Le poesie - Revue Notos
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Le poesie - Revue Notos
COMPAGNIA DELLE POETE “Madrigne” al Forte Fanfulla (Roma) Il titolo è un neologismo trasversale che vuole riunire in una sola immagine i ruoli diversi che si trova a ricoprire ogni donna, per ricomporre il quadro di un universo femminile in cui ognuna è se stessa e insieme tutte le altre, in un gioco a incastro di anti-bambole solidali, matrioske sorelle. Madri, matrigne, madrine… – caustiche, tenere, ilari, voraci, assorte – tutte ad esprimere la propria femminilità attraverso una parola poetica che non conosce frontiere né distanze, ma nel cuore pulsante dell’esistenza condivisa supera lingue e confini. In scena Livia Bazu, Adriana Langtry, Mia Lecomte, Sarah Zuhra Lukanic, Vera Lúcia de Oliveira, Helene Paraskeva, Brenda Porster, Sally Read, Francisca Paz Rojas, Candelaria Romero, Jacqueline Spaccini con poesie proprie e di: Begonya Pozo, Eva Taylor. Video/scenografia: Janine Von Thüngen Racconto musicale: Andrea Colella (contrabbasso), Emanuele Melisurgo (fiati), Mejrema Reuter (flauto dolce) Luci-audio: Paolo Dal Canto A cura di: Vesna Stanic Ménage (Mia Lecomte) Le pulizie dell’universo possono durare anche un giorno la mattina dedicata a spostare il pomeriggio approfittando del vuoto e la sera la sera la sera dopo un giorno niente sarà più come prima quel tal giorno 1 … (Vera Lúcia de Oliveira) costruire una casa è come rassettare il mondo sistemo un mattone lui resta dove lo metto sono io che scelgo il mattone io che preparo la calce se potesse che tutto io potessi sistemare non avrei questa stretta al cuore no rassetterei il mondo che Dio mi perdoni perfino meglio di lui Traslocare (Helene Paraskeva) Traslocare fa un effetto goffo, scatole chiuse, lettere non lette, libri creduti, appunti persi, e polvere al posto del respiro. E quei fiori vogliosi sulle tende sudice patacche, colpe d'acciaio mai ammesse. Come si fa a trasferire quel divano? Chiamalo piuttosto catafalco, un Gòlgota imbottito di rimpianti stupido, sgraziato, difettoso. Non si alza mai in piedi, non accoglie gli ospiti, non ha maniere. Ora di buttarlo. 2 … (Candelaria Romero) Non so perché questo filo che lega stringe. No deja a vecez dormir/non lascia a volte dormire. Diviene corda che tutto rammenda hilo que no deja caer/filo che non lascia cadere ett snöre runt livet/un filo attorno la vita. Ecco come si vive da sopravvissuti ancorati come le scarpe di Magritte i tus imàjenes son las mias/ e le tue immagini sono le mie. Nella notte non distinguo ciò che fu mi sueno, tu sueno/mio sogno, tuo sogno mi estar/mio stare. Così passano i giorni en la distancia/nella distanza som barn när dom leker/come bambini quando giocano senza accorgersi. Nel gioco del stare o non stare. abbiamo scelto la cosa più probabile. Nel cielo gli stormi non eravamo noi. Da tempo abbiamo smesso di viaggiare stanchi. Ma ecco la corda di nuovo si tende, stringe chiede vad är du? Hur dör man utan skugga? Chiede. Dove sei? Come si muore senza l’ombra? 3 … (Livia Bazu) Sarò ceneri libere e nessun frammento saprà più degli altri, sarò nell’aria e nella terra a nord e a sud nel bianco nel nero nell’azzurro e nell’oro scenderò sempre più antica fino all’inizio del mondo Qui e là II (Adriana Lengtry) La alegría estaba en algún lugar real però distante, en un sitio lejano y a la vez -como dirían aquía portata di mano, -como dirían alláespacio inalcanzable. … (Francisca Paz Rojas) Come chi trascina la radice di notte sulla strada ho visto papaveri luminosi, verso l’uscita, non ho accettato di caricare 4 la sacca con le morte, perché mi si chiede di farlo? Cercavo una voce non padrona per farla sedere dentro, a suo agio, cercavo null’altro, avrei condotto i passanti alla festa lungo la città in cui provavo timore luce quagliata da eclisse persistenza delle regioni fredde. Senza contare uno a uno i testamenti – ciascuno è solo a immaginarsi – l'aria era frivola e funerea, la terra e il mare giacevano come ripiegati. Questa nausea dopo il sogno e l’andare senza padre questa nausea ad altezza d’albero sopra nidi d’uomini la nausea del dominio l’aratro che non ci renderà ricchi l’azione urgente della notte – e tu che chiedi quello che io non posso fare!- veglia: non coprirai per sempre questa estinzione di senso, questi uomini e donne tappezzati di nero nella fuga, dovunque. 5 Sulla punta delle mie scarpe (Sarah Zuhra Lukanic) Sulla punta delle mie scarpe C’è un mondo intero. Lo osservo incredula E mi chiudo sotto le stringhe Slacciate. Sulla punta delle mie scarpe Ci sono le tracce del dolore Quotidiano. Lo conservo come muschio Sotto il cipresso verde. Sono ferma con la mia pala. Immobile. Scruto le condoglianze dei famigliari. Sulla punta delle mie scarpe Ci sono le gocce di rugiada Mattutina. Come se le mie scarpe piangessero Un altro morto. Identità nascosta (These are pearls that were his eyes) (Helene Paraskeva) Sulla roccia sgretolabile, apro drappo di gloria distesa ad asciugare addosso a creature salmastre. Lì ho nascosto il cuore, sotto una lastra, fra i mostri mitici di marmo, delle grotte marine. 6 Con un fucile occultato dalla Storia scopro nel cervello, ogni volta, - maledetta intuizione nel viaggio di ricognizione a spirale, ogni volta, trovo che gli occhi del poeta si disfanno, si sciolgono. Solo per diventare perle. Quercus robur (Jacqueline Spaccini) Aspetto primavera per correre all'ombra merlettata, maestosa pianta e longeva che con le sorelle germane imperi nel Maksimir zagabrese. Accanto al mio acero un giorno forse ti scoprirò ché l'humus calcareo (ugualmente) za vas è venefico. L'amore mutò in rivelazione quando la manina diletta la lunga foglia bruna mi donò: È per te, mammina cara... Ora che ti vedo nel traffico quotidiano, alla mia destra 7 raggiante, - nuda, ma imperterrita orgogliosa - ti dico: attendi anche tu l'estate che viene de mon herbier tu es la reine. Spezzare il collo ai pesci (Sally Read) Lungo Camden High Street ci si attaccò un polposo marciume, grumi scuri di fragole, birra, bile a spruzzi sul pavimento. La luna, sussurravi. La mia chioma bagnata un cespo di ricci nella calura. Un litro d’acqua mi sciaguattava dentro. La tua pelle è come la luna; una madonna seducente nel tramonto. Il tuo viso inzuppava il sole. Biascicavi senza posa parole che la mia mente schivava come un pugno indeciso. Vicino al pub, i treni sferragliavano per Euston, urlo rovente di pistone e freni. Volevi brindare, non mi mossi, la lingua grossa, costole cerchiate di metallo: Ai treni. Vedo ancora il tuo leggero ritrarsi, sento il tuo dolce canto incurante Ti amo da morire, e una lucertola di sudore mi sfrecciò improvvisa tra le spalle, ignara. 8 Qui e là I (Adriana Langtry) Estoy un poco aquí un poco allá, come sciami d’api intorno a fiori di carta me alimento de aquello que no está. I mestieri (Livia Bazu) Io cucitrice Di umile rango Di casta invisibile Sconosciuta Ancora Io cucitrice di pezze perdute dai viandanti nel folto della nuova foresta Lasciando cadere tra le dita troppo mobili Briciole di sé Per riconoscersi Nelle mie vesti arcobaleno ancora Io icaro Mastro curioso nella bottega sull’isola nascosta tra i petali della rosa dei venti incollo con linfa d’alberi e acqua di mare Le piume degli uccelli che passano Da un orizzonte all’altro Lasciando cadere Briciole di sé 9 Per ritrovarsi Sull’isola nascosta tra i petali della rosa dei venti Ancora Io chirurgo (s)comunicato con incerta, somma perizia adesso pratico la dolceacuta ferita Incido La pelle Minuscolo foro incunea La piuma d’altrove Innesto feroce e sottile Che s’infiltra appena esistente Nella creatura terrestre per sostenere oltre volo Su Santa Gianna (1922-62) che morì dopo aver rifiutato le cure mediche a lei necessarie per salvare la vita della sua bambina non ancora nata (Sally Read) Tornando a casa nel Suffolk sono gli alberi d’inverno che mi colpiscono: cartilaginei e intricati come bronchi in sezione. Nessun ribollire di verde o piume. Ci vorrebbe un brulicante calore per far germogliare la fede di Giovanna, gli stormi di angeli surrogati che immagino abbia convocato. Penso a lei mentre entro in casa, e, in punta di piedi, sistemo un barattolo sullo scaffale più alto in cucina. Così in alto – così fuori dalla mia portata – che quasi scivola indietro e cade a terra con fragore. Penso che lasciare un bambino 10 dev’essere così: sollevarlo verso il futuro – lontano – oltre i confini possibili dei polpastrelli impotenti. I neonati separati dalle madri non hanno una casa in cui tornare; l’aria può avere sempre l’odore di una casa altrui. La mia bambina dorme, sebbene incubi nuovi la sveglieranno, prove necessarie della perdita. Fuori alberi dalle forme incostanti nel crepuscolo viscido; una mente pronta potrebbe vederci un volto. Ma solo il mio appare sul vetro, bianco ed esangue come fiamma. Casa di bambola (Mia Lecomte) Sezione della casa. Frontale. Mezza in ombra. Il terzo piano è soffitta. Si svuota. Rotola una palla, costante, e la polvere è viola. Il secondo piano si flette. Tutti i passi dei figli, a migliaia. Dei gatti. Si flette. Al primo piano comincia il dolore. Lei è tutta sul letto, decomposta. Lui la aspetta nella vasca da bagno. Al piano terra è cominciato da giorni. Lei ora è in cucina. Ha già pianto e si affretta. Lui l’ha seguita con le sue lenti tabacco. Fuori un groviglio di spade. Il prato col box. C’era il nome. La sezione non mostra le scale. Si passa da dietro, tra i piani. I figli lo sanno tutti in fila. In salotto lei ha perso l’età. Lui la ragione. Scricchiola un osso qualunque, un molare. 11 La polvere si è fatta celeste e riflette. Non si aspettano strade …(Francisca Paz Rojas) quel che resta è cambiare percorso alle vie entrare nell’azione che denigra se stessa quel che resta è ballare proprio quando non si può più trattenere la morte al tramonto ascoltare a quell’ora la notizia e fingere di lasciarla scivolare deporre il perdono dentro una piccola barca e farlo scorrere in acque senza canne senza fede nell’io risponderò urtare contraffare entrare ancora in un inizio, annaspando al risveglio sfocati, arrestare ogni falsa preghiera per dire sì questo resta la mobile coscienza sull’orizzonte lento dove si sta con piedi di maiale 12 e collo di cigno dove s’impara una lingua che benda la prima con il suo corpo di lupa; dove l’unico dono è Qui inarrestabile altero a tiro di curva, libero di non eleggere l’altro, un nodo a cappio, silenzioso, appeso a un muro esterno (Sarah Zuhra Lukanic) Sono sicura che sarei stata felice Con te. Nella verde aiuola della nostra casa Mai costruita. Nelle passeggiate in giornate di festa malinconiche e sottobraccio. Nella nostra città borghese e vecchia Dove le lucine delle vetrine si Confondono con le lacrimucce dei bimbi Frastornati. Sono sicura che sarei stata felice Con te. Ascoltando la Cavalcata delle Walkirie Nella platea del nostro teatro Mai edificato. Sono sicura che sarei stata felice Con te. Nel tirare a indovinare chi di Noi due sarebbe morto per primo. 13 Note per una breve commedia sentimentale (Brenda Porster) loro si vogliono bene ma lui talvolta sta male perché insoddisfatto di sé lei si dispiace che lui stia male e scrive una poesia sul male di lui gliela fa vedere. lui sta veramente male quando legge la poesia di lei dice che lei è ipersensibile e decide di rompere il rapporto così alla fine stanno male tutti e due the end Palabras (Adriana Langtry) De los escombros nacen otras palabras. Spuntano come germogli tra i mattoni crollati colmando ogni fessura di radici, spaccano le macerie con la fragilità incombente dei fili d’erba, 14 inquietas y sinuosas come stelle filanti. No son ésas de ayer né quelle del passato. ambiguas, incrociate, le parole sono altre. Nascono dalle rovine di una lingua bifolca, de la mirada bifronte di un Giano stanco. Si affannano, balbettano, tambalean, si rincorrono nel doppio destino che le affligge, doble como el espejo que refleja y observa, doppio come le rive opposte dell’oceano. Nacen de los escombros 15 le altre parole. Afloran redundantes picchiettando fra i denti la loro melodia di suoni disparati. Sorgono dalle macerie rellenando el olvido, dando voz al silencio nella lingua sbagliata. Si scontrano, se mezclan, se contagian, su verdor primigenio copre di simboli alterati los restos mudos del derrumbe. Sorgono dalle macerie con un recuerdo antiguo di partenze e addii. Esplenden come stelle filanti nell’ibrido cangiante dell’occaso. De los escombros nacen otras palabras. Ni ésas ni aquellas, altre. 16 Ricetta per il pesce fuor d’acqua (Eva Taylor) La maggior parte dei pesci è muto per cui lasciatelo bollire qualche istante fatelo raffreddare nell’acqua di cottura infine versatelo nell’alfabeto. Imparerà a nuotare, a respirare e a parlare ma avrà sempre l’impressione di essere qualcos’altro. Il suo lieve sapore amarognolo che alcuni apprezzano altri trovano nauseante vi suonerà come accento. Si può togliere con un filo d’olio d’oliva. Extra vergine, macinato a freddo. Meglio freddissimo. Quasi come d’acqua. Quando verrò (Jacqueline Spaccini) Mihaljevac è il luogo dell'attesa, la mia e di Romain contando e ricontando gli otto, i quindici ed i quattordici che non ti riportano a casa. È la visione dei soffietti - solo per l'otto; due vagoni - è il quattordici, mammina? e quello piccolo che sbaglia rotaia è il quindici, non ci interessa e si vede - subito -. La salita per me inizia dal market di Lovćenska: dico a tutti è facile, uguale ad amore, ma solo per le prime tre lettere... 17 Al cimitero certo a piedi non ci arrivo e sto attenta alla curva cieca, alle sue macchine e medito su di noi, mentre sento la fatica nelle gambe (spesso anche sulle spalle, scimmietta oblige). Disperazione e speranza sono strane compagne di strada cui nemmeno la magnitudo dei cedri atlantici dà sollievo. Annuso tendine trasparenti e gatti imprigionati di altre case, altrui ricordi. Quando vedo la catasta di legna ci siamo: (se vecchi frigoriferi e caldaie arrugginite ostacolano i margini vuol dire che è mercoledì) i Karlušic sono - al solito - invisibili. Sommersa da pacchi e scatoloni, lo odio quel cancelletto e sbaglio sempre le chiavi di casa. Ma ho tutto il tempo di correggermi, ché tanto nessuno viene ad aprirmi mai Memento (Livia Bazu) Mai perdere l’attenzione, mai la cura, piccola e leggera come sono e quasi trasparente per giunta 18 non perdermi tra gli angoli senz’anima del labirinto armato in cui si nascondono ingannevoli invisibili e inavvertiti orchi buchi neri avidi di oblii e sfiducie ruminando sempre le nostre impassioni non assolvermi ogni giorno per non condannarmi per tutti i giorni rimproverami fino ad allungare l’orecchio alla goccia sottile della clessidra la vaga clessidra nascosta tra i vicoli della mia architettura che versa lacrime e sangue quando si sente mancare e acque allegre fiotti di danza per com’è la voglia e il mistero cercare il mio abito e il portatore da vestire con la mia pelle aperta redimere insieme cucire insieme una musica ignota labirinto e uscita Amante missionario (Candelaria Romero) Entra distenditi gioca con la mia pelle d’asina 19 la nonna dorme accasciata sul tavolo il marito frettoloso russa ma tu entra fai di me la tua speranza gridami dentro prega che non ci sentano muri accolgono carezze ladre ama e fai quello che vuoi … (Sarah Zuhra Lukanic) La sua pelle era morbida Come lo zucchero a velo dei Croissant appena sfornati. Sul pube rasato e tirato come Pelle di tamburo. Prendimi così calda e spumosa Sussurravo io con la faringe sfiancata. Impugnava i miei polpacci Come il lievito di birra Un poco intiepidito per un Impasto bianco e scivoloso. E fissavo quel vassoio di silverplate Pensando di fermare nella mente Quelle lenzuola Macchiate e attorcigliate Dai nostri corpi boccheggianti. Quei guanciali candidi Cosparsi sulla moquette azzurrina. Quella litografia color seppia Che rappresentava un’immagine di caccia. In caduta libera 20 I nostri corpi. Una sosta per respirare. Un sorso d’acqua di sfuggita. Per sentirsi vivo e pulsante. Quello che ricordo meglio è il numero Del servizio in camera. Neanche il tuo nome vero, come un souvenir Cetriolo cool (Brenda Porster) Eravamo entrambi in un sonno profondo quando, a un'ora incongrua, abbiamo sentito lo squillo. Tu hai risposto lo stesso e, riconoscendo la voce, hai preso a parlare con un’amica lontana: no, non era troppo tardi (lo era); nel dormiveglia ascoltavo frammenti filtrati … un bambino, preoccupazioni politiche … sonnecchiando, giusto per passare il tempo, ti presi nella mano -- non ti dispiaceva e sei diventato grande mentre chiacchieravi ancora … no, meglio non isolare l’Austria, ma Haider si, speriamo ... ho sentito, mentre parlavi e parlavi, interfacciando attraverso il continente, con un orecchio attaccato a lei, con una mano a me tu eri un cetriolo proprio dritto e così cool - a far stare nel letto tutti i tre! Spezzare il collo ai pesci (Sally Read) La sera dopo, provammo il sesso anale e mentre mi blandivi il collo con i pollici 21 pensavo al Wolf’s Creek e ai pesci che non prendevi, colli di grasse trote che non ti sentivi di spezzare per portare i pesci morti da tua madre. Nel calore sapevo che il mio culo era morbido, la buccia di una pesca. Ma era quello che c’era oltre che ti attirava: un nucleo sensibile, duro il nocciolo di una pesca – le ruvide creste, fini filamenti imprigionati nei solchi dove la polpa è strappata via. Qui, al seme della spina, gomitolo di muscolo, hai provato a disfarmi, tenendo fermi i fianchi con le mani, spezzandomi paziente. Quando ci fermammo, mi sciolsi ma rimasi integra intorno a questa durezza, nel busto delle tue braccia finché ci separammo e recuperai lentamente. 22 Hai smesso di pescare anni fa. Usavi l’immobilità, la patina bronzea dell’acqua per volere che il pesce fosse più a fondo. Non potevi guardarli soffocare o sentire lo schiocco di ossa delicate tra il pollice e l’indice. O camminare verso casa tracannando birra col freddo umido sulle mani, e bagliori di pelle d’argento troppo agevolmente diventate il peso morto di una carne scagliata in fondo al tuo retino. Via Catalani (Mia Lecomte) Della nostra stanza è rimasta soltanto la stanza dalla porta un passeggio felpato lungo tutto l’addio e viceversa. Nello specchio ha ceduto da tempo il mercurio una linea bluastra a toccare il riquadro del fondo 23 dal fiorame del letto sopra i marmi la visione scentrata dello squarcio in cui crebbe il piacere e viceversa. È rimasta soltanto la stanza della stanza che fummo rasa al cuore a partire da un punto qualunque molto meglio la notte che scompare anche quello e viceversa. … (Begonya Pozo) Ad occhi aperti odori la stanza antica. Siedi. Con sguardo intimo ti misuri, e taci. … (Vera Lúcia de Oliveira) disse che non sapeva se lo aveva amato quando si sposò era stato per sfuggire alla fatica poi restò incinta lui passava ore fuori casa con gli amici al bar la madre di lui era una donna amareggiata la insultava diceva che lei era una buona a nulla il corpo si gonfiava pian piano se si fosse gonfiato tanto chissà se lei non sarebbe salita come quei palloni nella notte di San Giovanni e scomparsa lontano nell’oscurità della notte 24 La spogliazione delle poete (Jacqueline Spaccini) Qualcuna inizia sfilandosi le scarpe, le calze e poi la gonna. Qualcun'altra si toglie il maglione, la maglia e il reggiseno. A tutte hanno sottratto almeno un'ora. E quella non ha avuto il tempo di fare la spesa in un'intera settimana. Le colombine alla crema recano la parola mattutina; a una la spremuta d'arancia dà un decimo motivo per esistere, un'altra ha rubato il suo terzo caffè. Qualcuna si sarà tolta la pelle e qualcun'altra l'anima. Un'altra s'è smarrita. Dipende. Sapete com'è, al buio, non sempre si capisce. Del suo colore, le ha rivestite tutte la luce nera. Come una coltre, ma trasparente. … (Begonya Pozo) 25 Da su in giù levi i pantaloni, lenta, con cerimonia. Rimani nuda sotto le ossa croccanti. La puttana (Candelaria Romero) Primo cliente fu il cane i cugini argentini Milla la vergine finlandese del bagno domenicale Il gatto Rodriguez tutti gli uomini della sorella prestati appestati Mats e l'embrione strappato il sesso perduto in bicchieri di vodka seni aperti mani sorprese pronte ladre. Mi gratifico mentre godono non chiedo nome test nemmeno soldi. Puttana d'onore la Morte nel cuore sputo nel buco Nero e prego che si possa un giorno amare senza la pelle tesa ai quattro venti Ifigenia (Helene Paraskeva) Nel golfo di Aulide afono e piatto, il vento strozzato ancora balbetta. Prima di mezzanotte non si alzerà 26 mai, prima del sacrificio ha un impegno. Ma Ifigenia ha fretta, non aspetta più. Trascura lo scalino dell’altare, inciampa, crolla e cade sgranocchiando ossa di eroi. Sgomita, scalpita l’armata epica di sassi cavalieri e denti opliti che ha in bocca. E nell’orecchio la voce di Artemide, rauca e soffocata dalle sigarette, fioca, come le antiche fiamme sull’altare, le sussurra maliziosa: “Penso che ti dovrai fermare per un po’!”. La vecchiaia delle stelle (Brenda Porster) anche per i corpi celesti c’è un tempo lineare, ineludibile: la giovane stella azzurra è tersa, scattante, attraversa poi la maturità una bianca diamante ma ciò che mi interessa ora è la vecchiaia della stella quando, mostruosamente grande, in rarefatto decadimento si adagia nel cielo, anziana signora stravaccata in poltrona vestita di rosso, soddisfatta 27 … (Vera Lúcia de Oliveira) aveva imparato a osservare le rondini sempre lì a partire sempre lì a migrare poi tornano non le stesse magari altre della stessa famiglia della stessa specie si trasmettono l’odore dei luoghi si trasmettono la dimensione delle cose la memoria le misure dei pieni e dei vuoti il ritorno era sempre una ricognizione come se ognuna dovesse all’altra la strada da fare e quella già fatta Una lettera (Brenda Porster) Sono ancora convinta, mio caro, che è tutto questione di potere il tuo amico ‘Dio’ entra di nascosto nel nostro giardino a spiarci quando e come gli piace, senza un minimo di ritegno. Ti pone divieti assurdi poi si sente grande quando vede come tu, da bravo ragazzo obbediente, gli dai retta sempre. A dire il vero a questo patto tra ‘uomini’ non ci ho mai creduto – si capisce che con me 28 non c’avrebbe mai provato. Mi puoi spiegare, poi, perché di tutti i frutti è la conoscenza che ci è negata, saper distinguere il bene dal male, poter scegliere il giusto? Avrai capito ormai il serpente non c’entrava affatto. Ero io che volevo dare un taglio definitivo. Basta al giardino recintato, l’aria profumata, delizie comandate, il sesso innocente, insipido, spiato. Non riuscivo a prendere fiato. Su, andiamocene di qua – là fuori c’è il mondo: diviso, mortale, e libero Raperonzolo (Mia Lecomte) Da questa finestra faccio la mia casa con tutto quello che potrebbe essere alle mie spalle dentro la sagoma di una vera casa che non si stagliasse verticale all’origine ma abbandonata lungo il piano domestica non tutta sguardo da un solo pertugio proprio qui in cima da cui disfo e rifaccio treccia per treccia la casa vera quale sarebbe alle mie spalle 29 portefinestre ceste di zoccoli, galosce, ombrelli una chaise longue col cappello fiorito lui che rientra per levare il caffè lei che riporta i biscotti sul prato la tartaruga procede sicura nell’orizzonte al livello del tempo disfo e rifaccio intrecciando la casa alle mie spalle rifaccio e disfo mentre giù in fondo si perde in un’ombra quello che là in alto è sembrato Penelope (Candelaria Romero) Penelope ha smesso di lavorare non intreccia non trama più snoda fili Penelope riavvolge matasse protegge colori custodisce tesori la stoffa non più tesa come vela per portare a casa Ulisse che i fili restino a riposo senza pretese di estetica che torni la lana alla pecora al guanaco a coprire le mandrie ed è finalmente silenzio respiro lento odore di onde lontane. Penelope è tornata al mare a nuotare … (Francisca Paz Rojas) 30 Oggi non si lavora, lo sai e io scrivo, per tramandarti un paese e dal suo grido umido lasciar scorrere le palme aperte menzognere la croce senza schienale dei letti chiusi e lontani; i verbi maledetti di tutti i giorni, il crudo naufragar del nostro peso di cotone oscuro, di ago da ospedale sul ciondolo di destino. Avrai sempre il mio sangue argilla torbida, seme fulgido fertile in fuga, tangibile per te, il segno della mia fronte ti riconoscerà ovunque. Non spostare la coperta di calce, non spostare il pensiero rimani, vivi! È un ponte franato questo paese, è un ponte franato questo paese, ma io ti vedo 31