una corona di nasturzi. Oltre al viso, le due pieghe del collo, che sottolineano la torsione della testa, richiamano nell’esattezza anatomica anche la Fiducia in Dio, il cui modello in gesso è conservato a Prato. Il braccio destro a riposo con la fossetta del gomito e la mano sospesa acquisisce una monumentale presenza che ricorda il braccio sinistro della figura di Anne Lullin (Ginevra, Palazzo Eynard). Infine il manto, assai ricco di pieghe, possiede un carattere espressivo autonomo, paragonabile per intensità, fra l’altro, al panneggio del ritratto mondano di Marina Gurieva, il cui modello in gesso è conservato a Prato. In quanto alla base, essa mostra un formalismo astratto assai sofisticato, con la roccia puntellata che emerge dal piano liscio dello zoccolo e sembra spingere in bilico una ciotola. I filamenti della lana sulla conocchia sono restituiti infine con cura analitica che rivaleggia in virtuosismo con la chioma leonina del volto, mostrando una rara capacità di resa plastica. Le somiglianze con alcune opere del Bartolini degli anni Quaranta permettono dunque di collocare la statua nella sua produzione tarda. L’iscrizione in corsivo del nome è anch’esso un argomento a favore, perchè l’artista firmò allo stesso modo alcuni marmi dell’ultimo periodo: il busto dell’Amicizia di Prato, il ritratto non identificato del Museo di Ostenko a Mosca, pubblicato nel catalogo della mostra in corso a Firenze, o l’effigie di Pio IX a Caserta, modellata nel 1847 ma scolpita nel 1849. Si nota pure come numerose figure di questo periodo abbiano il capo recinto di fiori: la Verità svelata all’arte del Monumento Demidoff, il Genio Toscano della tomba Fossombroni, la piccola Teresina Balbi, il Voto di castità del Marchese Santantimo o il Genio lussurioso del Tavolo degli Amori. Se in tali esemplari le corone assumono un aspetto compatto e circolare, come un quattrocentesco mazzocchio, qui i fiori mostrano un più libero e sciolto intrecciarsi degli steli, secondo un acceso naturalismo. In linea generale quindi, il contenuto simbolico e concettuale dell’opera si addice bene alla produzione allegorica dell’ultimo decennio, che accrebbe grandemente la fama di Bartolini e gli meritò il titolo di artista filosofo. Infine per non rimanere in una totale assenza documentaria, vale la pena proporre un’ipotesi, poco attendibile ma curiosa. Nell’inventario dei gessi di Bartolini redatto nel gennaio 1883 quando gli eredi cedettero la collezione alle Gallerie Fiorentine, figura una misteriosa Rassegnazione. L’opera non va confusa con la Fiducia in Dio, distintamente menzionata, e non sembra riferirsi a nessuno dei gessi conosciuti. Ci si chiede se un tale nome potesse riferirsi alla nostra figura. Il carattere passivo, nonché la presenza iconografica della conocchia che allude alle Parche e quindi ad un destino implacabile, possono giustificare una tale intitolazione. La sottomissione al fato sarebbe allora simboleggiata da un’allegoria pagana, rivelando una situazione di sconforto che viene risarcita però dalla consolazione cristiana tributata dalla Fiducia in Dio. Servono tuttavia altre prove per identificare in questo modo la nostra giovane Parca e si vorrebbe sperare esistesse una delle descrizioni dense ed epigrammatiche che Bartolini scrisse per spiegare i concetti delle sue opere più impegnative. Grégoire Extermann Sono pratese dal 1200! Questo è quello che ho sempre detto ai miei figli, fiero della mia terra, orgoglioso delle nostre tradizioni. Ero poco più che un ragazzo quando incontrai per la prima volta La filatrice di Bartolini, ricordo quel momento come uno tra i più indimenticabili. Avevo già visto grandi fabbriche e ne conoscevo i processi di produzione, ero affascinato dai nostri monumenti e ciò che rappresentano per la storia della nostra città, ma mai mi ero trovato davanti al connubio tra le due cose, una splendida statua di marmo raffigurante una donna che filava la lana, arte e lavoro tessile insieme. In un attimo i due volti della città che conoscevo si fusero in una cosa sola, innescando un’esplosione di sensazioni che quasi mi portarono ad un mancamento, sognai di averla e non smisi mai di farlo fino a che, vent’anni dopo, non entrò a far parte della mia famiglia. Ne è passato di tempo da allora, ma ancora oggi resto estasiato da tanta bellezza ogni volta che mi soffermo ad ammirarla, viaggiando nel tempo e nello spazio, a volte ripensando ai vent’anni di avventure per possederla, a volte condividendo questi ricordi in famiglia e con gli amici più cari, raccontando di quando ancora bambino, seduto sulle ginocchia di mio nonno tessitore, ero io ad incannare il filato in fusi per le spole, contribuendo alla rinascita di un paese distrutto dalla guerra. Rapito come Pigmalione dalla sua Galatea penso a quanta storia sia racchiusa in quest’opera di un mio concittadino. La storia di un giovane pieno di sogni e di speranza, la storia di una città, della sua arte e del suo lavoro, la storia di una tradizione che dura da secoli e che ci ricorda che “è la strada da cui veniamo che ci indica la direzione in cui stiamo andando”. Un Pratese